I suoi amici, per Otis, erano
tutto. Avrebbe potuto essere difficile accorgersene, per alcuni, per via del suo carattere così apparentemente introverso, gli aspetti più ruvidi, pungenti, saccenti e talvolta paternalistici persino con le persone a lui più vicine. Non era evidente, quanto affetto riservasse per ognuno di loro, la sua natura piuttosto schiva di fronte alle dimostrazioni fisiche o anche solo verbali; eppure Otis era una persona emotivamente piuttosto matura per la sua età da quando era piccolo, pronto ad affrontare conversazioni scomode e a parlare di emozioni con estrema lucidità. Crescendo, aveva capito sempre meglio quando Mr Knightly aveva confessato il proprio amore ad Emma dicendole quanto fosse
difficile riuscire a farlo, a metterlo a parole.
If I loved you any less I might be able to talk about it more, ricordava gli avesse letto sua madre da piccolo, quando cercava di introdurlo alla letteratura femminista dei classici babbani per debellare qualunque traccia di mascolinità tossica nascente potesse annidarsi in suo figlio appena undicenne. Aveva sbuffato, senza veramente comprendere il senso di una simile sciocchezza dall'alto dell'estrema razionalità e logicità con cui guardava i sentimenti: come si può giustificare così una tale pigrizia, una tale mancanza di proprietà di linguaggio persino, e prendere le parole di Mr Knightly come una romantica dichiarazione – evidentemente incompleta? Era una contraddizione: se vuoi bene a qualcuno così tanto lo dimostri, non puoi nasconderlo, è più forte di te, e le parole le
devi trovare. Adesso, alla soglia dei diciannove anni, Otis si era scoperto molto più analfabeta di quanto credesse quando si trattava dei
propri sentimenti, e non di quelli di qualcun altro, o di quelli che provava per qualcuno che non gli stesse di fronte lì per lì. Con chiunque gli capitasse a tiro non poteva esimersi dal ricoprire di elogi e lustri i propri amici, descriverli come persone incredibili, capaci, affidabili, coraggiose. La difficoltà a esprimerlo direttamente a loro sembrava arrivare da quella cosa che succede quando si comincia a crescere, e si riesce a dire sempre meno, le verità diventano sempre più difficili, le parole sempre più complicate, e i sentimenti sempre più profondi.
Va be', non c'è bisogno di dirselo, si sa che ci si vuole bene. Tra Ronnie e Otis non erano mai esistite, a memoria del ragazzo, altro che pacche sulle spalle, spintoni amichevoli, insulti quotidiani e sguardi incrociati, nelle stanze affollate, a ricercare l'altro e assicurarsi che stesse bene. Non sapeva se le avesse mai detto che le voleva bene; forse ci aveva provato qualche volta, da piccolo, quando non riusciva a contenere l'entusiasmo e l'affetto strabordante per la ragazza quando lo sorprendeva con l'ultimo videogioco babbano appena uscito, e si presentava in camera sua senza troppe parole e una confezione di caramelle mou a testa. Il loro rapporto si era poi stabilizzato su un più equilibrato
“ho smesso di chiedermi come fai a procurarteli con una tale velocità immediatamente dopo l'uscita” a discapito di un più entusiastico
“sei il mio mito, Ron!”, che sembrava rendere entrambi più a loro agio. Così avrebbe definito la loro amicizia:
comfortable. Otis non doveva formalizzarsi, sforzarsi, era facile, estremamente facile essere amico di Ronnie, al punto che a volte peccava di pigrizia e si metteva fin troppo comodo, permettendosi piccoli lussi che talvolta superavano la linea, perché Veronica non era una persona che era solita elargire richieste, domandare attenzioni, e questo significava che il Tassorosso a volte funzionasse come funziona un ragazzo quando si sente a suo agio, e cioè in modo maldestro. A volte, doveva ammetterlo, era capitato che si dimenticasse che Ronnie non fosse fatta di marmo, che fosse una ragazza sensibile – l'avrebbe ucciso, forse, se le avesse detto che pensava questo di lei. “È forte, non ha bisogno di essere trattata con i guanti” è una scusa che regge sufficientemente a lungo, ma non è altro che questo, una scusa che giustifichi le dimenticanze e le negligenze che ogni tanto gli erano capitate. Ogni volta che si era dimenticato di farle un in bocca al lupo per una verifica, o di chiederle come stava prima di attaccare uno dei suoi soliti monologhi in cui si lamentava di qualcosa, era probabile che il suo senso di colpa superasse di gran lunga qualunque tipo di offesa che aveva potuto provare Veronica. Più di tutto, a volte era difficile tenere a mente i suoi bisogni, perché Ronnie non chiedeva mai. Per questo, quando succedeva, sapevi di dover correre. Quando quell'anno gli chiese di trascorrere il proprio compleanno con lui, Otis decise che si sarebbe impegnato al massimo per rendere quel giorno speciale per lei, pure per farsi perdonare – un po' da paraculo, senz'ombra di dubbio – per tutte le volte in cui sentiva di non essere stato un buon amico.
Con uno zaino in spalla già di suo grande la metà della sua altezza, il ragazzo arrancava a stare al passo con quello della Rigby, che passeggiava ben più alleggerita.
«Certo che tra tutti i posti in cui i lycan potevano piazzare la loro città-base, potevano sceglierne uno con un clima migliore.» «Meh, secondo me ci sta» fece spallucce lui, allungando il passo per raggiungerla e puntando lo sguardo sull'enorme distesa del Loch Ness.
«È più suggestivo, il lago, quando è coperto. Poi dicono che quando è così scuro è più facile vedere Nessie. Magari viene a farti un saluto per il tuo compleanno» la prese in giro, spintonadola appena con il gomito, pericolosamente sballanzando lo zaino enorme che si portava dietro. Sapeva quanto detestasse che le si ricordasse costantemente che giorno fosse. I loro passi sui sassolini, adesso coordinati, producevano un rumore familiare, confortante.
«Non chiedo i Caraibi, eh, ma un raggetto di sole ogni tanto non guasterebbe» continuò lei, mentre l'eco di un tuono poco distante preannunciava l'arrivo del temporale. Non aveva controllato il meteo, prima di proporgli un pic-nic in riva al lago?
Ovviamente no, è Ronnie. Lui, invece, si aspettava quella pioggia, e tutto precedeva secondo i piani. Non riuscì a trattenere un sorrisino calcolatore.
«Vabbè, immagino che il pic-nic salti. Magari per mangiare ci ripariamo nella locanda in fondo alla spiaggia.. o bo, non lo so, aspettiamo che smetta. Ho scelto una giornata un po' a cazzo, scusa.» Otis aggrottò la fronte, scuotendo la testa. Non c'era bisogno di scusarsi, e non era neanche strettamente tipico, per Ronnie, scusarsi per una cosa così poco controllabile come il meteo.
«Ma figurati, Ron. Che sarà un po' di pioggia. Continuiamo a camminare, ti porto in un posto» fece misterioso, tirando su il cappuccio della felpa.
«Ho un'idea stupida.» fece lei all'improvviso, dopo qualche secondo di silenzio, scandito solo dal ticchettio della pioggia attorno a loro.
«Tu hai solo idee stupide» fu naturalmente l'eco in risposta di Otis, che neanche si voltò a guardarla, aspettandosi un meritato spintone.
«Giochiamo ad obbligo o verità. Solo cose scomode, tanto non c'è un'anima quindi ce le portiamo nella tomba.» «Hai ragione, proprio un'idea cretina» continuò lui, stavolta girandosi con un sorriso divertito, incassando la spallata.
«Ma sai già tutto!! Sei tu quella misteriosa» disse, scherzando solo in parte. Erano entrambi piuttosto riservati, poco dediti a intense sessioni di confessioni e psicoterapia nei loro incontri, e piuttosto incapaci di prendersi sul serio per più di cinque minuti.
«Uff, va be', visto che è il tuo compleanno e compi tredici anni... Verità.» cedette alla fine, tirando su la cinghia dello zaino.
«Ok, ci sono. Categoria porno preferita» Otis sbuffò scuotendo la testa, in un'espressione di prevedibile delusione.
«Potevi chiedermi qualunque cosa al mondo...» «O se “non li guardi”–» lo interruppe –
«– ipotetica categoria preferita. Guarda che anche se è strana non ti giudico, eh.» Otis continuò a scuotere la testa, ridacchiando.
«Ma perché gli adolescenti pensano sempre al sesso? Ma tu non fai ventun anni?! Ma poi il porno, ma che cosa anacronistica, machiguardaancoraiporn–Hentai.» disse in un fiato, prima che lei potesse soffermarsi su quanto appena detto.
«È tutto ciò che ti dirò. Sei contenta? Ora lo sai. Se usi questa informazione contro di me ricordati che io ho molto di peggio sul tuo conto con cui ricattarti» fece poi, guardandola assottigliando lo sguardo, sorprendentemente meno in imbarazzo di fronte a quella confessione di quanto non si sarebbe aspettato. Il sesso per Otis non era un argomento tabù, ma non quando lo riguardava – come per tutto il resto, nella sua vita. Quanto a quali fossero le effettive informazioni scabrose con cui aveva ricattato Ronnie, era molto plausibile che non ne avesse alcuna, visto quanto fosse una
tomba la sua migliore amica.
«Tocca a te.» fece, voltandosi a guardarla per pensare meglio, camminando all'indietro per qualche secondo prima di rimettersi dritto.
«Okay, obbligo. Mmmmmh» si fermò a pensare, scattando intanto una foto rapida al paesaggio stupendo che gli si parava di fronte. Per qualche istante soppesò l'idea di obbligarla a tuffarsi nel lago, ma decise che avrebbe lasciato quell'opzione per fasi più avanzate del gioco, quando avrebbero cominciato a fare proprio gli stronzi, prevedibilmente.
«Ti obbligo a strillare qualcosa più forte che puoi» fece, inclinando la testa.
«Sì, esatto, l'apoteosi del cringe, devi strillare in modo liberatorio una frase che ti viene voglia di strillare come una qualsiasi eroina di uno Young Adult sulla cima di un monte che ha metaforicamente e letteralmente scalato durante tutto il romanzo. Il mondo è tuo» fece poi, con un gesto del braccio a indicarle lo spazio circostante.