Mare, fammici stare bene.

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    Secondo sua madre un po’ di sole le avrebbe fatto bene. Se c’era una cosa che Daffy Baker sapeva fare particolarmente bene era agire d’istinto. Fin da piccola non era mai stata una che riflette troppo. Suo padre la chiamava “la mia piccola capocciona”, perché quando si metteva in testa qualcosa era difficile farle cambiare idea. Andava e partiva con l’intento di tornare vincitrice. Daphne era una di quelli secondo i quali siamo venuti al mondo accidentalmente in un universo governato dal caso. Le nostre vite sono decise da combinazioni puramente fortuite di geni. Tutto quello che accade, accade per caso. I concetti di causa ed effetto sono sofismi. Esistono solo cause "apparenti" che portano a effetti "apparenti". Dal momento che niente dipende realmente da qualcos'altro, navighiamo ogni giorno in oceani di caos e non si può predire nulla, nemmeno quello che succederà tra un istante. Neppure un Incendio dritto in faccia. Daffy non si riteneva una che impara in fretta. Non aveva imparato che se fai la gatta morta con uno già impegnato c'è la possibilità che la fidanzata di quest'ultimo provi a strapparti tutti i capelli durante il Ballo di fine anno e non aveva imparato che se fai una gara a chi beve più whisky incendiario direttamente dalla botte il giorno prima dell'interrogazione di Storia della Magia è molto probabile che, nella migliore delle ipotesi, tu possa vomitare sul banco di Johnatan Martin, il giovane Corvonero occhialuto della prima fila. Daffy amava il suo stile di vita. Si riteneva una rivoluzionaria, una pioniera che avrebbe voluto convincere tutti a guardare il mondo dal suo punto di vista. Era un’inguaribile ottimista e pareva che niente e nessuno avrebbe mai gettato a terra il suo buon umore. Ma non era così. Da quando si era risvegliata in quel letto d’ospedale tutto quanto era in salita. Aveva dovuto imparare di nuovo a reggersi sulle proprie gambe, come quando era bambina ed aveva cominciato a muovere i primi passi. Aveva dovuto imparare ad aggrapparsi alla prima cosa che aveva a portata di mano quando l’equilibrio veniva meno per non cadere ancora e ancora. Le sue ginocchia ossute erano costellate di lividi e sbucciature. C’era stato un momento in cui aveva pensato di arrendersi, che non ce la faceva più e che sarebbe andato bene così. C’era stato un attimo in cui aveva deciso di smettere di lottare. Aveva l’impressione di vivere sott’acqua: i suoi gesti sembravano rallentati, i suoni ovattati, la vista che a volte deformava le cose. Era terribilmente stanca come non lo era mai stata in vita sua. Si muoveva per inerzia, un burattino che muoveva un passo alla volta sotto la stretta sorveglianza di sua madre che da lì a qualche tempo era diventata la sua burattinaia e la sua balia. Il signor Baker aveva lavorato per il Ministero Americano per anni e forse era questo il motivo per cui avevano deciso di restare nella parte dello Stato Magico Inglese. Daphne non ci aveva neppure provato ad allontanarsi, seppur convivesse con un opprimente senso di colpa nel sapere che Junie, Sam e gli altri erano dall'altra parte. Seppur fosse ormai chiaro che una guerra magica fosse ormai alle porte, Daphne aveva l’impressione di vivere in una bolla, una dimensione dove tutto il resto era lontano. Mentre si trovava ancora al San Mungo le erano state date delle pillole dicendo che l’avrebbero fatta stare meglio. Le avevano anche consigliato un percorso psicologico oltre a quello riabilitativo, ma la minore dei fratelli Baker continuava a temporeggiare. Diceva che l’avrebbe fatto, che quello dopo sarebbe stato il giorno giusto per iniziare, ma alla fine il giorno giusto sembrava non arrivare mai. Nel frattempo sua madre continuava a sfornare torte al cioccolato, ogni giorno, tentando di curare quello stato innaturale della figlia con ciò che amava di più: il cibo. Suo padre, invece, era riuscito a trascinarla fuori di casa portandola allo stadio ad assistere ad una partita di Quidditch. Ma Daffy, la loro bambina sempre così solare e che non si abbatteva davanti a niente, era diversa e nessuno sapeva dire quando le cose sarebbero tornate come prima. Neppure lei stessa. Sua madre l’aveva lasciata sulla spiaggia di Portland alle diciotto. Mai avrebbe voluto lasciare sola la figlia, ma aveva degli impegni, impegni che Daphne non si era neppure presa la briga di ascoltare. Tra tutto quell’incessante chiacchiericcio con cui sua madre l’aveva anestetizzata, aveva capito che sarebbe tornata a prenderla entro un’ora. «Hai il telo?» «Si.» «E la crema?» Daphne annuì, lanciando svogliatamente uno sguardo ad un gruppetto di bambini che giocavano con un pallone. «Il cellulare? Mi raccomando, devi chiamarmi nel caso succedesse qualcosa..» Ti prego, sia mai. «Ti chiamo appena ho portato a casa la nonna.» Ah, già. La nonna era venuta a trovarli dall’America. Davvero una strana coincidenza che avesse deciso di venire proprio adesso, visto che l’ultima volta che erano stati a trovarla aveva detto «Preferirei farmi azzoppare da un branco di Ippogrifi imbizzarriti piuttosto che venire in una città come Londra!». Quindi i casi erano due: o aveva cambiato idea o era stata investita
    più impegnata possibile. La ragazzina non le aveva mai detto nulla per non offenderla, ma era chiaro che quella cosa fosse estenuante per entrambe. «E prendi anche questa.» «Mamma, no. Ce la faccio.»da quel branco di Ippogrifi ed aveva bisogno di cure. In realtà credeva che ci fosse lo zampino di sua madre, visto che da quando era successo il fatto -nessuno ne parlava apertamente, come se non parlarne servisse a fingere che non fosse mai accaduto- cercava di tenere Daphne Il tono di Daffy sembrava un’esausta preghiera. «No, tesoro. Sai che devi usarla quando sei da sola.» La Grifondoro guardò sua madre negli occhi per qualche istante, come se sperasse che da un momento all’altro lei avrebbe potuto cambiare idea, ma naturalmente non fu così. Era sempre stato chiaro da chi avesse ereditato la cocciutaggine la minore dei Baker. Daphne sbuffò prendendo la stampella dalle mani di sua madre, con stizza. «Non fare così, tesoro.. Non sarà ancora per molto..» Si, certo. Come no. «Ci vediamo dopo.» La signora Baker sembrò sul punto di dire qualcosa, ma parve ripensarci, anche perché Daphne si era già avvicinata alla spiaggia, poggiando il peso sulla stampella. Si sedette sul marciapiede e sfilò le scarpe e i calzini prima di poggiare finalmente i piedi sui granelli di sabbia. Rimase un attimo in silenzio, osservando come la sabbia le si infilava tra le dita dei piedi e pensando a quanto fosse piacevole quella sensazione. Si rialzò con lentezza e fu comunque costretta ad aggrapparsi alla stampella poiché -come accadeva sempre quando si alzava- un improvviso giramento di testa minacciò di farle perdere l’equilibrio. Quando fu sicura di essere nuovamente salda sui sulle sue gambe si avvicinò il più possibile al bagnasciuga. Lasciò le sue cose a terra, compresa la stampella. Tolse persino quello stupido cappello a banda larga che sua madre la obbligava a portare nonostante le cicatrici dell’operazione fossero quasi del tutto svanite e non ci sarebbe stato niente di male a prendere un po’ di sole in faccia. Un passo alla volta raggiunse l’acqua. Procedette con cautela, un passo dietro l’altro, testando bene il terreno prima di posarci il piede sopra. L’acqua era meno fredda di quanto si aspettasse. Forse perché era pomeriggio inoltrato. Guardò giù, vedendo i suoi piedi scomparire sempre più giù sulla sabbia ogni volta che un’onda li sommergeva. Spalancò gli occhi quando per un attimo le parve di vedere la sua immagine riflessa. Negli ultimi tempi evitava scrupolosamente gli specchi e qualsiasi altra superficie riflettente. Aveva gli occhi cerchiati di scuro, come se fossero alcuni giorni che non riusciva a chiudere occhio. Il viso era leggermente scavato all’altezza degli zigomi. Era pallida. Sembrava non vedere il sole da mesi. Distolse immediatamente lo sguardo, puntandolo lontano, là dove il mare e il cielo si incontravano con lo stesso colore. Un’onda arrivò a riva leggermente più alta delle altre e, nel colpirle le caviglie, la fece barcollare un po’ fino a farle perdere l’equilibrio. Cadde all’indietro, ritrovandosi con le chiappe sul bagnasciuga e con l’ennesima onda che le inzuppava i pantaloncini. Sospiro, incurvando le spalle in avanti. ’Fanculo. Ma infondo.. Chi se ne frega. Respirò a fondo l’odore della salsedine mentre l’ennesima onda che si infrangeva nella riva le infradiciava le gambe.

    Mare, fammici stare bene, dentro c'è tutte cose, stiamocene io e te.
    Che stare male non vale se non lo puoi gridare,
    portati via ste cose, portale via con te.


     
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    «Daaaiii! Siamo in ritardissimo!!!», la voce insistente di Theresa giunge alle orecchie di un profondamente addormentato Thomas Roy. Aveva fatto le ore piccole, la sera precedente, così come le altre prima. Puzzava ancora di fumo di sigarette, nonostante la doccia fredda di quel mattino - appena rincasato. Theresa storce il naso. «Ti prego, Tom..! Dopo tutto quello che è successo..», sa perfettamente, Thomas, cosa sua sorella stia cercando di dire. Dopo tutto quello che è successo, dopo quanto abbiamo sofferto, ci meritiamo di trascorrere in pace almeno questa sera. E' il compleanno dei due gemelli: Thomas ha promesso loro che avrebbe organizzato un piccolo falò sulla spiaggia di Portland. I diciassette anni - giorno della maggiore età nel mondo magico - si compiono una volta sola. Un festeggiamento, per quanto ristretto, è necessario. Indispensabile. Nonostante tutto quello che è successo. Sono trascorsi mesi, ormai, ma in che modo il tempo ripara le ferite? Thomas non l'ha ancora compreso. Perdere i suoi cugini - entrambi i suoi cugini, Beckie e Jonathan - l'ha profondamente scosso. Gli ha strappato via il sorriso dalle labbra. Gli ha fatto trascorrere nottate insonni. Gli ha arrossato gli occhi di un pianto sommesso, costante, al riparo tra le quattro mura della propria stanza, soffocando i singhiozzi e il tremito dei muscoli perché sia mai che mi vedano frignare come un bambino. Sempre stato un po' immaturo, Tom, imbottito di preconcetti sin da quando era giovane. Istruito all'idea che gli adulti non piangono, devono farsi forza. Ma al riparo da sguardi indiscreti, ecco che la corazza del bravo ragazzo della porta accanto, della spalla su cui piangere, può finalmente sciogliersi in ciò che realmente è. Soltanto un ragazzo. Soltanto una vittima. Soltanto una delle innumerevoli anime spezzate dalla battaglia del primo Marzo e da quella che si profila come una guerra. «Va beeene scricciolo.», la voce ancora impastata di sonno, Tom si ravvia i capelli e scosta le lenzuola con un calcio mal assestato. Anche Timothy, adesso, incombe su di lui. «Tom, se sono già arrivati giuro che ti do un pugno..», al maggiore dei fratelli Roy non può che sfuggire un sorriso. «Dai Timmy, vatti a cambiare. E non mi minacciare più, potrei mettermi a piangere, lo dice inarcando le sopracciglia, in un'espressione che lascia ad intendere quanto poco sia credibile il fratello minore nel tentativo di spaventarlo. Piangere. Un tema che paradossalmente ricorre. Tom scrolla le spalle e la testa, si reca in bagno per la seconda doccia della giornata. La fa solo per il bisogno di schiarirsi le idee. Goccioline gelide scivolano dai suoi lunghi capelli scuri, che una volta asciutti lega in una mezza coda alta. Indossa un paio di occhiali da sole, una camicia con fantasia hawaiana sbottonata sul petto arrossato dal sole. Prepara una borsa con tutto l'occorrente: patatine, salatini, stuzzichini vari. Burrobirre e basta. E' ovvio che non sarà basta manco per il cazzo - dei diciassettenni in piena tempesta ormonale avranno pensato in prima persona ad ordire qualche malefico piano per scambiarsi di soppiatto canne, Erballegra e chi più ne ha più ne metta; eventualità senza dubbio prevista da Thomas. Ha avuto diciassette anni anche lui, e cazzate ne ha combinate - e combina attualmente - di peggiori. Chiuderà un occhio, certo, ma da qui a infiocchettare lui stesso il teatrino... Anche no. Burrobirre e basta, da parte mia. [...] La festa sulla spiaggia ha inizio. Sono le sei del pomeriggio. Il sole ancora picchia, ma con raggi più gentili. Theresa, Timothy e i loro amici hanno iniziato a raccogliere la legna e a disporla in cerchio. Alcuni fanno il bagno. Altri si dedicano alla sbronza: c'è chi versa l'alcol direttamente nella gola del compagno, chi propone il gioco della bottiglia, chi distribuisce sigarette e quant'altro. Della musica se ne occupa Cody, un aspirante dee-jay. Thomas può gradualmente allontanarsi dal gruppo, per non apparire come badante assolutamente non richiesto. Agguanta la tavola da surf che si è portato dietro e si lascia trasportare dalle ultime onde che una marea favorevole decide di regalare, prima che la calma piatta regni sovrana. Si tuffa un'ultima volta e, quando riemerge, nota una scena insolita. Una ragazza abbandona una stampella sulla riva, poi si spinge oltre il bagnasciuga. Fin qui Thomas è tranquillo. Poi, una piccola onda. La ragazza cade. Thomas si allarma - non eccessivamente, perché la vede riemergere dall'acqua -, ma ha comunque notato la stampella di poc'anzi. Sente di dover intervenire, se non altro per assicurarsi che sia tutto ok.
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    «Ehi!!!», esclama, a distanza. Ancora non è riuscito a scorgere il viso della sconosciuta. Strizza gli occhi, che bruciano per il sale dell'acqua. «Vuoi una mano?», e gliela porge senza aspettare la risposta. Dopo, mette a fuoco. Riconosce i lineamenti di lei, per quanto resi più affilati dal tempo. «Daphne?», chiede, realizzando l'istante successivo. «Daffy!», sorride, incrociando le dita a quelle di lei e facendo leva per aiutarla ad alzarsi. «Sei proprio te! Quanto tempo!», la abbraccia, rendendosi conto di averla bagnata molto più di quanto non fosse già. «Ah. Vabbè, tutta salute.», ridacchia, sperando di non esser stato troppo invadente. Recupera la stampella della Grifondoro pochi metri più in là. «Brutta caduta dalla scopa?», chiede. Non sembra ferita alle gambe, ma se ha bisogno di una stampella deve per forza trattarsi di qualche evento recente. Nota soltanto dopo la situazione del volto. Non ha davvero idea di cosa le sia potuto accadere. «Comunque -», aggiunge, cambiando argomento subito dopo. Magari non ne vuole parlare, per i professionisti anche una caduta può essere fatale a livello di carriera... «- che fai qui? Io ho accompagnato i miei fratelli, hanno organizzato un falò sulla spiaggia per i loro diciassette anni - sai, le solite robe da ragazzetti... Birra, musica, il sole che tramonta, muffin all'erballegra al posto delle gocce di cioccolato...», risata. «A proposito, che dici, gliele scrocco due birre per noi? Se mi vedono, come minimo mi schiantano perché ho l'aria del fratello maggiore rompicazzi - non l'hanno capito che alla fine dei giri sono i piccoli a badare a noi, non il contrario. Però oh, se non mi vedono.. Occhio non vede, cuore non duole. Ho ancora qualche trucchetto da stronzo da tentare.», conclude, sorridente. Strizza i capelli e scotola la tavola da surf, provocando una pioggia di goccioline. «Come ai vecchi tempi.», si lascia sfuggire questa frase nostalgica, memoria delle infinite marachelle che, da bravi Grifondoro, li hanno visti coinvolti. E' una frase che ha il potere di strappargli un sospiro. Forse è il ricordo del passato, in generale, a far male. Forse è solo che Beckie e Jonathan erano suoi concasata e, tutte le monellerie di cui Thomas si è macchiato, hanno visto partecipi anche loro.
     
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    Le era sempre piaciuto il mare. Aveva sempre avuto l’impressione che le onde avessero il potere di portarsi via tutti i problemi e le preoccupazioni. Sono pazienti, le onde. Continuano ad infrangersi contro gli scogli pur sapendo che non li abbatteranno. Si accontentano di corroderli a poco a poco. Sono lungimiranti, le onde. Daphne Baker, al contrario, non aveva mai avuto molta pazienza. Amava i risultati che arrivavano in fretta e se si fissava con qualcosa faceva di tutto per ottenerla il prima possibile. Se la cosa sembrava tirare troppo per le lunghe, allora cambiava obiettivo, fissandosi con qualcosa di nuovo, un altro progetto, un altro scopo. Viveva veloce, frettolosamente, riempiendo le sue giornate di un sacco di cose, un sacco di cianfrusaglie. Era come un’accumulatrice seriale. Eppure, ora, le sembrava di non avere niente. La sua vita era stata costretta a rallentare, di colpo, senza avvisare. Le mancavano persino quegli sciocchi servizi fotografici dove era costretta in posa per ore prima dello scatto perfetto. Non avrebbe mai creduto di arrivare al punto che le sarebbe mancata anche la voce antipatica di quel fotografo francese che le diceva di fare la seria. Era stato come risvegliarsi in una bolla, in un mondo diverso che seguiva un orologio diverso dove i secondi scorrevano più lentamente. Era come muoversi in un mondo di ovatta, ovatta che sua madre aveva ben appiccicato ovunque per impedirle che si facesse male. Una piccola onda arrivò a coprirle le caviglie, per poi ritirarsi subito dopo. Notò che c’era un graffietto sul dorso del piede, niente di grave, non sanguinava neanche. Dovette soffocare una risata, seppur un sorrisetto divertito riuscì a sfuggirle dalle labbra. Da quanto non si faceva un graffio? Era un’atleta, era abituata a farsi male. Era caduta dalla scopa, era inciampata durante la corsa e si era persino mezza azzuffata con un tipo in un bar, ma questa era tutta un’altra storia. Riusciva già ad immaginare la faccia che avrebbe fatto sua madre quando sarebbe andata a prenderla. Probabilmente avrebbe avuto un attacco di iperventilazione. «Ehi!!!» C’erano degli schiamazzi in lontananza. Risate, musica e baldoria. Fino a poco tempo fa non ci avrebbe messo niente ad andare da loro ea chiedere una birra. Porco Merlino, da quanto non bevo una birra? Era una tipa esuberante, che amava fare amicizia. Ora, invece, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era sperare che nessuno la notasse. Non amava farsi vedere in giro da quando era uscita dall’ospedale. Evitava spesso e volentieri anche di incrociare lo sguardo con gli specchi. Odiava quelle cicatrici. Il medico l’aveva tranquillizzata sul fatto che sarebbero sparite del tutto, ma ci sarebbe voluto tempo e avrebbe dovuto avere pazienza. «Vuoi una mano?» Ok, qualcuno le stava rivolgendo la parola. Forse era qualcuno proveniente dalla festa, magari un po’ brillo, che si era fatto la strana idea che Daphne potesse avere un po’ d’erba per lui e i suoi amici. Porco Merlino, da quanto non fumo un po’ d’Erballegra? Forse era meglio mettere subito le mani avanti, scusarsi con il tipo in questione e dirgli di cercare altrove. «Daphne?» Trattenne il fiato, spalancando gli occhi mentre si voltava di scatto. Sperava tanto non fosse qualcuno che le avrebbe chiesto una foto. Se evitava gli specchi, figuriamoci cosa pensava di immagini che sarebbero potute finire su social o da chissà quale altra parte. «Daffy!» Le ci volsero alcuni secondi per mettere a fuoco il viso del giovane ed associarlo a quello dell’ex compagno di Casa. «Tom?» la sua è una domanda più che un’affermazione. Sembrava passata una vita e forse lo era passata davvero. Ricordava Thomas Roy come un tipo esuberante e con un sorriso perenne stampato in faccia. Dietro i suoi tratti più adulti le sembrava ancora di vedere quel ragazzino di un tempo con cui era facile andare d’accordo. Accettò il suo aiuto, afferrando la sua mano e lasciando che lui l’alzasse in piedi. Nel momento in cui raggiunse la posizione eretta fu costretta a chiudere gli occhi, perché per un attimo tutto cominciò a girare. Il suo orecchio non era ancora del tutto guarito e l’equilibrio a volte veniva meno. Irrigidì i muscoli, ma la sensazione passò dopo pochi secondi. «Sei proprio te! Quanto tempo!» Riapre gli occhi, colta da un abbraccio che non si aspettava ma che probabilmente avrebbe dovuto visto che Thomas sembrava non essere cambiato affatto. Lei si limitò a battergli una mano sulla spalla un paio di volte. Non era molto più avvezza alle dimostrazioni d’affetto altrui. Quando lui si scostò, ascoltando il suo commento, abbassò lo sguardo sui propri vestiti, mentre qualcosa di simile ad un grugnito divertito le salì su per la gola. «Oh, nessun problema. Dimmi solo a quale indirizzo dovrò mandare il conto della lavanderia..» Si strinse nelle spalle, come se fosse una cosa da niente, una cosa a cui era abituata. Infine si lasciò andare ad un sorriso più rilassato. Era strano scambiare due chiacchiere senza troppi pensieri, due chiacchiere qualsiasi che non riguardassero il suo stato di salute esposto con parolone mediche che faceva fatica a capire, due chiacchiere che non fossero con qualcuno che indossasse un camice. «Brutta caduta dalla scopa?» Come non detto. Non gliene faceva una colpa, come avrebbe potuto? Si trattava solo di circostanze. Era normale chiederle cosa fosse accaduto. Lei stessa lo avrebbe fatto vedendo qualcuno che conosceva conciato in quel modo.
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    Afferrò stampella, biascicando un “grazie” prima di poggiarla a terra, riappoggiandocisi un po’. Fu rialzando lo sguardo che si accorse che Thomas le stava fissando il volto e il collo, lì dove ci sono ancora le cicatrici. Ha l’impulso di posarci una mano sopra, di tentare di coprirle, ma si limitò a girare di poco la testa verso il lato delle bruciature, come se bastasse quel gesto a nascondere la ferita agli occhi dell’ex Grifondoro. «Oh, è... Una lunga storia..» balbettò per poi finire, inevitabilmente, a mangiucchiarsi l’interno della guancia. Aveva risentito davvero poche persone, persone molto strette, e aveva usato un numero di parole minimo, indispensabile. Né più, né meno. Sapeva con certezza che quando dei giornalisti erano giunti al San Mungo, i suoi genitori avevano chiesto ripetutamente di lasciarli in pace e di rispettare la loro privacy. Forse, per sua fortuna, non erano usciti articoli troppo approfonditi. «Comunque -» fu sollevata dal fatto che cambiasse discorso. «- che fai qui? Io ho accompagnato i miei fratelli, hanno organizzato un falò sulla spiaggia per i loro diciassette anni [...] A proposito, che dici, gliele scrocco due birre per noi? [...] Però oh, se non mi vedono.. Occhio non vede, cuore non duole. Ho ancora qualche trucchetto da stronzo da tentare.» Ci mette qualche secondo per assimilare tutte quelle parole una dietro l’altra. Parole leggere che una ad una riuscirono a farla sentire meglio e a farle spuntare, poco a poco, quello che sembrava decisamente un sorriso sincero sulle labbra. Quella leggerezza così diversa dalla stretta protettiva di sua madre, le ricordò di essere ancora una ragazzina, di poter fare a meno per un po’ dei discorsi da grandi a cui era abituata negli ultimi tempi. Si accorse che aveva strabuzzato un po’ gli occhi quando Thomas le aveva detto che i suoi fratelli avevano compiuto diciassette anni.. Ma come era possibile? Se li ricordava due nani che frequentavano il secondo anno quando lei l’ultimo.. Lanciò un’occhiata in direzione della festa, ma da quella distanza non riusciva a vedere i visi. Si rese solo conto che la maggior parte di loro sembrassero decisamente più alti di lei. Ma che cosa gli danno da mangiare a ‘sti ragazzi d’oggi? Forse non avrebbe dovuto bere. Quante ore erano passate da quando aveva preso l’ultimo antidolorifico? Sua madre l’avrebbe uccisa se, nel tornare a prenderla, avrebbe annusato -col suo fiuto infallibile- odore di birra. Oh, ma chi se ne frega, Daff! Sicuramente più di quanto pensasse. «Come ai vecchi tempi.» Si strinse nelle spalle, annuendo un paio di volte con la testa. «Bhè.. Chi sono io per rifiutare una birra scroccata? Suppongo che però, stavolta, dovrai fare tutto da solo.» asserì con aria consapevole. «Non credo di avere passo felpato e furtivo, in questo momento..» indicò la stampella con un gesto del capo. «Ma se vuoi, però potrei fare da diversivo.. Sono piuttosto brava a recitare.. » -seh, come no- «Abbiamo il pacchetto ”damigella in pericolo” dove posso far finta di affogare, di aver bisogno di aiuto, oppure il pacchetto “bacchettona” che consiste nel fare la vecchia indignata che “ma cos’è tutto questo fracasso, smettetela o chiamo la polizia, ai miei tempi qui erano tutti campi”. Ma oggi, e solo per oggi, in offerta abbiamo il pacchetto “molestatrice” in cui mi avvicinerò e fingerò di conoscere tutti come se la festa fosse mia.» Cercò di restare seria per tutto il discorso, come se cercasse di concludere una qualche vendita, ma alla fine non poté fare a meno di rendersi conto che stava sorridendo. Non ricordava l’ultima volta che aveva detto così tante parole in una sola frase. «A te le redini della missione.»

     
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    «Tom?», lo sguardo del ragazzo interpellato si fa buio per un attimo. «E che - c'è bisogno di chiederlo?», domanda retoricamente, riservandole un'occhiata di quelle fintamente offese. «Passano giusto un giorno o due -», in una scala di misura del tempo che chiaramente non esiste da nessuna parte, dato che in realtà ne è trascorso molto di più, «- e già ti fai venire le crisi su come mi chiamo? Aho, Daff. Sei fatta proprio stronza.», scoppia dunque in una risata, a sottolineare quanto poco se la sia presa - lui che, di fatto, non se l'è mai davvero presa con nessuno. Della serie che per far rimanere male Thomas Roy ci vuole ben altro che un po' di titubanza su come si chiami - per altro, lui stesso è rimasto di stucco quando, esattamente alcuni secondi prima, ha riconosciuto la Baker della sua adolescenza, tanto da essersi rivolto a lei prima in tono più distaccato, Daphne, e poi come l'ha sempre chiamata, Daffy. «Oh, nessun problema. Dimmi solo a quale indirizzo dovrò mandare il conto della lavanderia..», accoglie di buon grado le pacche sulla schiena che la Grifondoro gli riserva, e ribatte subito alla sua presa in giro con una allo stesso modo teatrale: «Ma certo, tira un po' fuori carta e penna che te faccio l'elemosina, rockstar!», battuta che, pronunciata dalle labbra di un ragazzo totalmente average, quanto meno quando si parla di soldi in tasca - anzi, da un ragazzo che spesso deve stare attento e tirare un po' la cinghia -, risulta dichiaratamente poco credibile. Battute a parte, ad ogni modo, il signor Roy non può ignorare lo stato di salute della Baker - sarebbe da maleducati far finta di nulla, così come da maleducati insistere troppo, per cui si limita a porre una domanda semplice e diretta, giusto per assicurarsi che vada tutto bene. Quando Daphne risponde: «Oh, è... Una lunga storia..», Tom comprende che è giunto il segnale di non indagare oltre. Ed è quello che fa, nel rispetto della volontà della mora. «Per Morgana. Odio le lunghe storie!», strabuzza gli occhi, mentendo - ma nell'intento comunque di metterla a proprio agio. Non voglio che tu ti senta costretta a raccontare, fallo solo se ti va. Per cambiare argomento, dunque, batte sul motivo per cui si trova in spiaggia - a parte il surfare sulle onde dell'oceano, ovvio. Si tratta del compleanno dei due gemellini, ed è nelle sue intenzioni tenerli d'occhio senza tenerli troppo d'occhio, o potrebbero accusarlo d'essere un fratello maggiore eccessivamente invadente. Insomma: è andato per farsi i cazzi propri, ma ogni tanto sbircia in direzione del gruppetto giusto per assicurarsi che dal falò non venga fuori un incendio. «Bhè.. Chi sono io per rifiutare una birra scroccata? Suppongo che però, stavolta, dovrai fare tutto da solo. Non credo di avere passo felpato e furtivo, in questo momento..», Tom annuisce, rassicurato dal fatto che Daffy sembri in grado di riuscire persino a scherzare sul proprio stato di salute. Questo è di certo un buon segno, molto migliore di quel muso lungo che le ha visto stampato in faccia minuti prima. «Ma se vuoi, però potrei fare da diversivo.. Sono piuttosto brava a recitare.. Abbiamo il pacchetto ”damigella in pericolo” dove posso far finta di affogare, di aver bisogno di aiuto, oppure il pacchetto “bacchettona” che consiste nel fare la vecchia indignata che “ma cos’è tutto questo fracasso, smettetela o chiamo la polizia, ai miei tempi qui erano tutti campi”. Ma oggi, e solo per oggi, in offerta abbiamo il pacchetto “molestatrice” in cui mi avvicinerò e fingerò di conoscere tutti come se la festa fosse mia. A te le redini della missione.», il Grifondoro deve sforzarsi per trattenere le risate. Alla fine, chiaramente, non ce la fa.
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    «Devo ammettere che pagherei Galeoni su Galeoni per veder messi in scena tutti e tre i pacchetti in questione.», inizia il signor Roy, per poi continuare: «Ai fini del nostro scopo, comunque, escluderei l'opzione damigella in pericolo. I gemelli so' troppo presi dai fattacci loro, al momento..», con lo sguardo, indica un Timmy impegnatissimo ad aggrovigliare la propria lingua a quella di una tipa sconosciuta. Beh, goditela, fratè. «Quanto al pacchetto molestatrice, direi piuttosto che sarebbero loro a molestare te. Vuoi che il cento per cento di quei pischelli non conosca la cacciatrice delle Holyhead? Su, un po' di razionalità.», inarca le sopracciglia, Tom, rivolgendole un sorriso beffardo. «Il piano della vecchia indignata mi sembra il migliore. Spari due urletti da rompicazzi e, appena io ho fatto, te ne esci con la magica frase de "ah, questi giovani d'oggi".», con un cenno d'assenso, il Grifondoro suggella il patto. «A me le redini della missione, a te l'onore di aprire le danze, miss.», commenta infine il malandrino, ritirandosi in disparte in attesa che il tempo sia propizio. Agisce quando vede la Baker mescolarsi alla folla di giovani marmocchi, che subito entrano sulla difensiva iniziando alcuni a piagnucolare, altri a cercar di difendere la propria posizione. Timmy continua a slinguazzarsi la rossa di prima. Theresa è in acqua a giocare a pallavolo. Tom ha dunque il via libera. Si affaccenda con le borse frigo che lui stesso ha trasportato per conto dei fratellini, castando su di sé un incantesimo di Disillusione giusto per precauzione. Cinque birre, un pacco di nachos, uno di patatine al formaggio. Forse ha rubacchiato un po' troppo. Sta di fatto che non ci pensa neanche un istante, si dilegua convinto di non aver assolutamente fatto nulla di male. E quando scorge la Baker di ritorno dalla propria prova, fa partire una sorta di piccolo applauso improvvisato: «E l'aperitivo al tramonto è servito!», tronfio del proprio bottino, Tom stappa con la bacchetta due birre e ne offre una alla partner in crime di quel tardo pomeriggio. «E allora, miss, che mi racconti? Qualche bel progetto di cui hai fatto parte di recente e che ti ha vista coinvolta..?», sinceramente interessato a scoprire di più sull'amica perduta e adesso potenzialmente ritrovata - senza tuttavia andar troppo sul personale, perché intuisce ci siano elementi che la Baker non voglia tirare in ballo, quanto meno non adesso - Tom attacca bottone e fa conversazione come sempre è stato in grado di fare. «Dal canto mio, devo annunciarti che sei ufficialmente invitata all'inaugurazione della Roy Enterprise inc. E' l'azienda che ho appena lanciato con papà. Sai.. Da bravi vecchi spiderman di quartier- ehm, idraulici/operai di quartiere, sogniamo in grande di diventare architetti. Quindi se ti dovesse tornare utile ristrutturare casa o che so io.. Sai chi chiamare.»

     
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    «E che - c'è bisogno di chiederlo? Passano giusto un giorno o due e già ti fai venire le crisi su come mi chiamo? Aho, Daff. Sei fatta proprio stronza.» Le è impossibile non sorridere, cavalcando la scia della risata di Thomas che tutto appare meno che uno che se l’è presa davvero. E di questo Daphne aveva bisogno: leggerezza, una parentesi, un respiro tra le note. Riusciva a mettersi nei panni dei suoi genitori, al posto di sua madre quando la riempiva di chiamate e si arrabbiava quando non rispondeva. Riusciva a capirli, ma era impossibile non sentirsi in gabbia. Una gabbia dorata, ricca di ogni possibile comfort, la gabbia di una principessa viziata. Ma sempre di una gabbia si trattava. I suoi ricordi prima del risveglio in ospedale sembravano una vita non sua, una storia letta su un libro, uno di quelli capaci di trasportare altrove un lettore dalla vita tranquilla. «Io non sono cattiva, è che mi disegnano così.» asserì con nonchalance, stringendosi nelle spalle, come se fosse la cosa più naturale del mondo. «Ma certo, tira un po' fuori carta e penna che te faccio l'elemosina, rockstar!» Stavolta rise davvero. Non fu solo un sorriso, ma qualcosa di più, una risata strappata alle sue labbra. Thomas era uno dei personaggi di quel libro, quello che aveva letto, quello appartenente all’altra Daphne. Come poteva essere lì? Era come un filo invisibile in grado di unire la sua vita precedente a questa. Allora tutte quelle cose le aveva vissute davvero, non erano solo un sogno offuscato. E di un amico, in quel momento, ne aveva davvero bisogno. «Per Morgana. Odio le lunghe storie!» Sì. Ne aveva davvero bisogno. E’ felice che la conversazione viri immediatamente in un’altra direzione, verso argomenti più leggeri, idonei a quella bella giornata di sole e alla sabbia sotto i piedi. «Devo ammettere che pagherei Galeoni su Galeoni per veder messi in scena tutti e tre i pacchetti in questione. [...] Il piano della vecchia indignata mi sembra il migliore. Spari due urletti da rompicazzi e, appena io ho fatto, te ne esci con la magica frase de "ah, questi giovani d'oggi". A me le redini della missione, a te l'onore di aprire le danze, miss.» Ci siamo. Era davvero pronta a farlo? Non la scenata, sia chiaro. Di quelle ne aveva fatte a bizzeffe nella sua vita, soprattutto quando era un po’ brilla. La verità era che non sapeva quanto fosse pronta a tornare alla vita, quella alla quale ripensava spesso. Avvicinarsi a tutta quella gente.. Le uniche persone con cui aveva parlato negli ultimi tempi erano i suoi genitori, suo fratello e i medici. Forse aveva dimenticato come si faceva e ora che il momento era arrivato pensò che forse avrebbe fatto meglio a ritrattare. Magari sarebbe stato meglio lasciar andare avanti Thomas, restarsene in disparte ad attendere. Non sapeva neppure se sarebbe riuscita a raggiungere il gruppo senza inciampare. Aveva ancora i pantaloncini completamente fradici dopo che il suo equilibrio aveva deciso di venir meno lungo la riva. Non ricordava di essersi mai sentita così poco sicura di sé. Neppure alla sua prima partita di Quidditch, neppure al suo provino perle Holyhead Harpies, neppure quando aveva giocato per la prima volta come titolare. Lanciò un’occhiata all’ex compagno di Casa e poi guardò di nuovo verso i ragazzi. Daphne Baker non sei una codarda. Ispirò profondamente e poi affondò il primo passo sulla sabbia. Restò immobile per qualche secondo, come se volesse testare l’equilibrio. La testa non girò. Tornò a guardare Thomas. «Puoi tenermi questa?» chiese allungandogli la stampella. Poi tornò a concentrarsi sui suoi passi. Prima un piede, poi l’altro. Sapevano farlo anche i bambini. Respirò l’aria di mare, la salsedine, l’aria tiepida di quel pomeriggio. Per un attimo si sentì un poco più coraggiosa. Arrestò i suoi passi e si schiarì la voce, senza sapere esattamente a chi doveva rivolgersi. Nessuno si accorse di lei. Forse la musica era troppo alta, forse erano troppo interessati a mangiarsi la faccia a vicenda -perché quello non poteva certo essere definito “baciarsi”-. Per un momento ebbe l’impulso di mettersi a ridere. Da quando si trovava dall’altra parte di una festa del genere? L’ultima volta che aveva controllato la carta d’identità aveva 21 anni. Legalmente aveva l’età per bere. Legalmente. Ora. Si schiarì ancora la voce, stavolta più forte e con maggior decisione, ma ancora una volta nessuno parve accorgersi di lei. Si voltò, alla ricerca della figura di Thomas lì nel punto in cui l’aveva lasciato, decisa a fare un’alzata di spalle come a voler dire “niente da fare”, ma fu in quel momento che una voce la fece sobbalzare. «OH MERLINO, MA TU SEI DAPHNE BAKER!» Eeeeh? «Cosa?? La Baker??» «E’ lei! Oh, mamma, posso avere un autografo??» Ed eccola là, Daphne Baker, circondata da un gruppo di ragazzini, che teneva la bocca spalancata e cominciava a sembrare seriamente una statua di sale. Non che la gente non la riconoscesse più, ma da quando c’era stata la scissione tra Stato di Inverness e Stato Inglese, la gente sembrava interessata a tutt’altro. Il Quidditch, gli stadi gremiti di gente, i fan che intonavano inni sulla squadra e sui giocatori sembravano ormai ricordi che appartenevano a qualcun altro. «Oh, ecco… Io...» riuscì a balbettare qualcosa, ancora sorpresa. «Sì, certo.» La ragazzina che le aveva chiesto l’autografo squittì di felicità, cominciando a rovistare nella borsetta per poi tirarne fuori una penna a sfera e un pezzo di carta. Daphne ci scrisse sopra il proprio nome e la ragazzina la ringraziò tanto. «Anche a me, ti prego!» «A me puoi autografare le tette?» «Come?» [...] Pochi minuti dopo, ancora un po’ stordita, stava facendo dietrofront in direzione dell’ex compagno di Casa. Notò il bottino che aveva racimolato ed esibì una faccia compiaciuta, annuendo appena con il capo. «E l'aperitivo al tramonto è servito!»
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    «Ti rendi conto che ci siamo ridotti a fregare delle birre a dei ragazzini?» constatò come se si trattasse della cosa più scabrosa del mondo. «Dici che abbiamo sbagliato qualcosa nella vita?» Si lasciò infine andare in una risata. Si sentiva più leggera in qualche modo. «E comunque cos’hanno i giovani d’oggi? Cioè, una tipa mi ha chiesto di autografarle le tette!» Perché, scusa, tu non lo avresti chiesto ad Oliver Baston se solo si fosse presentata l’occasione? Sì, ma quella era un’altra storia. Accettò la birra, piegandola appena verso il ragazzo come a voler proporre un brindisi. Facendo attenzione si inginocchiò, impegnandosi per non perdere l’equilibrio, riuscendo finalmente a sedersi sulla sabbia asciutta, aiutandosi con una mano poggiata a terra, mentre con l’altra teneva ben saldo il collo della bottiglia di birra, cauta nel non farla scivolare. Quando fu comoda strofinò la mano sui pantaloncini per pulirla dai granelli di sabbia. «E allora, miss, che mi racconti? Qualche bel progetto di cui hai fatto parte di recente e che ti ha vista coinvolta..?» Daffy si portò la bottiglia alle labbra, bevendo un piccolo sorso, come a voler saggiare la bevanda. Con i farmaci e tutto il resto, non aveva più toccato un goccio d’alcol da prima dell’incidente. Si chiese se davvero Thomas non si fosse mai imbattuto in un articolo che parlasse del suo incidente. Mamma e papà avevano fatto di tutto per far trapelare meno informazioni possibili, ma era stato impossibile fermare la piuma di qualche giornalista. Daphne non solo era una giocatrice di Quidditch, ma era anche la figlia di un Ministeriale americano in pensione. Comunque fosse, era felice di poter parlare con qualcuno che non la trattasse come se fosse malata. Si strinse nelle spalle, distendendo le gambe difronte a sé. «In realtà devo ancora adattarmi a tutta questa nuova.. Situazione Non sapeva ancora come definire la condizione politica che stavano affrontando in quel momento. «Mio padre nonostante sia in pensione è stato richiamato al Ministero per non so quale motivo. A casa è sempre molto serio e non parla volentieri di ciò che succede al lavoro..» storce un po’ il naso accennando un sorriso che non ha per niente il sapore dell’allegria. Si rese conto che la conversazione si stava facendo troppo seria e voleva assolutamente evitare tutto quello. «Cioè, immagino che gli abbiano rovinato non poco i piani.. Lui e la mamma avevano cominciato a girare qua e là per il mondo come due giovani e freschi sposini e poi BOMMM! scoppia tutto questo casino. Neanche io sarei troppo socievole dopo una cosa del genere.» si strinse nelle spalle esibendo un’espressione esageratamente scocciata. «Per il resto potrebbe andare meglio, ma come si dice, anche peggio..» Alla fine piangerti addosso per tutto questo tempo non è servito a nulla, vero Daff? Tanto vale buttarci in mezzo una dose di ottimismo «Dal canto mio, devo annunciarti che sei ufficialmente invitata all'inaugurazione della Roy Enterprise inc. E' l'azienda che ho appena lanciato con papà. Sai.. Da bravi vecchi spiderman di quartier- ehm, idraulici/operai di quartiere, sogniamo in grande di diventare architetti. Quindi se ti dovesse tornare utile ristrutturare casa o che so io.. Sai chi chiamare.» Le labbra della Grifondoro si allargarono in un enorme sorriso e i suoi occhi si allargarono per la sorpresa. La verità era che aveva bisogno di nutrirsi di buone notizie e quella giornata sembrava essere una parentesi di spensieratezza tra le altre tutte uguali. «Dici davvero? E’ incredibile! Che dire? Un brindisi alla tua nuova avventura!» Fece cozzare la propria bottiglia contro la sua. «E quando farete l’inaugurazione?»

     
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