La vendetta è un piatto che va servito ghiacciato!

Delilah x James

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  1. kissedbyfire;
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    Le pareva fossero trascorsi secoli dal suo rientro al castello, ma non era così. Ottobre era giunto, e già era a metà dei suoi giorni. Delilah riprese in mano la sua firebolt qualche giorno prima, estraendola dal baule con estrema attenzione e cura, quasi si trattasse di un cimelio prezioso. La controllò palmo a palmo. Nessun graffio e nessun rametto spezzato, era straordinariamente perfetta come il giorno in cui l'aveva ricevuta in regalo. Era il Natale di due anni prima. Forse i giocatori professionisti avevano qualcosa di portentoso tra le mani ma non lei, che amava quella scopa più di quanto lasciasse intendere, che era una studentessa qualsiasi. Suo padre era fiero della sua dedizione al gioco del quidditch, il problema principale era sua madre che temeva la disarcionassero ogni cinque minuti. Temeva per l'incolumità della figlia è vero ma era lei la prima a non farlo. Prestava attenzione sul campo ovale ma cercava di godersi il gioco il più possibile. Si impegnava, e rideva volteggiando felice. Molto spesso i personaggi che prendevano su di se gloria ed onori erano i capitani o i battitori ma dovevano molto ai cercatori che, con estrema attenzione, andavano a catturare quel minuscolo oggettino dorato. Delilah non indossava alcuna divisa, aveva i capelli raccolti in una improvvisata coda di cavallo quel giorno, ed i semplici abiti scolastici a scoprirle le gambe fasciate in calze – ndr. autoreggenti - scure e pesanti, così calde da farle sembrare d'essere avvolta in un tiepido luogo. Non era da sola sul campo e non voleva perdersi nulla degli allenamenti altrui. Ma neppure voleva divenire il caro giocattolino di qualche battitore sadico e cruento. Quante volte, quando il sonno si prendeva gioco di lei e s'attardava a venire, aveva seguito con le dita i delicati ghirigori che erano impressi sul boccino d'oro che tanto amava, con il quale si impuntava ad allenarsi. Lo lasciò andare, semplicemente aprendo la mano in cui lo stringeva. Lo seguì per un po' con lo sguardo finchè non scomparve come per magia. Diveniva sempre cieca in quel momento e per quanto aguzzasse lo sguardo non c'era modo di metterlo a fuoco. Quando lo vide, dopo lunghi minuti, si rese conto con disgusto che quel dannato pezzo di metallo alato s'era andato a rifugiare vicino a quel ragazzo che atterrava un manichino dopo l'altro con la sua mazza. Sobbalzò quasi perdendo per un attimo la stabilità sulla scopa, quando esplose in aria un nuovo tonfo. Era un sadico. Uccideva manichini su manichini solo per allenarsi. Era un serpeverde, e per quanto fosse temibile per nessun grifondoro sarebbe stato difficile battere un verde-argento. Giro in tondo, rimirandolo azzuffarsi con pezzi di paglia e legno. Le venne a ridere quando un tonfo più piccolo si levò dal terreno, il fantoccio infatti aveva colpito terra sollevando non poca polvere. Un riflesso dorato attirò tuttavia la sua attenzione e si ritrovò a guardare a destra, nemmeno il tempo d'individuarlo che era già partita per prenderlo, fin troppo velocemente. La Firebolt le piaceva per questo, aveva un tempo di reazione enormemente rapido ed era scattante, veloce, era perfetta. Ciò la faceva esitare, e sospirare. Le guance le divenivano rosse per l'ardimento con cui sorvolava il mondo intero. Sorvolò gli spalti il tanto che bastava per notare delle facce conosciute intente ad osservare quanti in quel momento si stavano allenando. Salutò Judas con un sorriso e lo cercò di nuovo con lo sguardo nel momento sbagliato. Un fremito dell'aria le disse che si stava spostando verso sinistra, verso l'altro lato del campo. Amava quel gioco, l'adrenalina, il vento. Alle volte azzardava troppo, persino in quel momento. Piegò verso sinistra, l'idea di poter toccare in modo tangibile il cielo la faceva stare bene, la faceva sentire libera e sicura di se molto più di quanto avveniva quando aveva i piedi ben ancorati a terra. Sollevò gli occhi d'ebano guardando diritto difronte a me. Il sentore che stesse per succedere qualcosa di brutto anticipò di qualche secondo l'arrivo d'un bolide malevolo. Si abbassò rapidamente, schiacciandosi contro il manico di scopa eppure quello le strusciò addosso spingendola, facendola carambolare per alcuni metri. L'arma impropria si conficcò in uno spalto continuando a fischiare e a ruotare su se stesso e lei, la quanto mai piccola Delilah, faticò per rimettersi in sesto. Si voltò, gli occhi fiammeggiavano paura ed ira pura. Sarebbe potuta morire. Atterrò con fatica, toccare il manto erboso del campo la fece star male e dovette appoggiarsi più volte alla scopa. Il tipo era già sparito, ma conosceva i suoi tratti e conosceva dunque anche il suo nome. Si sarebbe vendicata. Scivolò via, mugghiando ed uggiolando indispettita ed inviperita, udendo fischiettare dagli spogliatoi maschili della sua casa. Sulle prime bussò, e nessuno rispose. Bussò di nuovo, niente, eppure il fischiettare era ancora lì imperterrito. Contò fino a tre, ed aprì. Tu! Un ragazzo di spalle si asciugava una chioma ribelle che pareva aver vita propria. Andiamo sul lago nero? Abbiamo una vendetta da delineare. E non dirmi di no, Potter, o ti taglio i capelli mentre dormi. Con affetto ovviamente, ma te li taglio.
     
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  2. lionheart.
         
     
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    Idy5npC 98NUoTPJAMES SIRIUS POTTER
    « I'm brave up to the point of idiocy. »

    - Il campo oggi è nostro, Potter. -
    Vi sembrerà un cliché, o forse un ricorrente dejà-vu: due squadre eternamente rivali - Serpeverde e Grifondoro - che si contendono il campo da Quidditch per gli allenamenti. La condivisione, in questi casi, è una vera e propria utopia: la presenza di una delle due squadre, per forza di cose, esclude l'altra.
    - Provate a cacciarci, allora. - Allo stesso modo ogni scontro si trasforma inevitabilmente in una guerra senza fine pronta a scoppiare per la minima inezia, poiché tutto diventa un mero pretesto per bombardare la fazione avversaria. Aggiungete a questa perpetua rivalità una bella dose di testosterone da entrambe le parti et voilà, non c'è nemmeno bisogno di un vero e proprio motivo valido per far scoccare la scintilla decisiva: la guerra diventa una mera conseguenza persino logica.
    Un James Sirius Potter perennemente aggressivo fronteggiava il Capitano della squadra dei Serpeverde con quella sua aria arrogante, dando per l'ennesima volta prova di essere un'inguaribile testa calda, mentre i suoi compagni di squadra si facevano strada verso il campo a colpi di spallate.
    L'insegnante di Volo, nonché arbitro delle partite di Quidditch, osservò la scena da lontano e, dopo un sonoro sbuffo di esasperazione, raggiunse i due rivali con passo svelto e cadenzato.
    - Calmatevi, tigri. A cuccia! - Esordì, giungendo a destinazione. Riservò a entrambi un'occhiataccia e li separò, mettendosi tra i due. - Potter, rilassati. Non vorrei che ti partisse un embolo. - Continuò sull'onda dell'ironia, alzando gli occhi al cielo. - Il campo è abbastanza grande per entrambe le squadre. I Serpeverde si alleneranno in quella metà - Indicò la parte sinistra del campo col dito indice, ostentando una decisione che non ammetteva repliche. - E i Grifondoro prenderanno l'altra. - Concluse, indicando col cenno del capo la metà rimanente. - Mi sembra un ottimo compromesso. - Aggiunse, annuendo tra sé come per rinforzare quell'affermazione.
    I due, continuando a fissarsi, non diedero cenno di aver compreso. Tuttavia, costretti dall'autorità, non era nemmeno previsto che replicassero.
    - Attento ai bolidi, Potter. Non si sa mai. - Lo minacciò implicitamente il Serpeverde, piegando le labbra in un ghigno made in Slytherin. Peccato, però, che il figlio del sopravvissuto non fosse minimamente capace a formulare minacce velate. Essendo un tipo molto diretto e scattante, formulava avvertimenti che non lasciavano il minimo spazio all'immaginazione.
    - Vedo proprio che ci tieni a vedere il mio pugno da vicino. Non ti preoccupare, dopo gli allenamenti ti accontento. - Certo, minacciare apertamente un compagno di scuola davanti al professore non era affatto una mossa astuta né intelligente, ma per James era un dettaglio trascurabile.
    L'insegnante alzò nuovamente gli occhi al cielo, sbuffando rumorosamente.
    - Complimenti ad entrambi per la maturità, ora sparite. -

    Tutto sommato, sorprendentemente, l'allenamento filò liscio. Escludendo qualche bolide sospetto, non ci furono palesi tentativi di sabotaggio da parte della squadra avversaria. Ci sarebbe da precisare, tuttavia, che l’attenzione di James venne completamente assorbita dall’intenso allenamento in corso. Sul campo diventava insopportabilmente intransigente e dall’insulto fin troppo facile - Harvey, vuoi fare un benedetto goal o no? Lo sai centrare sto maledetto buco? Non mi sorprende che la tua ragazza si lamenti! -, di conseguenza non si sarebbe nemmeno accorto di un eventuale attacco.
    Uscito dalla doccia, tamponò i capelli umidi con l'ausilio dell'asciugamano, passandosela poi sul collo e sul petto nudo per asciugarsi. Tutti gli altri, esausti e desiderosi di concedersi un meritato riposo, si affrettavano per lasciare lo spogliatoio e filare via nelle loro stanze. In ben poco tempo, quindi, si ritrovò completamente solo. Fischiettando con fare tranquillo, legò meglio l'asciugamano attorno alla vita così da potersi muovere senza che questa cadesse, lasciandolo completamente nudo.
    Sentì chiaramente qualcuno bussare alla porta, ma non vi badò; continuando a fischiettare, si passò una mano tra i capelli umidi per toglierseli dal viso. Prima che potesse fare alcunché, la porta si spalancò e nientepopodimeno che Delilah Rachel Sullivan ne varcò la soglia gridando un deciso: Tu!
    Si voltò, mostrandole automaticamente la sua classica espressione accigliata. Spesso ciò che risultava irritante alle donne era il modo in cui James le ascoltava: taceva e inarcava un sopracciglio, come se stesse assistendo al delirio in atto di un branco di pazze sclerate.
    Strinse ancora l'asciugamano che gli circondava la vita, costretto dalla presenza di Delilah. Per il resto, non si preoccupò di coprirsi. Non era mai stato pudico, né timido: era fin troppo a suo agio col suo corpo. Rimase dunque immobile, ascoltandola con aria perplessa.
    - Lo sai, vero, che qui le donne non sono ammesse? - Domandò, a tono basso, quasi si stesse rivolgendo a una pazza scatenata con tanto di camicia di forza. Niente di cui sorprendersi: le donne, per lui, erano tutte folli e, soprattutto, bombe ad orologeria da trattare con finta cura.
    - La prossima volta metto una tua foto sulla porta e di fianco la scritta: "Io aspetto fuori.", vediamo se questo ti fermerà. - Continuò, prendendola deliberatamente in giro, mentre continuava a tamponarsi i capelli. Le si avvicinò poi per prendere la maglietta appesa affianco alla porta, fermandosi quindi dinanzi a lei ancora a torso nudo.
    - Inspira, espira e spiega. Con calma, eh? - Afferrò la maglietta e si avvicinò alla panchina più vicina, sedendosi sgraziatamente; le gambe troppo lunghe un po' distese in avanti, il busto inclinato in direzione di Delilah. - E non si scherza coi miei capelli, sono sacri. - Puntualizzò, scuotendo lievemente la chioma con fare scherzoso. I suoi riccioli, in effetti, erano ormai il suo tratto distintivo.
    - Ma prima girati, devo mettermi le mutande. - Zero tatto. Con le sue compagne di Casata James era tutt'altro che un gentiluomo, fatta eccezione per le circostanze particolarmente intime.
    - Oppure puoi guardare, per me è uguale. - Aggiunse serio, ma convinto che Delilah si sarebbe girata senza fare troppe storie. Galante come pochi, mh?
     
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