we all need somebody to lean on

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    Stretta nel pesante cappotto di lana, la figura esile di Agnés D’Arcy percorreva il chiostro di tutta fretta, la borsa che le pendeva maldestramente dalla spalla destra ed i piedi, fasciati da graziosi stivaletti invernali, che scalpicciavano sul pavimento di pietra. Presa dalla fretta, urtò maldestramente un paio di studenti del quinto anno. « Hey! » Si voltò appena a guardarli, urlando un paio di parole a mo di scuse, muovendo la bacchetta con un gesto distratto per aiutarli a recuperare i rotoli di pergamena che erano volati in tutte le direzioni.« Attenta! Non si corre per i corridoi! » Le proteste di un’altra studentessa vennero ben presto ignorate nel momento in cui Agnés spalancò la porta che dava sul corridoio. Si costrinse tuttavia a rallentare un attimo, riducendo la propria andatura ad un passetto affrettato – d’altronde, Nessie detestava correre; lo aveva sempre trovato poco elegante. « Otis! » Voltato l’angolo, aveva individuato immediatamente il profilo familiare del Tassorosso, appena uscito dall’aula studio. Sollevò una mano con aria impaziente per attirare la sua attenzione e, dopo essersi fatta spazio tra gli studenti, gli sgusciò accanto. « Oh, meno male. Pensavo fossi già andato a casa. » Lo afferrò sottobraccio, sventolandosi appena con la manina guantata. Era evidente che avesse corso, viste le guance arrossate ed il respiro affannato. « Ma non lo guardi più il cellulare? Ti ho mandato almeno venti messaggi su Whatsapp! » Gli scoccò un’occhiata vagamente piccata, prima di roteare scherzosamente gli occhi al cielo. « Vabbé, non importa. Per fortuna sono riuscita a fermarti. Non sono sicura del nuovo articolo per il giornalino. L’ho riscritto tipo tre volte, ma nessuna versione mi convince davvero. Penso di avere un blocco dello scrittore o qualcosa di simile. » Sospirò, contrariata, mentre un leggero broncio si dipingeva sulle labbra arrossate per il freddo. « Comunque, ci ho pensato e credo che potrebbe essermi d’aiuto se ci ragionassimo assieme. Solo che mh » Esitò un’istante. « con questo freddo la biblioteca è piena stipata e l’aula delle ripetizioni è occupata dal Club di Scacchi. Ti direi di venire da me a Londra, ma sai com’è mio padre, ultimamente. Non credo che mi aiuterebbe avere il suo fiato sul collo per tutto il tempo. » O vederlo squadrare i miei amici come se fossero criminali, per quel che vale. In seguito al crollo di Inverness e alle misure prese dal Ministero, i D’Arcy si era prontamente ritirati nella loro tipica posizione di ambigua neutralità. Basil aveva fatto sì che non vi fossero dubbi al riguardo, a tal punto che persino Beaufort aveva acconsentito alla necessità di prendere ‘precauzioni’ per quanto riguardava Agnés. Prontamente, il contratto d’affitto della casa di Hogsmeade che aveva condiviso con Veronica era stato disdetto e, con altrettanta solerzia, suo padre aveva affittato un lussuoso appartamento con cui camere da letto a Londra, imponendole quello che – di fatto – era un vero e proprio coprifuoco – o ricatto, come Nessie si preoccupava di precisare ogni volta che si ritrovavano a discutere; avvenimento che, ultimamente, si ripresentava con una certa frequenza. « Ho pensato che ci servirebbe un posto tranquillo e vicino al Castello, perciò ho chiesto ad Èmi se posso usare casa sua e ha detto di sì. » Scelse attentamente le parole che aveva utilizzato, mentre con nonchalance guidava Otis verso l’uscita del Castello, intenzionata a raggiungere Hogsmeade. « Vabbè che non è proprio casa sua, resta comunque casa di sua cugina, ma hai presente no? Il cottage vicino alla foresta? » Non attese realmente risposta, mentre si dirigevano verso le stradine acciottolate di Hogsmeade. « Dato che non ho più lezioni nel pomeriggio, oggi è la giornata ideale. Dobbiamo solo fermarci a prendere qualcosa per merenda, magari qualche fetta di plumcake e degli zuccotti? » Rabbrividì leggermente a causa di una folata di vento ed affondò il naso nella sciarpa, stringendo un po’ di più il braccio di Otis. « Per Merlino, spero che Èmi abbia almeno del thé, anche se con questo tempo una cioccolata calda sarebbe l’ideale. Gli manderei un messaggio se non avessi le dita congelate! » Era vero che aveva chiesto ad Èmile di fermarsi a casa sua per lavorare su un articolo per il giornalino, ma in tutto ciò non aveva mai apertamente menzionato il nome di Otis, nè spiegato esplicitamente che aveva bisogno dell’aiuto del giovane Branwell. Sapeva che dopo quanto accaduto ad Inverness ed Hogwarts, l’astio tra i due Tassorosso sembrava essersi affievolito, ma non voleva dare modo a nessuno dei due di tirarsi indietro e mandare all’aria il piano perfetto che si era delineato nella sua mente durante la lezione di metà mattina. Ormai la situazione si sta facendo ridicola. « Ah, eccoci! » Agnés spalancò la porta del fornaio, mantenendola aperta affinché Otis potesse seguirla all’interno, dove vennero accolti da un piacevole calore e un intenso profumo di vaniglia. Si avvicinò al bancone e, dopo qualche convenevole con il proprietario, ordinò zuccotti, calderotti e plumcake da portar via. « Otis, tu vuoi altro? » Gli domandò, rovistando nella borsa fino a quando non ebbe trovato il portafoglio. Quando si avventurarono nuovamente all’esterno, un sacchettino pieno di delizie dondolava dalla mano guantata di Nessie. Da lì, il tragitto fu piuttosto breve, riempito per lo più dalla voce squillante di Nessie. A dire il vero, di tanto in tanto, Agnés aveva lanciato qualche rapida occhiata in direzione di Otis, tentando di capire quali pensieri gli frullassero in testa senza alcun risultato; eppure, era pronta a scommettere che il Tassorosso forse piuttosto nervoso, a giudicare dalla postura rigida – forse era colpa del freddo? - e dal modo in cui si mordicchiava l’interno della guancia. « Ci siamo quasi, di qua. » Superato l’ultimo agglomerato di casette, Agnés imboccò un sentiero che costeggiava il limitare del bosco, fino a quando non si trovarono davanti ad un grazioso cancello di legno. Si sollevò sulle punte dei piedi ed allungò la mano all’interno, facendo scattare la serratura e rivolgendo ad Otis un sorriso complice; da quando Èmi si era trasferito lo era andato a trovare spesso – abbastanza da imparare come aprire il cancello dall’esterno. « Preparati, come metteremo piede in casa Nacho ti salterà addosso. » Ridacchiò, divertita. « È un cagnolino così carino, anche se quando dorme ruba troppo spazio nel letto. » Precedette Otis su per gli scalini e suonò il campanello del cottage. Dopo pochi istanti, l’abbaiare frenetico dall’altro lato della porta venne accompagnato da un rumore di passi e da qualche chiaro – quanto inutile – ammonimento. La chiave girò nella serratura e la chioma arruffata di Èmile Carrow fece capolino oltre lo stipite della porta. Nessie si aprì in un sorriso, sollevandosi in punta di piedi per stampargli un leggero bacio sulle labbra. « Stavi dormendo, per caso? Hai i capelli tutti arruffati! » Scherzò, allungando una mano per
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    sistemare un ricciolo ribelle. « Qui c’è la merenda, come promesso. Hai del thé, vero? » Domandò con aria speranzosa, porgendogli il sacchetto pieno di cibo. Nel mentre, si affrettò a sfilarsi gli stivali, depositandoli accanto all’entrata. Fuori si gelava e non vedeva l’ora di riscaldarsi, con una coperta ed una tazza di thè bollente. Fu a quel punto che si voltò in direzione di Otis, facendogli cenno di affrettarsi. « Otis, che aspetti? Finirai per morire di freddo lì fuori! È meglio se ti togli le scarpe, però. » Si scostò accanto ad Èmi, sospingendolo leggermente all’interno per dare modo ad Otis di entrare. Si liberò del cappotto e si avvicinò ad Emi, allungando una mano a stringere quella calda di lui. « Ho chiesto ad Otis di aiutarmi con l’articolo. Non è un problema, vero? » Gli domandò, a bassa voce, sollevando i grandi occhi nocciola su di lui e fissandolo speranzosa.
     
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    Le dita chiuse tra i ricci disordinati, Émile sbuffò sonoramente per la ventitreesima volta, quel pomeriggio. Teneva i gomiti poggiati sul grande tavolo del salotto, le mani sul capo in segno di chiara disperazione e gli occhi nocciola fermi sull'oggetto davanti a sé. Sembrava quasi assente, non batteva ciglio. Sulla sua spalla Sky, la piccola puffola pigmea di colore azzurro che aveva ereditato da June, si godeva la scena con una sorta di compiacimento che traspariva dai suoi piccoli versetti. Era da circa una mezz'ora che il povero Carrow non distoglieva gli occhi dal fegato di Mooncalf che si trovava sul tavolo dinnanzi a lui, nel disperato tentativo di individuare, da qualche parte in quell'ammasso marrone molliccio, l'arteria epatica - come indicato sul libro di testo di Anatomia dei mammiferi magici. Ne aveva tastato più volte con le dita la superficie umidiccia, aveva rigirato l'organo in tutte le posizioni possibili, ma del vaso sanguigno principale non c'era traccia. Il « Che palle! » esasperato del giovane risuonò nel silenzio della stanza, tanto da destare per un attimo Marv, che dormiva nel suo giaciglio, far scattare in allerta Onyx, intento a fare lo stesso sul divano. Il Cottage senza June era di una tristezza difficile da descrivere: per quanto Emi si sforzasse di mantenere la casa viva e in ordine, non aveva la stessa cura nei dettagli della cugina - i fiori che prima adornavano il salotto erano spariti tutti, perché Emi faticava a ricordarsi di cambiare l'acqua; il frigorifero conteneva lo stretto indispensabile, e i cuscini dei divani erano spesso sparsi sul tappeto del salotto perché riordinarli era la cosa che lo scocciava più di tutte. Quando June l'aveva messo davanti alla prospettiva di avere una casa tutta per sé, messe da parte le ovvie preoccupazioni per la cugina, l'idea l'aveva quasi elettrizzato: per lui abitare da solo era sinonimo di autonomia, indipendenza, essere finalmente grande, insomma. Gli pesava ammetterlo, ma col passare delle settimane aveva scoperto che la vita solitaria era ben più pesante di quanto immaginasse. Alla sera, il silenzio assordante di quelle mura talvolta rischiava di farlo impazzire, e per questa ragione costringeva Nessie a stare insieme al telefono fino a tardi, quando non poteva rimanere da lui per la notte. La solitudine si faceva sentire anche perché, oltre a lei, non aveva nessun altro da chiamare, alla sera.
    Sapere che Agnés l'avrebbe raggiunto per una merenda aveva reso il suo pomeriggio di studio improvvisamente più sopportabile, tanto che balzò all'impiedi quando udì il campanello suonare. « Nacho, stiamo calmi, dai. È solo Nessie » cercò di rabbonire così il cagnolino di June, che già aveva iniziato a scodinzolare e correre verso l'ingresso. Quando aprì la porta, sorrise istintivamente nel vedere Nessie. Si ritrovò a premere il palmo della mano contro la base della schiena di lei per trattenerla qualche secondo in più in quel bacio innocente. « Stavi dormendo, per caso? Hai i capelli tutti arruffati! » Sospirò, lasciandosi sistemare un riccio ribelle che gli ricadeva sugli occhi. « Magari... Stavo morendo dietro Anatomia dei mammiferi magici. Hai portato da mangiare? » Incurvò le spalle, piegandosi di nuovo nella sua direzione per concedersi qualche altro secondo delle sue labbra, con l'ennesimo bacio a schiocco. « Qui c’è la merenda, come promesso. Hai del thé, vero? » Prese il sacchetto dalle mani della ragazza, e stava per esaminarne il contenuto, quando notò una figura a cui proprio non aveva fatto caso prima, appena alle spalle di Nessie. Niente meno che Otis Branwell. « Oh, ciao » lo salutò, visibilmente sorpreso, prima di scostarsi di lato per permettere a lui e Nessie di entrare nell'atrio del cottage. Stava per dirigersi verso il tavolo del salotto, per fare loro spazio dai mille libri e quaderni che lo invadevano, ma fu trattenuto dalla mano di Nessie che si strinse alla sua. « Ho chiesto ad Otis di aiutarmi con l’articolo. Non è un problema, vero? » « Ma che scherzi? E perché dovrebbe essere un problema? Mi va benissimo » mormorò a bassa voce, sincero, rivolgendole un sorriso. « Mamma mia Ness, sei ghiacciata come un polaretto » osservò, portando la mano di lei vicino alla propria guancia calda, e accarezzandola delicatamente con il pollice, nel tentativo di scaldarla. « Fa tanto freddo fuori? » domandò, questa volta a voce più alta, con l'intento di condividere anche Otis nella conversazione. « Io non avevo lezioni e non sono proprio uscito di casa, oggi. » Lasciò scivolare verso il basso le loro mani intrecciate, mentre conduceva il gruppo verso il grande tavolo da pranzo al centro del salotto. « Potete sistemarvi qui per lavorare. Aspettate faccio un po' di spazio » e così dicendo si prodigò a raccogliere un po' di fogli in una pila, chiudere qualche quaderno e a delimitare lo spazio della sua roba ad un angolo del tavolo, così che gli altri due avessero ampio spazio. Prese poi il fegato di Mooncalf e lo sistemò con un tonfo sopra il libro chiuso di Anatomia: aveva deciso che per oggi ne aveva abbastanza di quello studio senza risultati. « Non vi fate impressionare, è finto, una specie di prototipo » si sentì in dovere di specificare, quando notò l'occhio di entrambi cadere sul suo fegato. In effetti sembrava particolarmente realistico, con quell'acquatta marroncina che sembrava trapanare dal tessuto molle e le venature più scure che lo attraversavano - tranne quella dannatissima e introvabile arteria epatica. « Quelli veri puzzano molto di più » osservò, prima di sparire verso la cucina. «
    Preparo il tè, ci metto un attimo »
    annunciò, mentre recuperava tazze e teiera. Mentre aspettava che l'acqua si riscaldasse, le braccia conserte sul ripiano della cucina, non poté fare a meno di riflettere sulla situazione in cui si trovava. Otis era in casa sua, e si rivedevano per la prima volta da quando Emi aveva lasciato la stanza nei dormitori, subito dopo aver ricevuto le chiavi del cottage da June. In quelle settimane si erano visti qua e là per il college, ma in sostanza non si rivolgevano la parola da quella chiamata, subito dopo l'attacco del Ministero al castello e a Inverness. Se da un lato quella conversazione aveva allentato la tensione, dall'alto Émile aveva avuto la sensazione che avesse reso il loro rapporto ancora più complicato, ancora più indefinito. Non erano più amici, ma non si odiavano più. Era una situazione ambigua verso la quale Nessie più volte aveva manifestato insofferenza, motivo per il quale Emi non era sorpreso che alla fine l'avesse portato con sé quel pomeriggio. Non sapeva esattamente cosa pensare, ma decise che, almeno per quel pomeriggio, voleva mettere da parte tutte quelle elucubrazioni mentali: banalmente, era sinceramente contento di avere un po' di compagnia.
    « Ecco qua » disse, accompagnando con la bacchetta le tre tazze e la teiera piena di acqua calda sul tavolo. Lui dal suo canto si sistemò sul proprio posto, e prima ancora di pensare al tè si trovò ad allungare una mano dentro al sacchetto di Mielandia, per recuperare uno zuccotto fresco, che trangugiò in un boccone solo. « Buoniffimo » commentò, pulendosi la maglietta dalle briciole, prima di versare un abbondante quantitativo di tè nella propria tazza. « A che articolo state lavorando? » domandò infine, vagamente curioso.
     
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    Il cellulare di Otis aveva ripreso a vibrare, incessante, e ancora una volta aveva rivolto lo schermo verso il basso. Sbuffando, si passò le mani sul volto pallido, le guance leggermente arrossate dal tepore dell'aula studio. Quando il telefono finalmente arrestò il proprio movimento convulso, il ragazzo sbloccò lo schermo, il nome di Nessie accompagnato dal numero due, incluso tra parentesi. Cominciando a sentirsi un po' il colpa, aprì Whatsapp, per controllare se per caso avesse lasciato scritto lì quale fosse l'emergenza. I messaggi della D'Arcy, però, erano troppo vaghi. Qualunque cosa sia può aspettare. Tutto poteva aspettare, in quel periodo. Non era una gran novità, ormai aveva imparato a conoscersi – una triste conseguenza dell'essere esposto ad eventi traumatici che si erano susseguiti anno dopo anno nel corso della sua adolescenza. Gli ci voleva qualche mese, poi tornava in sé, ma nel frattempo si isolava, avvertiva la necessità di ibernarsi, proteggersi dal mondo esterno, come una mano ritratta dalla fiamma scottante. Era tutto troppo. Erano trascorsi quasi tre mesi da quando aveva visto per l'ultima volta sua madre e i suoi fratelli, tre settimane dall'ultima volta che li aveva sentiti. Non ricordava l'ultima volta che si era concesso una serata per divertirsi un po', stare con degli amici, non avrebbe saputo dire se ancora ne avesse. Davanti a lui, il manuale di Tipografia del 500 era aperto a pagina 20, ed inaspettatamente si lasciava leggere in modo sufficientemente scorrevole. Era sempre riuscito a concentrarsi bene sul lavoro, a prescindere dalle circostanze. Una mezz'ora dopo aveva già concluso tutte le pagine che si era prefissato da programma, e riempì la casella vuota con una grossa V in corrispondenza alla dicitura “studia fino a pagina 35”, con una certa soddisfazione. Con calma, ripose la penna tra le pagine dell'agenda, che richiuse con un tonfo ovattato, e la lasciò scivolare nella tracolla. Aveva finito tutto prima delle cinque, il che significava potersi sfasciare di videogiochi a oltranza. Un piccolo lusso che gli era stato concesso era avere la stanza del dormitorio, che prima divideva con Émile, tutta per sé – l'intero collegio decimato dalla necessità di molti di tornare ad Iron Garden, dopo le lezioni, mentre altri semplicemente non si erano più visti. Non era giusto concepirlo come un lusso, come un regalo, se ne rendeva conto; la verità era che se si fosse soffermato a pensarci fino in fondo il senso di colpa l'avrebbe ingoiato intero, e così aveva cercato ostinatamente di guardare il bicchiere mezzo pieno. La colpa significava la spinta ad agire, e alla spinta ad agire corrispondeva l'impotenza, reiterata e rimarcata, un ricordo che gli veniva riportato alla mente ad ogni nuovo articolo pubblicato sul giornalino che parlava di cose interessanti, magari, ma distanti dalla realtà effettiva della situazione. Aveva pensato a lungo di poter essere la goccia che scava la pietra, di poter davvero provare a cambiare il mondo; non ci credeva più, questo era chiaro: sarebbe stato da pazzi o da illusi pensare di contare qualcosa. Però aveva accettato la propria insignificanza, e questo gli permetteva di rabbonire la spinta all'azione, alla salvezza, persino, metteva a tacere la voce che gli diceva che non stava facendo abbastanza, non si stava dispiacendo abbastanza, che stava facendo l'egoista: cos'altro avrebbe potuto fare? «Otis!» Gli ci volle qualche secondo per rintracciare la sorgente di quel richiamo, identificata nei corridoi e nascosta tra gli studenti, un solo braccino esile che sventolava, a renderla distinguibile. Otis emise un sospiro impercettibile, rim
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    anendo fermo dov'era, aspettando che lo raggiungesse lei. «Oh, meno male. Pensavo fossi già andato a casa.» Strinse le labbra in un sorriso di circostanza. Le cose con Nessie si erano fatte strane, non era il caso di girarci attorno. Da quando stava con Emi gli era presa la sensazione di disturbarli ogni qualvolta gli era venuto in mente di scriverle, o il timore di dare a lui l'impressione sbagliata, pestargli i piedi senza averne alcuna intenzione. E in fondo Otis non sapeva se era contento per loro. Non sapeva se lo convincessero, come coppia, se stessero davvero bene insieme, vista la strada incredibilmente tortuosa che aveva preceduto quel felice epilogo. Era a disagio, quando era capitato di passare del tempo con Nessie per poi essere raggiunti da Émile. Loro due erano la coppia, e Otis solo il terzo incomodo, anche perché lui ed Emi a stento si parlavano, per cui era davvero una presenza quantomai fuori luogo, la sua. Stava facendo quello che faceva meglio, cioè scivolare via. Provò a mormorare delle scuse poco credibili in risposta, ma fortunatamente Nessie era un fiume in piena – come al solito. «Vabbé, non importa. Per fortuna sono riuscita a fermarti. Non sono sicura del nuovo articolo per il giornalino. L’ho riscritto tipo tre volte, ma nessuna versione mi convince davvero. Penso di avere un blocco dello scrittore o qualcosa di simile.» Otis si lasciò guidare, il braccio di lei intrecciato all'avambraccio di lui, incerto su dove lo stesse conducendo. «Sono sicuro che le versioni che hai scartato andassero più che bene, Ness. Non serve stare a pensarci troppo su.» Tanto non conta poi così tanto. Gli unici lettori assidui che abbiamo sono sì e no tre, e uno di loro è il Guardiacaccia, che probabilmente usa le pagine per tenere il fuoco acceso o far fare i bisogni ai furetti. «Comunque, ci ho pensato e credo che potrebbe essermi d’aiuto se ci ragionassimo assieme.» Ridacchiò, l'amica che continuava come se lui non avesse detto niente. «Solo che mh...con questo freddo la biblioteca è piena stipata e l'aula delle ripetizioni è occupata dal Club di Scacchi. Ti direi di venire da me a Londra, ma sai com’è mio padre, ultimamente. Non credo che mi aiuterebbe avere il suo fiato sul collo per tutto il tempo.» Tante cose erano cambiate: Nessie non abitava più con Ronnie, così come Otis non abitava più con i suoi, e lo stesso valeva per praticamente tutte le sue amicizie e conoscenze. Si poteva dire che nessuno fosse rimasto intoccato dall'espansione inglese. «Ooookay, se vuoi una mano possiamo lavorarci» provò a commentare, senza davvero avere voce in capitolo. La sua sessione di Mario Bros in solitaria, a ingurgitare ramen istantaneo per poi sfogliare qualche manga prima di andare a dormire poteva essere rimandata al giorno dopo, e quello dopo ancora. Si mordicchiò l'interno delle labbra, ragionando con Nessie. «Va be', c'è la mia stanza al dormitor–» «Ho pensato che ci servirebbe un posto tranquillo e vicino al Castello, perciò ho chiesto ad Èmi se posso usare casa sua e ha detto di sì.» Otis arrestò il passo, ormai diretti verso l'uscita del Castello. «In che senso a casa sua?» Sentiva odore di imboscata. Conosceva Nessie, ci aveva già provato in passato, a farli stare tutti e tre insieme, e prontamente uno dei due ragazzi sgusciava via, chi per un motivo chi per un altro. «Vabbè che non è proprio casa sua, resta comunque casa di sua cugina, ma hai presente no? Il cottage vicino alla foresta?» «Ness...» si grattò un orecchio, indeciso su come metterla giù, consapevole che la ragazza fosse un imbuto che trasmetteva ogni cosa Otis le raccontasse alla propria dolce metà. Non voleva ferire i sentimenti di nessuno, ma Nessie ed Émile gli erano assolutamente insopportabili quando stavano insieme, da quando si erano decisi a dichiararsi e fidanzarsi ufficialmente. Non facevano che sbaciucchiarsi, prendersi le mani a vicenda, una volta li aveva addirittura visti imboccarsi, gli pareva – robe da far accapponare la pelle. « Dato che non ho più lezioni nel pomeriggio, oggi è la giornata ideale. Dobbiamo solo fermarci a prendere qualcosa per merenda, magari qualche fetta di plumcake e degli zuccotti?» «Ma ci sarà anche lui? O ti mette a disposizione casa sua mentre è fuori?» No perché se stiamo tutti e tre insieme appassionatamente io alzo i tacchi. Nessie continuava a ignorarlo, avanti dritta per la sua strada, praticamente trascinandosi dietro il ragazzo e il suo braccio.
    Per tutto il resto del tempo, dal fornaio e lungo il tragitto verso casa di Emi, Otis comprese che qualunque protesta avesse cercato di agire sarebbe stata vana. Sentiva chiaramente che la mano gli fosse stata forzata, in quella situazione, e meditò a lungo, passeggiando accanto a Nessie, come avrebbe dovuto comportarsi per non rendere la situazione spiacevole per tutti, ma non permettere quelle invadenze. «Ness...» riprovò, mentre percorrevano il sentiero che conduceva al cancello di legno. «Prima o poi smetterai di fare questa cosa della Parent Trap?» La guardò per qualche istante, sperando che lo ascoltasse e che lo assecondasse, cercando segni, negli occhi di Nessie, che potesse capirlo. Non è che non voglio essergli amico – è che voglio farlo con i miei tempi, e possibilmente non con la sua neo-fidanzata-in-fase-luna-di-miele che gli sta spiaccicata addosso tutto il tempo. «Preparati, come metteremo piede in casa Nacho ti salterà addosso.» Stavolta Otis sospirò più rumorosamente, infilandosi le mani nelle tasche del giubbotto. Chinò la testa, stringendosi nelle spalle, arreso. Raggiunta la porta della villetta in cui Emi risiedeva – lui? In un posto così grande? Non si sentirà solo? – afferrò la cinghia della propria tracolla con entrambe le mani, e prese un respiro profondo. A prescindere dalle persone in questione, era proprio passato tanto tempo da quando era stato in compagnia di altre persone, per quanto triste o assurdo suonasse. Non era più tanto abituato a socializzare. Quando la porta si aprì, il ragazzo osservò Emi e Nessie scambiarsi un sorrisetto complice. Al primo bacio di quella che senz'altro sarebbe stata una lunga serie Otis distolse lo sguardo, improvvisamente catturato da uno scoiattolo che correva su un ramo lì vicino. Here we go. «Oh, ciao». Otis si voltò, le mani adesso di nuovo nelle tasche, e strinse le labbra in un sorriso incerto, un altro, stringendosi nelle spalle. «Ehilà». Esitò nel farsi avanti, decidendosi soltanto quando Nessie lo invitò ad entrare, teso come un tronco di legno. «È meglio se ti togli le scarpe, però.» Oh, una no shoes house policy... Inaspettato, per Emi. Si ricordava di volte in cui era salito sul letto senza togliersi gli scarponcini, figurarsi. Rimase impalato nell'ingresso, già sentendosi ospite indesiderato. I due si scambiarono qualche altro sorrisetto complice e delle frasi che Otis non colse, non volendo intrudere, e così si limitò a guardarsi attorno, osservando l'arredamento. Da solo, qui. «Fa tanto freddo fuori?» «Un po'. Dicono nevicherà stasera.» «Io non avevo lezioni e non sono proprio uscito di casa, oggi.» «Non ti vedo spesso al campus, infatti» annuì, un po' a vuoto, finalmente decidendosi a togliersi le sneakers e la giacca, incerti su dove lasciarli. Seguì le indicazioni di Emi, avvicinandosi al tavolo dove doveva star studiando. Magizoologia doveva essere stata una decisione abbastanza facile, per lui. Chissà se gli stava piacendo.
    Non riuscì a celare l'espressione stupita nel vederlo afferrare a mani nude quello che sembrava a tutti gli effetti un organo. Il ragazzo rimase a fissarlo, gli occhi sgranati, l'odore nauseabondo che non avrebbe neanche saputo definire. Lanciò uno sguardo interrogativo a Nessie, che però sembrava non accorgersi di niente. E questa cosa non ti fa schifo? Cioè tu accetti che a casa del tuo ragazzo sia normale trovare organi sul tavolo che puzzano di... plastica e cane bagnato? «Ah, però... Che odore...» «Quelli veri puzzano molto di più». Gli ci volle tutta la forza e l'autocontrollo di cui era capace per non chiedergli come gli venisse in mente di tenere una cosa del genere sul tavolo della cucina e di poi proporre loro del tè, da consumare con quella puzza orrenda che aleggiava tutt'intorno. Quando Émile andò in cucina, Otis si mise a sedere, cercando di occupare quanto meno spazio possibile. «Non sapeva che ci sarei stato anche io, vero?» Fece a Ness, senza neanche guardarla, estraendo penna e taccuino dalla sacca. Una domanda retorica, perché ormai conosceva abbastanza bene le espressioni dell'ex miglior amico da accorgersi quando la sua faccia sembrava dire: e tu che ci fai qui?
    Quando riemerse dalla cucina, Otis si meravigliò che avesse addirittura utilizzato una teiera per servire loro il tè. Osservando la scena coi suoi occhi chiari, sembrava testimone di un evento paranormale. Aveva visto Émile trangugiare bevande calde dalla stessa tazza, mai lavata, e a volte persino riutilizzando la stessa bustina. Piegò la bocca verso il basso in un'espressione compiaciuta, prima di ricomporsi rapidamente. «A che articolo state lavorando?» Attese che fosse Nessie a raccontarlo, dovendosene occupare lei, mentre intanto lui allungava la mano per prendere uno dei dolcetti che avevano portato. Rimase in silenzio per un po', prima di intervenire. «Il giornalino era ripartito proprio poco prima di... Insomma, i primi di ottobre, più o meno.» Annuì, tra sé e sé. «È stato proprio un fiasco totale, considerando che il giorno del nostro primo articolo è successo uno dei fatti più sconvolgenti degli ultimi trent'anni, probabilmente». Una risatina debole, forse fuori luogo, ma erano passati già più di due mesi, ed ora riusciva a scherzarci su. «Comunque continuiamo a provarci», si strinse nelle spalle. Anche se non serve a niente, almeno ci divertiamo. Una benedizione mascherata, quella, perché avvolto in una strana forma di nichilismo esistenziale, si era reso conto che se niente ha importanza allora non c'è niente per cui valga la pena di preoccuparsi così tanto. «Questa è casa di tua cugina, invece, giusto?» Conosceva già la risposta, cercava solo di fare conversazione.


    Edited by the educator - 24/12/2023, 11:38
     
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    Durante tutto il tragitto dal Castello ad Hogsmeade, Nessie ignorò in maniera più o meno elegante tutte le proteste di Otis, limitandosi a bombardarlo con una serie di chiacchiere che avrebbero stordito persino un Centauro. Nel corso degli anni, aveva imparato a conoscere buona parte delle diverse sfaccettature del giovane Branwell e, così come Otis riusciva spesso a indovinare i suoi pensieri, agli occhi di Agnés non era passato inosservato come, d’un tratto, il Tassorosso fosse diventato più solitario. «Ness...» A quell’ennesima, debole, protesta, la Serpeverde alzò gli occhi nocciola ad incontrare quelli azzurri di lui, un’espressione innocente dipinta sul viso dai lineamenti delicati. « Prima o poi smetterai di fare questa cosa della Parent Trap? » La ragazza non riuscì a trattenere una risata, accompagnata da un teatrale roteare gli occhi al cielo. « Che sciocchezza! Tu ed Émi dovreste essere una coppia per far sì che questa sia una parent trap. » Replicò, rivolgendogli un buffetto sul braccio. « E poi è una questione di praticità, qui almeno saremo al caldo, possiamo parlare senza disturbare nessuno e siamo pur sempre vicini al Castello. » Devi ammetterlo anche tu, ora che non abbiamo più una sede fissa riuscire a concentrarsi è diventato difficilissimo. Lasciò cadere nel nulla ogni alta protesta, prima di salire i gradini e suonare il campanello. Sporgersi verso Émile alla ricerca di un bacio fu, ormai, un gesto più istintivo che premeditato; da quando avevano ufficialmente chiarito le cose tra loro, riservargli simili attenzioni le veniva naturale e, di rimando, intimamente non poteva fare a meno di compiacersi di come il Tassorosso sembrasse apprezzarle. « Magari... Stavo morendo dietro Anatomia dei mammiferi magici. Hai portato da mangiare? » Nessie annuì, trattenendo un sorrisetto divertito e scostandosi da lui un po’ a malincuore; se fossero stati soli avrebbero probabilmente trascorso almeno una mezz’ora a pomiciare sul divano, ma un simile atteggiamento sarebbe stato assai scortese in presenza di un ospite. E ancor di più se quell’ospite è Otis. « Immaginavo che avresti avuto fame, quindi ne ho presa una porzione in più – così ne resta abbastanza per tutti. » Replicò, passandogli accanto per entrare. Intenta a sfilarsi giacca e guanti, gettò una rapida occhiata in direzione dei due Tassorosso, intenti a scambiarsi brevi – e imbarazzanti – convenevoli. Erano entrambi talmente rigidi che – ne era sicura – se avesse starnutito sarebbero sobbalzati per la sorpresa. È così assurdo da essere quasi comico. Si ritrovò a pensare, mentre seguiva Émile in cucina. « Ma che scherzi? E perché dovrebbe essere un problema? Mi va benissimo » Un piccolo sorriso soddisfatto si aprì sulle labbra rosee; era sinceramente felice che, almeno per il momento, il suo piano stesse funzionando. O, se non altro, Émile sembrava più entusiasta di Otis all’idea di passare il pomeriggio assieme. Con un po’ di fortuna riusciremo a contagiarlo. « Mamma mia Ness, sei ghiacciata come un polaretto » Sfiorò delicatamente la guancia di Émi con i polpastrelli gelidi, beandosi del contatto con la sua pelle calda; in un altro momento, si sarebbe volentieri rintanata tra le sue braccia, entrambi avvolti da una coperta di lana sul divano. Annuì alle parole di Otis, voltandosi verso il Tassorosso. « Oggi c’è stato un po’ di sole ma le temperature sono scese parecchio. » Concordò. « Sarebbe bello vedere un po’ di neve, soprattutto ora che ci stiamo avvicinando a Natale. » Aggiunse, leggermente sovrappensiero, mentre seguiva Émi in direzione della cucina. A volte ancora si sorprendeva di come i giorni fossero trascorsi rapidamente, uno dopo l’altro, incuranti dei repentini avvenimenti che avevano scosso il Mondo Magico. « Non importa che sposti tutto, Émi. Non ci serve poi molto spazio. » Replicò, seguendo con lo sguardo i movimenti del ragazzo. Arricciò appena il nasino, osservando con espressione leggermente intimorita l’oggetto scuro e molliccio che il Tassorrosso aveva lasciato ricadere su un libro, producendo un rumore piuttosto inquietante. Faceva un odore strano, non certo invitante. « Non vi fate impressionare, è finto, una specie di prototipo » Nessie annuì appena, stringendo leggermente le labbra. « Ne hai mai visto uno vero? » Domandò, mascherando a fatica un certo disgusto. Per essere un prototipo, il fegato sembrava spaventosamente realistico – abbastanza da spingerla a distogliere lo sguardo, nello stesso modo in cui si rifiutava fermamente di mangiare carne o pesce.
    Si accomodò dal lato del tavolo il più lontano possibile dal fegato – o qualunque cosa fosse – e sfilò un quaderno con il bordo glitterato dalla borsa, sfogliando distrattamente le pagine piene di appunti fino a quella che aveva riempito con una prima bozza dell’articolo per il giornalino. « Non sapeva che ci sarei stato anche io, vero? » Istintivamente, si voltò verso Otis, ritrovandosi a fissare la nuca dell’amico. Rimase in silenzio per qualche istante, mordicchiandosi il labbro inferiore. « Non esattamente. » Gli concesse, conscia che non avrebbe avuto senso continuare con quella farsa. Otis non era stupido e conosceva le reazioni e gli atteggiamenti di Émile tanto quanto lei – se non persino di più. « Gli ho detto che dovevo concentrarmi su un articolo per il giornalino, immagino fosse piuttosto implicito. » Replicò, stringendosi nelle spalle. Osservò per qualche istante il profilo di Otis, i cui occhi erano ostinatamente puntati sulla pergamena, e non poté fare a meno di domandarsi se fosse arrabbiato con lei. Non avrebbe certo potuto biasimarlo: era consapevole di aver forzato la mano e, probabilmente, di averlo messo a disagio, ma non si sentiva in colpa per aver preso in mano le redini della situazione. « Ma so che gli fa piacere vederti. Credo che ultimamente si annoi un po’ a vivere da solo. » Al principio non vi aveva fatto troppo caso, ma dopo qualche settimana il modo in cui Émile cercava la sua compagnia, soprattutto alla sera, era diventato impossibile da non notare. Non che le dispiacesse – tutt’altro, ascoltare la sua voce attraverso il cellulare le dava una sensazione di calma – ma, talvolta, saperlo da solo nella casetta in prossimità della foresta la preoccupava. « Lo so che è felice quando sono qui, ma non posso restare fino a dopo cena o mio padre sarebbe capace di mandare una squadra di Auror per riportarmi a casa. » Tentò di scherzare, aggiungendo un che di teatrale a quelle parole, sebbene la sua preoccupazione fosse percettibile. « So che le cose tra voi sono ancora irrisolte e che non ho alcun diritto di intromettermi, ma valeva comunque la pena tentare. » Si strinse nelle spalle, giocherellando nervosamente con la penna. « Non voglio metterti in una situazione difficile – non più di quanto abbia già fatto. Ma credo che se solo Émi potesse avere qualcuno oltre me, potrebbe sentirsi meglio. » Esitò per un istante, lanciando un’occhiata in direzione della cucina per assicurarsi che Émile non fosse in grado di udirli. « E non è solo per lui, ma anche per te. » Incontrò lo sguardo del Tassorosso, fissandolo con un briciolo di preoccupazione. Non penserai davvero che non abbia notato che non fai altro che dileguarti appena possibile? « Ecco qua » Nessie distolse rapidamente lo sguardo da quello di Otis, rivolgendo un ampio sorriso ad Émi, mentre la tazza a lei destinata le volteggiava incontro. « Grazie. » Mormorò, stringendola tra le mani e soffiando sopra la superficie bollente. « A che articolo state lavorando? » Nessie afferrò un calderotto e lo spezzo a metà, disseminando qualche briciola sopra un tovagliolo. « Doveva essere un articolo sul natale, ma non sono sicura che il modo in cui l’ho pensato sia appropriato alla… situazione attuale. » Spiegò, infilandosi in bocca un piccolo pezzo del dolcetto. « Avevo pensato che fosse carino spiegare da dove proviene la festività – i diversi significati che ha assunto nel tempo a partire dai romani, che celebravano i Saturnali – ed includere qualche aneddoto divertente sul folklore dei diversi paesi. Tipo, lo sapevate che in Norvegia nel pomeriggio della Vigilia di Natale, è tradizione fare un bagno ed indossare dei vestiti nuovi? E poi i babbani offrono del cibo per gli spiriti defunti della famiglia e preparano del grano e sementi per gli uccelli, così da condividere la festa con loro. Se ricordo bene si chiama julenek o qualcosa di simile. » Portò la tazza di thé alle labbra, bevendone un primo sorso con aria pensierosa. « Comunque, avevo pensato di includere diverse curiosità anche su cosa rappresenta per i Centauri – gli eventi celesti a cui è collegato – e per altre culture magiche, ma non sono sicura che verrebbe visto di buon occhio. » Ci manca solo che il Preside ci faccia chiudere. Come minimo Alena cercherebbe di uccidermi e Otis finirebbe davvero per cadere in depressione. « Perciò credo che dovrò pensare a qualcos’altro – o eliminarne una buona parte. » Sospirò, intimamente insofferente. Le sarebbe piaciuto dare spazio a tradizioni e superstizioni che provenivano anche dalle realtà spesso dimenticate del mondo magico, ma in quel momento più che mai una simile idea avrebbe attirato del dissenso. « […] È stato proprio un fiasco totale, considerando che il giorno del nostro primo articolo è successo uno dei fatti più sconvolgenti degli ultimi trent'anni, probabilmente » Nessie scosse il capo, contrariata. « E dai, Otis. Nessuno avrebbe potuto immaginare che un morto sarebbe uscito dal Velo della Morte. » Ribattè, forse in maniera un po’ piccata. « E poi siamo un giornalino scolastico, è già tanto se abbiamo un minimo di fondi. Anzi, è già tanto che riusciamo a produrre ogni numero in tempo considerando che non abbiamo più nemmeno una sede ufficiale. Sembra quasi che vogliano costringerci a lavorarci nei
    bagni allagati del secondo piano. »
    Si lamentò, afferrando un altro pezzetto di biscotto e inzuppandolo con attenzione nel thé. Rimase in silenzio per qualche istante, leggermente pensierosa. « Che poi… Ronnie mi ha detto che a quanto pare organizzeranno un evento di beneficenza ad Iron Garden, per Natale. Credi che dovremmo metterlo nel numero di Dicembre? » Domandò, spostando gli occhi su Otis e, subito dopo, su Émi. Sospirò silenziosamente, leggermente intristita. Quello sarebbe stato il primo Natale che le sue amiche avrebbero trascorso nel ghetto. « Magari potrebbe invogliare le persone a partecipare – o a fare qualche donazione. Potremmo anche occuparci di raccogliere coperte, vestiti o beni di prima necessità. Sarebbe utile, no? » Propose, prendendo l’ennesimo sorso di thé.
     
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    « Ne hai mai visto uno vero? » Gli occhi di Émile s'illuminarono a quella curiosità. « Settimana scorsa » spiegò. « Il prof ci ha fatto assistere ad un'operazione dal vivo. È stato interessantissimo. » Aveva passato tutta la lezione a prendere appunti senza sosta e a fare foto all'operazione, che però si era costretto a non mostrare a Nessie, non volendola impressionare più di quanto non avesse già fatto altre volte. Cominciava a comprendere che certi aspetti dei suoi studi non erano ugualmente appetibili per tutti.
    Quando furono seduti al tavolo, con le loro tazze fumanti di tè di fronte a loro, Émile si prese un momento per guardarli entrambi, prima Nessie, poi Otis. Stare tutti insieme di nuovo, in questo modo così ordinario, gli faceva un certo effetto. Era strano, certo, perché lui e Otis, per quanto avessero ricominciato a rivolgersi la parola, a conti fatti non avevano risolto nulla, eppure Émile si sentiva contento di quella visita. Provò così a rompere il ghiaccio con una domanda che riguardasse entrambi sul giornalino, qualcosa che potesse far nascere una conversazione non eccessivamente imbarazzante per i presenti.« Doveva essere un articolo sul natale, ma non sono sicura che il modo in cui l’ho pensato sia appropriato alla… situazione attuale. » Émile aggrottò la fronte. « Cioè? » Ascoltò quindi l'idea della ragazza con interesse, mentre si riempiva la bocca di pasticcini con la stessa ingordigia di qualcuno che è stato a digiuno per giorni. Non si reputava un esperto sul campo, ma gli sembravano tutte idee più che valide, quelle di Nessie: come valida era, d'altronde, la preoccupazione che la Serpeverde si riservò di esprimere alla fine. Era un periodo delicato, quello, e, per quanto la loro posizione di studenti regalasse loro una maggiore libertà d'espressione, tendenzialmente, era pur sempre preferibile essere cauti. « Perciò credo che dovrò pensare a qualcos’altro – o eliminarne una buona parte. » Colse lo sguardo della ragazza, per regalarle un sorriso mesto. « Mhm, sì, capisco cosa vuoi dire. Sono tutte bellissime idee, però. Magari però sarebbe più cauto non addentrarsi troppo nell'argomento creature... Almeno per ora. » Si strinse nelle spalle e allargò le braccia, lanciando un'occhiata pure a Otis, nel tentativo di sondarne la reazione. Émile di giornalismo non capiva proprio niente, negli anni si era interessato ben poco al progetto dei due amici, se non con un supporto passivo, ma quell'opinione spicciola era più legata ad un concetto di buon senso che ad una vera e propria nozione sulla materia. That's my two cents. « Il giornalino era ripartito proprio poco prima di... Insomma, i primi di ottobre, più o meno. È stato proprio un fiasco totale, considerando che il giorno del nostro primo articolo è successo uno dei fatti più sconvolgenti degli ultimi trent'anni, probabilmente » Émile rise di gusto. « Che tempismo di merda. Si potrebbe dire che siete stati eclissati dalle altre notizie. » Mentre il silenzio calava intorno alla banalità di quella freddura, un sorrisino soddisfatto cominciava lentamente a incurvare le labbra del Tassorosso, prima che scoppiasse in una nuova risata. Nel farlo, d'istinto cercò lo sguardo di Nessie, portato naturalmente a condividere quel momento d'ilarità con la persona che era certo non l'avrebbe giudicato per una battuta tanto idiota. Scosse dunque il capo, mentre quella risata scemava e lui riprendeva l'audacia di guardare il suo secondo ospite, ora che l'atmosfera si faceva di nuovo seria. « Vabbè, come non detto » liquidò così quel momento, prima che Agnès riprendesse la parola.
    « E dai, Otis. Nessuno avrebbe potuto immaginare che un morto sarebbe uscito dal Velo della Morte. E poi siamo un giornalino scolastico, è già tanto se abbiamo un minimo di fondi. Anzi, è già tanto che riusciamo a produrre ogni numero in tempo considerando che non abbiamo più nemmeno una sede ufficiale. Sembra quasi che vogliano costringerci a lavorarci nei bagni allagati del secondo piano. » Ascoltò in silenzio quei loro discorsi sul giornalino, sovrappensiero, occupato ad intingere un biscotto nel proprio tè e infilarlo in bocca. « Carina la cosa della donazione » commentò, con quel suo fare spassionato e sostanzialmente disinteressato con cui era solito rispondere ad ogni dilemma che Otis gli avesse mai posto circa il giornalino. Specie agli albori della rivista scolastica, il Tassorosso era più insicuro circa le proprie idee e capacità, e spesso tentava di confrontarsi con il compagno di stanza - Émile, però, che non aveva di certo grandi doti comunicative, si spendeva poco e niente per la causa, commentando qualunque idea con battute d'assenso banali, "Sì, ci sta", "Fai come ti sembra meglio", "Figo". A conti fatti, poi, la faccenda del giornalino ad Émile interessava pure: era piacevole ascoltare quei discorsi, sentirli dibattere su cosa fosse meglio mettere in risalto nel prossimo numero - semplicemente, ogni qual volta veniva interpellato in merito si sentiva profondamente inadeguato a dare consigli. Cosa poteva saperne, lui? Preferì anche in quel caso starsene in disparte, e godersi da spettatore quel briciolo di normalità.
    « Questa è casa di tua cugina, invece, giusto? » « Mh-mhm. » Fece un cenno d'assenso con il capo, mentre arrotolava attorno all'indice il
    cordoncino della bustina del tè, che fuoriusciva dalla propria tazza. Lo avvolse una, due volte, per poi scioglierlo di nuovo. « June mi ha lasciato il cottage per un po'. » Strattonò il filo sottile un paio di volte, e poi ricominciò ad attorcigliarlo al dito. « Starà un po' in giro per adesso, lei. » Lo sguardo restava assorto sulle proprie mani, mentre tirava il filo verso di sé, le nocche che si facevano bianche. « Non so esattamente dove sia, adesso. » Non era certo del perché stesse dando certi dettagli ad Otis, così, senza che gli venissero richiesti. Sarebbe bastato rispondere alla sua domanda che, sì, quella era casa di sua cugina. Punto. « Non so nemmeno dove sia Amunet con suo marito. » Era come un riflettere ad alta voce, mentre percorreva con le dita la lunghezza di quella cordicina fino a raggiungere il filtro, che per un eccesso di pressione schizzò fuori dalla tazza, macchiando con qualche gocciolina di tè il mogano scuro. Si strinse nelle spalle, tamburellando con le dita sulla superficie del tavolo, riportando lo sguardo ai volti di Nessie ed Otis. « Magari potete scrivere un articolo con le ipotesi su dove stanno queste persone come le mie cugine. I ricercati. Che fine hanno fatto. Potreste anche aprire le scommesse su quanti di loro arriveranno vivi alla fine dell'anno prossimo. » Émile fu scosso da una risata amara, sinceramente divertito dalle proprie stesse parole. Ebbe però la sensazione che gli altri due non avessero granché apprezzato quella battuta. Troppo? « Ma sì, dico per sdrammatizzare... » La risata era sempre stata uno schermo utilissimo per Emi, in parte per nascondere e in parte per rivelare i suoi veri sentimenti. La realtà delle cose era che la vita solitaria in quella casa non faceva che ricordargli costantemente della situazione di June e Mun, del fatto che non aveva la certezza che le avrebbe più riviste, né poteva sapere se stessero bene. Quelle stanze vuote e perfettamente ordinate così come la Rosier le aveva lasciate, era come se gli parlassero, alla sera. Come se lo incolpassero per quella sua comodità, la stessa che June non poteva più godersi. « Come stanno i tuoi, Otis? » D'altronde c'era sempre chi stava messo peggio. Si sentiva anche un po' ridicolo a lamentarsi della propria condizione quando l'intera famiglia di Otis era rinchiusa ad Iron Garden, e quella di Nessie la minacciava ogni giorno di portarla via da Hogwarts per tenerla al sicuro. Insomma, una bella merda per tutti e tre.
     
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    «Non esattamente.» Continuando a tenere lo sguardo fisso sul taccuino di fronte a sé, Otis prese a disegnare distrattamente dei trattini equidistanti, collegandoli con linee oblique. «Gli ho detto che dovevo concentrarmi su un articolo per il giornalino, immagino fosse piuttosto implicito.» «Mh... Dalla sua faccia mi pareva un po' troppo implicito.» Non gli andava di presentarsi a casa di qualcuno – men che meno a casa di Émile – non essendo stato invitato, come una sorta di peso morto, un fardello che qualcun altro dovesse accollarsi perché Nessie aveva deciso al posto suo. Ne comprendeva le buone intenzioni, ma si sentì trattato come un bambino, a cui non viene lasciata la facoltà di scegliere perché qualcun altro conosce cos'è meglio per lui. «Ma so che gli fa piacere vederti. Credo che ultimamente si annoi un po' a vivere da solo.» Mh, e siccome si annoia io devo piombare qui nel mezzo del pomeriggio a fare il cane da compagnia? Aggrottò la fronte, attentamente esaminando quel pensiero, vivisezionandolo meticolosamente: era giusto essere così seccati? Non avrebbe dovuto cercare di avere un po' più di comprensione? «Lo so che è felice quando sono qui, ma non posso restare fino a dopo cena o mio padre sarebbe capace di mandare una squadra di Auror per riportarmi a casa.» E quindi doveva farlo lui? Mordicchiandosi l'interno delle guance, Otis si ritrovò a domandarsi se quella mossa non fosse stata più da fidanzata di Emi che non da amica sua. Sperava che i due riallacciassero i rapporti così da non doversi preoccupare per il suo ragazzo quanto faceva adesso, a saperlo da solo. Ma a lui? Ci aveva pensato? A come si sarebbe sentito, a cosa avrebbe voluto? Forse persino pensare che fosse stata una preoccupazione paternalistica era stato generoso: forse neanche aveva agito per il suo bene, ma solo per il proprio e quello di Emi. Forse, in qualche modo, era pure più offensivo. «Non è un problema mio» si limitò a bisbigliare, facendo oscillare rapidamente la penna tra pollice ed indice. «So che le cose tra voi sono ancora irrisolte e che non ho alcun diritto di intromettermi, ma valeva comunque la pena tentare.» Per chi? Per te, forse, valeva la pena. «Non voglio metterti in una situazione difficile – più di quanto abbia già fatto.» Otis piegò un angolo della bocca in un sorriso sarcastico, sollevando le sopracciglia. Però l'hai fatto. Lo sentiva, che era più arrabbiato di quanto avrebbe dovuto, ma si sentiva come una pedina nella relazione di Émile e Nessie, una sorta di mancante tessera di un puzzle che stava componendo Agnés, in particolar modo, che necessitava di lui per farla stare serena e far quadrare i conti. «Ma credo che se solo Émi potesse avere qualcuno oltre me, potrebbe sentirsi meglio.» Qualcuno. Chiunque. Un animale domestico forse avrebbe potuto svolgere la sua stessa funzione – per lo stesso criterio secondo cui le famiglie ad un certo punto della loro vita adottano un cane. Otis era il cucciolo di labrador che Nessie voleva convincere Émile ad adottare. Come se non avesse già abbastanza bestie per casa. «E non è solo per lui, ma anche per te.» Sentì gli occhi di Nessie addosso soltanto allora, e li incontrò solo di sguincio, continuando a scarabocchiare e cercando di non dare a vedere il proprio fastidio. Nonostante tutto, gli sarebbe dispiaciuto molto lasciar trasparire quanto di quella situazione lo irritasse davanti ad Émile – non era colpa sua. Quello probabilmente neanche lo voleva lì, non aveva detto né chiesto niente, era stata tutta farina del sacco di Nessie e ci si era ritrovato per mezzo tra capo e collo. Non era colpa sua e Otis non avrebbe mai voluto fare la figura del maleducato a casa sua, non se lo meritava. Così ascoltò le conversazioni tra i due senza parteciparvi attivamente, di tanto in tanto sorseggiando dalla propria tazza, masticando silenziosamente i pasticcini. «Che tempismo di merda. Si potrebbe dire che siete stati eclissati da altre notizie.» Non sapeva se normalmente avrebbe riso. In quelle circostanze, però, quel tono leggero, quell'ennesima noncuranza, andarono a pungerlo nell'orgoglio. Non era niente di nuovo: che a Emi non fregasse un bel niente di lui o del giornalino l'aveva reso chiaro più e più volte, non era manco una questione personale. Forse lui e Nessie si trovavano tanto d'accordo perché a entrambi interessava degli altri fino a un certo punto, si ritrovò a pensare. «E dai, Otis. Nessuno avrebbe potuto immaginare che un morto sarebbe uscito dal Velo della Morte. E poi siamo un giornalino scolastico, è già tanto se abbiamo un minimo di fondi. Anzi, è già tanto che riusciamo a produrre ogni numero in tempo considerando che non abbiamo più nemmeno una sede ufficiale. Sembra quasi che vogliano costringerci a lavorare nei bagni allagati del secondo piano.» «Ma che discorso è, Ness, scusami» non riuscì a trattenersi, voltandosi verso la ragazza, il tono un po' piccato. «Il fatto che siamo un giornalino scolastico non significa che non dobbiamo mostrare impegno e serietà in quello che facciamo. Ci crediamo tutti moltissimo. Alena Gauthier per questa storia per poco non piangeva.» Stava davvero prendendo a esempio quella sgallettata di Alena? «Si fa quel che si può con ciò che si ha. Ci proveremo e ci crederemo. Non è già tanto così. Si deve e si può migliorare.» Una verve che sembrava essere accorsa improvvisamente, rispetto al tono sconfitto che aveva dimostrato soltanto pochi minuti prima di fronte al fiasco dell'Eclissi. Ma c'era un motivo se lui si sentiva così abbattuto, e risiedeva proprio in quanto ci tenesse, quanto per lui fosse vitale tutto ciò, per quanto straordinariamente insignificante tutto sembrasse. Quel progetto era una sua creatura, che sentiva avesse del potenziale inespresso, da qualche parte – non era un è già tanto. Era un Es muss sein!, una necessità, un deve essere. «Che poi... Ronnie mi ha detto che a quanto pare organizzeranno un evento di beneficenza ad Iron Garden, per Natale. Credi che dovremmo metterlo nel numero di Dicembre? Magari potrebbe invogliare le persone a partecipare – o a fare qualche donazione. Potremmo anche occuparci di raccogliere coperte, vestiti o beni di prima necessità. Sarebbe utile, no?» Al sentir nominare
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    Ronnie dovette prendere un respiro appena più profondo. Annuì, con la testa bassa, stringendo le labbra. «Utile, sì, senz'altro. Ma su queste cose bisogna fare attenzione. Non ci vuole molto prima di dare l'impressione di voler fare della carità. Quelle persone erano mie vicine di casa fino a qualche mese fa.» Lo sapeva, che era insopportabilmente pedante – ci si sentiva lui stesso, era ciò che esisteva nelle mura della sua testa da mesi a quella parte, ed era il motivo per cui evitava di avere contatti con le persone quando si sentiva così, per risparmiare a loro e a se stesso quell'ingestibile supponenza. Ma non poteva fare altrimenti. «Anche l'evento di beneficenza – credo che vada trattato con una certa prospettiva critica.» «Carina la cosa della donazione». Va beh, ma perché che ne stiamo parlando davanti a lui? Dovette trattenersi dal creare un'ennesima polemica al riguardo, così si limitò a fare silenzio, e spasmodicamente a cercare di cambiare argomento.
    «June mi ha lasciato il cottage per un po'.» «Ma dov'è andata?» Fece abbastanza diretto Otis, poggiando la schiena contro la sedia e distendendo appena le gambe. «Sarà un po' in giro per adesso, lei.» «Sì, ma saprai dov'è andata, dove dorme stanotte, per dirne una» Continuò, incrociando le braccia al petto. «Non so esattamente dove sia, adesso.» Annuì, a quel punto, tacendo, e un po' pentendosi di quel terzo grado. La situazione di Émile forse non era troppo distante dalla propria, anzi: almeno Otis sapeva dove poggiavano la testa la mamma e i fratelli la notte. «Non so nemmeno dove sia Amunet con suo marito.» Il ragazzo spostò gli occhi chiari sull'amico, al sentire quelle parole. «È molto meglio così, Emi» scandì piano. «So che è brutto, ma è un male necessario. Tua cugina e Albus Potter sono nemici dello Stato.» Si domandò, guardandolo con la coda dell'occhio, se avesse capito fino in fondo la situazione in cui tutti loro si trovavano – e la risposta la conosceva già, perché conosceva la persona che aveva di fronte da troppi anni, ed era sempre stato compito di Otis fornirgli coordinate politiche e storiche di quel tipo. Tra i due, era lui quello che si assicurava che Émile avesse anche solo un vago sentore di che cosa stesse succedendo, e andava fiero di quel suo ruolo, perché era la sua specialità, e spiegare le cose lo appassionava moltissimo. Ogni volta che Émile aveva preso una strada ideologica o espresso un'opinione contraria alla sua, la più grande difficoltà era stata non prenderla come un personale fallimento pedagogico. Hai qualcuno che ti spieghi le cose, adesso? «Magari potete scrivere un articolo con le ipotesi su dove stanno queste persone come le mie cugine. I ricercati. Che fine hanno fatto. Potreste anche aprire le scommesse su quanti di loro arriveranno vivi alla fine dell'anno prossimo.» Evidentemente no. Otis sgranò appena gli occhi. Émile non era affatto cambiato, in quegli anni di lontananza fisica e relazionale tra i due. «Sarebbe un'idea orribile, Emi» fece, sbattendo le palpebre un paio di volte. «Non è un gioco» fece poi, corrugando la fronte, guardando Nessie per qualche istante per capire se lei trovasse quel commento vagamente divertente. Si parlava di persone a cui una forza talmente potente da riportare in vita i morti stava dando la caccia – persone come sua madre, o Eliphas, il loro ex bibliotecario, o Raiden, praticamente il più grande idolo della vita di Otis. Non c'era niente da scommettere, niente di neanche lontanamente divertente. «Ma sì, dico per sdrammatizzare...» Il respiro appena più affannato, Otis rimase a fissarlo per qualche secondo, trovando la scena così grottesca e di cattivo gusto che non sapeva se sentirsi arrabbiato, offeso, o incredulo. Per sdrammatizzare. «Come stanno i tuoi, Otis?» A quel punto sollevò le sopracciglia, ancora sconvolto, e dovette passarsi le mani sulla faccia e darsi qualche secondo di tregua prima di rispondere, colpito anche dalla violenza di quella leggerezza, del cambio di argomento, della domanda diretta. «Stanno bene.» Non avrebbe toccato l'argomento di fronte ad una persona così insensibile. Perché qui non si trattava neanche di ignoranza. Qui si trattava di immaturità, completa e inesorabile. «Stanno ad Iron Garden, dove è stato fatto loro un tatuaggio che li identifichi come abitanti. Mia madre viene interrogata quasi ogni giorno e i miei fratelli non hanno neanche il riscaldamento in casa.» Però sdrammatizziamo. «Scusate, ragazzi, se sono un po' diretto, ma io sono venuto qui per lavorare.» Si mise più dritto sulla sedia, sentendosi in imbarazzo per il proprio comportamento, ma nondimeno determinato a portarlo avanti. Le guance candide si colorarono di sfumature rosate. Quelle parole l'avevano sconvolto e anche il fatto di doversi porre in modo scontroso, alla fine, ma la verità era che si sentiva offeso, e calpestato, come se a nessuno stesse davvero a cuore la sua persona e i suoi sentimenti. Continuava a fissare il taccuino. «Apprezzo l'ospitalità e la convivialità di Émile, ma se non avete intenzione di studiare, allora forse sarebbe meglio che io torni al dormitorio, per finire il lavoro che devo fare.» Non volevo dover tornare a sentirmi così. Volevo provarci davvero. Ma così non riesco.
     
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    « Non è un problema mio » A quella risposta, fu il turno di Nessie di mordersi il labbro inferiore. Dal modo in cui Otis le rispondeva – per lo più a monosillabi – ed evitava il suo sguardo, concentrato sul foglio come se si trattasse della cosa più interessante del mondo, era evidente che fosse contrariato – forse persino offeso. Sospirò silenziosamente, scuotendo appena il capo. « Non ho detto questo. » Replicò, altrettanto tagliente. Quando aveva deciso di prendere in mano la situazione lo aveva fatto d’istinto, senza pensare troppo alle conseguenze; aveva dato per scontato che che portare Otis a casa di Émile sarebbe stato accolto come un modo amichevole per rompere il ghiaccio e farli riavvicinare, eppure la situazione sembrava stagnante – o addirittura peggiorata. Abbassò lo sguardo sulla bozza dell’articolo, con la fastidiosa sensazione di un vago groppo allo stomaco. Non avrebbe saputo spiegarne il motivo, ma il bizzarro atteggiamento di Otis negli ultimi tempi non era passato inosservato. Lo si vedeva in giro di rado e, spesso e volentieri, si allontanava con qualche scusa. Al principio non si era preoccupata troppo, pensando che, forse, il Tassorosso avesse bisogno di prendersi i suoi spazi in seguito alla caduta di Inverness. In quel periodo, Agnés si era limitata a fare un passo indietro, in parte per delicatezza ed in parte poiché, inevitabilmente, la sua stessa esistenza era stata stravolta dal Ministero della Magia. Eppure, col passare dei mesi, aveva avuto l’impressione che la strana distanza che avvertiva tra lei e Otis si fosse consolidata. Era come se qualcosa si fosse incrinato, e il fatto che Otis apparisse tanto indifferente la feriva e preoccupava al contempo. Tuttavia, come Émile varcò la porta che li divideva dalla cucina, l’espressione ansiosa sul viso di Agnés era già stata sostituita da un sorriso allegro e, ben presto, il suo cinguettio vivace spezzò il silenzio che era calato nella stanza. « Ma che discorso è, Ness, scusami » Sorpresa, Nessie sollevò lo sguardo dal foglio, scrutando Otis con aria confusa. « Il fatto che siamo un giornalino scolastico non significa che non dobbiamo mostrare impegno e serietà in quello che facciamo. Ci crediamo tutti moltissimo. Alena Gauthier per questa storia per poco non piangeva. » Aprì la bocca per protestare senza successo e si accigliò appena, le labbra sovrapposte in quello che, agli occhi di un buon osservatore, era il principio di un broncio vero e proprio. Ma se sei stato proprio tu a dire che è stato un fiasco, come se fosse colpa nostra? Non aveva fatto altro che tentare di difendere il loro operato e tirarlo su di morale, eppure Otis le aveva ritorto contro anche quella semplice constatazione. Forse Otis era più infastidito di quanto avesse immaginato. A quanto pare non ne faccio una giusta, oggi. Si mosse leggermente sulla sedia, vagamente a disagio, afferrando un biscotto e scrutandolo con più attenzione del necessario. Una parte di lei avvertiva un impulso a spiegarsi, un tentativo di riconciliare le cose, ma visto l’atteggiamento piccato di Otis dubitava che fosse una buona idea. Era come se ogni sua parola fosse un'opportunità per lui di esprimere la sua irritazione. «Utile, sì, senz'altro. Ma su queste cose bisogna fare attenzione. Non ci vuole molto prima di dare l'impressione di voler fare della carità. Quelle persone erano mie vicine di casa fino a qualche mese fa.» Ecco, appunto. A quelle parole, Nessie dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non roteare palesemente gli occhi al cielo. Aveva la netta sensazione che ogni tentativo di conversazione amichevole con Otis stesse scivolando via come sabbia tra le dita, infrangendosi contro un muro di risposte piccate e supponenti. Da sempre, Nessie si fidava del buonsenso altrui più del proprio – e di Otis in particolare; in quel momento, però, il tono con cui le sue idee venivano scartate la fece sentire stupida e inadeguata. Abbandonò il biscotto su un tovagliolo pulito, afferrando la tazza per bere casualmente un altro sorso di thé. Il groppo allo stomaco non si era allentato, al contrario – la sua silenziosa frustrazione iniziava a lambire il confine dell'irritazione e l’unica ragione per cui si era morsa la lingua era quel primo tentativo di conversazione da parte del giovane Branwell. Seguì quel botta e risposta con attenzione, le iridi olivastre fisse su Émi. Dal modo in cui parlava, evitando lo sguardo di entrambi e giocherellando con la bustina di thé, era evidente che si trattava di un argomento delicato.«È molto meglio così, Émi. So che è brutto, ma è un male necessario. Tua cugina e Albus Potter sono nemici dello Stato.» Nessie annuì debolmente, allungando una mano pallida a sfiorare quella di Émile. « É una situazione difficile, ma Otis ha ragione. » Sussurrò, cercando di risultare incoraggiante. « E poi le tue cugine sono intelligenti. Sanno come prendersi cura di loro stesse. » Non poteva esserne certa, ma lo sperava profondamente. Suo malgrado, si sentiva impotente di fronte alla solitudine che percepiva in Émile. La sua famiglia era ricercata, e lui era rimasto da solo in una casa che avrebbe dovuto essere un rifugio, ma che ora era sin troppo silenziosa. Era anche per quello che aveva architettato quell’assurdo piano, certa che i due Tassorosso avessero bisogno di trascorrere del tempo assieme, che la compagnia l’uno dell’altro potesse in qualche modo alleggerire il peso della situazione di entrambi. « Magari potete scrivere un articolo con le ipotesi su dove stanno queste persone come le mie cugine. I ricercati. Che fine hanno fatto. Potreste anche aprire le scommesse su quanti di loro arriveranno vivi alla fine dell'anno prossimo. » Agnés sgranò gli occhi, rischiando di farsi andare di traverso un sorso di thé. « Émi! » Sbottò, quasi in contemporanea ad Otis. Eppure, al contrario del Tassorosso, negli occhi della Serpeverde era percepibile un barlume di preoccupazione. Non era una novità che Émile prendesse le cose alla leggera e facesse commenti inappropriati ma vi era qualcosa di anomalo in quella reazione – qualcosa di cupo e preoccupante. « Non dovresti dire certe cose. » Rimarcò, scrutandolo. « Anzi, dovresti cercare di non pensarle nemmeno. Non fa bene a nessuno. » Lo so che non è semplice. Ma non aiuta te, e nemmeno le tue cugine. Il suo tono di voce si era addolcito leggermente. Gettò una rapida occhiata in direzione di Otis, notando che sembrava più pallido del solito. Era evidente che quel commento l’avesse scosso. Sospirò silenziosamente. « Lo so che è sciocco da dire, ma dovremmo cercare di pensare positivo. Le cose non possono rimanere così per sempre. » Si sforzò di accompagnare quelle parole con un sorriso, parzialmente nascosto dietro la tazza di thé. Avrebbe voluto dire qualcosa di più confortante, ma temeva che soffermarsi ulteriormente su quell’argomento non avrebbe fatto altro che intristirli ancora di più. « Stanno ad Iron Garden, dove è stato fatto loro un tatuaggio che li identifichi come abitanti. Mia madre viene interrogata quasi ogni giorno e i miei fratelli non hanno neanche il riscaldamento in casa. » Nessie strinse appena le labbra, dispiaciuta. Non era quello il pomeriggio che aveva immaginato, né la piega che avrebbe voluto dare alla conversazione. Per quanto la situazione fosse difficile, aveva sperato che quel pomeriggio desse loro un minimo di tregua, un istante per riprendere respiro, invece si stava rivelando un disastro completo. « Mi dispiace, Otis. Se c’è qualcosa che possiamo fare... » Lasciò cadere la frase, consapevole che vi era ben poco che ciascuno di loro potesse fare nel concreto. Avrebbe voluto che fosse diverso, ma l’unica cosa che poteva fare era offrirsi di essere d’aiuto, recuperare quanto necessario per gli amici che vivevano nel ghetto e presentarsi con abbondanti scorte di cibo con la scusa che fosse maleducazione visitare qualcuno a mani vuote. E, anche lì, era necessario essere prudenti perché, per quanto detestasse ammetterlo, Otis aveva ragione nel dire che la sincera volontà di aiutare poteva essere facilmente scambiata per vera e propria carità. « Che ne dite s- » Stava per proporre di lasciar perdere lo studio e di dedicarsi a qualcosa di più leggero, quando Otis la anticipò. « Scusate, ragazzi, se sono un po' diretto, ma io sono venuto qui per lavorare. Apprezzo l'ospitalità e la convivialità di Émile, ma se non avete intenzione di studiare, allora forse sarebbe meglio che io torni al dormitorio, per finire il lavoro che devo fare. » Agnés lo fissò in silenzio per qualche istante, infine annuì. « Certo, sei libero di andare. » Esordì, fissando gli occhi in quelli di lui. La sua espressione era cordiale, eppure vi era un che di insolito – quasi pericoloso – nel modo in cui fissava l’amico. « Tanto non volevi venire fin dall’inizio, no? » Inarcò un sopracciglio, laconica, mentre avvertiva lo stomaco contrarsi in un groviglio di frustrazione. In quel momento, la stanza sembrò più fredda, l’atmosfera più tetra. D’un tratto, non le importava più di fare del suo meglio per riappacificare i due Tassorosso. Si sentiva arrabbiata e delusa - la sua rabbia che si nutriva del senso di delusione. « Anzi, ad essere sincera mi stupisce che tu abbia ancora dei compiti da fare. Ultimamente non fai altro che studiare, non ti si vede quasi mai in giro. » Pronunciò le parole con lentezza, il tono di voce intriso di una sottile nota di sarcasmo, quasi stesse sfidando Otis a ribattere. Dopotutto, era evidente che l’ultimatum di Otis non aveva nulla a che fare con lo studio; bensì, era un chiaro segnale che non aveva alcun interesse a trascorrere del tempo con loro. Con nessuno dei due. Gli ultimi mesi erano stati difficili per tutti e, se da un lato aveva potuto contare sulla presenza di Émi, dall’altro si era sentita disorientata quando i contatti con Otis si erano fatti sempre più sporadici e, per lo più, via messaggio. Al principio aveva imputato la sua assenza alla situazione della famiglia Branwell, insicura se le sue stesse incertezze la stessero ingiustamente facendo dubitare dell’amico, ma giorno dopo giorno quella distanza era divenuta sempre più reale e totalizzante. Per un po’, Nessie aveva persino lasciato correre, pensando ingenuamente che si trattasse solo di un momento, che Otis avesse solo bisogno di tempo. Ma così non era stato e, di fronte al suo breve silenzio, la reazione da parte del Tassorosso era stata pressoché nulla. In seguito all’occupazione di Hogwarts da parte di Inverness, aveva finito per trascorrere sempre più tempo in compagnia di Otis e, per una personalità emotiva come Nessie, affezionarcisi fino a renderlo uno dei suoi più intimi confidenti era stato naturale, talmente tanto che, spesso e volentieri, il ragazzo era in grado di intuire i suoi pensieri senza alcun bisogno di parlare. Ora che la presenza di Otis nella sua vita si era fatta saltuaria, Nessie si sentiva come se le avessero tolto un punto di riferimento nel momento in cui ne aveva più bisogno. Otis non poteva saperlo, ma la tensione ed i conflitti con suo padre e suo nonno la stavano mettendo a dura prova, trasformando ogni aspetto della sua vita familiare in un campo di battaglia emotivo. Si sentiva costantemente schiacciata dal peso delle aspettative e delle minacce, costretta a rimanere inerme mentre i suoi amici subivano una punizione ingiusta e immeritata. Seppur al sicuro in un confortevole appartamento londinese, le sue libertà erano state ridotte bruscamente: il coprifuoco, ma anche la minaccia di una valutazione psichiatrica pendevano su di lei come una spada di Democle. Eppure, per quanto frustrante ed emotivamente doloroso, tutto ciò impallidiva in confronto a ciò che le sue amiche dovevano affrontare ad Iron Garden – tanto che Nessie si era limitata a confidarsi unicamente con Émi, premurandosi di non approfondire i dettagli più scomodi. « Sarebbe davvero imperdonabile se la nostra presenza ti distogliesse da qualcosa di tanto importante. » Continuò a fissarlo, ancora seduta, con le spalle esili appoggiate contro lo schienale della sedia. C'era una punta di tristezza nel suo sdegno, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di vedere quanto l’avesse ferita.

     
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    « Ma che discorso è, Ness, scusami. Il fatto che siamo un giornalino scolastico non significa che non dobbiamo mostrare impegno e serietà in quello che facciamo. Ci crediamo tutti moltissimo. Alena Gauthier per questa storia per poco non piangeva. » Ah beh, se il metro di giudizio è quella cretina della Gauthier. Émile aggrottò la fronte, il capo chino sul proprio libro di testo, non volendosi intromettere nella questione. Il tono supponente con cui Otis si rivolse a Nessie non gli piacque per nulla, ma si sforzò di lasciare che loro discutessero in autonomia le faccende del giornalino. « Utile, sì, senz'altro. Ma su queste cose bisogna fare attenzione. Non ci vuole molto prima di dare l'impressione di voler fare della carità. Quelle persone erano mie vicine di casa fino a qualche mese fa. » La verità era che, per quanto le cose si fossero distese tra loro dopo l'attacco a Hogsmeade e Inverness, Emi continuava a non sopportare più Otis. Non capiva perché, però ogni qualvolta erano insieme, dalla bocca del suo ex migliore amico sentiva venir fuori solo veleno, e nient'altro. Era arrogante, presuntuoso e saccente come mai era stato in vita sua. O forse lo era sempre stato, in fondo, solo che Emi non se ne era mai accorto davvero. Lo fece di nuovo, quando la discussione si spostò su June e Amunet, lo guardò con la solita superbia e, con quel tono da maestrino, spiegò: « È molto meglio così, Emi. So che è brutto, ma è un male necessario. Tua cugina e Albus Potter sono nemici dello Stato. » A quel punto, gli occhi nocciola del Tassorosso saettarono immediatamente verso quelli di Agnés, mentre serrava i denti. Ma questo mi sta prendendo per cretino? « É una situazione difficile, ma Otis ha ragione. E poi le tue cugine sono intelligenti. Sanno come prendersi cura di loro stesse. » A quel punto fulminò anche la ragazza. Non ti ci mettere anche tu a difenderlo. Sospirò. « Oh, davvero? Nemici dello stato... Caspita, non lo sapevo proprio. » commentò sarcastico, sbuffando in una risata leggera. Teneva gli occhi puntati in quelli di Nessie, per mantenere la calma, perché, ne era certo, se avesse guardato Otis l'avrebbe vinto l'istinto di mettergli le mani al collo. Una parte di lui era perfino in grado di riconoscere quella dinamica: sin da piccoli, tra i due, era sempre stato Otis quello più colto, più informato di politica, forse perché naturalmente condotto dalle proprie passioni; Emi era invece più svogliato, disinteressato rispetto alla loro realtà storica come un qualunque quindicenne troppo occupato coi compiti e con le proprie cotte passeggere sarebbe stato. Le cose erano però inevitabilmente cambiate, erano dei giovani adulti ora, e per quanto Otis potesse probabilmente vantare una cultura più approfondita rispetto a certe faccende, era quasi insultante sentirlo spiegare certi concetti ridicoli, con la presunzione che Émile fosse completamente fuori dal mondo e non avesse mai preso in mano un giornale. Probabilmente fu quel fastidio malcelato, insieme all'amarezza creata dal pensiero dei suoi familiari in pericolo e di quella situazione assurda, a portarlo a fare quella battuta che, per quanto macabra, era dettata più da un proprio tetro presagio che da un'effettiva leggerezza. Ma neanche in quel caso i presenti sembrarono poter cogliere ciò che stava dietro alle sue parole.« Émi! » « Sarebbe un'idea orribile, Emi. Non è un gioco. » Spalancò gli occhi grandi, questa volta puntandoli con insistenza in quelli chiari di Otis. « Ah no? Grazie per avermelo ricordato. Non so come avrei fatto altrimenti » sbottò, secco, sbuffando pesantemente dal naso. L'aria di quella stanza cominciava a farsi asfissiante, e lui aveva solo voglia di scappare. « Non dovresti dire certe cose. Anzi, dovresti cercare di non pensarle nemmeno. Non fa bene a nessuno. Lo so che è sciocco da dire, ma dovremmo cercare di pensare positivo. Le cose non possono rimanere così per sempre. » Si lasciò andare ad un lungo sospiro, mentre avvertiva la mano calda di Nessie stringere la propria, con delicatezza. La sua voce riuscì a calmarlo, almeno un po', la rigidità nelle spalle che si scioglieva nell'udire quelle poche parole. « Come stanno i tuoi, Otis? » Voleva provarci, a conversare con serenità, a mettere da parte quel profondo senso di fastidio, a ricordare a se stesso che quella era una situazione difficile per tutti, e che un briciolo di empatia era necessaria.
    « Stanno bene. Stanno ad Iron Garden, dove è stato fatto loro un tatuaggio che li identifichi come abitanti. Mia madre viene interrogata quasi ogni giorno e i miei fratelli non hanno neanche il riscaldamento in casa. » « Mi dispiace » fu solo capace di dire, asciutto, e non perché non avrebbe voluto aggiungere altro, ma piuttosto perché percepiva, dal tono di voce di Otis, che non avrebbe accettato commenti. « Mi dispiace, Otis. Se c’è qualcosa che possiamo fare... Che ne dite s- » « Scusate, ragazzi, se sono un po' diretto, ma io sono venuto qui per lavorare. Apprezzo l'ospitalità e la convivialità di Émile, ma se non avete intenzione di studiare, allora forse sarebbe meglio che io torni al dormitorio, per finire il lavoro che devo fare. » Emi alzò gli occhi al cielo, appoggiando le spalle allo schienale della sedia, una specie di sorrisetto ambiguo che gli incurvava le labbra. Ecco, vedi. Io lo sapevo che andava a finire così, si ritrovò a pensare, amaramente. Finisce sempre così. Era tutto perfettamente inutile. Erano inutili quei tentativi, erano inutili le speranze di Ness, che ogni giorno gli ricordava che avrebbe dovuto provare a parlarci, a ricucire il rapporto. L'amicizia tra lui e Otis era finita. Stava per dire qualcosa, alzare un braccio e indicargli la via d'uscita, facendo magari qualche commento sarcastico, ma Agnès lo anticipò, e a quel punto fu evidente che l'atteggiamento del giovane Branwell avesse finalmente stancato anche lei. « Certo, sei libero di andare. Tanto non volevi venire fin dall’inizio, no? » Emi inarcò un sopracciglio, guardando Otis. E questo non lo sapevamo, ma era anche abbastanza scontato. « Anzi, ad essere sincera mi stupisce che tu abbia ancora dei compiti da fare. Ultimamente non fai altro che studiare, non ti si vede quasi mai in giro. » Nell'udire quelle parole, Émile assottigliò lo sguardo, intento a scrutare l'espressione di Otis. Non si fa vedere in giro? « Sarebbe davvero imperdonabile se la nostra presenza ti distogliesse da qualcosa di tanto importante. » Per qualche ragione nemmeno quell'idea lo sorprese. Era tipico di Otis, rifiutare le persone che gli stavano intorno, in certi momenti della sua vita. Anzi, era tutto perfettamente in linea con il suo solito modo di fare - l'aveva fatto al suo ritorno dal Giappone, qualche anno prima, e anche dopo la morte del suo pesce rosso, a undici anni. Era il suo strambo modo di gestire quel genere di cose, sparire dal mondo e far finta che il mondo attorno a lui sparisse a sua volta. Questo non risolveva i problemi, ma Émile col tempo aveva imparato che quello non era che un modus operandi, forse per fingere che i problemi non esistessero, o provare a controllarli. Non sapeva cosa scatenasse quelle reazioni, però non gli erano del tutto estranee. Guardò il ragazzo, mentre una specie di malinconia e compassione s'imponevano sul suo fastidio e la sua intolleranza. Ora c'è qualcuno che ti toglie le coperte dalla testa con la forza? « Lascialo stare, Ness. È entrato in modalità letargo. » Pronunciò quelle parole non con durezza, bensì con semplicità, il tono ammorbidito da quella realizzazione. Letargo, era quello il termine che utilizzava da piccolo, per far capire a Otis che si stava chiudendo senza un vero motivo. Non sempre ci riusciva, a tirarlo fuori dal proprio guscio, ma quando aveva successo per Emi era una soddisfazione come poche. « È una merda quello che stai passando, O'. » Quella confidenza non poteva permettersela, e lo sapeva; ma decise di prenderla con prepotenza, perché con Otis quello era sempre stato l'unico modo. « Ma è una merda anche quello che stiamo passando noi. Io ho metà della mia famiglia dispersa chissà dove, Nessie ha praticamente perso ogni libertà. E non è per fare la gara a chi sta messo peggio, al contrario. » Sospirò, lanciando una rapida occhiata ad Agnès, quasi a volersi accertare di non star dicendo cazzate. Poi tornò su Otis. « È per dire che non ti conviene fare così. Che siccome stiamo tutti messi male, ci possiamo capire, in qualche modo... credo. » Si strinse nelle spalle, incrociando le braccia sul tavolo. « Non devi necessariamente parlare con noi, lo so che non ci andiamo a genio. Però, ecco, se posso darti un consiglio... Parlane con qualcuno. Cerca di non sparire completamente dalla circolazione. » Lo sai che non ti fa bene.
     
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    «Certo, sei libero di andare. Tanto non volevi venire fin dall'inizio, no?» Otis espirò sonoramente, chinando la testa. Gli dispiaceva davvero, che le cose dovessero essere così. Si sentiva bloccato, paralizzato, come se davanti avesse un muro – innalzato da lui stesso, costruito tassello per tassello. Si era costruito attorno una prigione e chiunque cerasse di infilare un dito nella gabbia finiva sbranato o ferito. Voleva soltanto essere lasciato in pace, anche quell'insofferenza un ulteriore motivo di fastidio, per lui, che non sopportava quel modo che aveva di non riuscire ad apprezzare quando qualcuno provava a tendere una mano nella sua direzione. È che non ve l'ho chiesta io, è che ho bisogno di tempo. Ora come ora non riesco. «Anzi, ad essere sincera mi stupisce che tu abbia ancora dei compiti da fare. Ultimamente non fai altro che studiare, non ti si vede quasi mai in giro.» Si grattò il naso con il dorso della mano, mentre nel sentire quelle parole i suoi movimenti si facevano leggermente più accelerati ed intenzionali e meno passivi nel sistemare le proprie cose, rimettere le penne nell'astuccio, riordinare libri e fogli di carta. Non gli andava che si parlasse di lui e del suo comportamento in quel modo, lo avvertì come indelicato, invadente persino. A te cosa importa di che cosa io faccio tutto il giorno? Di se esco o non esco di casa? Perché devi dirlo così? Perché davanti a lui? E tuttavia non rispose, deglutì e basta, lo sguardo che continuava a farsi evasivo mentre si preoccupava esclusivamente di prepararsi per andar via. «Sarebbe davvero imperdonabile se la nostra presenza ti distogliesse da qualcosa di tanto importante.» «Almeno faccio qualcosa di produttivo con il mio tempo. Ma mi spieghi poi a te che cosa te ne frega?» Il respiro di Otis si era fatto un po' più affrettato quando non era riuscito a fermarsi dal pronunciare quel pensiero ad alta voce, la forza di ciò che aveva detto che colpiva anche lui, come un'onda d'urto in pieno petto, e il sangue gli saliva al viso talmente forte da riuscire quasi a udirne la pressione. «All'improvviso pare che sia importante farsi i fatti miei, questionare quanto studio e se esco o meno. Ma io vengo a sindacarti quanto spesso ti vedi con Émile?» Continuò, stavolta guardandola in faccia, provando uno strano misto di rabbia e malinconia, per la piega di quell'intera conversazione. Non era una tristezza legata al fatto che Otis sentisse di star dicendo cose che non pensava, rammarico per non riuscire a controllarsi e per la consapevolezza di star rovinando qualcosa senza motivo; era un dispiacere assolutamente calato nella realtà, nella sensazione che ciò che stesse accadendo fosse semplicemente reale e triste, e che lo fosse anche prima che si inziassero a battibeccare. «Oggi ti sei ricordata di me perché ti dispiaceva che Émile stesse da solo in questa casa e ti serviva un baby sitter per farti stare più tranquilla» fece a voce più bassa, mentre si rendeva conto che le mani cominciavano a tremargli; così le infilò nelle tasche della felpa, e cercò di forzarsi a non dare a vedere quanto fosse sconvolto. Aveva perso gli amici più cari che aveva; al primo ci aveva fatto il callo, ormai, anche se non smetteva mai di essere difficile rincontrarsi e sentire tutta la distanza che si era creata tra di loro, per quanto non avrebbe tentato di colmarla. La seconda, invece, era stata una perdita silenziosa, una di quelle che ti porta a chiederti se addirittura siate mai stati davvero amici, vista la rapidità con cui riesci a lasciar andare e accettare che avvenga lo stesso dall'altra parte. Io sono soltanto un riempitivo, per voi, forse qualcuno che vi fa un po' tristezza, forse qualcuno che sentite di dover assistere per compassione. «Vi libero ufficialmente da qualunque tipo di zavorra io abbia mai creato per voi. Potete stare fra voi due felici e contenti, non avete alcun obbligo nei miei confronti di accudirmi come il vostro animale domestico.» Siamo sinceri, questa amicizia non funzionava più da tempo, e non fa piacere a nessuno dover forzare a partire qualcosa che semplicemente non si accende più. «Lascialo stare, Ness. È entrato in modalità letargo.» Otis scattò la testa verso Émile, e rimase a guardarlo, mentre gli occhi gli pizzicavano fastidiosamente. Il modo in cui l'aveva detto, il fatto che detenesse un qualche tipo di conoscenza pregressa di un aspetto così intimo della sua vita, come la sua tendenza a chiudersi in se stesso in certi periodi e lasciare il mondo fuori, e il fatto che ne facesse uso adesso, dopo anni che non si parlavano, lo fece sentire letto, scoperto, vulnerabile, e addirittura, forse, banalizzato, ridicolizzato. Deglutì, non riuscendo a parlare, temendo quale scheggia tagliente sarebbe provenuta dalla bocca di Émile. Non sentiva di potervi
    far fronte, non più, non di nuovo. «È una merda quello che stai passando, O'.» Cosa sto passando? Se non lo so neanche io, che cosa mi sta succedendo, come puoi anche solo pensare di saperlo tu? «Ma è una merda anche quello che stiamo passando noi. Io ho metà della mia famiglia dispersa chissà dove, Nessie ha praticamente perso ogni libertà.» Non si trattava di quello, non era mai stato un discorso basato su chi stava peggio: certo, tutti loro erano stati annientati da ciò che era successo. Ma nessuno di loro aveva perso casa propria, e anche se così fosse stato, ciascuno reagisce alle cose in modo diverso! Perché volevano questionare il suo sacrosanto diritto a stare male? «E non è per fare la gara a chi sta messo peggio, al contrario. È per dire che non ti conviene fare così. Che siccome stiamo tutti messi male, ci possiamo capire, in qualche modo... credo.» «Non c'è niente da capire», negò, tirando su col naso. Il modo in cui era stata rigirata la frittata rendendo lui il problema della situazione, soltanto perché era stato lui a prendersela e a volersene andar via, era proprio textbook Émile. Erano in due a farlo sentire come un adolescente problematico, come qualcuno che abbia bisogno di supporto e di un intervento. L'avevano trascinato lì e adesso volevano pure intrudere nella sua testa in quel modo. «Non devi necessariamente parlare con noi, lo so che non ci andiamo a genio. Però, ecco, se posso darti un consiglio... Parlane con qualcuno. Cerca di non sparire completamente dalla circolazione.» La frotte aggrottata, Otis cominciava a sentire un'emicrania sopraggiungere – ci andava soggetto frequentemente, nell'ultimo periodo. Si massaggiò una tempia chiudendo un occhio solo, mentre decideva se rispondere a quell'ennesima insinuazione o lasciar perdere. Era stanco, voleva solo tornarsene a casa propria. «Ma chi vi ha detto che io ho bisogno di parlare con qualcuno, ragazzi?» Fece, la voce più calma di qualche momento prima, una maggiore ritenzione imposta da quel male alla testa. «Io non sto passando proprio niente, e comunque se così fosse non sarebbe qualcosa che ho bisogno che voi mi diciate come gestire. Esattamente come io non lo faccio con voi.» Non era mai stato quello il modo giusto per stargli accanto, e questo quantomeno Émile avrebbe dovuto saperlo: per questo Otis era certo che si trattasse soltanto di un tentativo per non prendersi alcuna responsabilità, per metterlo in difficoltà, farlo sentire difettoso, manchevole. «Come io decido di reagire non vi riguarda» fece, stringendosi nelle spalle. «Mi dispiace se state passando un periodo brutto, forse vi siete pure stancati di stare sempre insieme voi due e vorreste provare a includere anche me adesso visto che dopo un po' la vita di coppia si fa noiosa. Ma mi domando perché per farlo siano necessari sotterfugi, perché non potevate venire direttamente da me, e dirmi: ci manchi, Otis, vogliamo passare del tempo con te.» Forse perché l'ho reso impossibile? Può essere, ma almeno potevano provarci. «O forse Émile manco avrebbe voluto incontrarmi, forse è per questo che hai sentito il bisogno di agire alle sue spalle, Ness. E allora ancora di più mi domando: ma che ci stiamo a fare, qua? Se non ci sono neanche i presupposti per invitarsi a uscire in modo normale?» È una situazione assurda ed è anche un modo di procedere un po' manipolatorio. Otis sapeva che le intenzioni di Nessie fossero buone: appunto, avrebbe voluto riunire il trio, forse per noia, forse per necessità, ma il modo in cui l'aveva fatto era stato egoista. Aveva pensato soltanto ai propri sentimenti, a ottenere ciò che voleva lei, senza chiedersi se a lui la cosa sarebbe andata bene, senza neanche sporcarsi le mani per offrirgli un minimo di chiarezza. Non ci riusciamo neanche a dire che ci vogliamo bene e che sentiamo la mancanza gli uni degli altri, o perché non è vero, o perché siamo troppo orgogliosi. In entrambi i casi, non si può essere amici, così.
     
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