Trainspotting

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    "Corri, Albus, dai. Più veloce. Ci perdiamo il treno." Le piccole gambette fanciullesche dei due bambini si affrettavano svelte nella salita di quella collina che alle loro esigue stazze appariva come una montagna insormontabile. L'Inghilterra: il luogo in cui basta uscire di pochi chilometri dalla città per ritrovarsi immersi nel predominio di verdi distese quasi totalmente intonse. Una casa sparuta, di tanto in tanto, sbucava all'orizzonte insieme al fumo biancastro che fuoriusciva dal suo camino. Il resto era tutto praterie, foreste e mucche. "Più veloce, più veloce." Il battito cardiaco del bambino aumentò a dismisura mentre il viso arrossato dallo sforzo si inclinava appena verso il basso, come a prendere una posizione più aerodinamica. Non potevi fare davvero nulla contro l'aria ghiacciata di quella terra: ti colpiva in faccia peggio degli schiaffoni di una madre adirata. Loro non ne avevano mai presi, non di memorabili almeno, forse perché i loro genitori erano più inclini al dialogo che alle mani. Eppure Albus non poteva fare a meno di pensarci ogni qualvolta intraprendessero quel loro stupido gioco: era come se l'imponente figura del genitore li seguisse ovunque, invisibile, sotto forma di vento, per schiaffeggiare le loro guance lisce prima ancora di scoprire che erano usciti di nascosto. Tuttavia loro continuavano a disubbidire lo stesso, perché in fin dei conti erano pur sempre bambini, e come tali anche il più insulso dei fili d'erba rappresentava un'occasione imperdibile di gioco..figuriamoci un treno. Così, quando ci riuscivano, i due fratelli sgattaiolavano fuori di casa dalla porta sul retro, scavalcavano la recinzione, si insozzavano gli orli dei pantaloni col fango delle pozzanghere che volutamente centravano e se la davano a gambe su per la collina poco distante dalla loro dimora. Lì, dietro quella sinuosa barriera naturale, passava ogni pomeriggio un treno babbano diretto chissà dove; loro si sedevano in cima all'altura e lo guardavano passare, emulavano il suono del suo fischio quando si fermava nella piccola stazione di paese e cominciavano il loro gioco. "Dentro la terza carrozza si trova una signora che legge le lettere del suo amico di penna. Non lo ha mai incontrato, per anni non si sono mai visti. Si scrivono da quando erano bambini, si raccontano tutto. Per la prima volta, ora che sono adulti e non hanno bisogno del permesso dei loro genitori, hanno deciso di incontrarsi. Si vedranno in un piccolo caffè di Edimburgo, all'angolo tra Queen Street e Dundas Street, poi faranno una passeggiata al parco." Lo sguardo di Olympia era perso in direzione di quel veicolo, concentrato sul dispiegare i nodi di una storia che probabilmente esisteva solo all'interno della sua testa. Un gioco banale e privo di scopo, quello di inventare storie sui passeggeri del treno: che vita conducessero, dove fossero diretti, che tipo di persone fossero. Ma d'altronde, si sa, i bambini riescono a trovare spunti di gioco in tutto. "Lui berrà caffè, lei thè alla pesca. Ordineranno un piccolo vassoio assortito di macarones da dividere, perché da bambini ne parlavano sempre all'interno delle loro lettere." E così via fino a quando, prima ancora che se ne rendessero conto, il treno era già ripartito all'inseguimento del sole che iniziava a scomparire dietro l'ennesima collina all'orizzonte. Passarono molti anni prima che Albus si rendesse conto del perché quel gioco gli piacesse tanto e del perché, al contempo, lo lasciasse sempre con un triste vuoto scavato all'interno dell'anima ogni volta che terminava. Era ormai cresciuto quando, un giorno, udì dopo tanto tempo il fischio di un treno in lontananza dalla camera del lercio riformatorio in cui era finito. La comprensione lo colpì come un fulmine a ciel sereno, come una pioggia improvvisa in un tiepido pomeriggio soleggiato, quando non hai l'ombrello e non sai dove ripararti. Quando sentì quel treno che avanzava chinò la testa e pianse fino a crollare nel sonno tra i singhiozzi.

    Breve storia triste di chi non ce l'ha fatta: Albus era rimasto. A differenza di sua sorella, di Rudy e di Maelys, lui non era scappato dall'attentato a King's Cross. Non che non ci avesse provato, ovviamente; era da tutto l'anno che cercava di pianificare una fuga, ma ogni volta gli sembrava di combattere contro i mulini a vento. E ovviamente non era colpa della sua famiglia se era rimasto indietro: semplicemente era andata così, perché mica può andare bene a tutti. Poi ad Albus, che ha tanta sfiga da far sorgere la domanda su come è possibile che sia ancora vivo, men che meno. Lui era stato spinto dalla calca, buttato a terra, anche calpestato, fino a quando non aveva completamente perso di vista la sua famiglia, e oramai la finestra di tempo per darsela a gambe si era chiusa. Lo aveva accettato, perché Albus era fatto così, e a un certo punto se ne faceva sempre una ragione delle sue sventure; anzi, era addirittura felice per quelli che erano riusciti ad evadere. Sebbene il campo estivo non fosse null'altro che uno svago rispetto ai mesi passati al castello, era contento che sua sorella e molte persone a lui care fossero altrove. Ogni tanto, di notte, si ritrovava a fissare le stelle, chiedendosi cosa stessero facendo in quel momento, immaginandoseli a ridere attorno al tavolo o a fare i rivoluzionari come più si addiceva a loro. Ci pensava e sorrideva, forse con un po' di amarezza per non poter far parte di quel quadretto, ma pur sempre lieto per loro. Ovunque fossero, erano liberi, e il cuore del secondogenito Potter non poteva sperare nulla di migliore per le persone a lui care.
    Quando tutto era finito e gli studenti avevano abbandonato il campeggio, Albus era sereno in cuor suo all'idea che qualsiasi cosa quell'anno avrebbe riservato per loro, i suoi familiari e amici non ne avrebbero dovuto subire il peso. Di subirlo lui, quello non gli importava molto: ormai ci stava dentro fino al collo, nemmeno poteva dire di essere stato stroncato dalla speranza fallita di evadere. Era tutto un già visto, tutto un già processato e mandato giù insieme alla bile nello stomaco. Sapeva cosa lo aspettava - o almeno se lo immaginava - e non aveva motivo di provare ansia a riguardo perché non aveva avuto l'occasione di prendersene una pausa.
    Al cambio del treno trascinò i propri bagagli lungo la piattaforma del binario magico, cercando di scacciare via il ricordo dell'attentato avvenuto solo qualche mese prima. Gli sembrava un'infinità di tempo, come se in realtà fossero passati tantissimi anni da quel giorno. Tutto era tranquillo e piatto nella solita routine, con l'unica differenza di un visibile aumento della sicurezza, quando improvvisamente si bloccò sulla porta del treno, sgranando gli occhi. Bloccato. Impietrito, con il baule ancora a mezza strada tra il dentro e il fuori, se ne stava a fissare la combriccola appena apparsa all'ingresso del binario: Olympia, Rudy e Malia. Un tonfo al cuore a cui in quel preciso momento non seppe dare una spiegazione, forse perché un Corvonero dietro di lui lo stava intimando a sbrigarsi dato che bloccava l'entrata un po' a tutti. Si ritirò dunque all'interno del treno, affrettando il passo verso il primo scompartimento vuoto a disposizione.
    Dalla visuale del finestrino si srotolava veloce una discesa verso valle in cui un fiume correva parallelo a una striscia di binari, unica traccia della presenza babbana ignara di quella vettura magica che sfrecciava sopra di loro. In un crescendo di suoni meccanici, a un certo punto, sbucò un treno dalla curva oltre il suo raggio visivo, fischiando e sbuffando fumo proprio come quello della sua infanzia: quel treno che, pur se inconsciamente, Albus aveva sempre voluto prendere. Lo fissò ad occhi socchiusi, chiedendosi per un istante cosa esistesse ancora a fare quel secondo treno, dato che dubitava fortemente che i babbani si dedicassero ancora a tanti viaggi. Un rumore di passi interruppe prepotentemente i suoi pensieri, portandolo a spostare lo sguardo fino a individuare con la coda dell'occhio una figura nota: Olympia, di passaggio di fronte al suo scompartimento. I loro occhi si incrociarono per un istante e, senza proferir parola o mostrare alcuna espressione, Albus le rivolse un cenno col capo, invitandola ad entrare. Anche allora, però, rimase in silenzio, riportando lo sguardo su quel secondo treno che a breve sarebbe passato accanto al loro, giusto un po' sotto i loro piedi. Picchiettò un dito sul finestrino, indicando la vettura babbana alla sorella, come a volerle riportare alla memoria il loro gioco. Anche ora, anche lì, in quel momento, Albus avrebbe preferito essere su quel treno piuttosto che su quello verso Hogwarts. Se vi fosse salito a bordo, anche lui avrebbe potuto spostarsi oltre quella riduttiva striscia di noti binari verso altri sconosciuti, forse più felici, lontani da una vita che gli era sempre stata stretta. Se vi fosse salito, ora come ai tempi, avrebbe lasciato che quel fischio portasse via la sua tristezza. Ma il treno, e le persone al suo interno, ora come ai tempi, continuavano a muoversi a dispetto della sua immobilità intrinseca: e questo era ciò che lo aveva sempre torturato. Ora come ai tempi.
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    Passarono alcuni istanti silenziosi, momenti durante i quali Albus negò il proprio sguardo alla sorella. Ce l'aveva con lei, sentiva di avercela con lei, forse più che con Rudy, perché Olympia era sua sorella. Non si trattava dell'essere rimasto al campo estivo: su quello non aveva colpa nessuno. Ma piuttosto si trattava del fatto che fossero tornati, lei in primis. Non riusciva a crederci: un po' perché non la trovava una mossa poi così astuta, e un po' perché ciò stava a significare che tutto era stato vano, che lui era semplicemente rimasto indietro e non poteva tenersi nemmeno la consolazione di sapere che quanto meno qualcuno di loro c'era riuscito a liberarsi da quel supplizio. A questo punto, tanto valeva rimanere. Non per me..ma forse..almeno un po'.
    Solo quando il treno babbano sferragliò vicino al loro, sparendo in pochi istanti dalla visuale del loro finestrino, solo allora Albus si decise a rivolgere lo sguardo alla sorella, piatto come un asse da stiro. "Immagino che adesso siamo noi quei passeggeri su cui inventavamo tante storie." asserì, stirando un sorriso amaro "Non l'avevo mai vista da questa prospettiva, ma in effetti non è affascinante come pensavo. La meta la sappiamo già, quello che ci aspetta lo sappiamo già. Viene quasi da chiedersi per quale" stracazzo di "motivo ci siamo saliti in primo luogo." L'unico suo accenno di espressione fu un'eloquente alzata di sopracciglio, a lasciar intendere la domanda sottintesa a quelle parole. Lasciò che una pausa si insinuasse tra loro due prima di alzare il mento come a lanciarle una sfida "Facciamo che il gioco è questo: tu provi a indovinare il mio e io provo a indovinare il tuo."
     
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    "Caro Albus." «No, decisamente non caro.» Passa una riga scura sopra a caro e ricomincia. "Ciao Albus." Annuisce, mentre si passa l'indice sotto il mento, come a voler trovare qualcosa di assolutamente intelligente da scrivere a suo fratello. Ma qualcosa d'intelligente non ce l'ha. Perché l'ha lasciato indietro. Non l'ha più visto in mezzo alla folla e si è lasciata trascinare via da Melysandre, senza opporre resistenza. King's Cross è caduta nel panico più totale, suo fratello è rimasto in mezzo al macello e lei si è lasciata semplicemente portare via. Cosa si può scrivere di intelligente di fronte ad un tradimento così palese? Intinge nuovamente la punta della penna nel calamaio e torna con la mano alla pergamena. "Sono una sorella di merda ma mi manchi tanto." Ed è vero. Albus le manca tremendamente. Le mancano i giochi stupidi che si portano dietro da quando sono piccoli, le sue semplici occhiate indecifrabili o i suoi mezzi sorrisi che l'hanno sempre fatta sentire meglio. Ci sono stati momenti della loro vita in cui sono rimasti separati a lungo: lui in riformatorio, lei in coma. Ma si sono sempre ritrovati, si sono sempre riabbracciati. Ma Olympia non è sicura che sia possibile questa volta. Conosce suo fratello, sa che non le darebbe mai la colpa se potesse dirgli la verità, eppure non è certa di poter gestire il proprio senso di colpa. Per questo gli scrive, quasi tutti i giorni. Scrive lettere su lettere, raccontandogli di come siano difficili le lezioni di incantesimi con una bacchetta che non risponde ai suoi comandi. Gli parla di Byron che è diventato il suo mentore, dei sorrisi veloci di Renton, che le ricordano tanto quelli di lui. Gli racconta di come sia strano per lei vivere in un'isola in mezzo al nulla, ma che le piace tutto quel contatto diretto con la natura. Gli dice che ne ha bisogno, che è davvero ciò di cui ha bisogno in quel momento. Gli racconta anche come sia riuscita a scendere a patti con il suo senso materno assolutamente inverso perché lì ha conosciuto un bambino adorabile che spesso le fa compagnia, senza però diventare fastidioso. E insieme a lui ha conosciuto anche un po' meglio Lizzie, la vispa bambina adottata da Teddy. Lizzie con la quale ormai è entrata talmente in sintonia da farsi persino toccare da lei, senza provare più irritazione. La stessa Lizzie con la quale adesso è tradizione pettinarsi insieme, provando a fare le trecce sempre più complesse e strutturalmente arzigogolate. Gli racconta tutte le sue giornate, ma lui non sa nulla di tutto ciò. Perché quelle lettere sono tutte accartocciate, nell'alta pila che ormai è diventato il suo cestino. Non può davvero scrivergli perché lui è al campus estivo di Kingsley e la posta viene setacciata, lettera per lettera. Non può permettersi di tradire le persone che l'hanno accolta e la cosa che più le fa male non è il saperlo lontano, ma è il dovergli mentire, costantemente. Perché gli unici momenti in cui non lo fa è quando gli scrive quelle lettere che mai riceverà. "Oggi sono riuscita a portare Lizzie e Matty a fare un bagno nel lago, ci siamo divertiti. Ne hanno bisogno, non è salutare per loro starsene sempre tra le mura del castello. Sono soltanto bambini e probabilmente saranno costretti a crescere prima del solito in questo mondo che va al contrario. Oggi ho insegnato loro il gioco dei treni. Qui non ci sono treni, perciò l'abbiamo leggermente rivisitato, usando le matricole appena arrivate. E' stato bello immaginarsi le loro storie, dipingerle più colorate e rosee di quanto sicuramente siano. E Lizzie e Matty si sono divertiti tanto. Hanno riso, hanno fatto il bagno, si sono inventati delle storie e mi hanno ricordato così tanto noi. Mi dispiace così tanto Albus, così tanto. Dovresti esserci tu, qui con me, a giocare al gioco dei treni. A giocare ancora un po', prima di guardare in faccia la realtà. Mi manchi così tanto, pur sapendo di non averne il diritto perché non è così che si comporta una sorella. Spero di poter rimediare un giorno, spero di poter migliorare un giorno. Ti penso sempre, O. La punta della penna si stacca dal foglio sbiadito, creando una macchia scura intorno al punto. L'inchiostro si dirama tra le fitte trame del foglio, come se avesse incontrato una lacrima. Guarda il foglio Olympia, con un sorriso tirato sulle labbra. Qualcuno bussa alla porta e ne riconosce subito il tocco. "Lympy. andiamo, Matty ci aspetta per le storie della buonanotte." Si volta a sorridere alla cuginetta. «Non dimenticarti la spazzola questa volta. Non posso pettinarti i capelli con le mani.» Lizzie tira fuori la spazzola da dietro la schiena, con un sorriso a trenta denti - due le sono caduti proprio lì, al castello. La rossa si alza dalla scrivania, prende la lettera che ha appena finito di scrivere, l'accartoccia e la butta nel cestino, insieme alle altre. Nel solo posto dove può essere sincera con suo fratello.


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    Tornare a King's Cross le provoca sentimenti contrastanti. Seppur non abbia veramente avuto l'ennesimo crollo dopo l'attentato, il ricordo di quel giorno l'ha tenuta sveglia per intere nottate in bianco. Non si abituerà mai la sua testa alla pressione psicologica che è conseguenza del terrore e questo non è un punto a favore della sua stabilità mentale, in tempi tanto instabili. La sua unica fortuna, in quel frangente, è avere accanto Malia e Rudy. Poter stringere forte la mano dell'amica e poter sentire la vicinanza di Rudy al suo fianco. Perché è una Grifondoro, è vero, riesce ad essere coraggiosa quando vuole, eppure non è un caso se il cappello parlante abbia preso in considerazione per lei anche la casata Serpeverde, la stessa di suo fratello. Ci sono dei filamenti di incertezza nei suoi occhi perché già sa che sta andando dritta dritta contro le fauci spalancate di un drago iracondo. Kingsley non è stupido e per quanto il suo alibi è praticamente di ferro, sa che l'uomo non cascherà nel tranello. Troppe cose che non tornano, troppe coincidenze, troppe persone che intorno a lei erano riuscite a darsele a gambe, evitando il campus. Prende un profondo respiro, mentre si trascina lungo il corridoio del treno, sorridendo un po' qua, un po' là con aria assente. Non è quegli sguardi che stanno cercando i suoi occhi smeraldini. No, stanno cercando i suoi occhi, così affini ai suoi, così in simbiosi con i suoi. Fino all'inizio dell'estate, perlomeno. Albus è stato per lei l'ancora di salvezza, specialmente dopo l'incident e lei è stata per lui la spalla sulla quale poter tornare, sempre. Eppure non è più tanto sicura di quale potrebbe essere il suo ruolo, ora, al suo fianco. Continua a vagare, guardando di tanto in tanto dentro gli scompartimenti. Sono tutti mezzi pieni e questo non fa altro che accrescere la tensione che si sta accumulando in fondo al suo stomaco. Ma poi trova quello quasi deserto, ad eccezione sua. I loro sguardi si incontrano e il senso di colpa che pensava di essersi lasciata alle spalle le ripiomba addosso, senza avvertirla. La sua personale spada di Damocle. Lui le fa cenno di entrare e lei non se lo fa dire due volte, provando ad abbozzare un sorriso, mentre entra nello scompartimento. «Ciao Al..» "Come stai?" Davvero Olympia? Davvero? Come vuoi che stia? Che cazzo di domande vorresti fare? Si morde la lingua, mentre si siede davanti a lui e il abitacolo piomba in un silenzio cupo, smorzato soltanto dal fischio di un treno babbano. La rossa si sporge verso il finestrino, per poterlo osservare nella sua corsa al fianco dell'Espresso. Non si accorge subito dello sguardo algido del fratello, forse perché, inconsciamente, non lo vuole vedere. Non vuole credere che sia per lei. Perché le fa male, pur sapendo di non poterselo permettere. Perché sapeva come sarebbe andata a finire e ci si era anche preparata psicologicamente, ma è peggio di quanto si sia aspettata. "Immagino che adesso siamo noi quei passeggeri su cui inventavamo tante storie." Per qualche istante Olympia si aliena, nel cercare di uscire dal proprio corpo, per osservare quella scena dal di fuori. Che storia avrebbe inventato la piccola Olympia nel guardarli? Li avrebbe presi per due amici che hanno litigato. Con lei che cerca disperatamente un punto di contatto e lui che la guarda con sguardo apatico. O forse li avrebbe visti come due fidanzati che stanno per lasciarsi. E' triste farlo in un treno in corso, ma è anche più facile. La velocità del treno rende le cose più immediate, come lo strappare un cerotto da una ferita ancora aperta. Uno strappo e via la paura. "Non l'avevo mai vista da questa prospettiva, ma in effetti non è affascinante come pensavo. La meta la sappiamo già, quello che ci aspetta lo sappiamo già. Viene quasi da chiedersi per quale motivo ci siamo saliti in primo luogo." Stringe le labbra, la rossa, capendo già dove vuole andare a parare il fratello. Il suo sguardo va soffermandosi intorno a sé, mentre si domanda se vi sono cimici lì. Chissà se Kingsley è arrivato a tanto, pur di arraffare i traditori. "Facciamo che il gioco è questo: tu provi a indovinare il mio e io provo a indovinare il tuo." Bingo! Si morde il labbro inferiore, mentre appoggia le spalle allo schienale. La freddezza che scorre fra di loro è palpabile. Si preparano a combattere per una guerra che non è nemmeno la loro. Dovrebbero essere entrambi dalla stessa parte, eppure si ritrovano ad essere su fronti opposti, in quel frangente. Non vuole mentirgli, ma non può nemmeno raccontargli tutto. Il tatuaggio che ha sul polso glielo impedirebbe comunque. Perciò comincia con la sua parte di storia, passandosi la lingua sull'arcata superiore, come a voler indicare la sua indecisione riguardo ciò che racconterà. «Perché sei qui?» Domanda retoricamente. «La forza dell'abitudine? O forse il campus era davvero bello come Kinglsey è andato a raccontare in giro.» Comincia, non essendo sicura della propria risposta, che forse è più una frecciatina involontaria che il suo vero pensiero a riguardo. Scrolla i capelli, con un sorriso cordiale a dipingerle il volto. «Perché tu sei quello che va avanti, contro ogni aspettativa, continui ad avanzare, non ti fermi, qualsiasi sia la motivazione che fa muore i tuoi passi. E' per questo che sei qui. In fondo dovrai pur diplomarti.» Perché ti ho lasciato indietro, ma continui ad andare avanti, da solo. «E io perché sono qui, Al? Illuminami.»
     
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    « Dove sono eh? Cazzone di un Potter! » Erano andati così per quasi un mese, forse addirittura di più. A dirla tutta ha perso la cognizione del tempo in quella cella, sperduta ai margini del mondo. Come ci era arrivato non lo sapeva di preciso. Si stava divertendo con una tipa niente male, e poi bum il buio. La prossima cosa che ricorda sono gli Inquisitori che lo picchiano a sangue per farsi dire dove sono spariti i suoi famigliari. Morale della favola? Licenza ritirata, un bel po' di guaio penali e un mandato di ricerca. Doveva ammettere di essere piuttosto deluso. Era talmente poco importante, che la sua foto non era nemmeno finita in prima pagina, tipo quella di Sirius Black o di suo padre. No no, James Sirius Potter era sempre rintanato nell'ordinario. E' sempre stato così, sin da quando era piccolo. C'era la sua piccola sorellina che era la principessa di casa, Albus che era quello speciale, Teddy la gnocca psicolabile, e poi c'era James. James che non era un metamorfomagus, non faceva spuntare i fiorellini da qualche vasetto miracoloso e soprattutto non si interessava di politica. James e le battute inopportune, James che gioca col cibo per far ridere Olympia beccandosi del maiale sia da Teddy che da quello scemo di suo fratello. Uno spirito dell'umorismo insuperabile e zero problemi. Ma a volte anche non avere affatto problemi, significa averne tanto quanto gli altri. E se non li hai, arriva il momento in cui prima o poi te li becchi vuoi non vuoi. Era stato preso di mira pur non avendo contatto con nessuno di loro da sin troppo tempo. All'idea di sapere Albus, la sua piccola Olympia e Rudy lì dentro, così come Maelys e tutto il resto della schiera, gli faceva ribollire il sangue, tant'è che più di una volta si era convinto di abbandonare quel posto del cazzo. Gli Auror erano dei mollaccioni; ormai tutto ciò che gli facevano fare era compilare scartoffie o far scendere qualche gatto di una vecchia signora dall'albero. Il pompiere paura non ne ha, proprio, e addio dignità dell'Auror. Suo padre gli aveva detto più di una volta di mantenere un basso profilo, di smettere di fare il cazzo. Sì, Harry Potter gli aveva proprio detto figliolo smettila di fare il testa di cazzo, probabilmente esasperato dal fatto che, piuttosto che starsene al suo posto, il più grande dei Potter continuava ad azzuffarsi nei bar, provocare pezzi grossi al Ministero e via così. E quindi era finito in uno scantinato, torturato fino allo sfinimento da un gruppo di teste di minchia di prima categoria che avevano l'intelletto di un orango. E detta da James era tutto dire. Non aveva aperto bocca se non per insultarli e sputare loro in faccia tutto il sangue che s'impastava nella sua bocca, ogni qual volta lo pestassero fino a svenire. Il Ministero è questo, e lui, nella trappola delle coroncine d'alloro ci era caduto in pieno. Quando aveva deciso di prendere quella strada aveva poco più di diciassette anni, un curriculum non brillante, ma sufficiente per farlo entrare nelle schiere degli Auror quasi per miracolo e tanti sogni. S'immaginava già il momento in cui avrebbe fatto la sua prima cattura finendo sulle prime pagine. Avrebbe riso in faccia ad Albus per averlo preso per il culo così tanto, visto che nell'immaginario di quello scemo, lui al massimo poteva essere compagnone di Donovan su una scopa e tutte le donne gli sarebbero cadute ai piedi - più di quanto non succedesse già. Seppur maiale, tra i tre quattro, James era la personalità più pulita. Zero peli sulla lingua, a meno che.. hehe e una personalità estremamente carismatica. Il giullare di casa, quello che vuoi non vuoi faceva ridere tutti. James è quello normale, quello senza problemi, quello tutto d'un pezzo. Il bonaccione irresponsabile senza prospettive. Lo rimane anche in quella cella. Non si mostra. Non batte ciglio. D'altronde se a qualcosa è servito il suo essere cazzone, è proprio a farsi un sacco di amici. Si è sempre fatto voler bene, James. Sempre in compagnia di reietti e gente poco raccomandabile. Sua nonna gli diceva sempre che prima o poi uno di loro lo avrebbe accoltellato. E ne faceva un dramma quando tornava a casa con la testa spaccata, ridendo come un deficiente. Tu mi farai morire! Ebbasta ora, cretino. GINNY!!! QUESTO QUA AVRA' 10 ANNI FINCHE' CREPA. E a giudicare da come si riduce succederà pure presto. E lo prendeva pure lei a schiaffi. Ma guarda nonna Molly chi l'ha salvato alla fine da una morte di merda? Guarda chi si è preoccupato delle sorti di James Sirius Potter? Proprio i ciarlatani che dicevi stessero per ucciderlo. L'avevano fatto evadere una sera sul tardi; nello scontro la sua ragazza è morta. Faceva parte della banda; un gruppo di sciacalli di prima categoria che si davano da fare da un bel po' saccheggiando le case di chiunque fosse crepato male. Roba seria, con tanto di uniformi cattivissime. Una banda di motociclisti in piena regola. James aveva fatto un favore al loro capo un po' di tempo prima, chiudendo un occhio su uno scambio di pozioni con dei tipi cinesi. D'altronde non entrava nelle sue prerogative arrestarlo, no? Lui doveva solo compilare scartoffie. Mettici pure che la sorella era innamorata pazza di lui, e nemmeno lei stava poi molto indifferente a James, e abbiamo un bingo. Se Hugo non fosse andato a salvare James, la donzella in difficoltà, chi avrebbe avuto le palle e i timpani per ascoltare Coraline? Coraline è morta. E anche un pezzo di James è morto. E' un po' morta anche Londra mentre si era assentato. E' morta tanta gente; i necrologi sono un incubo da guardare e da leggere.
    A Godric's non poteva tornare, a casa sua nemmeno, e così è finito a fare il barbone a Grimmauld Place. Che poi quella casa è più sua che di Teddy, quindi ecco, rompi poco le palle Lupin! E così è venuto a contatto con la redazione e con quei suoi amichetti nerd. Strani tipi, ma tutto sommato simpatici. E poi vai a contestarli quando hanno creato persino un giardino zen dove coltivano l'erba. Insomma, la gnocca psicolabile e maiale si trovano di nuovo sotto lo stesso tetto. Ogni tanto ci ha visto bazzicare anche Lucas. Quei due non gliela raccontavano giusta. Però cugino caro, gnocca gnocca, però sempre psicolabile resta! Non si sa come e perché, ma in seguito a tutta questa Odissea, il genio del male si rimette al lavoro. Si rimette a fare ciò che meglio sa fare. Il cazzone. Sì insomma, dopo esser giaciuto per qualcosa come due settimane a letto, dopo aver pianto la morte di Coraline, dopo averla seppellita e dopo essersi fatto curare da quella infermiera carinissima amica della gnocca psicolabile - non necessariamente in questo ordine - James Sirius Potter decide che sa qual è il suo obiettivo nella vita. Rompere le palle. D'altronde è quello che ha sempre saputo fare. Che si trattasse di rompere le uova nel paniere ad Albus o di scompigliare i capelli a Limpy proprio quando aveva ottenuto l'acconciatura perfetta, James era un maestro della rottura di coglioni. Quel frantumare le palle agli altri a tal punto da desiderare di strapparsele a mani nude, senza l'ausilio di nessuno strumento che non fossero i propri leggiadri polpastrelli. E così, eccolo mentre chiama Hugo e gli dice che ha bisogno di lui, ecco Hugo che vuoi non vuoi gli dice che va bene, ma che in cambio James dovrà vendergli il culo - non letteralmente - per almeno qualche mese. Eccolo mentre studia il piano. Non un piano, ma IL PIANO. Eccolo mentre lo spiega a Teddy e ai suoi amici nerd con tanto di occhioni sbrillucicanti. Un genio del male. Tutti annuiscono con fare convinti e a lui sembra che abbia appena scoperto le origini del male. « Allora? » « Boh, io mi chiedo come hai fatto ad arrivare a vent'anni con la testa ancora sulle spalle. » La gnocca psicolabile colpisce ancora. « TU VIAGGIAVI SU UN FOTTUTO FURGONE DEI NIRVANA! » Dice accartocciando tutto il complicato disegno buttandoglielo appresso. « Ti scriverò un bel necrologio. » Fottuta frigida!

    Finalmente gliel'hanno dato quel fottuto giubbotto. Questo significa che è uno di loro? No. Significa che ci sta quasi? No. E allora vaffanculo Hugo, ce lo fai pure credere. Sei moto volanti; su ognuna fissata una piccola cassa incantata. Le hanno pure provate nel garage di Hugo. Non è stata una gran bell'idea, visto che hanno spaccato i timpani a tutti i presenti. Dovevano bastare per mandare il messaggio. Tutto era cominciato una cosa ben precisa: la radio non era arrivata al campo estivo attraverso i canali ufficiali; solo chi avesse qualche radiolina era stato in grado di sentire la meravigliosa, spaccapalle, voce di Theodore Lupin mandare il messaggio della speranza. E qui entrano in gioco James, Hugo, e i loro quattro compari di bevute. Certo, James poteva anche non farlo in prima persona, ma aveva i suoi personali interessi. D'altronde, a prescindere da quanto si facesse corteggiare, Hugo non vedeva l'ora di ficcarla in quel posto a quelli dell'Inquisizione. E poi mi sta sul cazzo quella fighetta di Kingsley. Hai mai visto un finocchio più grande? Erano scoppiati tutti a ridere di fronte a quell'affermazione e James aveva alzato il suo boccale di birra in onore delle grandi parole del maestro, il sommo saggio delle Harleys volanti, Hugo Messina. Sapeva James, da anni e anni di racconti pallosi di suo padre, che il tragitto da Londra e fino in Scozia, era l'unico punto sensibile in cui avrebbero potuto raggiungere gli studenti. Lui e suo zio Ron avevano frantumato loro le palle fino all'esaurimento con quella storia della macchina volante rubata. Che poi suo padre e suo zio fossero due coglioni e non ce l'avevano fatta a salire sul treno comunque, quello era un altro paio di maniche. Certo è che, il treno era stato soggetto a parecchi attacchi. Ma no, che cosa avete capito? James e i suoi vengono in pace. Con quei passamontagna direste mai che hanno cattive intenzioni? Certo che no!
    Dopo un po' di svolazzare a cazzo di cane, corse e il tirarsi birre appresso, eccolo. L'Espresso di Hogwarts. Madonna che ricordi! Adesso piange! Adesso piange. Qui ha baciato la sua prima ragazza, si è fatto la sua prima ragazza, si è fatto le sue prime due ragazze e quello scemo di Albus l'ha interrotto per sbaglio sul più bello ed è sempre qui che Albus se l'è prese parecchio male per quell'errore. Essù! Quante volte ti capita nella vita una cosa a tre su un treno? Chiunque l'avrebbe menato. "Ma no! Ormai è tardi. Sembra che l'unico che stia facendo uno sforzo per evitare che io ti meni sono sempre io. La stessa persona che prima o poi ti menerà.. ma lo capisci!" Abbiamo solo tre parole per questo. Testa. Di. Cazzo. Ma gli voleva bene a quello scemo così come ne voleva a Olympia. Troppo bene forse per il suo stesso bene. « Potter! Mi raccomando. Al punto di raccolta entro le 5, altrimenti ce ne andiamo senza di te. » Lui alza il pollice e resta in coda agli altri. Costeggiano il treno facendo partire gli altoparlanti. Should I Stay or Should i Go, parte riempiendo tutta la verdeggiante vale che stanno attraversando. Piccole testoline si affacciano dalle finestre, mentre i cinque cavalieri fanno scorrere all'interno dei vagoni delle minuscole sfere che diffondono a volume molto più basso lo stesso programma radiofonico che urla negli altoparlanti. I lampi rossi e verdi iniziano a sfrecciare nell'aria. Gli Inquisitori cercando di scacciarli, bestemmiando e urlando incantesimi e controincantesimi. Billie si accosta sempre di più al treno, fino a permettere a James di scavalcare la moto e saltare sul treno. « E' il caso di indossarla a questo punto. » Oh giusto. Il gran piano malefico di James. Quello che non sarebbe mai funzionato. Si toglie lo zaino, ben attento a non cadere dal treno in movimento e si posa sulle spalle il mantello. Non un mantello qualunque, ma il mantello dell'invisibilità. « Ti conviene toglierti quella roba dalla faccia. Li spaventerai a morte. » Lo spero proprio. Scoppia a ridere come un folle preso in pieno dall'euforia del momento e infine, si tira su il mantello sin sopra la testa. Di mantelli più lunghi non ne fanno eh? Mentre sale sull'ultima carrozza, è costretto a camminare ingobbito. Evitare gli Inquisitori che pattugliano il treno non è facile. Ora poi, che hanno attirato così l'attenzione di tutti, saranno in paranoia. Fare le cose di soppiatto e attirare l'attenzione su di sé non sono due cose che vanno d'accordo. Più di una volta rischia di andare a sbattere contro qualcuno di indesiderato, ma una volta, superato la loro carrozza privata, così come quella dei privilegiati figliocci di papà del cazzo - e la madonna la Carrow si è fatta davvero gnocca! - il passaggio è più agevole. Cammina lungo i corridoi, osservando i passeggeri di ogni carrozza, di ogni scompartimento. Li cerca. Se sono divisi, avrà davvero poco tempo con ognuno di loro.
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    Alla fine, è quella massa di capelli rossi ad attirare la sua attenzione. Accanto lo scemo muso lungo. Apre lo scompartimento, fregandosene di quanto strano possa risultare, lo richiude a chiave e tira quelle orribili tendine. Attende. Resta fermo per un po' e li fissa, pur essendo consapevole che non possano vederlo. Ok basta suspence si è rosso le palle pure lui. Vuole abbracciare la sua stramba preferita e prendere per il culo lo scemo. Il mantello cadde a terra. « Nessuno si muova! Questa è una rapina. » Mani a mo di pistola rivolta verso entrambi. E poi scoppia a ridere. Qui giace l'intelligenza dell'essere umana, morta in vano, uccisa per mano di James Sirius Potter. « Soprattutto tu scemo. » E dicendo ciò, si toglie il passamontagna e atterra delicatamente accanto alla sorella, portandogli una mano attorno alle spalle, stampandole un bacio sui capelli. « Cristo se mi sei mancata. » James! Ma allora sei un tenerone! Sembra quasi sollevato nel vederla sana e salva. Intera. « Albus Severus Potter. » Lo sguardo è serio mentre si rivolge al fratello. Uno di quei momenti alla io credo in te. Hai i nomi di due grandi presidi di Hogwarts. Sei destinato a grandi cose. « Fammi vedere le treccine che ti sei fatto fare al campo estivo, dai. » No comment. Davvero.


     
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    "Fui sopraffatto dalla consapevolezza del patetico destino dell'uomo, del terribile significato della sua presenza. Il deserto era lì come un bianco animale paziente, in attesa che gli uomini morissero e le civiltà vacillassero come fiammelle, prima di spegnersi del tutto. Intuii allora il coraggio dell'umanità e fui contento di farne parte." Alzò entrambe le sopracciglia, stirando un braccio fin dietro alla testa per appoggiarvisi contro, e rivolgendo lo sguardo al soffitto come se stesse pensando a qualcosa di decisamente importante. "Roba forte." Non aveva mai letto John Fante, ma Neal diceva che se gli piacevano Kerouac e Salinger non poteva non piacergli anche Fante. E Neal se ne intendeva, quindi non aveva poi tante ragioni di contraddirlo. Che fosse roba forte sul serio, non lo poteva negare. "Tutto qui? Roba forte?" "Sì, roba forte. Cioè, mi piace, lo leggerò, anche se non condivido la riflessione finale, ma sarà che io nel deserto non ci sono mai stato." Ridacchiò tra sé e sé, inarcando la schiena come un gatto mentre si stirava contro la libreria. Lì al riformatorio ci stava ben poco da fare, e per la maggiore Albus si limitava a passare i pomeriggi in biblioteca con Neal, scambiandosi libri e impressioni su di essi. Avevano lo stesso strizzacervelli, e forse era anche per quello che avevano legato così tanto; l'uomo aveva visto l'intesa e gli aveva consigliato di mettere su un club del libro a cui potessero partecipare anche gli altri ragazzi, ma alla fine non aveva potuto che accettare l'evidenza quando i due gli avevano fatto velatamente notare che i loro compagni avevano a malapena la terza elementare. "Bah, io non ti capirò mai. Dove vorrai arrivare nella vita con questo atteggiamento oltranzista proprio non lo so." Ci pensò un attimo, come se avesse preso quella domanda implicita come piuttosto lecita invece che retorica. Alla fine, dunque, rispose, puntando il dito di fronte a sé "Lì." Lì, dove su uno scaffale capeggiava la lettera P a caratteri cubitali..e la libreria con i grossi nomi degli scaffali, il vecchio Dreiser, il vecchio Mencken, tutta la banda riunita che Albus andava costantemente a riverire. Salve Dreiser, ehi Mencken, ciao a tutti, c'è un posto anche per me nel settore della P, P come Potter, stringetevi un po', fate posto ad Albus Potter. Ogni tanto Al, quando entrava in una biblioteca, si sedeva al tavolo e guardava il punto in cui forse un giorno avrebbero messo un suo libro, proprio là, vicino a un sacco di autori sconosciuti perché erano in pochi con la P a fare successo; ma ci sarebbe stato lui a tenere alto l'onore della P, il vecchio Albus Potter, uno della banda.
    "E su cosa scriverai? Non mi sembri proprio il tipo da galoppare con la fantasia, Al." soggiunse Neal, alzando un sopracciglio con aria spavalda. No, Al non era fantasioso; da piccolo, forse. Il pensiero volò immediatamente al gioco dei treni, come se volesse portarlo a prova del fatto che di fantasia ne aveva eccome, solo per poi ricordarsi che in effetti lui, a quel gioco, non era mai stato poi così bravo: era Olympia quella a portarlo avanti con più dettagli, tessendo le trame di storie che ad Albus non sarebbero mai passate nemmeno per l'anticamera del cervello. Tutto ciò che lui faceva era aggiungere qualcosa, come un pizzico di sale che andava a completare il piatto: il suo era forse il tassello che meglio si ancorava alla realtà, quella banale e priva di alcun interesse, ma pur sempre necessaria. Si strinse dunque nelle spalle, noncurante. "E allora vorrà dire che non mi inventerò niente. Scriverò qualcosa di onesto." Eccolo. L'Ernest Hemingway della nostra generazione, inchinatevi tutti al suo cospetto. "Le avventure di Albus Potter. Già me lo immagino: un pizzico de Il Giovane Holden qui, uno di Siddharta qua, un po' di Berlin Alexanderplatz ogni tanto. Potrebbe funzionare." Sorrise, Albus, forse un po' amaramente rispetto al tenore del discorso, abbassando appena lo sguardo sui lacci che pendevano dal collo della sua felpa grigia, uguale a quella di tutti gli altri ospiti del riformatorio. "Già..immagino di essere abbastanza prevedibile, in fin dei conti." Nonostante Neal avesse inteso le proprie parole come un semplice scherzo, o addirittura come velati complimenti celati dall'ironia, in Albus innescarono una reazione diversa. Non ho poi nulla di così originale, nessuna prospettiva unica da fornire al mondo, nessuna nota aggiuntiva che possa cambiare le carte in tavola. Sono un rimescolamento di ciò che c'è già stato, di gente più brava, più riflessiva, più originale, più intelligente. E' come se volessi dare qualcosa, ma non avessi effettivamente un cazzo da offrire a nessuno; te la voglio dare, mondo, questa cosa che sento dentro, ma non so cosa sia e probabilmente non è nemmeno così speciale come sembra a me. Probabilmente ce l'hanno un po' tutti quanti, e io sono solo un presuntuoso del cazzo che si sente di saperne una in più. A chi cazzo gliene frega di come Albus Potter vede il mondo? O di quello che fa? In fin dei conti, tutto ciò che un Potter potesse fare è già stato fatto: ho perso il confronto in partenza.

    Albus era davvero un tipo presuntuoso? Sì, lo era eccome, sebbene coprisse quella parte di sé con il suo male di vivere e l'innata capacità di buttarsi merda addosso da solo. Albus era cosciente di avere più difetti che pregi, di essere una persona difficile da mandare giù, ma nonostante ciò sembrava incapace di fare a meno di sentirsi sempre un po' migliore rispetto al prossimo. Che poi ci si sentiva pure in colpa, perché sapeva di essere solo un disadattato del cazzo con il talento di sputtanarsi la vita da solo. Però era così, era più forte di lui. 'Le nostre opinioni sono ugualmente valide, ma la mia è meno scema' sembrava essere la frase ad affiorare più spesso nella sua mente. C'era poco da stupirsi se aveva più disagi che amici. La sua famiglia, poi, se lo doveva tenere perché mica lo poteva buttare così in mezzo a una strada e far finta che non fosse mai nato: ci stavano i certificati, c'era gente che lo aveva visto..altrimenti sarebbe stato pure fattibile e lecito, non li avrebbe biasimati. Tipo i cani in mezzo all'autostrada, ecco.
    "Perché sei qui? La forza dell'abitudine? O forse il campus era davvero bello come Kinglsey è andato a raccontare in giro." soppresse una risata sarcastica, alzando entrambe le sopracciglia verso un punto indefinito fuori dal finestrino. Bello lo sarebbe stato pure, se solo non fossi stato l'unico stronzo della famiglia ad esserci rimasto. Ah no, ci stava pure Tallulah, ma quella sta messa peggio di me, figuriamoci. "Perché tu sei quello che va avanti, contro ogni aspettativa, continui ad avanzare, non ti fermi, qualsiasi sia la motivazione che fa muore i tuoi passi. E' per questo che sei qui. In fondo dovrai pur diplomarti." Inerzia. L'unica e sola ragione di movimento per uno come Albus. "Ci sei andata vicina." Sempre detto che la fantasiosa tra i due sei tu. "Io sarei andato sul semplice: non avevo altra scelta." asserì, stringendosi nelle spalle con una nota di ironia nei movimenti. Sì, la situazione era semplice proprio come Albus l'aveva messa; non essendo riuscito ad evadere durante l'attentato, farlo nella strada del ritorno dal campus sarebbe stata una missione impossibile se non addirittura suicida. Albus su quel treno ci era salito perché non poteva fare altrimenti, perché nessun inquisitore gli era venuto lì a fare 'ehi, non è che magari preferisci raggiungere la tua famiglia? Andartene affanculo?' Che gli piacesse o meno, ad Hogwarts ci doveva tornare per forza di cose, e in fin dei conti era proprio quello l'obbiettivo di quel fottutissimo campo estivo, no? "E io perché sono qui, Al? Illuminami." Assottigliò per qualche secondo lo sguardo, come se stesse cercando di pensare alla ragione più sensata che avrebbe potuto smuovere una persona sana di mente a tornare lì, per giunta con la certezza di dover affrontare solo pericoli e pressioni psicologiche. "Sindrome di Stoccolma?" fu la sua prima risposta, palesemente sarcastica. No, Albus sapeva esattamente cosa volesse dire, e sapeva anche che a sua sorella non sarebbe piaciuto; era un punto vivo per tutti, nella loro famiglia, e il Serpeverde era piuttosto noto per essere quello che non si faceva alcun problema nell'affondare il dito nella piaga e rigirarlo. Tu sei qui perché sei una Potter, ci sei cresciuta nel paragone con nostro padre, come tutti noi d'altronde. Ci sei cresciuta con l'idea che, in ogni caso, non saresti mai stata abbastanza, esattamente come tutti noi. E allora sei qui perché è quello che lui avrebbe fatto, perché probabilmente è anche quello che lo renderebbe più orgoglioso. Da qualche parte, l'approvazione, la cercheremo sempre in lui, noi Potter. Faremo sempre le cose più stupide per non sentirci da meno - chi in un modo e chi in un altro. Tu devi, e forse vuoi, raccogliere l'eredità di un cognome che nessuno di noi ha scelto e nessuno di noi probabilmente sceglierebbe. La differenza è che lui, le azioni avventate, quelle tra il coraggio e la stupidità, se le poteva permettere perché ci stava una profezia di mezzo; dove sta la nostra profezia? Di sicuro non è qui a pararci il culo. Noi non siamo i prescelti, ma saremo sempre i figli del prescelto.
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    Stava per aprire bocca e riversare tutte quelle esatte parole a Olympia, ma le sue labbra fecero giusto a tempo ad emettere un "Tu.." prima che il suo discorso venisse smorzato da uno squillante "Nessuno si muova! Questa è una rapina." ..e dall'ultima faccia che Albus si sarebbe aspettato di vedere su quel treno. Il viso del ragazzo passò velocemente dallo stupore, alla negazione e poi subito a un ironico sconforto, che lo vide portarsi la mano alla fronte. "Soprattutto tu scemo." In quella precisa situazione non avrebbe saputo se ringraziarlo o ucciderlo..forse entrambe le cose erano la scelta migliore. "Albus Severus Potter." risollevò lo sguardo, fissandolo con un sopracciglio alzato come a dire 'Eh? Dai, dilla sta cazzata, lo so che stai per dire una cazzata' "Fammi vedere le treccine che ti sei fatto fare al campo estivo, dai." Appunto. Puntuale come un orologio svizzero. Roteò vigorosamente gli occhi, incrociando le braccia al petto. "Magari te le faccio vedere dopo in privato. Si trovano in parti un po' intime, e non vorrei scandalizzare Olympia, sai." asserì, con un sorrisino sornione sulle labbra. Sebbene non lo dimostrasse affatto, era felice di rivedere suo fratello, ma in quel momento era più concentrato sul chiedersi per quale motivo entrambi i suo famigliari provassero il bruciante desiderio di essere messi alla gogna. "Comunque, te lo devo dire: tempismo perfetto, James. Stavamo giusto parlando di brillanti idee quando sei comparso tu. Un segno del destino, sicuramente." Si schiarì la voce, raddrizzandosi meglio sul sedile. "Allora allora, cosa abbiamo?" Rivolse l'indice a Olympia "Quella che vuole farsi spellare viva da Kingsley." Spostò l'indice verso James "Quello che vuole farsi arrestare." E infine lo riportò a sé "E quello che sta seriamente considerando l'idea di buttarsi dal finestrino del treno in corsa." Un ottimo inizio. "Da quale cominciamo?"
     
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    Deve essere una prerogativa di ogni Potter che si rispetti quella di fare qualcosa di molto, molto stupido, sempre e comunque. Suo padre, se non fosse stato anche grazie ai colpi di genio che trovava in fondo agli attimi di stupidità pura che l'hanno sempre animato, oltre al prezioso aiuto di zia Hermione e zio Ron, probabilmente sarebbe passato a miglior vita nel giro di pochi anni, non riuscendo ad uscire nemmeno dalla pubertà. E James, Albus e Olympia non avrebbero mai visto la luce. Suo fratello maggiore, James, nel fare cose stupide - emozionanti, ma decisamente stupide - e nel vivere la vita al massimo ci sguazza da sempre. Lei ha deciso di tornare ad Hogwarts dove l'aspetta il suo Dissennatore personale. Mossa decisamente stupida. Anche Albus, pur cadendo nel suo pessimismo cosmico, fa cazzate su cazzate, tanto da esserci finito pure in riformatorio. Sembra essere il loro marchio di fabbrica: se non fai cose stupide, non sei un vero Potter. Se non sei stupido, non ti ci vogliamo. Però, nel fronteggiarsi con Albus, Olympia capisce di essere l'unica stupida in quello scompartimento. Albus è costretto ad essere lì, non poteva fare altrimenti che tornare. Lei, invece, ci è tornata deliberatamente, sapendo come sarebbe stata additata dal fratello. Nulla di nuovo, insomma, seppur l'atteggiamento di Albus riesce a provocarle un fastidioso prurito. "Ci sei andata vicina. Io sarei andato sul semplice: non avevo altra scelta." Storce le labbra, in un sorriso dalle sfumature fredde come il ghiaccio. «Peccato, nella mia storia perlomeno eri meno rassegnato al tuo destino già scritto da qualcun'altro, di fronte al quale "non avevi scelta" Sospira, virgolettando le sue stesse parole con l'ausilio delle dita. Sa quanto il peso del proprio cognome gravi sulle loro teste, da quando sono nati. A quello non posso di certo sfuggire, se non cambiando cognome, eppure Olympia ha sempre creduto di poter far qualcosa per cercare di non essere additata come la figlia del prescelto. Molte volte, durante quei due mesi tra i Ribelli, si è ritrovata a pensare di star facendo effettivamente il semplice gioco di suo padre. Un Potter deve sempre schierarsi, per provare ad ergersi contro l'oppressore, il nemico. Lei è stata mandata lì proprio per quello, in fondo. Per stare al sicuro, sì, ma al tempo stesso per prendere una posizione. Si è spesso domandata se effettivamente era soltanto l'ennesima tattica quella: mandare la propria figlia, la più piccola, per mandare un segnale. Non sa se veramente fosse quello l'intento di suo padre, in fondo la rossa non l'ha mai visto come l'uomo presuntuoso e ambizioso che è stato dipinto da molti. Eppure, con il tempo, Olympia ha trovato la sua dimensione, il suo piccolo perché all'interno del QG e alla fine è arrivata alla conclusione di essere stata mandata lì a forza, certo, ma di essere rimasta per se stessa e non per un obbligo morale o una costrizione di terzi. Lei è rimasta perché ha visto il buono in quella causa suicida. "Sindrome di Stoccolma?" Scoppia a ridere di fronte al palese sarcasmo di suo fratello. Una frecciatina? Senza dubbio, ma è soltanto un'altra delle qualità di ogni Potter alla quale Olympia è ormai abituata. «Acquazzone. Avrò qualche problema di testa tanto da poter quasi apprezzare una dinamica tanto disfunzionale, è vero, ma te sei decisamente fuori strada» commenta, accavallando le gambe, per poi mettersi più comoda. «Sindrome di San Giorgio credo descriva meglio la situazione.» Fa spallucce, con un sorriso stirato malamente sulle labbra. Fargli capire qualcosa senza dirgli effettivamente nulla è un'impresa difficile, ma suo fratello non è stupido. Gli ha sempre detto che sarebbe dovuto capitare tra i Corvonero in fondo. «A dire la verità, preferirei essere ricordata come Giovanna D'Arco. Tienilo a mente.» Ed eccola qui, Olympia Lynx Potter che si ritrova a dare consigli ad Albus riguardo il proprio necrologio funebre. Quello che spera suo fratello possa scrivere, in caso le cose si mettano male, perché vorrebbe dire che perlomeno lui è ancora vivo. In fondo, quella è una missione kamikaze. Tornare nella tana del lupo nelle vesti di un tenero agnellino, dalle ossa scrocchianti e la carne prelibata. Il rimetterci l'osso del collo è stata la prima opzione valutata da Olympia, appena dopo essersi fatta tatuata il simbolo sul polso da Byron. Un casino assordante la costringe a voltarsi verso il finestrino. Qualcuno ha messo a palla "Should I stay or should I go". « Nessuno si muova! Questa è una rapina. » Si gira di scatto, rivelando quanto i suoi nervi siano ancora terribilmente scoperti quando si tratta di essere colta di sorpresa. « Soprattutto tu scemo. » Il ragazzo si toglie il passamontagna, rivelando la faccia da scemo di suo fratello James. « Cristo se mi sei mancata. » Gli sorride, scrollando la testa, mentre lui le si siede a fianco, stringendola a sé. «Fai parte della Squadra Suprema pure te ora?» Sa benissimo che non fa parte dello staff che Kingsley si è fatto mandare per proteggere il suo piccolo gregge, ma non perde mai l'occasione di punzecchiarlo, in qualche modo. Probabilmente la cosa che più gli è mancata di lui, in quei mesi di latitanza di entrambi. "Magari te le faccio vedere dopo in privato. Si trovano in parti un po' intime, e non vorrei scandalizzare Olympia, sai." Si volta a guardare il fratello di mezzo, con un sorriso ambiguo sulle labbra. «Oh no ti prego, non trattenere i tuoi bisogni esibizionistici per me, Albus. Sono cresciuta molto in questa estate, posso reggere una simile visione.» Niente che non abbia già visto quando eravamo piccoli, comunque. Crescere con due fratelli maschi implica anche questo: scandalizzarsi di nulla ed essere pronta a tutto. "Comunque, te lo devo dire: tempismo perfetto, James. Stavamo giusto parlando di brillanti idee quando sei comparso tu. Un segno del destino, sicuramente." Scuote la testa, fingendo di sbuffare, mentre il senso di colpa sembra tramutare in un senso di contentezza generale. I tre Potter riuniti finalmente tutti insieme sull'Espresso per Hogwarts. Una scena di vita quotidiana della quale ha cominciato a sentir la mancanza da quando James si è diplomato. "Allora allora, cosa abbiamo? Quella che vuole farsi spellare viva da Kingsley. Quello che vuole farsi arrestare. E quello che sta seriamente considerando l'idea di buttarsi dal finestrino del treno in corsa." Rotea gli occhi di fronte all'ennesima prova del pessimismo che anima Albus. Di fronte a lui, perfino le sua sfiganza impallidisce silenziosamente. «La Santissima Trinità al completo.» Commenta, appoggiandosi alla spalla di James con la testa. Il suo obiettivo è quello di schivare tutte le mini vaganti e non diventare mai il soggetto della discussione. «Albus mi stava illustrando quanto fosse minimo il margine che implica la sua espressa volontà nella scelta di tornare ad Hogwarts.» Spiega al maggiore, con una leggera scrollata del capo. «Direi di giocare a chi va più vicino alla motivazione che invece ha spinto te a fare una cosa tanto cretina per salire sul treno.» Risolleva la testa per guardarlo in faccia. «Nostalgia dei vecchi tempi d'oro?» Alza lievemente il sopracciglio destro, mentre si cala nelle vesti del terzo fratello maschio. Perché in fondo avrebbe voluto tanto nascere maschio, ma questa è un'altra storia. «Era più semplice rimorchiare tra i banchi di scuola, non è così?»


    Edited by survivor` - 25/8/2017, 13:18
     
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    Era come ai vecchi tempi, solo che non lo era affatto. Seppur così diversi, James, Albus e Olympia erano un tutt'uno, tormentati dagli stessi demoni del passato. L'insicurezza di non essere abbastanza, anzi, la certezza di non esserlo. Qualunque cosa avesse fatto non sarebbe mai stata all'altezza dei loro parenti. Loro più di tutti l'avevano provato quel sentimento. James, in particolare, alla fine vi si era abbandonato. Aveva capito che non avrebbe mai potuto uguagliare il padre, che non sarebbe mai stato abbastanza intelligente, abbastanza talentuoso e soprattutto sculato dimmerda per compiere anche solo un decimo delle imprese del grande Harry Potter. E così aveva scelto una strada diversa. Una discutibile. Quella dell'irresponsabilità; un misto di sorrisi e risate perenni, in grado di nascondere il suo grande complesso di inferiorità. A differenza di Albus amava il padre, lo ammirava a livelli spropositati. Cazzo se solo non fosse risultato davvero strano, ci avrebbe costruito un altarino con le foto di suo padre e sua madre in stanza. Tutto nella sua vita era stato un cercare di seguire i suoi passi. Cercatore, capitano della squadra di Quidditch, Grifondoro di altissimo livello. Ma James era diverso, diverso da suo padre e da sua madre. Chi avesse avuto l'onore di incontralo, gli diceva spesso che somigliasse molto di più al nonno, e che con molta probabilità, di questo passo avrebbe fatto casini grossi quanto una casa come il primo James. « Fai parte della Squadra Suprema pure te ora? » Eh sapessi, mia piccola peste, sapessi. Non ebbe il cuore di dirle che quelli là voleva solo vederli impallati su una picca, non ebbe il cuore di dirle che aveva passato parte della scorsa estate a farsi menare da quei dementi. Perché James era così; meglio una faccia da culo che un muso lungo. Così decise solo di stringersela di più al petto, facendo finta di niente. « Magari te le faccio vedere dopo in privato. Si trovano in parti un po' intime, e non vorrei scandalizzare Olympia, sai. » « Ancora ti vergogni di Limpy? Questa storia deve finire, Daisy cara! Guarda che ormai lo sanno tutti che ce l'hai piccolo. Non c'è mica da pensarci troppo. » Gli risponde quindi facendogli l'occhiolino. « Oh no ti prego, non trattenere i tuoi bisogni esibizionistici per me, Albus. Sono cresciuta molto in questa estate, posso reggere una simile visione. » E qui il cervello di James compie una capriola e si affloscia su se stesso. Aspetta ma in che senso? Non ci vuole nemmeno pensare. La prospettiva che la sua piccola sorellina possa essere cresciuta e le implicite implicazioni del caso, gli fanno giusto un po' ribollire il sangue nelle vene. « Guarda questa te la potevi risparmiare. Già sono incazzato con te, non mettiamoci la ciliegina sulla torta. » Si va beh, ha diciott'anni. Potevi pure aspettartelo a un certo punto. Ma no figuriamoci, per James Olympia avrà sempre cinque anni finché crepa, così come Albus sarà sempre il piccolo fratellino disabile che gli fa saltare la fila alle poste. Che ricordi, che avventure. Al solo pensiero si metterebbe a piangere. Di nuovo. Cuore tenero, James. Gli manca tutto ciò; gli manca dare loro fastidio, innervosirli o anche semplicemente difenderli a spada tratta da bravo cuor di leone qual è. Gli manca essere il fratello più grande in ogni situazione, quello che tutto può reggere, anche quando in realtà vorrebbe solo nascondere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Gli manca essere lì per loro ogni giorno. Un senso di impotenze lo assale, a tal punto che è tentato di colpirli entrambi alla testa, caricarseli in spalla e portarseli via prima che riescano a protestare. « Comunque, te lo devo dire: tempismo perfetto, James. Stavamo giusto parlando di brillanti idee quando sei comparso tu. Un segno del destino, sicuramente. » Alza gli occhi al cielo e sbuffa mentre si passa una mano sul volto. « Porco Merlino, ma allora tu e la gnocca psicolabile condividete un cervello unico. Sempre in combutta! Ma che cazzo ti avrà mai fatto da piccolo io non lo so. Guarda Limpy te lo dico.. Teddy ha una bambola vudù di Albus e lo controlla a distanza. Pure gli occhi del demonio come lei ha. Guarda come si muovono spastici. »

    « Allora allora, cosa abbiamo? Quella che vuole farsi spellare viva da Kingsley. Quello che vuole farsi arrestare. E quello che sta seriamente considerando l'idea di buttarsi dal finestrino del treno in corsa. » Il sorriso di James si fece amaro di fronte a quell'affermazione. Tra i tre Albus era sempre stato il più sveglio. Aveva un modo di vedere le cose tutto suo. Olympia era intelligente, ma almeno fino al punto in cui aveva avuto modo di viverla ogni giorno, lei filtrava tutto attraverso quei suoi begli occhioni che sembravano abbellire il mondo. Qualunque cosa sua sorella toccasse diventava più bello. Qualunque cosa su cui Albus mettesse bocca, diventava di colpo reale, e purtroppo spesso crudo. James in tutto ciò non aveva mai capito il suo ruolo in quell'equazione. « La Santissima Trinità al completo. » « Grazia, graziella e grazie al cazzo. » Disse istintivamente per completare quella descrizione molto accurata dei tre fratelli Potter. « Albus mi stava illustrando quanto fosse minimo il margine che implica la sua espressa volontà nella scelta di tornare ad Hogwarts. Direi di giocare a chi va più vicino alla motivazione che invece ha spinto te a fare una cosa tanto cretina per salire sul treno. Era più semplice rimorchiare tra i banchi di scuola, non è così? » Non si aspettava altro dal fratello. Se era vero che lui e Albus erano in disaccordo su una serie infinita di questioni, su una cosa andavano parecchio d'accordo. Fuggire. Quando le cose si mettevano male o li mettevano a disagio, quando le condizioni atmosferiche non erano più favorevoli alla loro naturale predisposizione di rompere il cazzo ognuno a modo suo, sfuggire era l'unica cosa che desiderassero più di vedere Teddy nuda. Albus ha sempre voluto evadere; lo aveva visto, durante gli anni. Quelli lì era Forest Gump, e non vedeva l'ora di darsela alle gambe, ma in assenza di un'alternativa, restava esattamente dove il mondo lo aveva sbattuto. « Ecco, se proprio dobbiamo essere onesti, qualcuno dovrà dirmi cosa hanno dato da mangiare alla Vanderbilt nei miei anni di assenza. » Ma giusto così eh tanto per dire, quella ragazzetta cresceva benissimo. Quando aveva lasciato Hogwarts poteva essere si e no una squinzietta tredicenne. « No, a parte gli scherzi, sono qui per conto della compagna di treccine del caso umano qui presente. » Dice indicando Albus mentre un sorrisino sghembo gli imperla il viso. Non ha più quella scintilla di scemenza unica di un tempo. Anche James è cambiato. Nonostante si ostini deliberatamente a restare lo stesso. Rema inesorabilmente contro il mare di merda che lo sta assalendo. Di scatto si guarda intorno, scocca la lingua contro il palato e scivola dal sedile su cui si trova giù per terra. I due non hanno tutti i torti. A breve potrebbero scoprirlo, e allora non ci sarà pagliacciata che tenga. Afferra il mantello dell'invisibilità e se lo butta addosso, facendo cenno agli altri di seguirlo lì sotto. « Presto, facciamo gli ignoratissimi. » Da piccolo, James rubava sempre il mantello del padre. Per quanto Harry lo nascondesse, quello scemo riusciva sempre a trovarlo e allora ci faceva saltare sotto Limpy o Albus per fare scherzi ai loro cugini oppure semplicemente, ci finivano sotto tutti e tre per scampare alla furia di nonna Molly e via così. James potrebbe averlo usato per spiare qualcuna delle sue cugine durante quei giorni di vacanze in cui tutti si trovavano sotto lo stesso tetto, ma questa è un'altra storia.
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    « Avete presente la voce nella radio no? » L'avranno capito. La parlantina buonista della gnocca psicolabile è insuperabile; un pippone di mezz'ora solo per dire che i Ribelli esistono e sono pronti a spaccare il mondo. « Ecco, lei vuole che voi facciate qualcosa per darle una mano. Pare che Kingsley sia stato bravo. La trasmissione non va in onda sui canali ufficiali della scuola. Praticamente non potrete mai sentire la frigida dagli altoparlanti sparsi in giro per la scuola. Ecco perché io e i miei amici abbiamo distribuito questi.. » E dicendo ciò mostro loro le piccole sfere scure che il nerd di Grimmauld aveva progettato. « ..quando inizia la trasmissione, si illuminano e diffondono si insomma.. tutto il quaquaraqua.. delle miniradioline che possono facilmente passare boh per.. dei.. testicoli che uno si porta appresso in tasca perché ama i testicoli.. » No ok, forse il Nerd non aveva avuto una gran bella idea. Ma d'altronde i materiali li avevano rimediati lui e gli amici di Hugo. Il Nerd aveva avuto sin troppa inventiva per trasformare quanto gli hanno portato in quelle cose. « Stanno lavorando anche alla versione 2.0 che renderà Veronica qui presente, un disabile in tutta regola. Una specie di cuffie che sembrano l'apparecchio che nonna Weasley non vuole mai mettere. » Perché lei ci sente benissimo, e poi quelle cose fanno male al cervello. « Fatto sta che per far funzionare questa roba, c'è bisogno di segnale. E qui entrate in azione voi. Dovete piantare in più punti attorno ai domini del castello questi semi. » Una cosa stranissima che non aveva capito poi molto bene. Pareva fossero dei semi magici. Praticamente delle calamite naturali in grado di catturare il segnale della trasmissione e spedirlo verso il castello dove i testicoli di ogni studente avrebbero trasmesso quanto ricevuto. « Piccola peste. Ci vorrà il tuo Hocus Pocus con le piante, se sai cosa intendo. » Il Nerd le aveva progettate appositamente in base ai talenti di quei due svampiti. Non c'era persona che sapesse passare inosservata meglio di Albus e non c'era persona in grado di far spuntare dei satelliti naturali meglio di Olympia. Era come un tempo; le tre pesti combina guai, solo che ora James non c'era più. Il pensiero lo portò nuovamente ad alterarsi, tanto da passarsi le mani tra quei capelli scompigliati a cazzo di cane sbuffando lungamente. « E' importante. » Non poteva crederci; lo stava dicendo davvero. « Ed è l'unico motivo per cui non vi sto caricando su quella moto. » Ed era comunque un motivo davvero stupido. Avrebbe potuto affidare il compito a chiunque altri. Forse non sarebbe stata la stessa cosa, forse gli alberelli sarebbero cresciuti più lentamente, forse prima che la trasmissione arrivi dentro la scuola, non ci sarebbe più stata alcuna trasmissione. Forse sarebbero stati già morti tutti, o in qualche cella. « Ma basta dirlo.. » Iniziò, mentre la voce gli si strozzava in gola. « Basta una parola e sfanculiamo tutto. Troveremo un altro modo per portare le notizie della frigida dentro il castello. » Una leggera smorfia compare sul suo volto. « Una cosa è certa, voi lì dentro non ci andate a stare per molto.. Non me ne frega un cazzo dei vostri diplomi o della ragazzetta che tanto non te la da, Amanda. I Potter, dentro Hogwarts, non sono più i benvenuti. Non solo tu.. » Disse rivolgendo lo sguardo a Olympia. « ..che hai fatto una grandissima stronzata. » E prima o poi mi spiegherai che cosa ti è saltato per la testa. « Ma anche tu, Al; ti daranno un sacco filo da torcere. » Lui l'aveva sentito l'odio della Squadra d'Inquisizione nei confronti della sua famiglia. Aspettavano solo un passo falso.

     
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    Se c'era una cosa di cui Albus era assolutamente certo nella propria vita, quella era proprio che senza James la loro famiglia non sarebbe andata avanti. Il primogenito, quello che Al prendeva più spesso in giro questionando apertamente la sua capacità di leggere e scrivere, era innegabilmente la colla che teneva uniti i Potter. Albus era il figlio bastian contrario a cui non andava mai bene niente, Olympia era quella coraggiosa e combattiva, e infine James era l'ago della bilancia..nonché lo sdrammatizzatore per eccellenza. James non era pesante, non era burbero, non era conflittuale, ma piuttosto era il filo che li teneva tutti stretti tra loro. Quando non era nei paraggi, la sua assenza si sentiva eccome, e spesso e volentieri i rapporti cominciavano a sfaldarsi. La positività non era forse il forte di quella strana combriccola, ma era il forte del primogenito, che per questa ragione risultava necessario a non far precipitare i Potter in malora. Ovviamente il Serpeverde non l'avrebbe mai ammesso, un po' perché era una cosa troppo gay da dire, e un po' perché lui e le dimostrazioni d'affetto sono cose tanto parallele quanto i binari sui quali stavano viaggiando in quel preciso momento.
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    "No, a parte gli scherzi, sono qui per conto della compagna di treccine del caso umano qui presente." Sorvolò sui soliti epiteti di James, siccome era piuttosto certo del fatto che James non conoscesse il significato della parola epiteti. Piuttosto si limitò ad annuire, seguendo l'istruzione del fratello di andarsi a nascondere sotto il mantello insieme a lui e Olympia. "Molto carboneria questa cosa." Se non fosse per le moto volanti, le canzoni dei Clash sparate a palla e l'idea generale di assaltare un treno come nei migliori film western. "Avete presente la voce nella radio no? Ecco, lei vuole che voi facciate qualcosa per darle una mano. Pare che Kingsley sia stato bravo. La trasmissione non va in onda sui canali ufficiali della scuola. Praticamente non potrete mai sentire la frigida dagli altoparlanti sparsi in giro per la scuola. Ecco perché io e i miei amici abbiamo distribuito questi..quando inizia la trasmissione, si illuminano e diffondono si insomma.. tutto il quaquaraqua.. delle miniradioline che possono facilmente passare boh per.. dei.. testicoli che uno si porta appresso in tasca perché ama i testicoli.." aggrottò la fronte, scuotendo appena la testa. Era meglio non indagare i pensieri di James, il che era stato uno dei motivi principali per cui Albus si era sempre tenuto ben lontano dall'idea di studiare la legilimanzia. Ma in fin dei conti, Albus si teneva lontano dallo studio di qualsiasi materia, quindi non è che facesse poi tanto testo. 'Nessuno è mai morto di studio', diceva suo padre, nonché l'unica persona che a riguardo doveva starsene solo zitta. Albus, però, ribatteva con un onestissimo 'Meglio non rischiare'. "Fatto sta che per far funzionare questa roba, c'è bisogno di segnale. E qui entrate in azione voi. Dovete piantare in più punti attorno ai domini del castello questi semi. Piccola peste. Ci vorrà il tuo Hocus Pocus con le piante, se sai cosa intendo." Un sorriso sornione si affacciò sulle labbra di Albus. "E io che pensavo ti riferissi a me per quella vecchia storia delle piantine in soffitta." "E' importante. Ed è l'unico motivo per cui non vi sto caricando su quella moto. Ma basta dirlo..Basta una parola e sfanculiamo tutto. Troveremo un altro modo per portare le notizie della frigida dentro il castello." Ed eccola qui, Albus, la tua scelta. Quella che tanto ti lamentavi di non aver avuto. Istintivamente il ragazzo andò a ritirare il labbro inferiore tra i denti, mordicchiandolo con aria indecisa mentre i suoi occhi si perdevano verso il basso. Se fosse stato onesto, con se stesso e con i suoi fratelli, il Serpeverde l'avrebbe detta quella parola a cui James si riferiva, sarebbe scappato senza nemmeno battere ciglio. Perché lui lo voleva, e forse non c'era nient'altro che desiderasse al mondo più di quello. Per tutta la sua vita aveva cercato l'occasione giusta per evadere, e ora ce l'aveva lì, sopra un piatto d'argento. In fin dei conti lui non era poi così indispensabile a piantare quei semi: Olympia avrebbe potuto farlo tranquillamente senza di lui, e non sarebbe nemmeno stata sola, dato che aveva una fitta schiera di amici a farle da rete di sicurezza. No, non me la sento di farlo, James, voglio andarmene. Nemmeno ti romperò le palle: basta che mi scarichi da qualche parte e me la vedrò da solo come ho sempre fatto. Quelle sarebbero state le parole più oneste, le parole che Albus si sentiva veramente di dire. Però non le disse. E una sola fu la ragione per cui non lo fece: Olympia. Per quanto scappare fosse la cosa più giusta e logica da fare, Al non sarebbe mai riuscito a perdonare a se stesso una cosa del genere: lasciare indietro sua sorella in una situazione in cui era tutto fuorché al sicuro. Non che lui potesse fare poi molto, ma era pur sempre qualcosa, era pur sempre suo fratello. Gli amici, i cugini, tutti..quelli sono una cosa, ma un fratello è un'altra. Un amico potrebbe essere disposto a morire per te, ma un fratello è quello che per te invece ci vive, che si rifiuta di morire pur di starti accanto quando più ne hai bisogno. La sua reazione, dunque, fu semplicemente quella di annuire, tenendo il viso ben contratto in un'espressione ermeticamente seria. "Una cosa è certa, voi lì dentro non ci andate a stare per molto.. Non me ne frega un cazzo dei vostri diplomi o della ragazzetta che tanto non te la da, Amanda. I Potter, dentro Hogwarts, non sono più i benvenuti. Non solo tu....che hai fatto una grandissima stronzata." "Ci è arrivato pure il testone. Potrei piangere." "Ma anche tu, Al; ti daranno un sacco filo da torcere." Tirò un sospiro, scuotendo le spalle come se la cosa lo toccasse davvero poco, che in fin dei conti era la verità. "Hanno trovato pane per i loro denti, allora." Sfogarsi su Albus era un passatempo che sembrava piacere a molte persone, così tante che oramai per il Serpeverde era diventata un'abitudine; di certo Kingsley e gli inquisitori avrebbero escogitato nuovi ed esaltanti metodi per rendere la sua permanenza al castello una vera e propria tortura, ma Al non era tipo da cadere al tappeto molto facilmente, e di certo non se ne sarebbe andato di lì senza lasciargli prima un bel ricordo di che tipo di persona fosse. "Ci sto." asserì infine "Ma a una condizione." Una condizione dettata più dalla disperazione che da altro, dato che non poteva davvero fare altrimenti. Svelto, Albus, affondò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni, tirandone fuori una busta accartocciata e richiusa da uno spago che andò a poggiare pesantemente nelle mani di James. "Fuori ci sta scritto un indirizzo. Non posso spedirla, non chiedermi il perché. La devi portare lì. Non devi sbirciarci dentro, non devi chiedere niente, non devi vedere niente e non devi parlare con nessuno. Vai all'indirizzo e la lasci nella buca delle lettere. Chiaro?" Piuttosto sospetta la questione, messa così, ma in quella situazione non è che avesse poi tante altre scelte. Certe cose vanno tenute sotto il tappeto più a lungo possibile, ma non si può pretendere che ci rimangano per sempre. "Ripeti quello che ti ho detto e promettimelo." concluse infine, rivolgendogli un'occhiata che più seria proprio non si poteva.
     
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    « Guarda questa te la potevi risparmiare. Già sono incazzato con te, non mettiamoci la ciliegina sulla torta. » Guarda negli occhi il fratello e per la prima volta si rende conto che non solo Albus, ma anche James ce l'ha con lei per quella fantomatica fuga. Sbuffa appena, cercando di rimanere sempre sorridente. Non vuole rovinare quel momento, seppur le facciano male gli sguardi truci dei suoi fratelli. Si sofferma sulle altre parole e un sorriso sincero le dipinge le labbra. Capisce al volo ciò che intende il fratello e sa che dovrebbe sentirsi in imbarazzo, ma è abituata a non esserlo con quei due debosciati. Oh James, tesoro, quel treno è partito dalla stazione ormai da tempo. Non è un avvenimento fresco di qualche giorno. Vorrebbe dirglielo, giusto per vedere il suo volto impallidire ancora di qualche altro tono, ma non è quello il momento, lo capisce al volo, dal tono di voce che si fa più serio e dal cambio improvviso di argomento. « No, a parte gli scherzi, sono qui per conto della compagna di treccine del caso umano qui presente. » E allora capisce che il fratello sa. Con lui non c'è bisogno di mentire, o evitare accuratamente qualsiasi appiglio che possa ricondurre al discorso "Dove sei stata quest'estate?" Se James è lì per conto di Teddy, lei deve avergli detto che lei era tra i Ribelli quell'estate. Non può non averglielo detto e nella testa di Olympia si fa tutto più chiaro ed è quasi un sollievo. Come se quel peso, in parte, le sia stato tolto dal petto, facendola tornare a respirare se non bene, sicuramente meglio. "Molto carboneria questa cosa." Scuote i capelli rossi, mentre si infila sotto il mantello insieme ai fratelli, come ai vecchi tempi. E certa che, se fosse sotto gli ormoni del ciclo, una lacrimuccia riuscirebbe anche a solcarle le guance perché, seppur in una situazione tanto tesa, i Potter sembrano essersi ritrovati. Invisibili al mondo, ma insieme, come sempre. « Ecco, lei vuole che voi facciate qualcosa per darle una mano. Pare che Kingsley sia stato bravo. La trasmissione non va in onda sui canali ufficiali della scuola. Praticamente non potrete mai sentire la frigida dagli altoparlanti sparsi in giro per la scuola. Ecco perché io e i miei amici abbiamo distribuito questi.. » Abbassa gli occhi a guardare quelle sfere scure che James ha tra le mani. Olympia, se c'è una cosa che non ha mai capito quando ancora studiava al liceo babbano, era proprio la meccanica applicata. Allunga una mano per poterne prendere una. Se la passa tra le dita, constatandone la freddezza. Stringe gli occhi, osservandola meglio da vicino, sperando che James possa darle una spiegazione che le faccia capire veramente di cosa si tratta. In parole povere, senza troppi tecnicismi del mestiere. « ..quando inizia la trasmissione, si illuminano e diffondono si insomma.. tutto il quaquaraqua.. delle miniradioline che possono facilmente passare boh per.. dei.. testicoli che uno si porta appresso in tasca perché ama i testicoli.. » Scoppia a ridere, non aspettandosi altro che una delucidazione del genere da parte del fratello. Ora, perlomeno, le è più chiaro, perlomeno il meccanismo base dell'operazione. « Fatto sta che per far funzionare questa roba, c'è bisogno di segnale. E qui entrate in azione voi. Dovete piantare in più punti attorno ai domini del castello questi semi. Piccola peste. Ci vorrà il tuo Hocus Pocus con le piante, se sai cosa intendo. » "E io che pensavo ti riferissi a me per quella vecchia storia delle piantine in soffitta." Guarda prima Albus, poi torna a James. « Ohhh» riesce soltanto ad emettere, arrivando alla capire dove vuole andare a parare. I suoi poteri da Flora, la Winx della terra. Ora le è davvero tutto più chiaro nel mettere quell'ulteriore tassello nel puzzle generale. Come dice loro James, è una cosa importante quella di cui li sta rendendo partecipi e Olympia non sembra sorridere più, mentre osserva nuovamente la pallina che le scivola tra le dita. «Basta soltanto sotterrarli e farli crescere con un po' di Hocus Pocus Chiede, aggrottando appena le sopracciglia. Non servono altre istruzioni o magie strane per farli cominciare a funzionare bene, per quello che devono fare? « Una cosa è certa, voi lì dentro non ci andate a stare per molto.. Non me ne frega un cazzo dei vostri diplomi o della ragazzetta che tanto non te la da, Amanda. I Potter, dentro Hogwarts, non sono più i benvenuti. Non solo tu....che hai fatto una grandissima stronzata. » Sbuffa, visibilmente scocciata di essere trattata per la scema di turno. Non che avesse voluto niente di tutto quello che le è capitato in seguito a King's Cross. Lei, tra i Ribelli, c'è finita per colpa di una macchinazione di suo padre. Però ci è rimasta di sua spontanea volontà. Mossa stupida? Forse. Guarda negli occhi il fratello, si rispecchia in quegli occhi azzurri e fa un leggero sorriso. «Non sei un Potter se non fai qualcosa di assolutamente opinabile per il resto del mondo, dico bene?» Tu stai rischiando l'osso del collo allo stesso modo, in questo momento. Alza le sopracciglia allusivamente, mentre lo guarda per qualche secondo, per poi passare ad Albus. Qualcosa di assolutamente opinabile in cui crede fermamente, a questo punto della situazione, e per cui è pronta a rischiare tutto, senza fuggire. « Ma anche tu, Al; ti daranno un sacco filo da torcere. » Abbassa lo sguardo, mentre aspetta la risposta del fratello. In fondo, lui stesso ha tenuto a precisarlo pochi minuti prima. Non ha scelta, è lì ma non per sua espressa volontà. E ora James gli sta servendo una scelta, su un piatto d'argento, bella infiocchettata. "Ci sto." Si accorge in quel momento di aver trattenuto il fiato, aspettando quelle due parole. Allora tira un respiro di sollievo, seppur non sia felice veramente che alla fine abbia deciso di tornare al castello. Il suo cuore è diviso a metà, tra il conforto di saperlo vicino e il dolore di saperlo un bersaglio. Le parole successive di Albus, però, frenano qualsiasi altro suo pensiero, mettendolo in stand by. "Fuori ci sta scritto un indirizzo. Non posso spedirla, non chiedermi il perché. La devi portare lì. Non devi sbirciarci dentro, non devi chiedere niente, non devi vedere niente e non devi parlare con nessuno. Vai all'indirizzo e la lasci nella buca delle lettere. Chiaro? Ripeti quello che ti ho detto e promettimelo." Deglutisce, mentre lo sguardo scivola dall'uno all'altro fratello. Da piccola avrebbe cominciato ad assillare Albus con la sua vocina stridula, fino a che il bambino non avrebbe avuto pietà per le sue orecchie e le avrebbe rivelato il contenuto della lettera. Ma quell'occhiata seria le fa tenere la bocca chiusa. Le fa mordere la lingua, per non peccare di un'estrosa curiosità che andrebbe a peggiorare l'umore del moro. Che hai combinato, Albus? In che casino ti sei andato a cacciare? I loro sguardi si incontrano per qualche istante e quelle domande sembrano fluire tra di loro, silenziose. «Okay, c'è altro? Dobbiamo sapere altro? La voce vuole che facciamo altro?» Smorza il silenzio che si è creato sotto il mantello. «Oh, anche io ho un messaggio per te.» Si volta verso James, stringendo le labbra. «Trova un modo per metterti in contatto con mamma e papà o non sono certa che nonna Molly vivrà tanto a lungo se non avrà al più presto tue notizie.» Il cuore di quella donna ormai anziana è fin troppo debole per continuare a reggere allo stress di non sapere. «Se non per loro, fallo per lei.»
     
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    Smettila di ridere, testa di legno. Questo gli diceva sempre sua nonna. James rideva sempre; addirittura c'è una leggenda metropolitana secondo cui, quando James è nato, lui non ha pianto, no no, lui ha riso. Qualunque cosa il più grande facesse, lo faceva con il sorriso sulle labbra, perché in fin dei conti, un giorno senza un sorriso, è un giorno perso. D'altronde, era meglio non conoscere l'altro lato di sé, quello irascibile, quello impulsivo. Quello era meglio tenerlo ben celato sotto una montagna di risate e stronzate senza senso sparate ogni qual volta ne sentisse il bisogno - ovvero sempre. « E io che pensavo ti riferissi a me per quella vecchia storia delle piantine in soffitta. » E infatti ecco a voi signore e signori, James Sirius Potter ride. Un po' perché quella storia era davvero esilarante, un po' perché apprezza sempre il sarcasmo del fratello. Accidenti! Come si può spiegare questo rapporto? James e Albus non sono mai andati d'accordo, eppure sono sempre stati pappa e ciccia. Davvero difficile da spiegare. Forse perché tra quei due non incorreva quel detto de i famigliari non te li scegli. Si sono sempre picchiati, insultati come animali, si sono fatti dispetti a non finire, eppure, alla fine di ogni giornata, quando ne combinavano una delle loro, Albus copriva le spalle a James e James copriva le spalle ad Albus. E quante volte non si era preso le colpe per quel testone, pur di assicurarsi che non compisse un omicidio di massa, facendo sparire i Potter dalla faccia della terra. Con Olympia tutto era diverso; lei era la femmina, la principessa, il dolce, grazioso fiore di loto a cui nessuno doveva avvicinarsi, a cui James faceva passare tutto. Con lei, il più grande era semplicemente cieco, lo era sempre stato, anche quando appunto, i due animaletti più grandi di casa Potter venivano ampiamente mortificati dalle parole pungenti della piccola peste rossa. « Ohhh.. Basta soltanto sotterrarli e farli crescere con un po' di Hocus Pocus? » James si stringe nelle spalle. Lo strambo nerd non gli ha detto altro. « Crescerebbero comunque da soli, credo.. ma prima crescono, prima potrete avere notizie fresche fresche che non partano da quei dementi della Gazzetta. » Che James non aveva mai letto, e adesso aveva anche una scusa per continuare a non farlo. Se l'era legata al dito quella storia del manifesto. Era un ricercato di bassa lega, così come lo erano stati Rudy, Olympia, Maelys e la Stone per tutta l'estate. E adesso arrivava la questione più spinosa. La loro permanenza tra le mura del castello. L'idea di mandarli lì lo faceva letteralmente ribollire dentro; l'idea che loro volessero tornarci, lo faceva incazzare ancora di più. I tre fratelli Potter sono cresciuti con un'idea di Hogwarts spettacolare, non solo grazie ai racconti dei loro genitori e di tutti i loro zii, ma anche perché, in casa con loro, avevano una Teddy Lupin che già prima di loro attraccava a casa Potter ogni estate, piena zeppa di storie su quanto fosse bello questo e quell'altro posto e via così. Erano stati influenzati non poco nella loro idea del castello, e ora, forse un po' tutti e tre, faticavano a vedere fino in fondo come un posto di distruzione di massa. « Ci è arrivato pure il testone. Potrei piangere. » « Non sei un Potter se non fai qualcosa di assolutamente opinabile per il resto del mondo, dico bene? »
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    Già, non sai quanto. « Tu non dire mai una cosa del genere di fronte alla nonna, mi raccomando. » Perché Olympia era sempre quella un po' più sana tra i tre. La mia Olympia prende buoni voti, ma hai visto che bella che si è fatta. No guarda, la mia Olympia, la nipotina più bella di sempre. Olympia in su, Olympia in giù. Nonna Molly stravedeva per quella ragazzina. Stavedeva per tutti i suoi nipoti, ma mentre la maggior parte dava loro più motivi di strapparsi i capelli che altro, la piccola peste, era sempre stata esattamente come nonna Molly avrebbe voluto che fossero tutti loro. Stramba, penso James inarcando appena un sopracciglio nel fissarla. « Altrimenti il prossimo funerale a cui assisteremo sarà il suo, con conseguente esaurimento nervoso anche dello scemo qui presente, all'idea di mettere su una cravatta. » Grandi drammi c'erano un tempo a casa Potter. Grandi e insormontabili. Le treccine di Olympia, l'odio per il farfallino di Albus, il rifiuto di James di portare gli occhiali.

    « Ci sto. Ma a una condizione. » E ti pareva. Gli porge una busta che il più grande osserva con attenzione. In che guaio si è cacciato? Perché considerando il soggetto, poteva solo che essere qualche guaio. « Fuori ci sta scritto un indirizzo. Non posso spedirla, non chiedermi il perché. La devi portare lì. Non devi sbirciarci dentro, non devi chiedere niente, non devi vedere niente e non devi parlare con nessuno. Vai all'indirizzo e la lasci nella buca delle lettere. Chiaro? » Chiarissimo. Vorrebbe fare una qualche battuta, ma il tono del fratello è talmente serio che più che fargli venire voglia di ridere, pare stia per prenderlo a pugni. Questo scemo si è rimesso a spacciare. « Ripeti quello che ti ho detto e promettimelo. » Improvvisamente il silenzio divampa tra i tra i tre. La tensione alla stelle. Un colpo questo, a cui James non sa esattamente come reagire. Pare sempre pronto ad accogliere tutto con lo stesso atteggiamento menefreghista e paraculo, ma in questo momento non ci riesce. « Non mi pare che tu abbia molte alternative. » Ed evidentemente ti fidi. D'altronde, non c'era nulla, nulla che quella lettera potesse contenere in grado di spezzare quanto Albus e James avevano costruito in quasi vent'anni di convivenza. Non mi pare che tu abbia molte alternative. Serio e improvvisamente combattuto; questa l'unica promessa che possa fare al fratello. Non ha altre alternative e quindi dovrà sperare che ovunque lo stia mandando non ci sia un covo di spacciatori. Perché una cosa è certa; James non permetterà che Albus finisca di nuovo in riformatorio. Poco ma sicuro. « Ne riparleremo. » Continua poi, riponendo con attenzione la lettera nella tasca della giacca. E a questo punto, la salvezza è sempre Olympia. « Okay, c'è altro? Dobbiamo sapere altro? La voce vuole che facciamo altro? Oh, anche io ho un messaggio per te. Trova un modo per metterti in contatto con mamma e papà o non sono certa che nonna Molly vivrà tanto a lungo se non avrà al più presto tue notizie. Se non per loro, fallo per lei. » Il sorriso rispunta sul suo volto mentre le da un leggero buffetto. Ah nonna Molly, muore da vent'anni a questa parte, eppure a tratti è più sana di loro tre messi insieme. Gli manca casa, questo è vero; ma se per loro tornare sarebbe stato più facile, poiché solo evasi da scuola, per lui la questione era più complicato. Era un traditore; un auror in servizio che secondo le carte ufficiali aveva ostruito indagini di ricerca, cospirato contro il Ministero della Magia e chissà quant'altro. Mettersi in contatto con loro, significava marchiarli e costringerli a loro volta a disertare. Che poi, sarebbe comunque successo prima o poi, ma per ora, i suoi genitori erano più utili dentro il Ministero. « Farò del mio meglio. » Si stringe nelle spalle. E proprio in quel momento, un Inquisitore apre la porta del loro scompartimento. Vuoto. Resta sulla soglia per qualche istante, tempo in cui James resta letteralmente immobile, per poi riprendere fiato soltanto nel momento in cui la porta viene richiusa e l'uomo passa oltre. E' tempo di andare. Ma non prima di aver consegnato al maggiore dei due un'ultima cosa. Un pacco per il maggiore dei due, impacchettato alla bell'e meglio, nei soliti modi imbranati di James. « Papà non voleva che noi l'avessimo, ma passa di fratello in fratello da quando la tua amica del cuore è partita per il quarto anno. Lei l'ha passata a me e io la passo a te. So che ti caccerai in una miriade di guai. Spero che questa possa quanto meno risparmiartene qualcuno. E se non dovesse bastarti, puoi sempre chiamarmi in videochiamata e chiedermi qualche consiglio. » La mappa, non una qualunque, la mappa; quella che James ha giurato per anni di non avere, di non aver mai visto, di non sapere nemmeno com'è fatta. Bugiardo di un Potter. Per Olympia invece, aveva un segreto, qualcosa che gli disse a fior di labbra all'orecchio, affinché solo lei potesse sentirlo. « Il quadro di Bridget Wenlock sui corridoi dei dormitori dei ragazzi, porta alla stazione, ma attenta; quando le viene chiesto il passaggio, hai solo un'ora di tempo per tornare. » Era certo che ci fosse un quadro del genere in ogni sala comune, ma se c'era, nessuno li aveva ancora trovati, oppure quei bastardi preferivano non dirlo. Le fa l'occhiolino e si allontana. « Se non fai pagare il pedaggio non sei più mia sorella, mi raccomando. Voglio il 10% del ricavato. » Dicendo ciò si schiarì la voce, diede un bacio sui capelli alla rossa abbracciandola fino a toglierle il fiato, per poi allungare la mano verso il più grande. Potevano dirsi tante cose, ma uno sguardo eloquente valeva più di mille parole. Ci siamo capiti. « Beh è tempo che io vada. » James lo sta facendo davvero. Sta voltando le spalle ad entrambi. Li guarda per un ultima volta, annuisce tra se e se, e infine, dopo un lungo sospiro che ha tutta l'aria di rientrare in un dramma shakespeariano, si alza, rivelando i due di nuovo al mondo, mentre lui dal canto suo resta celato sotto il mantello. « Ciao stronzi! Mi raccomando, fatevi riconoscere. » Aprì la porta dello scomparto, e così com'era comparso, se ne andò. Non appena ebbe modo di rinchiudersi in uno dei bagni del vagone, si tolse il mantello, e si smaterializzò via dal treno.
     
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