behind blue eyes;

privata

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    “Tu sei sicura di questa cosa.”
    “Certo che sono sicura, Luke.”
    “E se non funziona?”
    “Funzionerà.”
    “Ma nessuno è mai riuscito a entrare nelle altre sale comuni.”
    “Non è vero.”
    “Alex! Andiamo! Tuo zio ti direbbe persino che è andato sulla luna pur di farti sorridere. Ti adora!” Aleksandra poggia l'indice sulle labbra di Luke Carrow, fermandosi dalla sua camminata altezzosa. Sorride e poi poggia le delicate mani sulle spalle del ragazzo.
    “Ronald Weasley è tutto fuorché bugiardo. A dire il vero, quell'uomo non sa dire le bugie.”
    “E se non funziona?”
    “ANCORA! FUNZIONERA'!”
    “Ma c'è una remota possibilità che non funzioni.”
    “Me ne assumerò le conseguenze.”
    “Quella parola non esiste nel tuo vocabolario, Alex. Conseguenze? E poi perché io? Potresti chiederlo alle tue amichette superinfluenti.” Il tono leggermente isterico del giovane Carrow obbliga la ragazza ad alzare gli occhi al cielo e mostrargli uno di quegli sguardi insistenti, colmi di significato. In una cosa Aleksandra non fallisce mai; negli sguardi, in generale. Che siano essi freddi, esasperati, imploranti. A quegli occhioni non si dice mai di no.
    “Andiamo Luke! A chi dovrei chiederlo? A Mya? E' Caposcuola. Per quanto tra noi possa scorrere buon sangue, sono pur sempre una Serpeverde, e lei è una Grifondoro. Dovrei chiederlo a Deliah? Oltre ad essere Prefetto, se la fa con mio fratello.” Una smorfia di disgusto compare sul viso della ragazza, che tuttavia viene sostituita all'istante da un sorriso smagliante. “E' probabilmente molto più amica sua, che mia. Gli amici con benefici hanno sempre una marcia in più.” A quel punto Luke non può fare a meno di scoppiare in una cristallina risata che mette di buon umore Aleksandra. Le passa una mano attorno alle spalle e la fissa con uno sguardo malizioso.
    “Anch'io potrei esserti più amico...”
    “Non fare l'idiota, Carrow.”
    “No, sul serio, perché James si becca le ragazze fighe, e anche le sorelle fighe?”
    “Perché ha il culo di una balena.”
    “Questa era cattiva... James è molto snello.”
    “HA HA HA... molto spiritoso.” Continuano a camminare, questa volta a braccetto, più lentamente. La ragazza sistema appena i capelli fiammeggianti di lui e insieme si perdono sui corridoi del castello, dirigendosi molto lentamente verso la biblioteca, luogo primordiale delle secchione, e della loro vittima number one.
    “Io dico che è davvero sfortunato. Insomma, una sorella come te? Sei troppo possessiva; inoltre non puoi reagire di merda ogni qual volta una ragazza gli si avvicina.”
    “Io non reagisco di merda!”
    “Oh davvero?” Silenzio. Troppo silenzio.
    “Ha parlato quello con la sorella molto normale.” Luke annuisce, emulando l'espressione di uno immerso in calcoli di una precisione immane.
    “Touché. In effetti non hai tutti i torti. Glielo farò notare! SI! Dirò a mia sorella che è troppo... TROPPO TUTTO.” E infine ridono di nuovo assieme. Rubare una ciocca di capelli biondo grano di quella Grifetta insignificante del settimo anno, non era stato affatto difficile per Luke. Quando voleva, diventava un ragazzo davvero ingegnoso, così, non appena raggiungessero la biblioteca, Luke si sedette accanto a lei, iniziando a parlarci del più e del meno. E cavolo! Persino Aleksandra pensò che il ragazzo aveva un sorriso smagliante e uno sguardo affascinante se s'impegnava. Tuttavia, quello non era il Luke che lei conosceva. E a dire il vero, le piaceva ben poco quella versione di lui. Eppure, una volta usciti dalla biblioteca, mezz'ora più tardi, Luke sfilò dalla tasca la ciocca ottenuta chissà come. Meritava il premio della mano più veloce del west.
    “Mi devi un pranzo, e una cena. E anche una scorta da Mielandia.”
    “Affare fatto.”
    “E voglio quel orecchino che hai rubato a James l'anno scorso.” Di fronte a quella richiesta Aleksandra rimane interdetta e lo fissa stranita riducendo gli occhi a due fessure. “CHE C'E'! L'HO VISTO SUL TUO COMODINO!” Alza le mani a mo di arresa e le scompiglia i capelli, riponendo nella tasca del mantello della ragazza la ciocca di capelli. “Buona fortuna.”
    “Grazie Luke!” E dicendo ciò lo abbraccia amorevolmente. Incredibile come con lui sia tanto facile essere spontanea, addirittura dolce, semplice. Nessuna maschera, nessun trucchetto nascosto nella manica.
    “A proposito, dovrai spiegarmi perché non vi parlate voi due.”
    “NO.”
    “Me lo devi.”
    “Vaffanculo Luke!” Le dice dandogli le spalle, dirigendosi di buon grado verso i sotterranei.
    “Anch'io mi voglio bene!” A quel punto Alex gli mostra il dito medio, accompagnato dalla linguaccia e un sorriso a trentadue denti.


    Sale le scale di pietra seguita da Lady a breve distanza. Segue diligentemente un gruppetto di Grifondoro del quarto anno che la salutano con un che di rispettoso; c'è ammirazione nei loro sguardi, e Aleksandra riesce anche a percepire il motivo; Lei è bella, attraente, brillante. E' tutto ciò che la piccola Potter non sarà mai. A quanto pare, Janis Waldorf è anche una alquanto famosa tra i suoi, oltre ad aver attirato l'attenzione della persona sbagliata. Ecco, riesce a capire per quale motivo James le abbia regalato le sue attenzioni. Oppure no. No. Aleksandra non lo capirà mai, e anche se dovesse capirlo, non lo capirebbe lo stesso. Negli ultimi giorni l'aveva visto sempre in compagnia della ragazza. La prima volta fu alquanto scioccante. Vederla a braccetto con suo fratello mentre passeggiavano assieme sulle strade affollate di Hogsmeade, le aveva fatto passare persino l'appetito di dolciumi. Judas Godfrey non ci aveva fatto molto caso in quell'occasione. Forse perché in fin dei conti, persino lui, se ne era accorto degli improvvisi cambiamenti di umore di Aleksandra non appena vedeva il fratello, e come la maggior parte della gente che vedeva il suo comportamento decisamente egoista, la ignorò. La moretta, sapeva quanto al fratello piacesse crogiolarsi nelle amorevoli compagnie del gentil sesso, ma non aveva mai messo in considerazione la gelosia e addirittura l'invidia che avrebbe provato nei confronti di quelle oche, non appena avrebbero litigato. Questo non era tuttavia uno dei soliti litigi. Di sciocco o di insignificante non aveva ormai più nulla. James era convinto che Aleksandra fosse il nemico. In un modo del tutto malato, denigrava la sorella solo perché era tale. Perché un antico quanto malato diario parlava di lei come di una fonte di male incessante. Al solo pensiero, Janis, o quella che si pensava fosse Janis, chiude gli occhi e scuote la testa. Si concentra piuttosto su domande sciocche; si chiede ad esempio come stia andando il fantomatico appuntamento improvvisato tra Luke e la vera Janis. Era ovvio che in qualche modo avrebbero dovuto tenerla occupata mentre lei svolazzava liberamente in giro per i dormitori maschili dei Grifondoro. Sperava potesse venir fuori qualcosa di buono da tutta quella situazione. Chissà, forse Janis era davvero simpatica, forse lei e Luke sarebbero usciti assieme anche altre volte, e forse il fiammeggiante ragazzo di fuoco, come amava chiamarlo lei in modo del tutto irrazionale, avrebbe avuto la possibilità di superare la storia straziante con Robin Sullivan. Irrazionalmente, voleva sin troppo bene a quel ragazzo. Si sentiva legata a lui da un filo impercettibile. Non sapeva resistergli, così come d'altronde, lui non poteva resisterle. Ed era dannatamente strano, poiché Aleksandra poteva vantare pochi veri amici, e quei pochi, conquistati dopo anni ed anni di fatiche. Eppure Luke era stato un fulmine a ciel sereno. Con lui tutto era stato così facile, così spontaneo. Spontaneo, ecco. Un'altra parola il cui significato, Aleksandra, pensava di aver perduto molto tempo addietro.
    Si stringe nelle spalle mentre sale ancora scale di pietra, lasciandosi guidare dal gruppetto. E' domenica sera. Niente divise, per fortuna, altrimenti non avrebbe saputo come trovare anche una divisa dei Grifondoro, senza farsi beccare da qualcuno. Indossa il maglione di James, quello che le sta il doppio, quello che gli ha rubato mentre lui sistemava la sua valigia, pochi giorni prima che tornassero a Hogwarts. Il ragazzo, non avendo il coraggio di chiederle dove fosse sparito, aveva incolpato chiunque dentro casa, urlando e disperandosi per la sua scomparsa. Ma in fin dei conti, tutti sapevano probabilmente chi fosse il ladro; l'unico problema era che nessuno aveva avuto il coraggio di pronunciare il suo nome. Odorava di James, come sempre, come tutti i vestiti che gli ha rubato. Tutti odorano di James, perché James sa di buono, di fresco, sa di dolce, sa di atmosfera famigliare, sa di calore. Ed è un profumo saporito che inonda le narici e il palato a tal punto da inebriare la ragazza. Affonda infatti, in un momento di debolezza, il nasino alla francese nel maglione e ispira lungamente, senza nemmeno far caso a chi le sta attorno. D'altronde Janis non è Aleksandra; è questo il bello di Janis; nessuno si gira se ha storto il naso o se ha sorriso in un particolare modo, nessuno si stranisce se Janis porta un maglione da uomo o jeans troppo larghi, o anfibi misura 42, come minimo tre taglie più grossi dei suoi piedini. Nessuno si girerebbe scandalizzato se Janis avesse gli occhi rossi, o se Janis ridesse in modo isterico, perché fondamentalmente Janis è una ragazza normale, ed è una ragazza fortunata, perché s'intrattene quotidianamente con James Potter da almeno due settimane. Infine eccola, Janis e il gruppetto del quarto anno, di fronte al dipinto della Signora Grassa al settimo piano. Ella sorride gioiosa e si apre di fronte ai suoi piccoli folletti non appena uno di loro pronuncia la parola segreta. Aleksandra non si scomoda di sentirla. O forse lo fa di proposito! Incredibile quanto quella ragazza sia bastarda! Ma quando si tratta di suo fratello, non farebbe nulla che potesse tradirlo, nemmeno inconsapevolmente. E lo sa; sa che conoscere uno dei suoi segreti è sinonimo di tradimento, tanto quanto sa che prendere le sembianze di Janis è sbagliato.
    La sala comune dei Grifondoro è diversa, è più calda, più accogliente, più piccola rispetto a quella dei Serpeverde, ma è animata da sorrisi, da un chiasso che rallegra questa tenera osservatrice. Per un istante, quella particolare Janis si sente un pesce fuor d'acqua è rabbrividisce. Se solo il cappello l'avesse mandata là su, persino la sua vita sarebbe stata diversa. I colori rosso oro, imperlano l'intero ambiente in una sintonia piacevole che si sposa alla perfezione col fuoco scoppiettante e coi maglioni altrettanto fiammeggianti su cui domina lo stemma di Godric. Ma quella Janis non si ferma. Si guarda attorno, e infine individua la scala a chiocciola alla fine della quale, su un lungo corridoio circolare sboccavano le stanze dei ragazzi. Aleksandra aveva memorizzato quel posto quando Albus le mostrò la Mappa del Malandrino l'anno precedente. Era tutto lì, radicato nella sua mente, come tante altre cose. Ancora una volta, la sua straordinaria memoria fotografica l'aiutava a evadere da problemi inutili. E così, sale altre scale di pietra, ritrovandosi su quel meraviglioso corridoio all'insegna del rosso oro. Guarda le incisioni sulle porte. Nomi di persone che conosce; nome di gente che normalmente eviterebbe a prescindere ma alla quale, quella Janis era obbligata a sorridere quel giorno. Infine, si ritrovò di fronte a quella particolare porta, simile alle altre, su cui era tuttavia inciso a fuoco il nome di James Potter e del suo compagno di stanza.
    Ed è pronta a bussare, Aleksandra, quando, quel tipo rossiccio le si palesa praticamente di fronte. “Cristo Waldorf mi hai fatto prendere un colpo!” La ragazza lo guarda allibita e poi sorride. Ed è un sorriso sincero. Quel ragazzo l'ha sempre messa di buon umore nonostante avesse sempre finto avversione nei suoi confronti. “Oddio! Ma che ti è successo! Cazzo sei uno schianto.” Le dice avvicinandosi a lei a tal punto da sentire il suo respiro sul viso.“Ma di cosa parli?” Il ragazzo tira fuori dalla tasca della felpa un frammento di specchio che le avvicina al viso. “Non so come tu abbia fatto ma sono meravigliosi.” Le dice, mentre quella Janis avvicina il viso al frammento di specchio, capendo. I suoi occhi erano fondamentalmente di un verde torbido; eppure, quegli occhi palesati nel riflesso erano uno specchio di acqua limpida, blu come il cielo, profondo come un oceano. Per un secondo la mente corse a quei contrabbandieri di Hogsmeade dai quali aveva comprato la Polisucco. Mai fidarsi degli spacciatori! Che vendano essi droga o pozioni a poco prezzo, c'è sempre qualcosa che non va. E ora capisce, Aleksandra, capisce perché. Qualunque cosa ci fosse di strano nella sua Polisucco, non aveva sconfitto il bellissimo colore dei suoi occhi. “James è appena sprofondato nel sonno. Forse dovresti passare più tardi. Sai, gli allenamenti lo sfiniscono.” “No... no...” No no cosa Janis? Cosa hai da dire? Vuoi dirgli che hai a disposizione solo un'ora? Forse addirittura di meno vista la pozione tarocca? “Aspetterò che si svegli.” Il rosso annuisce e si dirige a passo felpato verso la sala comune, lasciando una Janis del tutto assente imbambolata di fronte alla porta di James Potter. Dovrebbe bussare, e invece, abbassa la maniglia con cautela e s'immerge nell'ambiente armonioso della stanza. Una stanza da ragazzi, coi suoi alti e bassi, come ogni stanza in cui due maschi sedicenni sono costretti a condividere le proprie giornate. Poster di donne alquanto succinte, poster di squadre di Quidditch, post it ovunque, vestiti buttati in giro per la stanza, bottiglie vuote, pergamene scarabocchiate; insomma tutto ciò che fa la stanza del tipico maschio inglese. Si chiude la porta alle spalle serrandola con la chiave per poi andare a sedersi ai piedi del letto del ragazzo. Nel sonno, James è uno smorfioso. Si agita, corruga la fronte e poi la rilassa, come se stesse vivendo un'avventura meravigliosa là, nella sua mente dalle mille sfumature. Lei sorride, e istintivamente gli accarezza i capelli, lasciando che la mano scivoli delicatamente sulla guancia di lui. Due ragazzi, due spiriti così lontani eppure così vicini, illuminati dallo stesso raggio lunare, pallido e freddo a dismisura, che irrompe violentemente nella stanza, dalla finestra accanto al letto del ragazzo. Lei si siede per terra, appoggiando la nuca contro il materasso, si passa una mano tra i capelli d'oro, e aspetta. Cosa sei venuta a fare Aleksandra?
     
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  2. lionheart.
         
     
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    tumblr_m2qwn0CGOa1r9a8hbo1_500JAMES SIRIUS POTTER

    « Abbandonare. Fare un piacere a qualcuno, liberandolo della vostra presenza. »
    [Ambrose Bierce.]

    Il ricciolo dorato si srotolò all'istante quando, rilasciato e liberato dalla pressione esercitata dal pollice, con uno scatto si sottrasse il dito indice a cui era attorcigliato e ritornò al suo posto, insieme agli altri innumerevoli riccioli dorati che ricadevano sul seno della ragazza e lo valorizzavano.
    Janis Waldorf aspettava, giocherellando nervosamente con i capelli e tamburellando impazientemente le dita sul tavolo dei Grifondoro, che James Potter si degnasse di scendere per la colazione. Non aveva ancora toccato cibo, ansiosa com’era di parlargli. La sera prima gli aveva espressamente detto che non avrebbe tollerato ritardi a colazione, eppure James sembrava prendersela con comodo come al solito. Irritata da questa constatazione, inspirò profondamente per evitare di perdere le staffe non appena egli avrebbe portato le sue chiappe d’oro in Sala Grande. Nel frattempo si distrasse piluccando il cibo svogliatamente, infilzandolo con la forchetta per poi rilasciarlo. Essere la ragazza di James Potter aveva, come ogni situazione, i suoi aspetti positivi e i suoi immancabili risvolti negativi. Bisognava accettare una serie di cose, tra cui il trovarsi al terzo posto nella scaletta mentale delle priorità di James; al primo posto, insostituibile, c'era la famiglia, mentre al secondo c'era il Quidditch. Non c'era modo di scalare la vetta e piazzarsi al primo posto, dominando su tutto il resto. Su questo bisognava rassegnarsi subito, perché sperare che ciò cambiasse equivaleva ad un continuo illudersi.
    Fece il suo ingresso in Sala Grande con circa quindici minuti di ritardo, il giovane Potter, ostentando il suo solito passo lento e sicuro. Janis sollevò lo sguardo infuriato su di lui, pensando a quanto fosse noncurante persino nel suo modo di camminare. Non sembrava sentirsi in colpa per il ritardo e, come se ciò non bastasse, non aveva rivolto a lei il suo primo sguardo: non la guardava mai per prima. Il suo sguardo saettava immediatamente al tavolo dei Serpeverde verso sua sorella Aleksandra, ma non appena quest'ultima, sentendosi osservata, ricambiava lo sguardo, James lo spostava altrove con notevole disinvoltura cosicché lei non si accorgesse di nulla. La guardava, quindi, non tanto per stabilire un contatto visivo, né per studiare un qualsiasi approccio; non aveva secondi fini pratici proprio perché la cercava segretamente, senza mai farsi notare. James la guardava soltanto per assicurarsi che stesse bene, che fosse ancora presente nella sua vita; consapevole della loro distanza ma non ancora pronto a lasciarla definitivamente andare. Janis avrebbe dato tutto pur di ricevere quelle attenzioni da parte di James, ma nulla sembrava mai abbastanza, niente riusciva a garantirle che nel momento in cui James la stringeva a sé egli non stesse in realtà pensando a qualcos’altro. Quindi ogni volta lo guardava avanzare da una certa distanza, realizzando inevitabilmente che James non aveva affatto paura di perderla e che forse il problema non era lei. Eppure, a volte, era più facile incolpare se stessa che cercare una verità più scomoda e dolorosa.
    Solo dopo qualche secondo guardò Janis, rivolgendole un sorrisino divertito e, vista la situazione, tremendamente irritante per lei. Le si sedette affianco, allargando il sorrisetto come se stesse aspettando un rimprovero.
    - Sei in ritardo. - Gli fece immediatamente notare, spostando lo sguardo dinanzi a sé: non riusciva mai a guardarlo e a mantenere contemporaneamente un’espressione seria.
    - Mh. Forse sei tu in anticipo. - Ribatté il Grifondoro, avvicinandosi giocosamente alla ragazza. - Giusto per essere precisi, non mi hai dato un orario. Hai detto che ci saremmo visti a colazione, ed eccoci a colazione. - Continuò, posandole due dita sotto il mento per farla voltare in sua direzione. Janis gli diede un piccolo schiaffetto sulle mani, stizzita.
    - James, devo parlarti. Smettila. -
    - Ma stai fissando il muro. -
    - Be’, a volte parlare con te e parlare col muro è la stessa cosa. -
    - Certo, siamo entrambi molto… Duri. - La provocò per l’ennesima volta, rivolgendole un sorriso malizioso ed eloquente così da sottolineare la battutina a sfondo sessuale. Janis si sforzò a trattenere l’ilarità, ma si lasciò scappare un mezzo sorriso che non sfuggì a James; quest’ultimo ridacchiò, di buonumore, prendendo a stamparle dei leggeri baci sul collo per calmarla.
    - Oggi pomeriggio ci vediamo? -
    - Non posso, ho gli allenamenti di Quidditch. -
    Janis sbuffò, roteando gli occhi al soffitto. - E immagino che dopo vorrai dormire. - Completò la giornata di James, sospirando esasperata. La loro relazione sembrava essere sempre piena di ostacoli, alcuni più piccoli e altri invalicabili; mentre lei tentava sempre di appianare ogni superficie e superare ogni impedimento, James non collaborava assolutamente in nessun modo perché, sostanzialmente, per lui quegli ostacoli non esistevano. Per lui quella relazione non esisteva.
    - Allora, cos'è che dovevi dirmi? - La incalzò il Potter, puntandole i suoi grandi occhi sul viso. La disarmò all'istante, con un semplice sguardo, perché in esso vide fin troppo: un bravo ragazzo infastidito dalla sua stessa noncuranza, da quella sua incapacità di interessarsi a qualcuno che puntualmente lo distanziava da ogni cosa. Janis intuì che se solo l'amore fosse dipeso dalla volontà, James l'avrebbe indubbiamente amata fino allo sfinimento. Ma non era così, non poteva esserlo. L'amore, si sa, esclude a prescindere ogni forma di scelta.
    Abbassò lo sguardo sul cibo, Janis, e fece spallucce.
    - Niente, l'ho dimenticato. -

    La sua giornata andò esattamente come previsto: le lezioni la mattina, il pranzo, gli allenamenti di Quidditch il pomeriggio, una doccia veloce e subito dopo una sana dormita. Si gettò letteralmente sul letto, senza nemmeno essersi preso prima la briga di asciugarsi i capelli; questi, completamente fradici, lasciarono un alone freddo ben percepibile sul cuscino. Non era normale stancarsi in modo così eccessivo durante gli allenamenti, ma James dava sempre il meglio di sé e tendeva a sforzarsi più del dovuto; inoltre, quello era un ottimo metodo per non pensare. Tornando sempre più esausto in dormitorio, James si addormentava immediatamente senza avere nemmeno il tempo di riflettere. Era perfettamente consapevole della piega che avrebbero preso i suoi pensieri, se solo ne avesse assecondato la corrente: sarebbero partiti da un inizio guidato, ben scelto da lui, ma chissà come sarebbero puntualmente e inevitabilmente finiti su Aleksandra, la persona che più voleva evitare e allo stesso tempo avere accanto. Si era imposto di dimenticarla, ma paradossalmente questa sua stessa imposizione generò esattamente l'effetto contrario: essendo consapevole che era necessario dimenticarla, la sua mente dispettosa non faceva che ricordarla sempre in modo più vivido, più nitido.
    Non aveva mai avuto il sonno pesante. Sin da piccolo bastava pochissimo a svegliarlo, capriccioso e scontroso com'era; i coniugi Potter camminavano quasi sulle punte, quando entravano nella stanza dei gemelli. Eppure Ginevra ci cascava sempre. Guardandolo dormire, col nasino arricciato e la fronte corrugata, sorrideva e si chinava per accarezzarlo, per sfiorare i suoi capelli già ribelli e le sue guance morbide. E a quel punto, ogni benedetta volta, James si svegliava piangendo come un disperato.
    In quel momento, James percepì vagamente un contatto; il sogno scemò lentamente nella sua mente, lasciandosi dietro immagini oniriche sfocate, gradualmente spazzate via dall'oblio. Scivolò via dal sogno, la sua mente, come un guanto troppo grande che cade dalla mano e la lascia in balìa dell'aria gelida. Socchiuse gli occhi, ancora intontito, e cercò di abituare la vista all'ambiente che lo circondava: si sorprese persino di essere immobile, dato che fino al secondo precedente, in sogno, stava correndo spaventato; chi l'aveva salvato da quell'incubo? Chi, accarezzandolo, aveva fermato la sua disperata corsa per dargli sollievo?
    La luna spingeva i suoi raggi argentei sulle finestre e questi si proiettavano irregolarmente sulle superfici con quel tremolio causato dai piccolissimi, quasi impercettibili, movimenti della tenda che, in alternanza, dischiudeva e chiudeva il sipario. Spostando lentamente lo sguardo, vide i bellissimi capelli biondi di Janis che spuntavano dal copriletto, poiché dal suo punto di vista era seduta e voltata di spalle. Piegò le labbra in un sorrisetto compiaciuto e si mosse sul letto, mettendosi a pancia in giù. Le circondò il collo con le sue braccia, posando le mani sul suo sterno per stringerla a sé; il viso immerso nei suoi capelli biondi, ad ispirarne il profumo.
    - Mhm. - Mugugnò, la voce ancora smorzata dal sonno.
    - Hai cambiato shampoo? Mi piace. - Sussurrò, da sempre affascinato dai profumi delle persone e in particolare da quelli femminili. Ogni ragazza aveva un odore diverso, a suo avviso, e spesso ricordava così le sue numerose conquiste: dai loro profumi. Fu una fortuna che avesse solo sfiorato la pelle della ragazza, senza sentirne il profumo: avrebbe riconosciuto immediatamente Aleksandra.
    - Sai, la voglia di dormire mi è completamente passata... - Sussurrò nuovamente, stringendo la presa su di lei con una certa possessività e al tempo stesso, assurdamente, dolcezza.
    - Pensi di riuscire a escogitare qualcosa per intrattenermi? - Continuò, il tono pieno di malizia e le labbra sotto la sua mandibola, da dove iniziò a lasciarle una deliziosa scia di leggeri baci che si concluse alla base del collo. Non l'aveva ancora guardata negli occhi, come prevedibile: James non guardava mai le ragazze negli occhi in circostanze intime, perché significava introdurre anche l'anima e il cuore in quel trionfo della fisicità che era il sesso. Non si sentiva mai abbastanza rapito, abbastanza coinvolto o interessato. C'era sempre qualcos'altro da inseguire.
    L'anima e il cuore di James erano in una perenne fuga priva di destinazioni.
    « I'm brave up to the point of idiocy. »
     
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    “Signor Potter! E' inammissibile! E' la terza volta che non consegna i compiti.” Il professore di Storia della Magia gli sta urlando in faccia. Non è mai stato famoso per la sua diplomazia. E' un uomo in età che tuttavia fa di tutto per rendere la sua materia piacevole agli studenti. Aleksandra lo aveva capito. Lei era forse la sua studentessa preferita. D'altronde le risultava naturale essere eccezionale in una materia in cui la memoria e il ragionamento si sposavano così armoniosamente. “Ha tre giorni! TRE GIORNI NON DI PIU'! Voglio una relazione completa sulla Caccia alle streghe.” Il ragazzo borbotta qualcosa ma Aleksandra non riesce a percepirlo, nascosta com'è dietro a quella colonna. Tuttavia percepisce il suo nervosismo, il suo intento di rimanere calmo solo perché si trova di fronte a un docente che potrebbe sbatterlo fuori da un momento all'altro. “E non tollero altre assenze da parte sua! Il Quidditch è un privilegio e dovrebbe essere conferito solo a chi se lo merita. Per quanto mi riguarda, lei non se lo merita.” Aleksandra chiude gli occhi e si fa piccola piccola, non appena James le passa accanto a passo felpato. Non se ne accorge di lei. No. James è sempre così assorto nei propri pensieri. A volte vorrebbe sapere cosa pensa. Se potesse scambiare cinquanta anni della sua vita per un giorno nella testa di James Potter, Aleksandra lo farebbe; ora più che mai ne ha bisogno. Ma non è possibile, e così, può solo guardarlo nell'ombra, immaginare piuttosto che sapere. Peccato che ciò che immagina è del tutto fuori strada. Miss Potter pensa che suo fratello la odi; immagina che ormai qualunque cosa ci fosse stata tra loro, ormai era finita. Ma lei non riesce ad accettarlo. Non riesce a credere che bastava un momento, un pezzo di carta per lavare via tutti quegli anni di vita assieme. Avevano condiviso la stessa culla, si erano tenuti per mano per anni ed anni, si erano abbracciati, confidati; tra loro c'era stato un rapporto che qualunque persona avrebbe invidiato. Assieme erano forti, erano belli, erano strabilianti. Separati non erano altro che stracci al vento; due ombre vaganti senza una meta. Lo fissa, mentre attraversa il corridoio. E' alto, slanciato, e il vento gli scompiglia quei riccioli magnifici. Non può fare a meno di sorridere amaramente, tornando infine con lo sguardo leggermente arrossato sulle pagine del suo libro di Incantesimi. Molti pensano che Aleksandra Potter non studi, che sia una capra nata per brillare su un palco eretto dalle persone che la circondano. Ma lei brilla per motivi ben diversi. Aleksandra è brillante perché ce l'ha portata una persona in particolare. Lui era lì quando prese il suo primo Troll, ed era lì ad esultare assieme a lei quando quella T in Pozioni divenne una O. James la spingeva oltre i suoi limiti. Metteva nel forse tutta la sua esistenza con un unico sguardo, con un sorriso, con una carezza, con un abbraccio. James era la migliore cosa che le fosse capitata, ma ora, era anche la peggiore.
    Tormentata da quel pensiero, chiuse violentemente il libro di Incantesimi e si precipitò verso i Sotterranei. Passò tutto il giovedì pomeriggio a scrivere quella fottutissima relazione. Sapeva l'argomento a memoria; nelle lezioni avanzate di Storia della Magia, aveva affrontato l'argomento già l'anno precedente. La cosa peggiore era stata quella di emulare la scrittura disordinata di James. Aleksandra era una maniaca del controllo, una perfezionista, la sua calligrafia era invidiabile, chiara, tondeggiante, elegante a dismisura. Quella di James era sbrigativa, meno accurata. Quando erano più piccoli, le veniva spontaneo prenderlo in giro dicendo che fosse nato con piedi al posto delle mani. Ma quegli stessi ipotetici piedi, apparentemente rozzi, erano in grado di prestarsi alle più tenere carezze, alle strette di mano più significative. Le mani di James erano diverse da tutte le altre. Grandi abbastanza a contenere le sue, ma non sproporzionate. La pelle leggermente ruvida per via degli allenamenti di Quidditch. Per la ragazza erano perfette. Eppure, ultimamente le odiava, perché avevano trovato altre compagnie.
    Quello stesso venerdì si presenta alle 8 in punto nell'ufficio del professore. E' nella sua forma più smagliante come sempre. Non un cenno di aver passato tutta la notte a scrivere e riscrivere quella relazione, cercando di emulare alla perfezione la scrittura del ragazzo. “E questo cos'è?” Le chiede il professore, sfoggiando uno sei suoi migliori sorrisi, mentre la ragazza le allunga lo spesso rotolo di pergamena. Ad Aleksandra li riservava sempre. Tutti le sorridevano, tutti le volevano bene, volenti o nolenti, sentendosi al tempo stesso in soggezione di fronte alla ragazza, forse per via di quello sguardo, forse per via del sorriso dai denti perfettamente bianchi, forse per via del mistero che emanava. Chi lo sa! “Mio fratello non si sentiva bene ieri sera. Mi ha chiesto di consegnarle il compito al posto suo. Non era sicuro che ce l'avrebbe fatta.” Lui la fissa leggermente stranito, ma infine lo apre e sospira sollevato. Il piano era funzionato. Nessuno avrebbe sospettato che quella potesse essere Aleksandra. Nemmeno nei suoi sogni peggiori si sarebbe sognata di consegnare un compito così disordinato; ciò che la gente non teneva in conto era quanto in realtà lei conoscesse quel grifone di suo fratello. “Beh, sono molto stupito della sua diligenza. La ringrazio signorina Potter.” Lei sorride e con un leggero inclino si congeda dirigendosi verso la porta. “Oh, Aleksandra!” Si gira per un secondo, pensano che il professore avesse altro da dirle, ed improvvisamente ha paura di esser stata beccata. “E' fortunato ad averla.” E per qualche strana ragione, Aleksandra pensa che lui abbia capito. Oppure quella è una spontanea quanto tremenda verità. Sincera a dismisura, ma pur sempre tremenda. Non dice niente la tenera Aleksandra. Sorride e saluta il professore con un cenno della testa.
    Lo rincontra sabato sera a cena. James ha deciso di saltarla come al solito. Immagina abbia deciso di passare la serata a Hogsmeade come la maggior parte degli studenti di Hogwarts. Al tavolo dei Serpeverde, lei e Peter che giocano allegramente col cibo, imboccandosi a vicenda come due idioti spensierati. Le dispiace che Peter abbia saltato una serata di bevute per lei, ma è lieta al tempo stesso di non esser rimasta sola. Quando il professore li raggiunge al tavolo dei Serpeverde stampandole in modo quasi accusatorio il compito sul tavolo, i due smettono di ridere e fissano l'irascibile uomo, leggermente spaventati.
    “Come ho già detto, è fortunato di averla. Glielo consegni lei, ma la prossima volta, spero vivamente che il signor Potter non soffri di altri disturbi. E' stato comunque un ottimo compito, molto critico. Mi congratulerò con lui lunedì. In tanto ci tenevo a incentivarlo affinché svolgesse anche il resto dei compiti da me assegnati.”
    Poi se ne va, e di punto in bianco Peter prende il foglio di pergamena tra le mani sgranando gli occhi.
    “Gli hai fatto i compiti.” Beccata. Alex gli tappa la bocca sporca di salsa barbecue.
    “No.”
    “Schifosissima bastarda! Ha preso O!”
    “E' stato evidentemente brillante.”
    “Fanculo Alex!” Le dice Peter ficcandole in bocca un pasticcino al cioccolato. E improvvisamente la sua espressione sembra quasi tormentata, forse dispiaciuta. “Sei oltremondo stupida. E lui non se lo merita.”
    “Ma di cosa stai parlando!” Le chiede lei esasperata, mentre prende tra le mani il foglio di pergamena, fissando orgogliosa il voto scritto a caratteri cubitali. “E' mio fratello. Ed è fortunato di avermi.” E nel suo sorriso c'è qualcosa di malizioso. Forse è trionfo, semplice soddisfazione, o forse qualcos'altro.

    Il fruscio delle lenzuola la fa improvvisamente trasalire e spinge Lady istintivamente di peso sotto al letto del ragazzo. Sapeva che non avrebbe dovuto portarla con sé. Ma Lady adorava James. Nonostante fosse arrivata nella loro vita in un momento in cui loro avevano già smesso di esistere come binomio inseparabile, Lady non aveva fatto distinzioni tra i due, anzi, spesso, Aleksandra aveva sorpreso la piccola cagnolina nella stanza del fratello, intenta a consolarlo. E lui, con la dedizione di un padroncino, offriva alla cagnolina carezze dolci, mentre occhi pensierosi la fissavano assentemente. Non aveva potuto fare a meno di pensare che quelle attenzioni spettassero a lei in realtà, e non a Lady, ma non riuscì mai a sentirsene invidiosa o scombussolata dal rapporto creatosi tra i due. Ed improvvisamente, mentre con una mano cercava di tenere ferma la cagnolina sotto il letto del ragazzo, si senti il caldo sospiro di James sulla nuca; l'inebriante profumo del suo dopobarba così famigliare, i capelli gocciolanti che le bagnavano appena la guancia mentre le labbra si poggiavano sulla sua pelle delicata, bianca come il latte. Sì, la sua, perché non solo gli occhi erano i suoi; persino la pelle era più eterea rispetto a quella di Janis, nonostante al buio fosse difficile da distinguere la differenza. Brividi le attraversano la schiena mentre la pelle d'oca si manifestava in tutta la sua bellezza, obbligandola a passarsi le mani delicatamente lungo le braccia, sopra a quel maglione dall'indubbio profumo del ragazzo. “Mhm. Hai cambiato shampoo? Mi piace.” Lei sorride automaticamente; si scorda di non essere in sé, e quella bugia le sembra talmente vera, talmente potente da immergersi a pieni polmoni nella situazione. Geme non appena le labbra baciano la sua pelle, e così, è costretta a portare una mano delicatamente sulla nuca del ragazzo, accarezzandogli dolcemente i capelli. Si dimentica. Aleksandra si dimentica, come si dimentica di aver fatto le ore piccole pensando a lui, come si dimentica dei rischi incorsi quando bisogna infrangere le regole per lui. Aleksandra viene scaraventata in un mondo a parte quando sta con lui. E per un momento, per un unico friabile momento, è incosciente; dimentica che quello è suo fratello, dimentica anche che lui la odia e si gode quel contatto che brucia come le fiamme dell'inferno ed è dolce come la fetta più eterea del paradiso. “Sai, la voglia di dormire mi è completamente passata... Pensi di riuscire a escogitare qualcosa per intrattenermi?” Non appena stringe la stretta attorno alle spalle della ragazza, lei gli poggia le mani sugli avambracci e stringe forte, crogiolandosi a sua volta nella stretta di lui. Incolla la fronte contro la sua guancia e si perde. Se quel momento potesse essere infinito, Aleksandra potrebbe morire felice. E' così che vorrebbe morire, con la consapevolezza di essere desiderata, amata. Sorride. Sorride di gusto come non fa da tanto tempo.
    E poi improvvisamente si ricorda del compito che l'idiota di Storia della Magia le aveva consegnato la sera precedente in sala grande. Lo tira fuori dalla tasca posteriore dei jeans, dove era stato riposto ordinatamente assieme alla bacchetta e glielo allunga oltre le spalle. “Complimenti. Hai fatto un ottimo lavoro.” E' leggermente divertita mentre gli porge il compito. “Non sapevo fossi capace di prendere una O in Storia della Magia. Devo dire che... è oltre ogni previsione, signor Potter.” Stringe più forte la presa e sfregia la fronte contro il suo viso. Diventa improvvisamente melanconica e capisce. Torna coi piedi per terra. E' lei, Lady, a riportarla alla realtà, uscendo allo scoperto, saltano sul letto del ragazzo, iniziano a immergere il suo nasino tra i capelli biondi di Janis, leccando infine la guancia di James. In quel momento capisce cos'è quella sensazione. E' gelosia, poiché lui è felice di vedere Janis. Janis e non lei, non Aleksandra. L'altra faccia della medaglia combatte la gelosia, con la melanconia, quella dei tempi in cui quelle strette erano indirizzate a lei e solo a lei. E così, si toglie di dosso le mani del ragazzo e si gira verso di lui, stringendosi le ginocchia al petto. Un silenzio assordante contorna il momento in cui la potenza di quello sguardo azzurro, riportato in vita da un mondo tanto oscuro quanto viscido, costringe il ragazzo a guardarla. A vederla. Lui deve vederla. Non può non capire. E a quel punto sfoggia uno dei sorrisi più amari che abbia mai riservato al mondo. “Ora capisco perché sei così frustrato. Cavolo se lo capisco. Tu sei diffidente perché è così facile ingannarti, James.” E quello sguardo e dolce, rabbioso, selvaggio, violento e triste contemporaneamente; sprigiona amore e odio contemporaneamente. E Aleksandra capisce di aver spezzato tutto. Ma non riesce a mentirgli. Non riesce a tradirlo. Lui dovrà vederla prima o poi.
     
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    tumblr_mjntc5lbR51s8r9gio5_250 tumblr_mjntc5lbR51s8r9gio3_250JAMES SIRIUS POTTER

    « La rabbia è una follia momentanea, quindi controlla questa passione o essa controllerà te. »
    [Quinto Orazio Flacco.]

    Aprì lentamente gli occhi, seguendo con essi il percorso effettuato dalle sue stesse labbra sul collo della ragazza; notò quella pelle d’alabastro così candida, perlacea, sorprendendosi che potesse realmente appartenerle. Era come se fosse stata la luna, coi suoi raggi argentei, ad averla dipinta e delineata. Quella stessa luna che James amava per la sua bellezza e odiava per la sua luce rivelatrice quando, alta e fiera nel cielo, fungeva da testimone dei suoi innumerevoli errori. Lo osservava senza giudicare, ma s’insinuava puntualmente nella sua mente fino ad espugnare ogni labirinto e risvegliare la sua tormentata coscienza; gli mostrava con spietata delicatezza la parte peggiore di se stesso, distanziandolo da un’ambita bontà lontana anni luce. La luna, in senso figurato, era Aleksandra. Non riusciva a sostenerne lo sguardo, la presenza e forse, in fondo, nemmeno l’assenza. Era qualcosa di troppo penetrante, invadente, intimo; l’avversario per eccellenza di una comoda superficialità che ormai, da qualche anno, regnava sovrana nella vita di James. L’abisso della sua interiorità era rimasto inesplorato per tanti anni, cullato e protetto da una superficie piana, calma, mai mossa da un alito di vento, ma con un destino burrascoso davanti a sé. Bastava così poco per agitare quelle acque, per scatenare una rabbiosa tempesta che pochi sarebbero riusciti a domare, per rivelare l’imbroglio di una falsa e discontinua superficie calma mirata a nascondere l’abisso di cui egli stesso si vergognava.
    Le sue labbra raggiunsero, a livello della spalla, il tessuto di un maglione dall’odore fin troppo familiare. Aggrottò la fronte, confuso. Quello era il profumo che usava lui. Guardandolo sotto i raggi lunari, addirittura, riconobbe in esso il proprio maglione disperso tempo fa, prima che iniziasse la scuola. Un senso di improvviso smarrimento lo pervase, mentre la ragazza pronunciava parole che lui, lì per lì, non sentì. Tipico atteggiamento di James prima dell’inevitabile escandescenza: rimaneva immobile, sopraffatto dallo sdegno, sentendosi tradito e ingannato. Lady, che sbucò da sotto il letto per raggiungerlo, fu un altro tassello di quel puzzle amaro in costruzione, il quale aveva ormai iniziato a rivelare un'immagine - un'ipotesi - sempre più definita e per questo ripugnante. Tacque, fissando il tessuto delle lenzuola sgualcite e stringendole con forza tra le mani, quasi volesse rilasciare un po’ di rabbia su quel letto inanimato, sotto una luna che, ancora una volta, si era presa gioco di lui, della sua naturale tendenza all’errore favorita da un atteggiamento stranamente ottimista di fondo. James tendeva a fidarsi delle apparenze, o meglio, della bontà presente in ogni individuo. Avendo avuto dei genitori a dir poco perfetti, sin da piccolo si era fatto un’idea abbastanza precisa del mondo e delle persone che lo popolavano. Lui, però, se ne era tagliato fuori. Perché le persone avrebbero dovuto ingannare proprio lui? Perché sua sorella Aleksandra avrebbe dovuto prendere le sembianze della sua ragazza? Nonostante la sua innegabile presuntuosità, James non si era mai sentito un protagonista. Gli altri forse lo vedevano così, come una sorta di costante, di leader, ma lui si vedeva più come qualcuno che vive ai margini e rifiuta la luce dei riflettori. Uno sconosciuto che tutti credevano di conoscere, forse solo perché il suo cognome parlava da sé. Ma lui, sin da piccolo, non aveva mai preso in considerazione il ruolo del protagonista. James era soltanto il leader di se stesso; che poi alcune persone lo seguissero riponendo in lui la loro fiducia, era un altro conto.
    Non considerò nemmeno Lady, infuriato com’era. Si limitò a tentare di regolarizzare il respiro mentre fissava Aleksandra negli occhi, in quegli occhi che erano riusciti a mantenere la loro bellezza e identità anche se incastonati in un volto estraneo: niente avrebbe avuto il coraggio di alternarne la qualità. Ed ora li fissava, quegli occhi, cercando una risposta; occhi che non capiva, fonti di pensieri che si inseguivano nella loro stessa opaca trasparenza e sembravano manifestarsi tramite sfumature diverse, movimenti subitanei, diversi gradi di lucentezza, ma che restavano perennemente, candidamente inviolati, inaccessibili.
    Le scostò malamente la mano che reggeva il compito, piccato, affatto intenzionato ad accettarlo. Era troppo orgoglioso, James, per accogliere gli aiuti esterni. Era Lily l’unica persona a cui si rivolgeva in caso di bisogno, convinto che, nonostante tutto, la sua sorellina minore l’avrebbe sempre visto come il suo fratellone sempre in grado di cavarsela da solo, di prendersi cura di lei. Con Aleksandra era diverso. Era cresciuto insieme a lei e, di conseguenza, lo conosceva meglio. Sapeva quali erano le sue debolezze, le situazioni più grandi di lui, e questo non faceva altro che infastidire il giovane Potter mai ben disposto ad accettare di provare qualcosa di tremendamente umano come la paura.
    Si alzò, incapace di rimanere immobile. Si passò una mano tra i capelli, lasciandosi scappare una risatina nervosa per tentare vanamente di dissimulare la rabbia che lo dominava.
    - SCUSAMI EH, scusami TANTO se non mi aspetterei mai che una pazza assuma le sembianze della MIA RAGAZZA per poter entrare nel MIO dormitorio! - Sbottò alla fine, marcando delle parole chiave più di altre, mentre si avvicinava alla sorella ancora seduta sul pavimento. La guardò dall’alto con l’espressione di un folle. Gli era capitato un paio di volte, per sbaglio, di vedersi ad uno specchio mentre era infuriato; ogni superficie speculare che ebbe la sfortuna di immortalarlo in quelle circostanze finì frantumata dal suo pugno.
    - Ma che cazzo hai in mente, Aleksandra? CHE COSA VUOI DA ME? - Continuò, alzando involontariamente il tono di voce. Lady, intanto, abbaiava avvicinandosi ad Aleksandra, ma venne completamente ignorata. Si sarebbe pentito di questa violenta reazione, lo sapeva, ma al momento ogni consapevolezza scivolava lungo il baratro della rabbia cieca.
    - Perché lei? Perché Janis? Non potevi prendere le sembianze di qualsiasi altro Grifondoro per venire a... Cosa cazzo sei venuta a fare qui? - Ormai ogni traccia di lucidità era andata persa, irrimediabilmente, e le parole fuoriuscivano come un torrente contaminato da grosse gocce di veleno. Le strappò il compito dalle mani, gettandolo furiosamente via in un angolo della stanza. Lady corse verso di esso per addentarlo e riportarglielo, ma venne ignorata anche quella volta.
    - E chi diamine ti ha chiesto aiuto per il compito? L’avrei fatto da solo! L’avevo già iniziato. - Mentì, impassibile, pur di difendere il proprio orgoglio. In realtà per quel compito era in una situazione molto critica, ma non aveva chiesto aiuto a nessuno: era una sfida contro se stesso che era intenzionato a vincere. James, d’altronde, si buttava sempre nelle situazioni più grandi di lui perché, semplicemente, non accettava di sentirsi piccolo e insignificante davanti a qualcosa. L’aggettivo “megalomane”, senz’altro, rientrava tra gli aspetti della sua poliedrica personalità.
    Si sedette sul bordo del letto, posandosi i palmi delle mani sulla fronte per poi passarseli tra i capelli.
    - Perché cerchi sempre di farmi incazzare, Alex? Perché? - Chiese poi, abbassando notevolmente il tono di voce come se si stesse improvvisamente rivolgendo a un bambino.
    - E' sbagliatissimo quello che hai fatto, lo capisci? - Aggiunse, rivolgendole lo stesso sguardo di diversi anni fa, quando, a soli tredici anni, gli stampò un bacio sulle labbra come regalo di compleanno; la potenza dello sguardo furioso venne mitigata da qualche piccola traccia di paura, sensazione così tremendamente rara per uno come James. Temeva che non capisse, che continuasse a sfidarlo e a ingannarlo. Ciò su cui non si concentrava - volutamente - era il motivo di questi suoi tentativi di avvicinamento: era di questi che James aveva paura. Temeva le implicazioni emotive. Temeva di dover dar forma a quel bizzarro rapporto che lo legava ad Aleksandra, arrendendosi dinanzi a quell'evidenza a lungo evitata, ignorata e respinta da una rigida razionalità. Eppure, allo stesso tempo, i suoi sensi non potevano negare quell'ambigua forma d'affetto. L’avevano vista crescere come edera, anno dopo anno, sull'immenso scoglio del suo orgoglio fino a rivestirlo come un secondo strato di pelle. Si dimenava continuamente, James, desideroso di scrollarselo di dosso, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito e, soprattutto, che in realtà non voleva minimamente liberarsene.
    - Perché non riesci a... A stare al tuo posto? - Questo è il mio e l'hai invaso.
    Ed ecco, (in parte) lo disse. A denti stretti, le mani tra i capelli, lo sguardo rivolto al pavimento nel tentativo di trionfare su sgradevoli impulsi. Le aveva implicitamente comunicato che ormai non condividevano più gli stessi spazi, che ognuno aveva il suo posto, la sua vita, la sua strada. Aveva reso ufficiale il loro decisivo distacco, nonostante prima di partire le avesse detto che sarebbe andato tutto bene. Rivelò quella tremenda bugia di fondo, mordendosi il labbro inferiore subito dopo come per rimangiarsela, ma era troppo tardi: si librò nell'aria, turbinando assieme ai sottili e quasi impercettibili granelli di polvere spinti dalla corrente.
    L'hai ingannata anche tu, James.
    « I'm brave up to the point of idiocy. »
     
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    Lui urla. Lei soffre in silenzio. Il viso di lui è espressivo, lascia trasparire ogni più recondito desiderio. Lei è fredda. Lui ama appassionatamente, col sorriso sulle labbra, trema, lascia che quella ondata di sentimenti venga esalata da ogni sua cellula. Lei no. Lei è una maschera di indifferenza. Solo lo sguardo offre le sfumature dei suoi più profondi sentimenti, ma a volte nemmeno quello basta, perché l'essere umano è cieco e vede solo ciò che vuole. James è più cieco di tutti. Lui non vede. Non la vede più. Non esiste più per lui. Abbassa lo sguardo, Aleksandra, e prova vergogna, imbarazzo, ma più di tutto traspare quella strana combinazione di tormento che riesce a svelare solo in presenza di James Sirius Potter. Con lui non riesce a fingere. Aleksandra può provare ad essere fredda, disumanizzare se stessa per il bene di tutti, ma le basta guardare quel essere spregevole negli occhi per far crollare la sua maschera di cattive intenzioni, di superficialità, fittiva a dismisura, messa su come un teatrino da quattro soldi. A volte vorrebbe capire per quale motivo ne ha bisogno, ma ogni qual volta si pone quella domanda, la mente le ricorda che quando vuole essere onesta, sincera nelle sue intenzioni, le cose precipitavano. Come precipitavano d'altronde in quel preciso istante. Aleksandra desiderava solo vederlo, parlargli, fargli capire che non aveva intenzione di sostentare ancora i capricci di lui. E allora perché proprio Janis? Perché tra tutte le ragazze, proprio la ragazza di suo fratello? Forse, desiderava quella fetta di attenzioni tutta per lei da sin troppo tempo. Il corpo le vibrava mentre James le poggiava le labbra carnose sulla pelle, accarezzandogli con l'indice l'incavo del collo. Lei aveva chiuso gli occhi, la pelle d'oca, i brividi a mille, come una continua scarica di scosse elettriche. Il suo corpo non era mai stato così vivo come in quel momento, forse perché in fin dei conti nessuno l'aveva toccata come aveva fatto James. I suoi gesti erano stati del tutto innocenti, ma non erano gesti di un qualunque ragazzo. Erano le mani di James. Quelle mani maldestre, così perfette, così deliziosamente delicate, al contempo sicure nel loro movimento, come se avessero saputo esattamente dove andare a parere. Le frecce di Cupido erano state scagliate, forse addirittura molto tempo addietro. Ma quel momento, quelle mani, quelle labbra, avrebbero vissuto nella sua memoria, come il momento più epico che abbia assaporato in tutta la sua breve vita. Aleksandra non lo permetteva mai. A nessuno. In quei movimenti affatto azzardati, il suo corpo aveva reagito maliziosamente; sin troppo. Come mai prima. Ed il desiderio di provare ancora quel fuoco era ora più forte di prima. Eppure, quel momento, quel desiderio, quel fuoco, quel calore interiore, se ne andarono esattamente come erano arrivati. Improvvisamente. Violentemente. E la consapevolezza di aver smesso di accoccolarsi in quella dolce fantasia al limite del erotico, la investì pericolosamente riportandola alla realtà. “SCUSAMI EH, scusami TANTO se non mi aspetterei mai che una pazza assuma le sembianze della MIA RAGAZZA per poter entrare nel MIO dormitorio!” Si circondò le spalle con le braccia, accoccolandosi nel enorme maglione di lui, immergendo il viso nel tessuto di lana, odorando il suo profumo, cercando di canalizzare i suoi pensieri ovunque non ci fosse un James fuori di sé. “Ma che cazzo hai in mente, Aleksandra? CHE COSA VUOI DA ME?” Cosa voleva Aleksandra da James? Probabilmente, se lo avesse saputo, avrebbe potuto evitare molti di quei problemi, ma la ragazza aveva meno risposte di tutti. E avrebbe voluto urlare tutta la frustrazione che si sentiva dentro. Lei urlava. Dentro di lei c'era un caos terribile. Una rabbia incompressibile. Vergogna. C'era assenza. Assenza del suo migliore amico, del suo confidente, della sua persona. James era la sua persona. James lo sarà sempre, anche quando lui si ostina ormai a dire il contrario. C'era smarrimento. E poi c'era altra rabbia e altra vergogna. E c'era confusione. Ma nessuno riusciva a sentire il grido disperato d'aiuto di Aleksandra. Nemmeno James. James non riusciva a sentire il grido di Aleksandra, nonostante fosse così palese, proprio sotto il suo naso. “Perché lei? Perché Janis? Non potevi prendere le sembianze di qualsiasi altro Grifondoro per venire a... Cosa cazzo sei venuta a fare qui?” Il quesito le mette paura. E' panico. E improvvisamente alza finalmente lo sguardo sul ragazzo e trattiene le lacrime. Si impone di guardarlo negli occhi evitandolo. Ma è impossibile. Quello sguardo è magnetico; una volta le era benefico, medicina per la sua anima; ora è una sorta di veleno allo stato puro. “Non lo so...” Sussurra con voce tremante, concentrandosi piuttosto su Lady, la quale, leggermente smarrita di fronte alla tensione tra la sua padroncina e uno dei suoi quasi padroncini, si lascia trasportare dall'euforia e abbaia. Improvvisamente si sente strappare il compito di Storia della Magia dalle mani. “E chi diamine ti ha chiesto aiuto per il compito? L’avrei fatto da solo! L’avevo già iniziato.” Rimane in silenzio, ma non riesce a fare a meno di scoppiare in una breve quanto cinica risatina leggerete isterica, che inonda la stanza di una sonorità più cristallina, più dolce. Il tocco femminile. Quale meraviglia! Il tocco di Aleksandra. Quale bellissima maledizione! Si alzò in piedi. Era decisamente più bassa del ragazzo, nonostante Janis le avesse fatto acquisire qualche centimetro in più. Le arrivò così vicino da poter percepire il suo respiro affannato. Sorrise ironicamente e incrocio le braccia al petto. “Davvero? Mentre giocavi a Quidditch o mentre rotolavi nel fango con la tua Janis?”
    Inutile dire che non gli avrebbe mostrato mai nemmeno un briciolo di umanità. Non quando si comportava così. Sin da quando erano piccoli, James si scaldava tantissimo mentre litigavano. Alex no. Alex era colei che lo faceva esplodere con la sua tranquillità quasi ossessiva, coi suoi sorrisi cinici, con le sue critiche velate, con quella freddezza. Spesso sospettava che il problema del ragazzo, la fonte del suo scaldarsi fosse appunto l'indifferenza di lei. Sapeva quanto gli avrebbe dato fastidio. Ecco perché lo faceva sempre. “Scommetto che mentre la stendi, parlate della Caccia alle Streghe.” Sguardo disgustato, mentre invece, gli occhi, contornati dalle prime lacrime, evitano il diretto contatto con quelli del ragazzo. “E' controproducente fare compiti mentre si scopa, tanto quanto lo è fare i compiti con la radio accesa.” Continua, spostandosi all'interno della stanza, fino a raggiungere la finestra accanto al letto del ragazzo. Guarda all'esterno. Un panorama mirifico, sovrastato dalla pallida luce della luna, si svela di fronte a quegli occhi chiarissimi che nascondono una terribile quanto crudele tristezza. “Perché cerchi sempre di farmi incazzare, Alex? Perché? E' sbagliatissimo quello che hai fatto, lo capisci?” Tono sconsolato che spezza qualcosa nel cuore della ragazza. E chiude gli occhi obbligandosi a rimanere lì ferma, a fissare la luna, beandosi sotto quella luce fredda, quasi artificiale, eppure sognante a dismisura. “E sentirsi così smarriti, così tristi è giusto invece?” La voce pensante è un sussurro, mentre gli occhi fissi oltre la finestra si lasciano scivolare un'unica lacrima. Vorrebbe essere fredda, vorrebe non far trasparire nulla. Ma non ci riesce, Aleksandra. “Essere pesci fuor d'acqua è giusto?”
    Un James seduto sul letto a sguardo basso, risveglia nella ragazza, un contrastante desiderio di urlargli contro, e al contempo consolarlo. Ma non fa nessuna delle due cose, si sposta appena, abbastanza da stargli di fronte. Gli circonda le guance, con quelle mani di velluto e le bacia impercettibilmente i capelli, abbandonandosi ad altre semplici lacrime. E allora lo sente. Lo sente e sente la fine. “Perché non riesci a... A stare al tuo posto?” E non appena il ragazzo parla, lei preme di più contro le sue guance. Le mani sono tremanti. Non riesce più a parlare. Non sa cosa dire. Non sa cosa fare. Così indietreggia appena e si guarda attorno spaesata. E una povera pazza alla quale hanno tolto la terra da sotto i piedi. Trema e geme appena, non sapendo come scaricare il peso di tutte quelle sensazioni. E poi li vede. Sul comodino del ragazzo, dietro ad altre foto di famiglia, una piccola cornice con una foto di loro due. Aleksandra gliel'aveva regalata subito dopo lo smistamento per non fargli mai scordare che loro sarebbero rimasti comunque sempre insieme. Si asciuga le lacrime con la manica del maglione, prende la cornice tra le mani e la sbatte per terra ai piedi del ragazzo. Infine tira fuori la bacchetta dalla tasca anteriore dei jeans e lascia che poche friabili fiamme fuoriescono, incendiando la cornice e la gioiosa foto all'interno. Andrà tutto bene, James. E non potrebbe essere più pacata e più falsa di così. Non potrebbe odiarlo più di quanto lo odi ora.
    Fissa le fiamme. Le fissa in silenzio e improvvisamente sorride crudelmente, amaramente. Ed è una povera pazza le cui ultime speranze sono sfumate nel nulla con quell'ultima frase di lui. “Sei un fottutissimo stronzo, James Potter. E sei crudele. Cattivo. Tu non eri così. Credi che un dannato diario ti da il diritto di giudicarmi? Di denigrarmi? MA CHI CAZZO PENSI DI ESSERE!” Le appoggia l'indice sotto il mento e lo obbliga a guardala. “Guardami dannato! GUARDAMI! Pensi di essere una vittima, mentre in realtà sei l'unico che dovrebbe farsi un'esame di coscienza.” Sguardo disgustato, rabbioso. Aleksandra non è mai incazzata, eppure eccola. Ecco il mostro. Si allontanata appena, appoggia gli avambracci sul comodino del ragazzo e fa scivolare tutto ciò che vi è appoggiato; tutto va in frantumi. La ricordella, gli occhiali da lettura, le cornici colme delle foto di famiglia. “COSA TE NE FAI DI TUTTO QUESTO, BASTARDO! COSA!?” E a quel punto sta urlando, e piange, e si allontana perché ha paura di prenderlo a calci e pugni. “Loro non ci sono. Per noi non c'è mai nessuno, perché senti le novità, a nessuno gliene frega un cazzo di Harry e Ginevra Potter, o di James, o di Aleksandra, o di Lily, oppure di Albus. Tu... tu pensi di poterti prendere cura di tutti. Credi di essere forte. MA CHI CAZZO SI PRENDE CURA DI TE. IO. IO SONO QUI! E tu sei un fotuttisimo stronzo perché mi stai mandando via.” Stringe i denti, si passa una mano tra i capelli e chiude gli occhi cercando di tornare allo stato originale. Qual è il mio posto James? Io avevo te... avevo bisogno di te.”
     
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    « Amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso. »
    [Franz Kafka.]

    Le sue parole in quei momenti erano come l'aria intrappolata nelle pareti circolari di un barattolo. Vorticava senza meta, quell'aria rabbiosa, senza mai riuscire a trovare una via d'uscita per soffiare su altri volti fino a scalfirli. Non trovava mai un angolo in cui riposarsi e continuava a vorticare, sempre più violenta, senza rendersi conto di poter spaccare il barattolo in mille pezzi. Ed era esattamente così che fuoriusciva, ovvero distruggendo la sua fonte originaria: James. Ma era solo aria. Quelle parole non avevano significato, non avevano il minimo riscontro con i suoi veri pensieri, con ciò che avrebbe realmente voluto dire. Erano solo parole avviluppate dall'orgoglio e sputate malamente fuori dalla rabbia, nient'altro. Ma ferivano anche lui. Guardava l'effetto che sortivano sui bellissimi occhi di Aleksandra e si sentiva colpevole, ripugnante, cattivo. E paradossalmente si infuriava ancora di più, ma con se stesso. James, il forte James, forse in realtà non era poi così forte. Credeva di essere sempre in grado di affrontare la vita da solo, esclusivamente con le sue energie, e persino quando cadeva stremato al terreno non chiedeva mai un aiuto per rialzarsi. Cosa nascondeva questa ferrea ostinazione? La consapevolezza, forse, di essere una persona sgradevole e di valere poco. Quale stronzo spregevole avrebbe continuato a respingere una persona come Alex? Una persona che si prendeva continuamente cura di lui anche a distanza, anche quando il destinatario di quelle attenzioni non era meritevole del suo aiuto? Solo un mostro, solo James Sirius Potter. Un ragazzo circondato da persone eppure sempre così maledettamente solitario, un ragazzo che si stupiva di sentirsi amato dalle sue innumerevoli conquiste perché, lo sapeva, non era degno di quel sentimento. Ed era per questo, forse, che continuava sempre ad inveire contro di Alex. Era il suo modo per capire. Sembrava dirle indirettamente, con quello sguardo infuriato e i modi bruschi, mi vuoi ancora bene? Cazzo, come fai? Non capisci che amarmi è una tortura? Una creatura nata dall'amore puro eppure così timorosa nei suoi riguardi, così guardinga, così restia a lasciarsi trasportare da esso. James conosceva l'amore verso i suoi familiari, verso i suoi amici, verso le cose, ma non verso le altre categorie di persone. James non amava Aleksandra come una sorella, né come un'amica, tantomeno come un oggetto. James la voleva, la desiderava, la bramava. Alex non era una di quelle tante ragazze che lo amavano perché era stronzo, irraggiungibile, forte, bello e atletico. Non lo amava per il senso di protezione che emanava. Aleksandra voleva prendersi cura di lui. E non gli era mai capitato che una ragazza volesse farlo.
    James amava Aleksandra in modo delicato, eppure al tempo stesso in modo così violento, così possessivo, così tremendamente totalizzante. Per questo correva da una ragazza all'altra, affondando interamente in esse con passione, con desiderio, con impazienza, quasi con disperazione. Sperava che il suo cuore battesse per le emozioni e non per il mero sforzo fisico. Eppure nessuna ragazza era mai abbastanza. Persino la ragazza più perfetta del mondo non avrebbe raggiunto il livello di Aleksandra. I suoi occhi, il suo viso, la sua pelle, le sue mani. L'ostinazione con cui continuava a seguirlo nonostante egli tentasse continuamente di respingerla e allontanarla. E per questo, a volte, credeva di odiarla allo stesso modo in cui si odia una persecuzione, una tortura ricorrente che aveva le radici nella sua stessa mente. Aleksandra non aveva colpe. Era la mente di James a non essere in grado di mettere a tacere il suo cuore traditore, arido, sporco. Quest'ultimo era la vittima, la mente il carnefice.
    - Quello che faccio con la mia ragazza non ti riguarda. - Ribatté seccamente, a denti stretti, ma con tono più basso e meno furioso. Gli occhi di Aleksandra l'avevano calmato, l'improvvisa lucidità di essi l'aveva temporaneamente abbattuto. Non sopportava la visione di un'Alex in lacrime, non l'aveva mai sopportata. Soprattutto se ne era lui l’artefice.
    Si passò nuovamente la mano tra i capelli umidi mentre la vide avvicinarsi alla finestra. La guardò, intensamente, riuscendo a scorgere il suo profilo; i capelli biondi le ricadevano sulle guance, sulle spalle, in parte sulla schiena. Gli occhi, illuminati dalla luce lunare, splendevano in tutta la loro... Tristezza? Deglutì, distogliendo gli occhi da quell'immagine.
    “E sentirsi così smarriti, così tristi è giusto invece?” Tornò a guardarla, partecipando a quella sua improvvisa tristezza. Quando si trattava di Aleksandra, seppur non lo desse minimamente a vedere quando lei lo guardava, James diventava inspiegabilmente sensibile, così tanto da provare quasi le sue stesse sensazioni. “Essere pesci fuor d'acqua è giusto?” Queste parole gli giunsero così in profondità che, se solo si fosse trattato di un'altra ragazza, si sarebbe alzato di corsa per stringerla tra le braccia e baciarla, rassicurandola. Ma c'era attrito. Qualcosa lo bloccava, tenendolo incatenato al letto, nei confini che lui stesso aveva tracciato e che si era imposto di rispettare. Per orgoglio, per paura, per pura stupidità.
    Chiuse gli occhi quando gli si avvicinò, così da riuscire a sentire meglio le sue mani sulle sue guance. Ed era qualcosa di estremamente incoerente, di irrazionale: James non aveva mai sopportato i cosiddetti contatti fisici gratuiti, quelli privi di un doppio fine, eppure in quel momento rimase immobile a lasciarsi toccare, accarezzare il viso, realizzando solo in quell’istante, tra uno sfioramento e l’altro, di averne bisogno ma di non meritarselo. James Potter, d’altronde, sentiva sempre di non meritare ciò di cui il suo cuore aveva bisogno.
    Non appena pronunciò quella crudele e appena sussurrata domanda, Alex cambiò totalmente atteggiamento. Se prima si era mostrata calma e del tutto padrona di se stessa, quello dopo si trasformò. Iniziò ad agitarsi visibilmente, preparandosi a scoppiare. E scoppiò. Sotto lo sguardo incredulo di James, incendiò una loro fotografia e, prendendo ad urlare esattamente quanto lui poco tempo prima, cominciò a rompere tutto ciò che le capitava tra le mani. Lady, percependo quello stato di crescente collera, tornò sotto il letto ad abbaiare con sempre meno convinzione.
    - ORA SMETTILA! - Gridò James nuovamente, sovrastando la sua voce femminile quando lo chiamò bastardo. Tentando di tenere le mani a posto, ascoltò le sue parole in un crescente stato di agitazione, camminando freneticamente per la stanza senza alzare lo sguardo. Stava assorbendo tutto il veleno lanciatogli perché, semplicemente, se lo meritava. Ed ecco una delle cose più strane e sbagliate di James Potter, la rappresentazione della bontà tormentata e smarrita: credeva di meritare tutto l’odio del mondo e nemmeno una briciola d’amore.
    Dopo aver assorbito abbastanza – per i suoi gusti – James cercò di calmarla, avvicinandosi a lei furiosamente e prendendola per i polsi. La sbatté contro il muro più vicino cercando di non utilizzare troppa forza, ma forse fallì a causa del fervore che lo animava in quel momento. La fissò negli occhi, tenendola braccata contro la parete con le mani strette ai suoi polsi e il corpo vicino al suo.
    - Alex, calmati. Non voglio arrabbiarmi. - Esordì, mantenendo la voce ai livelli di un sussurro pieno di una rabbia sul punto di esplodere, ma sorprendentemente domata.
    - Ho… Bisogno di tempo. - Aggiunse, accorciando ulteriormente la distanza tra i volti. I loro nasi quasi si sfioravano, ma mai abbastanza da toccarsi realmente.
    - Papà non c’è e… E io non so chi chiarirà i miei dubbi. Su di te. Su di me. Su… Tutto questo. - Spiegò, continuando a fissarla negli occhi con assoluta onestà, per poi lasciare lentamente la presa sui polsi e spostarla sulle sue guance, quasi volesse sorreggerle il volto.
    - Il problema non sei tu, non è colpa tua se forse non sei... - Deglutì, incerto, come per mandare giù una possibile scintilla in grado di scatenare un altro incendio. Ma ormai quella verità bruciava sulle sue labbra, smaniosa di uscire, di prendere forma nella sfera del tangibile. - ... Mia sorella. - Concluse, realizzando solo in quel momento le possibili conseguenze di quell'ipotesi. In quel caso l'attrazione nei suoi confronti poteva essere giustificata? Non era più sbagliata? Il problema era che quella maledetta attrazione era nata prima di quella probabile verità. Questo dettaglio non trascurabile la rendeva automaticamente sbagliata, se non direttamente ripugnante.
    - Io... Non riesco a starti vicino. Non posso. - Ammise, senza tuttavia avere la minima intenzione di spiegarle il perché. Non avrebbe mai confessato i suoi sentimenti nemmeno a se stesso, nemmeno davanti a uno specchio, né nei suoi sogni più proibiti. Persino il suo subconscio non osava rivelargli la verità, ostinandosi a tenerlo all'oscuro di tutto.
    - Perché cazzo non lo capisci? Non ci riesco. - Allontanò le mani dal suo viso e, invaso nuovamente dall'ira e la frustrazione, tirò un pugno contro il muro vicino a lei, ma non abbastanza da indurla a credere che fosse destinato a lei. In quel pugno c'era molto di più di semplice rabbia. C'era tutta la sua tensione, i suoi passionali desideri immorali, l'intenzione di usare il dolore come una distrazione per annullare l'impulso di ricambiare quel bacio ricevuto a tredici anni ma con più passione, più veemenza, per vedere cos'avrebbe provato. Pace? O forse sempre più desiderio?
    Voleva scoprirlo, ma la sua mente continuava ad alzare barriere su barriere.
    Un rivolo di sangue fuoriuscì dalle nocche sbucciate, ma non faceva male. Non quanto l'impossibilità di toccarla, quel desiderio incessante che continuava a mettere a tacere con altre distrazioni. Quel pugno era anche una forma di punizione per quel maledetto desiderio che non gli dava tregua.
    James in presenza di Aleksandra era l'onda che s'infrangeva e si rigenerava continuamente senza mai arrendersi, seguendo il suo ripetitivo destino distruttivo (e creativo) senza mai farsi male in apparenza.
    Aleksandra era una ferita aperta, cucita con un filo scarlatto di sangue pronto a fuoriuscire di continuo, indomito, al primo leggero contatto. Gli faceva male, ma la voleva comunque.
    « I'm brave up to the point of idiocy. »
     
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    “Alex, calmati. Non voglio arrabbiarmi.” E quelle poche parole in tono sommerso, quasi minaccioso, la riportano alla realtà. Le spalle ossute incollate al muro fanno leggermente male, ma è un dolore sopportabile, quasi piacevole; e quel contatto, le mani di James strette attorno ai polsi della ragazza sono come un tampone di ghiaccio sulla pelle bollente. Riesce finalmente a vedere, a ragionare e gli occhi di lei cercano d'istinto quegli scuri del ragazzo. Nelle tenebre della stanza riescono finalmente a ritrovarsi, a metà tra la follia e la ragione. C'è sempre qualcosa che la riporta da lui; e lui è di conseguenza scaraventato nuovamente tra le braccia di lei. E' un complesso quasi surreale, privo di alcun senso. Nessuno dovrebbe odiare e amare al contempo così tanto un'altra persona. Eppure, quella persona esisteva, incatenata tra le mani del più grande dei Potter, fragile, vulnerabile a dismisura eppure al contempo colma di una forza ben superiore a quella del ragazzo; lei sapeva sfidarlo, lei ci riusciva, lei lo guardava dritto negli occhi e lo spogliava, tagliuzzava la sua anima in mille parti eteree in grado di svelare ogni piccola sfaccettatura del ragazzo. Eppure, l'unica cosa talmente palese che entrambi avrebbero dovuto capire sin troppo tempo addietro, restava un tabù, sfuggivano all'unica verità che avrebbe dato loro la forza di andare avanti, di comprendere, di scoprire i misteri che li circondavano. Ma James era cieco, e a dire il vero, nonostante Aleksandra lo avesse capito e quasi ammesso, era cieca a modo suo. “Ho… Bisogno di tempo. Papà non c’è e… E io non so chi chiarirà i miei dubbi. Su di te. Su di me. Su… Tutto questo.” Sbuffa innervosita e piega la testa di lato abbassando lo sguardo senza tuttavia muovere nessun altro muscolo del corpo. La vicinanza con James le fa male, ma le fanno ancor più male le sue parole. James è egoista, oltre ad essere cieco. Sin da quando i loro genitori sono scomparsi si è concentrato unicamente sul pensiero di trovarli, quasi ossessionato dall'idea che loro non sarebbero tornati mai più se solo non fosse stato lui a trovarli. Per un momento, Aleksandra pensò che fosse addirittura pronto a rinunciare alla scuola pur di buttarsi a capofitto in una missione suicida. Le era bastato un sguardo accusatorio, colmo di rabbia per rimetterlo in riga. Era sempre così. Lui le chiedeva di calmarsi e lei lo faceva. Lei gli chiedeva di fare ciò che era giusto, e lui lo faceva. A volte sembravano ordini; lo erano. E loro eseguivano come se non potessero fare a meno di rispondere l'uno alle necessità dell'altro. Sapeva che il suo essere alterata non avrebbe di certo scatenato la fine del mondo, eppure non appena lui le chiese di calmarsi, lei sospirò profondamente e si lasciò cullare dallo sguardo di lui. Le seguenti parole del ragazzo non le sente nemmeno. Concentrata com'è su quegli occhi scuri si perde in ricordi lontani. Una volta era così facile restare incollati l'uno all'altra sul pavimento della casa di Godric's Hollow. Guardavano fotografie e parlavano del futuro. Immaginavano come sarebbero stati dieci anni dopo, come sarebbero stati i figli di ognuno e come sarebbero diventati amici tra di loro. “Il mio uomo ideale sarà dolce. Lo so. Deve esserlo. E poi sai, credo che debba essere triste. Mi piacerebbe salvare un uomo triste. Quando sono tristi, combattuti, sono più belli. Lo conoscerò e insieme diventeremmo meno tristi.” “E tu saresti triste perché...?” Le bacia i capelli mentre disegna cerchietti sulla schiena di lei. “Non lo so James. Manca qualcosa...” Rimangono in silenzio e infine lui annuisce. Poi tornano a fissare il fuoco e come se niente fosse si addormentano di fronte al caminetto circondati da fotografie su fotografie. E se non erano fratelli allora cos'erano? Come si faceva a non considerare più una persona parte della propria vita da un giorno all'altro? James non era così. Un tempo, James e il suo orgoglio, dedicavano la maggior parte delle attenzioni ad Aleksandra, e lei faceva altrettanto. Erano il binomio perfetto; nessuno avrebbe mai potuto vederli separati. C'era dello strano nel loro rapporto, ma nessuno aveva mai pensato che potessero essere altro oltre che ottimi amici. Erano invidiati. C'era tra di loro un segreto, una confidenza, un friabile limite facilmente attraversabile che li rendeva unici. James non era un fratello. James era il confidente. Era una costante indefinita nella vita della ragazza. Le mancava qualcosa già prima; la sua lontananza non aveva fatto altro che risaltare quel vuoto diventato ormai una voragine dalle dimensioni incontenibili. Un buco nero che assorbiva tutto ciò che di buono era ancora in grado di regalare la ragazza. James le risucchiava l'anima, la consumava; la metteva in discussione, contraddiceva tutte le sue convinzioni, e il bello è che a lei piaceva così. Le piaceva litigarci, le piaceva prenderlo a pugni e poi abbracciarlo. Le piaceva infilarsi sotto le coperte in camera sua, fissando il soffitto fino a tardi, per addormentarsi infine cullata dal russare pacato del ragazzo. Come si faceva a vivere senza una costante entrata nella sua vita ben sedici anni fa? “Io... Non riesco a starti vicino. Non posso” Abbassa lo sguardo, Aleksandra, senza tuttavia dimenarsi dalle sue mani che ora accarezzano le guance. Chiude gli occhi e si crogiola in quella sensazione, ne trae la forza e anche la debolezza necessaria per affrontarlo. E poi lo fissa dritto negli occhi e si accorge che le mani non la toccano più. Non la vogliono, le negano quel contatto talmente candido, talmente semplice talmente innocente. E vorrebbe piangere di rabbia, di frustrazione, come quando da piccola suo padre la rimetteva nella culla dopo averla stretta a sé per ore ed ore. Si addormentava solo tra le braccia di Harry. Dormiva sogni tranquilli solo quando quell'uomo la stringeva tra le braccia. Ed ora lui non c'era più e suo figlio la odiava, non la voleva. Le sue mani le negavano l'unica cosa che ha mai amato. Aleksandra vuole amore, ama l'amore, ma non sa come provarlo e non sa come riceverlo. E ne ha così tanto bisogno; suo padre glielo ha sempre detto. L'amore è l'arma che distrugge ogni limite; l'amore beatifica, salva. Non c'è niente di più saggio che amare. E allora Aleksandra capisce di essere una saggia. Lo è per forza, altrimenti non si spiega quel batticuore, quel improvviso rossore nelle guance, quel luccichio particolare negli occhi. C'è qualcosa in come fissa James, in come cerca James, in come lo pensa, in come lo sogna, sì, c'è qualcosa che somiglia alla salvezza di cui parlava suo padre. Ma lui avrebbe accettato un simile scempio?
    “Perché cazzo non lo capisci? Non ci riesco.” E l'improvviso pugno del ragazzo andò a sbattere contro il muro non molto lontano dall'orecchio di Aleksandra, tanto che trasalì chiudendo d'istinto gli occhi. E improvvisamente quando è pronta a correre via per piangere altrove, lui ritira il pugno dalla parete e istintivamente il leggero odore di ruggine attira la sua attenzione. Non ha mai sopportato particolarmente il sangue. Eppure le prende la mano senza pensarci due volte e la avvicina agli occhi. Tira fuori la bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans e l'accende per guardare meglio. Le nocche sanguinanti scatenano nella ragazza profondi sensi di colpi. Gli occhi gli si riempiono di lacrime, di nuovo. Non riesce a fingere con James. Vorrebbe tanto riuscirci, essere forte, non cercarlo mai, non cercare mai di salvarlo da ogni pasticcio ma non ci riesce. Fissa le ferite, quasi ipnotizzata, e quasi di istinto appoggia infine le labbra sulla ferita, pulendola con la punta della lingua. In termini erotici, potrebbe significare qualcosa, ma Aleksandra è l'esatto contrario dell'erotismo; per lei succhiare il residuo di sangue da una piccola ferita, ha un unico fine: evitare di sporcarsi il nuovo vestito di sangue. Eppure, appena appoggia le labbra sulle nocche del ragazzo un'altra lacrima le scivola sul polso di James. Infine le fascia la mano con Ferula; resta in quella posizione con le mani lungo i fianchi, i pugni stretti, lo sguardo basso e il respiro smorzato. Sta forse per scoppiare di nuovo. Avrebbe così tante cose da dirgli. Troppe. Probabilmente nemmeno una vita basterebbe loro per raccontarsi tutto ciò che pensano e ciò che hanno pensato. Aleksandra di certo pensava sin troppo al ragazzo. Anche quando non c'era, lei si girava a cercarlo. Parlava di lui ai suoi amici, parlava di lui ai suoi nemici, parlava con lui nei sogni. James era ovunque, era in ogni persona, in ogni situazione. Non c'era posto nel castello che non le ricordasse lui, non c'era persona che tirasse fuori una frase simile alla sua senza scontrasi conseguentemente con il malumore della Potter. Era irascibile, ultimamente era diventata addirittura cinica, falsa, controllata, quasi macchinosa. James l'aveva resa pazza e più il tempo passava, più lei impazziva. Infine non ha più intenzione di tenere fede a quella farsa e lo abbraccia. Si butta tra le sue braccia stringendosi al petto del ragazzo come non faceva da molto tempo. Ma quell'abbraccio è diverso da ogni altro. Stringe la maglietta di lui tra le mani. La stringe a tal punto da lasciare che le unghie di lei provino addirittura a penetrare nella carne sulla schiena del ragazzo. Non c'è malizia, c'è tormento, desiderio. C'è una passione che s'incontra una volta in un millennio. E' un fuoco che divampa, che la distrugge. “Odio il modo in cui mi guardi.” E stringe di più. “Odio il modo in cui mi cerchi.” La forza aumenta, ma si concentra sul pezzo di stoffa, stritolato talmente tanto tra le sue mani da strapparsi da un secondo all'altro. “E odio ancora di più quando non mi guardi e non mi cerchi. E io odio lei. Odio tutte le lei. Le odio, James. Sarei capace di odiare persino mia sorella se non le volessi già così tanto bene.” Le mani lasciano la stretta sulla maglietta, ma lei è sempre più vicina. Percepisce il respiro caldo di James. “Io ti odio. Ti odio perché non so odiarti, e sarebbe così facile. Cazzo! Nessuno ha mai osato umiliarmi come fai tu. Eppure io non mi sento umiliata e lo farei ancora... e ancora... e ancora... se solo servisse a qualcosa.” Improvvisamente si stacca, ma resta tuttavia alla testa distanza di prima, con l'unica differenza che tra di loro non vi è ora nessun contatto. “Il tempo è finito, James. Puoi prendertene altro, ma io non sarò lì quando avrai finito.”
     
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  8. lionheart.
         
     
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    HeMAp6OJAMES SIRIUS POTTER

    « Come se nell'animo delle persone, il fulcro da cui scaturiscono i sentimenti non cambiasse mai. »
    [Mahoko Yoshimoto.]

    La leggera e afosa brezza estiva soffiava sulla contea di Cumbria, scuotendo le chiome degli alberi prossimi al lago Windermere, lo stesso che si stendeva in tutta la sua bellezza davanti all’abitazione recentemente acquistata dai coniugi Potter.
    - James, Aleksandra! Non vi allontanate troppo! - Urlò una Ginny indaffarata, avendo visto, con la coda dell’occhio, i due gemelli fuggire di casa per andare a correre nell’adiacente prato sugoso, sempre di un brillante verde. Un primo divieto che James, come di consueto, si preoccupò di infrangere: era sempre stata una tendenza più forte di lui. Era il bambino che toccava tutto, anche dopo essere stato avvertito del pericolo che correva: Harry lo ammoniva costantemente, comunicandogli ciò a cui sarebbe andato incontro, ma James non sembrava in grado di fermarsi davanti all’ostacolo puramente astratto. Sebbene, per esempio, Harry gli dicesse di non toccare mai il fuoco perché esso bruciava, qualche minuto dopo il bambino si avvicinava al camino e, accertandosi che nessuno lo vedesse, sfiorava le fiamme col palmo della mano convinto di poterle in qualche modo domare, di non avvicinarsi troppo; si affidava al suo inesistente autocontrollo e puntualmente si bruciava, ma in seguito non correva mai dai suoi genitori in cerca di consolazione: tirava su col naso e imparava da solo, a modo suo.
    Quel giorno aveva rubato un coltellino tascabile che aveva trovato in uno dei cassetti del padre; Harry gli aveva più volte suggerito di non toccarlo, ma in James certi divieti si manifestavano come inviti ad agire. Quindi se lo mise in tasca e, prendendo Aleksandra dal braccio – la portava sempre spontaneamente con sé – si mise a correre verso gli alberi più vicini, fermandosi davanti ad uno in particolare: un olmo molto rigoglioso. Estrasse il coltellino e iniziò ad incidervi sopra l’iniziale del suo nome. James, sin da piccolo, ironicamente, aveva sempre sentito il bisogno di tracciare i suoi territori e definire le sue proprietà. In quel modo, pensava, nessuno avrebbe osato oltrepassare quell’olmo per dirigersi verso l’abitazione con l’intenzione di ferire un membro della sua famiglia. Era un piccolo avvertimento proveniente da un bambino che si credeva più grande della sua età, già in procinto di diventare un uomo ma in realtà molto lontano dall’esserlo.
    Mentre era impegnato nella sua attività, come predetto da suo padre il coltello gli scivolò dalle mani e si ferì lungo il palmo della mano destra. Istintivamente, strinse i denti e si portò l’altra mano sulla ferita per comprimerla, o forse per nasconderla alla vista della sorella. Quest’ultima, tuttavia, avendo assistito all’intera scena, si fece avanti per capire cosa fosse successo.
    - Ti sei tagliato? - Domandò, semplicemente, aggrottando la fronte con fare preoccupato. James, come era solito fare, fece spallucce e minimizzò, rassicurandola con un mezzo sorriso.
    - E’ solo un taglietto, non mi fa male. - Ma la sorella lo conosceva bene e, di conseguenza, non era facile da ingannare. Gli prese quindi la mano dolorante, osservandola con riluttanza. James la fissava, intanto, sempre sorpreso della facilità con cui la sorella cercava di prendersi cura di lui. E la lasciò stranamente fare, piegando le labbra in un sorriso compiaciuto mentre la guardava e lei non guardava lui. - Se comprimo la ferita non mi fa male. - Aggiunse James, cercando di ritrarre la mano. Aleksandra a quel punto intrecciò le dita della propria mano alle sue, poggiando il palmo sulla ferita.
    - Così? Ti fa male? - Gli stava stringendo la mano, alleviando così il dolore fisico e morale con un unico gesto. James scosse lentamente la testa, piacevolmente sorpreso.
    - No, non mi fa male. - All’istante, in effetti, ogni dolore era sparito.

    Come erano passati da un affetto così innocente a quella che sembrava una sorta di urgenza passionale? Quale confine avevano attraversato, quella volta, mano nella mano come sempre, senza nemmeno essersene accorti? Esisteva davvero questo presunto confine o in realtà non avevano fatto altro che seguire il corso degli eventi, lasciandosi lentamente manovrare dagli invisibili fili del tempo? I loro corpi erano stati trasformati dalla crescita, le loro menti si erano appena affacciate alla vera realtà che li circondava riuscendo così a delinearsi in base alle esperienze, alle avventure e alle delusioni, il loro modo di sentire era pur cambiato, o forse si era solo approfondito: può davvero cambiare radicalmente il concetto di sensazione? Può davvero risultare completamente indifferente la presenza o l'assenza di una persona dopo anni di assidua convivenza? In James, almeno in parte, era possibile. Aveva rinnegato un sacco di amicizie e di altri legami, ma quello con Aleksandra aveva radici nella sua infanzia, nella sua adolescenza. Aleksandra c'era sempre stata da che ne avesse memoria. La sua presenza albergava in ogni suo ricordo, in ogni suo rimpianto. Più di Lily, più di Albus, più di qualsiasi altra persona. Aleksandra era la persona che James portava sempre con sé ovunque andasse, spesso senza nemmeno chiederle il permesso. La prendeva per mano e, non accettando negazioni né aspettandosene, la trascinava nei guai in cui si cacciava perché, semplicemente, si prendevano cura l'uno dell'altra. Cos'era cambiato? Cos'aveva infilato le dita negli ingranaggi che facevano funzionare quell'ambiguo rapporto di reciproca dipendenza, bloccando il meccanismo? Perché entrambi si sentivano proprio così, come sospesi. La loro distanza in qualche modo rendeva tutto meno reale e più distante perché era una forma di novità: non avevano mai vissuto così distanti, così in lite. Ed entrambi, perdendosi a vicenda, avevano perso un appoggio, un sostegno, un compagno di vita. James non aveva più nessuno da portarsi dietro nelle sue avventure, ormai le compiva sempre da solo: non si apriva facilmente con gli altri, come se sentisse che in realtà quel ruolo era occupato. Era di Aleksandra e nessuno avrebbe potuto colmare il vuoto che lei aveva lasciato. Sentiva che era tutto temporaneo, che le cose sarebbero cambiate. Ma rimandava in continuazione la realizzazione di quel probabile lieto fine. Forse confidava nel tempo, oppure forzava quella speranza nella sua mente fino a trasformarla volutamente in una ferrea credenza.
    E, guardandola mentre gli baciava la ferita, quasi gli sembrò di essere tornato bambino; il bambino vivace che, con una sicurezza e una presunzione che sfioravano quella del letterario Peter Pan, si feriva continuamente forse proprio perché, a differenza di Peter, sapeva che qualcuno si sarebbe preso cura di lui. E quel qualcuno era, ancora una volta, non Lily, non Albus, ma Aleksandra.
    Dischiuse appena le labbra dalla sorpresa, fissandola negli occhi con ardore mentre la rabbia lasciava spazio allo stupore, rischiarando le iridi fino a farle tornare a quell'azzurro limpido, privo di oscurità. Ed era come assente quando gli medicò la ferita, esattamente come lo era da bambino. Si era presa cura di lui infinite volte, eppure ogni volta era, ai suoi occhi, assolutamente nuova e inedita. Il concetto di prendersi cura di qualcuno per James aveva un fascino e un impatto di grande importanza.
    Non si oppose minimamente all'abbraccio che ricevette, al contrario lo assecondò e la strinse anche lui tra le sue forti braccia. Il viso affondò nell'incavo del suo collo e, mentre lei parlava, lui inspirava il suo profumo, stringeva sempre di più a sé il suo corpo, l'ascoltava con avidità. Si sentì improvvisamente meglio, ma al tempo stesso lungi dall'essere soddisfatto. A volte gli capitava di pensare che non avrebbe mai conosciuto la pace nella sua vita. D’altronde certi animi, soprattutto quelli irrequieti e ardenti, non sanno nemmeno cosa sia la pace. Credono, a volte, di raggiungerla con la solitudine e il silenzio, ma per loro queste due dimensioni non esistono. Sono anime che bruciano, di continuo, tutta la vita che viene loro concessa fino a consumarla, ad annerirla e renderla nient'altro che polvere prima della loro ineluttabile ora. E James, febbricitante come non mai, era sempre spinto a desiderare di più, a oltrepassare ogni confine trascinando con sé il caos che aveva dentro.
    Non rispose, non disse nemmeno una parola. Non si forzava mai a trovare le parole giuste, James. I discorsi improvvisati gli sembravano fonte di pura falsità. Non era il brillante Corvonero con la risposta sempre pronta, né l'astuto Serpeverde in grado di ingannare il prossimo giocando coi sentimenti altrui e costruendo su di essi castelli di parole astratti. James da questo punto di vista era mediocre. La sua intelligenza era diversa. Non proveniva dalla cultura, dai libri letti, dai compiti svolti con dedizione. Era un'intelligenza pratica, una prontezza di spirito non indifferente; era sveglio.
    - Non odiarmi. - Le disse solamente in un sussurro, solleticandole il collo col suo respiro caldo. Ne baciò poi la pelle, lasciandosi trasportare dalla corrente della passione, lasciando così una scia di baci meno leggeri dei precedenti, più sentiti. E nei frangenti in cui le sue labbra non baciavano, continuavano a sussurrare un'unica frase, la stessa di prima, ma con più ardore: - Non odiarmi. -
    Era l'incoerenza fatta a persona, il caos più irrazionale e irruento, un guazzabuglio privo di confini, di forme ben definite, di perché. Inutile tentare di parlarci, di chiarire. James era così. James non parlava, ma dimostrava. Non sapeva esprimersi se non con le sue mani, con le sue labbra, con i suoi sguardi. James era pura corporeità in lotta con un'indesiderata razionalità.
    Arrivò a sfiorarle la guancia e, sempre con meno dolcezza e più desiderio, le lasciò un bacio sull'angolo delle labbra. - Non odiarmi. - Ripeté, per l'ennesima volta, con fare quasi sfinito, disperato. Avrebbe accettato l'odio di chiunque nei suoi confronti, ma non quello di Aleksandra.
    Guardò i suoi occhi e le sue labbra, in alternanza, mentre continuava inavvertitamente a premere il suo corpo contro quello di lei, ancora appoggiato contro il muro. Esitava, in lotta con un baluginio restante di razionalità. Sfiorò le labbra di Aleksandra con le sue, titubante, e la tentazione a quel punto divenne troppo forte. Aleksandra divenne il fuoco più volte da lui sfidato, il coltellino che non doveva toccare e aveva addirittura rubato; divenne il concetto puro di tentazione.
    Fu un niente. Si avvicinò ancora di più e le sue labbra finorono incollate a quelle di Alex. Niente di programmato, né di previsto. Si lasciò guidare dall'istinto, esattamente come aveva sempre fatto.
    Si era lanciato, senza nemmeno preoccuparsi di tastare prima il terreno.
    Perché la paura, per James, più che un ostacolo era un ulteriore motivo per lanciarsi nel vuoto.
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    Eleanor Roosevelt diceva che il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei loro sogni. Ma basta davvero crederci affinché un sogno si avveri? Perché Aleksandra lo aveva sognato così tante volte, lo aveva bramato, desiderato al limite del immaginabile; Aleksandra lo desiderava prima ancora di essersene accorta chi fosse l'oggetto dei suoi pensieri, lo cercava, e il più delle volte inconsapevolmente lo trovava anche. C'erano quelle mattine in cui si svegliava tutta sudata dopo aver passato la notte tra incubi dei più spaventosi; il più delle volte scappava da mostri che cercavano di tagliuzzarla in mille parti; mostri con sembianze umane, che sorridevano malignamente e non desideravano altro oltre a farla a pezzi. Ma quella particolare mattina aveva sognato cose diverse. Era James ad esser morto. Lo avevano pestato a sangue finché non era caduto tra le braccia di lei esalando l'ultimo respiro. Era stato forse in quel momento che aveva iniziato a dimenarsi tra le lenzuola, stringendosele tutte attorno come a cercare una barriera di protezione tra lei e il mondo esterno. Quando apre gli occhi è terrorizzata, ma in un certo senso, quel sogno sembrava così reale che a malapena riesce a rendersene conto di aver sognato. Si tocca istintivamente la faccia e le mani e si tira su a sedere guardandosi attorno. Grimmlaud Place sembrava alquanto silenziosa quel giorno. Con i loro genitori al lavoro, Lily a casa di Rose e Albus dai Malfoy, gli unici rimasti a badare alla casa erano lei e James, ormai quindicenni. Si alza e istintivamente va a bussare alla porta accanto. Non riceve alcuna risposta quindi entra anche a patto di sorprendere il fratello durante azioni sconce. La stanza risulta tuttavia vuota, e allora s'impanica. Il respiro affannato, le manine che afferrano improvvisamente le tempie con violenza esercitando una pressione tale sulle ossa craniche da contraccambiare le continue fitte che le pulsano nella testa. Vorrebbe urlare. Vorrebbe mettere sotto sopra quella maledettissima stanza, ma sarebbe inutile; è già sotto sopra. Vorrebbe piangere. Ma Aleksandra non ha mai pianto. Non sa nemmeno come si faccia. E allora cosa fare? Si siede per terra con le ginocchia al petto e fissa un punto indistinto fuori dalla finestra. E per un attimo sente di impazzire. “Mocciosa! E' pronta la colazione.” Alle sue spalle un gioioso quanto spensierato James si dirige verso la sua stanza con un vassoio pieno di ogni ben di dio. Il sabato mattino è rituale fare colazione insieme, mangiando le peggiori porcherie. Ah! Approfittare dell'assenza di Ginevra! Tipico di quel malandrino in divenire. Al solo sentirlo, la ragazza si alza in piedi, esce nel corridoio e gli salta sulle spalle come una piccola scimmietta, baciandolo sulla guancia e mordendogliela poi delicatamente. Lui cerca di scrollarsela di dosso, ma lei squittisce e lo obbliga a portarla a cavalcioni fino in camera sua, come se non bastasse quel vassoio. Lei si aggrappa al collo del ragazzo con il braccio sinistro e con la mano destra prende un cornetto al cioccolato e imbocca James. “Grazie Alex. Grazie! Sei di grande aiuto.” Commenta lui ironicamente, per poi piegarsi appena all'indietro obbligandola ad atterrare sul morbido letto. Sistema il vassoio nel mezzo e si siede di fronte a lei. “Lo sai che sei proprio una...” Ma lei non gli da il tempo di parlare perché gli ficca, questa volta un pasticcino, in bocca. Scuote la testa, il ragazzo, e inizia a ridere. Nemmeno lui può resistere a un'Aleksandra così allegra. E lei? Perché è così contenta? E' difficile spiegarlo. Certo è che irrazionalmente quella mattina pensò di averlo perso; non realizzò neanche il motivo del suo spavento. Sapeva solo che qualcosa era decisamente sbaglio. E poi, non appena lo vide, capì che in realtà tutto era maledettamente giusto. Al proprio posto. James era vivo e vegeto... e anche affamato. E lei era felice. Completamente e irrimediabilmente felice.

    Improvvisamente scomparve. Scomparve la rabbia, l'odio, la frustrazione. Rimase solo una sensazione di vuoto incolmabile. Qualcosa che si poteva facilmente scindere da un qualunque altro sentimento. Erano momenti di una purezza cristallina. James e Aleksandra erano improvvisamente avvolti, protetti, coperti da una campana di vetro la cui luminescenza sconfiggeva le tenebre, ma era in grado anche di rimediare alla luce troppo intensa. Sospesi a metà, fuori dal mondo. Là fuori c'erano una moltitudine di anime irrequiete, colme di speranze e sogni come i loro, forse addirittura anime innamorate, oppure semplicemente legate a qualcun altro. Là fuori c'era la loro famiglia, i loro amici. C'era un intero universo che non vedeva l'ora di giudicare quel sadico abbraccio, quella vicinanza dai toni erotici. Là fuori li aspettavano i pregiudizi, l'incomprensione. Ma in quel momento, Aleksandra si sentiva meno sorella di James che mai; eppure ciò non la rendeva più distanze, bensì più vicina, come se al solo pensiero, il cuore potesse finalmente sincronizzarsi sulla giusta frequenza e battere all'unisono, assieme a quello del ragazzo, come se fossero stati plasmati da un'entità superiore per battere assieme. Così come erano state plasmate le loro dita per incrociarsi, così come la pelle era stata costruita in modo tale da provocare scosse all'altro. La forma delle labbra perfette per completarsi a quelle dell'altro. E gli occhi. Gli occhi talmente diversi, opposti nelle loro intenzioni, eppure bramosi della stessa cosa: gli occhi dell'altro; sguardi di una potenza immane, in grado di fermare guerre interiori, per poi scatenarne altre di più cruenti. Potenti a tal punto da obbligare lo stomaco della ragazza a raggomitolarsi su se stesso. Quello sguardo era sinonimo di profondi quanto piacevoli brividi lungo la schiena; si sarebbe rispecchiata in quel mare tenebroso per il resto della sua vita, se solo ne avesse avuto l'occasione. E quale scherzo terribile della natura. Lo specchio dell'anima della Luce, era nero, scuro come il petrolio. Lo specchio delle Tenebre, era chiaro, limpido, luminescente. E li fissa. Alza lo sguardo verso quello di lui mentre lo abbraccia. Lo stringe a sé avidamente, con lo stesso fervore che usa lui. E per un momento sembra quasi che i loro corpi siano uno solo, uniti da un legame ben più intimo di qualsiasi altro rapporto ravvicinato. Non basta una notte di amore per sostituire quel momento, non bastano tutti i baci del mondo, tutte le promesse d'amore, tutti i corteggiamenti e i regali di questo mondo e l'altro per sostituire o raggiungere minimamente l'intensità di quel rapporto. Perché quel rapporto ha qualcosa di talmente reale, di palpabile, di meravigliosamente sbagliato, da spodestare qualunque altro gesto compiuto per amore.
    Lei molla improvvisamente la presa sulla maglietta del ragazzo, ma non si muove. I pugni stretti a peso morto lungo i fianchi, mentre James la stringe ancora forte a sé, accarezzandole la morbida pelle con il suo respiro caldo. Brucia. Brucia ancora di più non essendoci un contatto concreto. Ma poi si ricrede non appena lui poggia di nuovo le labbra sulla pelle di lei. Ogni bacio è come un'incisione a ferro e fuoco sulla pelle. Ed è una sensazione terribile, al contempo bella da morire, tanto che lei è costretta a poggiare una mano sul braccio del ragazzo, stringendo fortemente; vorrebbe fermarlo ma non lo fa. “Non odiarmi.” E' un sussurro che percorre tutto il suo corpo. “Non odiarmi.” Altro bacio e il suo corpo vibra, chiude gli occhi e li strizza forte, combattuta a dismisura. Da una parte c'è James, suo fratello, col quale ha condiviso persino la stessa culla, il ragazzo che le regalato così tanti momenti indimenticabili, recandole tuttavia un'offesa insopportabile, allontanandola di punto in bianco, puntando il dito contro di lei come se fosse stata un povero diavolo. Dall'altra parte c'era James, il quasi amante, il ragazzo che aveva baciato per la prima volta durante la notte del loro tredicesimo compleanno che ora la prega, la implora, le sussurra quella dolce agonia all'orecchio. “Non odiarmi.” Arriva all'angolo della bocca, e lei dischiude appena le labbra. Vorrebbe dire qualcosa, ma non sa cosa dire; e allora capisce di non averle dischiuse per parlare. Il respiro è affannato, il cuore pulsa il sangue freneticamente in tutto il suo corpo, e di conseguenza Aleksandra stringe la presa sul braccio di lui, e strizza di più gli occhi. Si bagna le labbra. Sa che sta per arrivare, ma non vorrebbe. Oppure, in realtà lo desidera così tanto che potrebbe morire sulle sue labbra. E' un tormento di dimensioni spaventose che cresce istante dopo istante. Ed è proprio quando apre appena gli occhi che ritrova le labbra di James incollate alle sue. E le parole di lui “Non odiarmi.” rimbombano nella sua mente. Vorrebbe rispondergli che non potrebbe mai odiarlo, che non lo ha mai fatto e mai lo farà. Vorrebbe dirgli che non importa, che va tutto bene, che sarebbe andato tutto per il meglio. Ma come poteva farlo se dopo sedici anni, i loro desideri avevano finalmente preso il sopravvento come mai avevano fatto prima di allora. “Non puoi averlo fatto...” Sussurra sulle labbra di lui tra un respiro e l'altro. “Non l'hai fatto.” Ma torna a rimpossessarsi delle labbra di James come se le fossero sempre appartenute. E chiude gli occhi, li chiude sperando che qualcuno le avrebbe dato un pizzicotto dimostrandole che in realtà si trovava in uno di quei innumerevoli sogni fatti sul conto del ragazzo. Ma improvvisamente lo obbliga a girarsi e a incollare la schiena contro il muro, prendendo a sua volta in mano il controllo come non aveva mia fatto. Molla la presa sul braccio del ragazzo e incrocia le mani attorno al collo di lui, lasciando che una mano vaghi tra i suoi capelli, mentre le labbra di lei abbandonano le labbra di James. Accarezza la guancia di lui con la fronte e le bacia il lobo dell'orecchio. “Che cosa stiamo facendo?” Gli chiede in un sussurro. Ma non si allontanata affatto. Non smette di accarezzarlo, non smette di baciargli la pelle candida del collo. Si stringe di più al ragazzo. Ha paura Aleksandra, ha paura che tutto sia un'illusione, che tutto finirà e che lei non vedrà mai più quella luce dalle sfumature tenebrose. Ha paura che non riuscirà mai più a guardarlo negli occhi. Teme di non potersi più perdere nel caldo colore di quelle iridi scure. Ed è forse la paura stessa di cui ha paura, poiché se non avesse avuto paura di sin troppe cose, Aleksandra non sarebbe stata lì. Vorrebbe piangere, perché non capisce, o non vuole capire. Vorrebbe urlare, ma è rimasta senza parole. E tutto ciò che può fare infine e allontanarsi portandosi i mani sulle tempie, esercitando una forza tale da provocarsi un'indesiderata emicrania. Scuote la testa e infine si passa le mani tra i lunghi capelli color grado, iniziando a spostarsi nella stanza, il più lontano possibile da lui. E le sente. Altre lacrime. E vorrebbe davvero smettere di piangere, di disperarsi. Vorrebbe smettere i sentirsi addosso quei sensi di colpa, quel dolore devastante, quella frustrazione immane. “Non l'hai fatto...” Ripete ancora una volta come una povera pazza in preda a una crisi nervosa. Non è controllata, ha perso il seno, ma è tuttavia pacata, e quella è pura sofferenza, silenziosa, egoista. E' lei a sentire ora il peso della colpa. Lo aveva desiderato per così tanto tempo, e ora che era accaduto avrebbe voluto che qualcuno glielo cancellasse dalla mente. E come fare? Era già gelosa del momento appena vissuto, che sarebbe rimasto senza ombra di dubbio per sempre nella sua mente. Si piega sulle ginocchia e fine si lascia cadere a terra, portandosi le ginocchia al petto, rivolgendogli di proposito le spalle. Combattuta nel tornare tra le sue braccia e la consapevolezza del dover uscire di lì, vorrebbe scappare, Aleksandra, ma al tempo stesso vorrebbe rimanere lì per sempre.
     
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    tumblr_msgd96Qb081qfgcp5o2_250 tumblr_msgd96Qb081qfgcp5o4_250JAMES SIRIUS POTTER

    « Umano, troppo umano. »
    [Friedrich Nietzsche.]

    Sei uno stupido, James Sirius Potter.
    Quante volte aveva sentito pronunciare questa frase? Dai suoi familiari, dai suoi amici più cari, persino dalle persone che conosceva a malapena. Quante volte, in risposta, aveva fatto spallucce per mostrare la sua malcelata indifferenza? E quante altre volte segretamente, quando cioè quell'affermazione non era che un’eco che rimbombava nella sua mente, annuiva tra sé in solitudine per mostrarsi d'accordo con quell'accusa? James, in fondo, era un cliché; il cliché del ragazzo forte che puntualmente non capiva dove risiedeva quella sua presunta e decantata forza, ostinandosi a rafforzare gli aspetti sbagliati, forse persino quelli più deboli. Non capiva che la sua forza albergava proprio nel suo cuore. Pensava che quello fosse una debolezza perché non funzionava bene. James non lo sentiva. Credeva spesso di correre verso di esso, ma in realtà era lui a sfuggirgli di continuo, armandosi di tutto il suo immenso orgoglio. L'orgoglio. Era lui il vero nemico, il limite della sua forza. Come la volta in cui, durante un'importante partita di Quidditch, un avversario grosso il doppio di lui gli ruppe la spalla e James, troppo determinato e orgoglioso, si era rifiutato di farsi portare in infermeria per concludere la partita. Rischiò seriamente dei danni permanenti, se non la perdita diretta dell'arto. Dovettero afferrarlo in quattro e trascinarlo in infermeria. E persino l'infermiera, l'anziana donna solitamente comprensiva, aveva scosso la testa e, con tono irritato, gli aveva detto:
    - Sei uno stupido, James Potter. -
    E quando quel cuore batteva faceva solo guai. Non sembrava conoscere le comode sfumature, perché amava troppo o troppo poco. Finiva inevitabilmente per bruciare o gelare tutto, senza mai trovare un equilibrio stabile. Per questo, a volte, James desiderava fare le valigie e andarsene. Ma non tanto per farlo, per scappare volgarmente, perché James non è mai stato un tipo dalla fuga facile. James aveva una destinazione ben precisa. Ogni persona, in fondo, crede fermamente che ci sia un posto là fuori, nel mondo, che le appartenga: una nazione, una città, o più semplicemente un angolo di mondo non ben conosciuto. Per James quel paradiso ideale era la Norvegia. Ed era strano, considerata la naturale focosità di James, ma aveva il suo perché. Dopo una vita passata a commettere errori su errori, a desiderare l’indesiderabile, a rincorrere false vittorie, James era arrivato a desiderare di cambiare.
    La Norvegia conserva sempre il suo freddo. Nessuno la umilierà mai, nessuno si farà spazio nel suo gelido cuore. Tutti gli abitanti sono uguali, per lei. Nessuna gerarchia, nessuna preferenza, nessuna delusione. Quella nazione non si aspetta niente da nessuno. Era questa l’idea che James aveva della Norvegia, sebbene potesse essere valida per tante altre nazioni fredde. Ma per chissà quale motivo sentiva che c’era qualcosa solo là, per lui, che prima o poi sarebbe andato a cercare. Una teoria del tutto irrazionale e priva di basi logiche, ma dettata dall’istinto, dalla convinzione che i luoghi, spesso, ti danno una parte di te stesso che le persone non possono darti. Le persone – e in particolare le ragazze – per James erano dei continui grattacapi, delle fonti di problemi e di tormenti. Essendo un tipo passionale e molto fisico, tendeva ad approfondire le conoscenze e, così facendo, ad attorcigliarsi da solo nelle loro ragnatele, cosicché, alla fine, non gli restava che un’unica opzione per salvarsi: dimenarsi ferocemente, spaventarle, ferirle con tutto ciò che aveva a disposizione. Ed era esattamente ciò che avrebbe fatto anche con lei, con Aleksandra. L’avrebbe incoerentemente indotta ad odiarlo, sebbene le avesse chiesto in precedenza di non farlo, così forse se ne sarebbe andata, così sarebbe stato più facile stargli lontano. Eppure, al tempo stesso, sapeva che niente avrebbe reso le cose più facili a lui se solo l’avesse lasciata andare, che nulla l’avrebbe salvato. Nemmeno la sua Norvegia.
    Era come se la mente di James filtrasse le sue intenzioni in modo sbagliato, permettendo all’orgoglio e al suo ego di modellarle a proprio piacimento. Quando pensava di tenere a qualcuno, per esempio, dalle sue labbra fuoriusciva uno sconnesso e contraddittorio lasciami in pace.
    In quel momento sentiva un caldo infernale, James, come fosse nel bel mezzo di un incendio ormonale senza voler trovare una via d'uscita. Poteva restarsene tra le fiamme, sentirsi vivo e rischiare di ustionarsi, oppure distaccarsi e mettere a tacere il suo cuore traditore, tornando a quella dimensione di vuoto a lui troppo familiare. Perché queste decisioni sono sempre ingiuste. Istantanee, così immediate e leggere da essere trasparenti, invisibili, ma scorrette. Da una parte c’è la prospettiva dell’appagamento totale, dall’altra quella del vuoto. A metterle a confronto era il legame di presunta parentela che univa James e Alex. Eppure James, lì per lì, non seppe che decisione attuare. E quindi continuò a baciarla con foga, come se la soluzione fosse proprio lì, sulle labbra di Alex, e lui fosse sul punto di scovarla una volta per tutte. Non fu il bacio innocente e sfuggente che Alex gli diede a soli tredici anni, perché James non era mai stato equilibrato né delicato. James le dischiuse le morbide labbra con la lingua, incontrando subito la sua. Azzerò ogni distanza, facendo aderire quasi completamente i due corpi, mentre le labbra lottavano con veemenza, con desiderio, l’una contro l’altra, in un vero e proprio bacio passionale. Ancora una volta: nessuna dannata via di mezzo. Un brivido gli percorse la schiena quando fu lei a pretendere il controllo e a sbatterlo contro il muro, ma la seguente presa di coscienza lo spiazzò, lasciandolo incredibilmente insoddisfatto: era pur sempre un ragazzo di sedici anni nel bel mezzo di una tempesta ormonale. Quindi rimase immobile, silente, a guardarla. Il respiro affannato per l’eccitazione di prima, il cuore impazzito e indomabile. Portò una mano su di esso, quando lei gli diede le spalle, sorpreso di quella corsa disperata, quasi come se la gabbia toracica da protezione fosse diventata una prigione. Non gli era mai capitato di sentirsi così vivo, così partecipe. Lì per lì, quell’intensità di sentimenti lo spaventò. Sentiva che avrebbe potuto facilmente perdere il controllo, con Alex, e spingersi oltre i rosei confini del bacio.
    E sapeva perfettamente che non gli era permesso.
    Cercando di regolare il respiro, si passò una mano tra i capelli ora quasi asciutti e si andò a sedere sul bordo del letto. Avrebbe voluto consolarla, stringerla tra le braccia, ma temeva di riaccendere quell’incendio di prima anche con il più semplice contatto. Non poteva toccarla, non poteva guardarla negli occhi, non poteva sostenerne la presenza.
    - Non fare tanto la sconvolta… Ti ricordi il bacio che mi hai dato tu a tredici anni? - E fu così che il suo mostruoso orgoglio prese inevitabilmente a parlare. - Hai iniziato tu. - Sottolineò le sue colpe, guardandola solo di sfuggita, evitando cioè il suo sguardo. Così gli sembrava di parlare con Janis e, di conseguenza, era più facile. - Certo, ho sbagliato… Non avrei dovuto farlo, è evidente, ma ormai l’ho fatto. - Sbuffò, spazientito, come se fosse inutile, per lui, piangere sul latte versato. Si sdraiò sul letto, portando una mano sulla fronte e fissando il soffitto.
    - Ma non so perché l’ho fatto. - Ammise, umettandosi appena le labbra con la lingua. Sentì ancora la prova di quel bacio, quindi si morse il labbro inferiore dall’interno e evitò di ripensarci.
    - Forse perché hai assunto le sembianze di Janis. Magari credevo di baciare lei. - Buttò così la prima ipotesi che gli attraversò la mente, senza realmente pensare alle conseguenze che questa avrebbe comportato. - In un certo senso è meglio pensarla così, no? Voglio dire… - Aggrottò la fronte, cercando una via d’uscita da quella situazione complicata. - Magari non ti avrei baciata se tu avessi avuto il tuo solito aspetto. - Continuò a ipotizzare, parlando più con se stesso che con lei. Il pensiero che James volesse realmente baciare Aleksandra era troppo ripugnante persino per lui, quindi cercava a tutti i costi di nasconderlo, di rinnegarlo, di spingerlo lontano dalla sua mente. Per questo era apparentemente molto calmo, James: si era temporaneamente rifugiato in quella fragile illusione.
    Fece una smorfia e ci fu un attimo di silenzio; uno di quei silenzi eloquenti, silenzio come ente astratto, impalpabile,ma che racchiude pur sempre molte cose. Nel silenzio c'è l'assoluta pienezza di ciò che in apparenza non c'è: emozioni, sensazioni, paure. Sterile e terribilmente intenso al tempo stesso come il più affascinante dei paradossi. Il silenzio è qualcuno che urla al centro di una camera dalle pareti completamente insonorizzate. Opprime il singolo individuo mentre l'osservatore non sa cosa succede. E' qualcosa di assolutamente intimo, il silenzio, impossibile da tradurre in parole.
    - Forse dovresti andare, Alex. Ho bisogno di dormire… E di non pensarci. - Disse e sbuffò, dandole le spalle come se volesse realmente dormirci sopra. In realtà voleva evitare ogni tipo di contatto, di confronto. James era troppo imprevedibile persino – o forse soprattutto – per se stesso. Chiuse gli occhi, attendendo di sentire lo sbattere della porta.
    Sei uno stupido, James Sirius Potter.
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    Queste gioie violente hanno violenta fine, muoiono nel loro trionfo
    come il fuoco e la polvere che si distruggono al primo bacio.

    Non l'ha fatto. Un leggero venticello soffia attraverso quella finestrella dell'imponente torre Grifondoro, costringendo la ragazza di concentrarsi su quel friabile fruscio attraverso il legno. Lo sguardo basso, di un azzurro strabiliante, si cela, si amalgama con la luce fredda della luna, e diventano un tutt'uno. Sotto quella luminescenza, gli occhi di lei sono più freddi che mai, quasi trasparenti, a tal punto che l'azzurro diventa una leggera sfumatura bianca attorno alla pupilla dilatata. Si sfiora le labbra con l'indice per un istante, ignorando la presenza del ragazzo. Sprofonda in un mondo tutto suo, un mondo dove i ricordi non fanno male, dove i momenti come quello di poco fa, hanno solo toni melanconici, non frustranti, non sporchi, come tendono a risultare agli occhi dei due partecipanti. Le labbra della ragazza sulla pelle candida di James, risplendono nella penombra di una luce lunare che fa loro da testimone e confidente. Ed è una confidenza violenta, passionale, colma di rabbia, ma anche di qualcos'altro che Aleksandra non riesce a percepire. E' più forte di lei pensare a qualunque altro motivo per baciare James, piuttosto che ammettere di provare qualcosa per lui. E nega. Nega e si dispera, e cade nel baratro, immaginando di essere una creatura mostruosa a dismisura. Si sente sporca, alterata, difettosa. Ma in quel mondo fatto della stessa materia dei sogni, Aleksandra non si ferma. Non gli da tregua, non si domanda niente, non lo lascia scappare e non scappa. In quel mondo surreale, quelle colpe non macchiano la sua anima. E allora lei continua a scendere lungo il collo coi baci, gli sbottona i primi due bottoni della camicia e continua il percorso lungo la spalla, per poi scendere con eleganza fino al petto. Lui lascia vagare la mani lungo il corpo di lei e le toglie quel maledetto maglione. E allora le sente; sente le mani di Jame sui suoi fianchi. Pelle contro palle. Lei fredda, lui caldo, ma è un contrasto piacevole, che brucia ad ogni contatto, che consuma a tal punto da chiedersi se non sono stati fatti per condividere quel maledetto quanto frustrante universo. Quell'amore è meraviglioso, ed è puro nonostante venga scatenato da due animali indomabili. E c'è desiderio; una fiamma che brucia all'infinito, una candela la cui cera sembra non volersi consumare mai. Un idillio spaventosamente bello che mira all'atto finale, al dare e ricevere, al per sempre. James e Aleksandra sono il per sempre felici e contenti, potrebbero esserlo se solo l'universo intero non cospirasse contro di loro. Ma è d'altronde quel divino, maledetto ente superiore ad averli riuniti, ed era sempre lui a separarli inesorabilmente. E mentre quello sguardo albino scorge il panorama oltre la finestrella, profondi brividi di piacere le percorrono la schiena; è tesa a tal punto da desiderare irrazionalmente di tornare tra le sue braccia; irrazionalmente Aleksandra lo vuole. Adesso o mai più. James o nessuno. James è la qualità più squisita di eroina che abbia mai assaggiato. James è il sole; Aleksandra è Icaro. La luna è l'invidioso complice, oppure la luna è lei stessa, che vorrebbe far sprofondare il sole nel buio. Due forze perfettamente equivalenti che vorrebbero sopraffarsi con violenza, circondati dal desiderio, da una passione senza precedenti. Il contatto diretto di quegli occhi con la luna, le danno un senso di supremazia. Non appena la fissa, la luna la bacia sulla fronte, le soffia addosso quella polvere d'antico spicco, l'incantesimo primordiale degli innamorati, e lei, ormai purificata dai suoi stessi pensieri maliziosi; e si trascina appena sul pavimento, appoggiando la schiena contro il letto del ragazzo. I palmi piantati a terra, incontrano i frammenti di vetro di quella vecchia fotografia che ha ridotto in frantumi poco prima, e tra le ceneri, individua, quel che resta della loro fotografia. Nemmeno il fuoco desiderava mettere fine a quella storia; la fotografia bruciata ai bordi ritrae ancora due ragazzini quattordicenni, giocosi che si scompigliano i capelli e ridono di gusto, circondandosi i fianchi a vicenda. Quella creatura di pochi anni fa abbraccia il fratello e gli stampa un bacio sulla guancia, per poi piantare lo sguardo etero in quello di Aleksandra, l'Aleksandra dei nostri tempi. E allora capisce; capisce che non ci è stato un momento in cui lei non desiderasse questo. Voleva lui. Sotto quale forma ancora non lo sapeva. Ma lo voleva; lo desiderava a tal punto da impazzire.
    “Non fare tanto la sconvolta… Ti ricordi il bacio che mi hai dato tu a tredici anni? Hai iniziato tu.” Aleksandra non lo ascolta. Apre di istinto il cassetto del comodino del ragazzo dove sa bene che conserva un pacchetto di sigarette per le emergenze. Tira fuori una sigaretta e se l'accende con la bacchetta. Se ne frega di cosa potrebbe pensare James, se ne frega di cosa potrebbe pensare il suo compagno di stanza e soprattutto se ne frega di quanto a James dia fastidio che Aleksandra fumi. E' raro che la più grande dei Potter fumi, soprattutto in compagnia di James. A dire il vero ha sempre provato un senso di vergogna nel farlo di fronte al fratello; ha sempre avuto l'impressione che lui la giudicasse per via di quel gesto, a detta del ragazzo spregevole per una come lei. “Certo, ho sbagliato… Non avrei dovuto farlo, è evidente, ma ormai l’ho fatto.” Se lo trovò improvvisamente alle spalle, ma non si girò, non si mosse di un centimetro. Portò la sigaretta alle labbra ispirando profondamente; l'unico sfogo della serata si concentrava in quel gesto provocatorio. Una sigaretta tra due dita lunghe e sottili che la portano elegantemente alle labbra rosse. Il sospiro profondo mentre il fumo raggiunge i pomoni, infettandola di quella merda allo stato puro; e poi l'ancor più provocante gesto del buttare il fumo fuori, piegando appena la testa indietro, proiettando il fumo verso l'altro. Le labbra si aprono e piccoli cerchietti fuoriescono, si liberano e si distorcono nell'aria pesante della notte. “Ma non so perché l’ho fatto. Forse perché hai assunto le sembianze di Janis. Magari credevo di baciare lei. In un certo senso è meglio pensarla così, no? Voglio dire… Magari non ti avrei baciata se tu avessi avuto il tuo solito aspetto.” Lo ascolta attentamente, in silenzio, giocherellando con lo straccio di foto sopravvissuto all'incendio, mentre continua a fumare assorta da quella situazione, intima, particolare, calda e al contempo fredda, lussuriosa eppure così innocente. “Se ti aiuta a dormire, fa' pure!” Risponde lei prima di riportare la sigaretta alle labbra. La postura incurante, le conferisce quella solita aria di strafottenza, di freddezza calcolata, macchinosa. Lady le si siede accanto e appoggia il muso sulla sua gamba distesa a terra. C'è tuttavia un cambiamento nell'aria. L'ormai squillante voce di Janis era sparita. Di istinto Aleksandra afferra una ciocca dei suoi capelli. Sotto la luce lunare hanno un aspetto dai sapori freddi, ma il colore è indubbiamente scuro. In un certo senso prova sollievo, d'altro canto, si trova comunque nella tana del leone, e le tenere sembianze della piccola leonessa non possono più proteggerla. Alza gli occhi, scuote la testa, ma non dice niente. Se ne resta lì immobile, consapevole di dover escogitare qualcosa, senza risultare fuori di sé per via della situazione non del tutto piacevole. L'orgoglio la costringe a mostrarsi fredda, calcolata, come se tutto facesse parte del piano. Era tuttavia terrorizzata. Una simile bravata le poteva costare la carriera scolastica. Così, fumava e accarezzava Lady, mentre James si raggirava nel letto stringendosi le lenzuola sotto il corpo statuario senza nemmeno accorgersene. Era sempre stato di una delicatezza rara a letto; ad Aleksandra aveva sempre dato fastidio dormire con lui da certi punti di vista; immerso nel sonno, si fregava tutta la trapunta, le tirava da sotto il colpo leggero come una piuma, tutto il lenzuolo e a volte riusciva addirittura a buttarla giù da letto o a dormirle addosso nonostante il letto a due piazze della stanza del ragazzo fosse più che spazioso. James era ridondante persino nel sonno; Aleksandra si convinceva che si trattasse di egoismo, ma più di una volta l'idea che lui desiderasse incoscientemente la sua vicinanza, si era impadronita di lei. A volte si svegliavano abbracciati; lui la stringeva a sé, circondandole il ventre con un braccio. Che coppia strana! Che misto pazzesco! “Hai ragione...” Appoggia i palmi sul pavimento per farsi leva e si alza in piedi. La pelle del palmo sinistro incontra le schegge della cornice distrutta e la pelle candida sanguina violentemente. Ma non fa male; non fa male quanto quella sensazione di frustrazione che invade tutto il suo corpo. “...non sarei dovuta venire. E' stato uno spreco di tempo e di energie.” La voce è suadente, noncurante. Inizia a camminare per la stanza, incontrando il riflesso di se stessa allo specchio, e improvvisamente ne è ipnotizzata. Rivedersi in tutta la sua bellezza, le conferisce nuove forze e una smisurata soddisfazione, come se in realtà uscisse trionfante da quella serata. Sorride maliziosamente tra se è se; è un sorriso amaro, ma è anche passionale. E' un sorriso appartenente a quel mondo etereo che esiste solo nella sua fantasia. “Non sapevo che Godric contemplasse la vigliaccheria. E' tanto facile scaricare le colpe sugli altri, non è vero, James?” Pronuncia il nome del ragazzo con una nota soave; è una preghiera silenziosa la sua, mentre si massaggia il collo con la mano ancora sana, ripercorrendo i baci di lui. “Hai sbagliato. Non avresti dovuto farlo, ma ormai l'hai fatto. Non sai perché l'hai fatto... ma lo volevi, almeno quanto me.” Il viso di Aleksandra assume un espressione pensosa, tuttavia provocatoria; la tipica espressione di una donna in preda ai desideri più contorti. Aleksandra non ha più paura, e si butta. Completa il discorso del ragazzo con una nota accusatoria. “Lo volevi.” Ripete, come ad esaltare quell'ultima considerazione, l'unica che lui non aveva avuto il coraggio di mettere in gioco. “E lo vuoi ancora.” Si azzardò incoscientemente ad affermare in seguito. Il problema di quella povera ragazzina è che non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, o del perché lo stesse facendo. Era come guidata da una cosa più grande di lei, immensamente più potente. Aleksandra era fragile, quel mostro pauroso che si celava in lei era più forte. Che il mostro fosse amore o un distruttore per eccellenza, era irrilevante. Certo è che era lì e volente o nolente la obbligava a destreggiarsi in comportamenti a lei del tutto estranei. “Forse perché ho assunto le sembianze di Janis... sì...” E' ironica, cinica al punto di chiedersi dove sia scomparsa quella dolce quanto fragile Aleksandra, sorella di James Sirius Potter, nonché sua confidente e migliore amica. Andata. Sfumata di fronte a un unico bacio; un bacio in cui si celava la più squisita delle confessioni. “E' meglio pensarla così no? Le parole di lui stampate nella testa della ragazza. La maledetta memoria acuita a livelli surreali, porta Aleksandra ancora una volta a fare la parte della precisa, a tal punto da chiedersi quante informazioni potesse contenere un'unica mente. Forse non mi avresti baciato se avessi avuto il mio solito, insignificante aspetto.” Sorride, passandosi nuovamente l'indice sulle labbra. “Ma tu lo volevi. E lo vuoi ancora. E lo volevi anche anni fa, ma tu sfuggi all'evidenza, perché la verità ti fa un male cane. Non puoi immaginare quanto possano far male a me le tue bugie del cazzo. Non si gioca con il cuore degli altri, James. E se proprio degli altri non te ne frega un cazzo, non giocare col tuo. Mai.” Si stringe nelle spalle e impercettibilmente abbassa lo sguardo. Smette di fissarsi allo specchio, raggiungendo il letto a baldacchino di James, dove lui, frustrato a dismisura, si rifiuta di guardarla e forse addirittura di sentirla. “Forse dovrei andare? Dovrei? Davvero? E sia! Andrò, a patto che tu me lo chieda guardandomi in faccia." Si siede accanto al ragazzo, stringendo il pugno per fermare il sanguinamento e aspetta. Aspetta Aleksandra, come ha sempre aspettato senza mai ricevere risposta alcuna.
     
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    JAMES SIRIUS POTTER

    « Volevo il movimento, non un'esistenza quieta. Volevo l'emozione, il pericolo. In me tutto è così incoerente, incompleto, sento continuamente come un desiderio confuso di qualche cosa. »
    [Lev Tolstoj.]

    A volte due occhi chiusi hanno la stessa visibilità di due occhi ben aperti intenti ad osservare una realtà in continuo movimento, prestando una maniacale attenzione ad ogni cambiamento, ad ogni evoluzione. Se si è sprovvisti di sensibilità o di capacità d’osservazione, la realtà scorre davanti allo sguardo come un torrente dal percorso sempre uguale; la percezione assorbita dallo scrosciare dell’acqua, nessuna particolarità pronta ad imprimersi nella retina con la potenza di un marchio a fuoco. E James li chiuse davvero, gli occhi, sperando di perdere automaticamente la percezione di ciò che gli stava attorno, ma non fu così. Immaginò la stessa stanza immersa nella penombra, accarezzata delicatamente dai raggi argentei di quella luna che non faceva per lui, ma di cui non riusciva a fare a meno, e al centro di essa, invece di una Janis anomala, una bellissima Aleksandra tornata in sé. Ogni dettaglio al suo posto, dai cocci di vetro sparsi sul pavimento al maglione da lei indossato, in quella realtà parallela che, di fatto, non era affatto reale. Non c'era tormento, non c'erano ostacoli. Guardandola ad occhi chiusi non era più sua sorella, ma una bellissima ragazza che, pur provvista di una notevole massa cerebrale, lo scuoteva interiormente fino a farlo impazzire. Un’Aleksandra delineata dalla sua fantasia e quindi, indirettamente, dai suoi desideri più reconditi. Era davvero impossibile la realizzazione di questo desiderio, ovvero l’annullamento immediato di ogni legame di parentela con Alex? James voleva guardare Aleksandra senza vedere in lei sua sorella, anche se forse, se così fosse stato, non l’avrebbe mai amata. L’avrebbe probabilmente disprezzata perché non l’avrebbe mai conosciuta a fondo, fermandosi davanti all’immagine di una Serpeverde manipolatrice e astuta. Credeva di conoscere la vera Aleksandra, e forse era proprio questo il problema. Non c’era mai stato un visibile accordo tra loro, al contrario da certi punti di vista sembravano essere agli antipodi: lui così impetuoso e caldo, lei così razionale e fredda, eppure, nonostante tutto, come se fossero complementari, James si era ritrovato più volte a realizzare di non riuscire a fare a meno di lei. Se solo James fosse riuscito a lasciarla andare, a rinunciare a lei, tutto sarebbe stato più semplice. Lasciarla andare. Quante volte vi aveva pensato? E lo desiderava davvero, si impegnava a negare la sua esistenza, eppure ogni volta che compariva nel suo campo visivo ogni intenzione iniziava a sgretolarsi, mostrando le prime crepe che avrebbero portato ad una totale distruzione. La verità è che nessuno è abbastanza forte da decidere il termine di un rapporto, da porre una fine davanti a un probabile inizio, da trionfare sulle sensazioni più intense e incontrollabili. A volte sembriamo semplicemente essere fatti per evitare accuratamente ciò che è più giusto e tuffarci disperatamente nella vita più sbagliata e malsana, lasciando al cuore il timone.
    Avendo ancora gli occhi chiusi, il suo udito si sensibilizzò maggiormente. Riuscì quasi a seguire i movimenti compiuti da Aleksandra, da quelli più semplici a quelli più azzardati come l'accendere una sigaretta, ma fu solo quando sentì la sua voce che sussultò impercettibilmente. Non era la voce squillante di Janis, ma quella più profonda e inconfondibile di Aleksandra. Non si voltò a guardarla, non ancora. Rimase in silenzio ad ascoltarla, a lasciarle distruggere ogni buon proposito mirato ad allontanarla, a respingerla. Fu stupido da parte sua credere che Alex avrebbe aperto la porta per andarsene, che sarebbe stato così facile sconfiggere una tentazione vagante a cui non voleva poteva cedere. Una tentazione, se ignorata, non può mai andarsene del tutto; al contrario, non fa che accendersi giorno dopo giorno, ora dopo ora, fino a spingere chiunque all'inevitabile cedimento.
    Si voltò in sua direzione solo quando pronunciò il termine vigliaccheria, ma non commentò. Rimase a fissarla dal suo letto, mentre lei si fissava allo specchio, e il suo cuore perse un battito. L'atmosfera divenne quasi elettrica, colma di tensione e, almeno per quanto riguardava James, desiderio. E le parole di Aleksandra non gli davano tregua. Lo volevi, gli rinfacciava così la cruda verità, costringendolo ad affrontarla. E lo vuoi ancora. Rigirò il coltello nella piaga, tutt'altro che intenzionata a dargli scampo. Perché con James bisognava fare così: non dargli mai alcuna forma di tregua, altrimenti sfruttava il tempo concessogli per ricostruire le difese. James era una di quelle persone che sfuggono di continuo, che non riesci mai ad avere pienamente in pugno; quelle persone che, anche solo guardandole, ti accorgi che non potrai mai avere interamente, che una parte di loro non è lì con te. In quel momento, tuttavia, James era interamente lì, in quella stanza, a fissare Aleksandra, gustandosela quasi con gli occhi, senza dire nulla e a giocare col proprio cuore, come gli fece notare Aleksandra. Non poteva sapere nulla, lei, di ciò che stava realmente succedendo nell'interiorità di James. Se entrambi sembravano così freddi, distanti e quasi insensibili, dentro di sé James era nel bel mezzo di una baraonda, di un caos di prima categoria. Sentimenti che gridavano da una parte, pensieri razionali che sussurravano motivi più che validi per non assecondare il cuore.
    Quando si avvicinò a lui, poi, sedendosi sul suo letto, James rimase ancora in silenzio a fissarla. Inclinò il capo di lato per guardarla meglio, sollevandosi prima sui gomiti e poi sedendosi, incrociando le gambe con la dovuta calma. La luce lunare entrava dalla piccola finestra scavata nel muro e illuminava i suoi capelli ricci perennemente in disordine, metà di quel viso ora inespressivo eppure sempre così bello, i muscoli guizzanti delle braccia lasciati scoperti dalla maglietta a maniche corte. Puntò poi di nuovo lo sguardo su di lei, in particolare su suoi occhi che, sotto quella luce lunare, diventarono ancora più chiari e bellissimi. Ma non furono quelli a calmarlo, non quella volta: fu indubbiamente il timore di farle del male. Lasciandosi trasportare dal momento, portò il dito indice della mano destra sulle labbra di Alex; ne percorse il contorno lentamente, soffermandosi a sfiorare il labbro inferiore. - Non è vigliaccheria, Aleksandra. - Iniziò a chiarire, serrando le mascelle dalla rabbia, ma il suo tocco rimase gentile, delicato. - E' un tentativo di fare la cosa più giusta, ovvero rinnegare un sentimento reciproco che non dovrebbe esistere. - Continuò, spostando ora le dita sulla sua guancia e poi sempre più in basso, sui capelli e sul collo. - Ma tu non me lo lasci fare... Tu devi mandare tutto all'aria, vero? Devi stravolgere tutto, è più forte di te. - Digrignò i denti, ora palesemente arrabbiato, e, dopo averle scoperto leggermente la spalla per toccarla, strinse la presa sul maglione per tirarla velocemente a sé. - Sì, lo volevo e, cazzo, lo voglio ancora. Sei soddisfatta ora? Dimmelo. - Era così infuriato da non essersi nemmeno accorto della ferita di Alex. La strattonò appena, rafforzando la presa sul maglione, e l'avvicinò nuovamente a sé con più decisione.
    - E lo sai che non ti direi mai di andartene, anche se dovrei, perché a quanto pare anche io tendo a mandare tutto all'aria. - E, nel dirlo, infuriato con se stesso e con lei, le morse inavvertitamente il labbro inferiore, ma piano, con passione più che con rabbia, col desiderio di mordere ciò che lo faceva dannare e impazzire. - Per questo ti avevo detto di andartene. Perché non mi ascolti mai? - Ma non le concesse il tempo materiale per dargli una risposta, perché, con rabbia e desiderio, le sue labbra tornarono a reclamare quelle di Alex con più foga di prima, con più veemenza e ferocia sotto una luna che, ancora una volta, faceva da testimone ai suoi errori con quella sua aria impassibile.
    - Vattene. - Sussurrava tra un bacio e l'altro, ma non la lasciava andare; la sua mano destra stringeva il maglione a livello della spalla, quella sinistra era ancorata al suo esile fianco, comprimendolo dal desiderio. - Vattene. - Disse di nuovo, prendendo a baciarle e morderle il collo in alternanza. James era sempre stato maledettamente passionale. Ma che significato poteva racchiudere, in generale, la passione per una persona che non riusciva ad amare? Con Alex era diverso. Una passione che in realtà non racchiude nulla, che sprigiona ciò che è stato soffocato per troppo tempo e spinto sempre più in basso nell'animo umano come un morbo degenerativo e indesiderato che, privo di orecchie per ascoltare suppliche o occhi per provare pietà, distrugge silenziosamente tutto ma lentamente, con l'eleganza del male, col fascino del peccato che serpeggia sinuosamente fino alle ossa, quasi voglia farle vibrare e, insieme ad esse, anche l'intero corpo del malcapitato: passione come terremoto dell'anima e del corpo, tormento dotato di forti radici inestinguibili e, se nutrite, sempre più affamate, mostruosa parte di un'umanità che da sola non è che certezza scientifica. Il paradossale capriccio di una mente che si spegne disattivando le barriere tra due personalità inconciliabili.
    James Sirius Potter: l'incoerenza fatta a persona.
    « I'm brave up to the point of idiocy. »
     
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    Coraggio. Che parola del cazzo!
    Il coraggio è fatto di paura. Coraggio, sì, coraggio. Quella parola che non appena apri il dizionario, capisci che dovresti bruciarlo, dimenticando cosa essa debba significare. Coraggio; la virtù umana, spesso indicata anche come fortitudo o fortezza, che fa sì che chi ne è dotato non si sbigottisca di fronte ai pericoli, affronti con serenità i rischi, non si abbatta per dolori fisici o morali e, più in generale, affronti a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l'incertezza e l'intimidazione. Il coraggio è virtù dicono, ma in quella stanza c'è tanto coraggio quanto vigliaccheria; le due forze si contrastano, si mischiano, s'illudono a vicenda fino ad amalgamarsi a vicenda. E allora ci si chiede chi è il vigliacco e chi il coraggioso. Aleksandra, quale crudele creatura ha portato sulla terra questa meravigliosa forza della natura? Aleksandra, vigliacca poiché non riesce a stare lontana da quel ragazzo; coraggiosa perché lo vuole, lo vuole a tutti i costi, anche a patto di perdere tutto il resto. Affronterebbe tutto il mondo se solo lui le desse un unico segno, uno solo, una certezza, un raggio di speranza che si propaghi nella sua vita a macchia d'olio. Aleksandra, coraggiosa e vigliacca quanto il suo creatore. Ambiziosa, manipolatrice, crudele nello spirito, eppure così bisognosa di affetto, di quel caloroso quanto selvaggio sentimento che in fin dei conti non ha mai conosciuto. Amore. Coraggio. Vigliaccheria. Sa di non appartenergli. Sa che tutto ciò comporta uno sbaglio madornale, ma in quel momento è come se per la prima volta nella sua vita non le interessi minimamente di quanto sia sbagliato ciò che sta facendo. Ad Aleksandra non interessa se il mondo crolla attorno a lei; vuole James. Lo ha sempre voluto, anche prima che potesse ammetterlo. E così, la memoria la riporta a tutte quelle fotografie sparse nella sua stanza a Windermere Lake. A tutte le volte in cui lo aveva abbracciato. Tutte le volte in cui aveva intrecciato le dita a quelle del ragazzo, sorridendogli affettuosamente, brillando di luce propria. Tutte le volte in cui aveva imparato a volare grazie a lui. Nelle cose semplici e in quelle complicati, James c'era sempre. James che le sorrideva da perfetto mandrillo durante i Gufo, seduto nel banco accanto al suo. James che le porge la mano mentre scendono dal treno all'inizio del quinto anno. James che l'abbraccia alla fine del quarto anno quando lascia Desmond. James che la porta al Luna Park per il loro quattordicesimo compleanno. James che le comunica la combinazione della casetta sull'albero, a discapito dei loro fratelli più piccoli. James che rimane sbalordito non appena lei lo bacia a stampo durante il loro tredicesimo compleanno. James che l'accoglie nel suo letto in seguito a un brutto sogno da bambini. James che le ruba la bambola per infastidirla. James che gioca col cibo per farla sorridere. James. James che le asciuga le lacrime. James che la obbliga a sputare tutto ciò che le passa per la mente. James. James è ovunque. E' a colazione, mentre prova a mandare giù un cornetto integrale. E' a lezione anche quando le lezioni le salta. E' nella sua stanza, poiché pare che i suoi vestiti odorino di lui. James è ovunque ed è in ogni persona. E' nel tenero sorriso dei bambini che giocano nella piazza principale di Hogsmeade, ed è a teatro mentre assiste al miglior spettacolo di Romeo e Giulietta. E' in ogni canzone che sente. James è ovunque, in ogni persona, in ogni cosa. Ed è lì. E' lì di fronte a lei. E la bacia, con coraggio e vigliaccheria. E per la prima volta, la loro confessione, tenera, violenta, terribilmente stremante, ha un senso; e Aleksandra, quella tenera quanto crudele creatura, la capisce, e l'accetta, restituendogli il bacio con altrettanta enfasi. Perché ha stravolto di nuovo tutto; ha distrutto il loro fragile castello di carte per tentare le basi di qualcosa di più solido. Privo di bugie, privo di segreti, perché appartenente solo a loro e a nessun altro. Quella cosa, qualunque cosa fosse, non inferiva con nessuno e non poteva essere alterata. Nè dai loro genitori, né dai loro fratelli, né dalla società stessa. Potevano anche essere criticati, linciati per l'abominio compiuto; ma la memoria e il cuore non li avrebbero mai traditi, perché per quanto avessero provato a mutare quel ricordo, quel contatto, quelle labbra, l'intreccio selvaggio delle loro bocche, il cuore avrebbe continuato a battere all'impazzita appena il ricorso fosse tornato nella mente. Ed era intenso. Un'immagine che nemmeno Shakespeare stesso avrebbe potuto immaginare, perché quello signori miei, QUELLO, è il vero amore. Non le porcate che vi raccontano nei libri, non gli amori urlati ai quattro venti, non le dichiarazioni colme di arcaismi e frasi fatte e rifatte, dette e ridette. Quel silenzio, quel contatto, quegli sguardi, erano la prova che l'amore sopravviveva, e nasceva dal nulla, ed era talmente spontaneo, talmente colmo di cariche positive, che nemmeno i peggiori pregiudizi della società avrebbero potuto fermarlo.
    “Vattene.” Ma Aleksandra non lo ascoltava, Aleksandra non lo aveva mai ascoltato; sembrava quasi istintivo fare l'esatto contrario di ciò che lui le chiedeva di fare. Gli porta una mano attorno alle spalle avvicinandosi sempre di più, finché i loro corpi non sono così vicini da tentare un contatto totale. Vampate di calore l'assalgono, partendo dal basso ventre, rivitalizzando il cuore, mettendo a tacere la razionalità, portandola alla perdizione, alla dannazione eterna. Ma Aleksandra non ha la minima intenzione di fermarsi. Cerca con più avidità che mai la sua bocca e non appena James le chiede una seconda volta di andarsene, l'eccitazione sale a mille, a tal punto, che non appena lui scende dalla sua bocca sul collo, lei si avvicina ulteriormente, gli passa una gamba attorno al bacino e si siede sulle sue cosce, stringendosi avidamente a lui; lo obbliga a non fermarsi, stringendogli violentemente i riccioli scuri tra le lunghe quanto sottili dita. Gli morde il lobo del orecchio, e ansima. Ansima a tal punto di pensare che non vorrebbe respirare mai più altra aria che non sia quella di lui. E allora gli prende il viso tra le mani e cerca ancora la sua bocca, le sue labbra. Con spirito di iniziativa, affamata a dismisura è pronta a tuffarsi di nuovo in un lungo quanto appassionato bacio, ma allora incontra i suoi occhi. E la razionalità torna. Torna in tutta la sua crudele bellezza. Ma non è la stessa razionalità di sempre. No. Non è quella che uccide il morbo dell'amore. Non è la razionalità che distrugge la passione. E' la razionalità che la intensifica. Sospira lungamente e gli accarezza il viso con la consueta dolcezza. Quella di una sorella. Quella di una migliore amica. E' l'affetto puro, un amore che va aldilà dell'amore passionale. Un amore che dura per la vita. Gli sorride e incolla la fronte contro quella del ragazzo, se si crogiola in quella sensazione, se ne bea come se avesse raggiunto l'apice della sua vita. E infine scuote la testa. “Non posso.” Gli sussurra dolcemente. “Mi dispiace.” Dice abbracciandolo. In tutti quegli anni, James e Aleksandra non avevano mai tentato una simile vicinanza; non si erano mai trovati in quella assurda situazione. Eppure era piacevole, era bello a tal punto da sopraffare ogni sorta di pensiero logico. “Perdonami, mi dispiace.” E' sempre meno convinta di volerlo lasciare andare. Eppure, infine, si gira di scatto verso il lato del letto mollando la presa delle gambe attorno al suo bacino. Scende giù dal letto e con naturalezza, prende il mantello di James, quello raffigurante la casata dei Grifondoro. Lo indossa ispirando ancora una volta il profumo di lui, e tira su il cappuccio. Mille rimpianti percorrono la sua mente non appena si accorge che quella divisa poteva essere anche sua se solo il Cappello avesse scelto diversamente anni addietro. Si copre col cappuccio più che può, abbassando la testa affinché quest'ultimo nasconda la sua vera identità e infine torna a fissarlo. Vorrebbe dirgli tante cose, e invece, si precipita verso di lui e gli stampa un ultimo bacio sulle labbra, correndo via fuori dalla stanza.
    Là fuori, la situazione si è ormai calmata. Probabilmente, se non ci fossero stati i quadri a far le spie, quel mantello non sarebbe neanche stato necessario, poiché la Sala Comune è ormai già deserta. Sospira profondamente, ricordandosi Lady. Era rimasta con James. E' sorprendentemente lieta di sapere che almeno non sarebbe rimasto solo per il resto della serata. Solo in quell'istante i sensi di colpa la investono in pieno petto, brutalmente, ma ormai, c'è ben poco da fare e rimuginarci sopra non è da Aleksandra. Si stringe nelle spalle ed esce di corsa dalla Sala Comune dei Grifondoro, dirigendosi verso i piani inferiori del castello. E' stanca, ma anche perfettamente cosciente del fatto che quella notte non si addormenterà affatto.
     
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