Tin heart.

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    Prima di ridursi in quello stato, l'Uomo di Latta era un ragazzo in carne ed ossa e viveva nella foresta con il padre e la madre vendendo il legno ricavato dagli alberi. Quando i suoi genitori morirono decise di sposarsi con una ragazza di cui era sempre stato innamorato. Questa però si prendeva cura di una anziana signora molto pigra che, non volendo perdere colei che l’accudiva, chiese alla strega dell’Est di rendere indisposto lo spasimante della giovane che, a causa di tale maledizione, perse prima le due gambe e poi, man mano, tutto il corpo per colpa della sua stessa ascia. Grazie all’aiuto di un abile fabbro venne in seguito ricomposto e fu trasformato così in un taglialegna di latta. Non avendo un cuore il giovane perse l’amore per la fanciulla che aveva sposato. La giovane Dorothy, accompagnata nel suo viaggio dallo Spaventapasseri che se ne andava in giro alla ricerca di un cervello, lo trovarono arrugginito lungo il loro cammino, immobile e con la sua ascia stretta in mano. Con un briciolo di voce lo Spaventapasseri chiese di essere unto con dell’olio. Decide così di unirsi a loro, per raggiungere il Mago di Oz e chiedere a lui di donargli ciò che più desiderava al mondo: un cuore. Non semplicemente un organo fatto per pompare sangue e ossigenare il cervello, ma lo scrigno dell’anima, quello in cui vivono le emozioni, in cui risiede la vera identità di tutti e di ciascuno, esseri fatti per vivere in eterno. È di questo cuore che va in cerca l’uomo di latta e il suo sguardo malinconico osserva il passato glorioso dell’uomo che era stato, capace di innamorarsi, di vivere con passione l’incedere del tempo. Senza il cuore, di quell’uomo, non resta altro che ferro soggetto all’erosione del tempo, alla ruggine, all’immobilismo. Per Savannah, l’Uomo di Latta non aveva capito nulla. Se l’uomo di latta fosse stato furbo sarebbe potuto arrivare ovunque lui volesse. Spesso e volentieri i sentimenti si rivelano solo uno stupido intralcio verso ciò che più si desidera. Quando ci sono le emozioni in mezzo, si è costretti a prendere decisioni incredibilmente importanti, a calcolare ogni minima mossa, cercando di nuocere il meno possibile alle persone intorno a noi. Savannah non era mai stata abituata a pensare agli altri. Per lei il mondo aveva un solo centro: sé stessa, e come uno splendido sole tutto doveva ruotare intorno a lei. Quando era piccola, suo fratello era l’unica persona di cui si preoccupava. Era una bella bambina dalle guance rosee e i capelli biondi come il grano. Veniva ricoperta costantemente di attenzioni e complimenti e a lei piaceva crogiolarsi in quella bolla di perfezione che era la sua vita. Arrivata ad Hogwarts si era scontrata con una realtà diversa da quella sulla quale si era sempre deliziata tra le mura domestiche. Aveva perciò messo su una sottospecie di regime terroristico dove chiunque le si mettesse contro ne avrebbe pagato le conseguenze. Bene o male, l’importante è che se ne parli, diceva Oscar Wilde, e quella frase, per la più piccola di casa Hamilton, era una sorta di inno personale. Savannah era sempre stata quella con le scarpe più belle o quella che partecipava alle feste migliori della Londra bene. Sapeva però essere anche quella che mette in giro voci false sul tuo conto e a cui gli altri credono. Savannah Hamilton poteva essere la tua migliore amica o la tua peggior nemica. Nel mezzo ci stava solo l’indifferenza, ovvero coloro che agli occhi della giovane erano praticamente invisibili. Non si aspettava ciò che era successo anni addietro. Non avrebbe mai creduto di dare il permesso ad altre persone di insinuarsi nel suo Cerchio della Fiducia. Eppure prima Nana, poi Max ed infine Maeve c’erano riuscite. Chissà come erano state capaci, giorno dopo giorno, a far abbassare la guardia ad una come lei. Dal Cerchio della Fiducia si è dentro o fuori. Non ci sono vie alterne. Ma nelle ultime settimane era successo qualcosa che l’aveva fatta dubitare di tutto, persino di sé stessa. Si era sentita tradita, sfidata, presa in giro. Si era convinta, forse erroneamente, che alla fine neppure loro erano state in grado di vedere oltre la sua corazza. Si era dovuta fronteggiare con un sacco di emozioni, anche con quelle che non voleva affrontare. Era così che si era ritrovata a tagliarsi fuori dagli altri, scoprendo il piacere ed il dolore di passare il tempo con la persona che più amava e allo stesso tempo odiava al mondo: sé stessa. Poi, un giorno, seduta sul pavimento del bagno, con la fronte imperlata di sudore ed il respiro affannato, si era resa conto di non poter continuare così. Doveva affrontare la situazione come solo Savannah Hamilton sapeva fare: a testa alta. Se avesse continuato a tenersi tutto dentro probabilmente un giorno sarebbe detonata come un candelotto di dinamite. Il momento dell’indifferenza era finito ed era il momento di passare alla seconda fase. Le aveva mandato un biglietto via gufo, chiedendole di presentarsi quel pomeriggio alla rimessa delle barche. Non sapeva con esattezza il motivo per cui avesse scelto quel posto. Forse, semplicemente, desiderava parlare in pace, con la sicurezza che lì nessuno le avrebbe interrotte. Non erano due bambine, non più. Erano abbastanza grandi per confrontarsi, non bastava uno scambio sulle quali le parole che erano state scritte nulla erano state se non dettate dalla foga del momento. Era certa di aver usato parole piuttosto forti, ma nonostante tutto era ancora ciecamente convinta di ciò che aveva scritto nelle sue lettere di risposta. Il fatto che Maeve avesse pensato, anche solo per un momento, che Elladora non fosse altro che una “leva” da lei specificatamente avvicinata con il solo scopo di infastidirla, bhè ecco, le faceva ancora ribollire il sangue. Davvero aveva una così bassa opinione di lei? Davvero credeva che Savannah Hamilton si abbassasse a questi giochetti? Non aveva bisogno di trucchi. Se Saw voleva rovinare seriamente qualcuno, le bastava solo un giro di telefonate e ciao ciao a tutti i problemi. Era piuttosto facile scoprire fatti inconvenienti sulle persone, soprattutto quando si ha a disposizione un bel faccino ed un bel malloppo di galeoni da spendere.
    Alcune barche erano attraccate al molo, legate con una fune resistente per evitare che venissero portate via dalla corrente. Savannah aveva passato anni ad osservare suo padre nel fare nodi per le vele della loro barca. Non si era mai presa premura di imparare, era certa che non ne avrebbe mai avuto bisogno e che ci sarebbe sicuramente stato qualcuno disposto a farlo per lei. Con quante volte glieli aveva visti fare, però, era stato quasi impossibile non farseli entrare in testa. Si chiese se fossero quelle le barche sui cui erano stati portati al castello all’arrivo del loro primo anno. Al tempo sembrava tutto così grande, così a portata di mano che bastava un gesto per poter avere tutto. Si guardò intorno. Era arrivata in anticipo, forse anche troppo. Di Maeve ancora nessuna traccia. Una vocina impertinente le chiese se stesse facendo la cosa giusta. Affrontare Max era già stato piuttosto faticoso, non tanto dal punto di vista fisico quanto psicologico. Dopo la loro chiacchierata si era sentita più leggera, ma estremamente scossa, come se avesse appena superato uno dei test più difficili della sua vita. Era stato come trovarsi al centro di un uragano, sbattuta da una parte all’altra in preda ad un turbinio di emozioni che l’avevano colpita tutte insieme, destabilizzandola. Si sentiva ancora scossa, ma allo stesso tempo era come se un grosso peso si fosse finalmente alzato dal suo petto, permettendole di respirare meglio. Non era una codarda, non lo era mai stata. Era arrivato il momento di affrontare la situazione, che le piacesse o no. Non avrebbe saputo dire con certezza come sarebbe finita quella chiacchierata, ma di una cosa era certa: avrebbe detto la sua. Il resto sarebbe spettato a Maeve. Avrebbe potuto prendere quel suo pensiero e cercare di capirlo o gettarlo via ed ignorarlo. Un passo alla vota. Era ciò che si era ripetuta per tutte quelle settimane durante le quali i commenti della gente le erano scivolati addosso senza scalfirla. Incrociò le braccia al petto, continuando a guardare le acque del lago che si increspavano sotto il tocco gentile del vento, facendo oscillare lentamente le barche, in una danza gentile e fuori ritmo. Guardò ancora una volta l’orologio legato al polso. Mancava poco. Maeve sarebbe potuta arrivare da un momento all’altro.

     
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    L'uomo è caratterizzato da un gioco di sentimenti assurdamente complesso, spesso e volentieri addirittura contraddittorio, ma sicuramente unico nell'intero mondo vivente. Maeve, nell'ottica di tutto ciò, aveva sempre prediletto un atteggiamento fin troppo ermetico verso ogni tipo di stato d'animo. Eternamente in conflitto fra ragione e ciò che intimamente desiderava, tutto ciò non faceva altro che generare nientemeno che frustrazione per la giovane strega. Un avvilimento fastidioso e viscerale, al quale si opponeva finendo col reprimere il possibile. Non soltanto perché i suoi sentimenti fossero di natura intimi ed esprimerli apertamente avrebbe mostrato un riflesso della persona stessa che era, ma per il semplice fatto che sbandierarli e scoprirli, mostrarsi senza inibizioni, l'avrebbe resa vulnerabile. Esattamente come aveva iniziato a sentirsi da quando la "Questione Savannah" si era trasformata in una sciarada più complicata del previsto. Vulnerabile per aver capito d'essere finita a ricoprire il ruolo di una delle cause primarie dello sfaldamento del loro gruppo; vulnerabile per l'assenza prolungata di Saw, che nonostante tutto le mancava in quanto presenza insostituibile nelle sue amicizie; vulnerabile perché, pur tentando di tenere a freno una quantità sconosciuta di sensazioni ed emozioni nuove, queste avevano iniziato a sommergerla in ogni caso, rischiando di renderla ancor più esposta. E, alla fine, aveva iniziato a comportarsi com'era sempre stata abituata a fare: mantenendo un ferreo - apparente - controllo, mostrando la solita facciata d'indifferenza indirizzata verso il mondo intero. Intoccabile. Soffocando il problema principale, per il quale non poteva trovare una soluzione, se l'altra parte coinvolta non si fosse decisa a collaborare. Aveva riempito ogni attimo del proprio tempo con corsi scolastici, attività extra-curricolari ed ogni sorta d'intrattenimento che le consentisse di non pensare troppo e distrarsi... Ci pensava già fin troppo egregiamente l'altro Hamilton, a deconcentrarla assiduamente, anche soltanto respirando quand'era nelle vicinanze; o peggio, ogniqualvolta si ritrovava a pensare irragionevolmente ai trascorsi del moro avuti con Maxime, di cui era venuta a conoscenza da poco. Proprio quando credeva d'aver trovato un nuovo precarissimo equilibrio, uno status quo che non l'aggradava nemmeno così tanto, ecco che un nuovo effetto onda aveva rischiato di farla scapicollare sott'acqua. Il gufo di Savannah era arrivato talmente inaspettato, mentre si trovava al campetto da Quidditich ad allenarsi, d'averla lasciata perplessa per una buona manciata di minuti sotto il sole caldo primaverile. Era rimasta lì, in short e tenuta sportiva, sudata ed accaldata a rileggere e passarsi più volte il bigliettino fra le dita. Conosceva perfettamente la grafia morbida e precisa di Saw, sebbene fossero giorni che uno stupido studentello le tirava qualche dispettuccio infantile che aveva bellamente ignorato, l'avrebbe riconosciuta fra mille la firma autorevole della bionda; così come giunse alla conclusione che l'amica avesse finalmente deciso di porre rimedio alla situazione a modo suo, prendendo improvvisamente l'iniziativa. Quel primo passo, per quanto insperato ed incerto nelle intenzioni, riuscì a liberarla da una parte del peso che le gravava sulle esili spalle. Lo trovò confortante: in un modo o nell'altro, si sarebbe confrontate ed affrontante... E - intimamente - sperava avrebbero potuto capire ognuna le parti dell'altra. ezgif-1-f428651d372e Dal canto suo, non avrebbe sprecato quel tentativo lasciando riemergere il livore e l'acerbezza della sua età, impegnandosi nel lasciar parlare la ragione piuttosto che la frustrazione annidatale nello stomaco da settimane. Iniziò col presentarsi in perfetto orario al luogo prestabilito, dopo essersi rimessa in ordine, percorse con calma la lunga scalinata fino alla rimessa delle barche dove avrebbe incontrato la Hamilton. Una tranquillità apparente, che in realtà strideva del tutto erroneamente con ciò che le si agitava dentro. Da una parte, avesse lasciato parlare la Vee glaciale e mordace che teneva sempre a freno almeno coi suoi affetti, avrebbe senz'ombra di dubbio finito con l'infierire contro la bionda, reputando tutto quel suo impuntarsi e tirarla per le lunghe come un qualcosa d'assurdamente ridicolo ed infantile... Ma l'altra parte di sé, quella che voleva prendesse il sopravvento in quel pomeriggio, s'impose di comportarsi da persona più comprensiva e matura - quale credeva d'essere.
    Intravide Savannah durante la discesa, ancor prima che potesse notarla o voltarsi in sua direzione; Maeve avrebbe riconosciuto quella chioma bionda e fluente fra un'infinità d'altre testoline dai capelli del colore del grano. Tirando un respiro profondo, percorse gli ultimi metri che le distanziavano, inspirando a pieni polmoni l’aria delle Highlands. Purissima, conteneva una leggera traccia dell’odore pungente del terreno secco e delle dolci fragranze floreali, tipici profumi ricchi della bella stagione. Affiancò l'altra ragazza senza preannunciarsi né proferire parola, nemmeno accennò un silenzioso saluto. Si soffermò soltanto al suo fianco, ad una distanza piuttosto esigua... quel mezzo metro fra di loro, che alla giovane non apparve mai così immenso da colmare. « Mi è sempre piaciuto, questo posto. » Non roviniamolo litigando di nuovo, per favore. « Mi ricorda il giorno in cui è iniziato tutto, qui ad Hogwarts. » continuò parlando sottovoce, pacatamente, incrociando le braccia al petto mentre si perdeva con lo sguardo nello specchio d'acqua dinanzi a sé. Ricordava praticamente ogni frangente, del suo arrivo al Castello la prima volta da studentessa; ricordava del primo, elettrizzante viaggio su una delle stesse barche attraccate al molo; ricordava ogni sensazione ed emozione, perfino lo sconvolgimento d'essere la prima Cousland da generazioni ad essere finita in una Casa diversa dai Serpeverde. Ricordava anche quanto spontaneo fosse stato formare le poche amicizie che potevano essere reputate come tali, nel corso di tutti quegli anni. Savannah ne faceva parte, incredibilmente e contro ogni aspettativa considerati i loro caratteri poco domabili, Maeve si era resa conto che l'amica non le andasse soltanto bene in quanto rapporto occasionale. In poco tempo Savannah era diventata presente ed importante, più di quanto lei stessa si fosse resa conto prima d'averla persa. Farglielo comprendere, senza mostrarsi vulnerabile e ridicola, era un concetto che non riusciva a mandar giù tanto facilmente. « Sono contenta che tu mi abbia scritto. » ruppe il silenzio ricalato, iniziando il reale discorso con dolcezza, lanciando una rapida occhiata furtiva verso la bionda; ritornando poi a perdersi verso il lago per non tentennare in base alle sue reazioni. « E mi dispiace, che la situazione sia degenerata così tanto, andando avanti così a lungo. » okay, un passo alla volta. « Mi dispiace anche per le lettere, inizialmente pensavo davvero che avremmo potuto chiarirci in quel modo... Ma man mano che ci scrivevamo, non lo so, l'ha vinta il risentimento. In quel momento credevo che avresti capito, che non potesse essere sul serio così inconcepibile che abbia scelto Lui, fra tutti. » provò a spiegare ancora con estrema calma, sollevando una mano per prendere a giocherellare con una ciocca di capelli lasciata sciolta lungo le spalle. Unico gesto nervoso, nella completa immobilità del resto del corpo. « E almeno su questo rimango ferma sulla mia idea: sicuramente lo rifarei, ma seguendo un approccio completamente diverso nei tuoi riguardi. » aggiunse decisa, per quanto riguardava quello che aveva per errore considerato il punto focale della nascita dei contrasti. « In questi giorni ho avuto modo di pensarci fin troppo, e credo d'aver capito che a conti fatti il problema non riguardi neanche Derek. La questione coinvolge soltanto me e te. Io che in quel momento ho fatto soltanto ciò che volevo, non calcolando i danni collaterali. » s'affrettò ad aggiungere, prima che la Serpeverde potesse giungere ad altre conclusioni frettolose. Lei almeno, stava tentando d'ammettere le sue "mancanze", seppur risultando più turbata di quanto avesse voluto inizialmente. Più che ragionare utilizzando la testa, stava dando libero sfogo alle emozioni che tanto ricacciava. « Ti assicuro che continuo a pensarci costantemente, a cosa possa aver detto o fatto, per costringerti ad allontanarti così tanto... Sono arrivata a pensare che semplicemente, sia stata l'intera situazione, lo sconcerto e il contesto generale a far da innesco per i nostri caratteri. Però ti assicurò che non c'era nulla di intenzionale da parte mia, niente di ciò che è accaduto quella sera era calcolato o mirato a... ferirti. » sospirò, sfociando in una breve pausa per capire se Saw la stesse ascoltando, recependo il reale messaggio d'ogni parola senza intestardirsi sull'altezzosità. « Ho sbagliato anche nel credere che volessi usare Ella contro di me. Questo è ciò che più mi rammarica, ma ero talmente arrabbiata con te, sono talmente infuriata con te per avermi messo in testa un'infinità di ipotesi sbagliate allontanandoti... anziché parlarmi. » alzò gli occhi al cielo, seguendo il fruscio e l'alzarsi in volo di un imponente stormo di uccellini, abbandonando gli alberi dall'altro lato del porticciolo. « Non prendere tutto questo come una resa incondizionata o un comportamento accondiscendente. Odio essere trattata con indulgenza e non lo farò di certo con te. Ha ferito anche me, continua a ferirmi il tuo trattarmi come un'estranea... Ma sono anche del parere che a volte, orgoglio e testardaggine, non possano portare nulla di buono. A volte, quando si tiene ad una persona, magari si può sorvolare su contrasti ed apparente inconciliabilità. » continuò mordendosi le labbra fra una parola e l'altra, decidendosi finalmente a voltarsi del tutto verso l'altra ragazza, non decisamente la sola a cui quelle parole fossero indirizzate. Anche Maeve stessa, stava venendo a patti coi propri difetti caratteriali: l'orgoglio, che continuava a bruciarle irragionevolmente per quello sforzo d'aprirsi così tanto; e la testardaggine, che aveva portato entrambe a quel punto di "rottura" dopo settimane di totale assenza l'una nella vita dell'altra. « Anche se sono ancora confusa ed arrabbiata, mi manca ciò che eravamo. » a dispetto del malumore e dell'intero discorso, le sfuggì un minuscolo sorriso. Forse ammetterlo a voce, mentre ricercava lo sguardo cristallino della Hamilton, segnò il rilascio di un altro peso consistente che non sapeva nemmeno d'aver tenuto sul petto fino a quell'istante. « E magari niente potrà tornare come prima, quando qualcosa si rompe, ripararlo non sempre funziona... anzi si rischia perfino di peggiorare il tutto. Però voglio provarci a recuperarti. » Se lo vuoi.

     
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    Con quale parametro noi esseri umani misuriamo una vita? Anni? Giorni? Momenti? Ciò di cui siamo certi è che abbiamo una sola possibilità e non possiamo sprecarla. Nella vita non esiste un tasto di reset, un tasto per cancellare tutto come in un qualsiasi videogioco babbano. Se sbagliamo non possiamo semplicemente premere un pulsante e ricominciare da capo, dobbiamo affrontare i nostri errori, coraggiosamente, volenti o nolenti perchè nessuno lo farà al posto nostro e nessuno si rimboccherà le maniche per noi. Savannah non si era mai presa le proprie responsabilità. La verità era che non ne aveva mai avuto bisogno. Rispondere al fuoco con il fuoco era l’unico modo che conosceva per difendere la propria reputazione. Non le era mai importato molto del giudizio delle altre persone. La verità era che la divertiva. Le piaceva guardarle, dall’alto del suo piedistallo, dicendosi che somigliavano a tante formichine laboriose, immerse nei loro problemi e nei loro affari miserabili. Aveva sentito tante dicerie sul suo conto, fin da quando era nata. Dal loro primo giorno di vita, il nome dei rampolli degli Hamilton, una famiglia particolarmente in vista nel Mondo Magico, era già stampato nelle copertine dei giornali. L’attenzione era alta nei confronti di coloro che forse avrebbero portato avanti un regno. I giornalisti di gossip sono come api che si nutrono di polline e nettare zuccherino. Inoltre, il mondo del giornalismo, viveva ancora in un’epoca particolarmente sessista. Se parlando di Derek parlavano delle sue imprese scolastiche e dei suoi impegni, per Savannah non era stato così. Veniva giudicata in ogni suo movimento e scelta. Che la sua gonna fosse stata troppo lunga o troppo corto, che fosse troppo magra o troppo grassa, qualcuno avrebbe sempre avuto da ridire sul suo modo di presentarsi in pubblico. Era come camminare sulle uova: per quanto fosse stata cauta, prima o poi uno si sarebbe rotto. Ma Savannah non aveva un carattere particolarmente influenzabile, almeno non da quel punto di vista, complice l’innata sicurezza con cui era nata, ricamata addosso come una camicia particolarmente costosa. Mai avrebbe pensato di incontrare qualcuno che avrebbe suggestionato questo suo modo di pensare. Quando aveva incontrato per la prima volta Nana, Max e Maeve non credeva affatto che un giorno sarebbero diventate così importanti per lei. All’inizio erano state alcune delle tante, persone alle quali aveva detto il suo nome e stretto la mano. Ma giorno dopo giorno era come se quelle ragazze avessero annaffiato il deserto arido dentro al suo petto permettendo ad un piccolo bocciolo di sbocciare. A dirla tutta non sapeva ancora se quella cosa le piacesse o no. C’era ancora una piccola, microscopica, parte di lei che ripeteva la stessa cosa: non è mai un bene avere delle persone a cui rendere conto. Le persone ti frenano. Spesso per bene e amore si mandano all’aria occasioni. Si decide di non andare perché ancorati da qualcosa da cui non sappiamo -e non vogliamo- separarci. Ma sapeva anche, in piena consapevolezza, che non ce l’avrebbe mai fatta da sola in tutti quegli anni. Percepì la presenza di Maeve ancor prima che questa prendesse posto al suo fianco. Erano passi leggeri, i suoi, simili ad un fruscio. Frenò la voglia di girarsi a guardarla, rimanendosene al suo posto, con lo sguardo fisso su di un punto indefinito davanti a sé. « Mi è sempre piaciuto, questo posto. Mi ricorda il giorno in cui è iniziato tutto, qui ad Hogwarts. » Si, anche a lei era sempre piaciuto. Ripensò a quella vertigine che l’aveva colta nell’ammirare l’imponenza di quella scuola, e il nodo allo stomaco che le si era formato già a King’s Cross quando mamma e papà l’avevano salutata dalla banchina. Era contenta perché entrambi avevano trovato il tempo di accompagnarla. Non era facile per loro ritagliarsi un momento dal lavoro e per Savannah fu un momento bellissimo. Il cuore le batteva così forte nel petto che pensava sarebbe sbalzato fuori. Nonostante ciò, in apparenza, Savannah era una bambina tranquilla, con il nasino all’insù, perfettamente a suo agio con tutta quella storia. Aveva tirato un sospiro di sollievo quando il Cappello aveva deciso che Serpeverde sarebbe stata la sua Casa. Non vedeva l’ora di andare nella sua stanza per scrivere la buona notizia ai suoi genitori. Nonostante si sforzasse, non riusciva a ricordare con esattezza il momento in cui Maeve era entrata nella sua vita. Così come per Max e Nana, era come se ci fossero sempre state nei suoi ricordi. Sempre di più erano diventate figure indispensabili nella sua vita. Piano piano, come quando ci si avvicina ad un animale selvatico. « Sono contenta che tu mi abbia scritto. [...] Mi dispiace anche per le lettere, inizialmente pensavo davvero che avremmo potuto chiarirci in quel modo... Ma man mano che ci scrivevamo, non lo so, l'ha vinta il risentimento. [...] sicuramente lo rifarei, ma seguendo un approccio completamente diverso nei tuoi riguardi. » Annuì appena, impercettibilmente, consapevole che a Maeve quel gesto non sarebbe sfuggito. Anche a lei dispiaceva il modo in cui si era evoluta la cosa. Nonostante Savannah fosse molto attiva nei social e passasse gran parte della giornata con gli occhi attaccati al telefonino, non amava particolarmente le corrispondenze epistolari. I toni potevano essere confusi, le parole interpretate male. Erano facili da scrivere spinti da un sentimento che, se avessimo atteso un po’ e ragionato con calma, forse sarebbe scemato rendendoci la mente più lucida e in grado di vedere meglio le cose. Rimase in silenzio, anche dopo le parole successive di Vee, dove cercava di investigare sul perché di una reazione del genere. Non si sentiva a suo agio in quel momento e nonostante cercasse di non farlo notare, aveva l’impressione che qualcosa la tradisse. Si sentiva esposta e fragile come un soprammobile di vetro attorno al quale gioca un bambino distratto. Era stato un susseguirsi di immaginazione, una valanga di pensieri che l’avevano portata a pensare delle cose, alcune sbagliate, altre invece tremendamente giuste. « Ho sbagliato anche nel credere che volessi usare Ella contro di me. Questo è ciò che più mi rammarica, ma ero talmente arrabbiata con te, sono talmente infuriata con te per avermi messo in testa un'infinità di ipotesi sbagliate allontanandoti... anziché parlarmi. » Fidati. Sarebbe stato peggio. Lo pensò e basta, restando in silenzio, certa che ancora non fosse finita. Non l’avrebbe interrotta. Le avrebbe fatto rovesciare tutto fuori, come una diga che straripava, così da poter ascoltare tutto ciò che aveva da dire e in modo che Maeve si sgonfiasse come un palloncino. Solo a quel punto avrebbe potuto allentare anche il suo di nodo. « Non prendere tutto questo come una resa incondizionata o un comportamento accondiscendente. [...] » Con la coda dell’occhio vide la rossa girarsi verso di lei, per questo trattenne una risata sarcastica. Non si aspettava niente di tutto ciò, non da lei. Non faceva parte del carattere di una che si firmava come Lady Macbeth. « Anche se sono ancora confusa ed arrabbiata, mi manca ciò che eravamo. » Si morse appena la guancia, nel lato in cui Maeve non avrebbe potuto vedere, mentre i suoi occhi continuavano a guardare un punto indefinito nelle leggere increspature dell’acqua, all’orizzonte. Alcuni secondi di silenzio, forse troppi, ma giusti per farle capire che era il suo turno. Prese un grande respiro con il naso, lasciando gonfiare il petto per poi abbassarlo lentamente, in un sibilo silenzioso. Fece scoccare la lingua sul palato, inumidendosi le labbra che si erano seccate, asciutte da un leggero alito di vento. «Non ti sarebbe piaciuto ciò che ti avrei detto se fossi venuta subito a parlare con te. Non sarebbe piaciuto a te, e neanche a me.» confessò alzando un poco il mento, quasi a voler far cadere la testa all’indietro, alzando lo sguardo verso le colline aldilà del lago. «Non parlarti è stata la soluzione migliore. Così come ho fatto con Derek e con Max.» Si chiese se Maeve sapesse ciò che le aveva confidato la sua compagna di Casata, del suo trascorso con suo fratello. Nonostante ciò era più che palese che la Hamilton, in quel periodo, avesse fatto di tutto per evitare l’intero gruppo. «Allontanarmi era l’unica cosa giusta da fare. Se fossi venuta subito da te non sarebbe successo niente di diverso rispetto a ciò che è accaduto nel nostro scambio di lettere.» Fu solo a quel punto che si voltò a guardarla. Aveva lo sguardo severo, ma allo stesso tempo era possibile scorgere uno spiraglio, un’increspatura nella sua maschera di cera. Era arrivato il momento di dare una spiegazione. «La sera di San Valentino è successo qualcosa. Nella mia testa si sono innescate alcune cose. Hai mai avuto l’impressione che i tasselli di un puzzle prendano improvvisamente forma? Quando tu hai scelto mio fratello e lui ha accettato, è stato come se qualcosa improvvisamente quadrasse.» Non era facile spiegare l’istinto, spiegare qualcosa che scatta da solo, influenzato dal cervello che ci fa vedere cose che forse in realtà neanche ci sono. «Tu te ne eri andata. Con lui, in quel modo spavaldo! Neanche mi hai guardata, neppure mi hai salutata, niente di niente, come se non esistessi! Non sto dicendo che devi chiedere il mio permesso per uscire con mio fratello, ma cazzo Maeve, io ero lì! E tu ti sei comportata come se non ci fossi. Persino io mi sarei rivolta uno sguardo! Non ti è venuto in mente neppure di guardare la mia espressione. Potevo essere felice, triste, a te non è importato niente!»
    Strinse la mascella, voltandosi nuovamente verso le acque tranquille del lago, avendo l’impressione di stare annaspando. Era arrabbiata, ma lucida allo stesso tempo. Respirò profondamente, buttando fuori l’aria in un lungo soffio calibrato tra le labbra appena dischiuse. «Ho scritto a Derek dopo San Valentino, chiedendogli delle spiegazioni. E tra le righe ha persino avuto il coraggio di rinfacciarmi Roman..» “L’asino a cui viene dato del cornuto dal bue”, così si era firmato nella sua lettera, facendo gridare silenziosamente la Serpeverde. Come aveva potuto? Era chiaro che quella fosse una ferita ancora aperta, nonostante lei cercasse di mostrare il contrario. Aveva avuto l’impressione che lui, sangue del suo sangue, l’avesse pugnalata dritta al cuore, senza pietà. «Poi mi hai mandato quella lettera.. Accusarmi di aver portato Ella nel gruppo solo per farti un dispetto..» Il suo tono era leggermente deluso. «Tu pensi davvero che ti farei una cosa del genere? Se è così non mi conosci affatto, Maeve. L’avrei fatto a chiunque altro, ma non a voi e credevo tu lo sapessi.» scosse appena la testa, stringendosi nelle spalle. «E’ stato come un secondo innesco. Sembrava che tu e Derek cercaste disperatamente un antagonista per la vostra storiella. Almeno l’impressione era quella.» Sospirò. «Ora so che non è così, ma questo è ciò che vedevo in quelle righe.» Confessò, sentendosi di poco più leggero il petto, ma senza riuscire a togliersi di dosso quella sensazione di disagio che l’avvolgeva ogni qualvolta sentiva la sua anima esposta. «Non ho intenzione di chiederti scusa per averti evitata. Fidati, è stato meglio così.» Ribadì per la seconda volta. Non poteva pensare a tutto ciò che sarebbe uscito dalla sua bocca se fosse andata subito da lei. «Avevo bisogno dei miei spazi, per pensare, per riflettere. E l’ho dovuto fare, ferendo anche me stessa.» Si sentiva vuota, come se tutte quelle parole fossero finalmente servite a qualcosa. «Ti chiedo scusa per averti coinvolta in qualcosa di più grande della serata di San Valentino. E’ stato un susseguirsi di cose che mi ha portata a non vederci più e a costringermi a tirarmene fuori per un po’.» Si morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo sulla punta delle sue scarpe. «Anche a me manca la tua presenza, Maeve. E’ stato difficile starvi lontana.» Confessò quasi come vergognandosene, non abituata a tirar fuori ciò che custodiva dentro il suo guscio. «E ora sono pronta per riprovarci.» Se lo vuoi.
     
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    Superare il muro della propria razionalità, per agire lasciandosi trasportare dall'istinto invece di usare la logica, era un concetto piuttosto utopistico per Maeve. Sin da bambina, le erano stati inculcati insegnamenti sulla condotta psicologica, addestrata ad allenare il ragionamento piuttosto di prendere decisioni e giungere a conclusioni spinta dall'influenza delle emozioni. Il pensiero razionale, l'aiutava ad agire in modo da raggiungere con più probabilità ogni obiettivo che si prefissava: che si trattasse di vincere un dibattito, ottenere tutto ciò che riteneva opportuno o spiccare nella massa, la capacità di raziocinio era presumibilmente ciò che considerava uno dei suoi punti forti. Credenza corretta, ma soltanto a metà. L'autoimmagine che aveva di sé, la proiezione idealizzata di persona ragionevole e coerente, veniva meno perfino alla rossa stessa quando di mezzo alle variabili finivano i sentimenti ed i rapporti. La capacità di posporre il giudizio, sbiadiva di fronte alla complessità comportata dai legami; e forse era dovuto proprio alla sua impreparazione sul lato emotivo delle faccende, se concedeva a pochi il privilegio d'oltrepassare la facciata di sicurezza che mostrava ai più. Savannah, sulla carta, non c'entrava assolutamente nulla con lei. Erano diverse - forse troppo - eppure quell'inspiegabile diversità aveva fatto sì che col tempo entrambe raggiunsero un punto d'incontro. Avvenimento sicuramente incomprensibile perfino alle ragazze stesse. Proprio l'insieme di queste consapevolezze, e la certezza d'essersi aperta con la bionda degli Hamilton come faceva con pochi, aveva fatto sì che la prima vera frattura si creasse per Maeve. Se inizialmente aveva creduto che il problema fosse nato dal suo inaspettato avvicinamento a Derek, col passare delle settimane e il distacco dell'amica, era giunta alla conclusione che il fratello c'entrasse soltanto relativamente. La frustrazione, e l'indignazione, dell'approccio utilizzato da Saw per risolvere quello che agli occhi della Corvonero era apparso come un capriccio, aveva poi segnato a tutti gli effetti la sua resa: aveva concesso alla Serperverde i suoi spazi, evitandola e lasciando che fosse il tempo a decidere cosa ne sarebbe stato della loro amicizia. Le tante settimane passate, da quell'unico scambio di lettere avvenuto in preda all'orgoglio ferito, avevano gradualmente spento ogni traccia di speranza sul fronte riavvicinamento. Savannah aveva iniziato a mancarle sul serio, ragione per cui quando le era arrivato il suo gufo, aveva subito preso a vagliare come comportarsi. Una volta giunta al luogo dell'incontro però, ogni discorso preconfezionato e pensiero alterato dalla rabbia svanì nell'entrare in contatto con la figura dell'amica. Interruppe il silenzio per prima una volta di fianco alla bionda, lasciando che fosse proprio quella parte emotiva che tanto rinnegava a prendere parola. Un'altra persona forse, avrebbe utilizzato un approccio ancora più empatico, per riappacificarsi con l'altra; ma Maeve non avrebbe mai utilizzato i cosiddetti guanti bianchi con l'Hamilton, soltanto per rabbonirla. Non reputava Savannah una stupida, non avrebbe perso altresì il suo tempo in caso contrario. Sei solo incredibilmente distante. Distanza che Vee provò a colmare allontanando il proprio disappunto per la situazione, riversando all'esterno il fiume di pensieri confusi che si ritrovava nella mente, parlando alla ragazza con un'apparente pacatezza che non aveva nulla a che vedere col fuoco che le ribolliva dentro. Quel fuoco alimentato dall'orgoglio, la testardaggine e l'animosità soffocata del suo carattere, non erano ciò che voleva mostrare a Saw.
    ezgif-4-223877bc8ad5 Soltanto quando riuscì a condividere ogni traccia di dubbio e pensiero inespresso, che la bionda le lasciò esternare in maniera tutt'altro che laconica, sospirò sommessamente - in preda ancora ad un forte senso di frustrazione, ma anche indicibilmente sollevata per aver iniziato ad esporre il suo punto di vista. Ricordati che cambiare opinione e fare il primo passo è sintomo di forza, non di debolezza. Avrebbe voluto aggiungere infine, un monito per entrambe, ma che si tenne per sé per ricalare in un graduale silenzio. «Non ti sarebbe piaciuto ciò che ti avrei detto se fossi venuta subito a parlare con te. Non sarebbe piaciuto a te, e neanche a me. Non parlarti è stata la soluzione migliore. Così come ho fatto con Derek e con Max.» Attese quelli che le apparvero secondi fin troppo lunghi ed opprimenti, prima che Savannah si decidesse a concederle una risposta. Per uno scambio di sguardi, dovette attendere un'altra manciata di minuti, contatto visivo in grado di farle finalmente scorgere lo stato d'animo della bionda attraverso le iridi chiare famigliari. Seppur nel complesso diverse, erano entrambe fiere ed orgogliose, nessuna delle giovani studentesse avrebbe ammesso quanto quella faccenda avesse alterato l'equilibrio interiore - non solo - della loro amicizia; eppure alla rossa bastò un'occhiata nel mare azzurro degli occhi della Serpeverde, per scorgerci un piccolo bagliore di speranza infondo a quel tunnel percorso negli ultimi mesi. Annuendo, così da spronarla a continuare, agganciò una ciocca di capelli dietro un orecchio, tornando poi ad incrociare le braccia sul petto. «La sera di San Valentino è successo qualcosa. Nella mia testa si sono innescate alcune cose. Hai mai avuto l’impressione che i tasselli di un puzzle prendano improvvisamente forma? Quando tu hai scelto mio fratello e lui ha accettato, è stato come se qualcosa improvvisamente quadrasse.» Per Max, sicuramente. Aggrottò la fronte con aria perplessa, tirando un respiro profondo per quell'ulteriore complicazione che si era venuta a creare con Maxime. « Sì, credo di sapere a cosa ti riferisci. Ma preferisco non esprimermi, riguardo a quell'altra faccenda. » Perché non mi riguarda ed in teoria non dovrebbe riguardare neanche te, ma il solo fatto che entrambi l'abbiano tenuto nascosto, potrebbe farcelo tradurre in un'infinità di modi sbagliati. Soltanto loro sanno cos'è realmente accaduto. «Tu te ne eri andata. Con lui, in quel modo spavaldo! Neanche mi hai guardata, neppure mi hai salutata, niente di niente, come se non esistessi! Non sto dicendo che devi chiedere il mio permesso per uscire con mio fratello, ma cazzo Maeve, io ero lì! E tu ti sei comportata come se non ci fossi. Persino io mi sarei rivolta uno sguardo! Non ti è venuto in mente neppure di guardare la mia espressione. Potevo essere felice, triste, a te non è importato niente!» Scosse la testa, con più energia di quanto avrebbe voluto. Maeve non ne aveva la certezza, ma aveva ormai ripercorso talmente tante volte quel preciso momento, d'aver iniziato a capire che avessero una visione completamente diversa di ciò che era accaduto quella sera di Febbraio. Era difficile decidere e stabilire chi delle due avesse le reale dinamica dei fatti, anziché la distorta trasposizione personale. Alla Cousland se non altro, sembrava di essere in precario equilibrio su di un precipizio: qualsiasi parola/movimento sbagliato, non avrebbe fatto altro che alterare la sua scomoda posizione, con la tachicardia, i tremori e i capogiri a tradire quella sua debolezza. Non era la paura delle altezze tuttavia, a farle temere di perdere il controllo di sé. In quell'istante, desiderò essere meno Maeve, meno propensa a voler avere sempre e comunque l'ultima parola e vincerla a discapito di tutto e tutti. Era ciò che era accaduto quando aveva scelto Derek facendo appello al libero arbitrio, era ciò che avrebbe voluto rinfacciare a Saw se soltanto avesse lasciato le redini dell'autocontrollo. C'era molto più in gioco, per lei, che definire chi delle due avesse la piena ragione. « Non è vero. Ti ho guardata, ho cercato il tuo sguardo ed ho intravisto quanto sconcertata fossi. Non lo so cosa sia successo in quei minuti Savannah, c'era così tanta confusione, Weasley continuava a blaterare e forse... non ci siamo trovate. È accaduto tutto così in fretta. Credi davvero che se mi fossi fermata a parlarti, lì davanti a tutti, sarebbe cambiato qualcosa? » domanda retorica, a conclusione dell'intero discorso che le rivolse priva di qualsiasi tipo di irritazione nel tono di voce e nell'espressione, che tentò di mantenere imperturbabile. Ci stava tentando perlomeno, nell'apparire ancora pacata e propensa al dialogo costruttivo. « Cos'avrei dovuto dirti? Oh, scusa Saw sto per uscire con tuo fratello. Però tranquilla, nulla di personale contro di te. Dopo ti aggiorno, se le cose vanno bene! Sarebbe stato peggio. » accigliandosi impercettibilmente, spostò gli occhi verso un punto imprecisato del lago, una pausa necessaria per non permettere al suo rinomato sarcasmo di prendere il sopravvento e rovinare tutto portando la Hamilton sulla difensiva. « Sì, forse avrò sbagliato atteggiamento, riconosco di non essere il massimo quando si tratta di empatizzare o capire quanto impatto potrebbero riscuotere le mie azioni sui sentimenti degli altri... ma Saw, ti sei allontanata per settimane trattandomi come un'estranea, perché non ti è andato bene un mio singolo approccio che reputi tutt'oggi sbagliato. Senza darmi vere spiegazioni o la possibilità di rimediare. Hai idea di quanto questo possa aver ferito me? » No, non lo sai. «Ho scritto a Derek dopo San Valentino, chiedendogli delle spiegazioni. E tra le righe ha persino avuto il coraggio di rinfacciarmi Roman..» A quelle parole l'acredine nei confronti dell'amica scomparve quasi all'istante. Fece un cenno d'assenso con il capo e la fissò, avvicinandosi di un passo che non la smosse poi di molto. Facendosi più comprensiva, la guardò visibilmente più intenerita. Anche se Savannah non ne parlava spesso direttamente, Vee sapeva quanto i trascorsi con Roman fossero un campo minato da trattare. Tirarlo in ballo, da parte di Derek, avrebbe potuto essere considerato come un tiro basso... Ma se aveva iniziato a capirci qualcosa, di quel ragazzo dalle infinite sfaccettature che ancora faticava a catalogare, probabilmente l'intenzione non era stata quella di ferire la sorella. Magari voleva soltanto farti capire la sua posizione, Saw? «Poi mi hai mandato quella lettera.. Accusarmi di aver portato Ella nel gruppo solo per farti un dispetto.. Tu pensi davvero che ti farei una cosa del genere? Se è così non mi conosci affatto, Maeve. L’avrei fatto a chiunque altro, ma non a voi e credevo tu lo sapessi. E’ stato come un secondo innesco. Sembrava che tu e Derek cercaste disperatamente un antagonista per la vostra storiella. Almeno l’impressione era quella. Ora so che non è così, ma questo è ciò che vedevo in quelle righe.» sbuffò, in silenzio, evitando di ritornare sulla questione Elladora sulla quale si era già ampiamente espressa. Un errore di valutazione, stupido e infantile da parte sua, uno dei motivi per cui non tollerava agire spinta dal puro istinto. Se avesse seguito l'impeto del momento, anche in quella precisa conversazione, avrebbe ribadito all'amica di smetterla d'attribuire termini come "storiella" al rapporto che stava iniziando ad instaurare col moro. Non sapeva nemmeno lei, a conti fatti, quale termine sarebbe stato più appropriato utilizzare. Ed in teoria non aveva idea nemmeno di "cosa" si trattasse, tuttavia non era il contesto giusto per interrogarsi o correggere la Hamilton. «Non ho intenzione di chiederti scusa per averti evitata. Fidati, è stato meglio così.» Aprì la bocca per dire qualcosa, ma cambiò idea, scrollando le spalle nel prendersi un attimo per riflettere prima di controbattere. « Non voglio delle scuse. Non mi interessa stabilire chi abbia o meno ragione, perché anche se non condivido il tuo approccio, io ci ho provato a mettermi nei tuoi panni. E sai cosa? Oggi, anche a fronte di ciò che so su tutto il resto, le riconosco le tue ragioni. Non chiedermi di approvare il modo in cui hai deciso di risolverla però. Ti ho rispettata, dandoti i tuoi tempi, ma cosa hai ottenuto col distacco forzato? Siamo stati tutti male, per una situazione che avremmo potuto risolvere parlandone insieme. » Senza quest'assurda guerra psicologica. Perché per me è così che vanno affrontati i problemi con le persone a cui si tiene: discutendo, dialogando, ammettendo le proprie colpe senza condannare nessuno in maniera distruttiva. « [...] Anche a me manca la tua presenza, Maeve. E’ stato difficile starvi lontana. E ora sono pronta per riprovarci.» Alla rossa non servì neanche continuare a fissare l'amica, per interpretare la sfuggevolezza del suo sguardo. Le rivolse un breve sorriso, combattuta dal desiderio irresistibile di sporgersi in avanti soltanto per abbracciarla, e la vocina nella testa che le diceva d'evitare effusioni così calorose quando l'altra avrebbe potuto allontanarla. Esausta mentalmente ed emotivamente, alla fine la vinse la volontà a voler creare un ulteriore contatto, per cui sciolse la presa delle braccia per allungare una mano verso la bionda. Ne ricercò la stretta in un gesto d'affetto, aumentando la vicinanza a tal punto da riconoscere il profumo di Saw librarsi nell'aria. « Non ho mai creduto agli stupidi cliché e i pregiudizi, secondo i quali due come noi non possano essere amiche. Anche se siamo diverse, è una delle cose che amo di più della nostra amicizia. » Un altro dettaglio di cui mi sono resa conto in questi mesi. « E ormai non riesco ad immaginare un futuro in cui non condividiamo i nostri successi. Insieme. » Che nel linguaggio arzigogolato di Maeve Cousland, voleva dire: ti voglio bene Saw, ma sono troppo orgogliosa per dirlo ad alta voce per prima.

     
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    Savannah Hamilton si scoprì a pensare a quelle ultime settimane, quei giorni durante i quali si era imposta di non avere contatti con quelle che erano le persone più importanti della sua vita. Si era sentita isolata e, a suo malgrado, aveva dovuto ammettere l’evidenza: era sola. Non le era mai stato chiaro come in quel momento. Aveva sempre l’impressione di essere circondata di persone, di feste, volti noti del panorama più in del mondo magico. Aveva tutto, il mondo sul palmo della mano. Eppure, era come se le mancasse qualcosa. Pensava di poter sopravvivere per conto suo, di essere una di quelle persone che non hanno bisogno di nessuno. Era una regina cosparsa di pietre preziose che però non valevano niente se non c’era nessuno che potesse guardarle. Anche le regine hanno bisogno degli altri, quello era stato il pensiero che infine si era insinuato nella sua mente. « Sì, credo di sapere a cosa ti riferisci. Ma preferisco non esprimermi, riguardo a quell'altra faccenda. » Quindi anche lei lo sa. La guardò con la coda dell’occhio, cercando di cogliere l’espressione nel suo viso. Non sembrava voler aggiungere qualcosa, almeno non su quell’argomento. Avrebbe voluto chiederle cosa provava, come si sentiva. Ma non lo fece. Continuò nel suo sproloquio, con quelle parole che per tanto tempo si era tenuta dentro. La Corvonero aveva scosso energicamente la testa, i capelli che le oscillavano sulle spalle come fiamme vive. « Non è vero. Ti ho guardata, ho cercato il tuo sguardo ed ho intravisto quanto sconcertata fossi. Non lo so cosa sia successo in quei minuti Savannah, c'era così tanta confusione, Weasley continuava a blaterare e forse... non ci siamo trovate. È accaduto tutto così in fretta. Credi davvero che se mi fossi fermata a parlarti, lì davanti a tutti, sarebbe cambiato qualcosa? » C’era qualcosa di estremamente diverso tra loro, qualcosa che le distingueva in modo metto e deciso: il temperamento. Savannah era come un fuoco d’artificio, energia vibrante, pareva nell’eterna attesa che qualcuno accendesse la miccia. Maeve invece pareva voler tener strette, a tutti i costi, le redini di quella ragione alla quale si aggrappava in qualsiasi situazione. Era difficile stabilire quale dei due estremi fosse il migliore. Forse, semplicemente, nessuno dei due. Erano due poli opposti, un’accoppiata improbabile sulla quale probabilmente nessuno avrebbe scommesso. Scommesso. «Non ho mai pensato che tu dovessi fermarti a dirmi qualcosa. Dico solo che c’è differenza tra parlare ed ignorare...» Il tono della sua voce era diverso da quello ragionevole e calibrato dell’amica. Pareva trasparire più emozioni di quanto in realtà volesse fare. ... E forse potrei essermi sbagliata. Ma non lo disse. « Cos'avrei dovuto dirti? Oh, scusa Saw sto per uscire con tuo fratello. Però tranquilla, nulla di personale contro di te. Dopo ti aggiorno, se le cose vanno bene! Sarebbe stato peggio. » Si, lo sarebbe stato. Si morse le labbra inspirando a fondo dalle narici. Espirò allo stesso modo. Ascoltò le parole della Corvonero, sentendosi punta in qualcosa su cui davvero non aveva ragionato: i sentimenti di Maeve. Nelle settimane successive a San Valentino si era chiusa in sé stessa, indossando il velo del lutto, sentendosi come l’unica parte lesa in tutta quella faccenda. Si era convinta che gli altri dovessero provare rispetto per quella sua decisione, quasi fosse una vedova affranta. Come al solito aveva fatto si che il mondo girasse attorno a lei, preoccupandosi solo di smaltire tutta quella storia come una brutta sbornia. Tempo. Si era fatto impalpabile e pareva quasi scivolarle via dalle dita come sabbia sottilissima che lei osservava inerme, senza neanche provare a stringere i pugni per provare a trattenerla. Non si era messa fretta. Non avrebbe mai fatto qualcosa contro la sua volontà. Neppure lei sarebbe stata capace di affrontare Savannah Hamilton. Sapeva di aver bisogno di aspettare, di leccarsi le ferite e ragionare su ciò che era successo. Era importante quanto tempo sarebbe passato? Credeva di no. Certo, le sue amiche le mancavano, ma era più che consapevole del fatto che rivederle avrebbe solo peggiorato la situazione. Doveva resistere. Non aveva pensato all’arma a doppio taglio che stringeva tra le mani. Quella decisione aveva fatto male a lei quanto a loro. Eppure, continuava a pensare, era stato meglio così. Se le avesse affrontate, era certa, quella lama si sarebbe fatta ancora più affilata.
    « Non voglio delle scuse. Non mi interessa stabilire chi abbia o meno ragione, perché anche se non condivido il tuo approccio, io ci ho provato a mettermi nei tuoi panni. E sai cosa? Oggi, anche a fronte di ciò che so su tutto il resto, le riconosco le tue ragioni. Non chiedermi di approvare il modo in cui hai deciso di risolverla però. Ti ho rispettata, dandoti i tuoi tempi, ma cosa hai ottenuto col distacco forzato? Siamo stati tutti male, per una situazione che avremmo potuto risolvere parlandone insieme. » Scosse la testa, più energicamente di quanto avesse immaginato. Delle ciocche di capelli le scivolarono davanti al viso e lei fu costretta a portarsele dietro le orecchie con le dita. «Non ti chiedo di approvare il mio metodo o di capirlo. Ti chiedo di accattarlo perché se fosse andata diversamente dovremmo chiederci scusa di cose ben peggiori.» Ma forse su questo la penseremo sempre diversamente. «Io non sono come te, Maeve.» Si strinse le braccia al petto, infossandosi appena nelle spalle. Forse siamo totalmente opposte. «Io non mi fermo a studiare a tavolino la situazione, cercando una soluzione. Non ne ho la razionalità.» Socchiuse gli occhi nel momento in cui un soffio di vento le carezzò le guance, facendole pizzicare la punta del naso. «E credimi se ti dico che allontanarmi sia la cosa più razionale che io abbia fatto. E l’ho fatto perché ti voglio bene.» Le era uscito senza che se ne rendesse conto. Non se ne stupì neanche più di tanto. «Se fossi stata la solita Savannah ti avrei urlato contro le peggio cose, cose che neppure pensavo.» Chiuse gli occhi, inspirando lentamente. Sollevò leggermente la punta del naso verso l’alto. L’aria era umida. Forse da lì a breve sarebbe piovuto. Sospirò. «E non me lo sarei mai perdonato.» L’aveva ammesso. Aveva la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba. Non era abituata a smancerie, ma anche se il suo orgoglio pareva uscirne ferito, il calore che le si allargò sul petto fu enorme. Forse avrebbe dovuto farlo più spesso. Almeno con loro poteva concederselo. Almeno con loro. Percepì la mano di Maeve, leggera come una piuma, il dorso della sua mano che pareva emanare un’energia così densa da poterla toccare. « Non ho mai creduto agli stupidi cliché e i pregiudizi, secondo i quali due come noi non possano essere amiche. Anche se siamo diverse, è una delle cose che amo di più della nostra amicizia. E ormai non riesco ad immaginare un futuro in cui non condividiamo i nostri successi. Insieme. » Insieme. Fu solo in quel momento che, con uno slancio di coraggio, afferrò la mano della Corvonero, incrociando le dita con le sue e stringendo appena la presa. Il suo sguardo vagò per la laguna, lì dove il confine tra l’acqua e la terraferma appariva solo come una linea sottile. Era difficile dire con precisione dove finiva una ed iniziava l’altra. Inspirò ed ebbe l’impressione di poterlo fare con più leggerezza. «Forse la verità è che siamo così testarde da non volerla dar vinta a tali cliché e pregiudizi..» Per la prima volta da quando erano lì, qualcosa di simile ad una risatina le risalì su per la gola, facendola sentire improvvisamente più leggera. «E’ una fortuna che siamo così diverse. Immaginami ad avere a che fare con un’altra identica a me. Saremmo a tirarci i capelli ad ogni secondo!» Fu solo allora che trovò il coraggio di voltarsi verso di lei. Cercò il suo sguardo rivelando, dopo tanto tempo, la voglia di sorriderle. «Amiche.» No. Non era una domanda.

     
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