The one you loved

Esmeralda & Riley | Casa di Riley a Hampstead

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    Sto oziando, devo ammetterlo. Sto oziando più del dovuto e questo mi lascia un certo fastidio in punti imprecisati del corpo che non ho nemmeno modo di grattare. Sto oziando, ma a conti fatti, questa cosa non è nemmeno così vera: perché nell'ozio finisco comunque per non fermarmi un istante. Per muovermi da una parte e l'altra della casa per far sì che tutto sia pronto per il pranzo. Una stupida ricorrenza della domenica che hanno giù in Italia. O almeno a Roma, ecco, da cui ho rubato qualche ricetta da proporre oggi. E alle ricorrenze io ci tengo o almeno, tengo alle abitudini. Alle routine ben delineate. E così come io dovevo mangiare seduto al tavolo dei miei stessi genitori, così vorrei che mangiasse Nicholas. Anche se Esmeralda ed io siamo decisamente atipici: lontani, sì, dal tipo di famiglia che ha cresciuto me. Forse lontani persino dalla sua. E questo magari è un bene, anche se non sono discorsi che di solito di aprono a tavola, soprattutto quando non sono richiesti. La famiglia o almeno, il concetto che abbiamo di famiglia, è sacro. Lo è soggettivamente per ognuno di noi così come sacro e insindacabile è il modo con cui decidiamo di proteggerlo. Quindi sì, a conti fatti non sto oziando, non quando sto cercando di preparare delle fettuccine al sugo di spuntature che a Nicholas potrebbe piacere. Perché mio figlio è importante, è l'unica cosa che effettivamente sa rendermi felice.
    Il motivo, se così vogliamo chiamarlo, per cui mi alzo dal letto e fare ciò che faccio. Che magari le mie scelte non vengono sempre e solo dettate dalla passione. Magari, dietro le miei azioni, un po' di vocazione c'è. E io ho bisogno del sorriso di mio figlio per mandarle avanti. Per tirar fuori le gambe dal letto, per osare dei passi in più. Perché così mi è stato insegnato di fare e perché, per un certo verso, sento che i miei hanno fatto lo stesso, nonostante abbia sempre voluto sapere mio padre lontano da casa nostra.
    Magari quello di cui ho bisogno, quello per cui mi batto, è essere un padre diverso dal mio. Uno che, seppur non vive tutti i giorni con suo figlio, poi comunque se ne prende cura. Lo ama, lo supporta nei suoi sogni: si batterebbe con le unghie e con i denti per la sua felicità.
    E se la felicità, per ora, consiste solo in un pranzo familiare, sono probabilmente il primo a battermi per difenderla.
    Me ne rendo conto quando mi forzo di lasciar scivolare via il senso di colpa e allora metto a bollire l'acqua in attesa che Esmeralda corra a bussare alla porta.
    Emily è già sull'attenti, vigile dinanzi all'uscio affinché sia lei la prima ad accogliere Nicholas. Lei che ama i bambini e detesta ogni donna che possa starmi vicino. Addestrarla affinché fosse buona con Esmeralda non è stato semplice, ma adesso Emily è una tata perfetta. La tata di tutti e tre, in effetti.

    — Ems, mi sembra di aver sentito l'auto di - e non ho nemmeno bisogno di continuare la frase per vederla scattare in piedi. La sento annusare l'aria e lasciar roteare la coda mentre gli occhi, vispi, guizzano fuori la veranda. Appanna le vetrate col suo respiro. Ansima eccitata.

    — Sono loro? lei abbaia. Non credo possa davvero rispondermi direttamente ma a volte fingo che lo faccia. Forse perché in casa mi sento solo. Forse perché sto invecchiando e si sa, i vecchi diventano folli superata una certa età. Sarà un accenno di demenza senile la mia. Sarà che ho visto troppi film babbani coi cani in compagnia di Nicholas per riuscire a distinguere la realtà dalla menzogna. I cani non parlano, non parlano affatto, ma Emily sa farsi capire benissimo. L'ho addestrata per questo: per avere un canale di comunicazione univoco con lei.

    Stringo la sigaretta accesa tra le labbra e mi pulisco le mani contro uno strofinaccio prima di dirigermi verso la porta a vetro. La lascio scorrere sotto il palmo e butto fuori il fumo dal naso non appena l'aria fredda di gennaio corre a sferzarmi in viso.
    Dentro casa fa caldo. C'è odore di carne cotta. Il sugo ribolle lento in pentola e il libro pop up del Piccolo Principe è chiuso in un pacchettino che aspetta Nicholas sul divano. Tutto è perfetto. D'altronde è solo un pranzo insieme, un pranzo che non deve necessariamente insinuare nulla: non sono qui per far bella figura con Esmeralda. Sono qui perché voglio dir loro che non smetterò mai di prendermene cura.

    — Oh oh! cazzo, sembro Babbo Natale — Chi sarà mai!? Emily mi corre tra le gambe, già troppo felice. Già appagata dalla loro presenza.
    — La cagna non stava più nella pelle e forse, nemmeno io.



     
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    « Senti a me sta storia degli albanesi nun me piace pe' niente. Se stanno a pijà troppe libertà. J'avemo dato un dito, ma mica mo lavoramo per loro. » Le preoccupazioni di Stefano erano sempre le stesse, ed erano direttamente proporzionali alla quantità di soldi che riusciva a tirar fuori da un affare. Quelli con gli albanesi, era un affare che ad Esme non piaceva, e a dirla tutta, aveva fatto del suo meglio per tenere i suoi ragazzi il più possibilmente lontani dalla loro influenza. Il fratello minore, tuttavia, voleva tenersi le strade aperte, e così seppur i Dragomir non si fossero sbilanciati in merito, continuava a corteggiarli. « Te credo. Te stai a mette a pecora co' quelli là.. ma che cazzo t'aspetti Spadì. Tu - tu j'hai dato troppe libertà; non me mette' in mezzo. T'ho già detto come la penso. » « Io a pecora nun me ce metto! » Esme scoccò la lingua contro il palato e alzò gli occhi al cielo. « Seh va beh! » « 'O sai che Angelica ci tiene. Su zio s'è sposato la figlia del boss degli Zani. » « Tu moje ce tiene a vedette co' n piede naa' fossa, Spadì. Senti - fa come cazzo te pare. I ragazzi miei però in mezzo a sta merda non ce li devi mette - già stiamo inguaiati. » E lo erano davvero, perché nonostante Esme dicesse di trovarsi a Londra per affari, nello specifico l'acquisizione di alcuni stabili che sarebbero diventati in futuro floride attività di famiglia, la verità è che fremeva di rimettersi in contatto con i suoi amici, dare supporto alla rete. Tornare in sella. « NICOOOOOO! Dai a mamma, andiamo! » Mentre il bambino si precipitava in casa dal giardino, Esme trovò il tempo di rivolgersi nuovamente al fratello, osservandolo dalla testa ai piedi. « Oggi stiamo da Riley. Se ci sono problemi, mi chiami. » E così, Esmeralda aveva messo fine a quella conversazione lasciando il bel palazzo signorile in cui vivevano ormai da qualche settimana. La giovane Proietti aveva comprato quell'appartamento proprio in visti della possibilità di doversi fermare in Inghilterra per più tempo. Un fatto che, sapeva, col tempo sarebbe diventato inevitabile. Nicholas sarebbe cresciuto, e con molta probabilità si sarebbe dimostrato un mago, quindi avrebbe intrapreso quel percorso - sempre che sia la Scozia ciò che vuole davvero. Era un bravo bambino; anche troppo intelligente per la sua età. A cinque anni, Nicholas aveva già capito che mamma e papà non vivevano insieme, e che, anche se non lo facessero non erano dissimile dai suoi compagnetti della costosa scuola materna inglese che aveva cominciato a frequentare quell'anno. Sapeva che entrambi lo amassero immensamente, ma che la mamma aveva cose da fare a Roma, e il papà invece, era piuttosto impegnato in Inghilterra. Li vedeva in ogni caso abbastanza spesso. Esme e Riley trovavano il modo per vedersi durante ogni pausa. Durante i ponti era lei a lasciare Roma, e viceversa, durante le vacanze Riley li raggiungeva ben volentieri. Perché avessero fatto quella scelta di vita, la romana lo sapeva bene, seppur fosse evidente che lo scozzese dal canto suo attendeva solo il primo cenno per invitarli a essere una famiglia funzionale e funzionante. Ma Esme, spirito libero, si chiedeva spesso a che pro? Non si fidava di Riley come uomo, specialmente nella misura in cui, le relazioni, per la giovane Proietti avevano una dimensione che non riusciva a immaginare come calzante sul proprio partner. Lei era passionale, possessiva, e soprattutto non riusciva a immaginare la possibilità di una relazione aperta. Tutto o niente.
    Fu proprio con questo spirito che spense il motore del suv dai vetri oscurati, scendendo dalla macchina. « Crostata per papà? » « Presa! » Non a caso, Nicholas sbandiera il pacchetto che contiene la crostata di visciole e ricotta che Esme ha preparato il giorno prima. Si appresta a prendere anche la bottiglia di vino e così eccoli alla porta, annunciati dai versi disperati della cagnolina di Riley che adora il piccolo di casa. « La cagna non stava più nella pelle. » Esme sorride e si appresta a stampargli un bacio su ciascuna guancia. « Solo la cagna? A' bugiardo! » Gli dice quelle ultime parole in italiano, sapendo già che Riley ha ormai iniziato ad afferrare sufficientemente l'italiano da poterla capire. Si fa spazio nell'ambiente caldo, lasciando spazio a padre e figlio di salutarsi mentre appoggia la bottiglia di vino sul bancone della cucina. « Papà! La mamma ha fatto la crostata! » E poi via di mille schiamazzi con Emily con cui inizia a giocare facendosi spazio in salotto ridacchiando e urlacchiando. Esme attende l'arrivo di Riley a cui sorride ancora una volta con naturalezza; non può certo ignorare il profumo che proviene dai fornelli, e così, nel vedere una pentola in cui bolle l'acqua per la pasta inclina la testa di lato e lo osserva sorpresa. « Cucini la pasta? Tu? Sul serio? » Inutile dire che a forza di fargli terrorismo psicologico, Riley deve aver capito che la pasta scotta fa schifo e che, soprattutto, un italiano non la accetterà mai diversamente se non al dente. Fece il giro del bancone per sollevare il coperchio. « Mmmmm, sembra buono! Vediamo se mi intossichi, oggi. » Gli gettò uno sguardo saccente prima di rimettere tutto com'era. « Dai, ti do una mano. Che cosa ti manca da fare? » Pausa. « Nel mentre raccontami un po' come va? Come va al lavoro? » Una domanda apparentemente di circostanza. Non lo era davvero.


     
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    I pianeti tornano ad allinearsi. Il cosmo, a rispettare le leggi che gli sono state impartite. Il mio mondo torna ad esistere: si colorano le case, gli alberi e i cieli bidimensionali in una striscia d'azzurro su un foglio di carta bianco. La macchina ha solo un lato e due ruote. Posteggia davanti una casa dal tetto a punta e due omini dai vestiti spigolosi scendono. Rivederli rende tutti i disegni di Nicholas che ho appesi sul frigo reali. Rende reale il mio sorriso, la gioia che ho lasciato macerare in petto per giorni. Mi risveglia, fa scodinzolare. E Esmeralda, quando viene a baciarmi le guance, ha solo che ragione: non è solo la cagna quella a non star più nella pelle, ma io. Io che le lascio scivolare un braccio attorno ai fianchi. Che me la stringo contro con delicatezza. Un bacio sulla guancia di rimando. La fronte che scivola contro una sua tempia. Pelle a pelle, profumo a profumo, per così rimetterci al nostro posto. Ritrovarci fermi, intatti, attraverso le ossa e i muscoli. Non bacio nessuno da chissà quanto tempo. Rivederli sa farmi fare anche questo. Sorridere all'accento romano della mia compagna, piegare sulle ginocchia nel tentativo di dare a Nicholas un porto sicuro nel quale rifugiarsi dalle grinfie di Emily. Gli incastro un bacio nel collo. Uno sbuffare di fiato che serve a fargli il solletico. Per vederlo ridacchiare e contorcersi ancora un po'.

    — Oh, grazie mamma!
    Mi rivolgo ad Esmeralda con un sorriso, sollevando Nicholas da terra nell'errore che mi porta a far impazzire Emily. La cagna si tira su, su due zampe, ad annusare i polpacci del ragazzino. E Nicholas scalcia: i baci a papà ormai li ha già dati o almeno, se li è presi, quindi è giunto il tempo di giocare. Di scivolare di nuovo a terra. Di correre come correrei io se fosse questo il modo in cui un adulto ha modo di poter esprimere la propria contentezza. Immortalo questa immagine, una fotografia che so come continuerà ad aggiornarsi per tutto l'arco della giornata. Noi quattro, sì, cagna compresa, a far da sfondo al concetto di famiglia che mi piace.

    — Già, abbiamo detto che non era solo la cagna quella a non star nella pelle, no? Mi smaschero, non ho vergogna per queste cose. — È almeno una settimana che ci provo. Con buoni e scarsi risultati. Spero che la statistica oggi mi venga incontro, altrimenti andiamo a pranzo fuori. Specifico anche se non c'è bisogno di farlo. Che forse la pasta finirà per andarci bene da scotta. Che il sugo sarà buono anche da sciapo. Perché l'importante non è davvero ciò che metteremo sotto ai denti. Credo funzioni così.
    Poso la crostata sul bancone della cucina e tiro fuori l'apri bottiglia per il suo vino. — Apri quello e scegli la musica. Ti basta chiederlo ad Alexa, ma dovresti saperlo meglio di me che non ci ho mai capito niente con la tecnologia babbana. Prendo un mestolo per girare il sugo, tirandone su un po' per passarci il dito sopra e portarlo alle labbra. Sembra saporito, ma non troppo. Un punto per me.

    — Bah, come va. Non me l'hanno ancora messo nel culo, quindi suppongo bene. Guardo Nicholas quando lo dico, ma solo per capire se gli è arrivata la parolaccia o se invece non ci sta sentendo affatto. Non gli ho detto del regalino che gli ho lasciato sul divano, lo troverà da solo: sta iniziando a leggere adesso, no? Il suo nome lo riconosce. — Ci sono un po' di cose nuove in ballo o almeno, ci si prova a far del proprio meglio, un po' come è sempre stato. Lo sai pure tu. Prendo due calici da posarle dinanzi agli occhi. — Ho persino assunto un obliviatore freelance per andare sul sicuro, ma posso dirti solo questo. Però sì, sembra stia andando bene, per ora. Le passo una mano sulla schiena, fiancheggiandola nel tentativo di preparare la tavola con tovaglia e posate.
    — A voi come sta andando? A Roma? Solitamente non voglio entrare in dettagli che sappiano riguardare una realtà diversa da quella che dobbiamo imparare a gestire qui. Infatti sbaglio nel restare sul vago: quello che voglio sapere io è com'è che sta la sua famiglia. Com'è che sta Spadino.



     
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    « È almeno una settimana che ci provo. Con buoni e scarsi risultati. Spero che la statistica oggi mi venga incontro, altrimenti andiamo a pranzo fuori. » Esme sorride e lo osserva con attenzione. Annuisce e sembra pensierosa. È bello tornare da Riley; in un modo del tutto bislacco è famiglia, ed la giovane Proietti si sente sempre un po' più a casa quando c'è nei paraggi. Sotto sotto vorrebbe davvero che fosse il suo uomo ideale, che quella famiglia funzionasse come tante altre, vorrebbero che si fossero dati una possibilità quando ancora potevano. Ma a rimpiangere cose mai esistite so' boni tutti, e lei deve ricordare che se ha scelto di fare diversamente un motivo c'è. Così si gode semplicemente quei momenti, cercando di fare in modo che Nico stia bene in quella dimensione, riconoscendo tanto sua madre quanto suo padre come suoi genitori e figure di riferimento. « Apri quello e scegli la musica. Ti basta chiederlo ad Alexa, ma dovresti saperlo meglio di me che non ci ho mai capito niente con la tecnologia babbana. » La mora lo indicò con un'espressione ironica prima si scocare la lingua contro il palato. « Se va beh, hai capito questo, me vole insegnà come usare Alexa. A' Riley svejate! » Alza gli occhi al cielo prima di voltarsi verso il cubo delle meraviglie. « Alexa, metti Mina su Spotify. » Le prime note di Se piangi, se ridi si liberano nella quiete della cucina, portando Esme a sorridere con un che di melanconico prima di dedicarsi alla bottiglia. Si muove con naturalezza mentre apre alcuni sportelli alla ricerca di due bicchieri in cui versa una quantità di vino sufficiente da essere reputata cafona. In fondo sono a casa, e le convenzionali tre dita di vino non le sembrano poi una quantità sufficiente per diventare almeno un po' più allegri. Gli allunga sul bancone uno dei bicchieri per poi osservarlo mentre si porta il proprio alle labbra. « Bah, come va. Non me l'hanno ancora messo nel culo, quindi suppongo bene. Ci sono un po' di cose nuove in ballo o almeno, ci si prova a far del proprio meglio, un po' come è sempre stato. Lo sai pure tu. Ho persino assunto un obliviatore freelance per andare sul sicuro, ma posso dirti solo questo. Però sì, sembra stia andando bene, per ora. » Non le sfugge certo l'attenzione che Riley dimostra. Fisico lo è sempre stato, e in un certo senso, quei suoi modi di fare riescono sempre a confonderla. Così lo osserva mentre prepara la tavola, avvicinandosi ai fornelli per mescolare un po' nella pentola bollente sul fuoco con un'espressione pensierosa. « A voi come sta andando? A Roma? » Esme sospira a quel punto stringendosi nelle spalle.
    « Roma è piena di fasci e turisti, come sempre. Boh oddio, no, come sempre no. Diciamo che ultimamente i primi danno più problemi del solito. » E questo andava un po' in contraddizione con la sua etica. Seppur Esme fosse consapevole di non fare la vita più onesta di tutte, si è sempre tenuta molto alla larga dagli affari della destra. Forse perché in fondo non ha mai approvato la linea del padre, forse perché sotto sotto avrebbe semplicemente voluto smantellare tutto e fare qualcosa di diverso. In Italia però le cose vanno così. E io non intendo fare la morta di fame solo perché se non rubi sono gli altri a rubarti. « La maggior parte del tempo lo passo tentando di non essere una testa di cazzo come i miei. Difficile, ma ci provo. » Era questa la ragione per cui aveva deciso di lasciare per un po' Roma e tornare in Inghilterra. « Riley - guardami. » Uno sguardo di monito. Esme era una tipa diretta, e lo sarebbe stata anche in questa circostanza. « Se hai bisogno di un obliviatore, non sta andando bene. » Pausa. « C'è qualcosa che devo sapere? » Scopriamo le carte. In fondo ti sarai chiesto perché sono venuta, considerando che non lascio Roma manco sotto tortura per più di una settimana. « Questi ultimi mesi da queste parti sono stati alquanto movimentati. » Una cosa tra tutte, Esme non riusciva ad accettarla: l'arresto di Byron Cooper. E quella era solo la punta dell'iceberg. « Non è che ci siamo incontrati a un appuntamento al buio a Piccadilly. Di certe cose puoi parlarmene. Tu sai che non sono qui solo per le sfilate di Burberry e fare shopping. » Che poi il giorno in cui vengo fino a Londra per fare shopping, è proprio il giorno in cui la moda in Italia è morta.


     
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    Mina la conosco. Non che ci vada a cena fuori - insomma, è morta - ma comunque qualcosa di suo l'ho ascoltato e mi è piaciuto, perché anche se non capisco bene parte delle parole comunque lascio che mi arrivi il dolore. Mi baso sull'inflessione della sua voce. Sulle note che raggiunge e lì fingo di saperci empatizzare come solo un artista sa fare. Da pari a pari, anche se la voce non l'ho mai usata per comunicare qualcosa di diverso dal A è A e B è B. Ma lì, insomma, il limite resta mio, non di Mina che sa aprire voragini nello sterno e poi ti lascia così, un po' troppo in balia di te stesso. Allora lascio che i fianchi mi cullino un po'. Che ondeggino piano senza costringermi a movimenti troppo ridicoli. Che la musica mi piace, mi piace troppo, ma ormai sono così annichilito dalla vita da non riuscire più a lasciarmi andare come avrei fatto un tempo. Non ho modo, in effetti, di mostrarmi per ciò che sono. Non totalmente, non quando sono stato gettato a capo fitto in situazioni sociali tanto lontani da me. E l'ho accettato. Suppongo di averlo accettato così bene da non riuscire più a distinguere cos'è che mio e cosa del Riley che è costretto a far parte della società. Che è costretto ad esservi invischiato fin sopra la testa. Che annaspa e se affoga, beh, finisce per farlo con un senso dell'onore forse invidiabile, forse facile di ridicolizzazione.

    — Grazie Giorgia Meloni, giusto? qualcosa devo aver letto, ma sono solito informarmi molto meno della politica babbana quando ho da concentrarmi su ciò che sta accadendo nel mondo magico. E nel nostro, più che altrove. Questo, forse, dovrebbe rendermi più nazionalista di quanto potrei sembrare o voler essere, ecco. Ma la mia è solo deformazione professionale. D'altronde, finisco per interessarmi solo a quelle cose verso le quali il lavoro mi spinge. È ovviamente un problema, ne convengo anche io, ma non riesco, ecco, a muovermi diversamente. — E pensare che Rishi Sunak la considera la migliore alleata in Europa. Ma basta, le mie informazioni si fermano qui. Almeno per oggi, ecco, che ho intenzione di star sereno con lei e Nico.
    Poi però la guardo come mi dice di fare, con un sorriso che se ne sta stupido in viso. Non vorrei fare lo splendido, ma sono stupido e se per una volta parto con il buon proposito di non voler sembrare un mattone sui coglioni, poi finisco per prendere alla leggera tutte le altre cose che mi succedono. Non so resettarmi con così tanta facilità o velocità.

    — Ma non è niente di che, Esme. Mastico poggiando la schiena contro la penisola della cucina. Sento Nico giocare con Emily alle mie spalle. Se non lo guardo mentre parlo, so darmi l'impressione di star parlando in segreto con sua madre. — Sono solo più paranoico del solito. Mettila così. Soprattutto perché sto provando a rendermi utile. Mi volto verso Nico, lo faccio senza guardarlo davvero. Sto solo riflettendo. — È ridicola la situazione ad Iron Garden. E fosse solo quello a non andarmi giù. Poi sorrido di nuovo, ci provo a mantenermi sul leggero. Perché sì, so di poter parlare con lei di queste cose: d'altronde è così che ci siamo avvicinati, ma è anche vero che sono sicuro di riuscire a gestire ancora ogni cosa nel migliore dei modi. La mia è solo precauzione. Solo e soltanto precauzione.
    — No? Niente appuntamento a Piccadilly? A me non dispiacerebbe. Allungo un piede verso il suo, ma solo per colpirla - ovviamente piano - e scocciarle un po'.



     
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    Liquida le faccende politiche del suo paese con un gesto della mano impertinente. Non le piace parlare di quelle cose più di tanti; un tempo Esme era in prima linea alle manifestazioni, nonostante si beccasse puntualmente una lavata di testa da parte del padre. Lei rispondeva sempre che l'aveva cresciuta libera, e che non voleva essere condizionata da nessuno. Un po' adolescente ribelle, forse, lo era ancora, e proprio per questo odiava quanto stava accadendo a casa propria. Non che le cose andasse meglio lì, in Inghilterra. Tanto tra i babbani, quanto tra i maghi, il caos regnava sovrano, e proprio per questo sembrò poco incline a lasciar perdere le risposte del compagno. « Ma non è niente di che, Esme. Sono solo più paranoico del solito. Mettila così. Soprattutto perché sto provando a rendermi utile. » Lo osservò da sotto le lunghe ciglia, tamburellando le unghie smaltate sul bancone della cucina, guardando per un attimo oltre la propria spalla per assicurarsi che Nico non facesse caso a loro. Fortunatamente il bambino era troppo impegnato a giocare per accorgersi di loro, e forse, un po' in cuor suo, il piccolo dava loro un po' di spazio perché gli piaceva l'idea di vedere mamma e papà insieme. A volte glielo chiedeva; perché tu e papà non vivete insieme come i genitori di Paolo? Paolo, Miriam, Giovanni - molti dei suoi compagnetti vivevano in una condizione famigliare ben diversa dalla loro. Esme gli rispondeva che mamma e papà erano felici così, e che per lui ci sarebbero sempre stati. E lui, capiva, ma forse a volte aveva bisogno di vederli insieme, esattamente come insieme stavano altri genitori. « È ridicola la situazione ad Iron Garden. E fosse solo quello a non andarmi giù. » C'erano tante cose che non andassero, ma tu stai lavorando comunque per loro. Non lo biasimava, né si sarebbe mai permessa di criticare le sue scelte di vita. Nel loro rapporto era naturale non concordare necessariamente su tutto, né tanto meno prendere sempre le stesse scelte di vita. Esme e Riley avevano un unico obiettivo comunque - loro figlio. Il resto era alquanto secondario, finché, sotto sotto avrebbero sempre tentato di proteggersi e guardarsi le spalle. E proprio di questo si parlava. Di guardarsi le spalle. Se Riley era paranoico, evidentemente un motivo c'era. « No? Niente appuntamento a Piccadilly? A me non dispiacerebbe. »
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    Lei sorride di rimando, e sbatte le ciglia diverse volte con fare civettuolo. Poi di colpo torna di nuovo seria. « Hai tutto il tempo del mondo. Resteremo per un po' a Londra. » Glielo annuncia così, con naturalezza. Come se fosse la cosa più normale del mondo. Solitamente Esme non si ferma mai per più di qualche giorno. « Ho già preso tutti gli accordi per restare per un po'. » Roma può aspettare. Anche la sua vita poteva aspettare. Tutto ciò che gestiva dal suo attico in centro, poteva essere gestito anche da lì. Certo, quando il gatto non c'è, i topi ballano, ma in tutta onestà la sua etica non le permetteva di fare diversamente. « Quindi parliamone seriamente, Riley. » Non avrai mica pensato che quando imprigionano e mettono sotto attacco tutte le persone che mi stanno a cuore, torno a Londra per comprare scarpe e borse. « Hanno rinchiuso Byron e tanti altri amici. » Amici di entrambi; persone con cui avevano condiviso una bevuta e al fianco dei quali hanno combattuto. « In quell'attacco è morto Harry Potter. Mica pizza e fichi. » Fa una leggera pausa tempo in cui si inumidisce le labbra. « Perché hai ingaggiato un obliviatore? Stai combinando qualcosa di specifico, oppure è una precauzione legata a qualcosa di specifico che ti preoccupa? » Tu non fai mai cose a caso. Sei troppo meticoloso. Non a caso, consapevole che avrebbe tranquillamente potuto fare finta di niente e decidere di non rispondere alle sue domande, lo indicò con l'indice a mo di monito. « Se non vuoi dirmi nulla, inizio io. Quei ricercati e quella gente ad Azkaban è la mia gente. Per me sono famiglia e la famiglia non si abbandona. Questa cosa è una faccenda personale. Non tornerò a Roma e non avrò pace finché non riavranno ciò che hanno perso. Costi quel che costi. » E nel linguaggio di Esme, costi quel che costi poteva significare tante cose. « Ora non so da che parte stai, e cosa stai combinando, ma voglio che sia molto chiaro che, se siamo di fronte a un conflitto di interessi, in virtù della sincerità che ci siamo sempre promessi, devi sapere che non sono qui per farmi fare un Vivienne Westwood su misura. » E se devo giocare sporco, giocherò sporchissimo. « Hanno bisogno di tutto l'aiuto che possono ricevere, ed io non intendo negarglielo, perché questa faccenda non è pulita per niente. »


     
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    Immagino che la prima cosa ad avermi colpito della sua persona, non è stato di certo un proiettile a trapassarmi il petto da parte a parte, né uno schiantesimo. Immagino che ad avermi risvegliato, come un bambino al quale vengono promessi giochi e divertimenti è stata proprio la sua lealtà. Quella qualità che deve aver ereditato dalla sua famiglia e dal contesto culturale in cui è stata messa al mondo. Uno smacco, da quel che mi sembra, ad una società che promuove l'anomia in virtù di un controllo che non difenderemo mai. Non a spada tratta, ma nemmeno a parole. A farmi battere il cuore, perché di solito nelle storie d'amore funziona sempre e stupidamente così, è stato il suo coraggio. La sfacciataggine contraddistinta con cui sa buttarsi in avanti senza alcuna difesa. Un carro armato. I suoi sentimenti col cingolato. Un rivestimento in pelle così perfetto e ammaliante da nascondere la trappola costruita su misura della sua persona.
    Ci penso anche adesso. Perché nel dialogo io cerco il suo viso anche quando in me manca la sincerità che in lei rivedo. Cerco i suoi occhi anche quando so di aver passato una vita ad omettere. Ad aspettare, sì, che il passo più lungo lo facesse qualcun altro. E l'ascolto, perché l'attenzione per lei è sempre dovuta. È istintiva. Io credo nelle sue parole anche se sono figlie di un contesto che mi spaventa. Che mi costringe all'attenti. Con la schiena dritta e il volto tirato. Non per prepararmi allo scontro: non saprei battermi con lei. Ma per esser pronto a cogliere l'attimo. Quel momento di comunione che finirebbe per portarci vicini come un tempo. Stesse emozioni a collidere. Stesse motivazioni a spingerci in avanti. E io lo so che quel dono non l'abbiamo perso. Anche se la nostra non è di certo l'immagine della famiglia perfetta. Non un risveglio che sa vederci tutti e tre insieme. Non l'unione che supera la buona e la cattiva sorte. Magari insieme ci torniamo solo quando la sorte sa farsi cattiva e allora io lo so che, seppur tra uno schiaffo e l'altro, allungando una mano potrei trovare la sua. Gliela stringerei senza alcuna esitazione. Perché so com'è che ragiona e come le sue ragioni smuovano il mondo che la circonda. Ha il potere, Esmeralda, di ribaltare le cose.

    — Sto cercando di contribuire alla causa senza il rischio di perdere il lavoro.
    So che suona di merda. So che questo mi pone in una posizione in cui, più che un eroe, finisco per assomigliare ad un codardo, ma è proprio così che funzionano le cose. Così che va il mio mondo, almeno. E io so, o almeno, auspico nella sua comprensione. Perché altrimenti non saremmo qui. Non ci vedremmo e lo so che non è solo per Nico. Nostro figlio non dovrebbe essere la scusa per sostenerci anche al di fuori del concetto più semplice di coppia.

    — Cerco di aiutare qualche famiglia di Iron Garden come meglio posso. Evito loro interrogatori del cazzo e se mi viene bene, lascio scivolare qualcosa di contrabbando nelle loro tasche. Non perché non possano rimediarsele da soli quando sono fuori a rendersi utili per la società ma perché se devo essere il poliziotto non ho voglia di giocare la parte di quello cattivo. Non con loro, almeno. Cerco Nico con lo sguardo ma solo per continuare a tenerlo sott'occhio. E sorrido, quando mi rendo conto di come Emily stia giocando con lui nel medesimo modo in cui gioca con me: é un cane da assistenza psichiatrica. Abbiamo iniziato ad addestrarla già dalla prima overdose. Perché secondo i babbani tossicodipendenza e psichiatria vanno a braccetto e a volte ho davvero bisogno che sia lei e non la cocaina a spingermi giù dal letto la mattina.

    — ...e a quanto pare anche 1/4 di sangue veela potrebbe essere un problema al giorno d'oggi. Sospiro, ma giusto perché tante cose mi stancano. Perché non le capisco e se succede così, allora finisco per togliere il senso a tutto il resto.

    — Insomma mi passo una mano tra i capelli. — Buoni propositi e ansia a parte, vorrei poter aiutare senza aver il terrore che un giorno possano interessarsi tanto alla mia persona da aver la necessità di ricavare informazioni da me. Capisci? Insomma, io vorrei persino aiutarti per i motivi che ti hanno spinta qui. Io voglio essere utile sfruttando la mia posizione.



     
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    « Sto cercando di contribuire alla causa senza il rischio di perdere il lavoro. » Potrebbe ribattere in maniera davvero sarcastica, Esme, ma la verità è che Riley non è il problema, bensì solo una delle infinite estrinsecazioni dei prodotti che quel mondo sta creando. E allora, contrariamente a ciò che avrebbe fatto quando era più giovane, piuttosto che andargli contro, sputando sentenze sulle sue scelte, lo osserva con uno sguardo colmo di comprensione. Riley è padre, è un amico, il figlio di qualcuno. Ha delle responsabilità, e non può gettare tutto alle ortiche per questioni di principio. Così come non può farlo Esme. « Cerco di aiutare qualche famiglia di Iron Garden come meglio posso. Evito loro interrogatori del cazzo e se mi viene bene, lascio scivolare qualcosa di contrabbando nelle loro tasche. Non perché non possano rimediarsele da soli quando sono fuori a rendersi utili per la società ma perché se devo essere il poliziotto non ho voglia di giocare la parte di quello cattivo. Non con loro, almeno. » Riley tenta di fare la sua parte. Come può. Nel mondo in cui gli sembra più giusto. Non può dire di essere completamente d'accordo con la sua linea, ma lo comprende, e accetta che quello è tutto ciò che può fare nella sua condizione. Per il momento, forse, per quelle persone, è una gentilezza che fare molto, ed è più di quanto molti altri sono disposti a fare. Se conosco bene alcuni di loro, però, con l'elemosina ci faranno poco. « Buoni propositi e ansia a parte, vorrei poter aiutare senza aver il terrore che un giorno possano interessarsi tanto alla mia persona da aver la necessità di ricavare informazioni da me. Capisci? Insomma, io vorrei persino aiutarti per i motivi che ti hanno spinta qui. Io voglio essere utile sfruttando la mia posizione. » Esme posa una mano sopra la sua inclinando la testa di lato, sollevando un angolo della bocca. Avrebbe tante cose da dirgli, ma a dirla tutta forse non è il momento. Forse per certe cose è meglio andare coi piedi di piombo. « Va beh dai, ne riparliamo un'altra volta. Mangiamo. Daje Nico, a tavola - suuuuuu! » Un normale pranzo in famiglia. Forse in fondo se lo meritavano. Così, semplice, senza complicazioni.

    [Continua da qui]
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    Ma le complicazioni sarebbero arrivare presto. A differenza dell'ultima volta che ha visitato la dimora di Riley, questa volta indossa vestiti scuri. La pistola nella fondina ben in vista sotto la giacca di pelle scura, e una coda alta da cui spuntano alcune ciocche ribelli. Priva di trucco, ha uno sguardo vigile e stanco. Gli affari di Esme si svolgono durante le ore piccole, mentre il suo cucciolo dorme beatamente tra le coperte così come gran parte della Londra per bene. La macchina con lo scagnozzo si ferma di fronte alla casa con uno sguardo estremamente vigile. Potranno essere si e no le tre e qualcosa del mattino, ma una volta concluso il suo giro, Esme non ha potuto fare a meno di fare una deviazione. I messaggi di Riley non l'hanno lasciata tranquilla, né l'ennesimo detto non detto le ha permesso di tornarsene a casa sua come se niente fosse. E così eccola lì, di fronte alla porta. Lo scagnozzo che le fa da guardia del corpo fermo in piedi di fronte alla macchina mentre suona il campanello con una certa insistenza. Tira fuori il cellulare e schiaccia il tasto della chiamata in attesa che il compagno risponda. « Hai lasciato la luce in bagno accesa. » Asserisce di colpo quando sente il respiro dell'altro dall'altra parte della cornetta. « Sei di sopra o hai dei ladri in casa? » Chiede quindi osservando le finestre al piano di sopra con fare circospetto. « Apri su - fa freddo qui fuori. » E dicendo ciò riattacca restando in attesa.


     
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    Non ho nemmeno avuto la possibilità di iniziare a sognare. Non so nemmeno quanto effettivamente io abbia dormito. So solo che è stato un attimo quello che ha visto l'oscurità e poi ha sentito il campanello. Ho il cuore che palpita dal nervoso per un incontro tanto inaspettato. Devo riprendermi un attimo da quello che ho creduto potesse essere un momento per abbandonarmi davvero a qualcosa. Dato che non dormo mai. Dato che gli occhi sono solito tenerli spalancati sino al sorgere di una nuova alba. Emily abbaia ai piedi del letto, ma so che lo fa perché sente il battito del mio cuore accelerare e non perché fuori dalla porta c'è qualcuno.

    — Buona Ems, va tutto bene. Frastornato. Spingo una mano giù dal letto. Le cerco il capo con due dita. — Seduta! Mi spinge la mano con la testa. Non la ricerca con il muso. Non la lecca e io so che questo spostamento è dato dal comando appena eseguito. — B-Brava, sì, bravissima. Biascico con gli occhi ancora chiusi. Scosto la mano da lei per portarla ai miei occhi. Me li massaggio velocemente. Non faccio però in tempo a rispondere che sto per arrivare che subito mi squilla il cellulare. Rispondo senza nemmeno vedere chi è che mi sta chiamando. — Pronto?! Mi umetto le labbra, cerco di darmi un po' di compostenza. — Se fossero entrati i ladri avrebbero fatto meno rumore...sei tu che suon - ah ecco, sto arrivando, sto arrivando. Sorrido mentre le rispondo ma dubito che questo possa esser percepito dall'altra parte del telefono.
    Non le attacco nemmeno quando le vado ad aprire. Spengo la luce al bagno e percorro l'intero corridoio che mi separa dall'ingresso tenendo il cellulare all'orecchio. Non sto parlando, ma mi esce spontaneo far così.
    Quando le apro la porta resto fermo sull'uscio come un idiota. Il pigiama che se ne sta fin troppo morbido sulle gambe. I capelli non del tutto a posto.

    — Entra anche lui per un caffè o se ne resta a fare la decorazione da giardino? Capisco quanto possa essere utile aver qualcuno che si prende cura di lei e Nico, ma devo ammettere che non mi piace il fatto che sia qualcun altro ad occuparsi di questa incombenza. Anche se pagato e nel rispetto di un rapporto di lavoro più che formale. — Secondo me c'entriamo tutti e tre nel lettone. Mastico allontanandomi dalla porta per farla entrare. I piedi mi conducono per conto loro verso la cucina. — Con chi è Nico questa sera? Le chiedo come prima cosa, che alla fine è quella più importante di tutte.



     
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    « Entra anche lui per un caffè o se ne resta a fare la decorazione da giardino? » Esme si volta di colpo a guardare Michele; è sempre stato uno degli uomini più fidati di suo padre. Preso dalla strada quando aveva appena quindici anni è sempre rimasto fedele alla famiglia anche quando il capo famiglia era finito in carcere. Michele l'ha sempre seguita ovunque, sin da quando era poco più che un'adolescente. Ammette che ci sono stati momenti in cui ha pensato ci potesse essere qualcosa di più tra loro, ma poi, mentre lei era in Inghilterra, si era sposato, ed ora, Esmeralda lo trattava esattamente come suo padre avrebbe voluto: uno che pago abbastanza da tenere la bocca chiusa e tirare fuori la pistola quando serve. Michele era poco più piccolo di lei; se lo ricorda come un gran sbrufoncello. Ma da quando aveva messo su famiglia, le cose erano cambiate, e lui si era trasformato nell'uomo che Proietti Senior avrebbe sempre voluto che diventasse.
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    « Non fare il bambinone. » Asserisce alzando gli occhi al cielo mentre penetra all'interno dell'ampio salotto, dirigendosi verso la cucina a vista. « Secondo me c'entriamo tutti e tre nel lettone. Con chi è Nico questa sera? » Esme fa come a casa sua; cerca un bicchiere nella credenza lo riempie con un po' d'acqua direttamente dal rubinetto per poi girarsi verso l'Auror, squadrandolo dalla testa ai piedi. Nella sua tenuta da notte ha un aspetto decisamente meno minaccioso, quasi vulnerabile. Lo osserva con attenzione alla ricerca di qualunque segno che possa farle pensare che si è fatto del male, e in cerca di qualunque indizio che possa darle più contesto rispetto ai messaggi che le ha mandato quella sera. « Sta con qualcuno che a differenza dei suoi genitori non se ne va a spasso a fare cazzate nella notte. » E' alquanto caustica mentre si porta il bicchiere alle labbra incollando la schiena contro il frigo inclinando la testa di lato. Tira fuori il telefono dalla tasca del giubbotto di pelle e apre la sua chat scorrendo i pochi messaggi che si sono scambiati quella sera. « Ok, partiamo dal principio - e se mi dici cazzate Riley, giuro che ti spacco la testa. » Manesca, come solo la Esme di un tempo sapeva esserlo. « Chi è Kai Parker? » E uno. « Cosa c'entra con questo Pulse di cui tutti parlano? » Una storia che Esme ha collegato solo a metà. « E soprattutto che cosa doveva sistemare il tuo obliviatore? Se proprio vuoi darmi un po' di contesto, potresti dirmi anche chi è. » Pausa. Lo osserva con attenzione prima di far scivolare il cellulare sul bancone, alquanto innervosita. « Fai il girato di culo per le - decorazioni da giardino - dopo che te ne esci con tutte queste cose senza spiegarmi un cazzo. » La verità era che Esme era preoccupata, ma non era brava a esternarlo; nella vita di tutti i giorni era una problem solver, non certo una da carezzine e rassicurazioni, e in quel momento fu più evidente che mai.


     
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    Non ho mai avuto problemi nel vederla muoversi in casa mia in questo modo. Non mi sono mai sentito urtato dalla sua presenza anzi, la situazione è sempre stata diversa da come lei potrebbe immaginarla. A me averla qui fa bene. In un certo senso mi risana. Sa mettermi al mio posto. Per questo quando risponde a tono sorrido. Perché è scornandomi con lei che mi è piaciuta. Perché è così che in un certo senso andiamo avanti e allora ci conosciamo meglio, ci capiamo, meglio.
    E non ho problemi nell'immaginare Michele in casa mia: lo conosco abbastanza da dirmi che se lei si fida, allora va bene che a fidarmi sia anche io. Io che me lo immagino a testimoniare per lei se ci fossimo sposati. Sempre lì, al suo fianco e magari non solo perché suo padre sa come pagarlo - e profumatamente, ovviamente -

    — Cercavo solo di sembrare simpatico. Ho fallito, vé? Abbozzo un sorriso. Una smorfia che tira su gli occhi e tutte le rughe a seguito. Non mi dispiace nemmeno farmi vedere per ciò che sono dinanzi ai suoi occhi. Penso che a modo suo Esmeralda conosca buona parte della mia persona. Lo crede persino Emily, che le gira attorno senza nemmeno fiatare. Né riconosce l'odore, la stabilità che sa portare in questo posto.

    — Comunque Qualcuno non è un'indicazione precisa. Spero che questo Qualcuno sia quantomeno come Michele. Guardo la porta, vi faccio un cenno col capo come se potessi salutarlo da lì. Ovviamente nel pronunciare il suo nome sbaglio l'accento, ma c'è una parte stupida ed infantile del mio orgoglio che ne va quasi fiera. Mi avvicino al piano da lavoro e prendo un bicchiere anche per me, anche se di bere acqua non mi va e non potendo nemmeno attaccarmi al vino, finisco per versarmi un po' di succo di frutta. Ce l'ho aperto in frigo da che Nico è passato a casa mia: ACE, perché alla fine le carote piacciono anche a me.

    — Merlino santissimo e puro, se avessi avuto l'intenzione di dirti cazzate magari avrei evitato di scriverti. Batto con una mano sul fianco. Mi pulisco il palmo come se dovessi cacciar via qualcosa. Magari il fastidio del non avere un minimo di fiducia. — Kai Parker è quello che gestisce il Pulse. Quello, sì, perché è così che erroneamente e per divertimento tendo a classificare le persone. Bastano i concetti che vi vorticano intorno. — Conosci il Pulse, giusto? Il locale in cui lavora gente dal ghetto. Bene. Ovviamente, come ogni luogo gestito dagli auror e affini non gode di una buona fama. Le dicerie sono quel che sono e a quanto pare questa sera Mia Yagami deve essersi rotta il cazzo di qualcosa e boom simulo l'onomatopea di un'esplosione, ma non sono effettivamente divertito dalla cosa. La mia faccia resta seria.— Ha attaccato il nostro simpaticone mettendolo KO. Trovandomi fortuitamente in zona e assistendo a parte della colluttazione non ho potuto che disquisire con Mia, Raiden Yagami e Joshua Çevik sul da farsi. Prendo un sorso di Ace, mi lecco le labbra. — Ah, Joshua Çevik è l'obliviatore di cui ti parlavo. Non posso dirti se è bravo o meno, non ricordo com'è che lavora su di me. Scherzo, dio, scherzo eh. — Ma so che con questo lavoruccio in parte illegale ci campa un ragazzino intelligentissimo. Ma non sono qui per promuovere Joshua. — Ad ogni modo, l'obliviatore era stato chiamato in causa col fine di obliviare, appunto, Kai se si fosse risvegliato o chiunque sarebbe potuto venire a rompere i coglioni. Per ora sembra che la situazione sia sotto controllo certo, sto ancora aspettando un messaggio da parte di Raiden che mi dica dov'è che lui e la sua fidanzatina hanno portato Parker - e parlano di un posto sicuro, eh - ma insomma, è tutto ok. Le faccio cenno di prendere uno degli sgabelli e sedersi. Perché adesso è arrivato il momento in cui entra in gioco lei. Il motivo per il quale ho deciso di messaggiarla. — Si è pensato di assumere le sembianza di Kai con la Polisucco e di prendere per un pochino il suo posto. Ovviamente non per portare avanti i suoi cazzo di giochini malati. Per ora a poter far questa cosa siamo Josh ed io, a quanto pare. Ma vorrei evitare di mettere in mezzo l'obliviatore. Per questo ti ho contattata. Perché sono certo che di un'opportunità del genere te ne faresti molto, molto di più. Cerco i suoi occhi, voglio che creda nelle mie parole. Che si affidi a me così come io so affidarmi ciecamente alle sue capacità. Io mi fido di lei, mi sono sempre fidato di lei. — Immagina cosa potrebbe succedere se quel posto di merda finisse in mano tua.





     
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    « Riley, rilassati. Nico sta bene. » Chiude così la faccenda, Esme. D'altronde lo conosce sufficientemente da sapere che quello è il suo modo di dimostrare affetto e premura nei confronti delle persone che ama. Posa una mano sul braccio di lui cercando di lasciargli intendere che non ha voglia di discutere su quella faccenda. In fin dei conti Nicholas passa la maggior parte del tempo con la madre, e la gestione della loro vita non ha mai dato alcun segno di preoccupazione al padre. Esme è sempre stata una buona madre, ma esserlo non l'ha mai definita al punto da mettere in stand by la propria vita. Aveva trovato il suo equilibrio, e questo significava anche che aveva trovato persone di fiducia che potessero badare al figlio mentre non era al suo fianco. Cosa che comunque non succederà per sempre. Deve imparare a conciliare il tempo passato coi genitori a momenti in cui dovrà stare in compagnia di altri. E su questo, Esme non transigeva. Così passa oltre, e gli dà modo di spiegargli quanto accaduto quella notte. « Kai Parker è quello che gestisce il Pulse. Conosci il Pulse, giusto? Il locale in cui lavora gente dal ghetto. Bene. Ovviamente, come ogni luogo gestito dagli auror e affini non gode di una buona fama. Le dicerie sono quel che sono e a quanto pare questa sera Mia Yagami deve essersi rotta il cazzo di qualcosa e boom » Esme annuisce un po' incerta. « Ne ho sentito parlare. » Del Pulse. Di questa tipa invece no. Ma a questo punto devo pensare che si tratta di una di loro, oppure quanto meno di una creatura. « Ha attaccato il nostro simpaticone mettendolo KO. Trovandomi fortuitamente in zona e assistendo a parte della colluttazione non ho potuto che disquisire con Mia, Raiden Yagami e Joshua Çevik sul da farsi. Ah, Joshua Çevik è l'obliviatore di cui ti parlavo. Non posso dirti se è bravo o meno, non ricordo com'è che lavora su di me. » Man mano che Riley parla, Esme tenta di annotarsi mentalmente tutti i nomi che le fa. Mia e Raiden Yagami. Joshua Çevik. Non conosce la tipa, né l'obliviatore, ma il volto del giovane lycan è tra quelli dei ricercati - allora anche lei potrebbe essere una lycan? Oppure è solo legata a lui? Sono tutte persone sul cui conto dovrà informarsi con chi di dovere, gente di cui si fida a cui Riley non ha al momento accesso nella sua posizione. « Quindi ti affidi a gente di cui non conosci il potenziale. » Asserisce in risposta a mo di provocazione alla battuta di lui. « Buono a sapersi. » « Ma so che con questo lavoruccio in parte illegale ci campa un ragazzino intelligentissimo. » La mora inclina la testa di lato un po' perplessa. Forse Riley ha una passione per i trovatelli e i cani di strada, ma da che mondo è mondo questo non basta per dare fiducia a nessuno. Decide tuttavia di mordersi la lingua, e di lasciarlo finire. « Ad ogni modo, l'obliviatore era stato chiamato in causa col fine di obliviare, appunto, Kai se si fosse risvegliato o chiunque sarebbe potuto venire a rompere i coglioni. Per ora sembra che la situazione sia sotto controllo certo, sto ancora aspettando un messaggio da parte di Raiden che mi dica dov'è che lui e la sua fidanzatina hanno portato Parker - e parlano di un posto sicuro, eh - ma insomma, è tutto ok. Si è pensato di assumere le sembianza di Kai con la Polisucco e di prendere per un pochino il suo posto. Ovviamente non per portare avanti i suoi cazzo di giochini malati. Per ora a poter far questa cosa siamo Josh ed io, a quanto pare. Ma vorrei evitare di mettere in mezzo l'obliviatore. Per questo ti ho contattata. Perché sono certo che di un'opportunità del genere te ne faresti molto, molto di più. » Ascoltò le parole dell'Auror, osservandolo con un'espressione leggermente stupita. Quindi paghi il tuo obliviatore per non fargli fare nulla? Una domanda che decise di tenersi per sé al momento. In verità c'erano sin troppe criticità in quel racconto, e vorrei veramente capire chi è questa deficiente che decide di pestare un Auror quando non è palesemente nella condizione di farlo. Da quello che Riley diceva, Mia e Raiden Yagami erano una coppia - quindi questa ha il ragazzo ricercato, e si mette a pestare gli Auror. No ma perfetto. La Rete sta messa proprio benissimo. « Immagina cosa potrebbe succedere se quel posto di merda finisse in mano tua. » Ma fu quell'ultima frase che la stupì. Rimase per qualche istante in silenzio, osservandolo con una vena di stupore e sincero smarrimento. « Vuoi che ci pensi io al Pulse? » Glielo stava chiedendo perché non era certa stesse dicendo sul serio o fosse uno dei suoi scherzi. Esme conosceva ben poco la realtà del locale. Nella Rete si parlava come di un posto che doveva essere smantellato; tutt'al più era un ottimo raccordo per arrivare ai piani più alti. « Riley - io lo so che tu hai poca dimestichezza con queste cose perché stai dall'altra parte, ma devi iniziare a metterti in testa che se vuoi camminare con lo zoppo, devi imparare a zoppicare. Capisci? » Gli fa quell'ultima domanda in italiano, ben consapevole che avrebbe capito cosa quella parola significasse.
    « Chiunque sia questo Kai Parker, è sicuramente solo la punta dell'iceberg, altrimenti non sareste stati così fortunati - tu, l'obliviatore e quei ragazzetti. » Sospirò e lo osservò con estrema attenzione. « Posti del genere non sopravvivono senza il benestare dello stato - non di qualche Auror, dello Stato! Specialmente quando prelevano gente da un posto apparentemente sigillato sotto il naso di tutti. » Pausa. « E' giusto entrarci, ma devi fare molta attenzione di chi ti fidi con questa cosa. E' una cazzata fidarsi di uno che svende i suoi talenti al miglior offerente in questi casi, specialmente quando stavi in compagnia di un ricercato. Se tante volte quello lì avesse deciso che gli girava storto, avrebbe chiamato lui stesso gli Auror per incassare la taglia. » Voleva farlo riflettere, non certo rimproverarlo. « Dubito che gli dai più soldi di quanto potrebbe dargli il Ministero se consegnasse un terrorista. » Soffiò pesantemente scuotendo la testa. « Ci vorrebbe un obliviatore per obliviare l'obliviatore a 'sto punto. » Una riflessione che fece a voce alta, alzando gli occhi al cielo, sorridendo appena con una nota amara di fronte al proprio gioco di parole. Era più un cosa che disse tra se e se, non curante del fatto che Riley potesse sentirla o meno. « Va beh - il ragazzo è ancora a piede libero e speriamo resti così. Tu però devì contà fino a dieci prima de scrive certe cose sulle chat. Chissà chi ci controlla! E devi pure riflettere bene su chi chiami quando. » A quel punto però si ammorbidì rilassando appena le spalle, ruotando la testa a destra e a sinistra. « Comunque, cazzate a parte, io ti posso aiutare col Pulse, ma tu devi stare attento su come ti muovi. E devi anche stare attento ai tuoi scagnozzi. » E in effetti, a proposito di scagnozzi, sollevò il mento e lo osservò con attenzione. « Non ti trattengo oltre. Domani lavori e io ho ancora una cosa da fare. Però - vorrei incontrarlo. » Perché tu non sei bravo a fiutare la persone. Se un pezzo di pane e ti fidi troppo. « Così, per farci quattro chiacchiere. Da soli. » Pausa. « Metti l'incontro sul libro paga, visto che fa tutto quello che gli dici. »


     
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