i will hold you in my arms

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    La solitudine non era mai stata un problema per lei, ma Eris stava provando a cambiare; a lasciarsi andare e permettere alle persone di avvicinarsi. Hogwarts era sicuramente un ambiente stimolante, un caleidoscopio di personalità e storie diverse. Qualche giorno prima erano tornati dalla gita e la corvonero non avrebbe potuto essere più esausta e felice allo stesso tempo, aveva approfittato di quella libertà per allargare le amicizie, ma alla fine aveva passato la maggior parte del suo tempo con Sam. Il serpverde aveva un effetto positivo su Eris e proprio per questo motivo cercava spesso la sua compagnia. Istintivamente lo cercò con lo sguardo tra le fila dei serpeverde, ma tra gli studenti in sala grande per fare colazione non c’era traccia di Samuel; nemmeno vicino al suo migliore amico. Rimase leggermente delusa, ma dopotutto non poteva certo incolpare il ragazzo. Improvvisamente si aprirono le grandi finestre della sala grande, lasciando entrare uno stormo di gufi che avevano il solo obbiettivo di consegnare le loro missive. Certa che come al solito per lei non ci sarebbe stata alcuna lettera tornò a dedicarsi alla sua colazione, che venne bruscamente interrotta dalla busta che atterò letteralmente sulla sua tazza di tè. In un primo momento pensò ad un errore del gufo, ma osservando meglio la busta vide che questa recava il suo nome. Insospettita e incuriosita la scartò velocemente, senza avere la minima idea di chi fosse il mittente. Il contenuto era breve e coinciso, esattamente come chi l’aveva spedita. “Vediamoci al primo piano del San Mungo. Non dirlo a nessuno. Samuel.” Per quale motivo il ragazzo le aveva spedito quella lettera? E perché le chiedeva di vedersi al primo piano del San Mungo? Pensando velocemente alla struttura dell’ospedale le venne in mente che il primo piano erano dedicato a coloro che erano stati feriti da una creatura magica. Immediatamente pensò al padre di Sam, il ragazzo infatti le aveva raccontato che si occupava di creature magiche; che fosse stato ferito da una di queste? Preoccupata e piena di domande si alzò dal tavolo, abbandonando la sua colazione. Fortunatamente i professori le concessero il permesso di recarsi al San Mungo, apparentemente per fare visita ad un amico d’infanzia molto malato. Samuel le aveva espressamente chiesto di non dirlo a nessuno e per questo la corvonero si era tenuta per sé l’identità dell’amico. Inutile dire che quando raggiunse l’ospedale aveva i nervi a fior di pelle; la sola idea che il suo amico si fosse fatto male le creava un brutto vuoto allo stomaco.
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    Comprò una scatola di cioccolatini, molto probabilmente solo per prendere tempo e ritardare il momento della verità il più a lungo possibile. Di fronte ai suoi occhi il personale medico non faceva che andare e venire, mentre lei rimaneva immobile incerta sul da farsi. Solo in quel momento realizzò che la persona ferita potesse essere realmente Sam e messa di fronte a questa evenienza non poté fare altro che correre per raggiungerlo il prima possibile. Il primo piano era formato da un lunghissimo corridoio, con camere che si affacciavano sia sul lato destro che su quello sinistro. Proseguì con passo veloce, mentre cercava di convincere sé stessa che Sam stava bene. Cercava disperatamente il suo volto all’interno di quelle stanze, ogni volta che non riusciva a vedere i suoi profondi occhi verdi e i suoi riccioli scuri sentiva una strana morsa stringerle il cuore con più forza. In quei volti sofferenti sembrava non esserci traccia del suo caro amico. Sorpassò la stanza successiva, ma subito fece un passo indietro: Sam era lì…ed era sdraiato sul letto. Allarmata corse al suo capezzale, impreparata a ciò che vide. Quel ragazzo non sembrava il suo Sam, era ammaccato e chiaramente indebolito; lividi ed escoriazioni erano ben visibili sulla sua pelle. Con le lacrime agli occhi gli scostò i ricci sulla fronte, aveva gli occhi chiusi, ma non stava certo riposando serenamente. Aveva la fronte corrucciata e pesanti occhiaie gli segnavano il volto, indice che non aveva quasi dormito in quei giorni. «Sam cosa ti è successo?» Appoggiò quell’insignificante scatola di cioccolatini e strinse con entrambe le mani quella del suo amico, ansiosa di sapere cosa gli fosse successo; con la speranza di poterlo aiutare. «Sono qui Sam, non ti lascio.» Quel ragazzo era l’unica cosa che spesso le impediva di andare in pezzi, che non le permetteva di ricordarsi di quella famiglia che non l’apprezzava e che la spronava a dare il meglio di sé.


    Edited by quinzel. - 11/5/2017, 16:16
     
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    Dolóre s. m. [lat. dolor -ōris, der. di dolere «sentir dolore»]. – 1. Qualunque sensazione soggettiva di sofferenza provocata da un male fisico. 2. Patimento dell’animo, strazio, sofferenza morale

    Dolore. Era questo ciò che aveva colpito Sam con tutta la sua forza, irruenta, devastante, distruttiva. L'aveva centrato in pieno petto, senza pietà. Gli aveva mozzato il fiato, lasciandolo in balia di se stesso, completamente inutile ed esposto di fronte agli avvenimenti. Erano passati ormai alcuni giorni dall'attacco ad Hogsmeade, eppure l'ondata di dolore sembrava non volerlo abbandonare. L'aveva scelto come suo compagno. E a nulla servivano le medicine che ogni ora lo costringevano a prendere, a nulla servivano i controlli, i sorrisi rassicuranti dei Guaritori, che si tramutavano i bisbigli sommessi, appena si rigirava nel letto, dando loro le spalle. A nulla servivano le visite di suo padre, che cercava di tirargli su il morale come meglio poteva, con negli occhi l'apprensione e la paura, che cercava di celare con tanta fatica. A nulla serviva tutto questo, perché il dolore non cessava, non finiva, ma se possibile, si propagava ancora di più, dal centro del petto verso il resto del corpo, fino alle vie periferiche più remote. Perché la sua non era una semplice sofferenza, una fitta leggera o un po' di tristezza o di amarezza. Il suo era un tormento che non andava ad intermittenza, ma che gli avviluppava le membra costantemente, incessantemente. Era la consapevolezza. Era la consapevolezza che aveva scorto negli occhi di suo padre nell'apprendere cosa gli fosse successo. Sam aveva appena ricongiunto le labbra, quando la vide, chiara, limpida e accecante. James Scamander non aveva avuto un attimo di esitazione, aveva smosso mari e monti; magicamente il primo rapporto sulle sue condizioni aveva cambiato dicitura, passando da in transizione a perfettamente in salute, i Guaritori che trafficavano da quelle parti aveva cominciato a trattarlo con maggior cura, fin troppa se si considerava il suo stato di salute, a quanto diceva la sua cartella clinica. Eppure suo padre non gli aveva detto nulla. L'aveva guardato per qualche secondo, l'aveva abbracciato, cercando di fargli il minor male possibile, per poi sussurragli all'orecchio «Non lo dire a nessuno.» E lì Sam aveva capito. Aveva preso coscienza. Aveva compreso e il dolore non l'aveva più lasciato. Perché era diventato talmente grande da cancellare tutti gli altri pensieri, troppo importante per essere ignorato. Era diventata un'enorme macchia scura dipinta sul suo futuro, sul resto della sua vita, da cui non vedeva alcuna via d'uscita. Perché non c'era. Non c'era una cura. Non c'era salvezza. La paura di trasformarsi in un qualcosa di cui non sapeva assolutamente nulla aveva cancellato il resto del mondo. Ormai c'erano soltanto lui e il lupo che se ne stava in agguato dentro di sé, ringhiante, richiedendo il suo diritto di vita.
    Erano passate le ore, i giorni e lui si era rigirato tra le lenzuola di quel letto, senza voler parlare con nessuno, al di fuori di suo padre. Perché non poteva dirlo a nessuno. Come avrebbe potuto farlo? Come avrebbe potuto confessare a Dean di essere diventato un mostro? Al solo pensiero di leggere la paura nei suoi occhi, aveva scosso la testa, spaventato. Come avrebbe potuto dire a Malia di essere diventato una bestia, in preda ai propri istinti? Incapace di far altro che seguire la spinta primordiale della sopravvivenza. Non poteva ammettere di essere quella cosa. Non voleva ammetterlo nemmeno a se stesso, figuriamoci a qualcuno tanto importante per lui. Così aveva passato il suo tempo raggomitolandosi nel letto, muto, silenzioso come mai lo era stato. Poi un giorno aveva sentito il bisogno fisico di parlare con qualcuno. Si era fatto portare un foglio di pergamena, una penna e aveva buttato giù qualche riga, accorgendosi soltanto alla fine di aver scritto anche il destinatario. La sua mente aveva deciso per lui. Eris. Perché lei era l'unica. L'unica che non avrebbe fatto troppe domande, l'unica che sarebbe stata al suo fianco, pronta ad ascoltare il suo sfogo, pronta a fargli compagnia o semplicemente rimanersene in silenzio. Perché Eris era fatta così e lui, in quel momento, aveva bisogno di lei come si ha bisogno dell'ossigeno.
    «Sam cosa ti è successo?» La sua voce, implorante e concitata, gli arrivò da lontano, come proveniente da uno di quei sogni che non gli permettevano di dormire. Si costrinse ad aprire prima una palpebra, poi l'altra. La figura della mora si mise a fuoco pian piano. Deglutì, tentando di farle un sorriso, che finì per essere una smorfia di dolore, mentre i suoi occhi si abbassavano ad osservare le sue mani intrecciate alle proprie. Dolce, piccola Eris. Era venuta, lui l'aveva chiamata e lei era arrivata, senza troppi se o troppi ma. Era lì, per lui. E gli chiedeva cosa avesse fatto. In quel momento Sam si chiese cosa suo padre avesse raccontato, per insabbiare la faccenda di fronte agli occhi della preside. «Ho avuto, come dire, un incontro ravvicinato del terzo tipo con..» con un lupo mannaro «con qualcosa La guardò negli occhi, incapace di dirle la verità. E se fosse scappata? E se l'avesse abbandonato per ciò che era realmente? Rimase in silenzio qualche secondo, mentre la sua stretta intorno alla sua mano si faceva più viva, per quanto i medicinali gli consentissero di fare. Scrollò la testa infine, tentando di stemperare un po' l'atmosfera, notando il dispiacere che andava impreziosendo i suoi occhi. «Sono messo tanto male, non è così?» Gracchiò con una risata sommessa d'accompagnamento. «Che dici? I graffi hanno sfigurato per sempre la mia leggendaria bellezza?» Nella sua voce lo spettro di una ilarità passata che non gli andava più di usare. Non per ora perlomeno.
     
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    Eris odiava l’idea di doler rimanere in quel campo estivo per tutta l’estate, ma i suoi genitori erano stati irremovibili; sostenevano che lei doveva legare con i suoi simili. Li aveva scongiurati di portarla via, ma era stata costretta ad assistere impotente mentre se ne andavano. Verso il lago sentiva le urla degli altri bambini, ma la giovane strega non riusciva a fare a meno di sentirsi fuori posto. Da quando la sua natura era venuta alla luce sua sorella non aveva fatto altro che respingerla, mentre i suoi genitori non sembravano in grado di gestire la situazione e proprio per questo motivo avevano deciso di farle passare l’estate in campeggio per giovani maghi e giovani streghe. In cuor loro speravano di far cosa gradita alla figlia, ma per l’ennesima volta la piccola Eris non fece altro che sentirsi respinta. Era del tutto decisa a non socializzare e passare la maggior parte del tempo nel piccolo bungalow circondata dai suoi libri. «Non penerai mica di rimanere chiusa tutto il giorno lì dentro.» Una voce squillante l’aveva fatta fermare e quando si voltò incontrò una vivace sguardo verde, della stessa tonalità delle foglie degli alberi in piena stagione. Quel ragazzino magro, troppo alto per la sua età, la stava fissando intensamente, ma ogni tanto era costretto a distogliere lo sguardo; distratto dal ricciolo castano che continuava a scivolargli sul volto. «In realtà è proprio quello che pensavo di fare.» Una risposta matura, forse fin troppo per la sua tenera età. Quel ragazzino la incuriosiva, ma Eris non poteva permettersi di avvicinarsi alle persone; perché ogni volta veniva respinta e messe da parte. «Io so cosa ti serve. Un po’ di sole.» Senza aspettare oltre il ragazzino la prese per mano e la trascinò dietro di sé. Con le sue gambe corte, la bambina faticava a seguire il suo passo, infatti non faceva altro che incespicare aggrappandosi a quella stretta di mano rassicurante. Le voci e le risate degli altri bambini sembravano sempre più vicine, forse proprio per questo motivo puntò i piedi costringendo il ragazzo a fermarsi. «Io non posso.» Lo sguardo era basso, fisso sulla punta delle sue scarpe, per il timore che il ragazzo riuscisse a vedere tutto ciò che stava provando in quel momento. «Perché alle persone non piaccio.» Per gran parte del viaggio Isobel non aveva fatto altro che descrivere quanto brutto sarebbe stato il campo estivo. Il ragazzo la fissò inebetito per un paio di minuti e poi scoppiò a ridere, una risata calda e del tutto fuori controllo che quasi la spinse a ridere di rimando. «Mia sorella lo dice sempre.» «Tua sorella è una grande bugiarda.» Di fronte a quell’ammissione non poté fare a meno di scoppiare in una tenera risata; era la prima volta che qualcuno parlava così sinceramente di Isobel. Eris era infatti stanca di essere costretta ad accettare gli elogi nei confronti della sorella. «Devi capire che tua sorella è invidiosa perché tu sei una strega e lei no.» Il ragazzino incrociò le braccia sul petto e la scrutò con il suo sguardo cristallino, come se stesse cercando una risposta di cui lui solo conosceva la domanda. «Io sono Samuel, ma gli amici mi chiamano Sam.» Quando le porse la mano Eris non ebbe dubbi e la strinse di rimando, affidandosi completamente a quel ragazzino. Sam si rivelò un alleato e un sostegno prezioso quell’estate, rendendo quelle vacanze le migliori in assoluto. Ogni anno la piccola strega aspettava con ansia e trepidazione il giorno che segnava la sua partenza per il campeggio estivo, perché significava rivedere Sam e poter essere finalmente sé stessa senza paura o timore di ferire gli altri.

    Erano passate diverse estati da quel suo primo incontro con Sam e più il tempo passava più Eris si affezionava al ragazzo. Sam infatti era stato in grado di colmare quella voragine creata dagli errori dei suoi famigliari. Vedere in quel letto, ferito e indifeso, la fece ribollire di rabbia perché si sentiva impotente; incapace di portare via il dolore che chiaramente gli si leggeva in volto. Strinse saldamente la sua mano, come se questo sarebbe bastato a portargli via il dolore. Gli posò un dolce bacio sulla fronte e gli accarezzò il volto con tenerezza perché nonostante gli anni passati, Sam era ancora quel
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    ragazzino che in qualche modo era riusciti a salvarla dall’abisso in cui si stava lasciando cadere. Il solo pensiero che qualcuno avesse osato fargli del male le faceva venire il voltastomaco. «Ho avuto, come dire, un incontro ravvicinato del terzo tipo con…con qualcosa «Con una specie di frullatore?» La sua battuta aveva lo scopo di strappargli un sorriso, ma come avrebbe potuto se lei non era la prima a sorridere? Il pensiero di cosa gli sarebbe potuto accadere non avrebbe fatto altro che tormentarla per giorni, perseguitando i suoi sonni; come del resto era certa stesse perseguitando quelli di Sam. Abbandonò per un breve momento il capezzale di Sam per chiudere la porta della stanza e tirare leggermente le tende, sperava che la camera meno illuminata avrebbe aiutato il serpeverde a rilassarsi. In perfetta modalità infermiera gli rimboccò le coperte e gli sprimacciò il cucino, movimenti studiati non solo per mettere lui a suo agio, ma permetterle di ricomporsi e mostrarsi forte per lui. «Sono messo tanto male, non è così? Che dici? I graffi hanno sfigurato per sempre la mia leggendaria bellezza?» Ed ecco qui il Sam che lei conosceva, sempre disposto a farsi carico dei sentimenti altrui. «Sei ancora bellissimo non ti preoccupare, anzi adesso avrai la scusa per farti coccolare.» Spinse l’amico a farle posto così che si potesse sdraiare al suo fianco, con fare protettivo lo incoraggiò a posare la testa su di lei; così che Eris potesse provare a portare via tutti i suoi incubi. Di fronte a quelle scene molti avrebbe potuto pensare che Eris fosse pazzamente innamorata di Samuel e fino a prova contraria era così; Eris amava Sam con tutto il suo cuore, ma non di quell’amore romantico di cui parlavano film e libri, un amore più profondo basato sulla fiducia che tanti anni prima lei gli aveva concesso. Cominciò a passare le dita tra i capelli del serpeverde, grata di potergli essere accanto in quel momento, ma allo stesso tempo Eris sapeva che lui non le stava raccontando tutto; come se avesse paura di cosa avrebbe potuto pensare. «Cos’è successo Sam? Chi ti ha ridotto così?» Se avesse potuto avrebbe fatto soffrire lentamente la cosa che aveva osato ridurre Sam così; spezzandolo nello spirito, ma la cosa migliore che poteva fare in quel momento era semplicemente esserci per il suo amico.


    Edited by quinzel. - 11/5/2017, 16:17
     
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    «Con una specie di frullatore?» A quelle parole, il ragazzo non poté non abbozzare un sorriso, seguito da una risata gracchiante che, per quanto gli facesse male, aveva bisogno di fare. Annuì, poco convinto, lasciando che Eris continuasse a fare ciò che le riusciva meglio: rendersi utile. L'aiutare il prossimo, come meglio riusciva, sembrava essere sempre stato uno dei suoi geni predominanti. Cercava di dare una mano a chiunque, aveva un animo troppo dolce e fragile per provare a fregarsene del resto del mondo. Era fatta così, e non poche volte Sam aveva cercato di capire il meccanismo principale dietro questo suo fare, non riuscendoci mai fino in fondo. E non poche volte aveva provato a fortificare quel suo carattere fin troppo conciliante, tentando di farle innalzare qualche difesa, per se stessa e per il suo cuore, con scarsissimi risultati. Ma alla fine andava bene così. Lei premurosa e armoniosa, lui scostante e sarcastico. Un'accoppiata a dir poco particolare, ma andava bene così. «Sì, una specie. Come quello che avevamo al campeggio, che un giorno ha deciso di impazzire e spruzzare fuori centrifughe alla mela e l'arancia, sporcando la Muriel da capo a piedi.» Rise di nuovo, facendole posto nel letto, scivolando verso sinistra. Accolse le sue attenzioni con un'inaspettata sorpresa, irrigidendosi appena, sulle prime. Sapeva come fosse fatta Eris, aveva sempre avuto uno spirito materno, eppure, in quel momento a maggior ragione, non si sarebbe aspettato certe premure. Come se non si sentisse meritevole, come se non potesse veramente accettarle. Indegno. «Non male come scusa, in effetti. Non ci avevo pensato. Dovrei cominciare a mettere il numerino fuori la porta per smistare meglio la folla di crocerossine improvvisate che non vedono l'ora di potermi dare una mano.» Alzò le spalle, prima di lasciarsi andare e rilassare il proprio corpo su quello di lei. Una strana sensazione, piacevole e calda, si andò diradando dal centro del suo petto. Lì dove fino a pochi attimi prima vi era soltanto solitudine e dolore. Una piccola bolla felice e accogliente li aveva avvolti, lasciandoli librare a mezz'aria, senza distrazioni esterne, senza sentimenti negativi. C'erano soltanto loro e il resto era stata spazzato via. Allungò una mano, fino a coprire quella di lei, lasciata inerme sopra le sue gambe. Vi cominciò a disegnare dei cerchi astratti, riuscendo a tranquillizzarsi per quelle che gli parvero ore interminabili. «Cos’è successo Sam? Chi ti ha ridotto così?» Ed eccola lì, di nuovo, quella sensazione silente, che serpeggiava sul fondo del suo stomaco, costringendolo a contrarsi al suo passaggio. La ferocia animalesca. Era questo ciò che sentiva divampargli nelle vene, era ciò che provava al solo ricordo di quella notte. Il lupo dentro di lui scalpitava, ululante, nelle sue vene. Cos'è successo Sam? Chi ti ha ridotto così?

    «Cos’è successo Sam? Chi ti ha ridotto così?» La voce tremante di Eris l'aveva raggiunto di corsa. Davanti ai suoi occhi verdi tumefatti una versione della ragazza leggermente più piccola. Nel suo sguardo, però, la stessa medesima agitazione. L'angolo destro della bocca di Sam si era alzata leggermente verso l'alto, mentre scrollava le spalle, con fare sufficiente. «Niente, classica scazzottata da film Western.» Aveva risposto con la sua solita vena derisoria nella voce. Non avevano importanza le escoriazioni che aveva sul volto e il taglio superficiale che aveva sotto l'occhio. «E se io sono così» aveva proseguito, muovendo in circolo l'indice di fronte al proprio viso «dovresti vedere com'è ridotto l'altro.» Aveva tossicchiato fuori una risatina, mentre Eris gli si era fatta più vicina, puntandogli contro una luce al neon. Una mano stretta tra i suoi capelli per costringerlo a stare con la testa piegata all'indietro, affinché potesse constatare le condizioni del suo volto. «Eddai, non sono messo così male. Non fare quella faccia.» L'espressione della ragazza era un miscuglio piuttosto mal bilanciato tra l'apprensione e la stizza. Di certo Sam non era un ragazzo solito all'arrivare alle mani, eppure non era la prima volta che la mora doveva rattoppare pezzi del suo corpo alla meno peggio. «Vedrò cosa posso fare, ma la devi smettere. Intesi?» La voce della ragazza era ferma e decisa, tanto da costringere il ragazzo a prenderla sul serio, appena qualche minuto. «Fortuna che ho te a salvarmi sempre la faccia. In una maniera assolutamente letteraria, per altro.» Uno sbuffo divertito era uscito dalle labbra contratte della ragazza, mentre si era messa ad armeggiare con pomate, bende e cerotti vari, non potendo usare la magia. Erano rimasti in silenzio per qualche minuto, giusto il tempo necessario per medicare la ferita sotto l'occhio e passare un po' di crema sopra i lividi scuri più evidenti. A lavoro ultimato, le aveva dato le spalle, rimettendo velocemente a posto tutto l'occorrente dentro la valigetta medica. «Grazie.» Una parola sussurrata talmente piano da non essere stata percepita dal ragazzo. «Cosa hai detto?» Sam si era portato con il busto in avanti, per sentire meglio. «Grazie Sam. So che hai fatto a pugni con Mark per difendermi.» Un'espressione indecifrabile era comparsa sul volto del ragazzo, mentre tentava di fingere indifferenza. «Pff, ma cosa vai dice-..» «Non dovevi, ma grazie lo stesso.» Il ragazzo aveva richiuso le labbra, incapace di proseguire in quell'arringa di difesa. Eris si era voltata, giusto qualche secondo, nella sua direzione. La mano di Sam si era allungata a stringere la sua, in una stretta che aveva detto più di mille altre parole. Un sorriso pacato sulle labbra a chiudere quell'episodio.

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    Come ai tempi, in quel momento Eris era in attesa di una sua risposta. Sam si scostò un po' da lei, alzando gli occhi per incontrare i suoi. E ora? Cosa ti racconto? Perché vuoi sapere? Perché vuoi farti del male e cambiare idea su di me? Avrebbe volentieri raccontato di come aveva colpito Mark, quell'estate, con un pugno, dritto, misurato, sul naso. Di come tutto era nato da quelle due parole affilate, uscite dalle sue labbra come veleno. Sporca Mezzosangue. Non gliel'aveva perdonata. Avrebbe tanto preferito ricominciare con quel racconto, magari ampliandolo di quei dettagli che aveva sempre tralasciato, per non ferirla troppo. Sarebbe stato più facile. Eppure i suoi occhi color caramello sembravano essere pieni di punti di domanda, ai quali solo Sam poteva dare una risposta. Che cosa gli era successo? Chi gli aveva fatto tutto quel male? Lo sguardo del ragazzo si andò incupendo, mentre il suo corpo cominciava ad innervosirsi. Le dita cominciarono a tamburellare tra di loro, mentre gli occhi si abbassavano ad osservarle, trovandole estremamente affascinanti. Un imbarazzato silenzio formò una cappa sopra di loro, tanto da far rimanere Sam senza fiato, per qualche secondo. Aprì bocca, per poi richiuderla immediatamente. Una volta, due volte, tre volte. Una scrollata di capo, prima di decidersi a dire qualcosa. «Eris mi devi fare una promessa.» Il suo sguardo intransigente si puntò in quello di lei, costringendola a guardarlo di rimando. «Quello che ti dirò qui non lo deve sapere nessuno. Capito? Deve rimanere tra di noi.» Nel suo tono di voce una nota incrinata, discordante dalle altre. La nota della paura. Paura per lei, per se stesso. Paura della sua reazione. Fece un respiro profondo, tornando ad appoggiarsi sulla sua testa, così da non doverla guardare in faccia. Sarebbe stato più facile così, più indolore possibile. Come togliere un cerotto, senza preoccuparsi delle conseguenze. Senza pensare alla ferita sottostante, senza riflettere a come, con uno strappo deciso, essa potesse riaprirsi, sgorgando nuovo e fresco sangue. «Circa un paio di giorni fa, mi sono fatto un giretto ad Hogsmeade, di sera, e sono stato attaccato..» Evitò volutamente di non fare i nomi di Frankie, Tris e Conrad. Non avendo voluto parlare con nessuno, quei giorni, non era certo di come i tre avessero affrontato la cosa e di cosa avessero raccontato di quella notte. Attese ancora qualche altro secondo, mentre una morsa gli stringeva la gola, come a non volerlo fare parlare. Cazzo, quanto gli mancava fumare una fottuta sigaretta. Il suo corpo si era andato ripulendo, grazie alle trasfusioni ingenti a cui era stato sottoposto. Era soltanto il primo giorno di libertà dal sondino, ma non dalla flebo che lo teneva ancorato a quel letto, bruciandogli nelle vene. Eppure gli andava una dannatissima sigaretta. Aveva bisogno dell'inebriante sapore del fumo a contatto con la lingua per stare tranquillo. Per ritrovare una parvenza di normalità in quella sua esistenza che lo minacciava di farlo sprofondare sempre più giù. Sempre più in fondo. Senza via d'uscita, un biglietto di sola andata. Un altro sonoro respiro, prima di rompere gli argine e straripare. «Sono stato morso da un lupo.»
     
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    Veder soffrire le persone che le stavano a cuore era quanto di più complicato ci fosse per Eris, cercava sempre di tenersi alla larga dalle persone per non soffrire; fallendo sempre miseramente. Non importava quante volte venisse ferita o sbeffeggiata, Eris si faceva sempre avanti pronta a curare le ferite degli altri; incurante di quanto spesso venisse respinta. Fingeva indifferenza, ma in realtà era più sensibile di quanto si potesse immaginare. Sin da bambina cercava di rendersi invisibile per evitare il contatto con le persone; spaventata dall’idea di essere ferita per l’ennesima volta. Con Sam però le cose erano diverse, lui si era sempre occupato di lei senza mai ferirla o respingerla. Proprio per questo motivo l’unica cosa che poteva fare in quel momento era esserci per lui. Sam però sembrava lontano mille miglia, lo vedeva giocare con le sue mani, disegnando forme astratte; come se volesse estraniarsi dalla realtà e dimenticare. Le sue mani erano nervose, incapaci di stare ferme e pervase dall’angoscia. Eris le prese tra le sue e se le portò alle labbra per depositarvi un piccolo bacio, il ragazzo doveva capire che lei era lì per lui e solo per lui; pronta a farsi carico del dolore e l’angoscia che lo stavano tormentando. «Eris mi devi fare una promessa.» Lo sguardo del serpeverde la inchiodava sul posto, Eris conosceva così bene il ragazzo da leggere la muta richiesta nel suo sguardo. Sam le stava chiedendo di rimanere al suo fianco, di non abbandonarlo e di spalleggiarlo qualsiasi cosa gli avrebbe raccontato. Una richiesta che in realtà non aveva nemmeno bisogno di fare. «Quello che ti dirò qui non lo deve sapere nessuno. Capito? Deve rimanere tra di noi.» Una richiesta che non poteva negargli in alcun modo, ma perché erano arrivati a quel punto? Cos’era successo di talmente grave da privarlo della luce che aveva sempre negli occhi? Sam era come una cometa: brillava di luce proprio, rendendo migliore tutto ciò che lo circondava; persino lei era migliore in sua compagnia. Si limitò ad annuire senza lasciar andare le sue mani perché non doveva sopportare tutto quello da solo. Quando si appoggiò a lei lo lasciò fare, sicura che Sam avesse bisogno di confessarle tutto in base ai suoi termini. Una confessione che sembrava farlo soffrire più di ogni cosa al modo, quasi come se quelle parole gli stessero costando l’anima. «Circa un paio di giorni fa, mi sono fatto un giretto ad Hogsmeade, di sera, e sono stato attaccato. Sono stato morso da un lupo.» La corvonero fece fatica ad assimilare quelle parole, la sua mente venne bombardata dalle scarse conoscenze che aveva assimilato negli anni. Panico e terrore le resero difficile respirare, le lacrime che aveva trattenuto su quel momento cominciarono ad allagare i suoi occhi; minacciando di rigarle le guance. Eris sapeva che la vita era ingiusta, ma spesso dimostrava proprio di essere una gran bastarda. Desiderò immediatamente la morte di quell’essere che aveva osato
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    affondare i denti nella carne del ragazzo, condannandolo a dolori atroci e forse anche a momenti più bui di quanto potesse immaginare. Sam aveva la testa china, quasi si vergognasse di ciò che gli era successo, come se stesse combattendo una battaglia contro sé stesso. Era compito suo riportarlo alla realtà, era lei che doveva pensare a guarirlo in quel momento. «Guardami Sam, guardami negli occhi.» Gli accarezzò il volto, spingendolo ad alzare lo sguardo verso di lei, certa che vi avrebbe letto dentro una grandissima sofferenza. Non si sarebbe limitata a raccogliere i cocci, ma avrebbe anche cercato di rimetterli assieme. «Pensi che in qualche modo questo cambi ciò che sei? Che d’ora in poi io e le altre persone ti guarderemo in modo diverso?» Forse proprio di questo aveva paura il ragazzo, di essere abbandonato, di essere messo da parte per colpa della bestia che si stava annidando dentro di lui. Bestia o no, per Eris non cambiava assolutamente niente; lui era e continuava ad essere il ragazzo che per difenderla aveva preso a pugni un altro ragazzino. Era sempre quel bambino troppo cresciuto che le aveva insegnato ad accettarsi per ciò che era; cosa che anche lui avrebbe imparato a fare con il suo aiuto. «Non cambia niente mi hai sentito?» Poggiò le labbra sulla sua fronte e lo strinse nuovamente a sé, per fargli capire che per lei era sempre lo stesso Sam. «Non ti lascerò odiare te stesso, ci sono io Sam. Faremo un passo alla volta ok?» Non sapeva molto della trasformazione, ma era a conoscenza del fatto che non fosse una cosa immediata; era lenta e spesso dolora sia dal punto di vista fisico che mentale. Non lo avrebbe mai abbandonato, nemmeno se lui stesso glielo avesse chiesto. Ora capiva perché le avesse chiesto di mantenere il segreto, uno studente morso da un lupo non era una cosa da prendere alla leggera e proprio per questo motivo avrebbe portato il peso di quel segreto per lui e per la sua sicurezza. «Siamo in questa cosa assieme.» Si accoccolò nuovamente al suo fianco, in preda a sentimenti contrastanti: rabbia per ciò che gli era capitato e tristezza per il dolore che aveva e avrebbe dovuto sopportare. Eris d’ora in poi si sarebbe assicurata che quel dolore non lo trasformasse in un’altra persona, sarebbe stata la sua ancora nel mare in burrasca.
     
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    Erano tante le volte in cui Sam si era fermato a pensare. La guardava negli occhi e la sua mente si metteva in moto, ponendosi delle domande, il più delle volte. E il dubbio ricorrente era uno ed uno soltanto: a cosa doveva quella cieca fedeltà che Eris sembrava riporre in lui? Perché si fidava così tanto di lui? Anche in quel preciso momento, dopo averle chiesto di farle una promessa, così, a scatola chiusa, senza saperne il prezzo, glielo leggeva negli occhi. Lei si fidava di lui. Era una fiducia limpida, concreta, senza alcun doppio fine. Molte erano state le volte in cui aveva esplicitato quella sua domanda silenziosa, e lei ogni volta aveva risposto allo stesso modo. Te lo sei meritato. Deglutì a fatica, pensando a quante volte, invece, non se l'era meritato. A quanti errori aveva fatto fino a quel momento. Con suo padre, il suo vecchio che cercava sempre di spronarlo a dare di più, a dare il massimo, al quale però aveva dato nient'altro che dispiaceri. Con Charlie, con la quale non era riuscito ad andare fino in fondo, non era riuscito a raccogliere il coraggio e seguirla, come il suo cuore gli aveva sempre detto di fare. Con Malia, che gli era stato sempre accanto, senza chiedere nulla in cambio, alla quale però Sam sembrava non aver dato la totale fiducia, troppo spaventato dalle conseguenze. Da come sarebbe andata a finire la storia tra di loro. Perché non era stata lei la destinataria della sua lettera, ma Eris. A Dean non voleva nemmeno pensare, sapendo già quanto dolore gli avrebbe causato quella sua decisione di non parlare e di non renderlo partecipe. Ma lui non doveva dirlo a nessuno. Suo padre era stato chiaro. Allora lui aveva scritto ad Eris, la sua testa aveva scelto per lui, il suo cuore aveva scelto per lui e andava così. Perché lei non faceva domande, ma silenziosamente l'aiutava, lo ascoltava, lo nascondeva da se stesso, lo spronava. Aveva camminato al suo fianco, era cresciuta con lui ed era diventata parte della sua famiglia, senza accorgersene, senza troppe richieste. Lei c'era, sempre. E le parole che seguirono la sua rivelazione ne furono la prova. L'ennesima. Una mano si allungò a catturare le lacrime che, traditrici, le solcavano le guance, lasciando le proprie tracce sulla sua pelle calda. Socchiuse le palpebre a quel contatto viscido sui suoi polpastrelli. Non doveva piangere per lui, non doveva dispiacersi per lui. Scosse la testa silenziosamente, aprendo bocca ma non riuscendo a dire nulla. Un groppo in gola gli rubò tutta l'aria, costringendolo a riprendere fiato. Era il dolore, quello vero, quello che quando arriva fa capire quanto tutto il resto sia inutile, futile, di ordinaria amministrazione. Quella sofferenza non l'avrebbe mai abbandonato. Anche quando i suoi riflessi sarebbero stati più affinati, la sua vista sarebbe stata migliore e la forza animalesca l'avrebbe reso indistruttibile, lui avrebbe provato quel senso di inadeguatezza, di latente paura per ciò che
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    era. «Guardami Sam, guardami negli occhi.» Si abbandonò al suo dolce tocco, come una marionetta nelle sue mani, alzando appena lo sguardo, obbedendo rassegnato alle sue parole. «Come puoi dire che non cambierà nulla, Eris? Come puoi dirlo?» Tremò di frustrazione contro il suo corpo. «Tu non capisci, non ne hai la minima idea. Sto diventando una bestia, una bestia famelica. Lo sento anche ora, in agguato, mi osserva, vaga dentro le mie vene e va rafforzando ogni fibra del mio corpo. Mi sto trasformando in un fottutissimo mostro e non posso farci niente. La mia vita sarà segnata da questo, la mia intera esistenza dovrà fare i conti con questo. Non c'è nulla di bello in quello che mi è capitato. Il morso non è un dono, è distruzione, annullamento.» Si bloccò di colpo, in preda all'affanno e un rantolo di tosse scosse il suo corpo, piegandolo in due. Il silenzio piombò tra di loro, nervoso e asfissiante. «Io non so più chi sono, non so niente di tutto questo. Ho paura, una fottuta paura..» aggiunse rialzando lo sguardo verso di lei, scrollando appena il capo. «Non credo basterà un passo alla volta, sta andando tutto più veloce di quanto mi aspettassi. Io sono fermo e tutto mi scorre freneticamente intorno. Sono bloccato, distrutto, rotto e annullato Capì, allora, il perché non aveva scelto nessun altro della sua cerchia fidata di persone a cui mandare quella lettera. A chi altri avrebbe potuto parlare con così tanta franchezza, lasciando che il suo dolore non fosse celato, ma ben visibile in superficie? A chi altri avrebbe potuto affidare un simile fardello? A chi altri, se non lei? Solo lei. «Eris, sto impazzendo in questo letto d'ospedale. Voglio uscire, respirare, fumarmi una canna e tracannarmi una bottiglia di Incendiario. Ho bisogno di aria.» E aveva bisogno di altro. Di vicinanza, di contatto umano, di sentire il calore della pelle di qualcun altro sulla propria. Non se n'era mai reso conto, prima di quel momento, ma ora quella sensazione, dapprima flebile, si andava impadronendo del suo corpo con veemenza, senza lasciargli possibilità di opposizione o scelta. Scattando di lato con un movimento brusco - movimento che gli costò un mugolio di dolore a labbra strette -, portò l'indice sotto il mento di Eris, invitandola dolcemente ad alzare il proprio viso verso il suo. Si mosse lentamente verso di lei, finché il proprio naso non si scontrò con il suo. Gli si strofinò contro, rimanendo poi così, per qualche secondo, ispirandone il profumo a lungo. Erano insieme in quella faccenda, come diceva Eris, e lui aveva bisogno di lei, ne aveva disperatamente bisogno. «Eris, io..» Tu cosa, Sam? Cosa vuoi? Senza pensarci due volte, si avvicinò ulteriormente, fino a far combaciare le proprie labbra con quelle di lei. Confuso, amareggiato, frustrato, dolorante, sofferente. E' così che si prostrava davanti a lei, chiedendole aiuto, chiedendole affetto, chiedendole calore. Nel solo modo che conosceva, suo malgrado. Intrappolò il labbro inferiore con la sua bocca, prima di cominciare a sentire il proprio cuore cominciare a battere sempre più frequentemente. Il rumore della macchina vicino al suo letto sembrava essere impazzito. «Ti prego, non lasciarmi..» sospirò sulle sue labbra, patetico e disperato com'era. Solo con la sua paura di sempre: la paura di essere abbandonato.
     
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    Data per scontata, non apprezzata, ignorata e derisa. Tutte sensazioni che Eris conosceva alla perfezione, sentimenti con cui era cresciuta e da cui non aveva ancora imparato a difendersi. Da piccola per sfuggire a tutta questa negatività di rifugiava nella sua stanza in compagnia di un buon libro, chiudendo fuori il resto del mondo. Una chiusura istintiva che l’ha aiutata a crescere, imparando a proteggersi da sé. Un mondo in cui Sam era riuscito a farsi largo, sin dal primo momento si era piazzato lungo la strada rifiutando di smuoversi e costringendola ad accettare la sua presenza. Prima di lui nessuno aveva mai fatto qualcosa per lei, per quanto i suoi ci provassero non riuscivano a trovare un modo di comunicare con lei e più il tempo passava più il loro rapporto andava deteriorandosi. Eris aspettava con ansia l’estate, impaziente di riavere la compagnia di Samuel, di potersi circondare della sua positività e trarre forza da lui. Spesso nella vita si incontrano persone che lasciano un segno indelebile, che senza volerlo diventano fondamentali, insostituibili. Il serpeverde era pian piano diventato tutto ciò per Eris, non aveva fatto niente di eclatante; si era limitato ad esserci nei suoi confronti, a spronarla, a incoraggiarla e a prendere coscienza di sé. Per questo motivo non era un peso per Eris rimanere al suo fianco, ma una necessità perché non sarebbe mai stata in grado di abbandonarlo; soprattutto nel momento del bisogno. Vederlo a pezzi, straziato dalla sua nuova natura le spezzava letteralmente il cuore. Voleva scuoterlo e far sì che si vedesse attraverso i suoi occhi perché per lui non era cambiato assolutamente niente; era sempre lo stesso ragazzo che tanti anni prima l’aveva protetta ed accolta. Odiava vederlo in quello stato, anche in quel momento mentre cercava di farsi passare per una bestia crudele, l’unica cosa che voleva fare era scuoterlo fino a farlo rinsavire. «Ti prego Sam non agitarti.» Era preoccupata per lui, parlare sembrava richiedere forza che in quel momento non aveva e tutto quello sforzo non facevano altro che farlo ripiegare su sé stesso in preda ad una tosse rauca e straziante. «Non ti crederò mai hai capito? Tu non sei una bestia e
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    prima te lo metterai in testa meglio sarà per te.»
    Avrebbe continuato a ripeterglielo a non finire, ciò che gli era successo aveva sicuramente mutato il suo dna, ma non avrebbe cambiato il suo io interiore; Eris avrebbe continuato a combattere finché anche lui se ne sarebbe reso conto. La corvonero sapeva che non sarebbe stata una cosa facile, ma era disposta a farsi carico di tutto, di portare il peso di quel segreto insieme a lui e di non lasciarlo mai affondare nello sconforto; in quell’oscurità sarebbe stata il faro di luce che lo avrebbe riportato a casa. «La paura fa parte di noi Sam, dobbiamo solo imparare ad accettarla.» Lo strinse a sé, per trasmettergli il suo calore e fargli capire che lo avrebbe supportato sempre. «Non importa se in questo momento ti senti rotto, rimetteremo insieme i pezzi. Fidati di me Sam.» Eris era una specialista in quel campo, più volte si era sentita completamente spezzata e ogni volta con calma rimetteva insieme i pezzi; ora non doveva far altro che aiutare Sam a fare la stessa cosa. Quasi non si rese conto di tutto ciò che accadde dopo, la sua attenzione era tutta per gli occhi di Sam; per quel grido di aiuto che continuavano a lanciarle, per quella flebile supplica di non abbandonarlo. Una supplica e un grido a cui avrebbe sicuramente risposto. Quando il volto del ragazzo si strofinò contro il suo sentì chiaramente il suo bisogno di contatto, voleva solamente sentirsi ancora umano. Quando le labbra del ragazzo si posarono sulle sue non rimase sconvolta e non si tirò indietro; lo strinse a sé rispondendo con dolcezza alla sua richiesta di aiuto. Lo carezzò lievemente sul collo, disegnando piccoli cerchi senza senso, nella speranza di assorbire il suo dolore e trasmettergli calore e affetto. «Ti prego, non lasciarmi..» Lo abbracciò con forza, aggrappandosi alle sue spalle e nascondendo il volto del ragazzo nell’incavo tra il collo e la spalla. «Non me ne vado Sam.» Una promessa che avrebbe mantenuto a qualsiasi costo, non le importava quanto sarebbe stato difficile tenerlo a galla, Eris sarebbe affondata con lui per poi tornare in superficie; da quel momento in poi il ragazzo non avrebbe più dovuto affrontare tutto ciò da solo. Si sdraiò nuovamente al suo fianco e lo spinse a posare la testa sul cuscino, aveva bisogno di riposare e avrebbe pensato lei a proteggerlo dai suoi incubi. «Chiudi gli occhi Sam, ci penso io.» Lo baciò sulla fronte e continuò ad accarezzargli i capelli, voleva solamente che si rilassasse e che scivolasse in un sonno senza incubi. Continuò a vegliarlo senza interrompere il contatto con la sua pelle, ne silenzio di quella camera poteva concentrarsi sul respiro del ragazzo, nella speranza che il panico sparisse per lasciare spazio ad un po’ di pace. Era bello Sam, di una bellezza tormentata che intrigava tutte le persone che lo circondavano; ma sotto quei riccioli scuri e quello sguardo verde c’era un ragazzo semplice che chiedeva solamente di essere amato. Posò nuovamente un piccolo bacio sulla sua guancia e continuò ad osservarlo dormire. «Quando penso ad un posto in cui mi sento al sicuro e sento di essere me stessa penso a noi Sam. Ti prometto che ti sentirai nuovamente al sicuro.» Una promessa che molto probabilmente sarebbe rimasta inudita, ma fondamentale per la corvonero. La speranza di rimanere al suo fianco vene interrotta dall’infermiera che si affacciò all’interno della stanza. «Signorina i letti sono per i pazi…» «Ssssh! La prego si è appena addormentato.» Se avesse potuto le avrebbe sbattuto la porta in faccia, ma quando la donna indicò l’orologio che aveva al polso capì che l’orario delle visite era terminato e lei sarebbe dovuta tornare ad Hogwarts. Cercò di scendere dal letto senza svegliare Sam, non voleva strapparlo da quel sonno tranquillo; forse il primo dopo molti giorni. Gli rimboccò nuovamente le coperte e si limitò ad osservare ancora una volta il suo viso, gli diede un flebile bacio a fior di labbra e poi gli scrisse un breve biglietto. “Devo rientrare ad Hogwarts e la tua infermiera mi ha buttata fuori, me non sei solo Sam. Io sono sempre con te. Con affetto Eris.” Uscire da quella stanza fu più difficile del previsto, non riusciva a sopportare l’idea di non poter stare costantemente al suo fianco; l’unica cosa che poteva fare era sperare che il suo ritorno al castello avvenisse il prima possibile.


    Edited by quinzel. - 11/5/2017, 16:49
     
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