I don't wanna act like there's tomorrow

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  1. Chrysalide
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    Giusto, è ovvio: Daisy lui lo conosce. Gli ho dato modo di conoscerlo così come l'ho lasciato in pasto a mio padre. E più continuo a pensarci più mi rendo conto di non riuscire a darmi pace. Che non esiste momento per me in cui mi sarà possibile tornare felice. Stabile o almeno con il cuore in pace. Perché la pace, appunto, per me non esiste. Non so nemmeno che aspetto abbia, che tipo di sensazione sia. So solo che è una parola che è parte del nostro dizionario. Un'accozzaglia di poche lettere che messe insieme dovrebbero mandare un messaggio. Ma qui, beh, che se ne dica, non arriva proprio niente. Ma sorrido. Soprattutto quando apro la finestra e seppur mi sporgo fuori per fumare un occhio lo tengo comunque nella casa. Ma questo perché non so parlare con qualcuno senza guardarlo negli occhi. E mi è inevitabile, ecco, vederlo assecondare le mie proposte, quasi come se questa giornata fosse in un qualche modo votata al soddisfacimento dei miei bisogni. Lo guardo con la coda dell'occhio, cerco di non sembrare troppo invadente.

    — No, non lo sono. Lo dico semplicemente. Cercando di essere quanto più raziocinante sulla questione. Perché di piangersi addosso non c'è più tempo. Non è utile nemmeno a sfogare la voragine che sento in petto. Quella, forse, potrò richiuderla solo strappando via ciò che la dilata così tanto. Solo ignorando del tutto il problema, fingendo che niente di tutto questo sia mai esistito.

    — Ma non so come uscirne... sto chiedendo aiuto. Magari non direttamente a lui, quanto al cosmo, al caos, a tutte quelle entità benevole che dovrebbero convogliare in un buon auspicio. Che ho bisogno di fortuna, solo per una volta, solo per qualcosa che per una volta riguarda me soltanto. Che se non posso cambiare il destino delle cose. Se non posso stravolgere gli eventi, quantomeno voglio finire per stravolgere il mio modo di vederli. Ne ho tremendamente bisogno, cazzo.

    — Le cose sarebbero diverse se mio padre non lo avesse... La sigaretta pende leggera tra le labbra. Il fumo, ora che continuo a consumarla solo respirando, si perde piano nella stanza per poi gettarsi oltre la finestra. Non ce la faccio a finire la frase. Immagino che certe cose arrivino comunque. Anche se non sempre in maniera diretta. E non so se posso spingermi oltre o almeno se so farlo. Perché ora mi sento inerme, distrutto da questa serata fallimentare.

    — Mi parli come se non mi sentissi morire ogni cazzo di giorno. Prendo un'altra boccata di fumo e con la mano libera mi faccio vicino alla sua erezione. So che non sono in vena per del sesso, ma questo non significa che io non voglia ricambiare tutti i cazzo di favori che mi sta facendo. Lo guardo negli occhi mentre lo sego, anche quando avvampo perché conscio di essere fuori posto. — Averti così, dinanzi a me, è come leccarti il gin via dalla pelle... mi lascio sfuggire un ansimo, anche quando so che dovrei essere serio, serissimo. — Si dice che alla violenza si risponde con altra violenza, secondo te è vero? Accelero il movimento della mano. — Per questo ci siamo convinti di voler concedere il nostro corpo a tutti: perché non volevamo fosse solo suo. Digrigno i denti, reprimo altri luccichii nei miei occhi. La mano accelera il suo moto. Il pollice ne accarezza l'estremità più evidente.
    — ...allora che cazzo sono?




     
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