Sleeping beauty

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    L’orologio alla parete segnava le venti e trenta da ormai quattro minuti. « Professore, penso che il suo orologio si sia incep» « Faccia silenzio, signorina Gallagher, e continui a scrivere.» « Ma io…» «Lei è in punizione, la prossima volta prima di addormentarsi durante una mia lezione, mantenga la mente sveglia e gli occhi aperti.»

    Essere messa in punizione era diventata la cosa a cui si era abituata maggiormente nei sei anni trascorsi ad Hogwarts. Se una settimana si beccava un pomeriggio punitivo a pulire trofei sempre lerci - ancora si chiedeva come mai fossero sempre sporchi, dal momento che una volta a settimana lei puntualmente li puliva- per aver accidentalmente dato fuoco ai capelli di Edna Mulligan durante incantesimi, quella dopo non poteva scampare ad una lunga serata insieme al noiosissimo professore di Storia della magia per essersi appisolata per qualche minuto durante le sue lezioni.
    Appena entrata in classe, Scout aveva fatto la corsa della sua vita per prendere uno dei posti in fondo a tutto e stranamente ci era riuscita, diversamente da come capitava il resto dei giorni in cui era disposta a sedersi ovunque tanto comunque non avrebbe prestato l’attenzione dovuta. Quella mattina aveva avuto così sonno da aver saltato la colazione di sua spontanea volontà –evento sacrilego- per rimanere fra le coperte ancora due minuti. Nemmeno a dirlo, si era svegliata ancora più stanca e se già non si sentiva in grado di ascoltare due ore ininterrotte della “Grande battaglia magica del Quebec” aveva realizzato che l’unico modo per sopravvivere a quella giornata era dormire. Aveva tenuto il posto libero di fianco al suo per Reina, lei aveva preso quello all'interno, accanto alla parete e probabilmente prima ancora di iniziare la lezione la ragazza già dormiva.
    Come suo solito aveva sognato in maniera estremamente vivida, questa volta di essere ai mondiali di Quidditch, nel suo completo da tifosa verde e bianco ad urlare a squarciagola il suo supporto per l’Irlanda che si scontrava con la Francia. Era stato un sogno lungo e insensatamente realistico, lei ai mondiali non c’era mai andata.
    Da fuori, mentre dormiva era stata uno spettacolo esilarante. Si era appisolata con la guancia contro la mano, la testa retta dal braccio piegato sul banco. I lunghi capelli rossi, mal pettinati quella mattina, le coprivano una metà del volto, l’altra era in bella vista, la guancia premuta contro la mano, la bocca leggermente aperta e un sottile rantolo che aveva fatto voltare più volte i suoi compagni seduti davanti a lei. Reina aveva cercato di svegliarla, ma Scout non si era nemmeno mossa, così la grifondoro aveva rinunciato nella speranza che almeno il posto così lontano dalla cattedra riuscisse a nasconderla bene. Ma Scout evidentemente non era d’accordo perché dal nulla aveva iniziato a bofonchiare qualcosa nel sonno, nel momento stesso in cui aveva smesso un rumoroso ronfo aveva preso il posto. Si era sentita scuotere leggermente ma niente era cambiato. Aveva aperto gli occhi solo quando la voce del professore le aveva perforato i timpani. « LEI STA DORMENDO!» aveva urlato lui e Scout era saltata subito dalla sedia. « Riposavo soltanto gli occhi» provò a giustificarsi cercando di apparire quanto più sveglia possibile. « Non mi prenda in giro, signorina Gallagher, forse la guerra magica non è abbastanza import..» «Esatto»aveva asserito la rossa, evidentemente pensando ad alta voce. « Come ha detto?» « Io? Niente…» « Pensa che io sia stupido?» Si. « Non mi permetterei mai, ma…» « Ma?» «» « Alle diciassette in punto, P U N I Z I O N E»

    « Professore, io avrei finito» aveva comunicato la ragazza all’uomo aldilà della scrivania. « Allora puoi andare.» l’aveva semplicemente liquidata lui. «Puoi andare» gli aveva fatto il verso la ragazza non appena chiusa la porta alle sue spalle. Quell’emerito idiota le aveva portato via non solo un intero pomeriggio ma le aveva fatto saltare la cena, si rese conto mentre il suo stomaco si esibiva in un concerto di rantolii e rumori strani. “Mi avesse offerto un biscotto” aveva pensato la ragazza mentre ricordava che l’uomo si era rimpinzato senza problemi davanti a lei, forse voleva farla morire di fame. Nonostante gli occhi le si chiudessero per il sonno, inutile dire che il riposino che aveva fatto durante la lezione le era servito meno di zero, il suo stomaco brontolava troppo per essere ignorato. Scout era abituata a non saltare mai un pasto, quel giorno ne aveva saltati ben due e a pranzo non aveva toccato molto cibo, sempre troppo stanca. Olympia aveva suggerito di fare un salto di infermeria per escludere un’influenza ma tra una lezione e la punizione non aveva avuto il tempo. Inoltre lei stava benissimo, aveva soltanto sonno.
    Anziché prendere le scale per la torre di grifondoro aveva preso quelle opposte, scendendo i gradini due alla volta, solo perché se fosse caduta nessuno avrebbe riso, forse solo i quadri. Al piano terra c’era qualche ritardatario che correva verso la sala comune, lei camminava a passo svelto verso le cucine. Solleticò la pera della natura morta posta all’ingresso delle cucine segrete e vi si intrufolò. Era vuota, strano, dal momento che solitamente pullulava di elfi domestici, probabilmente erano spariti al suo arrivo. Si precipitò verso una delle infinite dispense ma aldilà delle porte non vi era nulla se non cibo da cucinare. Aldilà della sua propensione a dar fuoco alle cose, Scout e la cucina erano su due pianeti assolutamente opposti. Sul suo volto apparve un’espressione afflitta, lo stomaco brontolò forte. Si sedette con fare arrendevole su uno sgabello, l’unica cosa commestibile senza essere cotta era tutta presente in un enorme cesto di frutta. Scout non aveva vizi in fatto di cibo, ma quel cesto non aveva affatto un'aria invitante. Prese una mela e le diede un morso, i denti tagliarono la sottile buccia rossa, la polpa succosa e zuccherina sembrò pungerle la lingua.
    "Mi poggio un po' qui" si disse spostando il frutto da lato e incrociando le braccia sul tavolo " e poi vado a dormire" pensò prima di crollare addormentata con quel sapore ancora in bocca.

    Edited by fire-starter - 23/3/2017, 19:15
     
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    Eran quasi sei mesi che era diventato un animagus, eppure non aveva molte occasioni per girare liberamente nella sua forma animale, principalmente perché non aveva voluto dirlo a nessuno. Soltanto Lydia lo sapeva, ma lei non contava: Lydia sapeva tutto. Così utilizzava sempre l'occasione in cui doveva fare ronda, poi il fatto che da gatto riusciva a vedere al buio e ha sentire meglio qualunque rumore era vantaggio non indifferente. Avrebbe dato qualunque cosa in quel momento per essere nella sua stanza a fare qualunque altra cosa. Aveva desiderato essere un prefetto negli anni precedenti, ovviamente tutto era cambiato poco prima che lo diventasse. Da quell'estate in poi dopo l'incidente, avrebbe dato qualunque cosa, per essere lasciato in pace. Ma a quel punto la frittata era fatta e, nonostante il lato positivo ovvero il bagno dei prefetti, erano solo oneri che si erano aggiunti al suo orario. Vagare di notte alla ricerca di persone che infrangevano il coprifuoco, era una tortura, quando riusciva a farlo con qualcuno almeno si poteva parlare, ma nelle occasioni in cui era da solo, curiosava lungo tutto il castello per imparare segreti che non conosceva. Anche se incontrava qualche studente, che avrebbe dovuto essere nel proprio dormitorio, non lo puniva mai. Di solito, se era trasformato in gatto, lo ignorava bellamente, nelle altre occasioni riaccompagnava al dormitorio lo studente in questione, prima che lo vedesse qualcun altro.

    Quella sera, si era trasformato in un gatto, erano circa le 9 e mezzo e si era infilato nei sotterranei, voleva cercare l'unico dormitorio che non era ancora riuscito a visitare, quello dei serpeverde, quindi sperava di incontrare qualche studente che lo avrebbe portato alla meta subito dopo cena. Aveva fallito miseramente il compito, perché il serpeverde grosso e barbuto, che aveva deciso di seguire, dopo aver notato il gatto che lo seguiva, aveva tentato di prenderlo a calci. Così Charles era stato costretto a evitare il goffo colpo del ragazzo e a svignarsela prima che, a quel Troll, venisse in mente di avere in tasca una bacchetta. Mentre risaliva verso la sala grande, aveva incontrato una studentessa, che riconobbe subito, era Scout. Probabilmente di ritorno da una delle sue solite punizioni, il problema è che sembrava ubriaca. Barcollava vistosamente per le scale e stava scendendo, verso un posto che a giudicare dalla strada che stavano prendendo, non era di certo il dormitorio dei tassi. Non sentiva però alcun sentore di alcol nell'aria, decise di seguirla quasi istintivamente seguendola a passi felpati con la coda per aria. Entrarono in uno stanzone, pieno di quadri, che non aveva mai visto. Si avvicinò a uno di questi che rappresentava una ciotola di frutta, con gli occhi semichiusi. Perplesso la seguì e dovette fare uno sforzo, per impedire a se stesso di reagire all'istinto di inarcare la schiena e ingrossare la coda, quando la pera si mosse sotto il suo tocco. Seguì la ragazza all'interno prima che il quadro tornasse a posto e si guardò intorno. Erano evidentemente le cucine. Questa sì che è nuova. La ragazza continuava tranquillamente a ignorarlo, non credeva neanche si fosse accorto di lui. Era sparita nelle dispense e lui ne approfittò per analizzare la cucina, erano molti gli odori invitanti che arrivavano da quel posto, tanti che faceva fatica a distinguerli. Era vuota, non sentiva nessun passo e nessun odore che gli ricordasse una qualunque creatura. La ragazza sparì nelle dispense mentre lui curiosava intorno ai tavoli e alle sedie, che erano quasi tutte a misura di elfo domestico. Il pavimento era pulitissimo, più di qualunque altro posto.
    Quando la ragazza riapparve, sembrava sconsolata. Si sedette su uno sgabello, prese una mela dal cestino sul tavolo e dopo averle dato un morso si accasciò contro il muro, cadendo quasi immediatamente in un sonno profondo. Inevitabilmente la mela gli cadde di mano e rotolò verso di lui. In versione felina, l'odore della mela non gli sembrava cibo commestibile. Ne approfittò per tornare umano e avvicinarsi alla ragazza. Il cambiamento fu repentino, era ormai diventato molto bravo nella trasformazione, gli riusciva senza nessun problema passare da una forma all'altra. Si aggiustò gli occhiali sul naso e le battè gentilmente sulla spalla. «Scout, Scout? Tutto bene?» Aumentò progressivamente, l'intensità delle scrollate alla sua spalla, dato che non dava segno di svegliarsi. «Scout?» Chiese con voce gentile.
     
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    Non appena aveva chiuso gli occhi era stata catapultata di nuovo in quel sogno che durante la mattinata le aveva causato non pochi problemi. Urlava e scalpitava come una matta, o meglio, come faceva generalmente durante le partite di Quidditch delle sue squadre del cuore. Il completo verde e bianco faceva risaltare ancora di più la chioma rossa, per l'occasione stretta in una treccia disordinata, fra le ciocche i nastri verdi che probabilmente sua zia Monia le aveva messo si intravedevano appena. Le luci tutte attorno a lei illuminavano prepotentemente il campo, lì in alto dov'era, nel terzultimo anello dello stadio, la visuale era uno spettacolo quasi da togliere il fiato. Il verde e il bianco si mescolavano caoticamente con il tricolore rosso-bianco-blu dei Francesi, i cui cori arrivavano all'orecchio della ragazza come cantilene indistinte. Nonostante la lotta all'ultimo sangue per il boccino, quello scenario le dava un senso di unità che solo nello sport aveva visto possibile. Quel vociare la esaltava, così come avrebbe fatto un fuoco scoppiettante. Scout si sporse verso il campo, il vento a scompigliarle i ciuffi che le ricadevano sul volto. I giocatori sfrecciavano talmente veloci da non poter essere distinti in maniera chiara. Per questo la ragazza si sporse ancora un po’, verso il vuoto e poi cadde, precipitò giù, in caduta libera.

    Non si schiantò al suolo, ma sobbalzò improvvisamente svegliandosi da quel pisolino improvvisato. «Scout?» la voce le arrivò all’orecchio assieme ad un leggero scuotimento. Sbarrò gli occhi, sul suo viso l’espressione persa di chi non sa cosa diavolo stesse succedendo. «Sì?» domandò, stropicciandosi gli occhi e stiracchiandosi, allungando le braccia verso l’alto e sbadigliando senza alcun tipo di eleganza. Strizzò gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco chi l’avesse svegliata. « Charles?» chiese, mentre gradualmente la figura del prefetto corvonero si faceva sempre più nitida. « Che ci fai qui?» le sue parole erano biascicate, ognuna seguita da un sonnolento sbadiglio. « Che ore sono?» domandò alzandosi da quello sgabello basso e scomodo, niente affatto creato per un essere umano o qualsiasi creatura più alta di un metro. « Sono nei guai, non è così» disse quasi fra sé e sé, come se domanda e risposta fossero scontate. Poi si ricordò che Charles, per fortuna di chiunque, non era il classico prefetto prepotente ed arrogante che solo per la spilla appuntata al petto si considerava il padrone dell'intero castello. Charles era probabilmente troppo educato e leale per creare un inutile putiferio se qualcuno non rispettava il coprifuoco. Scout però non aveva intenzione di sfruttare la sua lealtà, più di una volta il corvonero le aveva abbonato un bel richiamo, cosa che non era successo con gli altri suoi colleghi. « So che dovrei essere nel dormitorio grifondoro, nel mio letto, anche perché dormire in cucina è piuttosto scomodo, te lo sconsiglio » gli disse, poggiandosi al bancone. « Ma ho fame. esclamò» accompagnando le sue parole con un fermo gesto del dito, teatrale come non mai. Scout aveva sempre fame « Ma la frutta proprio non mi va, quindi…» si spostò verso i fornelli e tamburellò con le dita su una vecchia padella « che ne dici di cucinare?» domandò. « Niente di troppo elaborato, non siamo a masterchef» disse, pensando di aver fatto davvero una gran battuta. Inoltre Scout era in grado di mangiare qualsiasi cosa, dal momento che nemmeno sua zia era mai stata una grande cuoca. « Ovviamente io non so farlo» confessò, tirando fuori un cucchiaio di legno dal cassetto e puntandolo verso il ragazzo. « Però posso accendere i fornelli, con il fuoco sono proprio un asso.» anche questo era vero, forse anche troppo.
    Ti prego, Charles, ti prego ti prego, prima che io mangi te pensò sfoderando il suo sguardo - quasi sempre poco efficace - da cucciolo indifeso.
     
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    La ragazza aveva cominciato a svegliarsi, stropicciandosi gli occhi. Era ovviamente un po' intontita. L'aveva vista raramente da così vicino, nonostante avesse i capelli scompigliati doveva ammettere che era davvero carina, non lo aveva mai notato. Si allantonò un po' da lei appena si svegliò, perché si era leggermente imbarazzato. «Sì? Charles?... Che ci fai qui?» Sembrava che finalmente stesse cominciando a prendere coscienza di quello che le stava intorno. «Che ore sono?» Rise di gusto, si era addormentata neanche da due minuti. «Tranquilla, hai dormito solo qualche minuto, ti ho vista entrare e ti ho seguito». Ovviamente avrebbe dovuto sgridarla, dirle di tornare nel dormitorio e accompagnarcela, visti i precedenti richiami forse addirittura punirla e lei sembrava stesse pensando esattamente la stessa cosa. Ma non l'avrebbe mai fatto, ascoltò le sue scuse biascicate e sorrise. «Come mai non hai mangiato?» Con quella domanda probabilmente avrebbe anche saputo, come mai non era nel dormitorio. Sospettava llei dovesse scontare una punizione, conoscendola, ma non poteva esserne sicuro.
    Sembrava più sveglia di qualche minuto prima, ora che stava parlando con lui e in effetti avrebbe potuto cucinare qualcosa. Cucinava qualche volta a casa e aveva visto miriadi di volte sua madre e sua nonna cucinare. Niente di troppo difficile, ma non sarebbe di certo morto di fame. Improvvisamente le parole della ragazza lo allarmarono, ricordando la sua propensione al dar fuoco alle cose. «No, niente fuoco». Disse brusco. Poi, però, cominciò subito a ridere guardando la sua faccia, mentre gli faceva gli occhi dolci. «Va bene, ti farò qualcosa. Ma poi ti riporto al dormitorio, d'accordo?» Tentò di fare una voce severa, ma dubitava che fosse anche minimamente credibile. Si avviò verso le dispense cercando qualcosa da fare, che fosse anche piuttosto facile. Le cucine erano fornitissime, come al solito, registrò la posizione della pasta e delle uova, non aveva ancora bene idea di cosa preparare. «Cosa vuoi mangiare, Scout?» Magari avrebbe potuto dargli un'idea.
     
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    Lo stomaco aveva ripreso prepotentemente a brontolare, per fortuna che in giro c'erano solo loro due e probabilmente qualche elfo domestico molto infastidito che prima o poi sarebbe sbucato con una scopa e li avrebbe cacciati via. Mentre dal suo ventre si sentivano suoni simili a quelli di una balena solitaria alla ricerca del suo amore perduto - suono che tipicamente rompeva il silenzio tombale di qualche aula durante un esame e che faceva girare tutti verso di lei. «Come mai non hai mangiato?» le aveva domandato il corvonero mentre dava un'occhiata agli ingredienti a loro disposizione. « Indovina un po'? Punizione, del tutto ingiustificata, ovviamete...» mentì, abbozzando un mezzo sorriso « io l'ho detto a quel caprone scorbutico di storia della magia che era tardi, ma non mi ha dato ascolto» aveva iniziato a raccontare lei, con il suo fare da logorroica.
    Charles la fece scostare appena dai fornelli «No, niente fuoco» le aveva detto con fare allarmato. La ragazza si era portata la mano al petto con grande teatralità, fingendo di essere offesa dal divieto del corvonero. «Vero... niente fuoco, non rischiamo» aveva ammesso con falso rammarico. Nessuno dei due riuscì a trattenersi dal ridere. "Quanto sono ridicola" pensò.
    «Va bene, ti farò qualcosa. Ma poi ti riporto al dormitorio, d'accordo?» propose il ragazzo, cercando di parlare con una certa severità, del tutto inusuale e affatto credibile. « Sissignore!» rispose la grifondoro mettendosi sugli attenti, ma rimase impettita per meno di mezzo secondo per poi tornare alla sua postura scorretta, sciatta e niente affatto aggrazziata, da vera lady insomma. Charles le domandò cosa volesse mangiare, nella mente della ragazza le immagini di mille pietanze vorticavano come in un sogno, le venne l'acquolina in bocca, quanto rimpiangeva di aver saltato la cena.
    « C'è di tutto qui, però non voglio sfruttare troppo la tua pazienza» gli disse, molleggiandosi leggermente con le braccia poggiate al bancone. «Magari un'omelette?» propose, le sembrava un piatto facile e anche piuttosto veloce, forse se non avesse rischiato di dar fuoco a qualcosa sarebbe riuscito anche a lei e senza avvelenare nessuno. « Voglio darti una mano, così magari la prossima volta» se mai ci sarà, pensò, spero non sia preceduta da un'altra punizione « posso sdebitarmi!»
    Si mise a frugare distrattamente fra i barattolini di spezie, della metà non conosceva nemmeno l'esistenza. Ne aprì uno e lo annusò appena, un odore pungente le pizzicò il naso e scatenò un rumoroso starnuto. Charles sembrò non accorgersene, ma Scout pulì con la manica la polverina arancione che aveva fatto finire un po' ovunque. Si domandò cosa potesse pensare quel ragazzo di lei, fino a quel momento non doveva essergli parsa troppo brillante. Si ricordò che lui le aveva detto di averla seguita, per la ronda notturna. « Comunque... come hai fatto a seguirmi senza farti vedere?» domandò incuriosita, mettendo a posto l'ennesimo barattolino dal contenuto misterioso. In tutta sincerità un. bbe potuto seguirla e difficilmente se ne sarebbe accorta in tempo. « Sei un ninja per caso?» chiese, accompagnando la domanda con uno scoordinato gesto delle braccia, probabilmente volto, nella sua mente, ad imitare le mosse di un guerriero.
     
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    «Indovina un po'? Punizione, del tutto ingiustificata, ovviamente...» Disse lei accalorata, ma era una bugia, lo sapeva anche lei. Scout era sempre stata così, non le era mai importato granché delle regole e non stava mai attenta in classe, un connubbio che esasperava i professori. Ma, dal suo punto di vista, era una ragazza buffa e goffa, almeno quanto lui. E nonostante se ne fosse accorto soltanto di recente, se non fosse per il fatto che si curava molto poco, era fra le ragazze più carine che conoscesse. Scoppiò a ridere con lei, quando fece finta di offendersi, questo era esattamente quello che intendeva quando diceva che era buffa.
    «Sissignore» Come si aspettava le sue minaccie caddero nel vuoto, come era inevitabile. La guardò mettersi sull'attenti, ancora divertito e le diede un leggero spintone sulla spalla, per farla smettere di prenderlo in giro. «Sìsì abbiamo capito». Poi per un attimo si perse nei suoi pensieri, per poi accorgersi che la ragazza gli stava ancora parlando. «... Magari una omelette?» Annuì, uscendo dal suo stato di trance. «Voglio darti una mano, così magari la prossima volta posso sdebitarmi». Disse lei mentre cominciava a frugare in un cassetto pieno di spezie. «Hai intenzione di farti ribeccare nelle cucine a quest'ora durante le mie prossime ronde?» le chiese ghignando, mentre andava a recuperare le uova dove le aveva viste, poco prima. Sentì un potente starnuto che attirò la sua attenzione, a giudicare dal colore, Scout aveva unnusato un barattolo di paprika e a quanto pare non l'aveva gradita, se l'era anche sparsa sulla divisa probabilmente a causa dello starnuto. «Fortunatamente per te, la paprika non è un ingrediente dell'omelette, vedi se riesci a trovare sale e pepe». Si mise a cercare una ciotola dove sbattere le uova a fianco a lei. «Con il prosciutto o con i funghi, l'omelette?» Non che non ci fossero altri ingredienti, ma quelle sapeva come farle, era quelle che aveva sempre mangiato, quella col prosciutto e lo stracchino, la faceva sempre sua madre, mentre quella con i funghi e il groviera era una specialità francesse, che mangiava sempre a casa della sua nonna paterna.
    «Comunque... come hai fatto a seguirmi senza farti vedere? Sei un ninja per caso?» Charles trasalì, già come aveva fatto? Per un secodo, vagliò la possibilità di dirle la verità, ma prima ancora che lo prendesse in considerazione, sentì se stesso dire: «Stavi dormendo in piedi Scout, sei entrata barcollando nelle cucine, se non fosse che non ho fiutato nessuna traccia d'alcol, avrei pensato tu fossi ubriaca». Si pentì di averlo detto, un secondo dopo aver finito di parlare, così evitò il suo sguardo mentre tirava fuori la scodella dallo sportello. Non avresti semplicemente potuto dire che sembrava ubriaca, maledetto idiota?
     
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    «Hai intenzione di farti ribeccare nelle cucine a quest'ora durante le mie prossime ronde?» aveva domandato il ragazzo, per prenderla un po' in giro. Sicuramente Scout si sarebbe intrufolata nelle cucine di notte come aveva fatto svariate volte durante la sua permanenza ad Hogwarts, di solito per uno spuntino notturno o perché a qualcuno dei suoi geniali amici era venuta in mente un'idea altrettanto geniale. «Chi può saperlo?» disse scherzosa « Se dovessi tornarci...» parlò mentre cercava fra i barattolini quello che Charles le aveva chiesto « lascerò una scia di briciole, come Hansel e Gretel». Dal cassettino delle spezie tirò fuori due barattolini. « Pepe bianco o nero?» domandò, ma alla fine optò per quello nero, meglio andare sul sicuro, pensò. Cercò svelta anche il sale, nessuno avrebbe voluto un'assistente lenta.
    «Con il prosciutto o con i funghi, l'omelette?» domandò il ragazzo facendo distogliere lo sguardo alla ragazza tutta concentrata nell'osservare la magica apertura delle uova. Nella sua esperienza di cuoca Scout aveva sempre avuto una certa difficoltà nell'aprire le uova senza combinare un disastro: qualche volta ne era caduto un po' a terra, altre volte il guscio si era rivelato troppo sottile ed era finito nel preparato, altre ancora, dove magari il livello di difficoltà implicava dover separare il tuorlo dall'albume - trasalì al pensiero - aveva confuso le due cose o le aveva mischiate. Funghi o prosciutto? si domandò. Le piacevano entrambi, si portò l'indice e il pollice al mento, fingendosi pensierosa. «Mmmh» sussurrò, come se dalla sua decisione dipendessero le sorti dell'intero pianeta. «Prosciutto.» rispose soddisfatta, dando l'impressione di qualcuno che aveva appena partorito un'idea brillante, o risolto un difficilissimo problema di matematica.
    Lasciò il corvonero a sbattere le uova e da un ripiano alto prese due grossi bicchieri di vetro. Ricordava di aver bevuto un sacco di volte in quella cucina deliziosi succhi di frutta, così provò a fare mente locale sul dove potessero nascondersi. La sua cattiva memoria però non aiutava.
    «Stavi dormendo in piedi Scout, sei entrata barcollando nelle cucine» la voce del ragazzo la fece tornare ai fornelli dove ormai lui già stava armeggiando con padella e qualcosa di molto simile ad un mestolo, che la ragazza sinceramente non aveva idea di come chiamare. « Hai ragione, stavo morendo di sonno» riconobbe la grifondoro, arrossendo appena di imbarazzo, mentre tamburellava le dita sul piano da lavoro.
    Il fuoco acceso al di sotto della padella catturò la sua attenzioen, era uno dei pochi elementi che riusciva a tenerla perfettamente concentrata per più di cinque minuti, solitamente aveva una soglia dell'attenzione bassa quanto uno gnomo da giardino.
    «Se non fosse che non ho fiutato nessuna traccia d'alcol, avrei pensato tu fossi ubriaca» aveva continuato a parlare il ragazzo, rispondendo all'insinuazione del tutto ridicola della ragazza sull'essere un ninja. Pensò che probabilmente doveva essergli sembrata davvero un tipo strano mentre barcollava tutta sola.
    «Fiutare?» domandò perplessa « Certo che siete strani voi corvonero» gli disse, accigliata « Ottimi cani da tartufo!» lo prese in giro imitando in maniera assolutamente buffa un cane che annusa l'aria alla ricerca del profumo giusto. L'odore che giunse a lei fu quello delle uova, formaggio e prosciutto che si univano magnificamente insieme. « Ha un odore magnifico» si complimentò, con tanto di acquolina in bocca « Quando toccherà a me non ti assicuro niente del genere» lo avvertì « supplicherò uno degli elfi di aiutarmi».
    Era facile per Scout passare del tempo in maniera piacevole quasi con chiunque, le veniva facile stare in compagnia, quasi fosse una propensione naturale, e Charles, per quanto diverso da lei, sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d'onda. « Ah, se tutti i prefetti fossero come te» gli disse, poggiandogli una mano sulla spalla « Potrei anche iniziare a rispettare le regole, anche se dopo non sapreste cosa fare» ammise con un po' di vanesia superbia, quasi intendesse insinuare che tutto ciò che faceva lo faceva per non rendergli il lavoro troppo facile.
     
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  8. Mischief
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    «Chi può saperlo? Se dovessi tornarci lascerò una scia di briciole, come Hansel e Gretel». La ragazza continuò a scherzare china nel cassetto, coi barattoli di sapori. Avrebbe voluto ribattere che per lui sarebbe bastato che utilizzasse lo stesso shampoo di oggi e avrebbe potuto lasciar perdere le briciole, ma ovviamente non esternò il suo commento. Senza che le rispondesse la ragazza aveva già preso il pepe nero e chiuso il cassetto, scelta corretta, per quanto lo riguardava. «Mmmh» La guardà esasperato, ridacchiando. «Magari prima che sia pronta la colazione in sala grande, Scout». Aspettò pazientemente la risposta mentre rompeva il sesto uovo e lo infilava, nella scodella. Di solito l'omelette da sei uova era il secondo per quattro persone, ma la ragazza sembrava affamata, al massimo l'avrebbe lasciata. Sbatte leggermente le uova per mischiare bianchi e tuorli, poi aggiunse sale, pepe e parmigiano e ricominciò a sbattere. «Prosciutto» la ragazza lo disse come se avesse avuto un'idea brillante. «I posteri ti saranno grati, per questa scelta fondamentale». Con un colpo di bacchetta fece scendere da un gancio un prosciutto appeso in dispensa e con un altro un coltello piuttosto grande si mise a tagliarlo in fette sottili, non sarebbe mai riuscito a tagliarle così sottili a mano. «Fiutare? Certo che siete strani voi corvonero. Ottimi cani da tartufo!» Fece un sorrisetto nervoso e lasciò cadere il commento. Animale sbagliato Scout, ma ci siamo quasi. Aveva versato in una padella, il contenuto della scodella, e appena il tutto si rapprese cominciò a metterci sopra lo stracchino per farlo scogliere, successivamente cominciò a metterci il prosciutto e chiuse l'omelette, facendola cuocere ancora un po' prima di ribaltarla dall'altra parte. Un profumo familiare invase l'aria, gli venne quasi da sorridere, finché i ricordi non lo colpirono come un treno.

    L'ultima volta che sua madre aveva fatto quell'omelette per lui, era l'estate di due anni prima, erano a colazione e sia suo padre che sua sorella dovevano correre a lavoro. Sua madre e lui invece non avevano alcuna fretta, l'odore che pervadeva la casa era esattamente lo stesso che potevano sentire in quella cucina a Hogwarts: era l'ultima estate che aveva passato coi suoi genitori, prima dell'incidente. Cercò di ricordare qualche altro dettaglio, qualche sprazzo di conversazione, ma gli fu impossibile. Era solo un giorno come tanti per lui, pensava ce ne sarebbero stati altre migliaia.

    «Ha un odore magnifico. Quando toccherà a me non ti assicuro niente del genere. Supplicherò uno degli elfi di aiutarmi». Fu sbalzato fuori dai suoi ricordi, dalla voce squillante di Scout. Menomale altrimenti avrebbe anche potuto bruciarla. «Qua-quando vorrò essere avvelenato, berrò uno dei tuoi intrugli a Pozioni». Sperando che anche il fatto che si fosse estraniato, passasse inosservato. Tossicchiò per schiarirsi la voce, mentre metteva in un piatto l'enorme omelette e recuperava il pomodoro che aveva messo a tagliare dopo il prosciutto, per metterlo come contorno nel piatto. «Et voilà. Bon appetit». Mise il piatto e delle posate sul tavolo di fronte a uno sgabello.


    Edited by Mischief - 24/2/2017, 13:51
     
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    Scout viaggiava su un binario parallelo a quello degli altri: tutto le sembrava straordinariamente accelerato, tutto correva e così lei non riusciva mai a stare attenta, come se le cose le sfuggissero di mano, Scout si distraeva di continuo nella speranza di cogliere tutto, senza mai effettivamente acchiappare niente. Nemmeno in quel momento, benché fossero soli e il silenzio fosse calato come di colpo, si era accorta che Charles si era completamente estraniato, aveva probabilmente la mente altrove, era evidente eppure lei non parve accorgersene. Fu di fatti il ragazzo a rompere il silenzio, per rispondere alla terribile, terribile idea della grifondoro. «Qua-quando vorrò essere avvelenato, berrò uno dei tuoi intrugli a Pozioni» le disse lui, togliendo poi l'omelette dalla padella e impiattandola. «Oh...» esclamò la rossa, dandogli appena una gomitata, non troppo forte per non rischiare di fargli cadere il piatto da mano. «...le mie pozioni sono un toccasana» mentì spudoratamente, conscia della sua totale incapacità in pozioni.
    Seguì il corvonero attorno al tavolo e si andò a sedere sullo sgabello. «Et voilà. Bon appetit»
    Il piatto bianco era quasi completamente occupato dall'enorme omelette, tutt'attorno accompagnata da fettine di pomodoro tagliato in maniera estremamente precisa. Lei, probabilmente, avrebbe sistemato il tutto in maniera molto più caotica e decisamente non così carina. Quasi le dispiaceva mangiarla. «Ora controllo che sia buona e non solo bella.» disse, cercando di assumere un'espressione seria e professionale, da critico culinario. Anche se avesse avuto lo stesso sapore di calzini sporchi probabilmente la ragazza non se ne sarebbe accorta, tanto brontolava il suo stomaco, ma al primo morso realizzò di aver fatto la scelta giusta nel chiedere al ragazzo di cucinare, perché lei probabilmente avrebbe bruciato tutto e mangiare un'omelette annerita non le sembrava per niente accattivante.
    «Mhhh, è buonissima!» ammise, mentre ne tagliava un altro pezzetto « però non farla mangiare tutta a me, almeno assaggiala» gli propose, battendo una mano sullo sgabello di fianco al suo e dividendo con la forchetta in due l'omelette.
    «Chi ti ha insegnato a cucinare?» domandò, fra un boccone e l'altro. Suo padre non le aveva mai insegnato granché, zia Monia ci aveva provato ma in cucina si era rivelata un'insegnante fallimentare quasi quanto la sua allieva. Per il resto aveva appreso dalla donna tante altre nozioni, non tutte utili, doveva ammetterlo, ma ad esempio tutto ciò che sapeva del mondo magico lo doveva a lei.
    « Mia zia ci ha provato qualche volta, ma non è brava nemmeno lei...» ammise sorridendo in maniera gentile « se non fosse per la magia, probabilmente sarei morta di fare ad undici anni, o forse avrei provato io a cucinare e avrei avvelenato davvero tutti» scherzò, enfatizzando, come faceva di solito, in maniera quasi assolutamente scontata, le sue non doti.
     
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  10. Mischief
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    La ragazza non sembrava minimamente essersi accorta che si era estraniato, o forse aveva fatto finta di nulla. «Però non farla mangiare tutta a me, almeno assaggiala». Prese una forchetta e si sedette a fianco a lei, in realtà non aveva fame, lui a cena aveva mangiato, ma una parte di lui voleva riassaggiare il piatto di sua madre. «Solo un boccone, io ho cenato». Dissi, tranquillamente. «Chi ti ha insegnato a cucinare?». Chiese la ragazza dopo aver lodato le sue doti culinarie. In realtà "insegnato" era un parolone, non sapeva fare nulla che richiedesse un minimo di abilità, aveva visto sua madre fare quella omelette talmente tante volte, che avrebbe potuto farla a occhi chiusi. «Questa omelette, la faceva sempre mia madre. Non è così difficile da fare, giuro». Disse con un sorriso. Ne tagliò un pezzo dalla parte opposta di dove stava mangiando la rossa e assaggiò la sua creazione. Qualcosa non andava. Era buona, è vero, ma non aveva lo stesso gusto, era solo una copia sbiadita del suo ricordo. Cercò di non sembrare troppo malinconico, ma posò immediatamente la forchetta, senza più toccarne neanche un boccone. «Mia zia ci ha provato qualche volta, ma non è brava nemmeno lei... Se non fosse per la magia, probabilmente sarei morta di fare ad undici anni, o forse avrei provato io a cucinare e avrei avvelenato davvero tutti» In effetti per quello che la conosceva, era così. Il problema non era non saper fare, ma il fatto che aveva la testa sempre e costantemente fra le nuvole. Posò il gomito sul tavolo e sbadigliò, guardando la ragazza mangiare. Nonostante la conoscesse da lungo tempo, non sapeva granché della sua vita privata, forse anche perché lei era un anno avanti a lui, non si frequentavano spesso. «Dove abiti, Scout? Non te l'ho mai chiesto».
     
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    «Questa omelette, la faceva sempre mia madre. Non è così difficile da fare, giuro» rispose il prefetto, sorridendole mentre ne prendeva un pezzo. Scout intercettò una punta di nostalgia nella voce del ragazzo, come se quelle parole quasi potessero spezzarglisi in gola. Scout distolse lo sguardo, quasi per non essere invadente, come faceva di solito, con un atteggiamento di disarmante innocenza. Mangiò l'omelette gustandosi ogni boccone, finalmente il suo stomaco taceva, tornava al suo breve letargo.
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    «Dove abiti, Scout? Non te l'ho mai chiesto» domandò il ragazzo, mentre con la forchetta la grifondoro divideva in due l'ultimo pezzo.
    «Com... mia fia» rispose la ragazza, mettendosi subito una mano davanti alla bocca piena. Ingoiò il boccone e prese un sorso d'acqua. Un corso di etichetta non le avrebbe fatto male, pensò. «Scusami» parlò, voltandosi verso di lui «abito con mia zia, in un...» si fermò un istante per pensare le parole giuste a descrivere la sua casa. Caotica, vivace, eccentrica. Si, poteva andare. «in un caotico» disse, marcando l'ultima parola «appartamento a Diagon Alley.» Per quanto incasinata fosse, quel luogo era stato la sua casa per anni, e non le era voluto molto per far si che il suo cuore si abituasse a quelle quattro mura e al disordine al loro interno. «Sai, mia zia è un po' eccentrica, sperimenta sempre nuove cose, dipinge, scolpisce» disse, mandando giù l'ultimo boccone « non che sia una maga in tutto, anzi, ma è di grande ispirazione» ammise, poggiando le posate nel piatto «e poi non c'è qualcuno che viene a dirmi di mettere in ordine la mia stanza» confessò, con un'alzata di spalle e il sorriso divertito sulla faccia. «Prima però vivevo con mio padre.» continuò a parlare, in un flusso logorroico che solo i ricordi sarebbero riusciti a fermare. L'immagine della sua vecchia casa in fiamme le si parò davanti agli occhi, l'urlo sommesso vibrava ancora nell'aria sospinta dal vento, Scout non smetteva di correre. «Ma questa è un'altra storia» disse in un sussurro, la voce triste, insolito per Scout Gallagher. «Tu invece?» domandò, riaccendendosi di curiosità. Di Charles sapeva pochissimo, ma d'altronde, si rese conto Scout, non sapeva molto nemmeno degli altri, o perché non glielo avesse mai chiesto, o perché con grande probabilità lo aveva dimenticato.
    Si alzò e prese il piatto portandolo con sé verso i lavello. «Sono pienissima» disse, in realtà poco convinta e consapevole che al mattino il suo stomaco avrebbe ripreso a brontolare come un troll di montagna. «Tu dici che i piatti devo lavarli io, o sfrutto la disponibilità degli elfi domestici?» chiese, quasi in apprensione per quelle creature che fose non sapeva lavavano qualsiasi cosa lei sporcasse in quella scuola. Tranne i trofei, pensò, i trofei li pulisco sempre io.
     
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  12. Mischief
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    «Com... mia fia». Scoppiai a ridere di gusto, ogni dolore si era perso nella totale spontaneità di Scout, che non sembrava aver neanche notato il mio tono, o forse semplicemente faceva finta di nulla. Mi abbandonai alle sue parole, al suo treno di pensieri, estremamente sinceri, il tutto mentre si mangiava l'omelette a una velocità sorprendente. Sembrava un mondo poeticamente raccontato da un bambino, una favola, riuscivo perfettamente a immaginare una zia del genere accanto a quella maldestra ragazza dai capelli rossi e una bimbetta dai capelli color fragola, tutta impiastricciata dai colori con cui la zia dipingeva, giocare sul pavimento. E, benché, l'ultima fosse completamente frutto della mia fantasia, mi sembrò quasi plausibile.
    «Prima però vivevo con mio padre». Non indagai, percependo un tono triste, che non si addiceva affatto alla persona che conoscevo, la favola si era interrotta bruscamente. «Tu invece?».
    «Io vivo con mia sorella, a Londra». Risposi senza esitazione, come una macchina ben oliata, avevo imparato a rispondere automaticamente a quella domanda, da un annetto a quella parte. Di solito tagliavo lì la conversazione, non mi andava di parlarne, ma quella sera continuai quasi senza pensarci. «... E' diventata la mia tutrice legale l'estate scorsa, quando i miei genitori sono morti, in un incidente d'auto. Prima vivevamo in Francia, ma abbiamo venduto la casa». Ci sembrava di vivere in un museo, dove tutto ricordava i nostri genitori, dovevamo cambiare, Camille aveva deciso che trasferirsi a Londra sarebbe stato più comodo per entrambi. «... E' diventata la mia tutrice legale l'estate scorsa, quando i miei genitori sono morti, in un incidente d'auto. Prima vivevamo in Francia, ma abbiamo venduto la casa. Lei è fantastica, quest'estate però gliene ho fatte passare un po' troppe». Mi sentivo ancora in colpa per il mio comportamento durante l'estate: non era l'unico ad aver perso i genitori e la avevo costretta a prendersi cura di me. «Tanto per farti capire quanto ero fuori di me, mi sono persino fatto un tatuaggio». Ridacchiai, ancora non ci potevo credere.
    «Sono pienissima. Tu dici che i piatti devo lavarli io, o sfrutto la disponibilità degli elfi domestici?» La ragazza si era alzata per portare sul bancone il piatto ormai vuoto. Non mi resi nemmeno conto, di quanto le avevo raccontato, probabilmente era la prima persona a cui raccontavo così tanto se non si contava Lydia. «Credo che reggeranno un piatto in più, lascia...». Mi fermai a metà della frase perché aveva sentito un rumore, qualcuno si stava avvicinando alle cucine. Non poteva assolutamente farsi trovare lì, una cosa era chiudere un occhio su una sua amica, che infrangeva una regola. Una cosa era infrangere le regole con lei, avrebbe potuto seriamente mettersi nei guai per una cosa del genere. E purtroppo dal rumore, non sembrava assolutamente un elfo domestico che tornava in cucina. «Scout nel ripostiglio, subito!» Corsi verso di lei, per farle mollare il piatto nel mucchio di quelli ancora da lavare, in modo che non fosse troppo ovvio, non c'era tempo per mettere a posto le sedie. Presi Scout per un polso senza troppi complimenti e corsi verso la dispensa dove avevo preso gli ingredienti per l'omelette.
     
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    Il tono con cui Charles si rivolgeva a Scout era gentile, pacato. Era una cosa che la giovane grifondoro apprezzava molto, benché non lo desse a vedere. Il suo stare sempre con la testa fra le nuvole portava spesso le persone ad utilizzare toni più duri, quasi come se la stessero rimproverando di continuo.
    «Io vivo con mia sorella, a Londra» raccontò il ragazzo con voce melliflua, come se stesse raccontando qualcosa che per qualche arcano mistero doveva andare così e basta. «... E' diventata la mia tutrice legale l'estate scorsa, quando i miei genitori sono morti, in un incidente d'auto. Prima vivevamo in Francia, ma abbiamo venduto la casa». Le parole di Charles si rincorsero una dopo l'altra, la mente vivace provò a ricostruire quei tristi scenari davanti ai propri occhi. Charles non le sembrava fatto per vivere in quelle triste immagini, era fuori posto, il suo sorriso gentile le sembrava sprecato per tutta quel dolore. Era quasi tentata di abbracciarlo, perché lo capiva. Capiva quello che si provava nel dover vivere senza genitori, per quanto molto più piccola fosse stata lei al momento della perdita. Ma realizzò che era stato fortunato ad avere sua sorella, un po' lo invidiava. Non era quell'invidia meschina e cattiva, probabilmente Scout non sarebbe stata capace di tale gelosia, però non poteva fare a meno di pensarlo. «Tanto per farti capire quanto ero fuori di me, mi sono persino fatto un tatuaggio» La notizia lasciò di stucco la giovane volpe rossa che strabuzzò gli occhi. «Ti mostro il mio se tu mi mostri il tuo» lanciò la sfida al corvonero voltandosi verso di lui e dando le spalle al lavandino.
    Chissà che tatuaggio è, pensò Scout, distogliendo l'attenzione dal suo interlocutore. I suoi tatuaggi avevano un legame forte con la sua personalità e le sue inclinazioni scottanti. Ma non aveva mai capito realmente il significato dei tatuaggi altrui, perciò scoprire che Charles ne aveva uno la incuriosiva terribilmente. Non ebbe il tempo di domandare altro che un rumore sospetto la destò dal suo ennesimo viaggio mentale.
    «Scout nel ripostiglio, subito!» le intimò il prefetto correndo verso di lei. Scout si voltò e lasciò cadere il piatto sulla pila di quelli già sporchi. Con ancora il polso serrato dalla stretta di Chales i due si ritrovarono stipati come i barattoli e le conserve in una dispensa fatta senza alcun dubbio per non contenere persone vive. «Chi pensi che sia?» domandò in un sussurro mentre provava a sbirciare al di là delle ante sbilenche che non si erano chiuse perfettamente. Il rumore dei passi si era fatto più forte e più vicino. Ti prego, Merlino, fagli cambiare strada pregò la grifondoro. Non potrebbe venirgli improvvisamente mal di pancia? propose alla sua coscienza, sperando che qualche divinità l'ascoltasse. Potrebbe anche scappargli la pipì, magari.
    Lo spazio angusto iniziava a darle qualche problema, le sembrava di essere un elefante in un negozio di cristalli di un metro per un metro. Provò a spostarsi leggermente di lato, cercando di non calpestare i piedi di Charles, che in quel buco ci era finito per colpa sua.
    I passi però, così come si erano avvicinati avevano iniziato ad allontanarsi. Uno zampettio sinistro parve percorrerle il braccio, la grifondoro lo scosse senza abbassare lo sguardo, per paura di trovarci qualche insetto. «Secondo me è andato via» si rivolse al corvonero. «Dobbiamo uscire di qui» disse sorridendogli per incoraggiarlo. « perché penso che un ragno stia ballando la macarena sul mio braccio» spiegò, con un'espressione di disgusto sul viso.
     
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  14. Mischief
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    «Ti mostro il mio se tu mi mostri il tuo». Vennero interrotti dal rumore, prima che potessi rispondere fui costretto a spingere la ragazza dai capelli color fragola dentro al rispostiglio, senza veramente pensare alla posizione in cui mi avrebbe messo. Restai stipato con una ragazza dentro a una stanza un metro per un metro, che a malapena riusciva a contenerci entrambi, il che voleva dire che Scout era dietro di me, così attaccata a che stavo respirando l'odore dei suoi capelli e sentivo il suo respiro sul collo, il che mi rendeva anche più nervoso del fatto che ci stavamo nascondendo dalla persona che era appena entrata. Restai girato verso la porta cercando di rimanere immobile, per evitare di toccare Scout, in qualunque modo(come se ne andasse della mia vita), e più in silenzio possibile per cercare di non farci beccare da chiunque ci fosse in cucina. Modulai il respiro, cercando sentire qualcosa, per avere un indizio su chi potesse essere entrato a quell'ora della notte. Valutai anche l'idea di trasformarmi in un gatto e andare a vedere, ma non solo avrei dovuto spiegare a Scout che ero un animagus, l'improvvisa trasformazione avrebbe potuto allarmarla e farla indietreggiare o urlare per la sorpresa, il che sarebbe stato controproducente.
    «Chi pensi che sia?» Il sussurro, praticamente attaccato al mio orecchio, mi fece sobbalzare. Era buio, ma era quasi impossibile non notare quanto fossi a disagio in quella situazione. «N-non lo so». Sentii dei passi allontanarsi e Scout fare un respiro di sollievo, direttamente sul mio collo. Restai comunque immobile, restando ad ascoltare, la prudenza non era mai troppa.
    «Dobbiamo uscire di qui, perché penso che un ragno stia ballando la macarena sul mio braccio». Azzardai un sorrisetto, nervoso. Aprii la porta cautamente e tirai fuori la testa, non c'era più nessuno nella cucina. «Via libera». Tornai a respirare normalmente fuori dalla stanza.
    «Stavamo dicendo?» Mi lasciai cadere sullo sgabello dove ero prima, visibilmente sollevato. «Ah.. Il tatuaggio, ne hai uno anche tu? Il mio è...» Mi vergognavo un po' ad alzare la maglietta che indossavo, il mio tatuaggio era sul mio petto sotto il pettorale sinistro all'altezza del cuore, grosso un po' meno del mio pugno. Scoprii la mia pancia alzando la maglia con la mano sinistra, dalla parte dove era il tatuaggio. «L'ho fatto poco dopo che sono morti i miei, non era un momento facile ed ero anche piuttosto brillo, in effetti, quest'estate ero ubriaco piuttosto spesso». La mia voce si incrinò leggermente, ma continuai a mantenere un tono neutro. Ancora non riuscivo a perdonarmi quello che avevo fatto passare a Camille in quei maledetti mesi. «Il tuo?» Chiesi, palesemente curioso.
     
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    In realtà non era solo per il ragno che con le sue zampette camminava allegramente lungo il magro braccio della grifondoro, era quel posto angusto a darle ansia. Non aveva mai sofferto di claustrofobia, in luoghi piccoli e bui ci era stata più volte. Il ricordo indelebile di suo padre che la costringeva a stare rinchiusa in quella piccola stanzetta quando qualcosa di anomalo accadeva era ancora scottante, per quanto la ragazza tentasse di tenere lontani certe memorie. Perciò quando Charles prese coraggio e le diede il via libera un sonoro sospiro di sollievo sgusciò via incontrollato dalle labbra rosee della ragazza. Chiunque fosse andato a far loro inaspettatamente visita, si era allontanato così come sembrava essersi avvicinato. Probabilmente, sospettò Scout, non doveva nemmeno essere proprio entrato nelle cucine, forse l'eco dei corridoi vuoti al di là del dipinto che nascondeva quel posto aveva giocato loro un brutto scherzo.
    Facendosi forza con le braccia si mise a sedere sul piano di lavoro, spostando le poche briciole che lo sporcavano. «Stavamo dicendo?» la voce di Charles interruppe quel silenzio carico di sollievo. «Ah.. Il tatuaggio, ne hai uno anche tu? Il mio è...» Il ragazzo alzò la maglietta dal lato sinistro rivelando il tatuaggio. La grifondoro scese dal tavolo e si avvicinò per vedere meglio. Il disegno che l'inchiostro formava sulla pelle aveva un'aria estremamente malinconica, per quanto bello fosse. «Charles è davvero bellissimo» disse sollevando appena lo sguardo per incontrare i suoi occhi gentili. «L'ho fatto poco dopo che sono morti i miei, non era un momento facile ed ero anche piuttosto brillo, in effetti, quest'estate ero ubriaco piuttosto spesso» confessò lui, mentre Scout scoppiò a ridere all'idea del prefetto in uno stato alterato. «Il tuo?» domandò lui. Scout di tatuaggi ne aveva ben tre, senza un motivo scatenante a spingerla. Il permesso di sua zia era stato quasi scontato dal momento che la stessa donna l'aveva accompagnata e aveva seguito l'esempio della nipote facendosi tatuare lo stesso giorno. I rantolii sommessi di dolore che la donna aveva continuato ad emettere durante la seduta l'avevano fatta sghignazzare come non mai. «Ne ho tre» disse mentre si arrotolava la manica della camicia per mostrare il primo. «Significa fuoco, è in gaelico» spiegò mostrando la parola "teine" tatuata in rosso sull'avambraccio destro. Sorrise per dire "immagino si capisca il perché io l'abbia tatuata". «Questo invece rappresenta una spirale aurea» e sollevo il piede per mostrare il disegno sulla caviglia. «So che può sembrare strano» ammise stringendosi appena nelle spalle « ma sono sempre stata un asso in matematica». A chiunque l'avesse detto non le aveva creduto, eppure era vero. «e l'ultimo» disse sollevando la camicetta ma cercando di mostrare il meno possibile il suo corpo. Nemmeno per timidezza, ma aveva notato un certo imbarazzo nel fare lo stesso da parte di Charles. «Mi ha aiutato mia zia a disegnarlo» disse svelando la piccola volpe stilizzata sul costato «Non so il tuo, ma questo ha fatto un male cane» lasciò cadere la camicetta e la risistemò nella gonna «Ma almeno ne è valsa la pena». Si stiracchiò appena, il sonno iniziava a farsi sentire di nuovo.
     
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