The old razzle dazzle

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    Era lì, accanto alla statua che commemorava le vittime del lockdown, al centro del parco, che Derek aveva disposto il suo piccolo banchetto assieme ad alcuni compagni. Tornare alla normalità era stato semplice per lui, forse anche troppo. Dell'arrivo del Messia si parlava come di un evento epocale, capace di ribaltare le esistenze dei singoli finanche a renderle irriconoscibili; ed era stato così.. per alcuni. Per gli Hamilton, invece, era stato semplicemente l'ennesimo carro del vincitore su cui salire. Ci credeva, Derek, a quella storia di destini e segni divini? Gli importava? Probabilmente no, nessuna delle due cose. Ma non aveva alcuna rilevanza nel momento in cui gli era stata offerta su un piatto d'argento la possibilità di tornare a vivere una vita pressoché normale. Dopo tutte le peripezie, le guerre, gli sconvolgimenti e quant'altro - pensare che ci fosse un'altra via, che per alcuni esistesse ancora la possibilità di una quotidianità priva di dubbi e angosce era stata una boccata d'aria fresca. All'indomani dell'eclissi, Derek era arrivato alle parole dei suoi genitori; forse avevano sempre avuto ragione: ci sarebbe stata un'ingiustizia ogni giorno, ad ogni angolo, rettificarne una ne avrebbe solo creata un'altra, e se osannare un morto risorto poteva garantirgli un po' di pace e tranquillità allora così doveva essere. "Ci sono tanti modi per aiutare quelle povere anime" - erano state queste le parole di sua madre, proferite a cena, mentre con il naso arricciato in una smorfia di pietà tagliava a cubetti piccoli il filetto al pepe verde. Derek ci aveva riflettuto bene su quelle parole - sui modi per aiutare le povere anime chiuse nel ghetto di Iron Garden. Persone che conosceva, con cui aveva frequentato Hogwarts, e che adesso erano costrette ad una vita miserabile. Gli dispiaceva, certamente, in una qualche misura. Ma forse a dispiacergli era più l'incomodo che quella miseria poneva a chi al contrario, come lui, viveva beatamente nella bambagia. Un sentimento che nemmeno lui stesso riusciva totalmente ad afferrare o spiegarsi, ma che gli era familiare. Gli ricordava la sua infanzia, trascorsa tra un resort e un altro di proprietà della sua famiglia; amava quelle vacanze, vedere posti nuovi ed esotici senza mai rinunciare alla sua vita. Nel mondo dorato di quegli hotel di lusso era possibile trovarsi ovunque senza però lasciare mai casa propria. Posti come l'Egitto e l'India erano bellissimi.. finché non uscivi dall'albergo o ti allontanavi dalle principali attrazioni. "Non ti fermare" - lo intimava il padre, quando il bimbo sembrava contemplare per qualche secondo di troppo le attenzioni che i venditori ambulanti, i mendicanti o la gente di strada dedicavano lui. Una forma di disagio che non si sapeva spiegare, quella che provava di fronte alle scene di miseria e povertà - un sentimento negativo che lo obbligava a distogliere lo sguardo, a cercare qualcosa per distrarsi, per pacificare un conflitto interiore che non riusciva a comprendere. Ma col tempo era diventato facile, ignorare - non fermarsi.
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    « Ehi! Hai cinque minuti per parlare del nostro progetto? Stiamo cercando di raccogliere fon- » « No scusa ho fretta, ho lezione. » Incurvò gli angoli delle labbra in un sorrisino cordiale, annuendo piano mentre guardava il ragazzo affrettarsi verso chissà dove. Lezione, forse, ma molto più probabilmente era solo una cazzata per scrollarselo di dosso. Ignorare la situazione del mondo magico era diventata la normalità al campus; semplicemente, ciascuno aveva un modo unico di farlo. Derek, ad esempio, lo faceva nella parte dell'attivista. Da quel banchetto nel rigoglioso parco della liberazione, al centro della vita movimentata e vivace del campus, Derek portava avanti la propria campagna di aiuti ad Iron Garden. Non per abolirlo, sia chiaro, ma per dare una mano a chi ci viveva. Perché era proprio di quello che avevano bisogno: di un aiuto dall'esterno, di qualcuno che tendesse loro la mano. Forse a Derek non importava nulla nemmeno di quello. Forse voleva solo prepararsi il terreno per farsi eleggere Senior l'anno successivo. Ma se pure fosse stato, cosa c'era di male? Se il fine era nobile, tecnicamente le intenzioni non dovevano fare alcuna differenza. Così non funziona, sembro quello che vende gli accendini dietro i dormitori. Prese un sospiro, guardandosi intorno alla ricerca della prossima vittima finché non ne individuò una adatta. Una ragazza mora, che aveva incrociato di tanto in tanto nel campus, seduta su una panchina intenta a leggere. Mi manderà a cagare? Probabile. Con la cartellina in mano e stampato sulle labbra il suo miglior sorriso, Derek colmò la distanza a grandi passi, accovacciandosi di fronte alla mora per entrare nel suo raggio visivo e allargare il sorriso a mo' di saluto. « Ehilà. Ti rompo le palle, vero? » Ridacchiò, alzando appena le mani. « Giuro che se mi mandi al diavolo non mi offendo. Anzi, per farmi perdonare l'interruzione ti eviterò tutto il discorsone. Ti chiedo solo un consiglio. » Sospirò, voltandosi appena in direzione del banchetto, che indicò con un cenno della mano. « Lo vedi quello? Ecco, praticamente io e il mio amico Dave stiamo raccogliendo un po' di fondi per Iron Garden, firme per farci volontariato e così via. Solo che non stiamo andando chissà quanto bene. Guarda, ti faccio vedere. » Prese l'occasione per spostarsi, mettendosi a sedere accanto a lei sulla panchina e aprendo la cartellina in modo da mostrarle le firme raccolte. Decisamente poche. « Cioè.. triste, no? Guarda, questo secondo me ci ha dato pure un nome e un recapito finto. Te lo giuro, quando fai queste robe, tre quarti delle adesioni sono sempre da buttare. » Rise leggero, scorrendo con l'indice tra le poche righe prima di riportare lo sguardo in quello della ragazza. « Io onestamente penso che il problema sia che siamo due ragazzi. Cioè. Guardaci. Uno più brutto dell'altro. Forse sembriamo vagamente i Bravi de I Promessi Sposi - hai presente? Insomma, due da cui non ti va troppo di essere fermato per strada. » Si strinse nelle spalle, in un movimento di ironica rassegnazione. « Feedback? Consigli? Magari un outfit diverso? » Ridacchiò, scuotendo leggermente il capo. « Sono aperto a critiche costruttive. »


     
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    C'era qualcosa di fortemente anomalo in quel ritorno alla normalità. Mi sembrava che quella pace che sembrava essersi diffusa intorno a me non fosse altro che apparente o temporanea e stavo sempre sul chi va là, quasi in attesa del prossimo disastro. Erano anni che le cose andavano a rotoli, una crisi dopo l'altra. Gli anni di Hogwarts non erano mai stati completamente spensierati e leggeri: c'era sempre stata un'ombra costante a ingrigire ogni giorno e forse quella era diventata la normalità. Ma con l'eclissi, evento già di per sé straordinario, sembrava essere iniziata non una ricostruzione della normalità, quanto un capitolo del tutto nuovo. Era solo difficile definirne i contorni.
    Forse era proprio quella vaghezza a consentire a ognuno di vederci ciò che più desiderava, una tregua o la pace assoluta, una speranza o un'opportunità, un tempo infinito o solo un attimo. Io ci vedevo il momento di raccogliere i cocci, che del resto era proprio quello che stavo facendo. I cocci della disperazione altrui ma anche quelli del mio ego, andato in pezzi sotto il peso dell'impotenza che avevo sentito per tutto il tempo in cui non avevo potuto far altro che stare a guardare. Forse quella sindrome dell'eroe che mi perseguitava da sempre era dopo tutto la mia condanna, croce e delizia con cui ancora non ero riuscita a scendere a patti.
    Non era forse proprio per quel bisogno viscerale di aiutare gli altri che avevo iniziato il Corso Auror in Accademia? Sogni di gloria e avventatezza erano sempre stati il mio mix esplosivo, eppure la vita mi aveva sbattuto in faccia che quando si è troppo piccoli e inesperti c'è poco che si possa fare. Ora potevo farmi forza solo di un diploma e un minimo di consapevolezza in più, ma chissà che non mi ritrovassi ancora una volta punto e a capo. Quello che sapevo per certo era che avevo intenzione di fare di tutto perché non accadesse, anche a costo di farmi molto male. Perlopiù metaforicamente, s'intende.
    "Il tuo caffé, Elle." La voce di Cassie mi risvegliò dai miei pensieri e in una frazione di secondo le mie orecchie si riempirono nuovamente dei rumori e del chiacchiericcio della caffetteria. Posai lo sguardo sulla ragazza, che mi tendeva il bicchiere da asporto pieno di caffé con un sorriso che traballava dietro un'ombra di dubbio.
    "Oh, grazie. Scusami, ero sovrappensiero. Ecco a te." dissi, posando sul banco le monete per pagare il caffé. "Buona giornata." le sorrisi, prima di prendere il bicchierone e uscire dalla caffetteria. Una volta all'esterno mi resi conto di avere perso totalmente la concezione del tempo. Non avevo atteso tanto lì dentro, eppure mi sembrava di esserci stata per un eternità. Camminai attraverso il campus, incrociando volti a volte sperduti come il mio, a volte sicuri, certi, determinati, come se sapessero perfettamente cosa avrebbero fatto da lì a 50 anni, come se avessero pianificato in anticipo ogni mossa. Chissà se alla fine era solo questione di attitudine.
    In un misto di rassegnazione e disorientamento, decisi di trovare una panchina qualunque su cui sedermi e ripassare in pace gli argomenti dell'ultima lezione che avevo seguito: c'erano stati alcuni passaggi che avevo decisamente bisogno di chiarirmi, prima di rischiare figuracce degne di memoria eterna. Ne trovai finalmente una, non troppo lontana dalla statua posta al centro del Parco della Liberazione: certo, un memento mori di cui non avevo bisogno, ma che avevo imparato a ignorare, tutto sommato. Come quando si è assuefatti da un profumo.
    Andai a sedermi, aprii il libro e iniziai a leggerne pagina 117, capitolo II. Lo sguardo mi si perdeva continuamente tra le righe, finché un'ombra non oscurò leggermente la pagina bianca che stavo guardando. Sollevai lo sguardo, interrogativa, per poi abbassarlo di nuovo - seppur non completamente - per seguire i movimenti del ragazzo che, in quel momento, si era accovacciato davanti a me con un sorrisone che non sembrava promettere niente di buono. Insomma, non molto carinamente pensai che volesse vendermi qualcosa, come quelli che ogni tanto volevano convincerti a entrare in qualche confraternita o club. No, grazie.
    "Ehilà. Ti rompo le palle, vero?" Se non altro, dimostrò una sorprendente perspicacia. Abbozzai un sorriso, senza riuscire a negare quella che doveva essere proprio un'evidenza. Non feci però a tempo a pronunciare nemmeno una parola che lui era già partito in quarta, asserendo di volermi solo chiedere un consiglio. Molto sospetto.
    "Uao, come sono fortunata." mi scappò a mezza voce, ancora con un ghignetto divertito in volto. Certo, forse evitare il "discorsone" a cui faceva cenno era un bene, ma ero davvero la persona giusta per dare consigli? Forse sì, effettivamente. Ero solo una frana nel seguirli, ma non nel darli.
    "Beh, ormai è fatta, quindi..." chiusi il libro con un tonfo "...spara. Non prometto consigli infallibili." E chi avrebbe potuto? Iniziai ad ascoltare il suo discorso, dando anche un'occhiata al desolato foglio di raccolta firme che mi mostrò dopo essersi spavaldamente seduto accanto a me. Mi chinai leggermente con il capo per leggere il nome fantasioso che qualcuno aveva deciso di dare nel tentativo di fare uno scherzo non troppo originale.
    "Lo spero. Se i suoi genitori l'hanno chiamato davvero Myd Addy probabilmente lo odiano." Oppure si trattava di un senso dell'umorismo decisamente poco evoluto. Comunque fosse, la situazione era effettivamente disperata. Il ragazzo la buttò sul fatto che lui e tale Dave fossero due ragazzi, ma sembrava tanto un discorso di chi sotto sotto voleva semplicemente lusingarmi per farmi entrare nel giro a sostenere la causa. Che, a pensarci bene, era nobile.
    "Mh, non credo che il problema siate voi." Mi alzai, facendo qualche passo in direzione del banchetto, per osservarlo meglio. Era spoglio, senza troppe pretese: decisamente uno non ci si sarebbe fermato di sua spontanea volontà. Ma ero sicura che non fossero pochi gli studenti che avrebbero sostenuto un'iniziativa in favore della gente di Iron Garden. Ci voleva qualcosa di nuovo, forse addirittura di insolito.
    "Insomma, secondo me attirate poco l'attenzione. Sembrate solo gli ennesimi sostenitori di cause perse." Premio tatto 2024 goes to... "Senza offesa." Quello che volevo dire era che nessuno si sarebbe mai avvicinato perché temeva solo di perdere tempo. Nemmeno io avrei mai parlato con lui, se non fosse stato per sua stessa iniziativa.
    "Perché non organizzate qualcosa che dia qualcosa alla gente? Non so, un gadget, un... buono per la caffetteria? E per riceverlo basta solo una firma. Voilà." Sembrava quasi un'idea interessante, se non ci si pensava troppo sopra.
    "Guarda, potrei persino aiutarti. Quello che fate è una cosa ammirevole, davvero." conclusi, tornando più seria. Che forse mi fosse arrivata tra le mani un'occasione per fare qualcosa di concreto, anche se nel mio piccolo?
     
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1 replies since 29/1/2024, 00:12   58 views
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