E non devi mai avere paura, i cani sentono l'odore

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    Ad un certo punto, per quanto uno si sforzi per far sì che non accada, i giorni finiscono con l'assomigliarsi. A volte a Tom sembrava che si confondessero, addirittura, i limiti che sanciscono la fine del giorno precedente e l'inizio del successivo. Diventano sfumati confini privi di reale significato, e tutto sembra un un'unica, interminabile e indistinguibile giornata. Normalmente, il tempo è qualcosa di cui ci preoccupiamo moltissimo, perché ci sembra di non averne abbastanza, o di averne troppo, ma comunque gli conferiamo una forma concettuale, si ragiona in termini di quantità, e pertanto in termini finiti, con un inizio, uno svolgimento, e una fine. Abbiamo così creato le ore, e i minuti, e i secondi, per aiutarci a percepirlo attraverso unità definite, confezionate. Ma non è scritto da nessuna parte che un'ora debba consistere necessariamente di sessanta minuti, e che un minuto consti di sessanta secondi, queste sono faccende umane, preoccupazioni prettamente psicologiche, nient'affatto fisiche. Un neonato non percepisce il tempo come noi, perché per lui esistono solo due stati: la veglia e il sonno. E così definisce la sua vita agli stadi iniziali, come un susseguirsi di stati, la durata dei quali non lo preoccupa, dormirà e poi si sveglierà e poi mangerà e di nuovo dormirà. Il tempo, ad Azkaban, era uno sfumare lento, un nuovo orologio, un'ora locale a cui abituarsi con calma, tutta la calma del mondo. Un fuso orario composto da cinque stati e nient'altro: la veglia, il pranzo, l'ora d'aria, la cena, il sonno (quando era fortunato).
    Non avrebbe saputo dire da quanto tempo fosse rinchiuso in cella, se le lettere che aveva ricevuto non gliel'avessero ricordato. Era stato grato sopratutto per le date che amici e familiari (solo sua madre) non mancavano di inserire nell'intestazione di ognuna di loro – un gesto automatico ma assolutamente vitale all'inizio della reclusione, quando immaginare come si stesse svolgendo la vita al di fuori delle mura di cemento nero della prigione era una tendenza ossessiva e un bisogno inappagabile. Presto era diventata un'informazione superflua, quasi irritante, un ricordo di un sistema di catalogazione dell'esistenza obsoleto e quasi un insulto. Un ricordo di come ci fossero persone a cui ancora interessava qualcosa di concetti come l'avvicinarsi del week-end, o la fine delle vacanze di Natale. Cinque stati: sveglia, pranzo, ora d'aria, cena, sonno.
    Sapeva di essere dentro dal 2 Gennaio 2021, e grazie alle ultime lettere scambiate con Nate e le saltuarie visite del suo avvocato, sapeva che fosse già Aprile, il che segnava due anni, tre mesi e diciassette giorni da quando era stato libero per l'ultima volta. Non c'è molto che si possa raccontare della vita di un carcerato che non sia già stato detto o che non faccia già parte del senso comune. Azkaban non costituiva esattamente un esempio di sistema penitenziario innovativo o progressista, per utilizzare un eufemismo, ma almeno non c'erano più i dissennatori alle porte, e ai detenuti del livello di Tom veniva concessa un'ora al giorno ogni tre giorni – che avrebbe potuto serenamente essere mezz'ora, o un quarto d'ora, o cinque minuti, o due giorni – per poter fare esercizio fisico, dedicarsi alla corsa del perimetro del cortile interno a piano terra, o per dare una mano agli elfi domestici del refettorio e delle cucine. Ad ogni modo, nello stato di annichilimento assoluto imposto dalla reclusione al carcere di massima sicurezza per la comunità magica della Gran Bretagna, c'era di positivo che presto ci si dimenticava come fosse la vita prima di entrare. Questo se si era sufficientemente fortunati da rimanerci abbastanza a lungo. Non significa che non rimanesse vivo il desiderio di uscire, chiaramente. Semplicemente cessava l'incessante ossessione con il mondo fuori, smettevi di contare, e talvolta persino di aspettare. Questo era in parte il caso di Thomas. Sin dal primo momento, l'unico pensiero era stato trovare il modo per uscire, la rabbia come unico motore, talmente implacabile da non lasciarlo riposare, invincibile al punto di farlo finire nei guai più di una volta. Non era da lui, quell'irrequietezza, lui che agiva sempre dopo attenta pianificazione, meticolosa ponderazione di pro e contro – ma che senso aveva pensare a ciò che era “da lui” quando di lui non era rimasto che il nome? No, neanche quello, perché lì dentro era un numero e nient'altro. Aveva perso la testa, questo sicuramente, in un primo momento.
    «Montgomery, hai una visita». Cooper aveva una voce insolitamente stridula per un uomo. L'Auror era tra i pochi a chiamarlo per nome, così come aveva fatto con James Potter prima di lui. Forse traeva un piacere personale a pronunciare quei cognomi altisonanti ricordando loro chi li comandasse, ora. Tom lo lasciava fare.
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    Non è facile descrivere l'aspetto di Tom Montgomery da quando era stato condannato a dieci anni ad Azkaban per un crimine che non aveva commesso. Conservava in lui qualche tratto che lo rendevano riconoscibile. Manteneva invariato lo sguardo sottile, quel vizio di mordersi le labbra e passarsi una mano tra i capelli, ormai regolarmente rasati, ma i denti erano ingialliti e storti, la pelle scavata, tesa sul cranio, gli occhi adombrati da profondi solchi neri, il corpo stranamente più possente di quando era entrato, lui che era sempre stato magro e poco muscoloso, ma sorprendentemente senza che apparisse come un fisico in salute, quanto piuttosto stranamente gonfio, teso, nervoso. La tuta, sul cui retro campeggiava il numero 93298, aveva cominciato a stargli stretta sulle spalle. Aveva tutto l'aspetto di uno condannato per omicidio. Si era concesso di terminare la serie di bench press che stava eseguendo prima di tirarsi su e allungare i muscoli delle spalle, ruotandole con movimenti rapidi. Si poteva pensare che lo facesse apposta a far aspettare la guardia Auror, concedendosi qualche secondo in più per essere certo di stretchare a dovere anche i muscoli delle caviglie e della schiena, e forse non si commetterebbe un errore di giudizio. L'Auror non aveva fatto commenti, abituato a quel suo modo di fare, a quei piccoli lussi che Tom riusciva a concedersi ora che era dentro, come non dover andare di fretta. «Di nuovo il mio avvocato?» Gli aveva chiesto mentre lo seguiva lungo i corridoi bui e riecheggianti della fortezza. «No, stavolta no. Dall'aspetto si direbbe il Principe di Monacò» aveva risposto la guardia, ridacchiando tra sé e sé per quell'uscita che non faceva assolutamente ridere. Le forze dell'ordine gli erano sempre state abbastanza sul cazzo anche prima di rivestire il paradigmatico ruolo del loro nemico. All'inizio la maggior parte delle liti le intraprendeva con le guardie. Li istigava e stuzzicava pur di potersela prendere con qualcuno, e quei poveri sfigati, impiegati di un Ministero che se ne sbatteva altamente di loro e che li relegava ad un ambiente di lavoro degradato a fare i cani da guardia a gente che fuori da queste mura se li mangerebbe vivi, lo punivano duramente, e lui permetteva loro di ricambiare il favore, facendosi oggetto di sfogo delle loro frustrazioni. Gli ci volle non più di una settimana di nottate in isolamento per capire che il problema stava proprio nel suo approccio alla faccenda: stava seguendo un copione, prestandosi a ricalcare lo stereotipo del detenuto che se la prende con le guardie, il topo in mezzo ai gatti. Presto capì che quell'atteggiamento avrebbe giocato a suo sfavore. «Grazie, Cooper.» Grazie, prego, per piacere, buongiorno, buonasera. Si era fatto ineccepibile, con i suoi cazzo di aguzzini, e non peccava mai di cattive maniere. L'Auror, decisamente ben oltre i cinquant'anni, di statura modesta e corporatura tarchiata, faceva chiaramente parte della schiera di Auror richiamati dalle loro dolci pensioni dal nuovo Ministero. Come Tom aveva immaginato, Cooper – e non solo – era incazzato nero, e per una buona ragione. Gli aveva rivolto il suo solito sorriso stretto, le braccia dietro la schiena e i polsi saldamente legati da manette incantate, prima di superarlo e entrare nella sezione della fortezza predisposta per le visite. Lunghe tavolate erano sistemate in file parallele, con sedie disposte da ambo i lati. Un minimo di privacy era garantito dalla distanza tra di loro, di almeno un metro e mezzo, a tanto equivaleva il tuo spazio personale lì dentro. Due Auror per ogni tavolo si assicuravano che non avvenissero scambi di oggetti, ma quanto alle conversazioni a Tom non era ancora del tutto chiaro come facessero a monitorarle – ma sicuramente lo facevano. Tuttavia non se ne preoccupava: non aveva niente da nascondere, e non c'era sensazione più bella dopo gli anni di inferno che aveva passato prima dell'arresto. Quella era l'unica vera vittoria. «Non ci posso credere!» Il Principe di Monaco poteva significare soltanto una cosa, e quel sospetto fu confermato dalla camicia azzurra in filo di scozia e un anello dorato indossato al mignolo. «Sei tornato da Dubai e hai pensato di fare un salto nel cesso più putrido della Gran Bretagna?» Disse prendendo posto, desiderando di poter stringere la mano o assestare una pacca sulla spalla del suo più vecchio e caro amico. Era sinceramente felice di vederlo, ma fu solo dopo che Nate lo salutò a propria volta che si rese conto dell'abissale – quasi comica – differenza tra i due. Tom non provava più vergogna. Quando devi cagare di fronte ad un'altra persona una o due volte al giorno e non hai diritto ad un tubetto di dentifricio è difficile rimanere aggrappati ad un senso di dignità formale. Questo non sta certo a significare che Thomas abbia conosciuto cosa significhi la nobiltà di spirito grazie ad Azkaban, ma ad un certo punto accetti il tuo destino, il tuo ruolo nel gioco delle parti. Va così: Tom è dentro, Nate è fuori. «Ti fa strano, vedermi così?» Non si era trattenuto dal chiedergli, però, sinceramente curioso di sapere che effetto facesse da fuori. Si era passato una mano sulla testa quasi calva, la sensazione dei capelli cortissimi che gli accarezzavano il palmo, come a suggerire che si riferisse al taglio di capelli, e non alla detenzione. «Ci farai l'abitudine, comunque. Tu piuttosto sei in formissima, persino abbronzato, brutto stronzo» ridacchiò, passandosi la lingua sulle labbra secche. «Potevi avere almeno la decenza di presentarti un po' meno tirato a nuovo, per farmi sentire meno di merda» Lo guardò, sollevando un angolo della bocca. In quei due anni Nate non era mai andato a trovarlo. Non serviva negarlo: all'inizio ci era rimasto male. Era nella fase di completa negazione, quella disperata, e chiunque non fosse lì dentro con lui era un suo nemico, o un amico che non si era impegnato abbastanza per fare in modo che lui lì non ci finisse. Era chiaro che cercasse soltanto un capro espiatorio, e Nate lo era stato, per un po'. Loro due avevano fatto tutto insieme, tutto, con quell'infantile senso di onnipotenza, l'invincibilità, l'intoccabilità. E perché ora toccava soltanto a Tom appurare che un limite, invece, esistesse? Dov'era la provvidenziale punizione per Nate? Perché era da solo, quella volta? Era quella la distanza incolmabile che percepiva adesso, seduto di fronte al suo compagno più caro. Sembrava un ricordo distante. Sapeva che fossero stati inseparabili, una volta. Ma Tom era in una vita lontana anni luce da lui.
    Tese le mani aperte sul tavolo davanti a loro, il sonoro clangore delle manette pesanti sbattute sul ferro. «Da dove cominciare? Abbiamo... un'oretta, può diventare un'ora e un quarto se Cooper dovesse sentirsi particolarmente generoso. Ho la sensazione che sarà così.»
     
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    Nate si passò la mano sul cappotto azzurro, nel tentativo di pulire via del terriccio. Il traghetto per Azkaban era lercio e maleodorante esattamente come se lo ricordava. Ciò non lo sorprese: erano trascorsi anni, si erano susseguiti plurimi governi e Ministri della Magia, e come al solito l'ultimo pensiero di chiunque fosse al potere era la condizione di degrado in cui versava il carcere di massima sicurezza dei maghi. Una volta abbandonata l'imbarcazione, posò lo sguardo sulla mastodontica inferriata che si stagliava di fronte ai suoi occhi, resa ancor più lugubre da quella giornata uggiosa. Il tempo era sempre così, da quelle parti: gli era capitato di leggere in qualche libro che esisteva un incanto predisposto propriamente per Azkaban, di modo che sull'edificio incombesse per sempre una deprimente nuvola grigia. L'obiettivo, aveva letto, era quello di far sì che nessun prigioniero potesse più vedere la luce del sole, finché si trovava lì dentro. Chissà quale mente era stata in grado di partorire una tale crudeltà.
    Oltrepassò i cancelli e numerosi controlli, alcuni dei quali gli furono perfettamente familiari, dal tempo che aveva trascorso come stagista durante il college, altri per nulla. Si ritrovò in una sala d'aspetto piccola e angusta, insieme a tre persone. Sedette in silenzio per mezz'ora, paziente. Mentre con gli occhi passava in rassegna ogni centimetro di quel tugurio, quasi non si accorse della lunga attesa, forse perché in quel momento la sua mente pareva correre più velocemente del tempo. I pensieri che lo avevano turbato sin dal suo ritorno da Dubai, e che lui forzatamente aveva relegato in un angolo della sua testa, ora tornavano a galla prepotentemente tra quelle mura. Stava per rivedere Tom. Il suo migliore amico. Di lui sapeva tutto. Era con lui alla sua prima brutta caduta dalla scopa volante; conosceva perfettamente i suoi gusti musicali; si ricordava ancora il nome della prima ragazza che aveva avuto; conservava le foto di quando si era fatto fare un taglio di capelli osceno dal suo elfo domestico; era insieme a lui quando, in vacanza a Monaco, aveva fatto la bravata di perdere un intero yacht di proprietà del padre durante una partita a Black Market con una gang cinese. Non c'era un dettaglio della sua vita che non conoscesse, o che non gli avesse raccontato, di questo era convinto. Ma del Thomas di Azkaban, cosa conosceva? Assolutamente niente. Il pensiero che di lì a poco avrebbe potuto avere di fronte un perfetto sconosciuto lo inquietava.
    Quando fu il suo turno, scattò all'impiedi, come colpito da una scossa elettrica. Improvvisamente, aveva fretta di portare a termina quel colloquio. Di affrontare di petto quell'incognita che lo perseguitava ormai da settimane, e andare avanti - qualunque fosse stato l'esito. Sapeva che la prigione può cambiare le persone, e più passava il tempo lì dentro e più sbiadiva, nella mente di Nate, la certezza che dall'altra parte delle sbarre avrebbe trovato il suo migliore amico. Sarebbe stato ancora lui, o un pallido ricordo di quello che era stato? Cosa gli aveva fatto quel posto? « Douglas, Nathan James » enunciò il proprio nome a chiare lettere, una volta raggiunta la piccola scrivania dove sedeva uno degli addetti del carcere che gestiva le visite esterne. « Bacchetta, prego. » Sospirò. Questa era la richiesta più fastidiosa tra tutte, ma era ben preparato. Infilò la mano destra nell'interno del cappotto ed estrasse la bacchetta di mogano, appoggiandola con cura sulla superficie del tavolo. « Grazie. Le chiederei per cortesia di - » fare attenzione. Non fece in tempo a concludere la frase che l'uomo, annoiato ed evidentemente frettoloso, aveva agguantato la bacchetta con le mani lerce e l'aveva gettata con poca cura in un contenitore polveroso, insieme ad un'altra dozzina. Aggrottò la fronte, limitandosi a scuotere leggermente il capo, sconfitto. L'avevo appena fatta lucidare. « Prego. È la prima porta a destra. »

    « Non ci posso credere! » Nate poteva crederci ancor meno. Scostò la sediola di legno e si mise a sedere, senza distogliere lo sguardo dalla figura di Thomas. In una certa misura, era sempre lui: lo riconosceva, negli occhi vivi, nel sorriso sardonico, nella gestualità più fine. E in qualche modo c'era qualcosa di nuovo, di completamente irriconoscibile: il taglio di capelli, la forma fisica, il viso incavato e la pelle più bianca del solito. Come quella di chi non vede più la luce del sole da un pezzo. « Sei tornato da Dubai e hai pensato di fare un salto nel cesso più putrido della Gran Bretagna? » Descrizione migliore di quel luogo non poteva esserci. « Ho pensato valesse la pena venire a vedere in prima persona come ti eri ridotto qui dentro. Di certo non stoni rispetto all'ambiente. » Accennò un sorriso, alzando il mento nella sua direzione, mentre continuava a passare in rassegna la sua figura. « Ti fa strano, vedermi così? » Tacque per un momento, gli occhi verdi che correvano dal viso incavato ai capelli cortissimi, che per la prima volta rivelavano il profilo del cranio del ragazzo. Si strinse nelle spalle. « Hai avuto momenti migliori. » Per quanto si sforzasse di mantenere quel tono di leggerezza su cui Thomas per primo aveva improntato la conversazione, gli riusciva terribilmente difficile. Tom era abituato, ormai, quella era la sua quotidianità, ciò con cui doveva fare i conti ogni momento. Nate invece si sentiva improvvisamente catapultato nell'incubo di qualcun altro, costretto a osservarlo da lontano senza poter far nulla. Come Dante che discende nei gironi infernali ed assiste inerte alle torture inflitte ai peccatori, così anche lui guardava ora da lontano quel mondo con le proprie dinamiche: le guardie, la detenzione, il buio, la fatiscenza, l'assenza di prospettive. « Ci farai l'abitudine, comunque. Tu piuttosto sei in formissima, persino abbronzato, brutto stronzo. Potevi avere almeno la decenza di presentarti un po' meno tirato a nuovo, per farmi sentire meno di merda ». Sorrise, spostando lo sguardo sulla propria mano, dalla pelle leggermente più ambrata del solito. Avrebbe voluto dirgli che Dubai non era stata la stessa senza la sua presenza, che il pensiero di lui chiuso in quella cella aveva dimezzato, se non ridotto all'osso, qualsiasi forma di divertimento aveva provato nelle attività mondane della città. Ma sarebbe apparso come un'ipocrita, e c'era un'alta probabilità che, con delle affermazioni del genere, Tom gli avrebbe felicemente sputato in faccia. E d'altronde ne avrebbe avuto ragione: non era stato proprio l'amico modello, Nate. Gli aveva scritto molto poco, e di visite non ce n'erano state. E i motivi per cui non si era mai presentato erano tanti, e potremmo stare qui per ore ad elencarli uno ad uno, ma il succo era molto semplice: non gli andava. E non gli andava nemmeno adesso, di essere lì. Era insopportabile stare lì dentro, con Thomas, e pensare che dovesse essere proprio Azkaban, ora, ad essere teatro della loro amicizia. « L'abbronzatura se ne andrà nel giro di un paio di giorni, non ti preoccupare. » Scherzò, portando le mani sulla superficie del tavolo, ed incrociando le dita. L'anello dorato al suo mignolo stonava dolorosamente con l'acciaio delle manette che immobilizzavano i polsi di Tom, a neanche mezzo metro di distanza.
    « Da dove cominciare? Abbiamo... un'oretta, può diventare un'ora e un quarto se Cooper dovesse sentirsi particolarmente generoso. Ho la sensazione che sarà così. » Quella battuta gli fece incurvare il labbro in una specie di sorriso, prima che scostasse lo sguardo su quello che evidentemente doveva essere Cooper, un omone alto almeno un metro e novanta che se ne stava in un angolo buio, poco distante. Tornando a guardare Thomas, si sorprese quasi nel notare come, in termini di fisicità, l'amico non avesse nulla da invidiare a quella guardia ben impostata. Aggrottò la fronte. « Fammi capire, sei entrato a far parte di una gang di culturisti, qua dentro? » non poté fare a meno di commentare, nel tentativo di schernirlo. « Ti sei fatto qualche amico? Ho sentito dire che hai condiviso la cella con quel fenomeno di James Potter, per qualche tempo. E' insopportabile come gli altri suoi fratelli? » scherzò, prima di picchiettare con le dita sulla superficie del tavolo. In qualche modo sarebbe stato quasi più comodo andare avanti su questa linea, per quanto paradossale: parlare del nulla per un'ora, fare battute a vuoto e salutarsi. Ma Nate era lì anche per un motivo ben preciso. Si schiarì la voce. « Ho parlato con i tuoi avvocati. Sai che da questo mese possiamo ricominciare a muoverci. » Era certo che Tom fosse ben aggiornato sui tempi del processo, grazie alle visite regolari degli avvocati assoldati dal padre. « Stiamo cercando di raccogliere dei validi presupposti per fare appello alla sentenza del Wizengamot. Le tenteremo tutte. » Sospirò. Più di questo, lì dentro, non poteva dire. « Questo è quanto. Ti saluta Basil, in ogni caso. » Non ci fu bisogno di uno sguardo d'intesa per fargli capire cosa volesse dire. Che avrebbe messo in mezzo pure l'ex Capo del Wizengamot, in quella faccenda, era ovvio. Che l'aiuto di Basil Greengrass sarebbe stato determinante per risolvere la questione? Questo molto meno. Per quanto l'uomo si fosse attivato da subito, i contatti che aveva al Tribunale dei Maghi erano ormai pochi e insignificanti. Avevano bisogno di qualcuno del Progetto Minerva, ma questo era molto difficile. « L'importante è che tu ci fai sapere, se ti viene in mente qualche nuovo elemento, qualche dettaglio nuovo... » O qualche altra persona che possiamo contattare. « Insomma, qualche cosa che possa essere utile ai fini del processo. » E dai, Tom, tu sei sempre stato quello dai contatti più loschi, all'interno del nostro gruppo. Forse solo Edric ti superava. Questo è il momento giusto per tirarli fuori.
     
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    «Ho pensato valesse la pena venire a vedere in prima persona come ti eri ridotto qui dentro. Di certo non stoni rispetto all'ambiente.» Una smorfia che doveva essere un sorriso gli segnò il volto, mentre si passava la lingua sui denti e si guardava distrattamente attorno, quasi per ricordarsi che aspetto avesse quell'ambiente di cui Tom sembrava essere diventato parte naturalmente, a detta dell'amico. Chiaramente Nate non la toccava piano, e fu contento di appurare come certe cose non cambiassero mai, sebbene tutto il resto possa mutare irrimediabilmente da un momento all'altro. L'ala della fortezza adibita a sala per le visite aveva altissimi soffitti oscuri – proprio come il resto dell'edificio – e in generale l'intero ambiente gettava nella penombra. Era qualcosa a cui Thomas era abituato, la luce soffusa, la sua vista ormai adattata all'oscurità come quella di un gatto. Fermò lo sguardo per qualche secondo sulle figure dei detenuti che li circondavano. Non ve n'erano molti: è difficile finire spediti direttamente ad Azkaban e avere qualcuno che ancora ci tiene abbastanza a te da venirti a trovare, che si tratti di amici, parenti o anche soltanto figure professionali che sperino ancora nella tua causa al punto da incaricarsi di intraprendere tutta la necessaria procedura per fare appello. La sensazione dilagante era quella dell'abbandono, del dimenticato, molto più che quella del violento o del minaccioso. Le tre o quattro persone che sedevano dal suo stesso lato del tavolo, a qualche metro di distante, tenevano il capo chino, le braccia tenute legate dalle manette distese di fronte a loro, a stento riuscivano a stare dritti con la schiena. Molluschi, fantasmi. Difficilmente avrebbe mai più provato qualcosa di simile alla paura per un carcerato – con tutto che esistono sempre le dovute eccezioni, ed elementi aggressivi sicuramente non mancavano all'appello. Ma era così che riconoscevi i nuovi arrivati da quelli a cui la prigione era entrata dentro. D'istinto si tirò su a sedere un po' più eretto, si schiarì la gola, si passò la lingua sulle labbra secche. No, non sentiva di far parte dell'ambiente in cui si trovava. «Hai avuto momenti migliori». Aveva provato invidia per chiunque non si trovasse nella sua stessa situazione, chiunque godesse ancora della libertà – e quindi anche della versione passata di se stesso, quella che del proprio libero arbitrio aveva addirittura abusato, sapendo di starlo facendo, godendone nel modo più assoluto. Non ha senso ciò che genera in un individuo vivere senza apprendere il concetto di regola e poi, d'improvviso, non avere neanche più la possibilità di scegliere. Niente di tutto ciò che si era verificato negli ultimi anni aveva propriamente avuto senso, all'inizio. L'arresto era stato uno shock non perché non se lo aspettasse – la spada di Damocle gli penzolava sulla testa da fin troppo tempo. Era stata piuttosto quella sensazione attanagliante che aveva provato durante la prima udienza, durante il processo durato stranamente poco, e si era trovato di fronte ad una corte del Wizengamot completamente aliena: era lì che aveva compreso che quella volta trovare una via di uscita sarebbe stato più complicato del solito. Aveva ripensato spesso a come aveva deciso di trascorrere il lasso di tempo che lo separava dal suo inevitabile arresto. Si sforzava di ricordare come si era sentito in quei mesi: paralizzato, irrequieto, incastrato in un passato a cui si era aggrappato perché incapace di intravedere un futuro. In fondo, forse, Thomas aveva sempre saputo che quel momento sarebbe arrivato, e forse quella costante fuga dalla realtà era un segnale del fatto che da qualche parte, dentro di lui, qualcosa gli suggeriva che l'avesse fatta più grossa del solito. Dire che si era sentito in colpa sarebbe un eufemismo. Si era detestato, prima di rendersi conto che niente di ciò di cui stava venendo accusato fosse stato realmente opera sua. Erano riusciti a fargli dimenticare la propria innocenza, e a fargli dubitare dell'unica cosa a cui Tom era fedele: se stesso. «Fammi capire, sei entrato a far parte di una gang di culturisti, qua dentro?» «Magari le gang fossero vere. Se trovi un detenuto che ti rivolge la parola e non è perché vuole menarti puoi ritenerti fortunato, credimi», rispose, scivolando sulla sedia scomoda. Il fatto che fosse considerato un amico delle guardie, lì dentro, preferì ometterlo: non ne andava troppo fiero neanche lui. «Ti sei fatto qualche amico? Ho sentito dire che hai condiviso la cella con quel fenomeno di James Potter, per qualche tempo. E' insopportabile come gli altri suoi fratelli?» «Eravamo vicini, sì. Detenuto numero 932239, anche se verso la fine nessuno lo chiamava più così». Un sorriso amaro gli segnò il viso. «Sapeva farsi riconoscere esattamente come gli altri Potter. Anche se abbiamo scoperto, sorprendentemente, di avere più cose in comune di quanto credessimo.» Ricordava le chiacchierate, seduto a terra con le spalle al muro, il desiderio incessante di una sigaretta da tenere a penzolare tra le labbra. La prigione era una livella, per quanto entrambi fossero persone accomunate da una condanna ingiusta: unica colpa – secondo Tom – era stata nascere nella propria famiglia. Lui però si è fatto solo sette mesi pensò con una punta di invidia. Non lo disse però: non aveva bisogno di pietismi o compassione per una condizione che aveva ormai imparato ad accogliere – non accettare. Le cose sono andate così. Scegliamo da che parte stare, e a volte scegliamo quella che conviene di meno. A volte si ritrovava persino a sentire la mancanza di quella sua voce incessante. Gli sportivi sono una categoria a parte, quando li prendi e li sbatti in una cella in cui l'unica attività che possa tenerli impiegati e attivi è parlare.
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    «Ho parlato con i tuoi avvocati. Sai che da questo mese possiamo ricominciare a muoverci.» Fu contento che i convenevoli fossero cessati. L'unica valuta di Thomas, l'unica che gli fosse rimasta, era il tempo. In un altro momento, però, avrebbe avuto piacere a sapere che cosa fosse successo nella vita di Nate negli ultimi due anni, un altro momento in cui sentir raccontare vicende mondane, ragazze con cui era andato a letto e giocate epocali a Black Market non gli paressero assolutamente privi di significato. «Stiamo cercando di raccogliere dei validi presupposti per fare appello alla sentenza del Wizengamot. Le tenteremo tutte.» Quando, un mese prima, uno dei suoi avvocati gli aveva comunicato che Nate l'avesse contattato perché aveva sentito parlare della loro intenzione di impugnare la sentenza, Tom non aveva potuto trattenere un risolino. D'istinto, non era riuscito a prendere la cosa sul serio. L'ultima volta che si erano visti Nate non era altro che uno stagista, e le loro vite si erano ramificate lungo strade differenti non solo per località, ma anche per intensità: per lui l'amico era ancora il ragazzino di tre anni prima, e cosa poteva mai fare per aiutarlo se non ci erano riusciti i suoi legali? Gli squali più cari che il caveau dei Montgomery potesse permettersi? Aveva apprezzato l'entusiasmo, la passione, la grinta, persino l'ambizione, ma sinceramente non aveva creduto che, senza il suo nome, Nate Douglas avrebbe potuto esercitare alcun potere. Si era stupito di quel cinismo, ma come biasimarlo? Tra i due, Nate era sempre stato il più assennato, il più responsabile – non per niente era l'unico tra di loro che poteva ancora scegliere cosa indossare la mattina – il presidente del Clavis Aurea, qualunque cosa valesse o significasse a quel punto; ma questo era il mondo vero, un mondo completamente diverso rispetto a quando andavano a Hogwarts o facevano i primi passi timidi verso il mondo dell'Università. Era un mondo di merda, i cui punti cardinali erano stati completamente invertiti con l'entrata del Progetto Minerva, gli idilli del passato non erano che un'eco distante di qualcosa che non sarebbe mai più tornato. Perché ad un certo punto era divenuto chiaro come la questione in ballo fosse molto più ampia di lui, dell'Astra, del Clavis e di suo padre. Come fosse possibile che uno dei rampolli più benestanti e privilegiati della comunità magica inglese finisse rinchiuso ad Azkaban con una sentenza di dieci anni essendo stato incastrato da qualcosa o qualcuno che rimaneva tutt'ora anonimo era stato un pensiero ossessivo e martellante, e anche la fonte di un barlume di speranza che, finché era rimasto acceso, aveva condotto Tom sull'orlo della follia. Quel genere di cose non accadevano a persone come lui, punto e basta: questo il mantra che continuavano a ripetergli; concettualmente lo sapeva, ma cosa era rimasto del suo privilegio adesso che era sul fondo e non aveva nessuno a tendergli una mano per aiutarlo a rialzarsi? Suo padre si era mobilitato, esattamente come aveva giurato la volta precedente che non avrebbe mai più rifatto, e così pure sua madre, e suo zio, e chiunque potesse esercitare un minuscolo grado di influenza sul tribunale supremo. Ma le cose stavano cambiando a quel punto, e avevano cominciato a farlo già durante l'estate, che al momento dell'arresto di Thomas volgeva al termine, così come il tempo in cui le poltrone del Wizengamot venivano scaldate dalle stesse tasche che i Montgomery potevano riempire. Il Progetto Minerva aveva spazzato via ogni singolo ministro, funzionario o membro della corte che non rientrasse nelle proprie fila, rompendo degli equilibri saldi da decenni, agendo secondo scopi propri e pretestuosi. Quale giuria poteva reputare valida una prova contro un imputato che arrivava da una fonte anonima? Ma all'inizio non c'era stato spazio per questo tipo di lucidità: la paura l'aveva inghiottito completamente. Adesso si sentiva più tranquillo, rispetto a un tempo: sapeva che sarebbe uscito di lì, su questo non gettava ombra nessuna incertezza o titubanza. L'ordine delle cose sarebbe stato ristabilito, perché il mondo funziona per omeostasi, e quello era un incidente di percorso, qualcosa di sicuramente estremamente potente e significativo, ma Thomas Montgomery non sarebbe rimasto in carcere ancora per molto. Riesci a tollerare l'idea di dover essere rinchiuso in una cella molto più facilmente quando recuperi la percezione di controllo sul tuo destino e su ciò che ti accadrà, per quanto fosse una sensazione slegata da un reale progetto o programma di fuga, ma che piuttosto trovava radice in una fondamentale certezza, che per qualche momento aveva perso di vista, portandolo a smarrire completamente la bussola, privato dell'unico dogma che da sempre lo guidava: lui non rispondeva al banale principio per cui “la legge è uguale per tutti”, punto e basta. Poteva sembrare, da fuori, che ciò che gli fosse accaduto fosse invece esattamente la dimostrazione del contrario, ma ora Tom riusciva a vederlo, era solo una questione di tempo, non sarebbe mai stato un altro numero nella matrice, l'ennesimo caso di carcerazione indebita; adesso capiva che non era qualcosa che aveva a che fare con il suo nome, che potevano pure portargli via, o con quante case aveva, o quante mani stringeva. Era grato all'opportunità che gli era stata data di perdere ogni cosa, perché così poteva partire esattamente dallo stesso punto di chiunque altro – o forse addirittura qualche gradino sotto – e ripercorrere la scalata, passo per passo, e dimostrare che tutto ciò che aveva sempre avuto, ora, poteva meritarlo, e che non avrebbe avuto alcun problema a recuperare ciò che gli era stato tolto. Era l'opportunità per mettersi alla prova, dimostrare a se stesso e a tutti che non era soltanto il figlio di qualcun altro: era esattamente ciò che aveva sempre desiderato fare fuori da lì, e la reclusione gli aveva dato la possibilità di farlo. Che Nate fosse parte di quel disegno, però, era stata una sorpresa; ma in fondo, forse, anche lui non rispondeva alle stesse leggi del mondo delle persone comuni, e anche lui aveva probabilmente capito che fosse arrivato per tutti loro il momento di dimostrare di essere di più di un nome che, adesso, valeva ben poco – per quanto le perdite che aveva dovuto contare Thomas erano chiaramente maggiori di quelle che Nate avrebbe mai potuto immaginare. Ma gli aveva voluto dare una possibilità. «Questo è quanto. Ti saluta Basil, in ogni caso». Sollevò un sopracciglio, prima che potesse chiedergli: tutto qui? «Ancora campa?» Fece, con un'espressione sinceramente sorpresa. «L'abbiamo già percorsa ai tempi, quella strada. È stato tra i primi che mio padre ha contattato quando si è deciso di andare a processo. Ha le mani completamente legate, anzi, si può dire che abbia perso la facoltà di usarle – e non per l'artrite reumatoide. Non serve più Insofferenza, questo riusciva a provare per le persone che si rivelavano inutili, a questo punto della sua reclusione. Tanti cari saluti, spero che la moglie stia bene, e pure l'amante, ma a me Greengrass torna completamente inutile. «L'importante è che tu ci fai sapere, se ti viene in mente qualche nuovo elemento, qualche dettaglio nuovo... Insomma, qualche cosa che possa essere utile ai fini del processo.» Si passò una mano sul mento, avvicinandosi appena di più a Nate, di fronte a lui. «La questione fondamentale, di cui immagino ti abbia informato Thorpe o qualcuno per conto suo, è che le prove che hanno contro di me semplicemente non sono valide. Sono state presentate da una fonte anonima, secondo i registri pubblici...» enumerò, portando il conto con le dita lunghe e sottili. «E già qui ci metterei un grosso punto di domanda, perché com'è possibile che per la legge una fonte anonima possa procurarsi non una prova qualsiasi ma la prova schiacciante, e che venga reputata perfettamente ammissibile? Una cosa che non ho mai capito è come hanno fatto figurare lo Shame, in tutto questo, visto che è chiaramente opera sua la consegna del distintivo da ghermidore e della bacchetta che avevo lasciato a Gregorovitch.» Se dava l'impressione di averci pensato a lungo era lapalissiano che fosse così. «Ci sono i presupposti per poter chiedere di annullare la condanna e tornare in tribunale quando le prove non sono reputate valide.» E non solo, aveva anche studiato. Non c'era esattamente una biblioteca, ad Azkaban, i locali della fortezza purtroppo troppo occupati da celle di isolamento per lasciar spazio a luoghi di cultura e arricchimento dell'anima, ma si era fatto portare qualche manuale dal suo avvocato ed era riuscito a fare in modo di convincere le guardie a lasciarglielo tenere. Cosa poteva fare? Prendere a librate un altro detenuto? Beh, in effetti sì, ma per precauzione lo teneva nascosto sotto il materasso in gommapiuma. «Qual è l'opinione comune, fuori?» Quello era uno dei punti più importanti, a cui Tom non aveva mai pensato. Chiaramente di cosa pensasse la gente su di lui o di cosa scrivessero i giornali, se ancora ne scrivevano, a lui interessava meno di zero; ma conosceva bene, anche da prima che la questione lo interessasse in prima persona, l'importanza dei media nei processi penali, e come forse addirittura la soluzione potesse addirittura annidarsi lì, nella giusta comunicazione. «Cosa dicono i giornali?»


    Edited by roman candle - 12/6/2023, 16:53
     
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    « L'abbiamo già percorsa ai tempi, quella strada. È stato tra i primi che mio padre ha contattato quando si è deciso di andare a processo. Ha le mani completamente legate, anzi, si può dire che abbia perso la facoltà di usarle – e non per l'artrite reumatoide. Non serve più. » L'impazienza e l'esasperazione trasparivano chiaramente dalla voce di Thomas. Nate, che dal canto suo non aveva mai amato le risposte saccenti dell'amico, si sforzò di non rispondere raffreddando i toni a sua volta, come avrebbe fatto di norma. Seduto lì, di fronte a quella che gli pareva essere una pallida immagine del migliore amico, non poté fare a meno di esercitare quel briciolo di compassione che aveva in corpo. Non aveva la più pallida idea di cosa dovesse significare rimanere chiuso in un buco angusto per un'infinità di tempo, senza poter vedere la luce del sole, cullato dalla sola speranza che qualcuno, prima o poi, venisse a tirarti fuori. « Lo so - lo so » ribadì con accondiscendenza, portando le mani giunte sul tavolo che li separava. « Valeva comunque la pena chiedere un suo consulto anche in questa fase. » Dopo tutto, chi meglio di Basil Greengrass poteva conoscere l'istituzione del Wizengamot, gli equilibri di potere che vigevano all'interno, le manovre più tipiche dei suoi componenti? Conosci il tuo nemico, questo prima di tutto.
    « La questione fondamentale, di cui immagino ti abbia informato Thorpe o qualcuno per conto suo, è che le prove che hanno contro di me semplicemente non sono valide. Sono state presentate da una fonte anonima, secondo i registri pubblici... E già qui ci metterei un grosso punto di domanda, perché com'è possibile che per la legge una fonte anonima possa procurarsi non una prova qualsiasi ma la prova schiacciante, e che venga reputata perfettamente ammissibile? Una cosa che non ho mai capito è come hanno fatto figurare lo Shame, in tutto questo, visto che è chiaramente opera sua la consegna del distintivo da ghermidore e della bacchetta che avevo lasciato a Gregorovitch. Ci sono i presupposti per poter chiedere di annullare la condanna e tornare in tribunale quando le prove non sono reputate valide. » Nate trattenne un sorriso. In un altro momento, fossero stati in un altro contesto, fuori da quella situazione, probabilmente non avrebbe esitato a prenderlo in giro. E così ti sei messo a studiare le materie dei grandi anche tu, eh Montgomery?, l'avrebbe rimbeccato sarcasticamente, facendo onore alla propria personale tradizione di deridere, ogni volta che ne trovava l'occasione, l'indirizzo di studi scelto da Thomas. Dopo tutto, che razza di materia è Giornalismo? Tuttavia, anche in questo caso, le condizioni non erano quelle usuali. Si limitò a serrare le labbra e sospirare dal naso, pesantemente.
    « Tecnicamente hai ragione tu, certo. » E pagheremmo fior di galeoni tutti quanti perché fosse così semplice! Tamburellò con gli indici e i pollici sulla superficie polverosa del tavolo, per poi gettare un'occhiata fugace alla guardia carcerata, ancora ferma immobile a pochi passi da loro. Tornò su Thomas. « Ma non basta per vincere. Sicuramente la questione della fonte anonima sarà determinante per ottenere la riapertura del caso, ma poi? Non possiamo tornare in aula a mani vuote. Abbiamo in capo l'onere della prova stavolta, dobbiamo tornare in gioco con qualcosa di importante, una prova schiacciante che non sei stato tu a commettere quell'omicidio. » Si arrestò, puntando gli occhi verdi in quelli cerulei dell'amico. Perfino quelli gli parvero diversi rispetto ad un tempo; erano più distanti, freddi, apatici. In quel momento, desiderò di essersi applicato di più alle lezioni di Legilimanzia, in modo da poter carpire i suoi pensieri. « Ti viene in mente qualcosa? » Si chiese se Thomas sarebbe mai stato in grado di produrla, una prova del genere. Se fosse effettivamente possibile. In quel frangente, lo raggiunse un pensiero che aveva già varcato la sua mente più volte, da quando Thomas gli aveva confessato dell'omicidio. Quali erano le vere responsabilità della persona che aveva dinnanzi? Poteva davvero considerarsi innocente come diceva di essere? Ancora una volta, Nate non seppe rispondere a se stesso. Col tempo, tuttavia, la frustrazione che provava nei confronti di quel dubbio si era trasformata in una forma di indifferenza, e infine addirittura in una serena connivenza.
    « Credi che sia innocente? », gli aveva domandato Percy, quella mattina che si erano incontrati a Londra. Nate sapeva di non potersi permettere di credere ciecamente alle parole di Tom: per lo meno, non con lo scetticisimo e la diffidenza con cui era cresciuto. Sapeva d'altronde di non potersi sbilanciare nel dire che l'amico non era capace di commettere un delitto del genere: e perché mai non avrebbe potuto? La prigionia del Lockdown aveva reso tutti loro ben consapevoli di quanto potessero essere piegati i limiti umani, a seconda delle necessità; se loro tutti al tempo si erano macchiati di colpe irripetibili tra le mura del castello, chi era Nate per asserire con assoluta certezza: « No, Thomas una cosa del genere non la farebbe mai »? Non poteva dirsi certo di niente, e a maggior ragione dopo Edric non si sarebbe più meravigliato di nulla.
    Il punto, poi, era un altro. Aveva riflettuto su quell'incognita, e sul proprio ruolo in quel processo. La risposta che finiva per darsi era sempre la medesima: non era importante. Qualunque cosa Thomas dovesse aver commesso, meritava di uscire da quelle mura. Per lui la sua innocenza era irrilevente: certo, era necessario, da un punto di vista giuridico, che venisse proclamata - ma sul piano fattuale si scoprì del tutto indifferente alla vicenda. Che Tom fosse un assassino o meno non gli importava, perché anche se lo fosse stato, il suo posto in ogni caso era fuori.
    Si ritrovò a sospirare, scuotendo il capo, come ad allontanare quei pensieri. « Questo non è un processo come gli altri, Tom. Lo sai. Fossi stato un signor Vattelappesca qualunque, te la saresti cavata con l'invalidità della prova per fonti anonime, ci scusi per il disturbo, grazie mille e arrivederci. » In un processo di alto profilo come quello, dove l'opinione pubblica giocava la partita a pieno titolo, la verità processuale e quella mediatica finivano per confondersi, alimentarsi a vicenda e infine diventare un tutt'uno. Ma questo non aveva bisogno di spiegarlo di certo a Thomas.
    « Qual è l'opinione comune, fuori? Cosa dicono i giornali? » Una domanda un po' spinosa, quella, a cui Nate avrebbe volentieri evitato di rispondere. I suoi occhi chiari vagarono nella stanza, ipnotizzati per qualche istante dal pesante mazzo di chiavi che pendeva dalla cintura della guardia, e che oscillava avanti e indietro come un pendolino, tintinnando rumorosamente ad ogni sbuffo o movimento anche impercettibile dell'uomo. « Al momento c'è un po' di silenzio sulla questione » ammise a malincuore. L'idea generale, nel mondo magico, era che il Wizengamot avesse scovato il colpevole un anno prima, chiuso Thomas ad Azkaban e gettato la chiave, punto. Giustizia era stata fatta, dibattiti non ce n'erano più. « Ma le cose cambieranno presto con la riapertura del processo. » Questo era poco ma sicuro. Non appena la notizia si fosse sparsa, i giornali avrebbero banchettato sulla figura del povero Thomas. Abbassò sensibilmente la voce, fino quasi a sussurrare. « E noi dobbiamo farci trovare pronti. Il fatto che tu sia ancora qui dentro legittima non poco il Progetto Minerva. Sappiamo già che al Wizengamot faranno carte false pur di farti rimanere ad Azkaban, si aggrapperanno anche alle cose più deboli. » Come a delle prove fornite da un anonimo, ad esempio. « Ma se ci muoviamo per tempo possiamo provare a far volgere la narrativa a nostro favore. La vedo difficile con La Gazzetta; però possiamo partire con Il Cavillo, Strega Moderna, ad esempio... Ci sarebbe anche il giornale di Potter, ma non so fino a che punto possa tornare a nostro favore conquistare la simpatia dei Ribelli. È da valutare. » Rimuginava ad alta voce, le mani giunte sotto al mento e l'aria pensierosa. « D'altronde, l'esperto di comunicazione qui sei tu: come la vedi? »
     
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    «Tecnicamente hai ragione tu, certo». Sentì che stesse per arrivare un ma, e sentì già il fastidio che l'ennesima obiezione – necessaria, legittima, oculata – e l'ennesimo ostacolo da considerare gli avrebbe causato. Lo sapeva, però, che non sarebbe stato un processo facile, era solo difficile farci i conti, accettare tutte le strade che non potevano percorrere per quanto sulla carta sembrassero vincenti. Era un esercizio di pazienza, tenacia, disciplina – tutte virtù che Tom non aveva mai avuto in vita sua. «Ma non basta per vincere. Sicuramente la questione della fonte anonima sarà determinante per poter ottenere la riapertura del caso, ma poi?» «No, certo, però intanto è un piede nella porta, un modo per cominciare a riaprire le porte del tribunale» intervenne, cambiando posizione sulla sedia e incrociando le braccia al petto. «Non possiamo tornare in aula a mani vuote. Abbiamo in capo l'onere della prova stavolta, dobbiamo tornare in gioco con qualcosa di importante, una prova schiacciante che non sei stato tu a commettere quell'omicidio. Ti viene in mente qualcosa?» Sbuffò, per qualche momento, ora che la questione veniva riaperta e discussa, incapace di recuperare la pacifica mentalità che gli aveva fatto scudo nell'ultimo periodo. Schioccò la lingua. «Se avessimo una prova del genere non sarei qui. dentro» rispose di getto, sottolineando l'ovvio, mentre lo scetticismo per la reale capacità che Nate poteva avere di aiutarlo a tirarlo fuori da lì cresceva appena. Si fidava dell'amico da un punto di vista di intento, sapeva che avesse una motivazione sicuramente meno salda della propria ma comunque sufficientemente forte da voler quella vittoria tanto quanto lui, e ne conosceva l'intelletto raffinato e poco tendente all'impulsività, come invece spesso succedeva per Tom. Ma sarebbe bastato? Cosa poteva fare, sopratutto vista la situazione in cui verteva attualmente la società magica? Un giovane ragazzo con un grande sogno e una buona parlantina, la voglia di dimostrare di meritare un posto al tavolo dei grandi... Bastavano? « Questo non è un processo come gli altri, Tom. Lo sai. Fossi stato un signor Vattelappesca qualunque, te la saresti cavata con l'invalidità della prova per fonti anonime, ci scusi per il disturbo, grazie mille e arrivederci.» Annuì, la lingua che spingeva contro la guancia. «Proprio perché è un processo diverso dal solito non ci sono prove. Hanno fatto sparire tutti gli altri che erano lì con me, per cui è la mia parola contro quella di persone che non esistono. Non conosco i loro veri nomi, e anche se li conoscessi non risulta da nessuna parte che fossero lì con me, perché l'intera operazione era off the record. Per il Ministero io ero in America a uccidere babbani da solo. Per il resto, si è buttato tutto in vacca quando sono cominciati a spuntare individui che non avevo mai visto in vita mia, che sono corsi dai giornali a dichiarare di essere presenti, di avermi visto, tutto per quei quindici minuti di fama del cazzo. E la gente che pubblica pure questa spazzatura... Qualsiasi cosa pur di guadagnarsi due galeoni di merda» un sorriso amaro, mentre scuoteva la testa. Si sorprese di riscoprirsi ancora così arrabbiato: era da un po' di tempo che non toccava quel tasto. Ciò che era successo alla New Writing era stato imbarazzante per usare un eufemismo; le cose avevano cominciato a prendere una piega per il peggio quasi immediatamente in seguito al suo arresto. La notizia era stata trattenuta più a lungo possibile dalle testate possedute dai Montgomery, ma esistevano gruppi indipendenti e la diffusione tramite la Wiznet era stata inarrestabile. Poco dopo era cominciato il crollo delle azioni, contro ogni previsione di Thomas, che non faceva neanche parte dell'azienda di famiglia a quel punto, né era in trattativa per diventarlo – evidentemente avere un figlio arrestato per omicidio è “bad for business”. Il consiglio di amministrazione si era dovuto riunire la mattina stessa dell'arresto di Tom per decidere cosa fosse migliore per salvare la reputazione della compagnia, e alla fine era successo l'imprevedibile: Mitchum Montgomery era stato dimesso all'unanimità dalla posizione di CEO e spostato a quello di presidente del consiglio di amministrazione, mentre il nuovo capitano della nave sarebbe stato un individuo estraneo alla famiglia, che avrebbe potuto così essere una faccia più affidabile e rasserenante per gli investitori e il pubblico generale. Meglio ancora se si trattava di una donna. Thomas si era maledetto per essersi perso quella riunione e doversi ridurre a poter soltanto immaginare la sfuriata del padre quando doveva essersi reso conto dell'imboscata. Avevano concordato di far uscire che le dimissioni fossero volontarie, un momento “di pausa per essere vicino alla famiglia”, in cambio della possibilità di pubblicare articoli inerenti il processo del figlio affinché nessuno potesse tacciare la New Writing di nepotismo o censura – come se queste due cose non fossero presenti in mille altri aspetti dell'azienda. Sciacalli e ipocriti. All'erede Montgomery che si parlasse di lui sui giornali fregava meno di zero, ma questo soltanto finché non aveva pienamente realizzato il potere che i giornali giocano in ogni questione di interesse pubblico, legale o politico. «Al momento c'è un po' di silenzio sulla questione. Ma le cose cambieranno presto con la riapertura del processo. E noi dobbiamo farci trovare pronti.» «Sono d'accordo, bisognerebbe prepararsi da prima. Con mio padre fuori gioco non ho modi semplici per poterci riuscire, ma il senso comune, l'opinione pubblica... per il Progetto Minerva è tutto. E se c'è una sola cosa che ho capito in tutto questo cazzo di casino, è che per quanto io sembri piacergli veramente, veramente poco, il consenso degli elettori per loro è tutto Quella era un'altra delle strade a cui aveva pensato Thomas, ed era sollevato di appurare che anche Nate comprendesse l'importanza della questione. «Il fatto che tu sia ancora qui dentro legittima non poco il Progetto Minerva. Sappiamo già che al Wizengamot faranno carte false pur di farti rimanere ad Azkaban, si aggrapperanno anche alle cose più deboli. Ma se ci muoviamo per tempo possiamo provare a far volgere la narrativa a nostro favore. La vedo difficile con La Gazzetta; però possiamo partire con Il Cavillo, Strega Moderna, ad esempio... Ci sarebbe anche il giornale di Potter, ma non so fino a che punto possa tornare a nostro favore conquistare la simpatia dei Ribelli. È da valutare. D'altronde, l'esperto di comunicazione qui sei tu: come la vedi?» Annuì lentamente, passandosi la lingua sulle labbra secche. «Le possibilità che abbiamo sono due, per poter far capire alle persone che qui è stato commesso un errore. La prima strada...» – fece, parlando lentamente ed enumerando i punti sulle dita – «...è la più difficile. Coinvolgere testate e gruppi indipendenti – nemici storici di mio padre e quindi anche tendenzialmente molto felici di poter ballare sul mio cadavere, immagino – e chiedergli aiuto per poter pensare a ridefinire la mia storia e la mia immagine. Il problema, anche qualora dovessimo riuscire nell'impresa impossibile di convincerli ad aiutarci, è proprio la mia persona. Non ho una storia tragica. Persone come Potter ne perderebbero in credibilità, se anche potessimo far leva su un vago rapporto di cordiale amichevolezza, se si mettessero a difendere una persona come me, e questo mi sembra puro realismo.» Era anche il motivo per cui i giornali erano tutti, collettivamente, saltati sulla notizia appena si era diffusa, oltre che per dovere di cronaca: l'arresto di Thomas era stato il naturale (e da alcuni atteso) e prevedibile epilogo della storia di un figlio dell'élite magica cis, etero, bianco e privilegiato – l'anticristo della demografia. «Anche se riuscissimo a convincerli della mia innocenza – e anche lì: come? – non sarebbe possibile chiudere un occhio sull'assenza di prove concrete per loro, perché tutto il resto della mia persona
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    supplica di essere demonizzato. Correggimi se pensi che non sia ragionevole.»
    Prese un sorso dal bicchiere colmo d'acqua che tanto magnanimamente la prigione concedeva ai deputati durante le visite – forse addirittura prevedendo l'arsura causata da tutto quel chiacchierare. «Per cui passiamo alla seconda strada. Invece di convincere gli elettori del Progetto Minerva a spingere affinché la giustizia si svegli, possiamo pensare – e questo è un long shot – alla possibilità di... portarglieli via?» Suggerì, inclinando la testa, per la prima volta pronunciando quell'idea ad alta voce in tutta la sua assurdità. «La questione può essere questa: si prepara il terreno in modo completamente svincolato da me. Si fanno presenti tutti i problemi causati dall'attuale governo, si chiede l'aiuto delle persone che, come noi, si sono ritrovate a perdere tutto, e a cui questo Ministero sta scomodo. Poi si procede a raccogliere le idee della gente comune, si mettono in evidenza le falle nel sistema, a partire da quella pagliacciata del Gymnasium o come cazzo si chiama a finire con il sistema giudiziario.» Cercò lo sguardo di Nate più intensamente mentre parlava, in fondo nutrendo la speranza un po' infantile di non sentirgli dire un altro «no». «A quel punto si propone un'alternativa politica. Anche se non esiste niente di vero, non dico di fondare letteralmente un partito politico per farmi uscire. Basterebbe suggerire che un'altra strada esista affinché Minerva perda i consensi.» Su questa parte Tom era del tutto incerto, si trattava di un'utopia, un ideale dei suoi che probabilmente non avrebbe mai visto vita. «È... è solo un'idea» sentì il bisogno di spiegarsi, temendo di perdere il consenso l'amico spingendosi troppo oltre con la fantasia. «Sarebbe un progetto più lungo, insidioso, che non porrebbe me al centro, e forse è questo che lo renderebbe vincente. E mi servirebbe il tuo aiuto su... tutto. Io non posso fare altro che dare idee, ma tutto il lavoro sarebbe tuo, Nate.» Alzò lo sguardo sul ragazzo, che sembrava metabolizzare tutte quelle informazioni. Ricercò i suoi occhi chinandosi, per incontrarli mentre aveva il capo chino. «Che pensi? Un'altra delle mie stronzate?»
     
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    « Proprio perché è un processo diverso dal solito non ci sono prove. Hanno fatto sparire tutti gli altri che erano lì con me, per cui è la mia parola contro quella di persone che non esistono. Non conosco i loro veri nomi, e anche se li conoscessi non risulta da nessuna parte che fossero lì con me, perché l'intera operazione era off the record. Per il Ministero io ero in America a uccidere babbani da solo. Per il resto, si è buttato tutto in vacca quando sono cominciati a spuntare individui che non avevo mai visto in vita mia, che sono corsi dai giornali a dichiarare di essere presenti, di avermi visto, tutto per quei quindici minuti di fama del cazzo. E la gente che pubblica pure questa spazzatura... Qualsiasi cosa pur di guadagnarsi due galeoni di merda » Ascoltava le parole di Thomas con il gomito sul tavolo, una mano a massaggiargli le tempie. Quelle circostanze lo mettevano non poco a disagio: gli sembrava che quella fosse la prima volta nella sua vita in cui non solo non aveva una soluzione a portata di mano, ma nemmeno riusciva a fingere che fosse così. Dietro a quelle finestre con le sbarre strette, era difficile mangiarsi il mondo. Cominciava a comprendere lo scetticismo di Thomas, nel vederlo: che razza di aiuto in più avrebbe potuto portare lui, quando alle prese con la causa c'era già un team di avvocati molto più esperti e navigati? Che speranza credeva di dare al suo amico? « È... una situazione spinosa, è vero » commentò, cercando di mantenere un velo di sicurezza, ma forse Tom, che coi suoi artifici retorici ci era cresciuto, sarebbe stato facilmente in grado di fiutare la sua incertezza senza grandi difficoltà. « Ma hai gli avvocati migliori del mondo magico che si occupano di questo, una soluzione l'avremo presto. Avremo la prova che ci serve. » Scoccò un'occhiata rapida alla guardia alle spalle di Thomas, e si premurò poi di abbassare la voce: « Ci serve qualcuno che salga a testimoniare? Lo troviamo. » Annuì, e sembrò che cercasse di convincere soprattutto se stesso: le specifiche non potevano essere chiare in quella fase, ma non vedeva il motivo per cui avrebbero dovuto fallire. La vera difficoltà, però, stava nel fatto che la parte processuale non era l'unica di cui preoccuparsi.
    « Sono d'accordo, bisognerebbe prepararsi da prima. Con mio padre fuori gioco non ho modi semplici per poterci riuscire, ma il senso comune, l'opinione pubblica... per il Progetto Minerva è tutto. E se c'è una sola cosa che ho capito in tutto questo cazzo di casino, è che per quanto io sembri piacergli veramente, veramente poco, il consenso degli elettori per loro è tutto. » Annuì, silenziosamente. Proprio questo è il punto. La popolarità incredibile del Progetto Minerva rendeva tutto più complicato per loro. « Le possibilità che abbiamo sono due, per poter far capire alle persone che qui è stato commesso un errore. La prima strada è la più difficile. Coinvolgere testate e gruppi indipendenti – nemici storici di mio padre e quindi anche tendenzialmente molto felici di poter ballare sul mio cadavere, immagino – e chiedergli aiuto per poter pensare a ridefinire la mia storia e la mia immagine. Il problema, anche qualora dovessimo riuscire nell'impresa impossibile di convincerli ad aiutarci, è proprio la mia persona. Non ho una storia tragica. Persone come Potter ne perderebbero in credibilità, se anche potessimo far leva su un vago rapporto di cordiale amichevolezza, se si mettessero a difendere una persona come me, e questo mi sembra puro realismo. Anche se riuscissimo a convincerli della mia innocenza – e anche lì: come? – non sarebbe possibile chiudere un occhio sull'assenza di prove concrete per loro, perché tutto il resto della mia persona supplica di essere demonizzato. Correggimi se pensi che non sia ragionevole. » Annuì, scompigliando leggermente i capelli corti e cercando una posizione più comoda sulla sedia, le braccia incrociate al petto e le spalle contro lo schienale. Si chiede se quella seduta così poco confortevole non fosse una strategia ad hoc di Azkaban, volta a rendere le visite di amici e parenti dei detenuti il più brevi possibile. « Penso che hai ragione, sì... Ma anche che potremmo avere più spazio di manovra di come la descrivi tu. Con la giusta narrazione molte cose si possono risolvere, e non dimentichiamoci che diverse testate - inclusa quella di Potter, anzi soprattutto - condivideranno il nostro obiettivo di indebolire la credibilità del Progetto Minerva. E con alcuni possiamo sempre farci largo a modo nostro. » Dopo tutto, tutti hanno un prezzo. Di questo Nate aveva sempre avuto una forte convinzione, e più cresceva, e si ritrovava a contatto con il mondo vero, quello degli adulti al di fuori delle mura di Hogsmeade, e più constatava che non c'era niente di etico nella vita, neanche per coloro che tanto decantavano i propri valori: alla fine, per i più, tutto si riduceva sempre ad un numero su un pezzo di carta. « Per cui passiamo alla seconda strada. Invece di convincere gli elettori del Progetto Minerva a spingere affinché la giustizia si svegli, possiamo pensare – e questo è un long shot – alla possibilità di... portarglieli via? » Aggrottò la fronte, allungandosi un po' sul tavolo di fronte a loro: quelle parole avevano catturato la sua attenzione più di qualunque cosa si fossero detti fino ad ora. « Che intendi? » domandò, placido, e le spiegazioni di Tom non si fecero attendere. Lo ascoltò in silenzio, senza ribattere. Quello che Thomas stava dipingendo era una specie di sogno, un'utopia a tutti gli effetti. Su due piedi gli venivano in mente già almeno un centinaio di motivi per cui quell'idea era problematica, con un alto potenziale di scoppiare loro in faccia come una bomba a mano. « Che pensi? Un'altra delle mie stronzate? » Nate si sentiva abbastanza lucido da valutare la questione con freddezza: sì, quella era un'altra delle stronzate di Thomas. Per qualche motivo, però, le pupille si erano dilatate esponenzialmente, gli occhi verdi si erano ridotti ad una fessura, e nel suo petto aveva cominciato a montare una specie di frenesia antica, qualcosa che sentiva di non provare ormai da tempo. « Sì Tom, è una stronzata bella e buona » si affrettò a dire, come se la sua coscienza volesse imbavagliare già da subito quelli che - già lo sapeva - erano a tutti gli effetti degli istinti suicidi. Non c'era altro modo di descrivere quello che gli aveva appena proposto Thomas, se non come un autosabotaggio programmato. « Però... » Però potrebbe anche essere una figata. « Potrebbe anche fare al caso nostro. È veramente difficile, se non impossibile, questo lo sai. Ma se riuscissimo a riunire il giusto gruppo di persone, gente fidata, competente, per fare una cosa seria... » La sua mente in quel momento correva così veloce che riuscì quasi ad avvertire le vertigini. La sensazione che lo investì fu così peculiare, che gli pareva paragonabile soltanto a ciò che provava quando, a otto anni, lui e Thomas s'incontravano nel giardino di quest'ultimo e s'impegnavano per far scoppiare dei Fuochi d'Artificio Filibuster che sottraevano dal magazzino della Sala delle Feste di Villa Montgomery. Avevano entrambi un intelletto abbastanza sviluppato da comprendere che avrebbero potuto facilmente perdere un arto, eppure se ne stavano fermi, in silenzio sotto un albero, con il cuore in gola a sfregare le mani, in attesa di vedere le scintille.
    Fece scorrere la sedia all'indietro, per allontanarsi un po' dal tavolo. All'improvviso sentiva il bisogno di avere più spazio intorno a sé, come se quel senso di distanza e apertura potesse riflettersi in qualche modo nei suoi pensieri. Scosse piano il capo. « Hai ragione tu. Questo governo, a prescindere da tutto, ha i giorni contati » disse, facendo eco alle ultime osservazioni di Thomas. C'erano troppe falle nel sistema, troppa inefficienza, perché andasse avanti ancora per lungo. Le persone, prima o poi, si sarebbero stancate della narrativa di Minerva. A questo punto, tante vale fare un tentativo. « Allora, Tom, riflettiamoci un attimo. » Tamburellò con le dita sul tavolo, improvvisamente colto da una certa impazienza. « Partiamo dal fatto che le strade che hai immaginato non si escludono: dobbiamo lavorare su più fronti per avere la certezza di un buon risultato. » Annuì, toccandosi l'indice della mano destra, sottolineando l'inizio di un elenco. « Punto primo, facciamo pressione sugli avvocati affinché facciano il possibile per trovare nuove strade. Ci serve qualcosa di nuovo da portare al processo, dunque è il caso che tu rifletta su eventuali prove che potrebbero esserti sfuggite o persone che siano disposte a testimoniare » dietro lauta ricompensa, ma questo non va nemmeno specificato. « Punto secondo » sollevò dunque il medio sotto lo sguardo di Thomas. « I giornali. Mi pare evidente a questo punto che vale la pena contattare tutte le testate che potrebbero mostrarsi collaborative. Che ne dici? Sarebbe utile se riuscissi a stilare una lista di nomi, magari uno per redazione, da approcciare per iniziare ad avere una conversazione. » D'altronde sei tu quello che meglio conosce l'ambiente, e i personaggi più propensi ad avere un dialogo. « Per quanto riguarda Potter, possiamo provarci. Dovremmo andare con i piedi di piombo, ma il bacino dei Ribelli è comunque importante, ed è chiaro che anche a Londra ci sono molti simpatizzanti. Potrei sentire Amunet su questo fronte, capire che tipo di disponibilità c'è da parte loro. » Questa era una questione un po' più spinosa, ma era convinto che valesse la pena tentare. C'era un'alta probabilità che Amunet gli avrebbe sputato in faccia, o tirato una cinquina come una delle ultime volte che si erano visti? Eccome. Ma Nate tendeva a confidare nella maturità che entrambi dovevano aver raggiunto negli ultimi anni. « Infine, per quanto riguarda la tua idea... È più complicato. Dovremmo cominciare con un gruppo assai ristretto di persone, gente fidata. Potremmo ricontattare i ragazzi, e in questo caso non abbiamo dubbi sulla loro competenza. Ma non possiamo fidarci di tutti. Che dici? » Lo guardò, incerto su quest'ultimo punto. Dovevano essere estremamente cauti, per evitare brutte sorprese. D'un tratto gli sembrava tutto più grande di loro, più insormontabile rispetto a quando aveva varcato la soglia di Azkaban, poco meno di qualche ora prima. Ma anche molto, molto più elettrizzante.
     
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    «Penso che hai ragione, sì... Ma anche che potremmo avere più spazio di manovra di come la descrivi tu. Con la giusta narrazione molte cose si possono risolvere, e non dimentichiamoci che diverse testate - inclusa quella di Potter, anzi soprattutto - condivideranno il nostro obiettivo di indebolire la credibilità del Progetto Minerva. E con alcuni possiamo sempre farci largo a modo nostro.» Tom deglutì, ancora incerto rispetto a quella parte del progetto dell'amico slash avvocato. Continuava a fare riferimenti a possibilità di trovare strade preferenziali, secondarie, che avrebbero potuto aprirsi a loro se soltanto avessero avanzato proposte sufficientemente allettanti; parlava di testimoni che sarebbero riusciti a trovare, di aiuti che sarebbero riusciti ad ottenere spintonando, e laddove normalmente Thomas si sarebbe ritrovato d'accordo – anzi, probabilmente queste idee sarebbero partite proprio da lui – adesso non riusciva a considerare quelle come opzioni sufficientemente valide. Non era soltanto una questione di potere – economico, sociale, politico – che loro e quelli come loro non possedevano più come un tempo; non era neanche un problema legato alla valuta stessa che potevano offrire, essendo che i soldi fanno comodi a tutti ma che quella era una faccenda più etica, morale, troppo delicata per essere corrotta da qualche mazzetta. Era piuttosto un discorso di strategia. Tom, Nate, chiunque si fosse unito a loro, dovevano far capire di essere cambiati. Di non essere più dei ragazzini a malapena maggiorenni che pensano che le porte del mondo potranno spalancarglisi davanti soltanto per il cognome altisonante e le mani che riuscivano a stringere con sufficiente convinzione. Agire tramite sotterfugi e taciti accordi a porte chiuse era stato assolutamente inutile e inconcludente più di una volta, nella vita di Tom; se fosse mai stato abbastanza limitarsi a conoscere le persone giuste allora non avrebbe mai dovuto trovarsi rinchiuso ad Azkaban. Sospirò. «Potremmo avere una chance se contattiamo giornalisti che vogliano darmi il beneficio del dubbio – pur considerando che questo potrebbe costare loro moltissimo, a livello di credibilità e anche di sicurezza, in termini sia lavorativi che non. Ma ad ogni modo non renderei me il punto centrale di questo processo mediatico.» Prese un altro sorso d'acqua, così ghiacciata da doverla sorseggiare quasi fosse liquore. «Se si riesce a fare un lavoro pulito – e dico ineccepibile, Nate, senza strette di mano, senza spintoni a nessuno, allora sono d'accordo con te. Ma dev'essere talmente cristallino da renderci inattaccabili. Non deve dare l'impressione che sia ciò che non è, e cioè soltanto una cortesia che loro fanno a noi, o a me, per ripulirmi la reputazione laddove la mia fedina penale non possa essere più sporca di così, e che io sia disposto a tutto pur di ottenere questo favore. Ci dev'essere una comunione di intenti, capisci cosa voglio dire? Un'alleanza che non si basi su quanto in più di uno stipendio medio possiamo offrirgli se decide di aiutarci.» L'unico modo era costruire un team sufficientemente allineato – anche qualora le proprie lealtà risiedessero tutte in luoghi estremamente lontani – da essere difficilmente corruttibile. «Sì Tom, è una stronzata bella e buona.» Tom, prima ancora che l'amico continuasse a parlare, aveva già stampato sul viso un sorriso sghembo. Però ti fa impazzire. «Però potrebbe anche fare al caso nostro.» Batté piano la mano sul tavolo, per poi tamburellare con dita sulla superficie ruvida, il sorriso storto più ampio. Aveva bisogno che qualcuno credesse in lui, che fosse disposto a seguirlo lungo percorsi mai intrapresi, strade nuove, modalità più adulte, più rischiose, ma audentes fortuna iuvat. E questo Nate, ora lo sentiva, riusciva a capirlo. «È veramente difficile, se non impossibile, questo lo sai. Ma se riuscissimo a riunire il giusto gruppo di persone, gente fidata, competente, per fare una cosa seria...» «Serissima, Nate. No slip ups. È qualcosa di più grande di me e te, e richiederà più serietà ed energia di qualunque altra cazzata che ci siamo mai messi in testa. È proprio territorio inesplorato, ma è assolutamente fattibile. Se ci pensiamo abbastanza non può fallire, lo so.» si lasciò andare appena in più Tom, che nel presentare quell'idea – a cui aveva dedicato soltanto qualche notte insonne e nulla di più per evitare di correre troppo con la mente – si era assicurato di chiamare a rapporto tutta la cautela di cui era capace. Aveva cercato di toccarla più piano possibile, con tutti i se e i ma del caso, ma adesso che guardava la luce guizzare negli occhi verdi del compagno sentiva qualcosa montargli nel petto, qualcosa che gli rendeva la respirazione appena più affannata. Strofinò i palmi delle mani umide tra di loro. He was all in, questo era chiaro; in quel progetto l'unico a dover tirare il freno a mano più forte degli altri avrebbe dovuto essere proprio Tom, perché c'era in ballo tutto, per lui, il valore più assoluto di tutti: per Nate c'era il riscatto, la dignità, persino la gloria, qualora fossero riusciti. Ma Thomas stava affidando a quell'idea ambiziosa la sua libertà, e la sanità che ne conseguiva. Tenere a bada quell'entusiasmo, tenere a freno l'animale che aveva dentro, che scalpitava rinchiuso in una gabbia senza via d'uscita e che intraveda uno squarcio di luce appena valicabile sarebbe stato quasi impossibile. Il respirò gli si accelerò ancora un po', e sentì il bisogno di inspirare più a fondo, prendendo un altro sorso d'acqua per sciogliere la bocca asciutta. Nessun impeto: doveva mantenere la calma il più possibile, specie adesso, che era ancora tutto assolutamente embrionale. Aveva ricevuto solo un forse e già gli prudevano le mani. In questo era sempre stato più bravo Nate, di lui. «Allora, Tom, riflettiamoci un attimo» sembrò leggergli nella mente lui. «Partiamo dal fatto che le strade che hai immaginato non si escludono: dobbiamo lavorare su più fronti per avere la certezza di un buon risultato.» Annuì, socchiudendo gli occhi, seguendo il piano che Nate gli illustrava con solita meticolosità. È sempre stata la teoria, la sua parte preferita. Tom invece era stato più tipicamente il braccio, in quell'accoppiata, per quanto poco gli piacesse immischiarsi nelle faccende che non lo riguardassero personalmente. Nate lavorava a livelli più astratti, più concettuali di lui, di più ampio respiro: agiva per interesse morale, talvolta, per principio di “giustizia”. Una giustizia sempre oggetto di definizione propria, sicuramente, ma aveva una natura molto meno indolente rispetto a quella di Thomas, pronto all'azione soltanto quando proprio costretto dalle circostanze, quando sentiva di non avere altra scelta. «Ci serve qualcosa di nuovo da portare al processo, dunque è il caso che tu rifletta su eventuali prove che potrebbero esserti sfuggite o persone che siano disposte a testimoniare». Ci aveva pensato a lungo, ma le uniche persone che potevano costituire una testimonianza sufficientemente attendibile sarebbero state le persone lì presenti al momento dell'accaduto, e tutte erano ben remunerate per tenere la bocca chiusa. C'erano alcuni su cui si interrogava, alcuni come Freya, a cui i soldi sarebbero sicuramente tornati utili, ma che non era certo avesse la coscienza di lasciarlo nella merda fino a quel punto. Eppure non si era fatta viva, e lo scandalo del suo arresto aveva generato un'eco che, per quanto la ragazza potesse abitare – più o meno letteralmente – sotto una roccia, non avrebbe potuto evitare di raggiungerla. Non aveva tentato di farlo neanche lui, certo, e non era ancora del tutto sicuro del perché. C'era qualcosa che gli diceva che sarebbe stato inutile, non sapeva se fosse la rassegnazione dopo due anni di reclusione, ma si era sempre detto che anche qualora Freya fosse stata disposta a testimoniare il problema sarebbe stato duplice: da un lato si trattava di un pesce incredibilmente piccolo in un mare di squali pronti a farla a pezzi, specie trovandosi completamente da sola al banco dei testimoni; dall'altro il solo atto di provare a contattarla significava esporla, e quello poteva essere un rischio che lei semplicemente non avrebbe voluto dover correre, e Thomas non avrebbe potuto biasimarla per questo. Non era sicuro si trattasse
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    di altruismo – come poteva? Non sarebbe stato da lui, quello slancio di empatia. Piuttosto era una faccenda pragmatica: sarebbero finiti entrambi sul fondo. Se quella carta esisteva allora andava giocata al momento giusto. «Continuerò a pensarci.» lo rimbeccò. «Punto secondo. I giornali. Mi pare evidente a questo punto che vale la pena contattare tutte le testate che potrebbero mostrarsi collaborative. Che ne dici? Sarebbe utile se riuscissi a stilare una lista di nomi, magari uno per redazione, da approcciare per iniziare ad avere una conversazione.» «Non ho esattamente carta e penna a disposizione qui, Nate, non so se te ne sei accorto» non potè esimersi dal rispondere Thomas, con una punta di livore in più di quanto prevedesse. Sbuffò una risatina nasale per smorzare, incrociando le braccia al petto. «Per quanto riguarda Potter, possiamo provarci. Dovremmo andare con i piedi di piombo, ma il bacino dei Ribelli è comunque importante, ed è chiaro che anche a Londra ci sono molti simpatizzanti. Potrei sentire Amunet su questo fronte, capire che tipo di disponibilità c'è da parte loro.» Si grattò una tempia, mordicchiandosi l'interno delle guance. «Quanto vogliamo dire, ai Potter? E ai giornalisti in generale? Possiamo fidarci di Amunet?» Fu la domanda didascalica quanto schietta che dovette porre a Nate. Capiva perché il Gruppo Peverell fosse una pedina estremamente conveniente: era un gruppo indipendente, di stampo ribelle, ma l'imparzialità dell'informazione era una barzelletta in cui non credeva più nessuno; il bacino di utenza dei media del gruppo, quindi, era già piuttosto avverso al Gruppo Minerva. Avrebbero dovuto ingaggiare gli elettori inglesi dell'attuale ministero, e farlo con una testata che già di suo partiva da una posizione notoriamente avversaria al governo poteva essere doppiamente faticoso. «Pensi che il Gruppo Peverell riuscirebbe a farsi considerare come fonte oggettiva da parte degli elettori di Minerva? È estremamente facile che prendano qualunque servizio o articolo a sfavore del governo come semplice antipropaganda, e il mio caso diventerebbe pretestuale, uno strumento dell'avversario come un altro, se messo in mano ai Ribelli. Secondo me serve qualcuno di cui l'elettorato si fida.» Ma a quel punto come fare a convincere una testata più o meno filogovernativa a intraprendere una smear campaign contro il Ministero? «Mi viene in mente Fitzwilliam.» Com'erano rimaste le cose, con lui? Era così difficile ricordare i perché e i come di quelle loro solite liti infantili, adesso che Tom si sentiva di dieci anni più vecchio e con preoccupazioni che si augurava che nessuno di loro dovesse mai affrontare. «Possiamo sentirlo? Da che parte stanno i Gauthier? E anche lui... Quanto coinvolgerlo?» Cosa avrebbe pensato, Fitz? E Mun, e altri come loro che avrebbero ricevuto una telefonata da Nate in vece di Thomas, da dietro le sbarre, dopo anni di silenzio? «Dovremmo cominciare con un gruppo assai ristretto di persone, gente fidata. Potremmo ricontattare i ragazzi, e in questo caso non abbiamo dubbi sulla loro competenza» «Non abbiamo dubbi? Stiamo parlando dello stesso gruppo di ragazzi?» «Non possiamo fidarci di tutti. Che dici?» Si passò una mano sul viso tirato. Il Clavis era una questione dolente a cui non aveva ripensato da anni. Tornarci con la mente lo faceva sentire a disagio, ricordava quell'ultima cena che aveva tentato di organizzare e non provava altro che imbarazzo e pena per quella versione di se stesso così incautamente aggrappata agli idilli del passato. Riguardandosi ora riconosceva i tentativi di un ragazzo perso e terrorizzato di sentirsi al sicuro tornando nell'unico posto a cui si era sentito di appartenere – ma quel posto non esisteva più per nessuno, né due anni prima, quando aveva tentato in modo maldestro di riportarlo insieme e prendersi cura dell'unica cosa a cui avesse tenuto in adolescenza, né tantomeno adesso. Non per lui, almeno: sentiva quella realtà distante anni luce, faticando a ricordarne i contorni, a percepirne i legami; c'era stato un momento in cui erano stati tutta la sua vita, questo lo sapeva. Forse il problema era stato proprio cercare di prendersi cura di qualcosa. «Non lo so.» Disse alla fine, sincero. «Non so neanche chi chiamerei. Credo che parteciperebbe – comprensibilmente – soltanto chi possa trarre dalla questione un profitto personale.» Si strinse nelle spalle, scivolando sulla sedia e allungando le gambe. «Io non so se mi fido di qualcuno lì dentro, sinceramente» disse con un sorriso amaro quanto onesto. «Ma mi fido di te.» Lo guardò infine, serio. «Hai sempre avuto più fiducia in quel gruppo di me. Ma non mi va di chiedere loro aiuto. Se si uniscono a questa cosa lo fanno perché conviene a loro; altrimenti, se devono fare un favore a me, non vale neanche la pena di disturbarli per chiederglielo, a mio parere.» Scosse la testa, un'espressione più dura sul viso mentre la bocca si contorceva in una smorfia quasi disgustata. Neanche una lettera. Da nessuno di loro. «Tu pensavi a qualcuno nello specifico?» Chiese, atono.
     
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