manips.

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    La lezione procede normalmente. I ragazzi intenti ai fatti propri, Alaric stravaccato come un bradipo morto su di una sedia rotta al di là della cattedra. Non è mica colpa sua se Astronomia è una materia notturna, ed essendo che lui di notte dorme, deve per forza farla di mattina. E se ve lo state chiedendo no, non è ancora arrivato a trovare un punto di incontro. Appoggia le gambe sulla cattedra, sistemando meglio con le spalle sullo schienale. Le braccia dietro la nuca, con le dita incrociate tra di loro. E' tranquillo, o almeno così sembra. Le lezioni lo rilassano; il traffico creato dai suoi studenti riesce a sovrastare il caos interno alla sua mene. Almeno fin quando gli altri non decidano di averne abbastanza di tutto quel rumore.
    Si alza di scatto dalla sedia, balzando al suolo con la stessa delicatezza di un elefante in un negozio di cristalli. Per poco non cade per terra, e ciò lo fa ridere. Si sistema il colletto alzato della giacca blu notte che indossa (la solita del giorno prima, e quello prima ancora) e si dirige saltellando verso il branco di studenti. E' rimasto soltanto un quartetto di ragazzi, intenti a sghignazzare tra di loro. Si siede su di un banco, schiacciando la mano di uno di loro col proprio peso.
    « Ah, il buon vecchio gioco della mano sulla sedia. Non passa mai di moda! » esordisce con tono teatrale, osservando il povero malcapitato che, in quel momento, è diventato dello stesso colorito del sedere di una scimmia, per niente aiutato dalle risate inquisitorie dei compagni. "Provi a mantenere un comportamento consono con i suoi studenti, signor Wilde. I genitori hanno già cominciato a parlare" gli aveva riferito il preside non troppo tempo prima. Solo perchè una volta aveva tentato di trasfigurare uno studente in un diavolo della Tasmania non voleva certo dire avere un comportamento scorretto in classe. A scopo didattico, e, tra le altre cose, non era nemmeno riuscito nel suo intento. La bacchetta aveva deciso di farsi i fatti propri come suo solito, limitandosi a far crescere sul viso del ragazzo due folte sopracciglia che neanche Frida Kalho ai bei tempi che furono.
    « Che stavate facendo, senza avermi invitato? » Chiede, incrociando le braccia e setacciando i volti dei poveretti uno ad uno. I loro sorrisi si spengono all'improvviso, ed un'alone di vergogna aleggia nell'aria. Lo sente, lo percepisce. ....O forse è odore di patatine fritte? Chissà cosa c'è per cena, oggi. Gli elfi domestici lo hanno sempre messo a disagio,con quelle loro orecchie a punta e gli occhi alla Gollum. Ma cazzo se ci sanno fare in cucina..
    « Andiamo, fate ridere anche me » Si lamenta, il tono di voce improvvisamente acuto. Si stringe nelle spalle, mordendosi il labbro inferiore ed iniziando a ciondolare le gambe unite. Il suo sguardo si posiziona su di un Tassorosso che ha di fronte. Gli fa l'occhiolino, passandosi la lingua sulle labbra. « Per favore, per favore, mi annoio lì tutta sola » Continua a civettare, fin quando la sua attenzione non viene attirata dal movimento fulmineo di un Corvonero. Scatta col braccio velocemente, stringendo il polso del poverino e puntandogli i suoi occhi di ghiaccio contro il viso paonazzo. Il suo sguardo resta assente per qualche istante, spento e privo di qualsiasi scintilla vitale, poi, di nuovo, si trasforma.
    « Mhm, cosa sono queste? » Chiede, distraendosi per poter osservare ciò che è precipitato dalle mani del ragazzo. Sembrano delle foto, ma da lontano non riesce a distinguerle bene. « Voi scappate mentre sono girato, io vi appendo per le ciglia nella foresta proibita » Asserisce con voce ambigua ed un cipiglio pericoloso sul viso, mentre si cala a raccogliere quelle foto da terra. Si rialza, e dopo qualche minuto di silenzio, scoppia a ridere. « Andiamo, scherzo! -Cioè dai...E' fisicamente impossibile appendervi per le ciglia. Dovrebbero insegnarvi un po' di fisica, in questa scuol- MA QUESTE SONO TETTE? » Ebbene sì, erano proprio tette. Tra le sue dita affusolate, sostavano delle foto decisamente..beh, hot. Strabuzza gli occhi, arrossendo in un primo momento. Sembra a disagio per una frazione di secondo, timido, poi un sorriso malizioso spezza quell'idillio. Osserva meglio i soggetti ritratti, riconoscendone alcuni. Famosi giocatori e giocatrici di Quidditch, maghi rinomati, persino qualche dipendente ministeriale, tutti perennemente, rigorosamente ed incommensurabilmente nudi. Ed in pose anche piuttosto imbarazzanti.
    « Come e dove le avete trovate queste? » Chiede, con una malcelata curiosità. I ragazzi rimangono in silenzio, colti sul fatto, fin quando il più coraggioso tra loro non decide di prendere la situazione in mano.
    « E' colpa di photoshop, prof, non nostra » Borbotta il tassorosso, la stessa voce di chi è stato scoperto con le mani intinte nella marmellata. Alaric inarca un sopracciglio, continuando ad osservare la foto del giocatore dei Puddlemere United nudo. Cavolo, non lo faceva così dotato. Poteva cavalcare il suo stesso bastone durante le partite, altro che manico di scopa volante.
    « Cos'è questo photoshop? Una nuova marca di preservativ- » Sono undicenni. « banane? » Ah sì, adesso certo che andiamo meglio Alaric!
    « In realtà è un programma per fare fotomontaggi e..beh, Charlie è bravo a farli e volevamo provare qualcosa.. » Proprio mentre il ragazzo è intento a spiegare la situazione, si riconosce in una delle fotografie. Per le mutande di Morgana, non aveva mai avuto un caz- capezzolo così bello. Quasi quasi questo photoshop gli stava pure simpatico! Utile da usare per i bigliettini di S. Valentino da spedire in modalità anonima. Per quanto anonima possa essere la tua foto nudo non appena aperta la busta, chiaramente. Quel Charlie aveva un futuro.
    « E questa? » Non era lui l'unico professore, in quel delirio di culi e tette che neanche nel Trono di Spade. La professoressa di Divinazione danzava tra le sue mani, nuda, in una foto ritoccata e modificata con la magia affinchè si muovesse. Per la barba non cerettata di Morgana, che tette. D'accordo che probabilmente non erano le sue ma...Erano così reali.
    « D'accordo, potete andare, per questa volta » Mormora, lo sguardo fisso sulla foto.
    « Ma le nostre fot- » « Tua madre si chiama Marylin Pickett vero? »
    « ....D'accordo, buona giornata prof »

    « Andiamo Pervinca, non ti ho mica chiesto di andare a battere sui marciapiedi! »
    « No, mi hai solo chiesto di girare un porno! »
    « Beh, ma con me! Mica con altra gente! Andiamo..
    Sai quanti soldi faremmo, fallo per me, fallo per noi, per nostro figlio... »

    « Mi stai sul serio chiedendo di girare un porno per il bene di nostro figlio? »
    « Potremmo comprargli scorte di pannolini per tre mesi.
    Sai quanto guadagnano i film hard sulle donne incinte?
    Non se ne vedono molti in giro, sarebbe gettonatissimo! »

    « E tu com'è che lo sai? »
    « Ahm.. »
    « Te lo faccio ingoiare quel computer. »
    « Fammi ingoiare ciò che vuoi, se può convincerti! »
    « Non farò mai il tuo stupido film Alaric! »
    « E allora perchè diavolo stai andando in camera da letto?! »
    « Perchè è la mia camera da letto! »
    « Non è una risposta logica, lo sai vero? »

    La donna lo guarda in silenzio per qualche istante, gli occhi iniettati d'ira. Indossa un vestitino a fiori abbastanza scollato. I capelli le ricadono morbidamente sulle spalle bianche. E' struccata, ma bellissima come al solito. Gli urla contro, il tono di voce inviperito. Il suo viso perfetto diventa paonazzo per qualche istante, e quasi Alaric riesce a vedere una piccola vena pulsarle sul collo. Diamine quanto la adora quando è arrabbiata. Sospira, imbambolandosi ad osservarla per diversi istanti. « Cosa c'è adesso? » Chiede, il tono di voce leggermente più tranquillo, ma altrettanto diffidente. Alaric si stringe nelle spalle, mentre un sorriso sincero e quasi involontario si allarga sul suo viso scavato. « Sei struccata, oggi. Solitamente metti sempre un velo di ombretto sopra gli occhi, e quel rossetto alla ciliegia che ti piace tanto perchè ti ricorda l'estate anche d'inverno.. » E' estrema dolcezza quella che trapela dalle sue parole. Pervinca socchiude gli occhi, osservandolo attentamente, poi inizia a scuotere la testa, debolmente. « Non fare questi giochetti con me... » sussurra, indietreggiando di qualche passo. Di nuovo, Alaric fa spallucce, con espressione innocente. Sembra un bambino che fa i complimenti alla propria mamma, immerso in un amore radicato che niente e nessuno potrà mai cambiare. « Se non vuoi, non ti costringo » Sussurra infine, infilandosi le mani in tasca e facendo per uscire dalla stanza. « Aspetta. Forse, e dico forse ci sto ripensando. Ma decido io come, quando, perchè e dove chiaro? » Annuisce con fervore, Alaric, saltellando sul posto. « Lo sai che ti amo? » Le rivela, probabilmente non per la prima volta, ma non si stancherà mai di dirlo. Pervinca fa un cenno scocciato con la mano, avvicinandosi alle finestre per richiuderle. « Beh, da dove iniziam- » Improvvisamente, si ritrova catapultato sul letto.

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    Si sveglia sul più bello, spalancando gli occhi all'improvviso. Si mette subito a sedere, affannato. Ha la fronte e le mani completamente sudate. Caspita, che sogno. Era sembrato tutto così reale. I sospiri, la voce di Pervinca che sussurrava il suo nome, il suo tocco febbricitante sulla pelle..Quasi come fossero ricordi. Strano, davvero strano. Doveva segnarsi il nome di quell'erba che si era fumato prima di andare a dormire, se gli permetteva di sognare certe cose. Si stiracchia, sbadigliando. Non ha idea di che ore siano, ma balza giù dal letto. E' in mutande, come suo solito, quindi decide di coprirsi le spalle strappando via il lenzuolo dal divano ed avvolgendoselo addosso come un mantello. Trascina i passi mentre si reca verso il piccolo bagno che gli è stato concesso all'interno del suo ufficio. Ed è lì che si accorge che, grazie a quel sogno, anche qualcun'altro si è svegliato. Arrossisce, dandosi uno schiaffo sulla fronte per scacciare le voci. Non vuole che gli altri lo vedano. Decide di tornare sul divano, dove magari, riprendendo sonno, riuscirà a continuare quel sogno così vivido. Ma il suo sguardo viene catturato da quella foto. E non solo lo sguardo. « Andiamo no, sei imbarazzante » lo ammonisce qualcuno « Hai trent'anni, non sei in piena crisi ormonale » aggiunge qualcun'altro. Si morde il labbro inferiore, rimanendo seduto sul divano in silenzio per qualche minuto. « Prendi quella maledetta foto e sbrigati prima che arrivi qualcuno! » Beh magari solo una sbirciatina...Non avrebbe mica fatto del male a qualcuno, no? Cioè forse alla sua vista. Ma dettagli. Afferra la foto con fare incerto, rimanendo intento a fissarla. Effettivamente, nel suo sogno, era più bella. Perfetta. Uno strano senso di nostalgia inizia a crescere in lui, alimentandogli un nodo alla gola che gli fa quasi male. Deglutisce a fatica, mentre quelle sensazioni sfociano e si trasformano in altro. Desiderio. Beh, ormai che Alaric Jr. è già sveglio... Un peccato sprecare l'occasione, no? Sua madre lo diceva sempre che gli sprechi non andavano fatti, o avrebbero fatto piangere Gesù. Avvicina una mano alle mutande, insinuandola lentamente sotto la stoffa, fin quando...La porta del suo ufficio non viene spalancata. Vola giù dal divano, oltrepassando la spalliera e precipitando dietro lo stesso. « Porca tro- oooooota! » impreca, prima di fare capolino da dietro il mobile. E' uno scherzo vero? « Pervinca! Che ci fai quì? Tutto okay? » Balbetta, palesemente nel panico. « n-non è come sembra e non stavo facendo nulla. Sì okay sono in mutande ma.. ma.. Non ho nessuna foto in mano! Ahah - ...Un momento. Non ho nessuna foto in mano? » DOVE DIAVOLO E' VOLATA QUELLA STRAMALEDETTA FOTO?


    Edited by lane boy. - 28/2/2017, 21:26
     
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    «Signor Blake, permette una parola?» E' così che una gioiosa Pervinca invita il giovane studente Serpeverde a fermarsi in aula. Il resto della classe fluisce fuori dalla classe con un chiacchiericcio sommesso, mentre gli occhi scuri del ragazzo si fermano in quelli cristallini della professoressa. E' disagio quello che vi legge al loro interno, ma fa finta di nulla Pervinca. In fondo pur essendo un'ottima profetessa, non è mai stata troppo brava a capire le sensazioni altrui. Perciò gli sorride, sedendosi assai poco discretamente sul bordo della cattedra, accavallando le gambe in un gesto misurato e calcolatrice. Gli fa segno di avvicinarsi a lei con il dito indice, mentre la porta dell'aula si chiude dietro l'ultimo degli alunni. Sono soli. «Signor Blake, ha ricevuto il mio gufo di ieri sera?» Domanda asciutta, senza staccare i propri occhi da quelli di lui. Cerca di mantenersi calma e ringrazia il cielo per aver preso doppia dose di litio, poco prima di cominciare la lezione. Il bipolarismo e una classe di inetti che non sanno distinguere un gramo da un grosso mucchio indistinto di fondi di caffè non vanno di certo d'accordo. Soprattutto se i suddetti sono stati costretti a partecipare alla sessione straordinaria di Divinazione, con comunicazione ricevuta all'ultima ora. Appena finito di mangiare l'ultimo boccone di una cena squisita. Pervinca adorava sorprendere le persone, prenderli alla sprovvista rivelava le vere intenzioni e se c'era una cosa che aveva capito quella sera è che i tre quarti di quel branco di deficienti senza alcun talento per la Divinazione sarebbero stati bocciati in tronco, a fine anno. L'avrebbe fatto volentieri anche in quel momento, così da non essere più costretta a guardarli in faccia fino a giugno, ma le politiche della scuola, a quanto pareva, non contemplavano certi metodi drastici. Merda. Il ragazzo si appoggia al primo banco con i palmi delle mani, squadrandola con quel solito sguardo da cacciatore. Pervinca si sente come al solito come una ragazzina alle prese con la sua prima cotta segreta, quella di cui non può parlare nemmeno con la sua miglior amica, sia mai che poi lo vada a raccontare ai quattro venti, mettendola nei guai. Annuisce il moro, senza staccarle gli occhi di dosso. Sa giocare il ragazzo, l'ha sempre saputo la donna, fin dal primo giorno in cui aveva fatto il suo ingresso nel suo piccolo antro e aveva puntato il proprio sguardo ceruleo su di lei, facendola sentire desiderata e l'unica nel raggio di un chilometro. «Allora mi dica, perché non si è presentato all'appuntamento, come deciso in precedenza?» Le parole le escono di bocca leggermente più velenose e stizzite di quanto vorrebbe, ma farsi dare buca da un ragazzino non è di certo una cosa di cui vantarsi nel curriculum vitae. Incrocia le braccia sotto il seno e così facendo, la camicetta si apre leggermente, lasciando aperta visuale sulla mercanzia che aveva ispezionato da vicino già svariate volte. «Professoressa Branwell..» comincia lui, mentre Pervinca si acciglia ulteriormente, con il sopracciglio stirato a dovere. Da quando ti chiama per cognome il cretino? Aspetta, facendogli segno di continuare con la mano che vortica in aria. Lo vede prendere tempo, deglutendo un paio di volte, prima di aprire nuovamente bocca. Nervoso. «Credo che le nostre lezioni possano dirsi concluse qui.» Silenzio di tomba. Una smorfia corruga le labbra sapientemente truccate della ragazza, mentre districa le gambe e appoggia nuovamente i piedi a terra. I tacchi provocano un rumore fastidioso a contatto con il pavimento sconnesso, ma Pervinca non demorde. «Ah quindi fammi capire bene..saresti tu che decidi come vanno le cose qui, mh?» La voce sale di mezzo tono nel pronunciare le ultime parole, risultando quasi isterica anche alle sue orecchie. Respira a fondo, stirando i propri lineamenti a forza, affinché lui non possa credere di averla minimamente turbata. Ma l'ha fatto. Questo grandissimo pezzo di merda, ma chi cazzo si crede di essere per chiudere con me? Con quel cacciavitino che si ritrova tra le gambe? Giusto la lingua si salva. Ma non dice nulla, si trattiene, per dargli una possibilità per riscattarsi da quell'enorme figuraccia. Ma non lo fa, rimane in silenzio qualche altro minuto, con lo sguardo basso, rivolto verso i piedi, prima di alzarlo, nel tentare di darsi un'ultima parvenza di contegno e orgoglio. «Professoressa è una cosa sbagliata. Io ho diciannove anni. Dovremmo vergognarci..» Pervinca non riesce a credere alle sue orecchie. Si porta una mano a stringersi la tempia, mentre gira su se stessa incredula. Una risata le anima il viso e le labbra, ma dura soltanto qualche istante perché il rimbambito totale prova a concludere la sua arringa. «E poi io ecco..ho una ragazza ora. Una ragazza vera, della mia età e non il doppio.» A quel punto la bionda non ci vede più per la rabbia e si avvicina quel tanto da riuscire a puntargli l'unghia colorata dell'indice al petto. «Oh ma per chi mi hai presa, eh? Per una di quelle milf che popolano i tuoi sogni da segaiolo? Bello mio non ho nemmeno dieci anni più di me e dovresti ringraziare il cielo di aver avuto a disposizione questo» urla, indicando con gesti frenetici il proprio corpo «per qualche lezione introduttiva all'argomento. E' evidente che per avere diciannove anni non sai davvero dove mettere le mani. Io alla tua età avevo un ragazzo che..» Chi era? Avevi davvero un ragazzo alla sua età? Se è così hai una memoria davvero di merda, dato che spiacente, non trovo la cartelletta adibita al "ragazzo che avevo da adolescente". Dati non pervenuti bella mia. Si ammutolisce, pensierosa, portandosi l'indice al mento. Cosa stava dicendo? Ah sì. «Sono io che vi congedo dalle mie lezioni. Te e quella piccola armonica che ti ritrovi tra le gambe. Puoi andare.» Così dicendo si gira a sistemare le ultime cose che ha sparse sulla scrivania. Infila tutto nella tracolla, sentendo che il ragazzo sta ancora dietro di lei. Sicuramente le sta guardando il sedere, come suo solito. Pervertito di un ragazzino libidinoso. «Aria.» Sventola la mano a mezz'aria, senza degnarlo di uno sguardo. «Ma Pervinca, io..» «Professoressa Branwell, per te.» «Professoressa Branwell, lei è stata la miglior insegnante di..» «Ma sei serio?» si volta, con un'aria mista tra il divertita e l'incazzata. «Nessun lavoretto di fine rapporto. Se non te ne vai entro cinque secondi, il gramo che ho visto nella tua tazza questa sera sarà l'ultimo dei tuoi problemi.» Porta entrambe le mani ai fianchi, mentre il ragazzo decide ad avviarsi mesto e con la testa bassa verso la porta. La apre, non si ferma, fa per uscire. «Ah e dato che non credo il tuo neurone abbia assimilato il concetto, il gramo è presagio di morte. Buonanotte, caro.» Con la bacchetta chiude la porta dietro le sue spalle e infine si affloscia sulla poltrona. Si porta le mani tra i capelli e comincia a piangere. Singhiozzi veloci e sincopati, che non le danno nemmeno il tempo di respirare. Sta per affogare tra le lacrime, quando il pensiero di quella bottiglia di Rum nel suo studio l'illumina. Un sorriso si apre sulle sue labbra e, piena di energie, si alza, alla volta del proprio ufficio.

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    Spalanca di corsa la porta dell'ufficio, entrando impettita, quando si ritrova di fronte un uomo. Mezzo nudo, dietro il suo divano. Che impreca. Lo guarda, inclinando appena la testa, non scomponendosi affatto. Come se quella fosse una situazione in cui le capitava di trovarsi ogni giorno, o quasi. Arriccia il naso, divertita dalla situazione, accorgendosi soltanto in un secondo momento che quello non è il suo ufficio. Ma quello del professore strambo, quello di Astronomia. Wilde. Ci avrà scambiato si e no quattro parole in croce. Troppo strano e creepy per i suoi gusti. «Oh scusami tanto, credo di aver confuso le porte. Ho avuto proprio una serata di merda, sì lo so che non si dice, ma ho proprio bisogno di sfogarmi con qualcuno.» E così dicendo, come se nulla fosse, chiude la porta dietro di sé e si stravacca sul divano con ben poca grazia, togliendosi anche i tacchi che le stanno massacrando i piedi da tutto il giorno. «Ah finalmente. Preferirei un Cruciatus a questa mer-meraviglia qua» indica con un cenno del capo le scarpe abbandonate sotto il tavolino. Inclina di più la testa verso destra, notando un foglietto , poco lontano dai tacchi. «Oh, forse è questa la foto che dovresti non avere tra le mani?» L'avevo detto. E' strano il tizio. La raccoglie senza pensare. «E a proposito, non che siano fatti miei, ma sei un nudista per cas-..» La domanda le muore sulle labbra, mentre i suoi occhi cristallini mettono a fuoco il soggetto di quella foto. E' lei, completamente nuda, che balla sensualmente per lo spettatore, ammiccando, di tanto in tanto. E' strano, guarda se stessa e si sente stranamente accaldata. Non è niente male quel magico ritocco che era stato applicato al suo corpo. Perché quello non era effettivamente il suo corpo, ma la lei in foto ci sapeva fare eccome. Con una smorfia divertita, alza lo sguardo e incontra quello di Wilde. Com'è che si chiama? Alex, Axl magari, Alberico? Boh, lo chiamerò Ric. «Non che siano affari tuoi, ma questa foto non rende giustizia.» Un sopracciglio si inarca, impercettibilmente. «Quindi è per questo che stai in mutande? Una mia foto che non è davvero una mia foto più l'aiutino di Federica e Veronica, magari?» Tenta di non scoppiare a ridere, ma le labbra si incurvano, senza volerlo. «Però sai? Questa sì che è una gran botta di autostima, sai? Mi è stato appena detto che sono troppo vecchia per fare ancora sesso con..» si blocca, incerta sul come proseguire «..un qualcuno ipoteticamente più piccolo. E tu invece stavi per, come dire, aiutarti a calmarti con una ragazza che ha la mia faccia. Non male, davvero.» Si alza in piedi, guardandosi intorno. Un ufficio piuttosto disordinato, quasi quanto il suo. Quel disordine le piace. E' familiare. «Ma ci credi che c'è qualcuno al mondo che non vuole fare più sesso con me perché sono troppo vecchia? Cioè, sono tanto male?» Allarga le braccia, così che l'uomo possa osservarla meglio. «Insomma, vuoi offrire un po' di alcool ad una ragazza sull'orlo di una crisi di pianto, sì o no?»
     
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    «Oh scusami tanto, credo di aver confuso le porte. Ho avuto proprio una serata di merda, sì lo so che non si dice, ma ho proprio bisogno di sfogarmi con qualcuno.» La donna entra nel suo ufficio senza fare particolari complimenti. Alaric rimane dietro la sua possente e minacciosissima barriera composta da divano e due cuscini informi, osservandola con sguardo attento. Pervinca Pollyanne Branwell, soprannominata da egli stesso solamente Perv per facilitare le cose, ha sempre attirato le sue attenzioni, da quando è giunto al castello. Niente di particolarmente inquietante o ossessivo -stranamente, potreste dire- insomma una sbirciatina alle tette con tanto di voto affidato, e nulla di più. Fin ora gli era capitato di parlarci davvero pochissime volte, e, nelle suddette, era sempre finito per sgattaiolare via ad uno dei tanti cambiamenti repentini d'umore della giovane donna. Era più matta di lui, Ahah..No okay, adesso non esageriamo. La vede sfracellarsi contro il suo divano, oltrepassando la sua barriera. Caspita, ora sì che capisce come dev'essersi sentito Jon Snow durante l'episodio de The Watchers on the Wall. Queste barriere che vengono fatte per non essere oltrepassate ma che alla fine diventano più popolate dell'Ikea di domenica, sono davvero scadenti. Che poi ne vogliamo davvero parlare di quell'episodio? Di quel coglione di Olly e del suo sguardo da "fratello, ti ho salvato il culo" quando ha infilzato Ygritte? Meglio non divagare ragazzi, meglio deviare l'argomento credetemi. Fa ancora male, molto male: Peter non si è ancora ripreso dopo quel fottuto episodio.
    «Ah finalmente. Preferirei un Cruciatus a questa mer-meraviglia qua» Posa le scarpe coi tacchi sul tavolino vicino al divano, e per qualche istante Alaric crede che il peggio sia passato. Beh, si è tolta quelle potenziali armi di distruzioni di massa e forse non gli farà un buco in fronte, quindi può ritenersi fortunato. Si rialza da dietro il divano, stringendosi meglio nella coperta e lo oltrepassa a grandi falcate, ritrovandosi dunque dinnanzi alla professoressa. L'istinto di insinuare l'occhietto saccente attraverso qualsiasi cunicolo del suo corpo stravaccato con ben poca grazia è forte, ma il pensiero di quella foto compromettente smarrita lo distrae. Cazzo allora è una cosa seria. Sorride all'affermazione di Pervinca, ed un risolino nevrotico gli esce dalla gola mentre si guarda attorno con aria da segugio. O meglio, da povero trentenne coglione che si fa ancora le seghe su di una foto e che, se proprio vogliamo dirla tutta, l'ha pure persa di fronte alla diretta interessata. Ma questo è troppo lungo da dire e ricordare, quindi useremo l'azzeccatissimo sinonimo segugio e basta.
    «Oh, forse è questa la foto che dovresti non avere tra le mani?» Se fosse un gatto, balzerebbe su sè stesso con un sonoro mreow ed il pelo rizzato come succede sempre nei cartoni animati. Ma siccome non è un gatto, e siccome di rizzato aveva altro fino ad un secondo fa e proprio per questo si è cacciato in quel guaio, si limita a deglutire rumorosamente, mentre nel suo cervello esplode il caos più totale.
    "Te l'avevo detto di non farlo."
    "Oh andiamo, se si incazza è davvero un'ipocrita."
    "A me non è che sembri poi tanto una santerellina, comunque.."
    "Hey, non parlarne così, è pur sempre una signora!"
    "Alaric, comunque, dì qualcosa prima di sembrare un completo deficiente. - Più del normale, per lo meno.. E chiudi quella cazzo di bocca, che sei imbarazzante."

    « Non guardarla! » Urla, ma è comunque troppo tardi.
    «E a proposito, non che siano fatti miei, ma sei un nudista per cas-..» Lo sguardo di lei rimane fisso sul pezzo di carta. Alaric è pronto a vederla trasformarsi in un drago a tre teste e farlo a pezzi, ma è un sorriso divertito quello che si espande sul suo volto. La quiete prima della tempesta? E con tempesta intendo un pestaggio degno di uno di quei film ambientati nel Bronx? Non ne ha idea, quindi tutto ciò che può fare, è rimanere paralizzato senza dire una parola. Per una buona volta, anche gli altri rimangono in silenzio. « Molto gentili, proprio quando mi servirebbe il vostro aiuto.. » Mormora a denti stretti e voce bassa, mentre qualche risata sommessa riecheggia nella sua mente. Ronnie, piccolo bastardo, ti ho visto. So che sei tu.
    «Non che siano affari tuoi, ma questa foto non rende giustizia.»
    « Tette troppo piccole, dici? Posso vedere le differenze dal vivo? - Aspetta cosa? »
    "Che c'è, tu non vuoi vederle?"
    "Forza Alaric, tutti vogliamo vederle"
    "Ma la conosciamo appena!"

    Scuote la testa e chiude gli occhi strizzandoli, mentre si massaggia le tempie con forza per farli smettere. No Alaric, come diceva la mamma le tette alle ragazze non si chiedono al primo appuntamento, o si fa piangere Gesù. Ha uno scatto al collo, mentre riapre gli occhi.
    «Quindi è per questo che stai in mutande? Una mia foto che non è davvero una mia foto più l'aiutino di Federica e Veronica, magari?» Sospira, affranto e colto con le mani nel sacco. O nel pacco, in questo caso. Arrossisce per qualche frazione di secondo, poi ride, scrollando le spalle.
    « Devo organizzarmi. Non girano molte donne disponibili, da queste parti. Beh a parte le studentesse, ma quella è considerata pedofilia, e dicono che sia illegale » E tu non sei mai andato con una studentessa, certo. Ma a chi vuoi darla a bere? Questo magari Pervinca però può anche non scoprirlo, che ne dite?
    «Però sai? Questa sì che è una gran botta di autostima, sai? Mi è stato appena detto che sono troppo vecchia per fare ancora sesso con..un qualcuno ipoteticamente più piccolo. E tu invece stavi per, come dire, aiutarti a calmarti con una ragazza che ha la mia faccia. Non male, davvero.» Gli piace quella filosofia di vita e quel modo di vedere le cose. In realtà gli piace anche lei, ma andiamo la conosce appena, quale idiota rivelerebbe una cosa del genere ad una donna conosciuta da nemmeno tre minuti? Ahah, assurdo! Comunque sia, è impossibile non farsela piacere. Impossibile anche non farsela e basta, ma su questo bisogna essere sempre d'accordo da entrambe le parti, altrimenti quella è violenza sessuale. E, pure questa, dicono che sia illegale.
    «Ma ci credi che c'è qualcuno al mondo che non vuole fare più sesso con me perché sono troppo vecchia? Cioè, sono tanto male?» La vede allargare le braccia per farsi osservare meglio e, dal canto suo, Alaric si adagia sulla poltrona di fronte per poterla studiare più attentamente e con calma. Come al cinema, insomma, mancano solo i pop corn. E la birra. E la droga. I suoi occhi cerulei si posizionano sul corpo di lei, osservandone senza vergogna ogni angolo. Di norma penserebbe molte cose, nell'osservare una donna. Tipo che se la porterebbe a letto volentieri -e questo in realtà lo sta pensando-, che abbia un bel culo o delle belle tette -anche questo-, ma con Pervinca, il primo (no okay, il terzo) pensiero che gli sorge in mente mentre la osserva, è che gli sembra sorprendentemente.. familiare. Uno strano senso di nostalgia si impossessa di lui, e per qualche istante percepisce qualcosa pulsare dentro la sua mente. Non si tratta di nessuno degli altri ma di qualcosa di ben più nascosto. Scrolla il capo, forse ha dimenticato di prendere i suoi psicofarmaci prima di andare a dormire.
    « Io ti scoperei volentieri »
    "Aspetta cosa?"
    "Chiederle di farti vedere le tette al primo incontro no, ma scopartela direttamente sì, vero?"

    « Cioè no aspetta. Intendo dire.. Ahm, cioè, non sei affatto male. Se tutte le vecchie fossero come te, smetterei di fare il professore e mi cercherei una carriera da toyboy. Quindi ecco, insomma, fossi questo ipotetico ragazzo ti porterei volentieri a letto. ..Già, anche io. E pure i- shhhh! » Si rialza balzando giù dalla poltrona, girandosi e poggiandosi entrambe le mani sulla testa affondando le dita tra i capelli.
    "Non può finire a gangbang, ragazzi."
    "Ma ci piacciono le gangbang..."
    "E comunque, il corpo è mio. Quindi me la farei io."
    "Guardalo come se la tira, sei così fumato che ti servirebbe una mappa di google per trovare il buco giusto."

    «Insomma, vuoi offrire un po' di alcool ad una ragazza sull'orlo di una crisi di pianto, sì o no?»

    6SfANzr
    « Oh giusto! L'alcool! Sono bravo con l'alcool! » Saltella verso una piccola e disordinatissima vetrina riposta al di là della camera, mentre il lenzuolo gli scivola dalle spalle coprendogli, ormai, soltanto una parte delle gambe. Apre gli sportelli con forza, sbattendosene uno sul naso. « Ahia! » Squittisce, prima di allungare un braccio per afferrare una grossa bottiglia contentente un liquido ambrato. Si rigira verso la donna sorridendole, poi si avvicina alla propria scrivania ed afferra un calice con sopra disegnato lo stemma della famiglia Targaryen de Il trono di spade. Anche se non sa perchè, è molto legato a quell'oggetto. Gliel'ha regalato qualcuno, ma ogni volta che tenta di ricordare chi la sua mente va in blackout. Versa il nettare, poi lo porge alla donna, sedendosi nuovamente sulla poltrona a gambe incrociate: una posizione molto indicata, per chi sta in mutande.
    « Whiskey incendiario, proveniente direttamente da La testa di porco. Ho le mie conoscenze... No okay in realtà gliel'ho semplicemente fottuto, perchè fottermi la proprietaria non mi bastava. Ma sì ecco, insomma, è buono, serviti pure. » Si stringe nelle spalle, mentre allunga le mani per afferrare l'accendino ed una delle sue sigarette miracolose. Se la accende, ispirandone il fumo a pieni polmoni.
    « Fumi, Pervinca? Lo so, non si dovrebbe. Ma giuro che domani smetto » Chiede, facendo un cenno del capo per indicarle le sigarette sul tavolino prima di fermarsi ad osservarla più accuratamente. Sì, decisamente meglio della foto. La sua attenzione viene catturata dal viso di lei: lineamenti angelici, capelli biondi.. cavolo è perfetta. E' in quel momento che nota i suoi occhi leggermente arrossati e gonfi, e, a meno che non si sia drogata, probabilmente ha pianto. E lui odia vedere le persone piangere. Reprime l'istinto di alzarsi per abbracciarla con un grosso sforzo, aspirando nuovamente dallo spinello. E' arrivato a quel punto critico della propria dipendenza che quasi non sente più l'effetto della droga. Non subito, per lo meno.
    « No dai, non dirmi che hai pianto. Non sopporto vedere le belle donne piangere..Raccontami che è successo. Ti facevi uno studente ed ha deciso di non dartelo più improvvisamente? Tranquilla, di noi ti puoi fidare. C'è Alaric quì per consolarti » Annuisce, con un sorriso poco raccomandabile sul viso. « Beh, cioè, non in quel senso »"Ah no?"« Cioè, se poi vuoi va bene anche in quel senso. ..Ma insomma racconta! »
     
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    « Tette troppo piccole, dici? Posso vedere le differenze dal vivo? - Aspetta cosa? » La donna alza un sopracciglio, vagamente divertita da quella sua domanda. E' strano quel tipo, tutti nei corridoi ne parlano e tutti sembrano averne quasi il terrore, tanto è destabilizzante il suo continuo alternarsi di caratteri completamente differenti. A lei non fa paura, quella sua stravaganza la fa quasi sentire normale, una volta tanto. Quasi riconoscesse in quei suoi sbalzi d'umore un pezzo di se stessa, qualcosa di confortevole e assolutamente normale. Certo, è evidente che non abbia tutte le rotelle al giusto posto, gli ingranaggi devono essere piuttosto arrugginiti e la macchina va avanti a rilento. Ma tutto sommato è piacevole stare in sua compagnia. E' divertente, strambo, ma divertente. «Hai forse dubbi a riguardo? Ho visto come mi fissavi le tette l'altra sera a cena» risponde, girando su se stessa, giusto per dare una visione più completa di se stessa a quell'uomo che la fissa con i suoi occhi di ghiaccio. «So che ti sei già immaginato come sono fatte, pur senza avere l'effettiva prova visiva. Oserei dire che ti sei fatto già anche un'idea di come siano al tatto, non è così? Di come si modellino sotto il tocco delle tue dita, magari.» Usa quella voce, quel timbro suadente di cui conosce perfettamente gli effetti sui suoi interlocutori. A maggior ragione su Ric Fissatette. L'ha beccato svariate volte con lo sguardo rivolto quelle che non erano decisamente i suoi occhi ed è quasi certa che il suo sguardo sia scivolato sul suo sedere ogni qual volta ha abbandonato il tavolo dei professori, dopo ogni cena. Pervinca è una donna che sta attenta a certe cose. Sa bene dove andare a parare per avere tutti i riflettori puntati addosso e se c'è una cosa in cui è dannatamente brava è l'ammaliare il sesso maschile. Non ha una dannatissima goccia di Veela nel proprio sangue -anche se da piccola amava vantarsene con le sue amichette decisamente meno sviluppate di lei- eppure riesce sempre a sfilare con una certa grazia, quando sa di essere osservata. Lo fa con disinvoltura, lo fa senza pensarci, eppure sa che viene guardata. Riesce a percepire lo sguardo altrui su di sé e la cosa la rende inaspettatamente felice. Ed è così che si sente quando infine incontra nuovamente gli occhi dell'uomo. La guarda seduto dalla sua poltrona, con sguardo inquisitorio. La valuta, con indice e pollice a carezzarsi la barba di qualche giorno. Sembra quasi l'inizio di uno di quei giochi di ruolo che piacciono tanto a Pervinca. Lui il master che crede di comandare, ma in realtà non comanda proprio una mazza e lei l'ingenua ragazzina con lo sguardo limpido e pulito, in attesa di sue disposizioni. Che arrivano immediatamente, come sospettava. « Io ti scoperei volentieri » Rimane interdetta per qualche secondo. Presa in contropiede e per la prima volta dopo tanto tempo senza parole, si morde l'interno della bocca, rimanendo incastrata nel suo sguardo qualche istante di troppo. Quei pochi che le bastano a sentirsi eccitata. Le piace l'uomo sicuro di sé, che non ha paura di palesare i propri bisogni, le proprie voglie. Le proprie fantasie. Non aveva mai pensato a Ric in quei termini. Certo, era un figo, uno di quelli veramente fighi e poteva dirlo davvero, ora che lo vede in mutande, nudo come sua madre l'aveva messo al mondo. Certo, forse un po' troppo gracilino, ma Pervinca, dopo la sua esternazione, già sta fantasticando su ciò che le potrebbero fare quelle mani esperte. « Cioè no aspetta. Intendo dire.. Ahm, cioè, non sei affatto male. Se tutte le vecchie fossero come te, smetterei di fare il professore e mi cercherei una carriera da toyboy. Quindi ecco, insomma, fossi questo ipotetico ragazzo ti porterei volentieri a letto. ..Già, anche io. E pure i- shhhh! » Lo guarda strano, non riuscendo a capire le ultime parole. E' matto, ricordi? Non soffermarti su questo. Dai che forse si scopa stasera. Concentrazione, Pervinca, concentrazione. Sorride, infine, sedendosi nuovamente sul divano. Questa volta con più grazia ed eleganza. Non vuole sfigurare. Vuole dare una migliore impressione di sé. Vuole rendersi desiderabile, per qualche strano motivo. «Se avevi tanto bisogno di darti da fare, potevi dirlo tranquillamente. Ci si organizzava e si scopava tutti in questo modo.» Una riflessione seguita da un'alzata noncurante di spalle, ma accompagnata da uno sguardo penetrante, prima di rivolgerlo altrove. «Ma probabilmente ti piacciono di più le cose illegali, non è così?» Si porta l'indice a coprirsi le labbra, facendogli un occhiolino veloce. «Tranquillo, le voci girano tra le studentesse e con me il tuo segreto è al sicuro, promesso» dice schiudendo le labbra per baciarsi il dito, come a sancire la promessa che gli sta facendo. Ed è in quel momento che la situazione, da intrigante e "Forse questa sera si conclude veramente bene", passa ad imbarazzante e disagiata, nel giro di pochi attimi che bastano all'uomo a dare di sé una delle impressioni più spiacevoli che può darle. Pervinca scuote la testa, sbuffando appena, quando Ric le porge un calice. Non lo ascolta nemmeno, sicuramente deve essere qualcosa d'interessante ciò che sta dicendo, ma non le interessa. Si ferma a guardare il recipiente, passandoselo tra le mani con curiosità scientifica. Le ricorda qualcosa, qualcosa di speciale. «Amante de "Il trono di Spade" anche tu?» Chiede infine, roteando il calice tra le dita, prima di buttare giù una sorsata generosa di Whisky. Le bruciano all'istante gli occhi e sente il bisogno di aprire la bocca per far uscire tutto il calore di cui è stata investita. «Wow, è come buttare giù una sorsata di Altofuoco!» Fischia d'ammirazione, prima di tornare ad osservare il bicchiere. Il drago a tre teste troneggia in rosso su sfondo nero. Fuoco e fiamme. «Sai, c'era un tempo che venivo chiamata Madre dei draghi, perché sono, diciamo, ossessionata dai libri e dalla serie tv. Ho anche regalato un calice simile a..» Chi? Vuoto totale. Confusa, si guarda intorno, prima di fermarsi su di lui.

    «Amore, sei tu?» La porta dell'entrata si apre e si chiude. La casa è completamente immersa nel buio, rischiarato soltanto da qualche candela qua e là, che gli indicano il sentiero da seguire per arrivare fino alla camera. Pervinca non è una ragazza romantica, ma sa esserlo, all'occorrenza. « Sì. Che succede? » «La notte è oscura e piena di terrori, ma tu segui la luce, principe che mi fu promesso.» Riesce a figurarsi il volto di Ric, pur non vedendolo. Non sta capendo nulla, ha i lineamenti leggermente corrugati e si sta domandando cosa cacchio stia succedendo. Sorride, Pervinca, nel suo vestitino succinto da Daenerys Targaryen prossima alle nozze, con l'aggiunta di autoreggenti chiare e dei tacchi vertiginosi. Lo vede entrare nella loro camera da letto, la stanza più illuminata della casa, vista la presenza massiccia di candele e bastoncini d'incenso accesi. Lo guarda con occhi maliziosi, fingendosi imbarazzata. Sa che gli piace quando lo fa. Si avvicina a lui con passo cadenzato, lasciando che i tacchi ticchettassero sul pavimento. Gli porge un calice, con lo stemma della casata dei Targaryen. All'interno c'è del vino, ha speso un po' ma è riuscita a beccare un'annata di rosso francese niente male. «Buon anniversario, my sun and stars» gli dice, avvicinandosi quel tanto che basta che strofinare le proprie labbra sulle sue. «Che ne dici? Sono abbastanza Madre dei draghi in queste vesti?» Un sorriso imbarazzato, sinceramente imbarazzato, fa capolino a rischiarare il suo volto. Spera vivamente che tutto ciò gli piaccia. Ci ha pensato molto, ha curato tutto nei minimi dettagli, volendo che tutto fosse perfetto, eppure, in quel momento, si sente una ragazzina. Perché lo è davvero, ma una ragazzina innamorata è piena d'insicurezze che soltanto il suo amato può placare. Lo guarda negli occhi, mentre lui le si fa più vicino. Riconosce quello sguardo e l'angolo della bocca si incurva. E' felice. « Khal Drogo è compiaciuto. » La voce è roca, bassa, piena di desiderio. Una delle sue personalità deve aver preso il sopravvento, tanto da renderlo così sicuro di sé. « Buon anniversario, moon of my life» e così dicendo la bacia, con trasporto, prima di finire a letto, senza nemmeno accorgersene. Con un sorriso spensierato sulle labbra e la gioia di chi ama senza alcun freno.

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    «..a qualcuno!» Si acciglia, pensierosa. Qualcuno che non ricorda. Le succede spesso di avere dei vuoti di memoria come quello. Non riesce a ricordare parti essenziali della sua vita e la cosa l'ha sempre destabilizzata un po'. Ha sempre provato nostalgia per quel qualcuno. Una mancanza fisica. Ma si era sempre domandata come fosse possibile provare quel sentimento per una cosa che non sapeva nemmeno di possedere. Un qualcuno di cui non ricordava né il nome, né i lineamenti, né i motivi che l'aveva portato ad avvicinarsi a lei. Si sente triste nell'immediato, perciò appoggia la testa al divano, chiudendo gli occhi e sforzandosi di non piangere. Non ricordare la fa piangere spesso, ma non può piangere di fronte al suo nuovo amico. Non è carino, è da svitate croniche e lei non lo è. Non alla prima conoscenza, perlomeno. Le sue parole l'alleggeriscono un po' di quel peso che sente sopra il cuore, facendo sì che il sorriso torni sulle sue labbra. « Fumi, Pervinca? Lo so, non si dovrebbe. Ma giuro che domani smetto » Le piace come si rivolge a lei. Le piace come si accende quella canna, con una padronanza e una sicurezza tali da farglielo risultare sexy. Lo osserva per qualche minuto. Non ha mai pensato a lui sotto quel punto di vista eppure sente crescere in lei la voglia di scoprire di più. Di quel suo punto di vista. Butta giù un altro sorso di quel liquido forte che le dà alla testa, ma che le piace. «Stai forse tentando di drogarmi per poi saltarmi addosso?» Chiede, con una velata sfumatura maliziosa nel tono di voce, prima di allungarsi a prendere una di quelle sigarette rollate alla perfezione. Se non fosse finita in sesso selvaggio quella serata, Pervinca non poteva dirsi insoddisfatta comunque, visto la piega che stava prendendo. Si protrae leggermente verso di lui, sfilandogli l'accendino dalle mani. Si accende la sigaretta, mantenendo vivo il contatto visivo, prima di respirare a fondo il primo tiro che la fa sentire subito meglio. E' da tanto che non fuma. Nell'ultimo periodo ha deciso di darsi solo all'alcolismo pesante. Ma non tocca una canna da un bel po' e quella sensazione è semplicemente perfetta. Come riabbracciare una vecchia conoscenza dopo tanto tempo. Vieni qua, amica mia sembra dirle ad ogni boccata che fa. Si butta nuovamente all'indietro, accavallando le gambe. « No dai, non dirmi che hai pianto. Non sopporto vedere le belle donne piangere..Raccontami che è successo. Ti facevi uno studente ed ha deciso di non dartelo più improvvisamente? Tranquilla, di noi ti puoi fidare. C'è Alaric quì per consolarti. Cioè, se poi vuoi va bene anche in quel senso. ..Ma insomma racconta!» Non lo guarda neanche, rimane a fissare il soffitto con sguardo vacuo. Beve una sorsata, fa un altro tiro. «Non so quale sia il problema mentale che ti affligge, ma mi piaci, sai?» Gli confida, indicandolo con l'indice della mano con cui teneva ben saldo il calice. «A quanto pare, ha la ragazza ora.» Comincia lo sfogo, con un tono calmo e pacato. «Fino a ieri mi implorava di cavalcarlo ancora una volta, come so farlo soltanto io, ma oggi è fidanzato. Ha detto che dovremmo vergognarci per ciò che facciamo, ci credi?» Lo guarda, scrollando la testa, stentando a credere lei stessa a quelle parole così cretine. «Poi come se non bastasse, perché voi uomini se dovete fare schifo, giustamente lo fate fino in fondo, avrebbe voluto anche un servizietto d'addio. Come se non gli fosse bastato il fatto che praticamente da verginello in canna l'ho trasformato in un ragazzo semi accettabile, perché insomma, più di tanto non si può pretendere da un diciannovenne dotato nella norma, a quanto pare.» Le parole escono fluide dalle sue labbra. Si fida di quell'uomo. C'è qualcosa in lui che la spinge a confidarsi come con un amico. Sente che non la denuncerà al preside. O perlomeno lo spera. «Dato che stavi per farti una sega con una mia foto e che non vedi l'ora di zomparmi addosso, è lapalissiano, dimmi: chi è che ha deciso di non dartela più, tanto da lasciarti a stecchetto come un quindicenne in piena pubertà?»



    Edited by [trainspotting] - 4/3/2017, 20:58
     
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    « So che ti sei già immaginato come sono fatte, pur senza avere l'effettiva prova visiva. Oserei dire che ti sei fatto già anche un'idea di come siano al tatto, non è così? Di come si modellino sotto il tocco delle tue dita, magari.»
    "Quì qualcuno ci ha scoperto, caro Alaric."
    "Cazzo è una Legilimens?"
    "Cristo no, le idee che ho avuto su cosa potremmo farci con quelle tette farebbero vergognare Sasha Grey in persona!"

    Le parole della donna lo inducono a spalancare appena gli occhi, come un bambino colto sul fatto con le mani immerse nella marmellata. Cioé, se avesse immerso le mani nelle sue tette non gli sarebbe dispiaciuto cosí tanto, ma insomma non divaghiamo.
    « Sono morbide vero? Mi piacciono morbide » Sussurra senza neanche accorgersene, con tono trasognante. "Aspetta cosa?" Ebbene sì, Pervinca aveva ragione. Tante volte l'aveva osservata a cena, nascosto al di lá del suo calice di succo di zucca sapientemente corretto. Una coscia di pollo mangiava, una coscia guardava. Alaric non era mai stato un tipo particolarmente lussurioso ma...No okay non diciamo stronzate. Lo era stato e lo era per la maggior parte del tempo. Il fatto peró che poi non trovasse mai, o quasi, qualcuno con cui sfogarsi è un dettaglio che è meglio non nominare. Non era mica colpa sua però, se Pervinca era una gran bella donna. Strana sì, inquietante con quelle sue sfere di cristallo a portata di mano pure, ma gnocca uguale. Si era sempre chiesto come una donna del genere non fosse ancora sposata. E, ogni volta che questa domanda sorgeva spontanea tra i suoi pensieri, un silenzio innaturale azzerava ogni voce, facendolo precipitare in una sottospecie di trance. Tuttavia, ahimè, la faccenda durava giusto il tempo che il culo o le tette della professoressa entravano di nuovo a far parte del suo raggio visivo, distraendolo. E a proposito...
    "Sta allargando le braccia."
    "Perchè allarga le braccia? Cazzo quanto mi piacciono quando allargano le braccia..."
    "Le gambe intendi, forse?"

    Si morde il labbro inferiore, mentre sente uno strano calore ad invadergli le guance. Tutto ad un tratto la prospettiva dell'esser stato scoperto da lei non lo fa ridere più, anzi lo imbarazza parecchio. Imbarazzo che peggiora nel vederla muoversi con eleganza e femminilitá. Si ritrova a pendere letteralmente dalle sue labbra, accorgendosi fin troppo tardi di essersi proteso in avanti per poterla guardare ed ascoltare meglio. Gli fa uno strano effetto, Pervinca. Gli piace, ma non come gli piacerebbe qualsiasi altra donna. È spontanea, seducente, diversa. «Se avevi tanto bisogno di darti da fare, potevi dirlo tranquillamente. Ci si organizzava e si scopava tutti in questo modo.» Sente lo sguardo penetrante di Pervinca su di sé, e per l'ennesima volta da quando è in sua presenza, si morde l'interno della bocca. Caldo, aria, ha bisogno d'aria. Sospira di sollievo quando lei guarda altrove. Su una cosa non c'è dubbio: lo fa impazzire. ..Più del normale, per lo meno. Vorrebbe saltarle addosso in quel preciso istante, e la consapevolezza di non poterlo fare lo rende irrequieto. La sua gamba sinistra inizia a tremare, mentre inizia a tamburellarci sopra con due dita. Non aveva mai pensato a lei sotto quella prospettiva. Sotto di sé sì, ma sotto quella prospettiva mai. A dirla tutta l'aveva sempre vista come una di quelle fiamme inafferrabili. Sapete, quelle donne così belle ed accattivanti da farti dimenticare di avere un cervello che non si trova nella parte inferiore del bacino. Quelle con le quali vorresti trascorrere tutto il tempo della tua inutile vita ma che sai già essere troppo sfigato per poterle anche solo avvicinare, quindi ti rassegni. E nel dubbio ti fai anche un lavoretto su una loro foto, visto che ci sei. Ma adesso che Pervinca è lì...
    "Perché continua a guardarmi così.."
    "Non ti sta guardando"
    "Ma le sue tette sì!"

    «Ma probabilmente ti piacciono di più le cose illegali, non è così? Tranquillo, le voci girano tra le studentesse e con me il tuo segreto è al sicuro, promesso» Inarca un sopracciglio, preso leggermente in contropiede da quelle parole. Si guarda attorno, come a voler scoprire chi abbia fatto la spia. « Ma chi, io? » Domanda, cercando di darsi una parvenza sconvolta da quelle insinuazioni. Per qualche frazione di secondo lo sembra pure, addirittura. I lineamenti del suo viso si fanno seri, le sopracciglia si incurvano in un cipiglio severo, lo sguardo assume un nonsoché di inquisitorio, tanto da farlo sembrare una persona del tutto diversa. Ma dura pochi istanti, prima di tornare a sorridere, con una smorfia noncurante sul volto barbuto. Si stringe nelle spalle, rassegnato all'evidenza. « Beh sì, nel dubbio, qualche studentessa l'ho..come dire, fatta venire nel mio ufficio. - Scoppia a ridere - Giuro che il doppio senso non era voluto! » Sa che non dovrebbe rivelare una cosa del genere ad una sconosciuta, specialmente una sconosciuta appartenente al corpo docenti, ma si fida di lei. Non sa perché, ma è così. E poi le ha offerto l'alcool, cazzo non può tradirlo dopo che le ha offerto l'alcool. Sarebbe peccato, no? « Ma giuro che sotto i diciassette anni non sono mai andato. Ne sei sicuro? ..Sì, sì, sotto i diciassette anni la mamma non vuole. Cos'è che dicono le voci di me? Spero parlino bene, almeno.. » Ridacchia, ispirando avidamente un altro tiro dalla sigaretta. Il fumo magico si espande attraverso i suoi polmoni, scorrendo in ogni suo vaso sanguigno e terminazione nervosa. Si sente rilassato.
    «Amante de "Il trono di Spade" anche tu?» Annuisce con fierezza, Alaric, osservandola mentre si rigira il calice tra le mani con curiosità e, infine, se ne impossessa del liquido al suo interno. Fischia, aprendo la bocca per prendere aria, mentre Alaric, dal canto suo, sorride. Quella roba è davvero forte, persino un alcolizzato cronico come lui deve andarci piano certe volte.
    «Sai, c'era un tempo che venivo chiamata Madre dei draghi, perché sono, diciamo, ossessionata dai libri e dalla serie tv. Ho anche regalato un calice simile a..» La vede bloccarsi per qualche istante, pensierosa, con lo sguardo fisso su di lui. All'improvviso, si sente a disagio. Socchiude gli occhi: la sua mente si apre a qualcosa di sconosciuto, un varco al di là delle voci, dietro gli altri. Qualcosa che sa essere importante, ma non riesce ad afferrare. Protende la mano, scalcia, ma niente, non ci arriva. «...a qualcuno. » Si poggia una mano sul mento, passandosi le dita tra la barba. Certo che è strano. Gli capita spesso di avere questi vuoti di memoria che lo lasciano più spaesato del normale. Madre dei draghi quell'appellativo dovrebbe ricordargli qualcosa. A parte il culetto d'oro di Daenerys Targaryen, s'intende.
    « E' strano forte, sai? Credo che qualcuno me l'abbia regalato, questo calice. Sono povero, quindi mi ricordo di quelle poche cose che compro e questo sicuro non me lo posso permettere.. Madre dei draghi, eh? Ci stai, davvero. A me hanno sempre accostato agli Estranei, sai, per via degli occhi.. » Se li indica con la mano libera.
    «Stai forse tentando di drogarmi per poi saltarmi addosso?» Il tono di lei è malizioso, ed Alaric giurerebbe di aver sentito un movimento dentro le mutande.
    "Stiamo forse tentando di drogarla per saltarle addosso?"
    "In realtà non ci avevamo pensato, ma sarebbe una buona idea."

    « Chiaramente no, scherzi? Per chi mi hai preso? » "Bugiardo." La osserva prendersi una sigaretta ed iniziare a fumarla, con un'esperienza ed una voglia che lo eccitano parecch- Andiamo Alaric sei imbarazzante! Okay, dov'eravamo rimasti? Ah sì, Pervy che fuma. Pervy che accavalla le gambe. Hey è una mutandina in pizzo quella? "Non guardare!" Distoglie lo sguardo con uno scatto al collo, dandosi un colpetto su una tempia. Ascolta il suo racconto prestando un'attenzione che non sapeva neanche di possedere. La sua espressione è particolarmente allibita. ..Andiamo quale coglione lascerebbe una donna del genere? Scuote la testa, palesemente deluso. Deve proprio chiederle nome e cognome del tizio, almeno sa a chi lanciare una T perenne in ogni verifica.
    «Dato che stavi per farti una sega con una mia foto e che non vedi l'ora di zomparmi addosso, è lapalissiano, dimmi: chi è che ha deciso di non dartela più, tanto da lasciarti a stecchetto come un quindicenne in piena pubertà?» Rimane per qualche istante interdetto, mentre alza lo sguardo e la fissa con gli occhi spalancati. Borbotta qualcosa di incomprensibile, stranamente imbarazzato. Dura pochissimi istanti, prima di alzarsi con un balzo che farebbe saltare in aria chiunque. Trotterella nuovamente verso la vetrina, che aveva lasciato spalancata, ed acciuffa una scatola quadrata dipinta d'oro. La apre, poggiandola proprio sulle gambe della ragazza ed andando infine a sedersi sullo stesso divano, proprio accanto a lei. Si stringe la coperta sulle spalle, osservandola più da vicino, piegando appena la testa di lato. « Hai fame? Ci sono cioccolatini lì dentro. Non so a che gusto siano, ma credo che alcuni siano alla fragola perché sono quasi morto assaggiandone uno l'altro giorno. E non è la prima volta che mi succede! » Ride, prima di bloccarsi qualche istante, pensieroso. Quando è stata l'ultima volta?

    « Mi dispiace così tanto Ric.. » Borbotta la giovane, mentre gli accarezza i capelli con dolcezza. Alaric alza appena la testa, per poterla guardare meglio. E' vicina, così tanto da riuscire a contare le sfumature smeraldine dei suoi occhi meravigliosi. Ha una ruga di preoccupazione a sfregiarle il viso di porcellana. Si trovano dentro la loro auto, una sgangherata camaro gialla dell'84. « Hey, sono ancora vivo, dov'è il problema? » Risponde il ragazzo ridendo, riprendendo poi a buttare l'occhio sulla strada un momento prima di investire una vecchia che stava attraversando. Sono appena usciti dall'ospedale, laddove gli era stato consigliato di rimanere per almeno altre ventiquattro ore. Ventiquattro ore senza fumo, droga o sesso, impossibile. Perv mormora qualcosa, mentre continua a passargli le mani fra i capelli, con dolcezza. « Se continui così ti salto addosso ed investiamo, Perv » Scherza Alaric, rilassandosi sotto il suo tocco. Adora le coccole, le sue coccole. Vorrebbe prendere quei momenti di tenerezza e conservarli per sempre in uno scrigno chiuso gelosamente a chiave. « Certo che però anche tu, eh...Ti sei quasi finito la torta, avresti potuto dirmelo subito che eri allergico alle fragole! » La voce di lei è un sussurro sommesso. E' dispiaciuta, e lo percepisce. Non gli piace vederla dispiaciuta, specie per causa sua. La lingua e la gola gli fanno ancora un po' male, e parlare non migliora la situazione. Era quasi morto, quella mattina, bello vero? « Avresti pensato che era una scusa per non dirti che la torta non mi piaceva e in ospedale ci sarei finito per altro.. » Ridacchia il ragazzo, girandosi per lanciarle un'occhiata scherzosa. Pervinca lo guarda per qualche istante in silenzio, poi fa il broncio, riappoggiando le spalle contro il sedile. Alaric storce il naso.« Andiamo, non ti sarai mica offesa.. » Borbotta, staccando una mano dal manubrio per pizzicarle una guancia. La ragazza si ritrae al contatto, ed Alaric sa che non lo sta mordendo probabilmente solo perché è appena uscito dall'ospedale. Allora è davvero grave la cosa. « Occhi sulla strada. » « Eddai Pervy... » Il silenzio cade su di loro come una coltre di fumo. Odia il silenzio, Alaric, è tentato di frenare, scendere dalla macchina, tirarla giù e chiederle scusa in ginocchio. Ma qualcosa lo precede: lo sguardo di lei è di nuovo su di lui. Si volta a guardarla, pendendo dalle sue labbra, pende sempre dalle sue labbra. « Adesso non mi amerai più perché ti ho quasi fatto fuori? » Una frenata improvvisa fa esplodere il traffico in un tumulto di clacson ed imprecazioni. Per fortuna entrambi indossano la cintura di sicurezza. Si gira verso di lei di scatto, guardandola come se avesse detto la cosa più assurda del mondo. « Io ti amo , e puoi provare ad uccidermi tutte le volte che vuoi, ma ti amerò per sempre. Okay? » Le rivela, sincero. Le poggia poi due dita ai lati della bocca, per allargarle le labbra in un sorriso. Lei ridacchia, scrollando appena il capo. Adora vederla ridere. « Sei strano forte tu eh.. » Mormorano le sue labbra carnose, prima di venire rapite da un bacio. Per sempre.

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    « Già..Non è la prima... Va beh, comunque. Non pensare a quel coglione, sul serio, un ragazzino normodotato che è stato capace di farsi scappare tutto questo ben di Dio- Indica l'intero suo corpo con una mano - è davvero un coglione. Di quelli proprio stratosferici! Hai presente? Tipo che ne so..Tipo Joffrey Lannister, ecco. Tu mica gliel'hai fatto il servizietto d'addio, vero? » La guarda, rimanendo in silenzio per qualche istante, come se volesse dirle qualcosa ma non sa cosa. E' strano, molto strano, sembra così estranea e familiare al tempo stesso. Boh, forse il fumo sta facendo già effetto. « Comunque, per rispondere alla tua domanda.. In realtà nessuna mi ha lasciato a stecchetto, ultimamente. Cioè quando voglio trovo sempre dove andare, è solo che a volte mi sento come se..Come se mi mancasse qualcosa. Come se dietro le tette di una bella ragazza non ci trovo ciò che in realtà cerco, capito? Non so spiegarmelo, ma è così. Forse sono semplicemente sempre troppo fatto quando vado a letto con qualcuna e mi immagino cose che non dovrei immaginare. Va beh, scusa, tu già sei triste di tuo, io ti aggiungo le mie stronzate! » Ridacchia appena, sistemandosi meglio sul divano ed avvicinandosi ulteriormente a lei. « Allora cos'è che dicevi riguardo l'organizzarci per scopare tutti? Io ci sto a prescindere.. » Le chiede, aspirando un ultimo tiro dalla canna ormai finita. Si allunga per spegnerla in un portacenere sopra il tavolino di fronte a loro, poi si rimette dritto. Le fa un occhiolino, mordendosi il labbro inferiore con fare accattivante. Non se ne accorge nemmeno, ma la sua espressione è cambiata. Sicuro di sé, seducente, misterioso. Si perde nei suoi occhi, con sguardo penetrante, sa di desiderarla e vuole che lo capisca anche lei. Da un'occhiata alla sua scollatura, senza nessuna vergogna, in un atteggiamento spinto che sembra voler urlare "Andiamo a letto, subito" ad ogni respiro. D'un tratto, però, come in un flash temporale, tutto cambia. Corruga le sopracciglia, piega un po' la testa di lato, le labbra si incurvano leggermente verso giù.
    « Voglio abbracciarti. Posso abbracciarti? »


    Edited by 'dysfunctional' - 6/3/2017, 21:00
     
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    « Sono morbide vero? Mi piacciono morbide » Rimane impassibile, qualche secondo, non sapendo bene cosa fare o dire di fronte a quell'affermazione. Deve ridere forse, compiaciuta nel sentirsi desiderata? Oppure tirargli un ceffone? Potrebbe essere un'idea, eppure decide di sorridere, incurvando appena gli angoli delle labbra, lasciando intravedere una parvenza di divertimento sul suo viso. «Se te lo dico, ti rovino la sorpresa futura e poi che gusto ne trarresti?» Alza le sopracciglia, leggermente divertita, mentre riprende a sorseggiare il Whisky, dandosi quell'aria da intenditrice che le piace sempre assumere, in determinati casi. Giusto per darsi un po' di tono, quel giusto tocco di interesse, misto ad eleganza e bon ton che tanto avrebbe apprezzato la sua cara mammina. Chissà che fine ha fatto quella vecchia pazza? Pensa, prima di buttare giù l'ultimo sorso, per poi alzarsi e con nonchalance avviarsi verso la piccola dispensa, dal quale l'aveva visto prendere la bottiglia di quel nettare degli Dei. Ricarica il bicchiere, con movimenti fluidi, mentre comincia a muovere i fianchi a ritmo dello stacchetto musicale che le rimbomba in testa da quando l'ha sentito canticchiare da un ragazzino a lezione. Quegli schiocchi a volte servono anche a qualcosa. Si gira sulle punte dei piedi, muovendo la bottiglia a destra e sinistra, come a chiedergli se ne vuole un goccio. E in quel momento lui se ne esce con una frase che avrebbe fatto rizzare i peli delle braccia ad ogni donna. E non per lo spavento. « Beh sì, nel dubbio, qualche studentessa l'ho..come dire, fatta venire nel mio ufficio. - Giuro che il doppio senso non era voluto! » Si appoggia con i palmi delle mani al mobiletto dietro di lei, lasciando scivolare il piede sinistro lungo il suo freddo legno. Pervinca, è matto. Matto da legare, non senti quello che dice? Cambia idea ogni due secondi, parla da solo. Roba che se te lo fai ora, domani te lo ritrovi sotto la finestra della camera con lo stereo sulle spalle, pronto ad intonarti True dei Spandau Ballet. Non puoi. Stop. Il telegramma finisce qui. Stop. Ma Pervinca non ascolta mai la propria testa. Non ama particolarmente la propria testa a dirla tutta. Ha sempre avuto un rapporto particolare con essa, sapete, per via dello sfasamento di emozioni continue a cui la costringe. E non le piace quando le impone quei divieti assurdi, quei divieti a saltare addosso alla gente, come se non lo sapesse già da sola che non si può fare al primo appuntamento e quello non poteva essere definito tale nemmeno lontanamente. Eppure le piace fantasticare, fare pensieri zozzi, immaginare le persone come sono al di sotto dei propri indumenti e non deve sforzarsi nemmeno più di tanto con Ric, che è di fronte a lei in boxer, coperta di flanella sulle spalle e degli orrendi calzetti anti sesso, sui cui Pervinca decide di non soffermarsi, giusto per non far crollare l'idea che si è fatta di quell'uomo particolare. Perché sì, le voci girano nel castello ed essendo una Profetessa, lei riesce a percepire anche i sussurri che attraversano i muri. O perlomeno questo è ciò che dice. In realtà, è una prof parecchio amata dalle ragazze, proprio per il suo essere così spicciola, alla mano e ancora sotto i tanto temuti -enta. Per questo sa. Sa parecchie cose sul professor Wilde, pur non essendoci mai stata a letto in prima persona. Se non sono profezie e veggenza queste, lei non riesce proprio a dar loro un altro nome. Ma non divaghiamo troppo. « Ma giuro che sotto i diciassette anni non sono mai andato. Ne sei sicuro? ..Sì, sì, sotto i diciassette anni la mamma non vuole. Cos'è che dicono le voci di me? Spero parlino bene, almeno.. » Sorride, ammiccante, arpionandosi ancora una volta alla vetrinetta alle sue spalle, lasciando che il vetro scuro del suo calice copra le sue labbra finemente truccate. Non fa troppo caso al fatto che sembra avere sempre un costante colloquio con se stesso. Anche a lei capita spesso di farlo, certo, quando è sola in una stanza magari, ma non per questo può biasimare il povero Ric. L'osserva, prendendo tempo, mentre il liquido prende a bruciarle la gola ancora una volta. E' bello, decisamente bello. Fin troppo bello per essere ancora single a trent'anni suonati. I suoi occhi scivolano giù fino alla sua mano sinistra. Nessun anello all'anulare. Strano. Ha come una vivida figura di fronte ai propri occhi. Lì c'era stato un anello, un tempo. Riesce a percepirne il segno, pur non vedendolo con i propri occhi. L'alcool. Tutta colpa dell'alcool e di questa dannata canna che non avresti nemmeno dovuto accenderti. Scrolla la testa, prima di abbandonare il calice sul tavolino e sedersi nuovamente sul divanetto, portandosi entrambe le gambe sotto il sedere, di lato. Si appoggia con il gomito allo schienale, massaggiandosi i capelli sciolti con la mano. «Dovresti sperare che non se ne parli così tanto, magari qualche voce di troppo potrebbe arrivare in posti dove è meglio che non arrivino» comincia, alludendo al preside che non sarebbe stato così felice di venire a sapere come quel vecchio volpone faceva venire alcune studentesse nel suo ufficio. E' in quel momento che realizza che potrebbe averle fatte venire proprio su quel divano. Non si scompone più di tanto, anche se una smorfia le dipinge le labbra. «Ti prego dimmi che hai passato un paio di Gratta e Netta sul tessuto di questo divano, prima che io mi ci sia seduta sopra.» Lo spera anche mentalmente, prima di tornare alla carica con la sigaretta magica lasciata incustodita sul posacenere, fino a quel momento. Le dà giusto una nuova spinta di fiamma, prima di ricominciare a sentire l'odore pungente di erba inondarle i sensi. Ne prende una generosa boccata, portando la testa all'indietro e poi nuovamente dritta. «Ma giusto per farti un favore tra colleghi, a quanto pare sei un grande amatore. Perlomeno per delle ragazzine di diciassette anni.» Un risolino scema le ultime parole, mentre lo stuzzica un po', giusto perché l'atmosfera, la situazione e il loro incontro glielo permettono ampiamente. « E' strano forte, sai? Credo che qualcuno me l'abbia regalato, questo calice. Sono povero, quindi mi ricordo di quelle poche cose che compro e questo sicuro non me lo posso permettere.. Madre dei draghi, eh? Ci stai, davvero. A me hanno sempre accostato agli Estranei, sai, per via degli occhi.. » Annuisce, mentre il fumo le esce dalle labbra. Ha un gran bel paio di occhi. Davvero. Quasi ipnotici, per quanto sono azzurri. Rimane a fissarli per qualche istante, prima di continuare a fumare. «Hai il cuore di ghiaccio, Ric Gli domanda infine, stranamente interessata alla risposta. Non le dava l'idea di essere un completo stronzo. Strano, pazzo, probabilmente con qualche problema mentale sì, ma non un completo pezzo di merda. Le sembra un uomo buono, focoso a letto, magari, anche se è tutto da scoprire quel punto, e forse è anche per questo che si trova nuovamente di fronte quei punti interrogativi a cui non sa dare una risposta. Ma riesce ad interrompere nuovamente il suo flusso di pensieri, con un'offerta allettante. « Hai fame? Ci sono cioccolatini lì dentro. Non so a che gusto siano, ma credo che alcuni siano alla fragola perché sono quasi morto assaggiandone uno l'altro giorno. E non è la prima volta che mi succede! » Cibo. Lei ama il cibo. In effetti è anche un'ottima cuoca, di quelle davvero top player. Roba che Masterchef Uk scansati che mi fai ombra. E le sono sempre piaciute le fragole. Le piacciono tanto a dire il vero e non capisce come sia possibile che quel poveraccio, oltre che povero in canna, single e costretto a farsi cose da solo, sia allergico a quel ben di Dio.

    E' successo di nuovo. Non sa perché è così sbadata da non ricordarsi certe cose, ma è successo di nuovo. Deve aver usato lo stesso coltello che ha usato per tagliare le fragole. Non c'è altra ragione. Fortuna l'antistaminico sempre a portata di mano. O in quel caso, di gamba, sì perché gli ha sparato l'iniezione dritta dritta sulla coscia. Ric ora è tornato di un colorito quasi accettabile. Sicuramente è stato meno male della volta precedente, ma la gola gli si è chiusa allo stesso modo. E lei si è preoccupata, tanto. Credi di essere una brava cuoca e poi cerchi sempre di ammazzare tuo marito. Ma che moglie sei? Non lo sa nemmeno lei che moglie è, sicuramente non una convenzionale. Certo, ha solo venti anni, cosa ci si dovrebbe aspettare da una neo sposa, con un bambino di tre anni a carico, una casa (un bilocale grande come il buco del culo di un ragno) da rassettare e un marito a cui dover guardare costantemente, visto la sua evidente schizofrenia galoppante. Poteva scegliersi un altro uomo da avere al proprio fianco, direte voi. Qualcuno di più semplice da gestire, magari. Ma Pervinca guarda ogni giorno Ric e capisce che non poteva avere altri che lui con sé, per il resto della vita. E in quel momento è con quegli occhi innamorati che lo sta guardando. In preda ad un attacco di nervi, certo, ma solo per aver cercato, involontariamente, di far fuori suo marito per la seconda volta nel giro di pochi mesi. «Sono una stupida, una stupida, una stupida.» Si batte i palmi delle mani contro le tempie, andando avanti e indietro nella piccolo spazio attrezzato a mo' di cucina. Quindi fa due passi in avanti, rigira, ne fa altri due nella direzione opposta, rigira e continua così in modo perpetuo. Ric la guarda con occhi sgranati, tentando di fermarla, senza riuscirci, dato che lei le ringhia contro. La colpa è la sua per averlo quasi ammazzato, ma giustamente quando lui prova a consolarla e confortarla, gli si scaglia addosso, perché le donne sono fatte così. O meglio, così è fatta Pervinca. « Pervy, non è successo niente. Vedi? Sono vivo e vegeto » prova a dirle, allargando le braccia per farle capire che non è arrabbiato e che l'attende lì, per abbracciarla forte. Ma lei non ci casca, o no che non lo fa. Si dirige impettita verso la "sala" - un metro per un metro, circa, dove c'entra soltanto un divano rattoppato alla bell' e meglio -. «Ah sai che non funzionano questi giochetti con me. E no signorino mio. Niente servizi post tentato avvelenamento, non voluto, sottolineerei ancora una volta. Ora non fare la parte della vittima sacrificale che ha bisogno di coccole, perché no, non le avrai. Assolutamente no, nisba, nein. NO.» La voce si alza di qualche ottava, diventando quasi stridula ed è in quel momento che si accorge che l'altalena ha ripreso a muoversi fin troppo freneticamente. Si è dimenticata di prendere i medicinali, ancora una volta. Forse in realtà sono anche finiti e non hanno abbastanza soldi per prenderne un altro flacone. Si accascia sul divano, sommersa dal tumulto di sentimenti che sta provando. Affranta per essere uno schifo di moglie, uno schifo di donna, un essere insopportabile da avere al proprio fianco. «Scusa.» Finisce sempre così, lei che è tranquilla, lei che fa scenate per cose esistenti soltanto nella sua testa, lei che si intristisce e infine lei che chiede perdono per essere così difficile. «Ora so che te ne andrai e lo accetto, è giusto. Non puoi voler continuare a stare con me che ti rendo sempre tutto così complicato.» Continua a blaterare in preda al panico, mentre si sente pungere gli occhi dalle lacrime che vorrebbero uscire, ma che non lo fanno. E' forte quando vuole e in quel momento non vuole piangere. «Sai che faccio adesso? Ora chiudo gli occhi, conto fino a tre, così tu hai tutto il tempo per andartene, senza che io possa vederti e soffrirne ancora di più.» Socchiude le palpebre, cominciando la conta con le dita. Uno. Non sente nessun rumore. Due. Percepisce un frusciare alle sue spalle e il tessuto del divano abbassarsi sotto il peso di un'altra persona. Tre. Le sue labbra si modellano sopra quelle di Pervinca per appena qualche secondo. Lei apre gli occhi, ormai completamente velati. Lo guarda e lui la guarda di rimando, tenendole il viso tra le sue dita, che sembrano essere così fragili in quel momento. « Non devo essere stato abbastanza chiaro, in passato, non è così? Io non ti lascerò. Mai. » Deglutisce, Pervinca, sentendo che quelle parole riescono a sciogliere il peso che ha all'altezza del petto. Gli sorride, infine, piagnucolante com'è, tirando su con il naso, mentre lui continua a prendersi cura del suo viso, carezzandoglielo. « Sei proprio matta, tu. » Un sorriso smaliziato compare sulle labbra della ragazza, mentre si avvicina di nuovo al volto di Ric. «Che dici, facciamo i matti insieme?» Uno sguardo d'intesa che vale più di mille altre parole.

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    Si ficca in bocca il primo cioccolatino che le capita a tiro, sentendo il forte bisogno di qualcosa di dolce per compensare quel senso di vuoto che la sta avviluppando fin troppe volte quella sera. Cioccolato e pistacchio, davvero delizioso. - è davvero un coglione. Di quelli proprio stratosferici! Hai presente? Tipo che ne so..Tipo Joffrey Lannister, ecco. Tu mica gliel'hai fatto il servizietto d'addio, vero? » Ridacchia, decisamente lusingata di quel complimento velato sotto mentite spoglie nerd. Lo guarda per qualche secondo, per poi sciogliere l'intreccio delle gambe e riportare i piedi a terra. «Signor Wilde, vuole forse farmi capire qualcosa?» Gli chiede, portandosi una mano proprio sopra il cuore, come a fargli capire quanto fosse colpita da quel suo interessamento inaspettato. «E' per caso, non so, geloso di quello che potrei o non potrei aver fatto a quel menomato mentale?» Sorride, portandosi nuovamente il filtro alle labbra, prima di cominciare a provare un'inaspettato caldo. Deve essere tutta colpa di quell'intruglio che sta assumendo, perché senza chiedere il permesso, comincia a sbottonarsi la camicetta, fino a metà petto, così da lasciare intravedere il piccolo tatuaggio che ha proprio sopra il seno sinistro. « Comunque, per rispondere alla tua domanda.. In realtà nessuna mi ha lasciato a stecchetto, ultimamente. Cioè quando voglio trovo sempre dove andare, è solo che a volte mi sento come se..Come se mi mancasse qualcosa. Come se dietro le tette di una bella ragazza non ci trovo ciò che in realtà cerco, capito? Non so spiegarmelo, ma è così. Forse sono semplicemente sempre troppo fatto quando vado a letto con qualcuna e mi immagino cose che non dovrei immaginare. Va beh, scusa, tu già sei triste di tuo, io ti aggiungo le mie stronzate! » Lo guarda inclinando la testa sopra la mano che tiene poggiata sopra lo schienale. Si è sentita così anche lei a volte. A dir la verità, più di qualche volta. Come se le mancasse una ragione di vita, il vero punto focale della sua intera esistenza. Insomma, ha ventisette anni e non uno straccio di fidanzato con cui stare sotto le coperte durante una serata di neve, con cui passare le vacanze di Natale, da presentare alle cene di famiglia - anche se questo punto non è più nella lista di Perv delle cose da fare da molto tempo -. Ci sono delle volte che si sente sola, quando si rigira nel letto del tizio conosciuto qualche sera prima giù ai Tre Manici di Scopa. O peggio dopo essere stata con un ragazzino di appena venti anni, che alla sua vita non aveva altro da darle che non il semplice vigore giovanile, mischiato all'inesperienza immatura. E' incuriosita dalle sue parole però, si sente capita, perciò si trova ad essere affascinata da quel suo ragionamento contorto. «Dovrei chiederti scusa in anticipo per questo, ma in realtà voglio davvero farmi gli affari tuoi. Perché sei ancora solo? Non sei sposato, presumo tu non abbia una ragazza. Perché non sei alla ricerca di quel qualcosa che ti manca?» Chiede senza fare troppi giri di parole, finendo a sua volta la sigaretta. La spegne con cura, strofinandola sul fondo del portacenere, prima di tornare a guardarlo. Distratta da quei laghi cristallini che ha al posto degli occhi. Si sente la testa leggermente pesante, ma al tempo stesso stranamente leggera. «Cos'è che ti immagini quando sei a letto con qualcuna?» La domanda esce con leggerezza dalle sue labbra, come se colui al quale è rivolta non è un uomo appena conosciuto, ma un amico di vecchia data. Un qualcuno che torna dal suo passato. E' curiosa di conoscerlo di più e un po' più a fondo. Poi i suoi occhi cambiano. Il suo sguardo si fa più intenso, la sua voce più profonda e sensuale. Pervinca si ritrova a sentire un caldo scenderle verso il basso ventre, mentre Ric si fa più audace e astuto, sotto i suoi occhi. « Allora cos'è che dicevi riguardo l'organizzarci per scopare tutti? Io ci sto a prescindere.. » Sente il proprio corpo protendere verso di lui, pendendo letteralmente dalle sua labbra. Si morde appena il labbro inferiore, già pregustando le cose che le avrebbe fatto da un momento all'altro, quando la sua espressione cambia di nuovo. Infantile, sguardo vivace. « Voglio abbracciarti. Posso abbracciarti? » Pervinca sgrana gli occhi, leggermente confusa. A che gioco sta giocando? Prima la vuole scopare, poi le chiede di abbracciarla? Solitamente allo step coccole si arriva soltanto dopo il sesso e solitamente Pervinca riesce ad evitarle, abbastanza elegantemente. Indietreggia con il sedere, spingendosi verso il bracciolo che ha alle sue spalle. «Non ci prov-, no. Preferirei di no.» Lo liquida, cercando di mantenere il tono sostenuto, mentre cerca ancora di capire come sia possibile un cambio così improvviso di desideri. Chessò, magari è bipolare pure lui. Che ne dici? Potrebbe essere. Lo guarda accigliata, per qualche istante, prima di decidere di usare la tattica inversa. Scivola verso di lui, dando bella mostra di sé. Lo fissa negli occhi, quel giusto lasso di tempo che sa bastare per mandare in tilt il cervello di ogni uomo. La sua mano si allunga a prendere la sua, prima di risalire fino al polso. Rimane in silenzio, qualche istante, sorridendo appena. «Perché ti batte così forte il polso, Ric?» Domanda, lanciandogli un'occhiata da sopra la propria spalla. «Ti innervosisce la mia presenza, forse?»
     
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    «Dovresti sperare che non se ne parli così tanto, magari qualche voce di troppo potrebbe arrivare in posti dove è meglio che non arrivino» Fa una smorfia in risposta a quelle parole, stringendosi appena nelle spalle e rimanendo in silenzio per qualche istante, lo sguardo perso nel vuoto, come se la prospettiva di venire scoperto si sia palesata ai suoi occhi soltanto in quel momento. Per un attimo le voci nella sua mente si zittiscono completamente, lasciandolo soltanto in compagnia di una razionalità di solito ben nascosta. Aveva bisogno di quel lavoro, Alaric, e sì okay si lamentava ogni giorno della paga che non gli bastava mai (perché, guarda caso, la spendeva quasi completamente in alcool e droga) e del fatto che i suoi studenti fossero delle capre ma..Gli piaceva. Hogwarts riusciva a tranquillizzarlo, seppur non riuscisse a capire perché. Era stata quella la sua casa, quando aveva deciso di scappare dalle grinfie di una madre pazza. Ma non era questo il punto. Sapeva che c'era qualcos'altro sotto, un ricordo ben più profondo e che aveva fatto parte di lui per tanto tempo ma che, per chissà quale motivo, non riusciva proprio a richiamare alla propria memoria. Lo sguardo si posa automaticamente su Pervinca, distraendolo. E' lì, poggiata a quella vetrina. Si è versata altro whiskey incendiario nel bicchiere, canticchiando un motivetto ad Alaric sconosciuto e agitando i fianchi in un balletto improvvisato.
    "Smettila di guardarle il culo"
    "Una radiografia sarebbe più discreta del tuo sguardo"

    Lo distoglie immediatamente non appena la donna si rigira verso di lui, sorridendo e passandosi una mano tra i capelli, stringendoli e tirando un po' per fare un dispetto ad una delle tante personalità che vivono nella sua testa. Pervinca si risiede sul divano, passandosi una mano tra i capelli sciolti ed osservandolo. «Ti prego dimmi che hai passato un paio di Gratta e Netta sul tessuto di questo divano, prima che io mi ci sia seduta sopra.» Inarca entrambe le sopracciglia, preso alla sprovvista da quelle parole. La sincerità di quella ragazza lo sorprende ogni minuto che passa. Ma gli piace, gli piace eccome. Fin ora Alaric ha sempre avuto a che fare con donne fin troppo..Com'è che si dice? Pudiche. Ricorda ancora tutte le volte che le guance della sua analista si sono tinte di rosso durante le sue sedute terapeutiche.
    « Tranquilla, sono a secco da un bel po', quindi direi che il divano è fuori contaminazione! Almeno per ora. » Asserisce, ridendo e lasciando che quel doppio senso aleggi tra di loro morbidamente. In realtà non è poi tanto sicuro. E' sempre troppo fatto quando si porta qualcuno a letto, e spesso tende a confondere la realtà coi sogni. Perché sì okay, l'avete scoperto, di sogni erotici ne fa eccome. A dirla tutta e se proprio vogliamo essere sinceri sono più quelli i sogni che fa che altro ma..Okay, non apriamo questo argomento. Pervinca continua a fumare, ed Alaric si ritrova per l'ennesima volta in quella giornata ad osservarla in silenzio. Non so se si è capito, ma non è mai stato un tipo di poche parole. O quanto meno, dipende dai casi e da chi decide di prendere possesso della sua mente in un particolare momento, ma al di là di questo ha sempre avuto un animo un po' molto pettegolo. «Ma giusto per farti un favore tra colleghi, a quanto pare sei un grande amatore. Perlomeno per delle ragazzine di diciassette anni.» La provocazione di lei giunge forte e chiara, ma non si offende. Cioè, non del tutto almeno. "Dennis non rompere" Gli piace tutto questo. Quella confidenza che si è instaurata tra di loro sembra così..familiare. In questi mesi ad Hogwarts non ha ancora legato con nessuno. Beh a parte qualche studente al quale ha gentilmente chiesto erballegra gratis (abuso di potere, questo sconosciuto), ma di quelli talvolta neanche ricorda il nome. Non ha amici, Alaric, non ha nessuno ad aspettarlo in ufficio o a casa quando finisce il turno di lavoro o iniziano le vacanze di Natale. E' sempre stato solo, in questo periodo -per quanto solo possa essere uno schizofrenico con una ventina di coscienze diverse residenti nella propria testa- e deve dire che in un certo senso si è pure abituato cominciando a farselo piacere. Ma Pervinca sembra aver spezzato quell'equilibrio. Forse potranno diventare ottimi amici un giorno, chissà.
    « Suvvia, al giorno d'oggi ci sono ragazzine di diciassette anni con più esperienza di donne trentenni. » Ricambia la sua provocazione, con sguardo malizioso ed anche un po' impertinente. Ovviamente, le sue parole non corrispondono al vero. Pervinca gli dà l'impressione di essere una donna che sa. E' elegante e femminile, ha delle curve mozzafiato ed uno sguardo capace di spogliarti in due battiti di ciglia, e poi quel sorriso..Si ritrova a fantasticare cose che non dovrebbe neanche lontanamente pensare di una donna appena conosciuta. "Non pensare certe cose Alaric, ti ricordo che sei in mutande." Si morde il labbro inferiore, percependo un leggero calore alle guance: sta arrossendo di nuovo. Sente qualcuno ridere di lui in un eco lontano ed è costretto a chiudere gli occhi per qualche secondo, con una mano poggiata sulla tempia destra a fare pressione, per farlo smettere. Prende un lungo respiro, e solo allora riapre gli occhi. Pervinca è ancora lì, strano che non sia ancora scappata. «Hai il cuore di ghiaccio, Ric?» Ric, quel soprannome gli piace. Sorride a quella domanda, limitandosi a piegare un angolo della bocca. Scuote appena la testa, lentamente. Non si è mai definito un uomo dal cuore di ghiaccio..Beh seppure ancora a trent'anni suonati non abbia neanche uno straccio di fidanzata. Gli piacerebbe averla, ma non è colpa sua se non la trova. Beh forse un po' colpa sua è, ma dettagli..
    « Mi piacerebbe risponderti di sì ma..No. Ahimè, credo tutt'altro! E tu? » Non gli sembra troppo una mangiatrice di uomini. Decisa, forte, ed anche parecchio esperta sì, ma non una stronza. Chissà, forse ha già donato il suo cuore a qualcuno in passato, appartenendogli. Un leggero senso di invidia si espande in lui, e ciò lo costringe a distogliere lo sguardo dal viso di lei per piantarlo in un angolo non ben definito della spalliera del divano. « Signor Wilde, vuole forse farmi capire qualcosa? E' per caso, non so, geloso di quello che potrei o non potrei aver fatto a quel menomato mentale? » Quella domanda giunge proprio nel momento giusto. La guarda, mentre lei si poggia una mano sulle "tette" -cuore, si dice cuore Alaric. "Okay, sì, cuore." Borbotta qualcosa di indefinito per qualche secondo, decisamente a disagio, poi tutto culmina in una risata. « Beh no, intendevo che non si sarebbe meritato qualcosa di questo genere dopo come si è comportato ma..Sì okay forse un po' invidioso lo sono. » Rivela, palesemente rassegnato al fatto che non riesca ad essere pudico in sua presenza neanche per cinque minuti di fila. "Ah, quante cose potremmo fare con lei in cinque minuti..." « Oh andiamo! » Mormora, palesemente infastidito. Alza un braccio, pronto a darsi l'ennesimo schiaffo sulla fronte, ma rimane bloccato, col braccio a mezzaria. Pervinca si sta sbottonando la camicetta. Pervinca. Camicetta. Sbottonando. Implode. Lo sguardo gli cade proprio laddove non dovrebbe, senza che abbia la forza di poter fare altro. Rimane ad ammirare quel ben di Dio per svariati minuti di imbarazzante silenzio, fin quando una piccola macchia nera non attira la sua attenzione. Stringe un po' gli occhi per poter decifrare meglio, è un tatuaggio. "Ric" no, aspetta, "Ricca di pazzia" un momento...è di nuovo "Ric". Spalanca gli occhi, battendo poi numerose volte le palpebre. Torna a guardare, ed è Ricca di pazzia la scritta definitiva. Non sa cosa sia successo, ma quel piccolo tatuaggio continuava a cambiare forma sotto i suoi occhi. Di allucinazioni Alaric ne aveva tante, ma questa non sembrava una di quelle.

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    « Hey, nano, hai visto la mamma? » Entra in cucina, passandosi una mano tra i capelli spettinati. Un classico esemplare di Alaric Irvin Wilde nella sua forma base: boxer grigi, canottiera, sigaretta in bocca, piedi scalzi. Si aggira quasi sempre per casa in quella maniera, specialmente d'estate. Frodo è nel suo box, immerso da tutti quei peluche che Alaric è riuscito a..avere quella volta che sono andati al baby park ed ha preso a testate la macchina dei pupazzi. Lo guarda con i grandi occhi celesti, senza dire una parola. Alaric sospira, facendo un cenno con la mano.
    « Scusa, hai ragione, non sai ancora parlare » Mormora, aprendo uno sportello ed agguantando una bottiglia di Gin. La solleva per poter bere, chiudendo gli occhi ed aspettando che il nettare gli arrivi in bocca, ma niente. « Maledizione, è finita anche questa. » Si lamenta, buttando la bottiglia dentro il lavandino con un gran fracasso. Sussulta, preso alla sprovvista da tutto quel rumore, ed immediatamente si volta verso il bambino che, fortunatamente, sembra non averci fatto molto caso. E' un marmocchio calmo, il nano, tanto che a volte si dimentica persino della sua esistenza (ma questo magari ai servizi sociali non lo diciamo) ma quelle volte che inizia a piangere non c'è angelo sulla terra che riesca a farlo calmare. Beh, a parte sua madre. Che a proposito dove diavolo si è cacciata?
    « Dovresti cominciare, sai? Se non sai parlare poi come le conquisti le ragazze? Non puoi andare subito in terza base, prima devi quanto meno dir loro qualcosa... » Si siede per terra, proprio di fronte a suo figlio. Lo guarda attentamente, ed un sorriso sincero si palesa sul suo volto scarno. Ha lo stesso sorriso di sua moglie. « Forza, ripeti con me: cazzo » Nessuna reazione da parte del bambino che, dal canto suo, si limita a fissarlo con sguardo confuso. « Non si dice? Sì okay, ma stai tranquillo che alle ragazze l'uomo volgare piace. ..Cioè, a tua madre quanto meno credo piaccia. Ma dove diavolo è? » Si guarda attorno, scuotendo appena la testa con una smorfia, poi si alza, e, solo dopo aver dato un bacio sulla fronte a Frodo, si dirige verso il bagno. Si cala a raccogliere un' asciugamano da terra, per poi poggiarla sul lavandino.
    « Alaaaaaric! » Un brivido gli sale lungo la schiena, mentre gira la testa di scatto in direzione dello specchio. E' lì, lo sta fissando. Quegli occhi di ghiaccio lo trapassano, impedendogli quasi di respirare. Indietreggia, spaventato, voltandosi verso la porta per scappare via da lì, ma prima che possa fare anche solo un passo, quella si richiude da sola, sbattendo con violenza. Cerca di riprendere il respiro, mentre il cuore inizia a battere così forte da fargli quasi male.
    « Cosa vuoi? Vattene. » Sussurra a denti stretti, tenendo gli occhi chiusi. Non ha abbastanza coraggio per riguardare verso lo specchio. Sa che è ancora lì, e lo sta aspettando. « Lei non c'è, vero? » Scuote il capo, pressando le mani su entrambe le orecchie, tanto forte che riesce quasi a sentire il sangue che pulsa attraverso. La testa gli fa male, inondata per com'è da un migliaio di voci. Indietreggia ancora, sbattendo contro il muro. La sua schiena aderisce alle mattonelle, mentre alza lo sguardo verso lo specchio. E' in trappola. « Ti ha lasciato, era ora, mi domandavo quanto avrebbe resistito alla tua pazzia.. » Alaric lo guarda al di là del vetro. Ha gli occhi cerulei, cerchiati di viola. Il volto scarno ed un cipiglio malvagio a sfregiarne i lineamenti duri. « Non sono pazzo. » digrigna i denti, ma la sua voce non è abbastanza decisa. E questa sarà la sua condanna. « No, hai ragione. Non sei pazzo, stai solo parlando con te stesso. Ma non sei pazzo.. » Sorride l'uomo dello specchio, ed Alaric piega la testa di lato, chiudendo nuovamente gli occhi e poggiando entrambe le mani sul lavandino. Alza il capo, incontrando quei due cristalli. « Vattene. » Sibila. « Come se n'è andata lei, mhm? Ti ha lasciato, ti ha lasciato! » Una risata riecheggia attraverso la stanza, a perdifiato, cantilenante. Inizia a scuotere la testa, Alaric, pressando nuovamente le mani sopra le orecchie, staccandosi dal lavandino ed indietreggiando. Sbatte contro la porta. Tutto inizia a tremare, mentre tenta in tutti i modi di far smettere quelle risate, che sembrano però moltiplicarsi ogni secondo che passa. Scivola contro il legno della porta, cadendo per terra ed osservando la stanza che lo circonda, pronta al collasso. Alcuni oggetti stanno levitando, oscillanti. Una crepa deforma il suo volto ancora riflesso nello specchio. « No no no.. » Mormora, sta succedendo di nuovo. Si sente irrequieto, spaventato, diviso. Presto tutto esploderà in un migliaio di frammenti informi, compresa la sua coscienza. Sta per oltrepassare il limite, lamentandosi e stringendo con forza i capelli, tirandoli.
    « Ric dove sei? » una voce a spezzare il caos. Alza la testa di scatto, mentre tutto precipita al suolo in un rumore sordo. Si alza velocemente, dando un'occhiata allo specchio: vi è ancora una crepa che lo divide, proprio al centro, ma adesso riesce a riconoscere sè stesso nel viso deformato al di sotto della stessa. Apre la porta con forza, precipitandosi all'ingresso, andando a sbattere direttamente contro sua moglie. « Si può sapere dov'eri?! » Le urla quasi contro, stringendo i pugni e tentando di riprendere a respirare in maniera regolare. Lei è lì, non c'è più nulla da temere. Pervinca lo guarda con espressione confusa. Indossa un paio di jeans stretti, i capelli legati in una coda di cavallo che le scende sinuosamente lungo la spalla sinistra, le labbra perfettamente dipinte di rosso. « Che ti prende? -..Un momento, tutto bene? » Il tono di lei è preoccupato, e ciò lo fa sentire in colpa. A volte è stanco di essere..sè stesso. Alaric il pazzo, Alaric il bisognoso di attenzioni e cure. Forse l'uomo dello specchio aveva ragione, prima o poi Pervinca si sarebbe stancata della sua follia. « Io.. » Mormora, passandosi una mano sulla fronte per scostare alcune ciocche di capelli. « Ho combinato uno schifo in bagno » Si limita a dire, buttando fuori una grossa quantità d'aria dai polmoni. Sua moglie lo guarda per qualche istante, in silenzio. Uno sguardo che vale più di mille parole: lei sa. « Non hai centrato la tavoletta al solito tuo? » Decide di sdrammatizzare, con un sorriso e dal canto suo Alaric ridacchia, annuendo. « Sì, beh, quello anche... Hey, cos'hai lì? » Solo in quel momento si accorge di un cerotto su di un seno della ragazza. Corruga le sopracciglia, allungando una mano. Lei gli impedisce di toccarla con uno schiaffetto. « E' una sorpresa, dovrai aspettare, cowboy! » un risolino aleggia nell'aria, mentre gli passa accanto diretta verso la cucina. Ma Alaric le impedisce di fare anche solo un altro passo, perchè in un gesto secco la tira a sè, stringendola forte tra le braccia, affondando il viso tra il suo collo e la spalla sinistra. Sa che lei odia gli abbracci, e che presto inizierà a divincolarsi, quindi la stritola ulteriormente, come se non volesse più lasciarla andare. « Mi sei mancata così tanto. »

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    « Quando lo hai fatto quel tatuaggio? » Domanda, con quella strana sensazione che non ne vuole proprio saperne di lasciarlo in pace. « E' sempre stato così? Intendo, la scritta è stata questa sin dall'inizio? » Sa di aver indirettamente ammesso di averle fissato le tette per tutto quel tempo, ma poco gli importa. Ha uno strano bisogno di risposte. E di fumo. Sì, decisamente. Si allunga per prendere un'altra sigaretta dal tavolino, accendendo anche questa con una certa maestria ed ispirandone il fumo a pieni polmoni. Ora sì che va meglio. «Dovrei chiederti scusa in anticipo per questo, ma in realtà voglio davvero farmi gli affari tuoi. Perché sei ancora solo? Non sei sposato, presumo tu non abbia una ragazza. Perché non sei alla ricerca di quel qualcosa che ti manca?» Fa una smorfia, preso alla sprovvista da quelle parole. A dirla tutta non sa nemmeno lui cosa gli manca. Per anni quegli psicologi del cazzo in quella clinica del cazzo hanno cercato di capirlo, senza ottenere alcun risultato. Probabilmente si tratta soltanto della sua malattia, che non gli permette di adattarsi a nulla. « Sono malato, e credo sia questo il motivo. Sai ho un problema..Dentro la testa. Anche se credo tu lo sappia già. Sì insomma lo so cosa dicono gli studenti di me, che sono pazzo e parlo da solo. Ma non mi arrabbio per questo, perchè sì, hanno ragione. Mi hanno anche rinchiuso in una clinica psichiatrica per un po', ma non sono riusciti a sistemare un cazzo qua dentro. » Si indica la fronte con la mano destra. « Credo che le ragazze abbiano paura di me, più tempo passano in mia compagnia più si accorgono di quanto io sia guasto, per questo non riesco a mantenermi una fidanzata per più di una settimana. Quindi come posso cercare quel qualcosa che mi manca se già so mi sarà impossibile trovarlo? » Si stringe nelle spalle, come se ciò che sta dicendo fosse la cosa più normale del mondo. Come se dalle sue parole non stesse trasparendo il terribile stato di solitudine entro il quale si ritrova a sopravvivere ogni giorno. «Cos'è che ti immagini quando sei a letto con qualcuna?» "E' tipo una di quelle domande a trabocchetto, Alaric, stai attento." Scuote la testa, ridendo appena. « Mi immagino che ci sia qualche donna destinata per me là fuori che non è la ragazza che ho dentro il mio letto in quel momento. Sono certo che esiste già, ma non riesco proprio a capire chi nè dove sia. ..Ma, toglimi una curiosità, come mai tutto questo interessamento per la mia vita sentimentale? Vuole forse farmi capire qualcosa, signorina Branwell? » La punzecchia a sua volta, con un sorriso divertito. Lei nega il suo abbraccio, poi, quasi contraddicendosi da sola, scivola verso di lui. Per poco la sigaretta non gli cade dalla bocca mentre la osserva muoversi sinuosamente in sua direzione, facendo bella mostra delle sue doti, sempre più vicina. Lo guarda per qualche istante, con uno sguardo che gli manda in cortocircuito il cervello. Di colpo gli manca il respiro, mentre sente uno strano calore crescergli dentro. La desidera. Poi, lei fa qualcosa di inaspettato: lo tocca all'improvviso. Dapprima la mano, poi gli stringe il polso tra due dita. «Perché ti batte così forte il polso, Ric? Ti innervosisce la mia presenza, forse?» Caos. La chiamano Afefobia, la paura del contatto fisico. Alaric ha sempre negato di averla, perchè di persone ne ha toccate nella sua vita. Eppure ogni volta che qualcuno lo sfiora senza alcun preavviso, improvvisamente, precipita nel delirio più totale, senza neanche accorgersene. Spalanca gli occhi, fissi sulla mano di lei stretta al suo polso, irrigidendosi. Rimane in silenzio, mentre la sua testa viene inondata da un tumulto incomprensibile di voci. Il suo sguardo si fa assente per qualche istante, mentre un miscuglio di emozioni si dipinge sul suo volto. Vorrebbe urlare, ridere, accogliere quel contatto, respingerla. Prova paura, gioia, desiderio, rabbia tutte assieme. All'improvviso, però, quel pandemonio viene spezzato da un sorriso. Le sue labbra si piegano appena, mentre con la mano libera aspira nuovamente dalla sigaretta e rigetta il suo sguardo sul volto della donna. Qualcuno sembra aver preso in mano la situazione, e quel qualcuno non è Alaric. Si scrolla la coperta da sopra le spalle, scoprendosi completamente. « No, affatto. » Sibila, poggiando la mano libera su quella di lei e rigirandola per poterla guardare. « Allora, Pervinca..Direi che è il mio turno per le domande, mhm? Cosa ci fa una donna come te ad insegnare a dei ragazzini? » La voce è roca e bassa, mentre si libera dalla presa di lei per percorrerle le linee della mano con l'indice. « Ricca di pazzia eh..Cosa nascondi, Pervinca? » Sorride ambiguamente, avvicinandosi ulteriormente a lei, tanto da sfiorarle appena le labbra con le proprie. Aspira ulteriormente dalla sigaretta, soffiandole il fumo sul viso con fare mellifluo. Si morde il labbro inferiore, tremendamente vicino alla bocca di lei, ma non la bacia, seppur il desiderio di impossessarsi di quelle labbra carnose e scarlatte sia forte. « Non hai nessun uomo ad aspettarti a casa? Non appartieni a nessuno? Beato chi ti possiederà un giorno.. » Le lancia un'occhiata priva di qualsiasi vergogna, come se la stesse spogliando con gli occhi. Il suo indice scende dalla mano di lei per poggiarsi sulla sua coscia. La percorre con un movimento lento e sinuoso, allargando tutta la mano, salendo sempre di più sino a giungere all'orlo della gonna. A quel punto si avvicina al suo orecchio sinistro, sospirando rumorosamente. « Con un corpo del genere potresti avere tutto ciò che desideri. Ma ti costringono a coprire tutto questo ben di Dio con queste divise, quì... » Allarga tutte le dita, scivolando lentamente verso l'interno della coscia, ma, ormai prossimo a sfiorare il proibito, la scosta, alzando la gonna sino a scoprirle buona parte delle gambe. « Direi che così va meglio. » Con la mano libera si sfila la sigaretta dalla bocca, per poterle lasciare un fugace ma bollente bacio sul collo. « E tu, Profetessa, hai paura di me? »
     
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    Tutta quell'intera situazione riesce a rilassarla. Stranamente. Lei non lo è mai, o quasi mai. La malattia che ha la rende irrequieta, in ogni senso possibile. Quando si ricorda di prendere le medicine riesce a tenere tutto sotto controllo, più o meno. Solitamente l'interferenza di droghe e alcol non aiutano, ma riesce a controllarsi abbastanza bene, mantenendo un profilo basso, ragionevole nei limiti del possibile. Quando non si ricorda di prenderle, beh, sperate di non trovarvi nel suo raggio d'azione, perché diventa in tutto e per tutto una mina vagante. Una trottola impazzita che sa contro chi o cosa potrebbe schiantarsi, mandando tutto in mille pezzi. Quella sera le ha prese, fortunatamente o sarebbe stata costretta a dare una cattiva prima impressione di sé e non è questo ciò che vuole. Sente che tra matti può essere compresa, certo, lei ne ha qualcuna in più di lui nel cervello, ma il fatto di non essere l'unica in quella stanza a dire, fare e pensare cose strane la rassicura. Giusto un pochino. « Tranquilla, sono a secco da un bel po', quindi direi che il divano è fuori contaminazione! Almeno per ora. » Coglie nel suo sguardo la scintilla d'allusione e ne è piacevolmente compiaciuta. Non sa se quella sia una delle sue tattiche abitudinarie, ma il semplice fatto che si proclami così sicuro di sé la fa salire di giri. Letteralmente. E' costretta a sciogliere le gambe, per poi accavallare nel senso contrario. La sinistra sopra la destra, lasciando che il piede dondoli in solitaria a mezz'aria. «Ahia, se hai il motore spento da un bel po' non sono certa di volerlo riaccendere io. Sai com'è, magari si inceppa, il carburante è poco e il viaggio si rivela essere estremamente corto. Non vorrei rimanere delusa e non riuscire più a guardarti in faccia per il resto della mia permanenza qui al castello.» Gli sorride, affabile, cercando di trovare una falla in quel sistema ben organizzato con cui sembra essere costruita la facciata di Alaric. In realtà ne legge dei segnali contrastanti. Vi è sicurezza, timidezza, presunzione ma subito dopo ingenuità. Comincia a pensare che sia tutta colpa dell'alcol, non è possibile provare tutte quelle emozioni nell'arco di un nano secondo, ma poi si accorge dell'assurdità di quel pensiero. Lei è la prova vivente di ciò che può accadere con una sana malattia al cervello. « Suvvia, al giorno d'oggi ci sono ragazzine di diciassette anni con più esperienza di donne trentenni. » Corruga leggermente le labbra, in una smorfia incuriosita. Curiosità scaturita da quelle parole. Riesce a percepire lo schiaffo deciso che le è arrivato in faccia, con quel guanto di sfida che alberga nei suoi occhi vispi. Ci si perda dentro qualche secondo, allungandosi nuovamente verso il tavolo, per poi riportare alle labbra il bicchiere. Lo studia per qualche secondo, nascosta dietro il calice. Le è sempre più chiaro il fatto che a quel gioco ci sanno giocare entrambi. Un botta e risposta continuo che serve ad entrambi a conoscersi un po' meglio, entrarsi più in profondità, senza nemmeno sfiorarsi. Si passa la lingua sopra i denti, per rendergli evidente quanto sia stata toccata dalla sua ultima affermazione. Non lo è davvero, ma sa di aver un bel poker di assi in mano e vuole far arrivare Alaric a quella consapevolezza step by step. Partendo dall'ignoranza più totale. «E' evidente che tu non abbia incontrato mai le giuste persone.» Ribatte risoluta, mandando giù un nuovo sorso, prima di ascoltare la sua domanda. Hai un cuore di ghiaccio, Pervinca? Scruta dentro se stessa, alla ricerca di una risposta che non riesce a trovare. La verità è che non ne è certa. Il vuoto che spesso si crea dentro di lei riesce a farle credere che un giorno, anni prima, era innamorata, follemente innamorata. Fa dei sogni a volte, sogni di un uomo di cui non riesce a vedere il volto, troppo illuminato dalla luce alle sue spalle. Le sorride, la bacia sul collo, le sfiora le labbra con le proprie. Sogni di un bambino biondo, che le corre intorno alle gambe, vispo e spedito. A volte pensa che siano delle visioni, visioni imperfette di quel buco nero che cala minaccioso sul suo passato. Altre volte invece si dà soltanto della pazza visionaria, fin troppo romantica per riuscire a rimanere con i piedi per terra. La verità è che non sa come si fa. O non lo sa più. Il suo non è il problema che ha dentro la testa, è il problema che le blocca il petto. «Non credo di essere mai stata innamorata.» Mente, roteando il bicchiere di fronte ai propri occhi. Il liquore al suo interno gira, seguendo il movimento del suo polso, lasciandosi sfuggire qualche goccia di tanto in tanto, che si va a depositare sul palmo della sua mano. Se l'avvicina, posandovi le labbra sopra, catturandone una ad una con la punta della lingua, prima di riprendere a bere. «Non che questa sia una vera risposta alla tua domanda, lo so. Se mi chiamavano Daenerys un motivo ci sarà, non credi? Il fuoco fa parte di me.» D'improvviso il suo sguardo si rianima di vivacità, lasciando che quell'alone di tristezza si dilegui, almeno per qualche altro minuto. « Beh no, intendevo che non si sarebbe meritato qualcosa di questo genere dopo come si è comportato ma..Sì okay forse un po' invidioso lo sono. » La lingua produce un sonoro schiocco contro il palato, dopo essere riuscita ad estirpargli almeno una di quelle piccole verità dietro cui sembra nascondersi. Gli sorride, ancora una volta, lasciando che il discorso scivoli loro addosso, lentamente. E' imbarazzato, le piace quel tono caldo di porpora che è andato a crearsi sulle sue gote, ma non vuole continuare su quella strada. Non è mai bello sentirsi a disagio. E' bello stare dall'altra parte, quando si ha il coltello dalla parte del manico, ma quando si ha la lama puntata contro, beh, non è altrettanto bello. E sente di non volerlo torturare più del dovuto. In generale lo fa, ma non questa volta. « Quando lo hai fatto quel tatuaggio? » Non si aspetta questa domanda e di colpo viene risvegliata dai suoi pensieri. Lo guarda con gli occhi spalancati, quasi come a tradire il fatto che non sa di cosa lui stia parlando. Poi segue il suo sguardo, che va a ricadere sopra il suo seno, leggermente scoperto, dopo aver sbottonato la camicetta. Vi passa l'indice sopra, sfiorandolo delicatamente, come a cercare di ricordare i bei momenti andati. « E' sempre stato così? Intendo, la scritta è stata questa sin dall'inizio? » Ancora una volta è la sorpresa a palesarsi sul suo volto. Gli occhi scivolano dai suoi al tatuaggio, per poi tornare a lui. Aggrotta leggermente la fronte, non riuscendo a capire dove vuole arrivare. Ma che razza di domande sono? «Quando ero più giovane e stupida.» Risponde asciutta, seguendo il profilo del tatuaggio, per cercare di ricordare. Ma ancora una volta trova una resistenza, un muro che si oppone alla sua insistenza. Un cassetto chiuso. A due, tre, quattro mandate. Storce la bocca e finge di rilassarsi, mentre dentro di sé ha un oceano in tumulto. «Sì, direi che sono piuttosto sicura di questo punto. Insomma, perché mai avrei dovuto cambiarlo?»

    Sono giorni che non prende le medicine. Sa che non va bene, né per sé, né per quel povero esserino che non ha colpe per essere venuto al mondo in una famiglia tanto disastrata. La colpa è tutta di quel pezzente di Alaric. Per una volta si ritrova ad essere d'accordo con sua madre. Non avrebbe mai dovuto scappare con lui, non avrebbe mai dovuto sposarlo. Non avrebbe mai dovuto permettergli anche solo di toccarla. Si sente tradita, umiliata, incazzata come una belva a cui non viene dato da mangiare da giorni, mentre cammina lungo il muro di quel marciapiede. I tacchi dei suoi stivali sono più rumorosi e fastidiosi del solito, tanto da riuscire ad innervosirla ancora di più, se fosse possibile. Si guarda riflessa sulle vetrine dei negozi. Sul salone di bellezza appare una donna forte e sicura di sé, con un sorriso seducente. Sulla finestra della farmacia, poco più avanti, vi sono le sembianze di una donna distrutta, spezzata, dal sorriso diviso in due, un angolo rivolto verso l'alto e uno verso l'alto. In quella dello studio di tatuaggi compare una donna furibonda, decisa, assolutamente cosciente di ciò che sta per fare. Si sente euforica e piena di vita ed è per questo che entra con sicurezza, lasciando tintinnare il campanello della porta d'ingresso. «Bob. BOOOOB!» Urla, in preda ad una risata isterica. Decide di mantenere un basso profilo e cerca di darsi una calmata. Sorride all'uomo che le si para davanti con il suo metro e novanta di statura e muscoli ben definiti. Perché non l'ho mai notato prima d'ora? E' davvero un bocconcino stupendo. Si morde le labbra, capendo all'istante il motivo per cui non si era mai accorta di quanto fosse gnocco il suo tatuatore. E allora si incazza ancora di più, mentre l'uomo comincia a spaventarsi per quel concentrato di energie che sembra essere diventata Pervinca. «E' successo qualcosa? Hai preso appuntamento?» Bob la guarda appoggiandosi allo stipite della porta che dà sul suo laboratorio. Pervinca, per tutta risposta, lascia scivolare la zip del giacchetto di pelle che ha addosso, liberandosene poi con un movimento fluido. Lo guarda con sguardo ammiccante, mentre gli si para sotto. «No, ma spero non sia un problema. Ci vorrà davvero poco. Ho solo bisogno di una ritoccata al lavoretto che mi hai fatto qualche annetto fa.» Non aggiunge altro e passa oltre, ancheggiando, sapendo di essere osservata. Se Madre Natura le ha fatto un bel paio di tette e un sedere sodo dovrà pure mostrarli quando le è più comodo, no? Si siede sul lettino senza troppe cerimonie, aprendo del tutto la camicia, per puntare il dito sopra il tatuaggio. «Questo. Ho bisogno che tu lo faccia sparire, il prima possibile.» Bob la guarda accigliato, leggermente confuso, mentre si va ad infilare i guanti in lattice. «Che fine ha fatto...?» Lascia la domanda in sospeso, come a voler sottintendere quel nome. Come se non volesse turbarla più di tanto. Ma l'ha fatto e pure tanto. Scoppia in una risata isterica, che sembra essere più un pianto a singhiozzo. Senza lacrime però. «Non c'è più.» E nel dire quelle parole prova dolore e rabbia. Dolore intenso, all'altezza della bocca dello stomaco. Rabbia perché vorrebbe veramente che sia morto, che quella sua faccia da schiaffi, quelle sue mani delicate, quel suo sorriso raggiante, quelle sue labbra calde e rassicuranti non esistessero più sulla faccia della terra. Farebbe meno male. «Oh, Perv, mi dispiace, non lo sapevo. Cond-» «Oh ma chiudi quella cazzo di bocca. Si è soltanto scopato un'altra. Routine per voi uomini, no?» Accenna un sorriso che però non arriva nemmeno a farle illuminare gli occhi. Muore prima. Bob, finalmente in silenzio, si avvicina, accendendo la macchinetta. Passa velocemente del disinfettante sopra la pelle e poi si blocca. La guarda negli occhi e sembra volerla rassicurare. «Giuro che se me lo ritrovo davanti gli spacco la faccia a quel deficiente. Nessuno dovrebbe mai preferire un'altra a te. Cioè, dai, è impensabile.» Sa dove vuole arrivare. Sa che è tutto un modo per addolcirla e magari portarsela a letto, dopo il tatuaggio. Pervinca è una donna che ha avuto un solo uomo nella sua vita, ma riconosce certi trabocchetti, avendo passato sette anni della sua vita con un uomo che era più persone messe insieme. Conosce ognuna delle sfumature calde che ottenebrano lo sguardo di Bob. Però quelle sono belle parole e lei gliene è grata. Almeno un po'. «Cosa vuoi che ti aggiunga? Un fiore che lo copra del tutto, oppure non so, aggiungiamo qualche parola? Come Wino forever magari.» Una scintilla attraverso lo sguardo di Pervinca. Fino ad un istante prima non aveva nemmeno pensato a cosa fare e ora lo sapeva. Aveva proprio un'intera frase. «Ricca di pazzia» rispose, sorridendo. Bob annuì, sedendosi sullo sgabello. «Direi che calza alla perfezione.» I loro sguardi si incontrano appena per tutto il restante tempo. Pervinca si abitua velocemente a quel ronzio e al fastidioso punzecchiare di quell'ago. Lei agli aghi è abituata, non le fanno più paura. Eppure prova una certa forma di terrore. Sa che quando quell'ago si staccherà per l'ultima volta dalla sua carnagione chiara sarà tutto finito. Per sempre. Sa che quello è l'ultimo tassello del quadro che Alaric Irvin Wilde era stato per lei. Cancellando anche quell'ultimo pezzo era fatta e il terrore arriva a punzecchiarla dolorosamente. Otto anni della sua vita cancellati nel giro di poche settimane. Lo odia, lo odia con tutta se stessa. Sa di odiarlo perché l'ha costretta a cacciarlo. Sa di odiarlo perché l'ha ferita, a morte. Sa di odiarlo perché lo ama ancora come quando aveva sedici anni. E odia se stessa perché non riesce a fare altrimenti. La macchinetta smette di ronzare, mentre Bob raccoglie con il fazzoletto le ultime gocce di sangue che escono dalla ferita aperta. L'ago si stacca, infine. E dentro di lei si apre il nulla.

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    «Non cercare di nascondere il fatto che mi stai fissando le tette con una domanda cretina. Sono meno evidenti certi ragazzini che mi ritrovo in classe. Essù. E invece tu, nei hai qualcuno?» Scivola con gli occhi lungo il suo corpo, nascosto dalla coperta in maniera tanto pudica. Sorride appena. Ancora una volta il sorriso non riesce ad arrivare agli occhi, fermandosi agli angoli delle labbra. E' irrequieta. Tutte quelle domande l'hanno fatta affacciare fin troppo su quel buco nero che si ritrova a portare sempre con sé, dentro di sé. Non ne vuole più sentire parlare, ma lui risponde alla sua domanda e si ritrova ad essere punto e a capo, di nuovo. « Sono malato, e credo sia questo il motivo. Sai ho un problema..Dentro la testa. Anche se credo tu lo sappia già. Sì insomma lo so cosa dicono gli studenti di me, che sono pazzo e parlo da solo. Ma non mi arrabbio per questo, perché sì, hanno ragione. Mi hanno anche rinchiuso in una clinica psichiatrica per un po', ma non sono riusciti a sistemare un cazzo qua dentro. Credo che le ragazze abbiano paura di me, più tempo passano in mia compagnia più si accorgono di quanto io sia guasto, per questo non riesco a mantenermi una fidanzata per più di una settimana. Quindi come posso cercare quel qualcosa che mi manca se già so mi sarà impossibile trovarlo? » Lo ascolta, annuendo silenziosamente e solo allora si accorge di quante cose abbiano in comune. La malattia, la clinica psichiatrica, il sentirsi costantemente e inevitabilmente danneggiati, rotti, fuori uso. Senza una via d'uscita da quel vicolo cieco che la loro vita continua a parargli di fronte. Lo capisce, lo capisce fin troppo bene e per una volta si sente meno sola al mondo. Riesce ad entrare in empatia con lui, come se tutto fosse facile, come se si conoscessero da anni. Come se avessero vissuto tutte quelle esperienze insieme. « Mi immagino che ci sia qualche donna destinata per me là fuori che non è la ragazza che ho dentro il mio letto in quel momento. Sono certo che esiste già, ma non riesco proprio a capire chi nè dove sia. ..Ma, toglimi una curiosità, come mai tutto questo interessamento per la mia vita sentimentale? Vuole forse farmi capire qualcosa, signorina Branwell? » Ridacchia al suo citarla in maniera tanto perfetta. Adora la prontezza di quelle risposte allusive. Eppure quelle parole la fanno riflettere ancora una volta. Si immedesima alla perfezione in esse. Le conosce una ad una come fossero state partorite dalla sua di mente. Perché è quello ciò che prova lei, a volte. Si rigira nel letto, magari sfiorando debolmente con il proprio piede la caviglia del suo ospite, rimanendo anche schifata da quel contatto. Sentendo il vuoto avvilupparle lo stomaco, tanto da non farla respirare. Ha sempre saputo di avere qualcosa di sbagliato, Pervinca, eppure ci sono delle volte in cui si sente di esserlo ancora di più, leggermente in più. Sente di aver perso qualcosa d'importante e questo la frena, tanto da costringerla a mandarsi in bianco da sola una nottata di bollori e sesso, pianificata per giorni e giorni. Fa una smorfia con le labbra, cercando di darsi un certo contegno. Di certo non si vuole mettere a raccontare a Ric quanto sia impotente alle volte, quando pensa troppo e non riesce a fare sesso, la cosa che generalmente le viene più facile fare. Non può dirgliele perché non può far crollare la libido già dal primo giorno, allora si dà quel tono da donna vissuta, passandosi una mano a riavviare i capelli all'indietro. «Certo. Devo sapere tutto prima di andare a letto con uomo. Sono le buone maniere, me l'ha insegnate la mamma. Te non le conosci?» Sbatte le ciglia candidamente, prima di appoggiare nuovamente il calice al tavolino. La situazione prende fuoco nel giro di qualche istante. Da predatrice diventa irrimediabilmente preda. E non le dispiace, affatto. « Allora, Pervinca..Direi che è il mio turno per le domande, mhm? Cosa ci fa una donna come te ad insegnare a dei ragazzini? » Le si mozza il fiato in gola mentre le arriva alle orecchie quella voce roca, impastata di desiderio e rudezza. Confusa, piacevolmente, da quel cambio di carte in tavola. Non c'è abituata. Anche se finge di vestire i vestiti dell'ingenua santarellina che sa piegarsi al suo padrone, è lei che vuole il comando della situazione perché è quello che è sempre stata abituata a fare. E' presa alla sprovvista. «Suppongo la stessa cosa che tu fai con le ragazzine, no? Il piacere immaturo ha quel non so che d'invitante. Fanno ciò che vuoi, quando vuoi e come vuoi. Li plasmi a tua immagine e somiglianza. Non è così?» Sputa fuori senza vergogna, mentre il suo dito rovente traccia segni invisibili sulla sua mano. « Ricca di pazzia eh..Cosa nascondi, Pervinca? » Non fa in tempo a sorridere, che lui le si fa più vicino. Le sputa addosso tutto il fumo, nascondendola dietro una nuvola densa. Si ritrova a fremere di piacere per quella vicinanza inaspettata, eppure, non sa come, riesce a trattenersi. Pende dalle sue labbra, sì, ma non cede di un solo passo. « Non hai nessun uomo ad aspettarti a casa? Non appartieni a nessuno? Beato chi ti possiederà un giorno.. » Qualcosa la disturba. Sta facendo troppe domande, troppi quesiti a cui lei non ha intenzione di rispondere, non da quando sente la mano di lui farsi strada lungo la sua coscia. Inspira a fondo, non perdendo mai il contatto con i suoi occhi. Sente caldo, dannatamente caldo. Il suo unico pensiero è quello di volersi spogliare, completamente. Come lo è lui. Ne sente il bisogno quasi fisico. Si porta il piercing tra i denti, cominciando a giocarci, nervosamente, mentre il suo alito caldo si scontra con il suo orecchio. Daje Pervinca, è la volta buona che si tromba stasera. E con un trentenne. Che è matto è soltanto un dettaglio! « Con un corpo del genere potresti avere tutto ciò che desideri. Ma ti costringono a coprire tutto questo ben di Dio con queste divise, quì... Direi che così va meglio. » Abbassa lo sguardo e vede la propria coscia scoperta fino quasi all'inguine. La mano di lui è ancora lì che stringe, famelica. La bocca di lui è contro il suo collo e in quel momento vorrebbe che fosse da tutt'altra parte. Deglutisce, sentendosi la gola secca. « E tu, Profetessa, hai paura di me? » Scuote il capo, risoluta. Non ha paura di lui, non ha paura di quello che potrebbe farle. Desidera che le faccia tutto ciò che gli sta passando per la testa in quel momento e odia quel temporeggiare inutile. Così si avvicina con le labbra alla sigaretta che tiene in mano, gliene ruba una boccata, prima di lasciar scivolare la mano sopra la sua. Quella che è sopra la sua gamba. Stringe appena, rafforzando il contatto, prima di incitarla a spostarsi verso l'alto, spingendosi fino all'orlo delle mutandine. Lo sente con i polpastrelli e lo guarda, con sguardo ingenuo. «Direi che hai fatto fin troppe domande per oggi, non credi?» Inclina il capo, prima di imprigionargli il mento con la mano libera. Lo avvicina a sé, facendosi più vicina. «Non mi piace tirarla troppo per le lunghe. Questo è il tuo modus operandi di solito?» Sogghigna, come impossessata da uno spirito che non sembra essere il suo. Appena per qualche secondo. Le unghie affondano lievemente sulla sua guancia, tratteggiando una linea retta, dalla tempia verso il mento. «Vuoi forse dimostrarmi che i trentenni sanno qualcosa in più rispetto ai diciannovenni?» Lo guarda da sotto le ciglia, stringendo ancora un po', tanto da costringerlo a dischiudere le labbra in maniera scomposta. Avvicina le proprie, saggiandole con avidità, lasciando che il piercing vaghi indisturbato su di esse. Trattiene il labbro inferiore, per qualche secondo, tra i denti, prima di liberarlo. Vorrebbe ridere per tutta quella tensione sessuale che si è andata instaurando tra di loro, ma non lo fa. «Se è questo che vuoi, accomodati pure. Non vedo l'ora di scoprire le tue mosse esperte. Altrimenti, falla finita con queste moine del cazzo e continuiamo ad ubriacarci, che a me va bene lo stesso concludere così questa giornata di merda.»
     
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    «E' evidente che tu non abbia incontrato mai le giuste persone.» Asserisce prontamente Pervinca, senza farsi scappare l'ennesima occasione di ribattere. E' un gioco pericoloso quello che stanno portando avanti, con dei riscontri senza ombra di dubbio inaspettati. Un botta e risposta al quale riescono a tener testa entrambi, e quì si tratta di qualcosa che non gli è mai capitato prima. Alaric non è mai stato dotato di una particolare concentrazione. Quando convivi con venti personalità dentro il tuo cervello guasto, non è tanto facile mantenere vivido l'interesse anche su ciò che ti capita fuori. Spesso tendi ad isolarti in te stesso, precipitando tra tutte quelle voci che bisbigliano, parlano ed urlano tra loro, perdendoti i discorsi della vita reale. Ma con Pervinca è diverso. Sembra aver trovato un certo equilibrio, in sua presenza. Certo, le voci continuano ad esserci, spesso consigliandogli cose di dubbio gusto, ma pare esser riuscito ad isolarle almeno per una buona parte. E ciò gli consente di mantenere la sua concentrazione vivida, per più di tre minuti, su ciò che succede, permettendogli anche di analizzare e decifrare qualsiasi cambio d'espressione della sua nuova ospite. Sembra pensierosa, immersa in chissà quale dubbio. Per qualche momento pensa che gli piacerebbe, poter entrare nella sua mente. Certo sarebbe un gran bel casino, stare a sentire anche i suoi di pensieri, ma vorrebbe davvero scoprire cosa le passa per la testa. Chissà se le piace. Cioè non in quel senso ma..Beh sì anche in quel senso. "Non so quale sia il problema mentale che ti affligge, ma mi piaci" Le parole di lei riecheggiano nel suo subconscio, e si accorge solo in quel momento di non averle risposto a quell'affermazione. Non l'ha fatto apposta, semplicemente si è perso quella frase per una delle tante strade affollate del suo cervello.
    "Giusto questa, dovevi perderti"
    "Sfigato, al solito tuo"

    Ed effettivamente sì, non poteva definirsi in altro modo. Tuttavia, ciò non sembra riuscire ad appagare la sua curiosità di sapere cosa lei pensi sul serio nei suoi riguardi. Beh, tante volte gli è stato detto nella vita di piacere a qualcuno, ma alla fine si sono sempre rivelate fregature. O stronzate. O entrambe le cose. Col tempo ha iniziato a credere che era normale, venire apprezzato a primo impatto da chi aveva la (s)fortuna di fare la sua conoscenza. Insomma, se c'è una cosa che ti insegnano a scuola, a casa, o in qualsiasi luogo sano di mente, è che con i pazzi non bisogna mai giocare. Mai contraddirli, mai provocarli. Alaric tu vai bene così come sei. Alaric è tutto okay, mi piaci. Alaric non sei pazzo. Alaric sei normale. Alaric ti faccio rinchiudere in un fottutissimo ospedale psichiatrico, ma continui a non essere pazzo eh. Scuote la testa, riacquistando la concentrazione, con un respiro profondo. Non è quello il momento giusto per perdersi nei meandri del suo passato di merda. Non con Pervinca accanto, per lo meno.. «Non credo di essere mai stata innamorata.» Quelle parole lo inducono ad alzare il capo di scatto in sua direzione. Pianta i suoi occhi di ghiaccio in quelli smeraldini di lei, scrutandoli con attenzione. Non sa perchè, ma si sente irrequieto, infastidito. La voce di Pervinca sembra rimbombare attraverso le pareti della sua mente, con una forza inaudita. Qualcosa trema al suo richiamo, un cassetto nascosto dentro l'ultima camera presente nella parte più profonda e buia del suo subconscio. Un angolo recondito, sconosciuto. Non si è mai avventurato per quel corridoio, Alaric, ne ha sempre avuto paura. Le voci lo hanno sempre salvaguardato dall'addentrarsi in quegli angoli. Anche loro ne sono spaventate, bisbigliano, parlano, qualcuno urla. « Ne sei sicura? » Chiede spontaneamente, quasi in automatico, battendo poi numerose volte le palpebre e mordendosi il labbro inferiore. Che diavolo di domande sono, Ric? Non lo sa, davvero. L'unica cosa che riesce a comprendere è quel connubio tra nostalgia e nervosismo che sembra essersi impossessato di lui. Si distanzia da quella porta socchiusa, facendo qualche passo indietro, mentre le parole di lei continuano a sembrargli sbagliate ad ogni passo in più che compie per allontanarsi. «Non che questa sia una vera risposta alla tua domanda, lo so. Se mi chiamavano Daenerys un motivo ci sarà, non credi? Il fuoco fa parte di me.» Annuisce, lo sguardo improvvisamente perso nel vuoto, prima di riprendersi. Quasi completamente. La vede stranirsi alla sua domanda sul tatuaggio, mentre lo sfiora delicatamente con le dita. Non sa cosa dovrebbero significare quelle parole, quel carattere scostante di quelle lettere. Sembra come se una parte di quella frase sia stata scritta con uno stile differente rispetto a tutto il resto. Qualcosa gli suggerisce che dovrebbe conoscerne il perchè, ma non riesce proprio a capire di cosa si tratti. «Quando ero più giovane e stupida. Sì, direi che sono piuttosto sicura di questo punto. Insomma, perché mai avrei dovuto cambiarlo?» La sua domanda sembra dar sfogo ai suoi dubbi. Sospira, Alaric, stringendosi nelle spalle in maniera quasi impercettibile. Fa una smorfia mentre storce il muso, scuotendo appena la testa. Qualcuno sembra volergli sussurrare qualcosa. Non è sicuro che si tratti degli Altri però, questa volta, e la cosa lo spaventa. Chiude immediatamente quella via, lasciando che quel sospiro di voce si infranga contro il legno della porta rossa. « Io..Non lo so. Scusa, non so cosa mi passava per la testa. ..Beh, come al solito » Ridacchia, tentando di riprendersi. Se non si fosse conosciuto abbastanza come, ahimè, era stato costretto a fare, avrebbe dato colpa ai due spinelli che si era già risucchiato per il modo a dir poco anomalo in cui si era sentito sin da quando Pervinca aveva varcato la soglia del suo ufficio. Sì okay, era pazzo e certi pensieri insensati facevano parte di lui sin da quando era nato ma... stavolta è diverso. Stavolta qualcosa continua a sussurrargli costantemente che non c'è proprio nulla di insensato. E' tutto collegato, vivido, reale e concreto. Ma non riesce proprio a raggiungere il punto di partenza di questo fulcro d'emozioni.
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    «Non cercare di nascondere il fatto che mi stai fissando le tette con una domanda cretina. Sono meno evidenti certi ragazzini che mi ritrovo in classe. Essù. E invece tu, nei hai qualcuno?» Spalanca gli occhi, percependo per l'ennesima volta quel fastidiosissimo calore alle guance.
    "Ops, fottuto."
    "E continui a fissargliele pure?"

    Distoglie immediatamente lo sguardo, lanciandolo su una delle tende verdine che ricoprono l'unica finestra dalla quale si affaccia il suo ufficio, che ad un tratto sembrano aver acquistato davvero una grande importanza.
    "Sono dei limoni quelli?"
    "Non distrarti e prendi in mano la situazione."

    « Oh, hey, tu ti sbottoni la camicetta ed io non devo ammirare un tale spettacolo? » "Okay ragazzi, chi l'ha detta sta stronzata?" « ..No, d'accordo, scusa. Non le guardo più.. » "Le stai ancora fissando" « A partire da..- "Ultima sbirciatina..." -Ora. Ad ogni modo, sì, ne ho alcuni.. » Allunga la mano sinistra muovendo le dita. Tutte e cinque sono decorate da dei piccoli simboli neri, nella parte bassa delle falangi. Un pentacolo, due rune, un corvo ed infine una data. « Non chiedermi il loro significato perchè davvero, non saprei come risponderti. Specialmente la data, ecco questa..Forse ero semplicemente più fatto del normale quel giorno. » Ride, ma è una risata amara la sua. Si è sempre interrogato sul significato di quella data. Ce l'ha impressa sopra, un ricordo indelebile che ha deciso di portare sempre con sè, eppure..Non ha la più pallida idea a cosa possa riferirsi. E' qualcosa di importante, ne è sicuro. Ma non è il suo compleanno (seppur neanche ricordi il giorno), nè quello di sua sorella. Non è il giorno in cui è scappato di casa, nè quello in cui ha provato la sua prima canna (aveva undici anni forse all'epoca, precoce il ragazzo). Si stringe nelle spalle, niente, non riesce proprio a ricordare.

    «Suppongo la stessa cosa che tu fai con le ragazzine, no? Il piacere immaturo ha quel non so che d'invitante. Fanno ciò che vuoi, quando vuoi e come vuoi. Li plasmi a tua immagine e somiglianza. Non è così?» Inarca un sopracciglio, annuendo impercettibilmente. Quella verita scivola senza vergogna alcuna dalle labbra scarlatte della donna. Non lo colpiscono, nè tanto meno mettono a disagio. Percepisce qualcosa pulsare all'altezza delle tempie, ma si concentra per non farci caso. Sa di cosa si tratta, voci probabilmente, e non ha tempo da sprecare con loro. Quel coglione di Alaric, quel guscio vuoto che li racchiude tutti, passa le proprie giornate a farsi riempire la testa di tutte le stronzate che dicono. Lui dal canto suo glielo ha sempre detto, di non dar loro ascolto. Non che gliene importi qualcosa certo, ma quella volta in cui il depresso con manie suicide ha preso il controllo, stavano per crepare tutti assieme. « Mi piace come ragioni. Mi trovi d'accordo, anche se talvolta credo che qualcuno di più..esperto sia meglio. Capisci che intendo? » La domanda aleggia tra di loro morbidamente, impreziosita da un tono di voce roco. Sono vicini, pericolosamente vicini. Riesce a sentire il suo profumo, inalandolo a pieni polmoni. E' afrodisiaco, buono, familiare. Vacilla di nuovo, ma dura soltanto per un battito di ciglia. Non può essere familiare, l'ha appena conosciuta. Niente pippe mentali e pensa a quello che devi fare. Scuote il capo Pervinca, mentre lui si allontana lentamente dal suo collo, quasi a malincuore. La pelle di lei brucia a contatto con le sue labbra,che a loro volta innescano una reazione a catena che tende a far reagire l'intero suo corpo. La mano di Pervinca scivola sulla sua, stringendo appena e conducendola fino all'orlo degli slip. «Direi che hai fatto fin troppe domande per oggi, non credi?» Chiede, afferrandogli il mento con una mano stringendo per imprigionarlo. Le sue unghie gli percorrono il viso, in una traiettoria lievemente rossastra, affondando nella carne. «Non mi piace tirarla troppo per le lunghe. Questo è il tuo modus operandi di solito?» Sente la sua presa stringersi contro di lui, mentre non è capace di nascondere uno sguardo sorpreso. Pervinca Haliwell, la prima donna che è riuscita a spiazzarlo, dovrebbe segnarselo da qualche parte. Rimane in silenzio, mentre un tumulto di pensieri si impossessa di lui. Non riesce più a tenere a bada gli Altri, e questo non gli piace. Non è mai successo sino ad ora, ha sempre avuto il controllo. Il caos esplode dentro di lui, criptando il suo legame con il cervello di Alaric in quel momento. Qualcun'altro tenta di prendere le redini in mano, e, suo malgrado, non è tanto sicuro di riuscire a resistere ancora per molto. Non gli piace, non gli piace per niente. Eppure è tutto così eccitante. Vorrebbe respingerla da un lato, farle male, farla pentire di essersi presa certe confidenze con lui. Dall'altro vorrebbe stare al gioco, piegandosi sotto la sua presa, darle ciò che vuole, come e quanto vuole. Continua a fissarlo negli occhi, senza distogliere mai lo sguardo. "Non fissarlo negli occhi per troppo tempo" diceva l'inutile fascicolo di quell'inutile dottore al quale aveva rotto il naso con un pugno una volta. Ma eccola lì, Pervinca, ad infrangere ben due delle sue regole principali. Gli tiene testa, e lo fa come animata da uno spirito estraneo, forte, forse addirittura più di lui. E' passione, è fuoco, è desiderio. Per la prima volta si ritrova ad essere vittima di quel gioco pericoloso. «Vuoi forse dimostrarmi che i trentenni sanno qualcosa in più rispetto ai diciannovenni?» Si avvicina alle sue labbra, piegate in maniera scomposta per via della presa ferrea sulla mascella. Si ritrova a saggiare il gusto di quelle di lei inaspettatamente, rabbrividendo appena al contatto col piercing metallico e freddo. Gli tira il labbro inferiore stringendolo tra i denti. Un drink letale di rabbia e desiderio. L'intero suo corpo si ritrova a reagire a quel contatto, eccitato da tutta quella situazione. La mano continua a rimanere ferma lì dove lei l'ha condotta, ma stringe la presa con forza, imprimendo le dita nella pelle candida di lei come a voler ricambiare il favore. « Vorresti che te lo dimostrassi? » Domanda, retorico, tentando di riprendere fiato. La tensione sessuale che si è instaurata tra di loro è palpabile, ed ha i suoi riscontri non solo mentali ma anche e soprattutto fisici. «Se è questo che vuoi, accomodati pure. Non vedo l'ora di scoprire le tue mosse esperte. Altrimenti, falla finita con queste moine del cazzo e continuiamo ad ubriacarci, che a me va bene lo stesso concludere così questa giornata di merda.» Non le dà neanche il tempo di riprendere fiato, che le sue braccia si tendono in avanti, avvolgendosi contro il suo busto per trascinarla su di sè. Stringe la presa, come se volesse imprigionarla. Il predatore non mollerà più tanto facilmente la sua vittima. « E' così che fai di solito? Provochi le tue prede fino all'esplosione? Il fuoco fa davvero parte di te, vedo. Ma attenta, a giocarci troppo potresti anche bruciarti. »

    La porta si spalanca contro la sua schiena, mentre rientra in casa senza guardarsi alle spalle, tastando semplicemente i contorni dei mobili per capire dove sta andando. Cammina verso dietro, mentre la ragazza con cui si sta baciando gli insinua le mani gelide sotto la camicia, facendolo rabbrividire. Non sa quale sia il suo nome, ed è completamente ubriaco. L'ha semplicemente vista lì, seduta ad un tavolo del locale che aveva deciso di frequentare per quella notte. Gli era sembrata carina ed aveva pensato di provarci, senza aspettarti chissà cosa. Era questo ciò che ormai erano diventate per lui le donne: tentativi, niente di più niente di meno. Se si fossero rivelati positivi, tanto meglio, qualora invece fosse successo il contrario, se ne sarebbe fatto e se ne faceva sempre una ragione. Non era sicuro di esser sempre stato così, a dirla tutta. Era un ragionamento da stronzo e probabilmente anche parecchio maschilista, lo sapeva bene, ed in genere non si era mai ritenuto tale (beh non sempre per lo meno). Ma era questo ciò che ormai riusciva a fare o pensare, ed era del tutto inutile fingere di essere qualcosa che non era. Aveva già una ventina di personalità che convivevano tutte assieme appassionatamente nella sua testa, non gli serviva la ventunesima. « La mia camera è di là » Sussurra la ragazza sulle sue labbra, freneticamente. Gli sembra quasi di rivivere un flashback. Come se fosse imprigionato in un loop temporale continuo dal quale non gli è possibile scappare. La solita ragazza. La solita casa libera. La solita botta e via. L'indomani non si ricorderà un cazzo, e sarà contento così. Perchè non è questo ciò che vuole, e lo sa, lo sa bene. Ma si convince del contrario, prova a farlo con dei tentativi sempre più spinti, sempre più disperati. Come rimorchiare la prima donna che ti capita a tiro in un locale notturno, ad esempio. Indietreggia dunque, senza rispondere, mentre lei gli sbottona la camicia, sfilandogliela alla meno peggio. Trova la porta della stanza già aperta, ed inciampa sul letto. La sconosciuta gli ricade addosso, poggiandogli le mani sulla cintura dei pantaloni per slacciarla velocemente. Si scosta dalle sue labbra, permettendogli di riprendere fiato affannosamente. Il suo sguardo, che di norma dovrebbe posarsi su di lei, intenta a cercare di spogliarlo degli ultimi indumenti rimasti, si blocca invece sul soffitto. E' dipinto di blu, con dei piccoli puntini luminosi argentati simili a stelle. Sembra di trovarsi sotto un cielo notturno. Ha sempre amato le stelle, Alaric. E stare fermo a fissarlo in compagnia di qualcuno si è sempre rivelato uno dei momenti più intimi e belli che abbia mai potuto donare. Perchè sì, sa di averlo fatto, ma non sa con chi. L'unica cosa di cui è consapevole è che non è lì, con quella sconosciuta, che vorrebbe stare. Vorrebbe altro, qualcun'altro, un nome sembra pizzicare sulla punta della sua lingua, una sagoma sinuosa sembra palesarsi all'interno della sua mente. Stringe gli occhi, prova a concentrarsi, riesce quasi a riconoscerla.. « Tutto bene? » Tutto svanisce. Riprecipita nel nulla. Il gioco dell'ipocrisia riprende. "Non va per niente bene. Non c'è un cazzo che vada bene." « Sì. »

    Quel ricordo si insinua silenziosamente nella sua mente. Il suo sguardo si fa vitreo per qualche istante, assente. Quella sensazione di vuoto, di disagio, l'ha sempre provata assieme alle altre donne. Sono anni ormai che non riesce a godersi a pieno una notte di divertimento. C'è sempre qualcosa che gli manca, qualcosa che lo lascia insoddisfatto. Aveva anche imparato a conviverci, col tempo. Insomma, di fobie ne aveva tante, non gli sarebbe costato molto aggiungere anche questa. Ma con Pervinca..niente di tutto ciò sembra sfiorare i suoi sensi. Non si sente di stare sbagliando. Sa di essere nel posto giusto al momento giusto. Ma perchè? Cosa c'è che non va? Perchè non riesce a capire? Perchè cazzo non riesce a ricordare? Il calice di vino che Pervinca ha poggiato qualche minuto prima sul comodino accanto al divano inizia a tremare. Gira lo sguardo di scatto, allungando un braccio per bloccarlo. Non è il momento per perdere il controllo. Non in quel senso, per lo meno. Ritorna in sè, seppur non sappia in quale parte di sè. Si riappropria delle labbra di lei, dapprima sfiorandole con le proprie, dopo mordendole quello inferiore per tirarlo un po'. La vuole, la vuole con ogni cellula dei suoi tessuti. Lo dimostrano i sospiri, il suo corpo, le sue mani che vanno di nuovo ad incontrare la sua pelle calda. Scende nuovamente sulle sue gambe, percorrendole velocemente, sino a giungere all'orlo degli slip. Li abbassa appena, da dietro, per infilarci una mano. La guarda, come a scrutare una sua possibile reazione, prima di sgusciare ulteriormente, stringendo la presa con forza sulla sua pelle nuda. Sospira, mordendosi il labbro inferiore.« Allora? Ti sei fermata soltanto ad un bacio? Voglio anche le tue, di mosse esperte. Altrimenti non c'è divertimento, non credi? » E detto ciò pressa con la mano là dove non sarebbe nemmeno dovuto arrivare. Per quanto ancora potrai giocare, Ric?
     
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    « Ne sei sicura? » Volta il capo verso di lui, di scatto, come richiamata da quelle tre parole, semplici da sole, ma così affilate tutte insieme, legate in quella domanda spigolosa. Si perde nei suoi occhi azzurri, per istanti che sembrano essere giorni, mesi, anni. Il suo corpo rimane seduto, in quella stessa posizione, su quel divano che ha visto troppe cose che non doveva vedere, forse. Ma la sua mente viaggia. Riflette su quelle parole e si sente strana, quasi come se quella domanda fosse stata capace di attivare l'interruttore, dare il via a quel domino di domande che le sfiorano la testa, in questo momento. Guarda Ric ma è come se non lo vedesse, troppo presa dall'inseguire quei punti di domanda. Sei sicura di non esserlo mai stata? Come fai a saperlo con certezza? Non ricordi la maggior parte della tua vita per colpa di quella merda che prendevi da ragazzina. Si morde l'interno del labbro inferiore, non riuscendo a formulare una risposta di senso compiuto. Pervinca è una donna che vive di sensazioni e lei sa di avere spesso quell'irritante percezione di se stessa accanto ad un uomo. A volte le capita persino di sentire il peso dell'anello all'anulare, come se in una vita passata fosse stata sposata. Si controlla la mano sinistra, senza nemmeno pensarci e non vede nessuna fede, come constata tutti i giorni da un bel po' di anni. E' ormai un'abitudine per lei. Si sente molto sua madre quando lo fa. A dire la verità sente sempre quella fastidiosa voce da pidocchio rifatto di sua madre, ogni volta che lo fa. Come se la controllasse, appollaiata sulla sua spalla come un avvoltoio sulle carni fresche di un animale morto. Sente sua madre anche in questo momento e all'improvviso i lineamenti del viso si induriscono nel sentire quel tono mellifluo nella sua testa. "Hai quasi trent'anni e sei ancora sola, senza uno straccio di fidanzato, senza uno straccio di famiglia. Sola come una ragazzina screanzata come lo eri tu poteva essere un giorno. Non ti vergogni? Io alla tua età ero sposata, avevo te e aspettavo pure tua sorella. Sorride, amaramente, prima di scrollare la testa e serrare la mano destra, in segno di resa. Non c'è una fede al dito e non c'è mai stata. Quindi no, non si è mai innamorata, non potrebbe essere altrimenti. Infine si ridesta da quel momento di impasse e torna a guardarlo, vedendolo veramente. «Piuttosto sicura, sì. E sono altrettanto sicura che tutte queste domande sulla mia vita privata mi mettono leggermente a disagio, oltre che ad infastidirmi, francamente.» Non lo dice con cattiveria, ma non le piace molto parlare di se stessa. Non le è mai piaciuto, a dire il vero. Forse perché non si ricorda la maggior parte della sua vita. Ha sempre avuto dei tremendi buchi neri, in ognuno dei suoi anni passati. Alcuni anni li ricorda talmente male da avere soltanto delle immagini nebulose come riferimento, qualche volto indistinto, una voce ricorrente, ma dal tono di voce strano. Le sembra sempre sbagliata quando la sente, come se per qualche strana ragione fosse stata manomessa, in qualche modo. Ma solitamente dà la colpa alla propria testa, ai neuroni che sono stati messi a dura prova durante gli anni - e lo sono ancora, suo malgrado -. Perciò no, Pervinca non ama parlare di sé perché non sa cosa raccontare, in tutta franchezza. Non sa cosa ci sia di vero in quell'ammasso di roba informe e così preferisce far parlare gli altri, solitamente. O zittirli se troppo annoiata, in un modo o nell'altro. Ma per ora Ric non l'annoia, strano ma vero. Stanno parlando di niente e di tutto e questo la mette a suo agio, non la fa sentire triste per la propria memoria, ma anzi, le sue chiacchiere riescono a distrarla, appena un po'. -Ora. Ad ogni modo, sì, ne ho alcuni.. » Allunga il collo verso la sua mano, sfiorandola appena con le proprie dita. Segue i contorni di quei strani tatuaggi, mettendone a fuoco uno ad uno. Un pentacolo, due rune, un corvo ed infine una data. Si sofferma su quel numero complesso, aggrottando leggermente la fronte. Le dice qualcosa. Le è famigliare quel numero, come se lo conoscesse da sempre. Si avvicina ancora un po', giusto quel tanto che le permette di guardarlo meglio. Quella serata sembra essere sempre più strana, come se ci fosse qualcosa di profondamente sbagliato e giusto nel loro incontro. . « Non chiedermi il loro significato perchè davvero, non saprei come risponderti. Specialmente la data, ecco questa..Forse ero semplicemente più fatto del normale quel giorno. » Si unisce alla sua risata, annuendo a sua volta, scivolando nuovamente all'indietro, come nulla fosse successo. «Magari una data storica? La proclamazione della Regina Elisabetta? L'indipendenza di qualche stato a te caro? Non so, non sono mai stata ferratissima in storia.» Piega le labbra in un sorriso sincero questa volta, sapendo di non poterlo aiutare a ricordare, ma felice di sapere di non essere la sola a non farlo. Nuovamente. «Ah, quante cose abbiamo in comune, io e te, Ric. Quasi ci conoscessimo da una vita.»

    Cammina velocemente lungo il corridoio, pronta a tornare nelle sue stanze, giusto il tempo di cambiarsi per poi scendere a cena. E' strana la vita al castello, vista da quella prospettiva. Non è più una semplice studentessa, ma una professoressa. Di quelle vere, con la classe di giovani menti a cui insegnare per ore e ore e tutte le altre cose abbastanza noiose che ne conseguono. C'è anche il lato bello, ovviamente, di essere una prof di ventisei anni, ancora abbastanza giovanile da stuzzicare l'interesse degli studenti. Sia in classe che fuori. Deve ancora abituarsi a tutti quei cambiamenti però. Passare da fare la cameriera in un locale puzzolente e lercio, a finire accidentalmente in una casa di cure, per poi ritrovarsi ad avere un lavoro fisso con tanto di stipendio, vitto e un tetto sulla propria testa. Non male, sicuramente, ma deve ancora abituarsi alla routine. Continua a camminare, fino a quando sente un brusio provenire da una delle classi che danno su quel corridoio. Allunga il passo, vedendo che la porta è aperta. E' sempre stata curiosa, Pervinca, di natura. Un animo proiettato alla conoscenza, di qualsiasi forma essa sia. Arresta i piedi davanti all'aula, inclinando la testa di lato per sbirciarvi dentro. La stanza è illuminata da candele qua e là. gremita di studenti dalla faccia in penombra. E poi c'è lui. Lo osserva, in silenzio, leggermente spiazzata. Se nel contratto che ha firmato avessero anche scritto che avrebbe avuto dei colleghi come lui, con ogni probabilità avrebbe accettato il lavoro a scatola chiusa. E' biondo, capelli spettinati, barba e baffi ben curati, occhi di un azzurro vividissimo. Sorride, celata dall'ombra del corridoio. E' davvero bello. Le ricorda il soggetto dei sogni d'amore che aveva da bambina. Il principe azzurro, magari non con quei pantaloni dal colore indecente e quella maglia a righe che fa a cazzotti con il resto, ma glielo ricorda terribilmente. Si porta una mano a coprirsi le labbra, mentre si piegano in un altro sorriso incantato. Le mani sembrano voler celare quell'imbarazzante segno di approvazione, o forse di sbandata momentanea. Non ne è certa. E' sicura soltanto di una cosa: vuole scoprire il suo nome. Così attende, in silenzio. Attende che l'uomo finisce di fare la sua piccola introduzione alla lezione, intuendo che forse è la prima volta anche per lui. In effetti non l'ha mai visto girare per i corridoi prima di quel momento. Poi l'uomo punta la bacchetta verso la lavagna e il gessetto comincia a scrivere in una calligrafia tutt'altro che comprensibile. Pervinca assottiglia gli occhi, facendo un passo in avanti, giusto per cercare di capire ciò che sta dicendo. Non riesce a sentire nulla, ma i suoi occhi non smettono di seguire il gesso disegnare forme strane che dovrebbero rivelare parole di senso compiuto. «Alak- no è una c. No, una r. Alaric. E quella forse è una W, sì, poi c'è la l, no anzi, una i e poi la l, sì. Wilde Confabula tra sé e sé, fin quando non ottiene la risposta completa. Alaric Wilde. Le si stringe appena lo stomaco a quella rivelazione, provocandole una strana sensazione che le si propaga per tutto il corpo. Si dà una risposta semplice e coincisa: è felice di aver appena appreso il nome della sua prossima preda. E con un sorriso smagliante, gira i tacchi, non prima di sbattere la punta della scarpa accidentalmente contro la porta. L'uomo si gira verso di lei e i loro occhi si incontrano, per qualche istante. Gli fa un occhiolino, divertita come lo può essere una quindicenne alla prese con la sua prima cotta, e poi prosegue nella sua camminata, conscia che tra lei ed Alaric Wilde non è ancora finita.

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    « Mi piace come ragioni. Mi trovi d'accordo, anche se talvolta credo che qualcuno di più..esperto sia meglio. Capisci che intendo? » No, tra noi è appena cominciata si ritrova a pensare, mentre gli fissa le labbra, annuendo. Sapeva, Pervinca se lo sentiva. Aveva avuto una strana sensazione tutto il giorno e ora eccola qui, pronta a rigirarsi il professore di Astronomia come un calzetto. Certo, le cose non potevano andare diversamente visto l'andazzo iniziale del loro incontro. Lui, in mutande, pronto a darsi da fare sopra una sua foto ritoccata. Roba che Playboy levati che gli fate ombra. «Capisco perfettamente.» Le parole lasciano la sua bocca senza che lei riesca nemmeno ad accorgersene. «E mi trovi completamente d'accordo. Ci sono sere in cui non si può fare a meno di richiedere l'esperienza. E sono le serate migliori, quelli che ti ricordi per tutta la vita.» Le sue parole provocano in lei una raffica di immagini indecenti e peccaminose per la quale non verrebbe assolta nemmeno dal Papa in persona. Ma a lei non frega nulla, vuole che quelle figure mentali diventano realtà. Ne ha bisogno. Ha bisogno di quel calore che Alaric sembra prometterle con gli occhi, con quelle mani infuocate, con quella voce roca e profonda che arriva chissà da dove. Ha bisogno di quel contatto per non pensare. Perché pensare è male. Ricordare è ancora peggio e tutto ciò la porta a non controllarsi più, a piangere, a ridere, a cadere in depressione e subito dopo vederla fresca e rilassata come una rosa accarezzata dalla prima rugiada, di mattina. Così lo asseconda, lo lascia fare. Si lascia trascinare dalle sue mani che la posizionano come vogliono. Si ritrova sopra di lui, la posizione che preferisce in assoluto perché è da lì che detta potere. E' da lì che ha il pieno controllo e in quel modo che solitamente arriva facilmente all'apice, cosa assolutamente da non trascurare, quando la maggior parte degli uomini non sanno nemmeno dove si trova il punto G. « E' così che fai di solito? Provochi le tue prede fino all'esplosione? Il fuoco fa davvero parte di te, vedo. Ma attenta, a giocarci troppo potresti anche bruciarti. » Si permette di alzare le sopracciglia, vagamente divertita da quelle parole. Lei non ha una vera e propria mossa, una routine che segue abitualmente per far sì che le sue prede cadano nella sua regnatela. Le basta essere quello che è. Un po' sopra le righe, leggermente eccentrica e gli uomini sembrano andare veramente fuori di testa per quelle matte. Hanno un vero e proprio fetish, secondo la donna e a quanto pare Ric non è da meno e la cose, perlomeno in quell'istante non le dispiace. Si china verso di lui, mantenendo vivo il contatto visivo fin quando i suoi occhi non diventano una macchia sfuocata e lei si ritrova ad un centimetro dalle sue labbra. Le sfiora di passaggio, cambiando traiettoria, per avviarsi verso il suo orecchio. «Il fuoco può essere controllato, se si ha le conoscenze sul come farlo.» Sussurra, con voce leggermente più roca, resa tale dalla sue mani che si muovono sulle cosce ormai nude. Abbassa appena lo sguardo ad osservarle. La gonna aggrovigliata intorno alla vita, le sue dita che risalgono la pelle nuda, sentendosi in diritto di farlo, giustificato nel farlo. Si sofferma nuovamente sulla mano sinistra, quella tatuata e sente una nuova vampata di calore percorrerle il basso ventre. Ha sempre adorato i tatuaggi in uomo, la eccitano, la fanno sentire una cattiva ragazza, come quelle che venivano sempre dipinte da sua madre, quando era piccola. Le donacce che se la facevano con i bikers di quartieri, i ragazzacci tutti tatuati, con piercing e vestiario fatto completamente di pelle, croci e borchie. Le piacciono quei tatuaggi sulle dita e le piace essere toccata da quelle dita, di conseguenza. E' completamente e irrimediabilmente assuefatta. Lo vuole, lui la vuole. Nelle sue vene circola alcol e droga. Cosa potrebbe mai andare storto? Torna a guardarlo, scostandosi appena da lui, nel momento esatto in cui la mano scivola sotto lo slip, Socchiude gli occhi, seguendone il movimento. Si muove indisturbato, come un leone dietro alla gazzella prescelta. Lo fa sinuosamente, lentamente e con un'accuratezza che mai si sarebbe aspettata da lui. Certo, ha fantasticato riguardo l'ipotetica terza base da raggiungere con Ric, ma nei suoi sogni l'uomo era dipinto diversamente. Più imbranato, meno in grado di prendere la situazione in mano. Insomma, il classico da una botta e via, giusto perché ormai abbiamo cominciato e no, non ti scomodare, il tuo numero non me lo lasciare, tanto domani non ti richiamo. Invece, riaprendo gli occhi, si accorge che Ric sa come condurre il gioco. Ha davvero quelle mosse che lei gli ha richiesto e gliele vuole mostrare tutte, dalla prima all'ultima. E' chiaro nei suoi occhi, diventati leggermente più cupi, dato il desiderio inequivocabile che vi legge dentro. Partecipa avidamente a quello strano bacio, cercando di morderlo al suo stesso modo. Poi le mani della donna si appoggiano dolcemente sul suo petto nudo. Non ha dovuto fare nulla per arrivare a quel momento e ne è vagamente felice. Se l'è ritrovato già bell'e pronto, in mutande e sull'attenti. In ogni senso possibile. Abbassa lo sguardo a constatare la reazione di Ric a tutto quel trambusto e gli angoli della labbra si alzano, volutamente, verso l'alto, mentre gli occhi tornano in quelli di lui. Sembra volerlo deridere dell'essere già così preso, prendersi gioco di lui, sbeffeggiandolo così apertamente. Le mani continuano a scendere, inesorabilmente, fino a sfiorare il bordo dei boxer. Muove l'unghia a pizzicargli la pelle del basso ventre con un gesto calcolato minuziosamente. « Allora? Ti sei fermata soltanto ad un bacio? Voglio anche le tue, di mosse esperte. Altrimenti non c'è divertimento, non credi? » E la sua mano scivola sotto gli slip, lasciandola senza fiato. Spalanca gli occhi, presa stranamente alla sprovvista e sa che quel cambiamento non passerà inosservato agli occhi dell'uomo. Lo fissa per dei secondi interminabili, mentre dentro di lei qualcosa si incrina. Prende una direzione inaspettata. Pervinca l'hai appena conosciuto. Anche se tua madre è una deficiente, non puoi dargliela vinta subito. Non puoi dargliela e basta. Senza aspettare oltre, gli prende la mano e se la toglie di dosso, alzandosi velocemente all'indietro, facendo leva sulle proprie braccia. Non perde nemmeno tempo a sistemarsi la gonna, troppo presa a fare quello che va fatto. Rimetterlo in riga. Un tumulto di emozioni contrastanti la prendono, ma sembra emergere la superbia mista a pura e semplice stizza. Si porta le mani ai fianchi, con un fare decisamente autoritario, mentre alza il piede nudo e lo adagia, assai poco delicatamente, sopra le sue parti intime. Lo guarda con sguardo duro. «Oh Ric, non ti facevo assolutamente così....così.» Sembra cantilenarlo, mentre una risatina divertita le dipinge le labbra incrinate. «Sei proprio un bambino cattivo, non è così? Ti piace fare questi giochetti con le donne?» Piacciono anche a te, Pervinca. Che cazzo fai? Ma non ascolta la testa, no. Decide di proseguire sulla via della maestrina. «Non ti ha detto nessuno che non si fanno certe cose, soprattutto non al primo incontro?» Gli chiede, ma non è una risposta che vuole da lui. Si sente onnipotente, sicura, con le redini del gioco. Non sa dove la condurrà, ma continua a spingersi oltre, come inebriata dal fargliela pagare per quello che si è permesso di farle. Spinge malamente il piede contro di lui, ancora un po', prima di inclinarsi in avanti, per farglisi ancora più vicina. Appoggia una mano al poggiatesta, sfiorandogli i capelli, solleticandoglieli con le dita. «La mamma non te l'ha insegnato?» Gli sfiora le labbra con l'unghia del pollice, guardandolo negli occhi. Le segna in tutta la loro interezza, mentre il piede spinge, sentendolo vivo sotto le dita. «Te lo devo insegnare io, forse?»
     
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