So what are you gonna do when nobody wants to fool with you?

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    Uno degli aspetti positivi dell’essere una nuova arrivata in posto popoloso come Hogwarts era che nessuno mi conosceva, nessuno sapeva realmente chi fossi, e così io potevo dare libero sfogo alla mia insaziabile fantasia e inventarmi il mio personaggio. Per quanto tutto ciò comportasse essermi ritrovata in una ristretta cerchia di persona che a stento conoscevano il mio nome, dover stare in solitaria gran parte delle mie giornate non mi aveva messo paura. Ero abituata a stare sulle mie e a vedermela da sola, sarei sopravvissuta anche in territorio straniero. Inoltre avevo notato come la scuola si fosse trasformata magicamente durante il periodo natalizio: il castello era entrato in una dimensione altra, immerso in una sorta di isteria natalizia che sembrava investire ogni minimo aspetto della vita degli studenti. Guardare quello spettacolo con distacco mi aveva divertito, soprattutto quando il tanto atteso ballo del ceppo era giunto alle porte.
    Non avevo mai creduto troppo nel Natale e in tutte le festività legate ad esso, il periodo di vacanza non mi aveva mai troppo emozionato. L’unico fattore rilevante, aldilà dei regali super materiali che i miei genitori erano soliti fare, era il ritorno a casa di Sebastian: in due era più facile sopportare l’ipocrita teatrino che i miei genitori amavano mettere in scena per mostrare al mondo quanto i Vanderbilt fossero perfetti e soprattutto felici. Non dico che non lo fossimo mai stati, certo, ma per la metà del tempo la nostra felicità era incompatibile con quella dei nostri genitori. Era in quelle circostanze, quando la casa si affollava di adulti dai visi segnati dall’età, i cui unici pensieri nella vita sono i soldi e il successo, e a braccetto un elevata posizione sociale, che avevo affinato il mio tedesco. Una cosa per cui devo ringraziare mio padre, senza il quale forse non avrei mai appreso nemmeno una parola di questa lingua. Sebastian era solito farmi da spalla, benché il suo impegno fosse inferiore al mio, che da ogni punto di vista ho sempre cercato di fare le cose in maniera maniacale e perfetta.
    In due mettevamo su discussione che andavano avanti per ore, alienandoci completamente da quelle feste tanto formali che ci vedevano obbligati e costretti in vestiti di stoffa pregiata.
    Le conversazioni che solitamente gli ospiti intrattenevano erano di una noia mortale, e talvolta non era nel loro interesse farci ficcare il naso. E’ anche vero che però Sebastian ed io intervenivamo di tanto in tanto con importanti riflessioni che lasciavano gli ospiti di stucco e facevano storcere il naso a mio padre. Da dove hanno preso idee tanto progressiste? avrà pensato più di una volta, solo sentendoci discutere dell’idea di libertà, concetto che fin da bambina avevo in qualche modo – forse anche precocemente – sentito mio.


    Parlando di libertà ero rifugiata nel luogo che meglio poteva sopportare la mia esigenza in quel castello sconfinato: la biblioteca. Se la mia libertà fisica era limitata dalle lunghe file di scaffali scuri che la affollavano, i libri sui loro ripiani avrebbero potuto nutrire giovani menti per anni ed anni, facendoli viaggiare attraverso le realtà più disparate.
    «Ti serve una mano?» Mi sentii domandare da una sottile voce femminile, mi voltai appena scuotendo la testa. Non avevo alcun posto dove andare se non quella biblioteca, dove solo i più disperati avevano avuto il coraggio di rifugiarsi, probabilmente per smaltire inosservati, chini con le teste dietro a pesanti tomi, i resti di un Ballo del Ceppo che sembrava aver fatto girare la testa a molti. Io lì ci ero arrivata per noia, e per smaltirla avrei fatto quello che meglio sapevo fare, mentire e divertirmi nel farlo.
    « Scusami, non voglio disturbare»domandai titubante con un filo di voce e cadenza straniera. A voltarsi fu un ragazzo più grande di me i cui occhi erano tanto infossati quanto assonnati. Il suo breve cenno con il capo mi lasciò intendere che poteva aiutarmi. " «Weißt du, wo kann ich dieses buch?» (sai dirmi dove posso trovare questo libro?) chiesi in tedesco inventandomi nomi di volumi a caso. Il suo sguardo si fece perplesso. «Io non parlo bulgaro »mi disse. Di tutta risposta io ricambiai lo sguardo smarrito. «Es ist ein Buch der krauterkunde." continuai a dirgli in quella lingua a lui tanto amena. Il suo viso era una tavola piatta. «Erbologia” cercai di fargli capire, vedendo il suo viso tornare ad assumere un’espressione normale.
    «Da dove vieni?» iniziò a parlare, incamminandosi fra gli scaffali. Feci spallucce. Ci provò di nuovo «Da dove venire tu?» domandò,
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    enfatizzando ogni parola con un emblematico gesto delle mani. «Deutschland». Non sembrò capire. Non so se avesse ancora i postumi di due notti precedenti, o solo sonno o se fosse il più cretino che potessi incontrare. Arrivammo alla zona dedicata all'erbologia e fece per salutarmi, io scossi vistosamente la testa, doveva trovarmi il libro, di cui per altro non sapevo nemmeno il nome. «Mi devi aiutare» dissi ancora una volta in tedesco. Scosse il capo, ancora confuso. La sua faccia sembrava un punto interrogativo. «Aiuta me?» Domandai allora, azzardando un accento tedesco che avrebbe fatto ridere chiunque. Le sue labbra si aprirono in un leggero sorriso, ma lo sentii sussurrare sotto voce un che palle.
    Capisco davvero, magari il povero malcapitato aveva anche da fare, ma io mi annoiavo mortalmente. «Puoi ripetermi il titolo del libro?» Mi domandò. «Non ti capisco» risposi ancora in tedesco, sfoderando il più innocente dei miei sguardi. Mi rendo conto che se non avessi avuto il viso d’angelo che mi ritrovo probabilmente il mio gentile collega non mi avrebbe nemmeno presa in considerazione. Prese un libro dallo scaffale e indicò il titolo. «Dimmi il titolo» provò ma io alzai il sopracciglio, con fare perplesso. «Titolen» azzardò lui, pensando davvero che aggiungendo en alla fine di una parola questa diventava tedesca. Dovetti trattenere le risate. «Tausend Zauberkräuter und –pilze» gli dissi al momento, pensando all’unico libro di erbologia che avesse attirato la mia attenzione durante gli anni. Ma il suo volto tornò ad assumere quell’espressione ebete che l’aveva accompagnato nei precedenti dieci minuti. «E’ un libro sugli alberi?» mi domandò, indicando gli arbusti con dei gesti incredibilmente ridicoli. Non riuscii a trattenermi e risi sonoramente, portandomi la mano alla bocca. «Ok…» disse lui rassegnato «Si mangiano?» domandò un'ultima volta, mimando un morso. Feci cenno di no. «Servono per le pozioni» gli dissi con fare arrendevole.


    Edited by conundrüm - 4/9/2017, 22:57
     
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    Papà, cambio di programma. Non tornerò a casa nemmeno a Capodanno. Quest'anno te le passi proprio in solitaria queste festività. Dean ha deciso di trascinarmi ad una delle sue solite feste barbose intellettualoidi e sai com'è? Non posso dirgli di no. Non posso abbandonare il mio caro, carissimo amico al suo triste destino - perché una festa del genere non sembra avere altri risvolti che quelli tristi e deludenti -. Perciò avverti la nonna di non far partire i festeggiamenti prima del mio arrivo. E che non faccia la torta al cioccolato tre strati prima, altrimenti so già che va a finire che quando arrivo, non ne trovo nemmeno una briciola. Prenderò la Metropolvere il 2 mattina, non preoccuparti! Ma questa volta, PER FAVORE, lascia il camino aperto e non fare come tuo solito, che poi mi ritrovo a casa della vicina. E un'altra volta tra le grinfie di Miss Patterson e dei suoi baci baffosi..anche no, grazie! Detto questo, ti auguro una buona fine e un buon inizio. Buon anno, Sam.
    Rilesse quelle poche righe di lettera, ritenendosi estremamente soddisfatto per come le erano uscite. Suo padre non avrebbe avuto alcun dubbio: lui e Dean sarebbero andati ad una festa pallosa, dove non sarebbe girato troppo alcol, assolutamente nessuna droga e le donne presenti avrebbero indossato gonne lunghe fino ai piedi. Il classico scenario che ogni genitore sperava per il proprio figlio, la fine dell'anno. O perlomeno così era il caro vecchio James Scamader e per tenerlo a bada, bastavano quelle poche semplici parole utili con cui si tranquillizzava o si metteva l'anima in pace, a seconda dei punti di vista. In verità Dean lo aveva invitato seriamente ad un party fuori Londra. Questa parte era veramente fedele alla realtà dei loro progetti. La parte che aveva omesso era quella che si trattava, in tutta sincerità, di un rave party, da cui il ragazzo era sicuro sarebbero usciti lerci, fatti e probabilmente talmente incoscienti da non ricordare nemmeno il proprio nome. Insomma sarebbero andati ad una classica festa di fine anno che si rispetti. Il Capodanno andava festeggiato con il botto, non si poteva andare ad una festicciola smorta, a guardare i fuochi d'artificio sul London Eye o ancora peggio, rimanere a casa, raggomitolati sotto le coperte. No, il nuovo anno pretendeva di essere festeggiato a dovere, senza tirarsi indietro. Era una sfida che andava raccolta con onore e senza paura e di certo gli Scamoses, di fronte a certe cose, non si tiravano sicuramente indietro. Piegò il foglio su se stesso, dividendolo nella sua esatta metà, prima di riporla dentro la busta. Una passata di lingua veloce sulle sue estremità, il nome del destinatario sul davanti ed era fatta. Quella missiva era pronta per essere legata alla zampetta di Tony. La stava lasciando scivolare nella tracolla quando una voce cristallina catturò la sua attenzione. E non tanto per il fatto che fosse di una ragazza, ma per il fatto che stesse parlando in un fluente tedesco. Si alzò di scatto dalla sedia, passandosi la tracolla della borsa sopra la testa. Seguì la voce, fino a trovarsi di fronte ad un curioso teatrino. La biondina, dalla voce tanto dolce, cercava di spiegare ad un ragazzo, dalla faccia decisamente poco sveglia, il titolo del libro di cui aveva bisogno. In tedesco. Con una pronuncia veramente buona, decisamente insolita per uno qualsiasi dei ragazzi di quel castello. Rimase così a guardarli, per qualche istante, facendosi scudo con lo scaffale dei tomi di Pozioni - il perché si trovasse in biblioteca quella mattina era un'altra storia -. Soltanto quando il ragazzo sembrava aver perso definitivamente la pazienza, non riuscendo a capire nulla di quello che la deliziosa biondina continuava a dirgli, Sam decise di andare in suo soccorso. Si mosse in avanti, fino ad arrivare di fronte ai due. Si voltò a guardare la ragazza. «Ruhig, ich werde dir helfen!» (Tranquilla, ti aiuto io!) Le sorrise, con fare tranquillo, prima di girarsi verso il fessacchiotto che ancora se ne stava lì con la sua faccia da scemo. «Ci penso io qui, vai! Tanto è evidente che se non sai una parola di tedesco, qua non c'è proprio niente per te!» gli consigliò con voce decisa, alludendo al fatto che non avrebbe avuto nessuna chance con la ragazza, né in quella vita, né in nessun'altra. Appoggiato il gomito allo scaffale più vicino, salutò la sua uscita dal gioco con un sorrisetto sarcastico sulle labbra e un leggero sventolio di mano. I suoi occhi tornarono a concentrarsi sulla ragazza. Minuta, dalla figura esile e asciutta, capelli biondi come il grano e gli occhioni grandi e azzurri, che l'aiutavano nell'impresa di costruirsi intorno quell'aura mistica tipica delle creature celestiali. Ma Sam non era poi così scemo. «So benötigt man ein Buch der krauterkundenicht wahr?» (Quindi stavi cercando un libro di Erbologia, non è così?) Domandò, inarcando il sopracciglio. Continuò a tenere il gioco bello vivo, piuttosto felice di esercitare nuovamente il suo tedesco abbastanza arrugginito, a dire il vero. Era strano come il ragazzo da un lato non si applicasse assolutamente nelle materie scolastiche, ma che dall'altro conoscesse così bene le lingue straniere. Suo padre gli aveva sempre detto che quella era l'eredità di sua madre per lui. Tutto sommato, almeno con quel dono, la donna sembrava averne fatta una giusta. «Titel?» La guardò dritto negli occhi, mordendosi appena il labbro inferiore, lì dove si trovava il piercing. Era la mossa. La sua mossa a dire il vero. Quella che, inconsciamente o consciamente, doveva fare, almeno una volta, in presenza di una ragazza. Era più forte di lui. «E ora che è abbastanza chiaro il fatto che tu sia riuscita perfettamente a mandare in panne il cervello di quel povero ragazzo» aggiunse infine, staccandosi con il peso dallo scaffale, per poi rimettersi in una posizione perfettamente dritta. «Che ne dici di tornare al semplice inglese?» Un sorriso furbo gli curvò gli angoli delle labbra, mentre la costringeva a sostenere il suo sguardo inquisitore. «Però sono rimasto davvero colpito, devo ammetterlo. Hai davvero un'ottima pronuncia. Vieni dal Nord?»
     
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    Dovevo avergli confuso le idee più di quanto mi fossi prefissata, lo potevo capire dallo sguardo vagamente smarrito, a metà fra l’imbarazzo e il dubbio più totale. Chissà come doveva suonargli una lingua completamente estranea, chissà cosa pensava gli stessi chiedendo. Se solo avessi potuto ridere in quel momento. Mi premurai di esibire un dolce ed innocente sfarfallio di ciglia, gesto che con gli anni si era rivelato uno strumento di incredibile utilità. Rientrava fra i migliaia di movimenti e gesti semplici e indiscreti che riescono magicamente a persuadere ed illudere qualcuno, soprattutto se si parla del cosiddetto sesso forte. «Tausend Zauberkräuter und –pilze» gli ripetei con insistenza «Sie haben davon gehört» (ne avrai sentito parlare) aggiunsi infine, con tono saccente. Se fossi stata nei suoi panni probabilmente avrei voltato le spalle ad una donzella in difficoltà in principio, essendo del parere che chi fa da se fa per tre, ma deve essere intrinseco nella psiche maschile aiutare le donne in apparente difficoltà, magari nella speranza di avere una chance secondo qualche assurda logica. «Idiot » sussurrai a denti stretti dal momento che la sua faccia, che iniziava a starmi antipatica, non cambiava espressione, non veniva folgorata da un lampo di assoluta genialità e risolutezza.
    Se fossi stata davvero in difficoltà la voce che mi arrivò improvvisamente alle spalle mi avrebbe sollevato, invece senza volerlo mi infastidì. «Ruhig, ich werde dir helfen!» gli sentii dire, in un tedesco impeccabile, non maccheronico e stentato come tre quarti degli inglesi che provavano a parlarlo. La figura che mi si parò davanti aveva un non so che di insolito. Liquidò il ragazzo che malgrado tutto aveva cercato, senza ovviamente riuscirci, di aiutarmi, ma dal momento che il mio vero intento era stato quello di passare una mezz’oretta a fare qualcosa di assolutamente inutile e divertente, il giovane grifondoro aveva adempito perfettamente al suo dovere. Lo salutai con la mano mentre se ne andava e al suo posto subentrava lo sconosciuto conoscitore di lingue straniere. «So benötigt man ein Buch der krauterkundenicht wahr? » domandò il ragazzo. Mi soffermai per un momento ad osservarlo: aveva la faccia sveglia e furba di chi sa il fatto suo, non doveva essere affatto ebete e rincoglionito come quello che da lontano continuava ad osservarci, nascosto – in maniera tutt’altro che magistrale dietro un enorme tomo di pozioni.Annuii senza distogliere lo sguardo, mantenere il contatto visivo è sempre importante, nel mondo animale quanto in quello umano. Con quegli occhi verdi che si ritrovava e quell’espressione furba sul viso doveva aver fatto più di un ferito nella dura guerra che è l’amore adolescenziale, con i suoi infiniti modi di farti sentire inappropriato. Io non ci ero ancora passata, anzi rispetto alle mie amiche, tutte notevolmente precoci in quel di Ilvermorny, mi ero tenuta notevolmente a distanza da ogni tipo di sentimentalismo, anzi nei ragazzi avevo trovato più volte il confronto amichevole che con molte mie coetanee non ero riuscita ad avere. Per non parlare dell’amicizia: in quanto donna so che non tutto ciò che sembra un cliché circa il mondo femminile lo è, come ad esempio l’incredibile cattiveria del gentil sesso nei confronti delle altre donne, quella malignità subdola a cui spesso gli uomini, probabilmente per merito del loro cervello sottosviluppato, non sono in grado di pensare. «Titel?» mi chiese di nuovo, distogliendomi dai miei pensieri. . «In realtà non mi serve nessun libro» ammisi spostandomi due ciocche di lunghi capelli biondi dal viso. Lo vidi mordersi il labbro, forse era uno di quei gesti che si fanno inconsciamente, o come me anche lui sfoderava le sue armi di seduzione persuasione, o presunte tali. Mi lasciai scappare una risatina, e non una di quelle civettuole, non mi prese in quel senso il fatto che si fosse morso il labbro, anzi la cosa mi fece ridere proprio, in un senso del tutto positivo però. Scossi la testa, come per dire ti prego non farlo.
    «E ora che è abbastanza chiaro il fatto che tu sia riuscita perfettamente a mandare in panne il cervello di quel povero ragazzo» riprese a parlare «Che ne dici di tornare al semplice inglese?» sorridendomi sornione, una volta stabilito che aveva capito il mio piano.
    «Certo » dissi, voltandomi appena dove il grifondoro ci stava ancora osservando. Lo vidi sbarrare gli occhi, ancora una volta con quella sua faccia sveglia, chiuse il libro e andò via sbuffando.
    «Però sono rimasto davvero colpito, devo ammetterlo. Hai davvero un'ottima pronuncia. Vieni dal Nord?» domandò il ragazzo. Osservandolo avevo notato il colore della sua cravatta: verde e argento, un serpe verde. Inclinai leggermente il capo di lato, come un gattino incuriosito. «Dipende da cosa intendi per nord » gli risposi, sperando che qualsiasi possibile accento non mi tradisse. Essere nata e cresciuta a Londra mi aveva dato un accento tipicamente londinese, ma avevo iniziato a frequentare Ilvermorny a undici anni, quando la cadenza non si era ancora radicata nella mia pronuncia. A casa mi dicevano spesso che l’americano aveva contaminato il mio inglese britannico, in america continuavano a dirmi che parlavo proprio come un’inglesina. «Ti lascio indovinare » gli proposi, per non svelare subito le mie carte. «Anche tu parli un tedesco davvero discreto » mi complimentai accompagnando le mie parole con un leggero cenno del capo, una sorta di riverenza figurale « quindi piuttosto, come mai lo parli così bene? Non mi sembra che qui ad Hogwarts ci siano ragazzi molto portati, come l’intelligentone di prima.» conclusi senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi indagatori.
    Non avrei fatto trapelare troppe informazioni, mantenere un’aura di mistero mi aiutava a sentirmi più libera.

    Edited by conundrüm - 4/9/2017, 22:57
     
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    «In realtà non mi serve nessun libro» Le sopracciglia di Sam sciabolarono verso l'alto, mostrando il divertimento che provava il ragazzo nell'apprendere il fatto che sapesse parlare inglese. Anche fin troppo fluentemente. «Ma dai? Chi l'avrebbe mai detto che avrei capito subito il tuo gioco, così, soltanto osservandoti muovere o parlare?» Le labbra si distesero in una linea calda, complimentandosi, implicitamente, con se stesso e le proprie abilità. Suo padre sarebbe dovuto esserne fiero. Altro che competenze scolastiche e cultura. Erano doti logiche e investigative come quelle che faceva sopravvivere una persona nella giungla che era la vita quotidiana. Seguì lo sguardo della biondina, fino ad andare a captare la figura del Grifondoro troppo scemo per saper stare al mondo. Inclinò la testa, invitandolo con lo sguardo ad andarsene prima di continuare quella vergognosissima figura di merda, per poi voltarsi nuovamente verso la ragazza. «E sentiamo, cos'è che ti avrebbe fatto quel poveretto tanto da meritarsi un trattamento così crudele?» Lasciò che il proprio tono di voce ricalcasse appena la parola finale, per poi andarsi a sedere sopra un tavolo poco lontano. «Dato che non ti ho notata prima d'ora, devi essere davvero nuova. Perciò sei scusata per non sapere le regole basi di questa scuola.» Le spiegò, appoggiando i propri piedi sulla prima seggiola che gli capitò a tiro. Evitò di aggiungere che si sarebbe accorto di lei, non fosse stata effettivamente una matricola. Perché non era una ragazza che passava inosservata con la cascata di capelli biondi che le ricadevano sulle spalle e gli occhi troppi azzurri per sembrare veri. «I Grifondoro sono i compagnoni, quelli con cui vai sul sicuro se hai bisogno di alcol, sostanze poco raccomandabili in generale e qualcuno che ti faccia da spalla ad un party. Solitamente le migliori feste sono targate Rosso e Oro, ma questa è una notizia che lascio trapelare in maniera ufficiosa. Non lo ammetterei mai davanti ad uno di loro.» Ridacchiò, pensando alla faccia che avrebbe fatto Dean se solo, per una volta, avesse lodato le sue doti organizzative in fatto di sfascio totale. «I Tassorosso, beh, non c'è molto da dire su di loro. Leali fino allo strenuo, sono con ogni probabilità i migliori dispensatori di consigli. Hanno ottime spalle sulle quali piangere e sono quelli a cui affiderei una sorella, se ne avessi una. Non ci proverebbero mai, troppo ingenui e timidi per farsi avanti. Perciò te li sconsiglio, casomai ne adocchiassi qualcuno che potresse rientrare nei tuoi gusti personali. Ne dubito, ma considerati avvertita.» Congiunse le mani di fronte a sé, prima di proseguire in quel suo racconto assolutamente personale e completamente travisato della realtà che era Hogwarts. «Poi passiamo a noi, i Serpeverde. Non per tessere troppo le nostri doti, ma è nei Sotterranei che troverai la crème de la crème. Astuti, sempre pronti a far baldoria, amici sinceri, non di quelli che ti dicono che sei sempre stupenda anche quando hai del prezzemolo tra i denti. Senza peli sulla lingua, festaioli provetti e beh, credo che lascerò a te il piacere di scoprire altro sulla nostra nobile casata.» Con un sorriso sghembo, lasciò che quell'ultima frase aleggiasse tra di loro, prima di continuare per l'ultima attesa parte. «Ed eccoci arrivati ai Corvonero. Secchioni per eccellenza, con il naso sempre tra i libri, perfetti compagni dai quali copiare durante un compito. Solitamente dal temperamento mite, pacato e per niente sopra le righe, che sicuramente non troverebbero divertente tormentare un povero ragazzo caduto ai propri piedi.» Inarcò un sopracciglio. «Sicura di non essere stata smistata nella casata sbagliata?» Le domandò accennando una risata che le gracchiò la gola nel tentativo di uscire. Si ricompose all'istante, incuriosito dalla sfida che sembrò lanciargli pochi istanti più tardi. La osservò, senza dire una parola, scendendo verso il basso per farsi un'idea di chi aveva di fronte. Non sentendosi assolutamente in colpa nell'essere così spudorato. In fondo era stata lei a lanciargli il guanto di sfida. Aveva la pelle decisamente troppo chiara per essere della parte meridionale dell'Europa. Poteva benissimo essere tedesca, tutto in lei richiamava quei tratti algidi e austeri. Eppure gli aveva appena dato la conferma di non provenire da quelle terre. Aveva un accento inglese eccellente, d'altro canto. Difficile davvero difficile. «Prima di provare a buttarmi, voglio sapere cosa c'è in palio però.» Sorrise, immaginando già alcune cose da fare con la bionda che lui avrebbe voluto mettere in lista come probabili premi in caso di vittoria. «Non vieni da Durmstrang perché è da lì che vengo io e no, non ti ho mai vista nemmeno là. Credo tu sia inglese, eppure ti sei trasferita qui da poco, perciò proverò con Beauxbatons.» Non era esattamente convinto di quella risposta, eppure si disse abbastanza contento dei collegamenti deduttivi che era riuscito a fare persino a quell'ora di mattina. Dopo una serata distruttiva come lo era stata quella precedente, in cui era certo di aver perso sicuramente qualche altro neurone sano. «Non ci sono molte persone che parlano tedesco qui, come avrai senz'altro capito. E' stato un esercizio forzato, frequentando Durmstrang. O imparavo quello oppure sarei morto di fame dopo nemmeno due giorni.»
     
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    Il cambio i testimone mi aveva messo davanti un individuo ben più perspicace e pungente dell’ingenuo Grifondoro al quale ero riuscita facilmente a confondere le idee. Sorrisi, contenta di non dover più lottare contro l’impulso di dover spiegare alla vittima dei miei giochetti che no, non ero una damigella in pericolo. Il serpeverde che adesso teneva occupato il mio sguardo, con i suoi lineamenti affilati e l’aspetto da ragazzaccio, mi scrutava, come un giudice guarda il suo imputato. «E sentiamo, cos'è che ti avrebbe fatto quel poveretto tanto da meritarsi un trattamento così crudele?» domandò, pungente.
    Mi strinsi nelle spalle, lasciando che la mia espressione facesse trapelare le mie intenzioni: niente, ma era divertente.
    Seguii il ragazzo con lo sguardo mentre si metteva comodo su uno dei tavoli della biblioteca, poggiando con grande nonchalance i piedi su una delle vecchie e scricchiolanti sedie lasciata lì vicino vuota. «Dato che non ti ho notata prima d'ora, devi essere davvero nuova. Perciò sei scusata per non sapere le regole basi di questa scuola.» riprese a parlarmi, come se stesse per raccontarmi un racconto di vitale importanza.
    Appoggiai la schiena leggermente ad una delle pareti ricoperte di libri, incrociando le braccia, orecchie tese, pronta ad ascoltare. «I Grifondoro… » iniziò lui, elencandomi, con non pochi cliché che avevo mio malgrado già conosciuto dai racconti di mio fratello.
    Ai Grifondoro, dispensatori per lo più di sostanze poco raccomandabili e divertimento da scatafascio, seguirono i Tassorosso, dalla cui descrizione sembravano un branco di rammolliti. Sorrisi, divertita, mostrando una delle mie migliori espressioni di stupore. Gli feci cenno di proseguire.
    «Poi passiamo a noi, i Serpeverde. » la sua voce vibrò di cristallino orgoglio. «Non per tessere troppo le nostri doti…» e invece sì, pensai « ma è nei Sotterranei che troverai la crème de la crème. Astuti, sempre pronti a far baldoria, amici sinceri, non di quelli che ti dicono che sei sempre stupenda anche quando hai del prezzemolo tra i denti. Senza peli sulla lingua, festaioli provetti e beh, credo che lascerò a te il piacere di scoprire altro sulla nostra nobile casata.» mi disse, con una malcelata malizia.
    «E poi? » domandai, curiosa di sapere la sua assolutamente personale opinione sulla casata che mi aveva accolto a braccia aperte. «Ed eccoci arrivati ai Corvonero. Secchioni per eccellenza, con il naso sempre tra i libri, perfetti compagni dai quali copiare durante un compito. Solitamente dal temperamento mite, pacato e per niente sopra le righe, che sicuramente non troverebbero divertente tormentare un povero ragazzo caduto ai propri piedi.»
    Inarcai il sopracciglio, sul viso un’espressione quasi shockata, come quella di chi viene accusato di qualcosa di assolutamente deplorevole. Mi portai una mano al petto, recitando la mia parte da ragazzina ferita nell’orgoglio. «Sicura di non essere stata smistata nella casata sbagliata?» mi chiese, quasi ridendo.
    Lo osservai, tutto di lui comunicava una sicurezza disarmante, anche le sue parole, taglienti, sarcastiche in maniera perspicace, davano l’impressione che quel ragazzo sapesse tutto, o che credesse di saperlo.
    « Forse il cappello ha commesso un errore » ammisi, ostentando innocenza « O magari non tutti i corvonero sono dei secchioni senza speranza » gli feci notare, non potendo nascondere un certo orgoglio.
    In realtà, senza nemmeno volerlo di proposito, immaginai, aveva sollevato una questione che mi ero posta da quando quel vecchio e logoro cappello mi aveva smistata fra le fila corvonero. Dal primo giorno di quell’anno mi ero sentita quanto mai parte di quell’organismo, ma mi era sorto il dubbio. Anche ad Ilvermorny eravamo stati sottoposti ad uno smistamento, lì ero capitata nella casata degli Horned serpent, anche quella la casata della mente, ma la netta distinzione che mi era stata ora posta davanti agli occhi mi aveva fatto realizzare che in America i ruoli non erano così rigidamente decisi.
    Forse aveva semplicemente ragione, potevo essere una serpeverde mancata.
    D’altronde quando prima di accettare la mia stupida sfida mi domandò cosa ci avrebbe guadagnato se l’avesse vinta, mi resi conto che probabilmente la sua era una domanda così lecita che anche io l’avrei posta.
    «Oh beh… » dissi, dondolandomi sui talloni mentre mi avvicinavo « per adesso soddisferesti la tua sete di curiosità » Con fare civettuolo arrotolai una ciocca di capelli attorno all’indice. « Se poi dovessi indovinare, anche se non nutro grosse speranze » e lasciai che la mia espressione mal celasse un certo disappunto « il piacere della mia conoscenza dovrebbe essere un premio sufficientemente soddisfacente ». Gli sorrisi, pungente, nascondendomi dietro un velo di finta superbia.
    «Non vieni da Durmstrang » sentenziò in primo luogo. Risposi con un cenno di assenso del capo. «Perché è da lì che vengo io e no, non ti ho mai vista nemmeno là. Credo tu sia inglese, eppure ti sei trasferita qui da poco, perciò proverò con Beauxbatons.»
    Le sue parole sembravano convinte, ma una sottile sfumatura lasciava intravedere la sua incertezza. « Giusto e sbagliato » gli dissi, baldanzosa.
    « Sono inglese, ma non vengo da Beauxbatons » ammisi, con gli occhi al cielo. « E io che speravo nella possibilità di approfondire questa conoscenza » sospirai, falsamente amareggiata, parlando più a me stessa che a lui.
    « Sono appena arrivata da Ilvermorny » confessai, giocherellando con la cravatta che mi teneva stretto il collo. « Stati Uniti » ci tenni a precisare, nel caso, poco probabile, non dovesse saperlo.
    Mi spiegò che parlava tedesco così bene per questioni di sopravvivenzaa L’idea mi fece ridere, perché seppure in maniera considerevolmente diversa era stato lo stesso per me.
    Il tedesco era stata la lingua segreta che io e mio fratello utilizzavamo per estraniarci dal mondo di personaggi ingessati e morti dentro che eravamo malgrado tutto costretti a frequentare.
    « Eredità di famiglia» ammisi riguardo alla mia padronanza della lingua « ma diciamo che anche io l’ho usata per sopravvivere»
    Non gli serviva sapere di più, anche perché l’idea suonava stupida se detta ad alta voce.
    « Fawn » gli dissi, porgendogli con fare militaresco la mano per presentarmi, nella speranza che non facesse qualche stupida battuta sul nome tutt’altro che convenzionale. « Fawn Vanderbilt ». Probabilmente il cognome gli sarebbe sembrato noto, se fan del Quidditch, non tanto per la fama della famiglia, ma per quella di Sebastian, al contrario, Vanderbilt poteva essere un cognome assolutamente anonimo.
    Per fortuna.

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    « O magari non tutti i corvonero sono dei secchioni senza speranza » La guarda scandalizzarsi delle sue parole. Una scenetta ben recitata, con tanto di mano sul cuore e le labbra dischiuse in una smorfia scioccata. Si lascia sfuggire una risata nel constatare quanto quella biondina, all'apparenza calma e assolutamente tranquilla, abbia più cose in comune con lui di quanto poteva mai immaginare. La prova teatrale a cui ha appena assistito ne è la chiara e inconfutabile prova. «Magari è così» le fa eco, annuendo con la testa, di fronte a quella semplice constatazione. Non ha mai incontrato un Corvonero non secchione, eppure è pronto a scommettere su quella ragazza. Non ha l'aria classica e vagamente noiosa che hanno i topi di biblioteca. Ha una sfumatura in più, quella stessa sfumatura che ritrova nelle proprie movenze, nei propri gesti e gli piace. E' arguta, dalla battuta pronta, dalla risposta sempre sulla punta della lingua. Sicuramente è una Corvonero, poco ma sicuro, eppure nell'ascoltarla parlare, Sam riesce a vedere angolazioni differenti in lei. Alcune verde argento, altre rosso oro. Di quelle Tassorosso nemmeno l'ombra, se non per l'innocenza che tenta di ostentare, ma che il ragazzo avverte subito come una studiata caricatura di se stessa. Una maschera dietro la quale l'acqua cheta si nasconde, in attesa di uscire con la sua vera natura. « Se poi dovessi indovinare, anche se non nutro grosse speranze, il piacere della mia conoscenza dovrebbe essere un premio sufficientemente soddisfacente. » Le sopracciglia di Sam si inarcano inaspettatamente nel sentire quelle parole. La sua faccia sembra tessere le lodi di quella velata superbia di cui le sue parole si sono imbevute. Però, niente male bambolina pensa, ammirato, mentre punta il gomito sul ginocchio e appoggia il mento sul palmo ricurvo della mano. «Se credi che la tua conoscenza valga tanto, chi sono io per farmi scappare questo prezioso dono?» Risponde, lanciandole un'occhiata allusiva, mentre gli si fa vicina con fare deciso, sicuro di sé. La osserva, studiandone ogni angolazione, come un attento rapace fa con la preda designata. Non sa bene come inquadrarla, né dove collocarla nella sua organizzazione mentale, ma gli piace ciò che vede. E gli piace ciò che sente, stranamente. Solitamente le due cose non coincidono mai, anche perché beh, solitamente non fa troppe chiacchiere con una ragazza perché è uno stronzo sessista che pensa alle donne solo in un modo e bla bla bla. « Sono inglese, ma non vengo da Beauxbatons. E io che speravo nella possibilità di approfondire questa conoscenza » Chiude il pugno, Sam, lasciandolo oscillare di fronte a sé in segno di rassegnazione di fronte al fatto di aver perso. Corruga le labbra in una smorfia, prima di rilasciarle in un sorriso a trentadue denti. «Scheiße» sbotta. Avrebbe scommesso seriamente sulla sua quasi assoluta provenienza da Beauxbatons. Ce la vedeva bene con la loro tipica divisa azzurra. Le percorre il corpo con un'occhiata veloce, constatando che sì, quel vestiario si sposerebbe divinamente con il suo corpo. « Sono appena arrivata da Ilvermorny » Annuisce, leggermente eccitato di fronte a quella scoperta. Non c'erano molti studenti ad Hogwarts provenienti dalla scuola americana e a Durmstrang ne aveva conosciuto effettivamente soltanto uno. Perciò sapeva poco e nulla. Ma conosce la storia delle case, degli animali che si illuminano e tutto il resto. «Quali tra i quattro animali ti hanno voluta? E soprattutto, te quale hai scelto?» Chiese senza farsi troppi problemi. Sentiva di aver valicato il punto oltre il quale l'essere perfetti sconosciuti diventa abbastanza conoscenti. « Fawn » Osserva la sua mano distesa nella sua direzione, prima di far scivolare le proprie iridi chiari in quelle di lei. «E' così che non approfondisci le conoscenze? Presentandoti? Però..» Ridacchia, allungando la propria mano, stringendola dolcemente intorno alla sua. Una stretta delicata su quella pelle delicata, un primo contatto innocente che lo fa sentire stranamente in pace. Non c'è nulla di affrettato, nessuna aspettativa. Solo una semplice conoscenza, una stretta di mano, un qualcosa che non gli capita da tanto di provare. E ancora una volta questo gli piace. Stranamente. Sta per presentarsi a sua volta, quando lo interrompe con un'informazione in più. « Fawn Vanderbilt ». Rimane basito per qualche secondo, bloccando le dita intorno a quelle di lei. «Vanderbilt? Vanderbilt come Sebastian Vanderbilt? Sebastian Vanderbilt il cacciatore dei Falmouth Falcons?» Le chiede, leggermente esterrefatto. La guarda nuovamente, cercando di trovare dei tratti in comune, ma a parte gli occhi, non trova somiglianze. «Però, è davvero un regalo prezioso fare la tua conoscenza. Con questo mi vuoi dire che ti vedrò presto nella squadra di Corvonero? Sarebbe vincere e vederti giù di morale in campo.» Incurva le labbra verso il basso, cercando di sembrare il più dispiaciuto possibile. Poi si accorge di star ancora stringendo la sua mano e la libera immediatamente, lasciando ricadere la propria sul tavolo. «Io sono Samuel Scamander» comincia, ma si corregge all'istante «Sam per gli amici.»
     
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    «Se credi che la tua conoscenza valga tanto, chi sono io per farmi scappare questo prezioso dono?» Nella sua risposta notai quella punta di sarcasmo che segnava ogni espressione del suo volto. Non ne hai nemmeno idea, pensai. Avevo sempre dato una grande importanza al mio tempo, e conoscere nuove persone significata toglierlo ad ogni altra attività formativa. Considerando poi l'alta stima che nutrivo per me stessa, anche con una certa vanità, sì, davo molto valore a tutto ciò che mi riguardava. Come un dono prezioso.
    «Scheiße» gli sentii dire, mentre con il pugno chiuso accompagnava l'espressione sconfitta. Merda. Arricciai appena il naso in un'espressione a metà fra il divertito e il dispiaciuto. Il viso di chi dice "la prossima volta sarai più fortunato".
    «Quali tra i quattro animali ti hanno voluta? E soprattutto, te quale hai scelto?» domandò impudente, consapevole che gli avrei risposto. Curioso, ficcanaso, pensai, ma con una certa simpatia ed interesse per il suo atteggiamento. Era raro che parlassi di me ad un quasi totale sconosciuto. Quasi perché sperai non lo sarebbe stato a lungo. Ma quel ragazzo, quel serpeverde dal sorriso graffiante mi intrigava, terribilmente. Suvvia, il connubio fra quel viso e la sua spigliatezza lo avrebbero reso interessante a chiunque, anche alla peggiore delle asociali. «E soprattutto, te quale hai scelto?»
    Il mio pensiero corse subito ad Ilvermorny, dove una parte del mio cuore giaceva, a riposo. Un po' mi mancava, quell'atmosfera quasi fatata che ad Hogwarts non riuscivo a percepire. Certo, Hogwarts era magica, antica, ricca di storia e di storie, drammatiche, romantiche, pericolose, ma io mi ero abituata alla casa vecchia America. Alle sue divise dai colori più vivaci, in contrasto con lo smortissimo grigio topo che ci avevano rifilato ad Hogwarts. Anche il luccichio del nodo gordiano che impreziosiva d'oro la divisa. Sospirai, spingendo i ricordi da parte. «Mi volevano tutti » scherzai, parlando con una punta di rammarico, mentre la sciavo incurante che il suo sguardo indagatore mi esaminasse ancora una volta «ma io ho scelto il serpencorno» rivelai, come si rivela un oscuro segreto, con un pizzico di orgoglio, di senso di appartenenza ancora forte, rocordandone lo stendardo.
    «Ho come l'impressione che i cliché sulle casate ad Ilvermorny siano piuttosto diversi da qui » gli dissi, mentre osservava la mia mano distesa verso di lui pronta ad essere stretta.
    «E' così che non approfondisci le conoscenze? Presentandoti? Però..» scherzò lui, ridacchiando e delicatamente serrò la sua mano attorno alla mia. Alzai le spalle come per dire "ormai il danno è fatto".
    Sembrò quasi avesse strabuzzato gli occhi quando il mio cognome era risuonato nell'aria viziata della biblioteca. Perché l'ho detto? Che bisogno c'era? mi domandai. Vanderbilt? Vanderbilt come Sebastian Vanderbilt? Sebastian Vanderbilt il cacciatore dei Falmouth Falcons?» Lo sguardo esterrefatto tornò a guardarmi, come se cercasse qualcosa di preciso, un segno di riconoscimento. Lo capivo, sapevo che stava indagando alla ricerca di un mera somiglianza tra me e il mio famosissimo fratello maggiore. Mi dispiace, mio caro . Io e Sebastian siamo sempre stati agli antipodi, in fatto di aspetto fisico. Lui dai capelli scuri come la pece, i miei argentei e setosi. Lui grande e grosso, io piccola ed esile. Un tronco e un rametto. «Ehssì » gli dissi, gonfiando scherzosamente il petto, orgogliosa dei successi di mio fratello.
    «Però, è davvero un regalo prezioso fare la tua conoscenza. Con questo mi vuoi dire che ti vedrò presto nella squadra di Corvonero? Sarebbe vincere e vederti giù di morale in campo.» mi apostrofò, sforzandosi di fingersi dispiaciuto. Quasi scoppiai a ridere a quell'affermazione. Continuava a sbagliare. «E di grazia, saresti tu a farmi perdere? » domandai, provocatoria, con un sorriso saccente sul visto mentre le nostre mani si tenevano ancora strette in quel saluto. «Io sono Samuel Scamander» si presentò, lasciando la presa. Scamander era un cognome ben più noto del mio nel mondo magico, mi sentii sollevata. «Sam, per gli amici» ci tenne a precisare, quasi per correggersi.
    «Quindi io dovrei chiamarti...? » domandai, falsamente innocente. «E devo darti una brutta, bruttissima notizia, ma guarderò le partite dagli spalti » ammisi, mentre le labbra si increspavano in una smorfia di imbarazzo, o quanto di più simile «non tutti i Vanderbilt sono portati per il Quidditch » sospirai affiancandolo e poggiandomi al tavolo sul quale stava seduto. «In famiglia io sono quella bella e intelligente » ripresi, tessendo ancora una volta le mie lodi, in maniera assolutamente falsa, mentre accompagnavo ogni parola con il tacito assenso del capo e un sempre efficace sfarfallio di ciglia. Speravo percepisse il tono scherzoso, mi sembrava piuttosto perspicace, nonostante tutto. «Ma posso sempre imparare a giocare, no? »

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    « Mi volevano tutti ma io ho scelto il serpencorno » Annuisce, come se sapesse davvero di cosa stia parlando. Conosce le quattro casate della scuola di magia americana solo per sentito dire. Non conosce effettivamente gli stereotipi che circolano oltreoceano, ma la ragazza sembra essere decisa sul fatto che sono totalmente diversi da quelli di Hpgwarts. «Serpencorno. Non so perché, ma mi ricorda vagamente qualcosa..» comincia, grattandosi il mento con l'indice, come a palesare il suo interrogativo interiore. «Che tratti psicologici deve avere uno studente che sceglie di seguire la gemma del Serpecorno? » Le chiede sinceramente interessato. Non si direbbe di una personalità come quella di Samuel Scamander, ma è votata alla curiosità, in qualsiasi campo. Non è un incallito secchione e un buon studente semplicemente per il fatto che deve aprire un libro, ficcarci il naso dentro e mettersi a studiare. Però è un cercatore. Quando trova davanti a sé una storia interessante, dai risvolti inaspettati, prepara le orecchie e si mette in ascolto, sperando di poter carpire quante più curiosità possibili dal suo interlocutore. Samuel Scamander si ciba di storie, si nutre di racconti di vita, vive grazie alle perle di ricordi che gli vengono consegnate, come soltanto un cercatore di bellezza sa fare. E così è stato in Sud Africa, nell'America Latina, a Beauxbatons senza mai esserci stato veramente. E in quel momento spera di poter visitare Ilvermorny attraverso quegli occhi dalla tonalità di azzurro più chiaro che abbia mai visto. Il tono della conversazione, comunque, vira nel giro di pochi secondi. « E di grazia, saresti tu a farmi perdere? » Annuisce convinto, Sam, mentre la guarda fisso. «Devi essere per forza nuova se dici una cosa del genere, tingendola di queste sfumature di sarcasmo!» Se c'è una cosa che gli riesce perfettamente lì a scuola, infatti, è giocare a Quidditch. Ha posato il suo sedere sul primo manico di scopa quando aveva poco più di dieci anni e giocava già dai tempi di Durmstrang - e lì gli allenamenti, le partite e tutto ciò che girava intorno a quel sacro sport erano decisamente più ferrei e intrisi di disciplina -. Quindi sì, Sam è decisamente portato per quello sport e proprio per questo motivo è diventato anche da poco capitano della squadra di Serpeverde. E lui se ne vanta, con estremo orgoglio. « Quindi io dovrei chiamarti...? » Scuote la testa, dal canto suo, di fronte a quel palese tentativo di far trapelare qualche stilla d'ingenuità di troppo. «Dopo la tua recente e tagliante insinuazione, non sono certo che possiamo considerarci amici, seppur ti abbia salvato da noia certa, questo pomeriggio!» Le scocca un'occhiata allusiva, prima di ascoltarla. Una Vanderbilt non dedita al Quidditch. Cosa assai strana, vista la fama di suo fratello. Si perde qualche secondo dietro lo sfarfallio delle sue ciglia, sapendo di star facendo il suo gioco. Ma si incanta, consapevolmente di ciò che sta facendo. «Non vi sono certo dubbi sulla bellezza.» Si unisce alla lode, senza vergogna alcuna. Continua a guardarla negli occhi, senza provare ad abbassare lo sguardo, minimamente. «Sull'intelligenza non sono ancora pronto a mettere la mano sul fuoco, viste le recenti scoperte in fatto di stereotipi e casate, qui ad Hogwarts.» Un angolo della bocca sale verso l'alto, mentre acciuffa una ciocca di capelli che gli ricade sulla fronte. La porta all'indietro, mentre il suo sguardo prende a vagare per la biblioteca. E' certo che se la bibliotecaria lo vedesse seduto sul tavolo, con i piedi appoggiati sopra la seggiola, gliene direbbe quattro, e forse lo manderebbe pure a prendersi una ramanzina dal preside. Il classico sermone su quanto la scuola debba essere presa sul serio, su quanto sia sacra la biblioteca etc etc. « Ma posso sempre imparare a giocare, no? » Quella domanda sembra ridestarlo, facendolo tornare alla realtà. L'osserva e per qualche ragione se la figura a cavallo di un manico di scopa. Ha il corpo esile, potrebbe benissimo essere una cacciatrice modello e perché no, persino una cercatrice. L'essere minuti, in quel ruolo, è sicuramente d'aiuto. «Non hai mai provato con tuo fratello?» Chiede incuriosito. Se Sebastian Vanderbilt fosse stato il suo di fratello, l'avrebbe stressato ogni minuto affinché gli insegnasse le tecniche e i trucchi essenziali del mestiere. Si porta una mano a grattarsi la nuca, prima di proporle l'inverosimile. «Di solito ho abbastanza la faccia da schiaffi da calarmi alla perfezione in ogni situazione. Però in questo caso non posso paragonarmi affatto a tuo fratello..» Hanno lo stesso ruolo in squadra, ma viaggiano ovviamente su due livelli completamente differenti. «Perciò se ti accontenti di un umile battitore, possiamo provare a vedere come te la cavi sulla scopa. Giù al campo..» i loro occhi si incontrano e le sorride, incoraggiante. «Magari un giorno di questa settimana?»
     
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    «Serpencorno. Non so perché, ma mi ricorda vagamente qualcosa..» Ed eccolo lì. Realizzai quanto il nome della mia ex casata potesse trarre in inganno. Sorrisi, allusiva. «Che tratti psicologici deve avere uno studente che sceglie di seguire la gemma del Serpecorno? » mi domandò con un certo interesse il serpeverde. Le casate ad Ilvermorny erano quattro come ad Hogwarts, ma avevo avvertito una sostanziale differenza nella maniera in cui gli studenti stessi percepissero in maniera diametralmente diversa le caratteristica di ogni casa. Serpercorno non era la casata degli intelligenti, non necessariamente. «Serpecorno, diversamente da come potresti pensare » gli dissi, con un pizzico di saccenza nella tono della voce « non è il corrispettivo di Serpeverde. » Bacchettai con l’indice la cravatta verde argento che teneva allacciata in maniera grossolana attorno al collo. «E’ la casata della… » ci pensai su un minuto, nel goffo tentativo di creare un po’ di suspance « mente. » Questa volta picchiettai con l’indice la tempia destra. « Un po’ il corrispettivo di corvonero immagino, ma le casate rappresentano ognuna una parte dell’uomo » cercai di spiegare, con un po’ di difficoltà. . «Sai… mente, corpo, anima, cuore. »Questa visione delle casate l’avevo sempre molto apprezzata. Non ti definiva etichettandoti come il secchione o i buffone del gruppo. Ti lasciava maggiore libertà di capire realmente la tua natura, con me almeno era successo. Serpecorno era il corrispettivo di corvonero, era probabile, ma era anche probabile che a serpe corno ci sarebbero finiti metà dei serpeverde.
    «Dopo la tua recente e tagliante insinuazione, non sono certo che possiamo considerarci amici, seppur ti abbia salvato da noia certa, questo pomeriggio!»
    Mi scoccò un’occhiata pungente, quasi a mostrarsi offeso. «Beh tu hai dato per scontato che io perdessi » gli dissi facendo mia la sua espressione offesa «però è vero, sei il mio salvatore »
    Assecondò le mie poche modeste lodi sul mio aspetto, così per fare la stupida mi scostai una ciocca di lunghi capelli dorati dalla spalla, come per dire Lo so, lo so. Sull’intelligenza, mi disse, non sapeva ancora darmi un’opinione. Arricciai il naso in una smorfia, alzai le spalle e sospirai.

    «Non hai mai provato con tuo fratello?» mi domandò. Ci avevo provato, eccome se ci avevo provato. Non era stato nemmeno male, all’inizio, poi però mi ero fatta prendere dall’ansia e più Sebastian mi diceva di calmarmi, più mi impanicavo. Non avevo nemmeno mai capito perché, certo la paura dell’altezza poteva essere un motivo, ma in realtà avevo sempre visto il Quidditch qualcosa di assolutamente ed unicamente di Sebastian. Mi piaceva guardare le sue partite, fare il tifo per lui. Mi piaceva supportarlo, essere la sua piccola fan sfegatata. Era qualcosa in cui non mi andava di impegnarmi. «Si, ci ho provato, ma diciamo che la presenza di mio fratello mi ha dato un effetto… » mi morsi il labbro, pensierosa «un po’ nervino. » Quasi risi, ricordandomi l’imbarazzante prova a cui Sebastian mi aveva sottoposto una volta. Sulla scopa sembrava che tutta la mia coordinazione, quella che anni ed anni di danza classica avevano sviluppato, fossero scomparsi. . «Di solito ho abbastanza la faccia da schiaffi da calarmi alla perfezione in ogni situazione. Però in questo caso non posso paragonarmi affatto a tuo fratello..» Sentirlo parlare così di mio fratello accese in me un moto di orgoglio. «Perciò se ti accontenti di un umile battitore, possiamo provare a vedere come te la cavi sulla scopa. Giù al campo..» disse, sorridendomi per infondermi coraggio. Magari un giorno di questa settimana?» Mi piaceva la sua decisione, non si era tirato indietro alla mia implicita proposta, piuttosto l’aveva raccolta e si era messo in gioco. Annuii, ricambiando il sorriso divertito. «Ci sto! » fu la mia risposta, poi mi alzai dapprima dandogli le spalle, poi voltandomi verso di lui. «Allora Sam » parlai, scandendo bene il suo nome, il nome da amico «Martedì pomeriggio » mi avvicinai al banchetto e strappai un pezzettino di pergamena, presi in prestito una piuma d’oca incustodita e scrissi sul pezzetto di carta malconcia luogo e data. «E non dimenticarti la scopa » dissi quasi gridando, riuscendo a catturare con il mio sguardo ancora una volta i suoi profondi occhi verdi.


    Edited by conundrüm - 4/9/2017, 22:58
     
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