Surface pressure

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    La stanza numero sessantanove del dormitorio maschile di Tassorosso era rapidamente tornata quella di un tempo: moderatamente rumorosa, disordinata in modo non omogeneo, e teatro di battaglie notturne all'ultimo sangue per i giochi più svariati. I suoi giovani ospiti stavano lentamente ricadendo nelle vecchie abitudini, imparando a riconoscere nel sonno i consueti rumori notturni, riadattandosi con disinvoltura alla vecchia routine, e riprendendo presto a litigare per lo spazio sulle poche mensole in comune. C'era una pace curiosa, talvolta innaturale, tra i due giovani coinquilini giallo-oro. Ogni cosa pareva essere tornata esattamente al proprio posto: il ranocchio di Otis nella sua gabbia, la Firebolt di Émile dentro l'armadio, i libri sulle rispettive scrivanie, e perfino il loro kit di scherzi dei Tiri Vispi Weasley accuratamente nascosto sotto ad uno dei due letti.
    Certo, alcune cose erano cambiate. La prima, e più dolorosa, era l'assenza di Marv. Talvolta, la sera, Émile si ritrovava a fissare il povero Elvis non senza una punta d'invidia, ripensando al proprio Purvincolo segregato a Hogsmeade. Era certo che, al contrario, quest'assenza rincuorasse non poco il suo compagno di stanza - anche perché non mancava di sottolinearlo. E nonostante avesse trascorso un anno a Beauxbatons senza vederlo, ora che meno di un chilometro lo separava dal suo animaletto, gli pareva di avvertire ancora di più la sua mancanza. Assenti all'appello erano anche i numerosi poster di ogni genere che, prima della partenza di Émile ed Otis, tappezzavano le pareti della loro camera: da giocatori di Quidditch a maghi illustri, per arrivare a qualche Veela famosa. Erano tutti arrotolati in un angolo della stanza, e nessuno dei due ragazzi aveva fin'ora trovato la buona volontà di appenderli tutti di nuovo. Qualche sera prima, nel rientrare, Émile aveva osservato quel muro pulito alle spalle dei due letti a baldacchino, e si era ritrovato perfino a pensare di preferirlo quasi così. C'era anche qualche nuova aggiunta: in bagno, nel contenitore accanto agli spazzolini, due rasoi nuovi di zecca si fissavano sfidanti; nella stanza, in fondo ad uno dei due bauli, sotto alla montagna di vestiti, era nato invece un piccolo tesoro proibito: un pacchetto di sigarette quasi pieno, una bottiglia di Incendiario, insieme alle carte da collezione del Black Market vietate ai minori, che i due amici avevano scoperto l'anno precedente.
    Ma, a parte qualche impercettibile cambiamento, tutto era lo stesso. E ad Émile piaceva che fosse così. Non gli ci era voluto molto perché si sentisse di nuovo a casa, tra quelle mura. Durante il suo anno a Beauxbatons, gli pareva di non aver desiderato altro che quello: Hogwarts, Otis, i suoi amici.
    E probabilmente quei primi giorni al castello gli erano parsi un idillio anche per questa ragione: aveva così agognato questo ritorno, nei mesi passati, che ora non poteva fare a meno di celebrare ogni istante. Trascorreva i suoi pomeriggi in giro per la tenuta, quasi volesse fare ricognizione di tutti i luoghi che conosceva, per assicurarsi che fossero rimasti intatti; s'intratteneva a lungo in conversazioni con i fantasmi e i personaggi dei quadri, e più di una volta aveva tardato a lezione per via delle chiacchiere prolungate a colazione coi compagni. Le attenzioni su di lui e su Otis, poi, erano aumentate a dismisura: se prima potevano far riferimento ad una ristretta cerchia di conoscenti al tavolo di Tassorosso, adesso gli pareva che tutta la scuola avesse voglia di sentir parlare delle loro avventure d'oltremare, o avere un resoconto dell'ormai ritenuta epica rissa con Asa King e i suoi amici collegiali. Insomma, all'improvviso Émile e Otis erano finalmente diventati qualcuno a Hogwarts, ed una considerazione del genere non poteva che galvanizzare il giovane Carrow.
    « Ma invece sai chi mi ha seguito oggi su Wiztagram » si ritrovò a dire, uno di quei pomeriggi, mentre lui e Otis facevano ritorno alla loro camera, condividendo il solito pacco di Piperille. « Cathy Larson. Grifondoro. Presente? È carina. » Era un argomento frequente, tra i due, quello dell'improvviso exploit di seguito che entrambi avevano ricevuto sui rispettivi social dopo la sera della festa di Veronica. Alla fine, aveva osservato Emi con una risata divertita « è quasi valsa la pena essermi fatto spappolare la milza da King, se questi sono i risultati. » Comunque, lui con Cathy Larson ci avrebbe volentieri provato, e forse era il caso di scriverle. Sì, più tardi le scrivo, si disse, mentre si gettava di peso sul proprio letto con uno sbuffo.

    « Allora qui dice che la prima lezione è venerdì undici febbraio in Sala Grande e dura - quanto?! » Sdraiato a pancia in su sulle coperte disordinate, teneva dispiegato davanti al viso un dépliant magico che aveva reperito tra gli annunci della bacheca scolastica. « No vabbè, Otis! » dovette urlare, perché l'amico nel frattempo era in bagno. « Non puoi capire, quattro ore intere di lezio- » ma si bloccò, perché nel frattempo l'acqua correva oltre la porta del bagno e lui era certo che Otis non stesse sentendo una parola. Sbuffò, e attese pazientemente che il compagno tornasse in camera. Sfruttò quel tempo per leggere la restante parte del volantino, che pubblicizzava la prossima sessione di Corsi di Smaterializzazione, per alunni frequentanti gli ultimi due anni del castello. Émile non stava più nella pelle. Lui e Otis sin da piccoli fantasticavano sul momento in cui avrebbero finalmente preso la licenza di Smaterializzazione: aver finalmente compiuto diciassette anni, ed essere in procinto di potersi spostare liberamente per il mondo magico, senza alcun tipo di restrizione, era forse il traguardo più importante di quell'anno. « Praticamente ci sono sei lezioni obbligatorie più l'esame, e lo sai quanto dura ogni lezione, Otis? Lo sai, eh? » Fissò l'amico mentre rientrava in stanza, gli occhi ed i boccoli biondicci l'unica cosa visibile da dietro il volantino. « QUATTRO ORE! Cioè, ma cosa avranno da insegnarci per... sei per quattro... ventiquattro ore di corso! Ma nemmeno al College così tanto! Posso dire, mi sembra un poco esagerato, eh. » Scosse la testa tra sé e sé, con una certa disapprovazione, mentre gli occhi castani continuavano a scorrere il contenuto del volantino. « L'insegnante del corso si chiama Alphonse Dippet. Ma non è mica quella matta che tre anni fa ha trasfigurato le orecchie di Jacob Langwell in quelle di un somaro per punizione dopo che aveva distratto un suo compagno rischiando di farlo spaccare? » Aggrottò la fronte, spostando lo sguardo su Otis. « Se è lei siamo fottuti, sarà un corso noiosissimo. Secondo te a chi possiamo chiedere? » Rimase in silenzio, guardando il compagno - il quale, Emi se ne accorse in quel momento, pareva come perso in un'altra dimensione. « Otis? Ohi? » Niente da fare, l'aveva perso. Riuscì a risvegliarlo soltanto lanciandogli addosso il volantino. « Ma mi hai ascoltato oppure mi hai fatto parlare da solo tutto 'sto tempo? » Ridacchiò, seppur scrutando curiosamente l'amico. Non era per nulla raro che uno dei due si perdesse a fantasticare tra i propri pensieri, ma, data l'espressione curiosa di Otis, Émile sentì di volersi comunque accertare che fosse tutto a posto. « Oh, ma tutto okay? Che c'è? »
     
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    Otis aveva riflettuto molto, negli ultimi mesi – ma forse anche molto prima, forse tutto era cominciato dal momento stesso in cui aveva lasciato il Regno Unito – sul concetto di casa. Quando si ha la fortuna di crescere in un ambiente protetto, pensava, non ci si deve domandare troppo spesso che cosa significhi e cosa implichi trovarsi nel proprio posto del cuore. “Tornare a casa” significava sempre la stessa cosa, indicava sempre lo stesso luogo, le stesse mura solide fatte di cemento e pietra che l'avevano visto camminare per la prima volta da solo, cadere per la prima volta, e che conoscevano la storia di ogni lite con sua madre o con sua sorella o con suo fratello, ogni segreto che gli uni o gli altri avevano tenuto con lui. Era sempre univocamente la stessa, e Otis l'aveva pertanto data per scontata. Lasciarla per la prima volta per sei mesi, durante il suo quarto anno, non era stato particolarmente difficile, allo stesso modo in cui non è complicato il rapporto che si stringe con le cose certe, certe come il cielo, o come il sole, che ti aspetti sia sempre lì, anche quando ti volti dall'altra parte, o quando non lo guardi. Ma partire per un anno era tutt'altra storia. Ci aveva pensato tantissimo, da quando era tornato, rendendosi conto di starsi estraniando più del solito, la sua attenzione catturata dai dettagli più minuscoli, come i pulviscoli della polvere illuminati dal sole del pomeriggio, o gli odori della Sala Grande dopo i pasti, quando la maggior parte degli studenti era tornata nelle proprie stanze o si era già affrettata a recarsi a lezione. Ci aveva pensato anche quando era tornato a dormire nel proprio letto a Inverness, e le lenzuola avevano quell'odore specifico, proprio quello di casa, inimitabilmente lui, quel profumo di sole, e di vento, e di cose buone e certe. Nient'altro al mondo aveva quell'odore. E pensava a quanto l'aveva cercato, quando era stato in Giappone. Persino il cielo sembrava cambiato. Forse non l'aveva guardato abbastanza, aveva distolto lo sguardo, e pure quello gli era sfuggito di mano, pure quello segnava il divario e la distanza da casa. Non c'era niente che assomigliasse al familiare. L'unico fattore in comune era lui. La sua mente, i suoi pensieri, e il suo corpo, che portava su di sé i segni della casa che ora non trovava più. Erano pensieri un po' morbosi, si rendeva conto, forse un po' pesanti. Ma così erano stati quei mesi di prolungata lontananza da casa: la cosa più pesante e difficile che avesse mai fatto. E per quanto capisse che non fosse colpa sua, se quell'esperienza era stata così diversa dalle aspettative per lui, non riusciva a non pensare a come, prima che tutto accadesse, non era comunque riuscito a divertirsi in Giappone, neanche per un momento. E se pure rideva, e lo faceva sinceramente, si ricordava di come rideva quando era a casa, e gli sembrava che non ci fosse paragone. E quell'analisi delle differenze, quel pedante annotare tutti i motivi per cui, razionalmente, quel posto lì non era e non sarebbe mai stato casa sua, era continuato per tutto il tempo, tutti i giorni, tutte le settimane, tutti i mesi. Non dormo così, a casa. Non mangio così. Non penso così. Non rido così. Il nome per quella complicata emozione esisteva, e molto semplicemente si chiamava nostalgia, ma Otis sentiva di star inventando quell'esperienza, e che nessuno potesse mai capire quanto profondamente sentisse la mancanza di casa sua, del Castello e dei suoi amici più cari. Il segreto più taciuto di tutti era che la tragedia che si era consumata alla Mahoutokoro era stata assolutamente devastante, ma anche l'offerta di una spiegazione comprensibile e accettabile – secondo lui – sul perché quello che doveva essere il più bell'anno del suo percorso scolastico si fosse rivelato l'esperienza peggiore della sua vita. E adesso che era tornato non riusciva a godersela fino in fondo, perché già temeva il momento in cui sarebbe dovuto partire di nuovo, e già immaginava la sua mente riprendere a tracciare i contorni di tutte le cose certe che non lo erano più.
    A questo pensava, mentre passava il rasoio sul mento coperto di schiuma. Aveva imparato dal suo compagno di stanza in Giappone, che aveva
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    osservato con malcelata curiosità radersi ogni due giorni, senza osare chiedere indicazioni. Aveva 17 anni, ma prima di allora non gli era spuntato mai neanche l'ombra di un pelo sul viso, e anche se così fosse stato non avrebbe avuto nessuno di più grande a cui chiedere indicazioni – sebbene fosse certo che la madre, in qualche modo, avrebbe trovato il modo di insegnargli anche quello. Sciacquò la lama sotto il getto d'acqua, prevedibilmente e inevitabilmente diventata fredda. «Ems, puoi dare una botta al muro?» «Ma invece sai chi mi ha seguito oggi su Wiztagram» «Il muro, Ems, che non esce più l'acqua calda» «Cathy Larson. Presente? È carina» Sbuffò sonoramente, ripulendosi il mento dalla schiuma rimasta, e provvedendo da solo a colpire tre volte esatte la parete adiacente al lavandino, fuori dal bagno. «È quasi valsa la pena essermi fatto spappolare la milza da King, se questi sono i risultati». La maggior parte dei discorsi tra Otis ed Émile si svolgeva in parallelo, con casuali punti di incontro che rendevano quei monologhi ad alta voce delle conversazioni, per poi tornare a seguire il proprio corso. Nella definizione in evoluzione di casa che Otis stava silenziosamente stilando nella sua testa, quella cosa certa era tra le prime. «Puoi controllare quando ricominciano le lezioni?» Chiese distrattamente, ricominciando quel lento e meticoloso processo che gli portava via molto più tempo del dovuto.
    Lui, ad ogni modo, non aveva fatto parola di tutto quel malessere con nessuno. Non lo ammetteva neanche a se stesso, in fondo. Le implicazioni gli sembravano catastrofiche. A dire la verità, non si era lasciato il tempo di digerire neanche una delle svariate cose che gli erano accadute nell'ultimo anno. In compenso, lo seguivano ovunque questa strana frenesia e la sensazione di star dimenticando qualcosa di cruciale. Era così, sospeso, assorto, funzionante ma non del tutto presente. A volte trascorrevano ore intere e non avrebbe saputo dire come avesse occupato il tempo. «Otis? Ohi?» Seduto sul letto, immobile, come al solito, la maglietta che aveva cominciato a indossare prima di interrompersi per inseguire un altro pensiero, dimenticandosi di infilare le braccia nelle maniche, non aveva registrato neanche una parola proveniente dalla bocca di Emi. Ma questo perché la voce dell'amico era diventato un rumore di sfondo, ed era ormai abilissimo ad annullarla completamente. Come quando ci si abitua al rumore dei treni e degli aerei. «Ma mi hai ascoltato oppure mi hai fatto parlare da solo tutto 'sto tempo?» Gli volò addosso un volantino accartocciato, che Otis si limito a spiegare, ancora mezzo nudo. «Ti serve che lo legga?» Fece, come se faticasse incredibilmente a comprendere il motivo per cui l'amico gliel'avesse lanciato. «Oh, ma tutto okay? Che c'è?» Gli occhi di Otis percorsero le righe del dépliant. Sua madre lo salutava, indossava un caftano verde acqua. «Certo, tutto okay. Hai visto che quest'anno dobbiamo seguire un corso della Dippet? Te la ricordi?» Fece poi, riprendendosi un po' e finendo il tedioso processo che era indossare la maglietta. «Quella che trasfigurò le orecchie di Jacob a forma di asino» ridacchiò tra sé e sé battendo qualche colpo leggero sul letto, attutito dal morbido piumone. «Che c'è? Merlino, l'avevi già detto tu, eh?» Capì poi, captando l'espressione chiaramente seccata dell'amico. «Scusami, non so dove ho la testa in questi giorni... Eppure ho tanto da fare... C'è da rilanciare il giornalino, come ti dicevo... Poi mi sono unito al club di Teatro, lo sapevi? Te l'ho detto?» Sbuffò, passandosi una mano tra i capelli scuri e visibilmente più lunghi del solito. «Ma sì, certo che te l'ho detto, sono sicuro. E anche alla banda della scuola. Suonerò il Koto. Questo te l'ho detto sicuro» Si distese sul letto, lasciandosi sprofondare tra le soffici coperte, assumendo la posizione della stella marina. «Ma tu come stai messo per la questione della licenza per la Smaterializzazione, comunque? Io non ho ancora visto niente, mi sembra di non avere abbastanza ore in un giorno, ultimamente. A te non sembra?»


    Edited by the educator - 30/1/2022, 14:37
     
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    Che ci fosse qualcosa di non perfettamente limpido nei comportamenti di Otis, Émile aveva cominciato a fiutarlo sin dai primi giorni dal ritorno a Hogwarts. Le volte che aveva voglia di discutere qualcosa, scherzare o semplicemente passare del tempo assieme, trovava il compagno spesso sovrappensiero, insolitamente distante. Sulle prime, quell'atteggiamento l'aveva infastidito, e in una buona dose anche intimorito: e se per mesi avesse agognato il ricongiungimento con una persona che aveva perso interesse nei suoi riguardi? Poteva succedere, era successo. Per quanto riponesse una grande fiducia nel rapporto con Otis, non voleva vivere con le fette di prosciutto sugli occhi e ignorare segnali più che evidenti. Più Émile cresceva e più scopriva, inevitabilmente, che ogni cosa è destinata a mutare forma; Maddie e Nessie avevano cominciato il college, Louis non c'era più a scuola. E chi c'era per garantirgli che lo stesso non sarebbe accaduto tra lui ed Otis? Che il suo amico non avrebbe scoperto nuovi orizzonti, iniziando a giudicarlo come infantile, o peggio ancora noioso? Per quanto tentasse di scrollarsi di dosso quei pensieri, la sola idea lo terrorizzava.
    Le sue ansie si erano fatte più concrete qualche sera prima, quando, durante una partita di Black Market, aveva visto l'amico tentare un all-in con in mano un Kelpie e due Gargoyle - evidente segno di disattenzione e disinteresse totale verso il gioco. Un errore da principianti che nemmeno Maddie sarebbe stata in grado di compiere, e una mossa che, per tutte le implicazioni che portava con sé, aveva quasi ferito Émile. Non aveva detto niente, però: aveva preferito trattenere per sé la delusione e concludere la partita in maniera arraffazzonata, fingendosi troppo stanco per andare avanti. A quel punto aveva osservato con amarezza il sollievo di Otis, e si era sepolto tra le coperte senza più proferir parola. Si sentiva smarrito; come se all'improvviso anche il Black Market fosse diventato un gioco per bambini, e Otis avesse deciso di diventare troppo maturo anche per quello. Se iniziava a svanire l'interesse anche verso quella loro passione condivisa, che cosa restava?
    La lezione di Storia della Magia di qualche giorno dopo gli procurò una punta di sollievo, però. In quei giorni aveva preso l'abitudine di osservare curiosamente i comportamenti del giovane Branwell, se non altro per individuare i punti cardine di quei cambiamenti. Cosa lo stimolava? Cosa, invece, aveva incominciato a ritenere noioso? E, più che fornirgli una risposta, quell'ora di lezione lo lasciò con più domande di prima, seppur di diversa natura.
    Reduce da un anno a Beauxbatons e da programmi scolastici diversi, che soprattutto differivano nello studio di quella materia, Émile non aveva alzato la testa dal proprio quaderno per tutta l'ora: aveva trascritto ogni parola del professore, integrata con tutti gli argomenti dell'anno passato che avrebbe dovuto recuperare. A fine ora, realizzata la mole di studio immensa che lo aspettava, aveva guardato Otis con aria sconfitta, conscio che, almeno su questo, fossero sulla stessa barca. Contrariamente a quanto si aspettava, però, il quaderno di Otis era quasi vuoto, a parte qualche scritta isolata qua e là. Alla fine, Émile gli aveva dovuto prestare i suoi appunti. LUI. A OTIS. Una roba inaudita, che gli diede molto da pensare nei giorni seguenti: Otis amava quella materia, e il fatto che fosse disattento proprio a quella lezione fu per Emi la prova che qualcosa non andava al di là della loro amicizia, della distrazione e anche del Black Market.
    Così l'aveva osservato con cautela, senza tuttavia cogliere altri indizi che potessero puntare ad una soluzione del mistero. Era rimasto però vigile, in attesa, e finalmente un altro fallo dell'amico era arrivato, e lui era pronto ad indagare oltre - questa volta sul serio.
    Lo osservò leggere il depliant che gli aveva lanciato, e ripetere le sue medesime frasi, quasi con soddisfazione. E io proprio qui ti volevo. Inarcò un sopracciglio, scattando e mettendosi a sedere sul letto, così da fronteggiare il compagno, che nel frattempo stava impiegando tre quarti d'ora per infilarsi una maglia. « Scusami, non so dove ho la testa in questi giorni... » « Eh no, ma si vede » « Eppure ho tanto da fare... » « Mhm-mhm » « C'è da rilanciare il giornalino, come ti dicevo... » « Sì, con quel nome ridicolo... » « Poi mi sono unito al club di Teatro, lo sapevi? Te l'ho detto? » « Tre volte. » « Ma sì, certo che te l'ho detto, sono sicuro. E anche alla banda della scuola. Suonerò il Koto. Questo te l'ho detto sicuro. » A quelle parole si limitò ad annuire, incrociando le braccia al petto. Seguì con gli occhi i movimenti del ragazzo, che nel frattempo si distendeva sul letto e dava l'ennesima prova di non aver ascoltato una parola del suo discorso.
    « Ma tu come stai messo per la questione della licenza per la Smaterializzazione, comunque? Io non ho ancora visto niente, mi sembra di non avere abbastanza ore in un giorno, ultimamente. A te non sembra? » A quel punto Émile, visibilmente esausto, scattò in piedi. « A me sembra piuttosto che tu non abbia abbastanza neuroni attivi, ultimamente » replicò sardonico, mentre attraversava la stanza per recuperare il pacco di piperite dalla scrivania. « Fin'ora non ho letteralmente parlato di altro che della licenza di Smaterializzazione, idiota » bofonchiò a mezza voce, masticando la caramella. Rimase in silenzio qualche istante, gli occhi nocciola fissi su un punto imprecisato della stanza, l'aria concentrata.
    Inspirò profondamente, con fare deciso, e allargò le braccia mentre la sua attenzione tornava attiva sul compagno. « Okay, qui c'è qualcosa che non va, mi pare chiaro » proclamò, con la solennità che solitamente sapeva dare soltanto ai time-out chiamati durante una partita di gioco. In qualche modo, vedeva anche quel momento come un piccolo time-out tra loro due. « Non voglio fare il rompipalle, O', ma da quando sei tornato pare che ci sia qualcuno che ti stia sempre appresso per obliviarti ogni due secondi. » È frustrante, avrebbe voluto aggiungere, ma si limitò a lanciare all'amico una lunga occhiata, e a osservare di rimando la sua reazione. « Dunque, io mi sono fatto un'idea, ti dico, e nella mia testa al momento ci sono un paio di possibilità, che ora ti illustro. » Sollevò l'indice in aria, per accompagnare anche con le dita il suo piccolo elenco. « La prima: ti stanno veramente obliviando ogni due secondi. Personalmente mi sono immaginato uno Stormtrooper sotto ad un mantello dell'invisibilità che ti segue costantemente per cancellarti ogni ricordo. Seconda! » e qui l'indice fu accompagnato dal medio « Qualche nerd del secondo anno ti ha tolto il posto di Caporedattore al giornalino ed è per questo che stai impazzendo. Ipotesi per me più plausibile. Ma guarda che ti basta una parola eh, ormai qua siamo uomini di mondo, tu dimmi chi è e io lo appendo per le mutande nel bagno di Mirtilla Malcontenta. » Ridacchiò, prima di sollevare un terzo dito, a questo punto avvicinandosi di più al letto di Otis. « Katzu si è fatta di nuovo viva per farti sapere che a giugno era rimasta incinta. Un bel casino perché ora significa che stai per diventare papà e SBEM!, questo è proprio il genere di cosa che ti fa uscire di testa. »
    Émile sapeva bene che nessuna delle sue ipotesi si avvicinava minimamente alla realtà, ma, dal suo punto di vista, quella era una tattica oculata. Sciogliere la tensione con qualche battuta, provare a farlo ridere, per poi attaccare. Ed intendeva attaccare nel verso senso della parola: gli fu sufficiente un attimo di tentennamento di Otis, che se ne stava ancora sdraiato sul letto, per lanciarglisi addosso con tutto il proprio peso, con stessa la violenza di un giocatore di rugby americano. Fece anche per mettersi comodo, ignorando le proteste dell'amico, ed il fatto che stesse probabilmente soffocando sotto i suoi quasi 70 chili. « È inutile che ti lamenti, non me ne frega niente » ribadì, schivando una manata quasi per miracolo. « Non mi muovo fino a quando non avrai voglia di dirmi davvero che ti prende. » Corretto o no, questo era il suo modo di affrontare il problema. Per qualche ragione gli pareva inutile provare a ragionare, chiedere cosa non andasse, empatizzare. Conosceva bene la riservatezza di Otis, e la sua risposta, a suo dire la più efficace, era giocare d'esasperazione, fino a quando non l'avrebbe visto cedere. Un po' come quando, da bambini, si stuzzicavano a vicenda, per il semplice gusto di darsi noia. Una mossa geniale.
     
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