maybe I'm just blowing all this shit up in my head

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    Assorta nei propri pensieri, Lola stava sciacquando l’ennesimo bicchiere quando un pesante rumore di passi, accompagnato da risate maschili, rozze e incontrollate, la spinse a sollevare istintivamente lo sguardo in direzione del corridoio poco illuminato. Con qualche istante di ritardo, il capo ed i suoi ospiti entrarono nel suo campo visivo, accompagnati da un intenso odore di alcol e sigari cubani. Erano passate ormai diverse ore da quando si erano alzati dal tavolo del poker e, dopo aver congedato Sol, si era ritirati in qualche stanza privata insieme alle accompagnatrici che erano state espressamente richieste per addolcire la serata – tutte ragazzine minorenni o poco più, che Lola aveva intravisto in diverse occasioni. Col loro arrivo, l’alcol era stato consumato a litri quella sera; le ordinazioni le erano state presentate l’una dopo l’altra, talmente in fretta che i bicchieri sporchi si erano accumulati nel lavello. Qualunque fosse il motivo di tante cerimonie, il capo parve esserne soddisfatto poiché, nel passarle davanti, ricambiò il suo inchino con un leggero cenno del capo. « Questi sono per la settimana. » Terry, uno degli scagnozzi, si fermò di fronte a lei, lasciando ricadere sul bancone una busta anonima piena di contanti. « Per stasera hai finito. Quando hai finito di mettere tutto in ordine te ne puoi andare. » Le lanciò una rapida occhiata, squadrandola da capo a piedi. « Se devi chiamare un taxi fatti venire a prendere fuori dalla zona industriale. Al capo non piace avere ficcanaso nei dintorni. » Lola annuì e, senza dire altro, fece scivolare la busta tra la camicia ed il bordo dei pantaloni. Non era da lei essere così passiva, ed in un altro contesto avrebbe faticato a mordersi la lingua per non rispondere in maniera sarcastica; da quando aveva messo piede dentro il capannone, però, aveva imparato che tacere le avrebbe reso la vita più semplice. Passò l’ultimo bicchiere sotto l’acqua e lo ripose ad asciugare, capovolto, sopra uno strofinaccio pulito. Quindi, dopo aver gettato le bottiglie vuote dentro il contenitore della spazzatura, afferrò lo spray disinfettante e ne spruzzò una generosa quantità sul lavello e sul bancone. Benché artificiale e intriso di alcol, l’odore agrumato del detersivo la aiutò a scacciare il misto ancor più stomachevole di tabacco, dopobarba, alcol e sudore. Aveva appena terminato di asciugare il bancone quando il silenzio venne bruscamente interrotto da dalle allegre di alcune delle spogliarelliste che erano state invitate come ospiti speciali del boss. Lola le osservò per qualche istante, gli occhi chiari che si spostarono dall’una all’altra mentre ridevano e scherzavano come se niente fosse. Erano decisamente troppo giovani e troppo ingenue per sopravvivere in quell’ambiente. « Christie! » Una di loro le si avvicinò a passo svelto, i tacchi che risuonavano sul pavimento, accompagnata da una nuvola di profumo dolciastro. « Che bello che sei ancora qui. Pensavo che te ne fossi già andata. » Si appoggiò al bancone, sporgendosi verso di lei, con un sorriso che sottolineò le guance ancora piene, adolescenziali. Istintivamente, Lola le sorrise di rimando, gettando l’ultimo strofinaccio nel sacco dei tessuti da lavare. In passato, aveva scambiato qualche parola con Jenny durante le pause, quando si erano incontrate sul retro del capannone per fumare una sigaretta. Tra una chiacchiera l’altra aveva scoperto che la sua famiglia proveniva da un minuscolo paesino scozzese e che, dopo un incidente che ne aveva confinato il padre sulla sedia a rotelle, Jenny era improvvisamente diventata responsabile di un disabile e di due fratellini minori. « Hey, Jen. Come stai? » Le domandò, trattenendosi dallo scrutare la sua figura longilinea alla ricerca di lividi o segni di sorta; seppur non sapesse con certezza cosa fosse accaduto nel privé, ne aveva un’idea piuttosto concreta. « Oh, una favola! » La biondina ridacchiò. « Il capo era di buonumore stasera, quindi ci hanno pagato in anticipo e ci hanno dato la mattinata libera, domani. Pensavamo di andare a ballare per festeggiare, ti va di venire? Stasera c’è una serata pazzesca al Village Underground. » Lola si accigliò leggermente. Il Village Underground era un locale piuttosto famoso di Shoreditch, dove difficilmente delle minorenni sarebbero riuscite a entrare senza dare nell’occhio – e, da quel che sapeva, Jenny e il resto delle ragazze non potevano permettersi di spendere trenta sterline a testa solo per il biglietto d’entrata. « Il Village? » Jenny annuì, stavolta rivolgendole un sorrisetto malizioso, e si sporse ulteriormente nella sua direzione, come a confidarle un segreto. « Hai presente Elias? Ecco, ho iniziato a frequentarlo da qualche settimana ed è un tipo a posto. Conosce uno dei buttafuori, quindi ci faranno entrare gratis dal retro. » Certo, Elias non può essere altro che un bravo ragazzo. Tutti i bravi ragazzi frequentano una prostituta minorenne e svolgono un lavoro discutibile, è risaputo. Soffocò quel pensiero dietro un sospiro, ma prima che potesse aggiungere altro, Jenny le afferrò la mano. « Dai, vieni con noi! Non facciamo altro che lavorare, ci meritiamo un po’ di svago. Ti prometto che ti divertirai! » Lola scosse il capo, alla ricerca di una scusa per rifiutare. Spendere troppo tempo con i ‘colleghi’ non era saggio – e, nella situazione attuale, non poteva permettersi di commettere errori che avrebbero potuto avere conseguenze anche su Tris, Raiden, Hiroshi e Sol. « Mi spiace, cariño. Sono stanca e Hiro mi sta aspettando a casa. » La ragazza non si arrese, fissandola con aria supplichevole. « Ma con un drink e un po’ di musica ti riprendi, abbiamo anche l’open bar! E puoi dire al tuo ragazzo di non aspettarti sveglio. Oppure puo’ venire anche lui, tanto Elias porta anche degli amici e più siamo meglio è! » La giovane Delgado strinse appena le labbra, provando la spiacevole sensazione di trovarsi con le spalle al muro. Da un lato, la sua parte razionale le suggeriva di comportarsi con prudenza, di inventare una scusa e tornare alla relativa sicurezza dell’appartamento che condivideva con Sol; dall’altro, si sentiva schiacciare dal peso di una responsabilità inaspettata. Jenny e le sue colleghe erano poco più che ragazzine e, nonostante la realtà in cui vivevano ogni giorno, i loro occhi brillavano di un'innocenza e di una fiducia che non provava da tempo. C'era in loro una vulnerabilità disarmante, che risvegliava in Lola un senso di responsabilità che non si era aspettata di provare. Forse perché era abituata ad occuparsi dei suoi nipoti, forse a causa delle tragedie che avevano colpito la sua famiglia negli ultimi mesi, l'idea che potessero cacciarsi nei guai, o peggio, che qualcuno potesse approfittare ulteriormente della loro ingenuità, le dava il voltastomaco; in quel momento, sentiva un profondo senso del dovere, la necessità femminile – materna - di proteggerle, quasi fossero diventate, nel breve tempo trascorso insieme, parte della sua famiglia allargata. Si inumidì le labbra, avvertendo sul fondo della gola un sapore acre, amaro. Il sapore di chi sa perfettamente di stare per commettere un errore, rendendolo ancor più sconsiderato. « Va bene. Ma dopo il Village me ne torno a casa. » Concesse, afferrando la giacca e la borsa e seguendole all’esterno.

    […] Suo malgrado, Elias aveva l’aria da bravo ragazzo ma lo stesso non si poteva dire dei due amici che li aspettavano davanti all’ingresso del locale. Lola si limitò a rivolgere loro un sorriso gentile di circostanza, presentandosi rapidamente. Una volta all’interno, seguì le ragazze in bagno e, rinchiusa in uno dei cubicoli, ne approfittò per ripescare il cellulare. Aprì whatsapp e premette il tasto di registrazione, tenendo il cellulare vicino alle labbra, costretta a sussurrare: « Hey, Hiro. Senti è successo un po’ un casino, fatto sta che sono al Village Underground con Jenny, altre ragazze, Elias e un paio dei suoi amici scimmioni. Ho cercato di inventarmi tipo trecento scuse diverse per scollarmeli di dosso ma non ha funzionato e, se devo essere sincera, due tizi sono piuttosto inquietanti. Non so, non mi sento tranquil - » Prima ancora che potesse finire la frase, qualcuno bussò rumorosamente sulla porta. « Christabel? Tutto bene? » Ay, carajo! « Sì sì, tutto bene. Arrivo! » Si affrettò a gettare il cellulare nella borsa, ed uscì dal bagno con un sorriso sin troppo convincente stampato sulle labbra. Si affiancò a Jenny che stava ripassando il rossetto allo specchio e si affrettò a lavare le mani, costretta ad asciugarle sul tessuto dei pantaloni. « Andiamo? » Fece per dirigersi verso la porta, quando Jenny la fermò. « Oh, Christie, non puoi uscire così. Aspetta, lascia fare a me. » Le mani pallide e sottili di Jenny armeggiarono rapidamente con la sua camicia di satin, slacciandone i bottoni fino a lasciar intravedere il reggiseno e chiudendo i lembi in un nodo sopra l’ombelico. « Ecco, meglio. Vuoi anche un po’ di rossetto? » Lo sguardo di Lola corse alle labbra di Jenny, pitturate di un rosso sin troppo acceso per risultare sobrio od elegante che, nonostante i suoi lineamenti graziosi, la faceva assomigliare vagamente a Ronald McDonald. Nemmeno tra mille anni, grazie. « No, non importa. Sto morendo di sete e si rovinerebbe subito. » Si lasciò prendere a braccetto e raggiunsero il bancone del bar, dove il resto del gruppo li stava aspettando. « Vuoi qualcosa? » Uno degli amici di Elias – Kody? Kyle? - le si affiancò, facendo un cenno al barista. « Sì, grazie. Un Whiskey Sour. » Lasciò che fosse l’altro ad ordinare, contribuendo distrattamente alla conversazione, quasi soffocata dalla musica assordante, mentre di tanto in tanto lanciava una rapida occhiata in direzione del cellulare. Per favore, Hiro, dimmi che non stai già dormendo. Avrebbe potuto trovare una scusa per uscire a chiamarlo, ma non voleva dare l’impressione di comportarsi in maniera strana o nervosa. « Il tuo drink. » Kody le allungò il bicchiere e Lola lo accettò con un cenno di ringraziamento, cercando di mantenere un minimo di distanza; da quando si erano presentati aveva avvertito lo sguardo dell’altro su di sé in più di un’occasione – una sensazione spiacevole, che le aveva fatto accapponare la pelle dietro il collo con un fremito di disgusto, non tanto perché Kody fosse poco attraente, al contrario, quanto perché vi era qualcosa di marcio, perfettamente studiato, dietro il modo gentile in cui si approcciava. Leggermente nervosa, bevve un generoso sorso del drink, illuminando nuovamente lo schermo del cellulare. « Stai aspettando qualcuno? » Lola si strinse leggermente nelle spalle, accennando ad un sorriso. « Mh, ho solo avvertito il mio ragazzo, così sa dove venirmi a prendere. » Kody annuì, facendosi più vicino. « Se sta dormendo non è un problema, posso darti un passaggio io. Abiti lontano? » Lola strinse le labbra, tamburellando nervosamente con le dita sul bancone. « Grazie, ma non sarà necessario. » Cercò di rimanere il più vaga possibile, sorseggiando distrattamente il proprio drink ed evitando di fornire ulteriori spunti di conversazione; mentre si sforzava di mantenere la calma, con la coda dell’occhio notò una scena preoccupante. Un altro degli amici di Elias si era avvicinato a una delle ragazze che, chiaramente a disagio, stava tentando di respingere quell’attenzione indesiderata. E te pareva. Si vede che non vi hanno cresciuti a suon di chancla. Deciso di intervenire d’istinto, afferrando la mano della ragazza con fermezza e tirandola via dall'approccio indesiderato. « Vieni, andiamo a ballare. » Disse con voce ferma, cercando di nascondere la tensione e di tranquillizzarla. Come un cerbiatto spaventato, l’altra le rivolse uno sguardo sorpreso, accennando ad un debole sorriso di ringraziamento. Mentre si addentravano verso il centro della pista, Lola avvertiva il peso dello sguardo degli uomini alle loro spalle, un brivido che le percorreva la spina dorsale nello stesso modo in cui un animale indifeso percepiva la presenza di un predatore. Il suo corpo era teso, in bilico tra la necessità di lottare o fuggire. Strizzò gli occhi e deglutì, nel tentativo di sopprimere quella sensazione istintiva. Si concentrò invece sulla ragazza accanto a lei, cercando di trasmetterle un senso di calma e sicurezza. « Qui va meglio, non trovi? » Le chiese, sussurrandole le parole all’orecchio per farsi sentire, mentre le prendeva le mani con le proprie. Una volta nascoste dalla calca, Lola lasciò andare un sospiro di sollievo, sentendosi momentaneamente al sicuro; era una sensazione fragile, eppure man a mano che il crescendo della musica assordante avvolgeva il locale, i pensieri ansiosi che tormentavano la sua mente si placavano. Mentre la ragazza accanto a lei iniziava a muoversi a ritmo, Lola si lasciò andare completamente al momento. Le sue preoccupazioni si dissolsero, le sue ansie si allontanarono fino a sbiadire. Era come se ogni battito del cuore fosse sincronizzato con il pulsare della musica, un'armonia perfetta di beat e bpm che la faceva sentire libera e leggera. Chiuse gli occhi e reclinò il capo all’indietro, mentre un senso di euforia la avvolgeva ed il suo corpo non aveva più confini. E poi, tra la folla sfuocata e distorta, intravide il viso di Hiroshi. Impiegò qualche istante per metterlo a fuoco concretamente, abbagliata dalle luci psichedeliche. Istintivamente, si fece largo tra la folla fino a raggiungerlo, con il respiro affannato. Esitò un istante quando lo ebbe raggiunto, leggermente confusa. Ricordava di avergli scritto – di aver pensato il suo nome – ma il reale motivo le sfuggiva. Ah, già. Il messaggio. La copertura. Siamo fidanzati. « Chiqui! » Trillò, gettandogli le braccia al collo, in uno slancio d’affetto. « Grazie per essere venuto. » Gli sussurrò all’orecchio, con voce leggermente roca, avvertendo sotto i polpastrelli il calore della sua pelle, il sangue che scorreva nelle vene. Sentiva la testa incredibilmente leggera ed aveva caldo, ma non era una sensazione fastidiosa. Confusa, Lola si ritrovò a non chiedere a Hiroshi di portarla via; invece, lasciò che l'impulso guidasse le sue azioni, invitandolo a ballare come se fosse la cosa più naturale del mondo. « Hai voglia di ballare? » Senza aspettare una risposta, prese la mano di Hiroshi e lo trascinò con sé, totalmente priva di razionalità.

     
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    « Hey, Hiro. Senti è successo un po’ un casino, fatto sta che sono al Village Underground con Jenny, altre ragazze, Elias e un paio dei suoi amici scimmioni. Ho cercato di inventarmi tipo trecento scuse diverse per scollarmeli di dosso ma non ha funzionato e, se devo essere sincera, due tizi sono piuttosto inquietanti. Non so, non mi sento tranquil - » Nel territorio della Yakuza ogni piccola mossa poteva decretare la tua fine, e questo, Hiroshi lo aveva capito sin da quando vi aveva messo piede. Non importava chi fossi stato prima, o cosa eri diventato tra le schiere di quell'organizzazione; da un momento all'altro potevi smettere di esserci. Era una legge non scritta a cui tutti si sottomettevano nel momento stesso in cui chiedevano asilo al Capo, e ogni passo falso da quel momento poteva diventare fatale. E la cosa peggiore era che la morte, in certi casi, poteva diventare quasi auspicabile. Per certi versi Hiroshi, Raiden, le cugine Delgado e Beatrice erano in una posizione privilegiata. A mali estremi le loro competenze magiche potevano salvarli da situazioni davvero spiacevoli, ma non per questo era auspicabile arrivarci. La sicurezza dei ricercati d'altronde dipendeva dalla loro capacità di tenere la testa bassa e stringere i denti il più a lungo possibile. Una cosa che, evidentemente, Dolores - forse la più irresponsabile all'interno del gruppo - non aveva ancora capito. Nel sentire la voce della ragazza, Hiroshi sbatté il pugno contro il cruscotto stringendo i denti. Nella loro posizione, tentare di non rimanere coinvolti negli altrui casini era fondamentale, e al di là della condotta di chi stava loro intorno, era quanto mai necessario chiudere gli occhi e guardare dall'altra parte. Le ragazze erano state attentamente istruite; non si esce dal tracciato - lavoro, casa, lavoro e di nuovo casa, attenendosi sempre a quella quotidianità martellante finché non fosse stato il momento di agire. "Sono in turno." Digitò velocemente, lasciandole intendere che muoversi non era poi così semplice per lui. D'altronde, se avesse lasciato il posto di lavoro sarebbe andato incontro ad altri guai. Fortuna volle che gli avrebbero dato il cambio tra circa mezz'ora. "Ti vengo a prendere tra non molto. Se hai problemi contatta Raiden. È in turno anche lui." Rimuginò per un istante, prima ciondolare la testa a destra e a sinistra con fare incerto. "Stai attenta. Sei con un pezzo grosso." Elias era sopra di loro nella gerarchia, e ogni sfida alla sua leadership avrebbe avuto ripercussioni non solo su Hiroshi, ma anche su tutte le persone che erano direttamente a lui legate. Così, lasciò la propria postazione per qualche minuto con la scusa di andare in bagno, dirigendosi verso l'entrata ai camerini delle ragazze dove Raiden era di guardia. « Mi ha scritto Lola » Asserisce di scatto all'orecchio del fratello, affinché solo lui potesse sentirlo. « Dice che Elias ha portato lei e alcune ragazze al Village Underground dopo il lavoro. » Sicuramente Elias era lì per affari. Il Village era un'attività amica, piazza di spaccio e chissà cos'altro. Non si sarebbe stupito se in verità le ragazze stessero in verità lavorando. Questo, oppure Elias e i suoi hanno perso il lume della ragione - poco plausibile, considerando che la posizione del giovane era piuttosto alta nella gerarchia. L'occhiata eloquente che gli gettò il giovane Yagami, fu corrisposta dal Nakamura. Concordarono sul fatto che la mossa di Elias non era cosa pulita, e così fu evidente che la situazione andava tenuta d'occhio.

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    « Chiqui! Grazie per essere venuto. » Dopo il turno, ci aveva messo circa un quarto d'ora a raggiungere il posto in macchina. Per questioni di sicurezza, Hiroshi tendeva a spostarsi il più possibilmente come un babbano; la situazione sembrava sotto controllo, ma gli bastò un'occhiata al cellulare per constatare che Raiden aveva perso in parte il contatto con Lola e che riusciva a tenerla d'occhio solo in parte. Così, sbattuta la portiera della macchina, pagò il biglietto all'entrata, maledicendo la ragazza per avergli fatto sprecare parte dei pochi quattrini che guadagnava, cercando una posizione di vantaggio da cui poterla individuare nella folla. Provò a chiamarla senza ricevere alcuna risposta, ritrovandosela dopo un po' di fronte agli occhi. Rimase leggermente interdetto nel constatare il comportamento della mora; solitamente più sarcastica e decisamente infastidita dalla sua presenza, specialmente dopo l'incontro a Grimmauld Place, il giovane Nakamura aveva semplicemente deciso di assecondare quella sua ostilità senza provocarla. Se Lola aveva bisogno di sfogare le sue frustrazioni con qualcuno, Hiroshi le avrebbe dato ben poca soddisfazione, e così l'atteggiamento nei confronti delle sue frecciate e occhiatacce era spesso stato un costante mettere un muro tra se stesso e la ragazza, nella speranza di evitare inutili conflitti. Certo che tu rendi davvero complicata la possibilità di evitare i conflitti. Il trattamento che gli riservò in quella circostanza fu, tuttavia, completamente diverso, tanto da portare il moro a irrigidirsi appena. I polpastrelli morbidi sulla pelle gli ricordarono quasi automaticamente quanta poca gentilezza gli era stata riservava in quel ultimo periodo, ma gli diedero anche una dimensione piuttosto evidente di quanto lo stato della ragazza fosse alterato. « Hai voglia di ballare? » La Delgado tentò di trascinarlo verso la pista, ma il giapponese fu più veloce nell'afferrarle il polso, osservandola attentamente. Aveva le pupille dilatate e le iridi leggermente arrossate; uno sguardo vacuo, come se non fosse completamente in sé. La stretta delicata ma ferrea, attorno al polso di lei, la portò ad allontanarsi appena dalla pista, mentre con la coda dell'occhio riuscì a individuare uno dei suoi colleghi intento a osservarlo con una certa insistenza. In altre circostanze avrebbe potuto capire il bisogno di evasione di Lola, e forse, lo avrebbe persino assecondato, ma non quando non era del tutto capace di intendere e di volere. Posò una mano alla base della sua schiena, portandosela più vicina, per poi avvicinare le labbra all'orecchio di lei. « Non possiamo restare, Lola. » Disse solo con un tono morbido sussurrando all'orecchio di lei. « Stai bene? » Le chiede quindi tornando a osservarla. Le avvolse un braccio attorno alle spalle, ben consapevole del fatto che Kyle li stesse guardando con una certa insistenza, iniziando a dirigersi verso l'uscita. Tentò di farle spazio tra la folla, curandosi di sembrare il più naturale possibile; un fidanzato premuroso che stava riportando a casa la propria ragazza. Gli bastò mettere fuori il piede dal locale per rendersi conto che qualcuno li aveva seguiti. « Un po' presto per andarsene, non credi? Ci stavamo divertendo. » Quell'ultima frase fu rivolta a Lola, chiaramente non particolarmente in grado di intendere e volere. « Elias sperava di vederti nel privé. » Kenzō si rivolge direttamente a Lola e Hiroshi capisce che di mancargli di rispetto gli interessa poco. Dovrà fare un discorsetto con la sua presunta ragazza in merito, anche a costo di risultare cafone. « Abbiamo altri piani per la serata; Christie è stanca. Torniamo a casa. Vero amore? » Le circonda le spalle premurosamente mentre osserva l'altro con un'espressione spavalda, posando un bacio sulla tempia di lei. « Non mi sembravi così stanca un quarto d'ora fa. Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, Christie? » Kenzō inclina la testa di lato osservandola con una certa malizia, e in tutta risposta Hiroshi lascia scivolare il palmo della mano lungo la sua schiena, circondandole la vita. Sa che non lascerà perdere e che vorrà sentire la risposta della mora, così, l'unica cosa che Hiroshi può fare e volgere lo sguardo verso di lei, osservandola con un'espressione apparentemente rassicurante ma anche alquanto eloquente. « Andiamo? Ho la macchina qui vicino. »




     
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    Complice il suo disturbo dell’attenzione ed una buona dose di iperattività, per Lola era sempre stato fin troppo semplice lasciarsi trascinare dalla circostanze senza nemmeno rendersene conto. La realtà esercitava un fascino quasi inarrestabile su di lei: gli odori, i suoni, i colori erano amplificati, sgargianti e ipnotici, anche quando si trattava di un minuscolo dettaglio. In quel momento, l’atmosfera del Village Underground rappresentava una dimensione parallela, un luogo sospeso nel tempo in cui ogni barlume di razionalità, ogni preoccupazione era sbiadita fino a svanire, sostituita da un’imprecisata sensazione di euforia. D’un tratto, i contorni del suo corpo si era fatti labili, indefiniti; il calore dei corpi altri le permeava la pelle e la musica le scorreva nelle vene, il ritmo frenetico dei bassi che faceva battere il suo cuore all'unisono con quello del resto dei presenti, ogni movimento guidato dal puro istinto, senza alcuna consapevolezza del tempo o dello spazio che la circondava. Quando le dita di Hiroshi si richiusero attorno al suo polso, Lola si fermò istintivamente, gli occhi chiari fissi sulla mano pallida dell’altro, mentre un’espressione leggermente confusa si faceva largo sul suo viso. A contatto con la sua pelle accaldata, il tocco di lui era fresco; una sensazione che durò solo qualche secondo, prima di essere sostituita da un piacevole tepore. Schiuse le labbra per dire qualcosa, forse persino lamentarsi, ma quando sollevò lo sguardo su di lui, si accorse che Hiroshi la stava fissando intensamente. A dispetto delle luci psichedeliche che squarciavano l’oscurità, il suo sguardo era fermo, a tal punto che Lola avvertì un primo, impalpabile, sentore di disagio farsi largo all’altezza dello stomaco. « A-aspetta! » Biascicò, colpendolo delicatamente sul braccio mentre la trascinava lontano dalla pista. Fece appena in tempo a scorgere un’ultima volta il profilo della ragazza bionda con cui stava ballando ma, suo malgrado, non oppose alcuna resistenza e lo seguì docilmente, incapace di controllare del tutto i propri passi. D’un tratto, la mano di Hiroshi si appoggiò alla base della sua schiena, ed un brivido si diramò lungo la sua spina dorsale, una sensazione di calore che si diffuse a partire dal punto in cui era entrato in contatto con la pelle lasciata scoperta dalla camicia annodata in vita. « Non possiamo restare, Lola. » Sebbene Hiro fosse al suo fianco, le sue parole sembrarono giungere da luogo lontano, parzialmente soffocate dalla musica. Lola strizzò gli occhi, sforzandosi di guadagnare un briciolo di lucidità; la sua mente confusa impiegò diversi istanti per elaborare il significato di quelle parole, distratta dalla vicinanza di Hiroshi e dalla sensazione del suo respiro che le accarezzava la pelle accaldata del collo e dell'orecchio. Non possiamo restare. Ripetè, tra sè e sè. Perchè no? La risposta a quella domanda le apparve palese e, al contempo, incomprensibile. Da qualche parte dentro di lei, nel mezzo di quella sensazione di euforia e spensierata leggerezza, c'era un senso di smarrimento, una vaga consapevolezza che qualcosa non andava. Deglutì, avvertendo la gola fastidiosamente secca, in preda ad un imprecisato sentore di preoccupazione – per quanto si sforzasse, non riusciva a mettere a fuoco esattamente cosa fosse o perché dovesse essere importante. « Stai bene? » Annuì quasi automaticamente, seppur l’espressione sul suo viso lasciasse intendere che non ne era poi così sicura. « Io… credo di sì. » Mormorò, scuotendo appena il capo. Non provava alcun dolore, nè nessun tipo di sensazione di malessere fisico. Eppure, i suoi stessi pensieri sembravano scivolare tra le sue dita come sabbia. Non era una sensazione nuova ma, in quella circostanza, non avrebbe saputo ricondurla ad un momento specifico. All’improvviso, senza alcuna ragione apparente, tutto ciò che la circondava divenne insopportabile – il rumore assordante della musica che rimbombava contro le pareti, il calore opprimente e le luci accecanti del locale minacciavano di soffocarla come un’ondata di stimoli soverchianti. Istintivamente, Lola si si aggrappò più saldamente a Hiroshi, mentre la guidava fuori dal locale; in quel momento, la sua presenza al suo fianco l’aiutava a mantenersi agrappata alla realtà, una certezza rassicurante per quanto fugace. Come misero piede all’esterno, una ventata di aria fredda la colpì in pieno viso, accompagnata dall’odore acre di tabacco e nicotina proveniente da un gruppo di fumatori intenti a chiacchierare poco distante. Avevano fatto pochi passi in direzione del parcheggio, quando qualcuno richiamò l’attenzione di entrambi. « Un po' presto per andarsene, non credi? Ci stavamo divertendo. » Con la mano sinistra ancora maldestramente stretta attorno alla giacca di Hiroshi, Lola ruotò leggermente su sé stessa, quel poco che bastava per intravedere il profilo di Kenzō, parzialmente accecata dalla luce artificiale dei lampioni. Socchiuse gli occhi, infastidita. Era sempre stata così forte? « Elias sperava di vederti nel privé. » Nel privè? Hiro doveva aver notato la sua difficoltà nel formulare una risposta e, intimamente grata, Lola annuì per confermare la sua versione. « Abbiamo altri piani per la serata; Christie è stanca. Torniamo a casa. Vero amore? » Stanca non era la parola giusta. La testa le pulsava, le luci la infastidivano e tutto le appariva sfocato e impalpabile. « Non mi sembravi così stanca un quarto d'ora fa. Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato, Christie? » Malgrado lo stato in cui versava, non le sfuggì il modo in cui Kenzō ignorò completamente Hiroshi, né lo sguardo che lanciò nella sua direzione, un misto di malizia e divertimento, come se in quell’intera situazione vi fosse un principio di ilarità che Lola non era in grado di cogliere. Abbiamo fatto qualcosa di sbagliato? Quelle parole rimbombarono nella sua testa, eccheggiando in maniera fastidiosa. La sua mente era troppo annebbiata per permetterle di comprendere il reale significato di quella provocazione, ma Lola sapeva che vi era qualcosa di più oscuro e sinistro che si nascondeva dietro il suo sorriso divertito e le sue parole apparentemente innocenti. Si inumidì le labbra, rallentata nel formulare una risposta; tutto ciò che riusciva a provare era una crescente sensazione di disgusto nei confronti di Kenzō, Elias ed il resto degli scagnozzi nel locale. Lola, trova una scusa e andatevene di lì. Ora. La voce di Tris fece breccia tra la nebbia dei suoi pensieri e Lola si irrigidì. « Mierda. » Mormorò, sottovoce, senza riuscire a trattenersi. Mierda, sì. Andatevene da lì o questo sarà solo il principio del mare di “mierda” in cui ci ritroveremo tutti quanti. Lola si raddrizzò leggermente, scuotendo appena il capo. « Hiroshi ha ragione. Sono stanca e non credo di sentirmi troppo bene. » Accennò ad un sorriso di scuse. « Come sai, domani il Capo ha invitato alcuni ospiti. Non posso presentarmi con la resaca, mh? » Sollevò appena le sopracciglia, quasi invitandolo a fornire un’obiezione che, ne era piuttosto certa, non si sarebbe azzardato a presentare – non quando le loro azioni avrebbero potuto scontentare il capo. Dopotutto, a dispetto della loro posizione nella gerarchia, la spada di Democle poteva abbattersi senza alcuna pietà su ognuno di loro. « Grazie per l’invito, ma sono certa che vi divertirete anche senza di me. Sono più noiosa di quello che sembra, vero chiqui? » Si sporse leggermente verso Hiroshi, rivolgendogli un piccolo sorriso complice che, dall’esterno, poteva apparire quasi sognante. « Andiamo? Non vedo l’ora di infilarmi a letto. » Accompagnò quelle parole ad un leggero sospiro, lasciandosi guidare in direzione del parcheggio. Persino da quella distanza riusciva ad avvertire lo sguardo di Kenzō su di loro, intento a studiarli come un animale selvatico. Una sensazione di disagio le serpeggiò lungo la spina dorsale, facendole irrigidire i muscoli e rinsaldare la presa dietro la schiena di Hiroshi. « Ci sta ancora guardando. » Constatò, senza voltarsi. Invece, ruotò leggermente il capo in direzione di Hiroshi ed allungò la mano libera a sfiorargli la guancia, invitandolo a voltarsi verso di lei. Senza pensarci troppo, si allungò verso di lui e posò le labbra sulle sue, in un bacio lento e tenero, a tratti persino impacciato. Le labbra di Lola si mossero con delicatezza contro quelle di lui, schiudendosi appena, senza tuttavia approfondire il contatto. Si ritirò dopo qualche istante, sfiorandogli il labbro inferiore in un gesto affettuoso – un movimento apparentemente abituale, dettato più da un sentimento di tenerezza che da mera ed esplicita passione – abbastanza credibile da ingannare gli sguardi indiscreti che li osservavano. Reclinò il capo contro la sua spalla con un movimento naturale, segretamente riconoscente di potersi aggrappare a qualcuno; sebbene avesse guadagnato un minimo di razionalità, avveva la vista offuscata ed avvertiva uno strano formicolio alle estremità delle dita. Raggiunta la macchina, si appoggiò contro il metallo freddo mentre Hiroshi armeggiava con la portiera del passeggero. « Grazie. » Mormorò, quando lui la spalancò, facendole cenno di salire. Si chinò quel tanto che bastava per accomodarsi sul sedile e, quasi subito, ci ripensò. Si raddrizzò, osservando il posto del passeggero come se d’un tratto si fosse ricordata di qualcosa di incredibilmente importante. « Non voglio andare a casa. » Sussurrò, a voce talmente bassa da averlo solo pensato. Sollevò il viso di scattò, cercando gli occhi scuri di Hiroshi con le iridi olivastre, ancora lucide. « Non portarmi a casa. » Nonostante il modo in cui la frase era stata formulata, suonò più come una preghiera che una richiesta. Lola si mordicchiò nervosamente il labbro inferiore, infastidita dal sentore amaro che aveva accompagnato la parola casa. Non era certo la defizione più appropriata per il piccolo appartamento fatiscente che condivideva con Sol. Sospirò silenziosamente, maledicendosi mentalmente. Da quando era diventato così difficile parlare? « Puoi… possiamo andare da qualche altra parte, per un po’? Non deve essere un locale, ma non voglio rientrare in queste condizioni. » Scosse piano il capo, le dita che si richiusero attorno al metallo della portiera mentre i capelli le dondolavano sulle spalle. « Non voglio che si preoccupi. Ha già abbastanza cose a cui pensare. » Conosceva sua nipote abbastanza bene da sapere che nulla e nessuno l’avrebbe salvata da una lavata di capo degna di Dolores Delgado in persona, una volta che sarebbe venuta a sapere di quello che aveva combinato. Ma se non altro posso evitare di farla preoccupare inutilmente. Con un sospiro, Lola scosse la testa, di nuovo, cercando di respingere il senso di colpa che le serrava la gola. I mesi che avevano seguito la caduta di Inverness non erano stati semplici per la sua famiglia: non solo avevano perso zio Salvador durante l’attacco, Manuel e Darius erano stati arrestati dagli Auror e spediti ad Akzaban con un biglietto di sola andata, ma era stata la scomparsa di Mariano, il fratellino di Sol, a rappresentare un colpo devastante per tutta la famiglia. Battè rapidamente le palpebre, cercando di scacciare quel pensiero, e si voltò in direzione di Hiroshi, qualunque espressione contrita improvvisamente sostituita da un sorriso. « E poi so che stai morendo dalla voglia di farmi un discorsetto. Te lo si legge in faccia. » Per un istante, sembrò trovarlo più divertente del dovuto. « Quando sei scontento ma cerchi di fare finta di niente ti si induriscono i lineamenti. Si vede qui » Allungò una mano a sfiorargli il punto in mezzo agli occhi, tra le sopracciglia, dove si era formata un’increspatura quasi invisibile. « e qui. » Fu poi il turno delle labbra, dove al posto delle fossette vi era un nodulo di tensione. Sollevò lo sguardo ad incontrare quello di Hiro, stringendosi le spalle con un sorriso divertito. « Avevi esattamente la stessa espressione ogni volta che mi dimenticavo di portare gli appunti di Storia della Magia durante le ripetizioni. » Si discolpò, inclinando il capo, leggermente assorta. « Comunque, se pensi di poter posticipare a più tardi, sarebbe top. Oggi mi hanno pagato e immagino che anche tu sia ancora a stomaco vuoto. » Il minimo che posso fare è offrirti la cena. « Potrei uccidere qualcuno per dei carboidrati, ma qualunque cosa va bene. » Gli rivolse un’ultima occhiata, a metà tra l’innocente e lo speranzoso. Se non poteva evitare un cazziatone, per lo meno poteva cercare di addolcirlo un minimo.

     
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