I don't need a hand to hold

R. B.

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    Sei nervosa ultimamente, irritabile. Vorresti poter incolpare il ciclo della tua cattiveria più pesante del solito, ma il maledetto è ancora troppo lontano per influire sullo stato d'animo e addossarsi la responsabilità dei tuoi loschi pensieri. Hai persino litigato con Pride qualche giorno fa, e ancora non sei andata da lui a chiedergli scusa con un abbraccio pentito come fai di solito. La cosa più grave, quella che ti disturba di più, è che forse non c'è nemmeno una ragione ben precisa sul motivo della tua intrattabilità: ti sei svegliata un mattino con il piede storto e le palle girate a mille, convinta che il giorno dopo ogni cosa si sarebbe sistemata. In fin dei conti, capita a tutti di avere una giornata no, giusto? Ma, appena aperti gli occhi, ti sei resa conto che invece le cose facevano schifo come prima, che niente è cambiato e che tu sei semplicemente una povera illusa, speranzosa di affidare il buonumore a cose come il tempo meteorologico, la gente che ti circonda e robe cretine tipo il canto degli uccellini.
    Sdraiata sopra le coperte come un manichino di pezza mezzo svuotato, hai una vaga idea di svegliare le tue compagne di stanza per iniziare una lite o una sorta di rissa femminile con tanto di capelli strappati e cuscinate, così, perché non hai niente di meglio da fare e vorresti soltanto sfogarti. C'è qualcosa che preme sul cuore, e ti fa venire una gran voglia di piangere e gridare, ma l'unica cosa che riesci a fare è startene seduta immobile, con gli occhi vacui ed inespressivi, proprio come quelli di un manichino. È a questo punto che ti viene voglia di fare due passi, per sgranchirti le gambe e smettere di ascoltare quel silenzio così dannatamente opprimente.
    È notte fonda, e la Sala Comune non è particolarmente ospitale, ma è sicuramente meglio di quelle lenzuola troppo calde e aggrovigliate che hai buttato in fondo al letto con un sospiro stizzito qualche minuto prima. Non sai se sperare che ci sia qualcuno o meno; tutto fuorché il responsabile della tua Casata. Be', potevi essere lì perché... perché sei sonnambula. Regge, no? Cosa possono farti, mica è colpa tua.
    Con gli occhi mezzi chiusi non noti subito la figura seduta sopra una delle poltroncine, per un attimo rimani ferma ad osservarlo da dietro un pochino interdetta. Per poi decidere che no, non ti frega troppo della sua presenza. «Ehilà-» Robert? Rudolf? R... «-biondo» lo saluti senza nemmeno guardarlo in faccia, prima di buttarti distesa sul divano di pelle che di solito odi da morire ma non in quel momento. Ovviamente i pantaloncini di raso non aiutano a dare attrito, e in meno di tre secondi ti ritrovi con il culo mezzo dentro e mezzo fuori e i gomiti sprofondati nei cuscini, cercando di rimetterti seduta e darti un minimo di contegno. «Be'? Che fai qui, se pensi di fare cose schifose pensando a Rowena Corvonero allora me la filo, grazie» Harriet 1, social skills 0. In effetti non sei stata un granché carina, potevi evitarglielo, al poveraccio. «Stavo scherzando, ha.ha. Giuro, di solito sono meglio» be', più o meno. Lo guardi con insistenza, ma non perché è carino e ha dei lineamenti davvero particolari, piuttosto per cogliere quello sguardo stranamente enigmatico e sfuggente, che vorresti afferrare con violenza e obbligare a tener fisso nel tuo per non permettergli di scappare. Ti piace avere il comando delle cose, avere tutto sotto controllo, far tue le pupille altrui. Ti permette di capire i pensieri e le intenzioni degli altri ancor prima che essi possano proferir parola, e ora ti senti disturbata dal fatto di non poter ghermire le riflessioni che il tuo Concasato sta facendo, molto probabilmente su di te. «Ti gira una partitella di qualcosa? Ma non gli scacchi, ti prego. Non ho voglia di perdere al momento» un mezzo sorriso nella sua direzione, per poi ritornare con la schiena appoggiata al materiale freddo e liscio a braccia serrate.
     
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    Si era perso a leggere. Segno del fatto che il tempo avanzasse per tutti, anche per Randy Blackwater, e che il nullafacente per eccellenza, quello che aveva campato di rendita e allineamenti astrali piuttosto fortuiti, stesse crescendo. Di più - stava leggendo a scopo ricreativo. Chiunque l'avesse visto in quel momento, avrebbe probabilmente finito per voltare la testa, con ogni intenzione di controllare una seconda volta. Per appurare di non essere stato colto dalle allucinazioni. Sempre per la storia della reputazione di cui prima, chiaro. Già, la reputazione. Quella strana, ennesima cosa nella quale, per l'ennesima volta, il biondo verde-argento pareva voler remare controcorrente. Ecco, perché mentre la maggior parte dei suoi compagni pareva volersi accaparrare i voti migliori o i complimenti più altisonanti, il biondo si impuntava nel fare tutto il contrario. A tutto quel luccichio, lui aveva sempre preferito tenere un profilo basso. Pur essendo ben lontano dalla definizione di dizionario di idiota, Randy Blackwater aveva sempre fatto il minimo indispensabile. O, per metterla in maniera ancor più onesta, aveva sempre fatto il minimo indispensabile - e talvolta nemmeno quello - nelle cose che non gli piacevano. Il resto era sempre stato regolato dal suo umore. Eppure, sebbene l'ipotesi sembrasse folle, dietro a tutta quella storia si nascondeva un intricato ragionamento. Una buona dose di calcolo. Certo, magari poteva trattarsi di una scelta che aveva finito per rivelarsi controproducente per la sua media accademica negli anni passati, ma questo non significava che non ci avesse riflettuto a lungo. Il serpeverde, a dispetto di quella che poteva essere l'opinion comune e l'idea che molti si erano fatti di lui, aveva quasi sempre una spiegazione a giustificare questa o quell'altra cosa che faceva. E ne aveva una anche per come aveva scelto di vivere l'esperienza scolastica. All'inizio, durante i primi anni, la sua media era stata buona, anche molto. Poi, attorno o al quarto, quando aveva cominciato a farsi un'idea di come girava il mondo, era precipitata. Aveva poi perso un paio di anni. E la ragione, se qualcuno solo gliel'avesse chiesta nel modo giusto, era una: non voleva aspettative sul proprio conto. Pur essendo un ragazzo piccato, era di indole troppo ribelle per sopportare la pressione. E poi aveva sempre, umilmente ma non troppo, ritenuto che fosse sempre meglio sorprendere le persone, che deluderle. E che un profilo basso fosse anche la scelta più intelligente un po' per ogni situazione. Tuttavia quell'anno, a seguito del lockdown prima e della guerra interna poi, aveva deciso di cambiare tattica. E quindi eccolo, in sala comune a tarda ora, a leggere. Perché in fondo non gli dispiaceva. Questo finché una voce non irruppe nel suo campo auditivo: «Ehilà- Femminile, la voce, tra l'altro. E una a cui non era particolarmente abituato. Ragion per cui, mosso dalla curiosità, volto appena la testa nella sua direzione. Ci fu un momento di silenzio. In apparenza breve, ma abbastanza eloquente, agli occhi di uno come Randy. Quella era la pausa da "non ho idea di chi tu sia". E non è che lo sapesse perché era questo gran veggente - non rientrava tra le sue capacità, quella - ma perché si era ritrovato spesso in situazioni imbarazzanti dove non aveva la più pallida idea di chi avesse di fronte. Ed aveva dovuto improvvisare utilizzando un appellativo generico. «-biondo» Gli angoli delle labbra di lui tremolarono, rischiando di scattare verso l'alto. Appunto. Ecco, normalmente avrebbe fatto notare alla ragazza - assicurandosi di sottolineare il proprio oltraggio di fronte alla cosa - che l'avesse notato. Ma quel giorno si sentiva magnanimo. Forse ad aiutarlo era l'abbigliamento di lei, forse il fatto che fosse carina e lui annoiato. Magari entrambe. Perciò la seguì con lo sguardo senza ancora, tuttavia, chiudere il volume che teneva in mano. Non è che certe soddisfazioni bisogni darle subito. Considerò di prendere la parola, ma si disse che non fosse ancora tempo. Si limitò dunque a seguire la concasata con lo sguardo. «Be'? Che fai qui, se pensi di fare cose schifose pensando a Rowena Corvonero allora me la filo, grazie» Il biondo sbuffò una risata dal naso.
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    « Dipende. » Aveva nel frattempo riabbassato lo sguardo sul suo fidato libro, per rialzare gli occhi chiari su di lei soltanto dopo una breve pausa ad effetto, lasciando finalmente che sulle labbra gli si dipingesse l'ombra di un sorriso furbo. « La tua supposizione è data da un interesse puramente accademico, ha una natura freudiana oppure è semplicemente un modo per distogliere la mia attenzione da quello che sto facendo? » Si era assicurato di non suonare pungente, nonostante la natura provocatoria della domanda. Non sembrava ostile - perché non lo era - più divertito dall'intera situazione. Era il genere di persona, quel ragazzo, che ti lasciava sempre col dubbio. Uno dei suoi più grandi talenti era fare esattamente quel che non andava fatto. Per esempio: poco carino rispondere ad una domanda con un'altra domanda, no? Questo era assodato. Eppure lo faceva comunque, e spesso in un tal modo da rendere difficile persino capire quale effetto la domanda che gli era stata posta avesse avuto su di lui. «Stavo scherzando, ha.ha. Giuro, di solito sono meglio» Non che ora tu sia malaccio, ma sorvoleremo. In fondo, intendevano due cose diverse. . «Ti gira una partitella di qualcosa? Ma non gli scacchi, ti prego. Non ho voglia di perdere al momento» Solo a quel punto si degnò di chiudere con un certo garbo il libro che ancora reggeva, voltandosi finalmente in direzione della giovane. La osservò per qualche istante, quasi stesse realmente ponderando la sua richiesta, poi l'angolo destro della bocca scattò verso l'alto. « Perché, non sai giocare a scacchi? » Aggrottò la fronte, per poi aggiungere: « Puoi tirare un sospiro di sollievo: oggi non mi sento particolarmente sadico. Niente scacchi. » Si passò una mano tra i capelli, in viso un'aria apparentemente indecifrabile. « È il momento del brainstorming. Chiamala un'introduzione al gioco vero e proprio, se preferisci. Perché funzioni al meglio, dovresti rispondere alle mie domande con la prima cosa che ti viene in mente. Ed evitare di barare... per quello c'è tempo. » Scoccò la lingua contro il palato, lasciando che il suo sguardo vagasse per l'ambiente semi-illuminato della Sala Comune. « Ti piacciono i giochi da tavolo? Preferisci cose meno impegnative, a quest'ora? Un elenco come un altro, al secondo punto del quale fece una pausa, come per riprendere fiato. E riportò rapidamente lo sguardo su di lei. « E soprattutto... quanti nomi e aggettivi generici utilizzerai, prima di chiedermi come mi chiamo perché non te lo ricordi? » Boom. Così, con leggerezza, come se le avesse chiesto le condizioni meteo di quella notte. Randy Blackwater e l'effetto sorpresa.
     
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