Mea culpa

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    George Windsor aveva un rapporto contrastante con la notte. L'amava perché era il momento perfetto per chi durante una giornata incredibilmente lunga cerca il refrigero dell'aria fredda, il silenzio del castello dormiente e la volta celeste completamente stellata. Nella notte si sentiva al sicuro, nascosto e protetto, ma allo stesso tempo la odiava, perché lo aiutava a pensare, e instancabile il suo cervello macchinava, pianificava o semplicemente viaggiava, lontano anni luce, negandogli il sonno. Così ogni mattina, dopo una nottata in bianco e un solo quarto d'ora di sonno recuperato si svegliava con due occhiaie tanto profonde da far sembrare il suo viso scavato e affilato ancora più cadaverico. Si guardò allo specchio, stropicciandosi il viso come per aggiustarlo, ma quelle occhiaie mostruose non sarebbero andate via nemmeno se avesse rubato i trucchi di sua sorella e si fosse impiastricciato il viso. Gli occhi glaciali del suo riflesso lo colpirono, facendogli pensare che dessero un'aria ancora più angosciosa di quello spettacolo che doveva essere lui, il giovane principe dei Windsor, parte fondamentale del futuro del paese. Il suo non sembrava il viso di un ragazzo tanto privilegiato, per questo avrebbe dovuto trovare una soluzione.
    Si sciacquò la faccia, poi si diede due leggeri buffetti sulle guance, per prendere colore. Allaccio la cravatta in modo approssimativo, incalzò le scarpe appena arrivate da Londra e con i libri sottobraccio si incamminò verso l’aula di Trasfigurazione.

    La lezione si era rivelata più interessante di quanto si aspettasse, ma la sua emicrania da insonnia lo aveva tormentato per tutta la durata. Quella mattina tutto sembrava infastidirlo, irritarlo in maniera spropositata. Avrebbe voluto urlare alla classe di fare silenzio, perché il ticchettio della bacchetta sul banco di legno o lo scrocchiare delle dita gli rimbombava nella testa; avrebbe voluto dire alla professoressa di parlare a voce più bassa, di intimarle che se non l’avesse fatto avrebbe provveduto in diversa maniera, era oltraggio alla corona. Ma ogni sua idea gli sembrava una fesseria, così provò ad isolarsi mentalmente dal resto dell’aula.
    Finita la lezione fu il primo a precipitarsi fuori dalla porta e correre veloce in infermeria. Nei corridoi, fra la calca di studenti pronti a seguire la seconda lezione della giornata, scorse la testa rossiccia di una grifondoro con la quale avrebbe dovuto parlare prima o poi, non appena avesse trovato il coraggio che gli era mancato più che mai dall’ultima volta che l’aveva vista faccia a faccia.
    Le porte dell’infermeria erano spalancate, la giovane donna era tutta presa da misurazioni e dosi che quasi lo ignorò. « Ehm…salve» disse il serpeverde che aveva percorso di corsa il corridoio di barelle quasi vuoto ad eccezione di qualche studente che sembrava essere stato coinvolto in una rissa. «Dimmi tutto» asserì la donna, alzando lo sguardo verso George, il cui viso era rimasto il ritratto delle stanchezza «Non hai una bella cera» notò la donna, alzandosi e avvicinandosi a lui, per esaminarlo meglio. George face cenno di sì con il capo, per dire beh lo so. « Non può darmi niente per dormire?» domandò schietto, sperando nella bontà d’animo della donna, altrimenti sarebbe passato ad altri rimedi, molto meno legali. Il problema delle droghe però era che dormire 12h di fila risultava facile ma il risveglio era uno dei peggiori, molto peggio di quelli del dopo sbronza, i sogni erano solitamente troppo vivaci e il riposo alla fine dei conti era meno di zero. « Ho bisogno di dormire, profondamente» ammise stropicciandosi gli occhi, con la voce spezzata, stremata. « È quasi una settimana…» provò a convincere la donna che nel frattempo era sparita dietro le porte di quella che doveva essere la sua piccola farmacia di rimedi tutti naturali. « Ecco!» esclamò, tornando nella stanza principale « Un misurino di questo e dormirai come un sasso.»

    La sveglia suonò alle 17, e alzandosi dal letto si sentì improvvisamente più riposato. L’infermiera sapeva il fatto suo, realizzò con entusiasmo. Era rimasto a dormire nel suo giaciglio per sette ore buone, adesso aveva bisogno solo di una bella sigaretta e di qualcosa da mettere sotto ai denti.
    Sul comodino, di fianco al casino di pacchetti vuoti e mozziconi di sigarette, c’era una giustifica dell’infermiera stessa che lo esonerava dalle lezioni del resto della giornata. Poi, sotto tutto il resto, nascosta fra le pagine dell’Idiota di Dostoevskij c’era una fotografia. La prese per osservarla, ma quando incrociò lo sguardo della ragazza che insieme a lui rideva di gusto si rese conto che lei probabilmente non l’avrebbe mai più guardato allo stesso modo. D’altronde si era comportato da vero stronzo, ma era stata una lezione che gli era servita, o almeno così credeva. Soltanto che vederla cambiare strada o girare la faccia ogni volta che si incrociavano nei corridoi lo faceva inspiegabilmente state male, forse dopotutto anche lui aveva scoperto di possedere una coscienza.
    Si ricompose da quel sonno riposante ed uscì, smanioso di aria pulita e del fumo solitario di una sigaretta.
    Il cortile era semideserto, varcato l’ultimo arco accese la sigaretta che aveva tenuto sull’orecchio, appena nascosta dai capelli. Lontano dai pochi studenti serpeverde che facevano gruppetto, cui George rivolse un saluto fugace, un gruppetto rosso-oro spiccava, concentrato tutto attorno ad una panchina. Fra loro, anche lei. Reina Bruke l’aveva colpito ancora prima di giocare con il suo cuore e di metterla in mezzo a quella stupida scommessa. Non sapeva se fossero stati i suoi lineamenti delicati, la labbra carnose o la chioma infuocata, sta di fatto che George si sentiva un cretino totale ora che l’aveva irrimediabilmente ferita. « Reina! »Le gridò, ma insieme a lei si voltò tutto Il resto del gruppetto. Questi iniziarono ad allontanarsi, così il ragazzo corse verso di loro. « Ti prego, fermati, ho bisogno di parlarti»confessò, un po’ affannato dalla breve corsa e dal fumo di sigaretta. « Andiamo, lo so che sono stato un coglione» ammise, nella speranza che le sue parole la convincessero a restare.


    Edited by georg(i)e - 5/3/2017, 19:00
     
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    «Quella brutta strega!»Reina fece in mille pezzi l’ennesima lettera che aveva ricevuto da parte della nonna, quella donna sembrava odiare la nipote con tutta sé stessa e non smetteva mai di farle notare tutte le sue mancanze. Reina aveva notato che veniva trattata diversamente dai suoi fratelli, ma dava la colpa al suo temperamento incandescente e alla sua incapacità di non cacciarsi nei guai; purtroppo però con il tempo aveva capito che la nonna non provava alcuna empatia nei suoi confronti. «Reina lo sai che sono minacce al vento, lo sai che non ti farà mai tornare in Australia.» Il ritorno alla madre patria, una terra per lei quasi del tutto sconosciuta, era la leva che la nonna usava per ottenere ciò che voleva dalla nipote. Dopo la scomparsa dei genitori si erano trasferiti in Inghilterra, ed avendo Reina solo cinque anni all’epoca non si ricordava quasi niente della sua terra natia; un posto a lei estraneo. La nonna purtroppo minacciava di allontanarla dai suoi fratelli e dai suoi amici, gli unici punti fermi che la grifondoro aveva nella sua vita. «Quella donna mi odia! Per lei non sono abbastanza intelligente e mai lo sarò! Però io voglio fare la giocatrice quidditch, non mi interessa diventare auror o medimago; quelli sono i suoi sogni non i miei!» Da quando è salita per la prima volta su una scopa Reina ha saputo che sarebbe diventata una giocatrice di quidditch, volare per lei era naturale come respirare e non vi avrebbe mai rinunciato; nemmeno di fronte alle minacce della nonna. Ogni qual volta riceveva una lettera minatoria della nonna Dean era al suo fianco, in questo modo si sentiva protetta e al sicuro lontano dalle grinfie della nonna. La donna trattava la nipote come un burattino e non si stancava mai di tirare i suoi fili. «Guardami Reina…» l’amico le posò una mano sulla spalla e un’altra sul volto, la grifondoro si lasciò andare al conforto di quelle carezze. «Non sei una persona ordinaria, hai una strana passione per le esplosioni, ma allo stesso tempo sei un’amica leale. Per questi e altri mille motivi devi ignorare le sue lettere; inoltre finché ci sarò o a badare a te non ti porterà da nessuna parte.» Per quanto ancora però lui sarebbe rimasto al suo fianco? I tempi stavano cambiando e il mondo magico non sembrava più un posto tranquillo. Perdere gli amici avrebbe significato rimanere da sola tra le grinfie di una donna che non l’aveva mai amata. Affondò il viso nel petto del ragazzo e sperò di non dover fare mai a meno di quegli abbraccia soffocanti.

    «Sei sicura che sia questo l’incantesimo?»Reina guardava il libro di testo di trasfigurazione con un’espressione stralunata. «Lo sai vero che se provoco un altro incidente la professoressa vorrà la mia testa?»Trasfigurazioni era una materia in cui non era molto ferrata, motivo per cui ultimamente si lasciava aiutare dalla sua migliore amica. «Chi è il genio tra le due?»Reina ovviamente indicò Lympi, soprattutto perché non avrebbe mai paragonato sé stessa ad un genio; a meno che non si parlasse di quidditch. «Allora sei in mani sicure.» La grifondforo lo sperava vivamente perché ultimamente Hogwarts aveva accolto professori che sembravano avere una passione particolare nella tortura degli studenti; propinando loro test impossibili e punendoli ancora più duramente. La sua attenzione venne attirata da un serpeverde di sua conoscenza, evitare George era praticamente impossibile per la ragazza; per quanto ci provasse non poteva ignorare del tutto la sua presenza. Lympi le diede una gomitata nel fianco per attirare la sua attenzione. «Lascialo perdere Reina, non ne vale la pena.» L’amica sapeva tutto di come lui l’aveva ingannata, tutto per vincere una stupida scommessa. Il problema era che Reina, nonostante tutto, credeva ancora che ne valesse la pena. Senza farsi vedere dall’amica continuò a sbirciare cosa stesse facendo George, la professoressa continuava ad annuire verso il ragazzo e senza troppi problemi lo accompagnò verso la porta; lasciando che lasciasse l’aula prima delle fine della lezione. Era curiosa di sapere cosa fosse successo perché ,da quel poco che aveva avuto modo di vedere, il serpe verde non sembrava avere una bella cera. Era tentata di seguirlo e scoprirlo, ma non poteva permetterselo, era già stata presa in giro una volta e non voleva ripetere l’esperienza; proprio per questo motivo tornò a dedicarsi agli esercizi di trasfigurazione.

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    Come ogni pomeriggio si riunì assieme ad altri grifondoro nel cortile, Dean stava raccontando della sua ultima bravata e tutti erano concentrati sul racconto tranne Reina. La sua mente vagava altrove, ancora fissa sull’espressione di George e su tutto ciò che era successo tra loro. Il serpeverde le era sempre sembrato inavvicinabile, chiuso nella sua torre d’avorio, ma all’improvviso era cambiato. Mai avrebbe immaginato che era tutta una farsa, tutto orchestrato per prenderla in giro e ridere un po’ di lei. Come aveva potuto fingere tutte quelle emozioni? Era stato davvero tutto finto? Per lei era stato tutto vero, ma nel momento in cui aveva scoperto la truffa si era sentita letteralmente svuotata. Quando tutti i suoi compagni scoppiarono a ridere non poté fare a meno di seguirli, senza capire quale fosse il reale motivo di quell’ilarità. «Reina. Ti prego, fermati, ho bisogno di parlarti.» La voce del serpeverde le arrivò chiaramente alle orecchie e tutti i suoi compagni si voltarono verso di lui, Dean si parò di fronte per proteggerla, un gesto affettuoso che la fece sorridere, ma di cui non aveva bisogno. Poggiò una mano sulla schiena del ragazzo e lo spinse gentilmente da parte. «Ci penso io Dean.» Il ragazzo si fece da parte permettendole di essere faccia a faccia con il ragazzo che in qualche modo le aveva spezzato il cuore. «Andiamo, lo so che sono stato un coglione.» Non aveva nulla da obbiettare in merito, ma non voleva certamente avere quella discussione di fronte a tutti. Prese George per il gomito e lo trascinò dietro di sé, quel chiarimento sarebbe avvenuto in privato; lontano da occhi e orecchie indiscreti. Si nascose in un punto abbastanza isolato e lasciò andare il braccio del ragazzo. «Cosa vuoi?» Non riusciva a capire per quale motivo si ostinasse a parlare con lei. «Perché continui a cercarmi? Pensi che qualsiasi cosa tu abbia da dirmi possa cambiare qualcosa?» Lei ne dubitava profondamente, ma il suo animo gentile le impediva di ignorarlo del tutto, di far finta che ,di punto in bianco, non esistesse più.


    Edited by wreckage - 6/3/2017, 21:43
     
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    EdW9FCu
    Rimase sorpreso nel vedere la ragazza rimanere e non seguire i suoi compagni,e con rammarico invidiò il suo coraggio. Lui probabilmente sarebbe fuggito, avrebbe accelerato il passo di fronte a quella situazione. Forse l’aveva sperato, aveva sperato che la ragazza lo ignorasse, che lo lasciasse lì, a farsi il fegato amaro, a crogiolarsi nella sua inettitudine per i rapporti umani.
    Era dura per lui ammetterlo, ma Reina gli era davvero piaciuta, tanto e intensamente e si era reso conto di aver fatto una stronzata poco dopo averla conosciuta davvero. Era stata la sua risata brillante, gli enormi occhi color cioccolato vivaci e gentili a stregarlo, quegli occhi che prima lo guardavano curiosi, ora sembravano solo volersi rivolgere altrove. «Cosa vuoi?» domandò lei, impetuosa come un mare in tempesta. Vorrei spiegarti, pensò, che so di aver sbagliato. «Perché continui a cercarmi? Pensi che qualsiasi cosa tu abbia da dirmi possa cambiare qualcosa?» Ma anche se te lo dicessi so che non avrebbe alcun senso.
    Era un vigliacco, il giovane Windsor, ignaro di essere umano quanto gli altri e non divino per diritto di nascita. A nessuno importa del sangue che ti scorre nelle vene, nel mondo reale il sangue blu non vale molto più del sangue del più povero degli sfortunati, qualcuno avrebbe dovuto fargli capire. Gli mancavano le parole, anche la sua caratteristica arroganza da ricco ragazzino viziato sembrava essersi persa. In quegli occhi caldi e scuri, si sentiva smarrito.
    Provò a distogliere lo sguardo, mentre lei lo trascinava in un angolo, con la mano stretta sul suo gomito. Sentiva la grifondoro ardere, ma nel suo cuore non era l'amore a scoppiettare come il fuoco di un camino, probabilmente più odio, o risentimento, dal momento che George aveva appreso, dopo aver giocato senza remore con il suo cuore, quanto gentile fosse.
    Riprese fiato, come se fosse uscito da una profonda apnea. «Mi dispiace» disse, banale. Ma non bastava, non sarebbe certo riuscito a ricucire il rapporto con una semplice scusa. Nessuno ti crede, bastardello viziato. Eppure era quanto di più sincero sapesse dire. Era dispiaciuto, come raramente lo era stato, come non avevano insegnato ad essere. Gli era sembrato, durante tutta la sua vita, di non dover essere dispiaciuto per niente, nonostante tutti i privilegi e le opportunità concesse a sua altezza, senza meritarne effettivamente nessuna. Non si era mai scusato, o almeno mai sinceramente, le sue scuse erano sempre state paradossali bugie a cui nessuno aveva mai creduto o in cui nessuno aveva mai riposto fiducia. Inaffidabile, ecco com'era quando si parlava di emozioni e sentimentalismi. Non aveva avuto grandi modelli, questa era stata la sua scusa il più delle volte. Mia mamma non c'è mai stata, mio padre era troppo impegnato. Ma poteva mai continuare a nascondersi dietro quella scusa irrilevante? Comportarsi da stronzo, da padrone del mondo, da ignavo bastardo solo perché tra tutti i privilegi la vita non aveva voluto dargli quello di due genitori presenti? Sentiva la gente ridere delle sue lamentele.

    Non dovresti credere alle loro parole avrebbe voluto dirle, ma non riusciva più a mentire davanti al suo viso triste ed adirato. Era tutto vero, te lo giuro. Ma esporsi così tanto, rendersi tanto vulnerabile, lo intimoriva. Reina Bruke era piccola, minuta, ma sembrava sovrastarlo, si sentiva così piccolo, insulso, in colpa. « Non so che dirti» disse, amareggiato, incapace di aprirsi, nemmeno a lei, che aveva chiuso gli occhi davanti a tanta meschinità. « E’ vero, era una scommessa» ammise, cercando nel suo sguardo un segno. Gli occhi glaciali del giovane principe osservarono la pelle candida della ragazza rigarsi di lacrime, solcarle le guance morbide sulle quali aveva posato le sue labbra così tante volte negli ultimi mesi. Sentì un pungo invisibile colpirgli lo stomaco, togliergli il respiro. Si odiava, ma ancora di più odiava il fatto di non avere il coraggio di confessare che forse, lui che si era sempre sentito al di sopra di tutto e tutto, si era innamorato.
    « Solo che ti facevo più sveglia, Reina Bruke,» le disse, sprezzante, velenoso, nascondendosi dietro la maschera che era ormai diventata la sua vera faccia, ripetendosi che era meglio per lei, ma proteggendo se stesso, perché era meglio per lui.



    Accese un'altra sigaretta, quella precedente giaceva mezza consumata sul pavimento di pietra del cortile. « Ho sbagliato» asserì, convinto ma conscio di dire sempre troppo poco. « Io vorrei trovare una scusa valida per quello che ho fatto» provò a farle capire, sentendosi improvvisamente più coraggioso «dire che mi hanno costretto, che io in realtà non ne avevo intenzione» proseguì il suo monologo, cercando di gettare fuori più parole in meno tempo possibile, perché lo sapeva, eccome se lo sapeva, che se la grifondoro avesse controbattuto lui non sarebbe stato in grado di arrampicarsi sugli specchi. «ma non è così, sono stato io la mente di tutto, sono stato anche il braccio» Seguì con lo sguardo il profilo gentile della ragazza. « Ma... » si fermò. Ma cosa? si chiese. Ma l'ho fatto perché non so come ci si comporta? L'ho fatto perché mi piacevi ma non avevo il coraggio di dimostrarlo, così ho voluto prendermi gioco di te? L'ho fatto, ma poi mi sono accorto di provare qualcosa di vero, solo che era troppo tardi e io troppo sciocco? « ma non avrei dovuto farlo.» disse, omettendo tutto ciò che potesse riguardare i suoi sentimenti. Fece un tiro, aspirò, mantenne il fumo nei polmoni, e poi lo cacciò fuori, per un momento il viso della ragazza si confuse nel fumo, il suo sguardo inquisitorio scomparve per qualche attimo.
    Se fosse stato la ragazza probabilmente non sarebbe rimasto lì ad ascoltarlo, non gli avrebbe dato la possibilità nemmeno di parlare, l'avrebbe allontanato, sperando che sparisse, ma vederla lì, che controvoglia lo ascoltava, gli ricordò che per fortuna lui non era come lei, e che probabilmente non era abbastanza per una persona così.
    Il fumo si era dissipato e ora si trovava di nuovo faccia a faccia, con l'unica ragazza che era riuscita toccare il suo presunto cuore, ma che lui, inespertamente aveva ferito.
    Piccolo stronzetto gli disse la sua coscienza guarda cosa ti stai perdendo.

     
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    «Oh andiamo Reina sei sicura di quello che stai facendo?» Lympi e Tris la guardavano con occhi sgranati, come se fosse letteralmente uscita di testa. Aveva appena raccontato alle amiche che aveva accettato l’invito di George ad uscire insieme e le ragazze erano impallidite. La grifondoro non ci aveva trovato niente di male, lui si era fatto avanti e lei non aveva voluto respingerlo; curiosa di scoprire qualcosa di più riguardo l’enigmatico serpeverde. «Ragazze dobbiamo solamente uscire insieme, ne state facendo un dramma.» Reina scrollò le spalle, indifferente a tutti quegli scrupoli che le due compagne stavano sollevando. Non conosceva George, ma per quel poco che aveva visto le era sembrato diverso; un ragazzo con un mondo intero da scoprire. Spesso pareva perso nel suo mondo, nascosto dietro quell’aria malinconica che trasudava dai suoi occhi chiari. Reina si chiedeva cosa ci fosse dietro quel muro che il ragazzo poneva tra sé e tutti gli altri, un muro che per ora sembrava poter superare solamente sua sorella. «Non ne stiamo facendo un dramma, solo che non vogliamo che tu rimanga delusa…» Sorrise di fronte alla sana preoccupazione delle amiche, dopotutto Reina non era esattamente un’esperta in relazioni e in men che non si dica avrebbe potuto ritrovarsi con il cuore spezzato; ma allora che senso avevano le relazioni? Se non si fosse buttata avrebbe solamente rischiato di rimanere bloccata; sempre nel solito punto. Senza pensarci molto travolse le due grifondoro in un abbraccio unico, la forza e il coraggio che entrambe dimostravano le erano di ispirazione, spingendola a credere di più in sé stessa e nelle proprie capacità. «Probabilmente sarei persa senza di voi.» Rispettava il parere delle amiche e per farle contente decise di tenere gli occhi ben aperti e di non sottovalutare mai il ragazzo che avrebbe avuto di fronte. «Però dovete darmi un po’ di fiducia, George non è così male…» Le espressioni scettiche di Lympi e Tris mettevano ben in chiaro che non condividevano la sua idea, ma nonostante ciò era certa che l’avrebbero sempre spalleggiata; pronte a sorreggerla nel caso in cui le cose non sarebbero andate bene.

    Reina rientrò nella stanza sbattendo la porta dietro di sé, diversi volti si erano affacciati sul corridoio, curiosi di scoprire l’origine di tutto quel trambusto. Presto le voci sarebbero arrivate anche alla torre dei grifondoro, spargendosi così per tutta Hogwarts. Reina Bruke era ufficialmente una stupida, abbindolata da un serpeverde che doveva solamente vincere la sua scommessa. La ragazza era sicuramente offesa, ma ciò che sentiva per la maggior parte era un costante dolore sordo, un eco lontano simbolo del suo cuore spezzato. George l’aveva da poco scaricata e lei non riusciva a pensare ad altro che i suoi occhi, inizialmente aveva pensato che stesse scherzando, ma più il discorso andava avanti più tutte le sue certezze avevano cominciato a crollare. Il ragazzo che aveva imparato a conoscere sembrava del tutto scomparso, sostituito da quella fredda statua di marmo. Reina si buttò sul letto incredula, si era appena resa conto che per mesi aveva conosciuto e iniziato a provare sentimenti per una persona che in realtà non esisteva; tutto ciò che avevano costruito era una grandissima bugia. Quasi non si accorse dell’entrata delle sue compagne, ma fu grata della loro presenza quando la strinsero tra le braccia. In quel momento si sentì nuovamente al sicuro e permise a sé stessa di lasciarsi andare e piangere, avrebbe versato solamente quelle lacrime e dopo di ché George avrebbe smesso di esistere per lei. Non le dissero te l’avevamo detto, non ribadirono di averla avvisata su come lui non fosse affidabile e Reina non poté fare a meno di essere loro grata.

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    Nonostante fossero passati alcuni mesi non riusciva ancora a guardarlo senza provare una leggera fitta al cuore, che serviva sempre a ricordarle cosa erano stati e a farle rimpiangere cosa avrebbero potuto essere. George sembrava veramente affranto, ma come poteva fidarsi di lui? L’aveva già presa in giro una volta e lei non voleva più trovarsi in quella situazione. «Mi dispiace» Troppo tardi e troppo poco per poter rimediare, per giorni era stata lo zimbello dei serpeverde, ma le risatine non l’avevano mai disturbata; ciò che non era riuscita ad accettare era il ritrovarsi con il cuore spezzato dall’oggi al domani senza alcuna spiegazione. Non si era lasciata buttare giù, dopo essersi sfogata in camera sua aveva nuovamente alzato la testa perché l’unico che si sarebbe dovuto vergognare era proprio il serpeverde di fronte a lei. Reina era stata sincera, aveva seguito i suoi sentimenti e negli anni aveva imparato che non c’era alcuna vergogna nel seguire il proprio cuore. «Ho sbagliato» Forse era la prima cosa vera che sentiva uscire dalla bocca del ragazzo, dopo tutto quello che era successo non si era permessa di ripensare a tutto ciò che si erano detti; tutto per lei era diventato una grossa ed ingiustificabile bugia. Lo guardò smarrita, cercando di capire il perché di quelle scuse; forse aveva solo bisogno di ripulirsi la coscienza. «Io vorrei trovare una scusa valida per quello che ho fatto, dire che mi hanno costretto, che io in realtà non ne avevo intenzione, ma non è così, sono stato io la mente di tutto, sono stato anche il braccio» L’ennesima fitta al cuore, era forse un gioco perverso per lui? Sperimentare quanto fosse ancora in grado di ferirla? Reina era letteralmente senza parole, non sapeva come reagire di fronte a quelle scuse e quell’ammissione di colpevolezza; l’unica cosa di cui era certe era che non poteva fidarsi di lui. Non si era chiesta perché, non aveva indagato sui motivi che l’avessero spinto a prenderla in giro; tutto ciò che aveva voluto fare era stato dimenticare. Dimenticare di aver provato qualcosa per lui, dimenticare di tutti i bei momenti fasulli che avevano passato insieme, dimenticare di essersi quasi innamorata di lui. «…non avrei dovuto farlo.» Annuì mestamente di fronte a quell’affermazione, ma allo stesso tempo non le donò il minimo sollievo. «Già ma l’hai fatto ugualmente…ne è valsa almeno la pena?» Cosa aveva vinto per averla presa in giro? Forse niente, forse George era solamente un bambino ricco troppo viziato e annoiata, alla ricerca di nuovi stimoli in grado di solleticarlo. «Era tutto finto?» L sua era una domanda appena sussurrata, ma per la grifondoro era molto importante. Voleva sapere sei gli sguardi che aveva letto sul suo volto erano solamente frutto della sua immaginazione o se forse per un brevissimo istante lei era davvero riuscita ad entrare in contatto con l’enigmatico George. I suoi cocchi le rendevano difficile concentrarsi, avevano sempre avuto quell’effetto su di lei e forse proprio per questo motivo aveva potuto imbrogliarla; troppo distratta dalla profondità dei suoi occhi cristallini. «Quale persona degna di tale nome scommette sui sentimenti di un’altra persona?» Solamente un mostro ecco qual era la risposta, ma forse per Reina era giunto il tempo di esigere delle spiegazioni e delle risposte convincenti per tutto ciò che era successo .
     
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    A George piaceva poco parlare,benché avesse appreso dai migliori l’ars oratoria. Parlava poco, quando gli sembrava opportuno, ma quelle rare volte erano sufficienti per far capire agli altri con chi avessero a che fare. Erano per lo più parole affilate, ben ponderate, piccoli pizzichi dolorosi che colpivano impudentemente l’orgoglio altrui. Aveva sviluppato una vera e propria abilità nello smontare ogni tipo di pensiero altrui anche con un semplice lemma. Era spietato, nella sua totale apatia, privo di tatto talvolta.
    Dunque la parola non gli era mai venuta a mancare, piuttosto difficile che si fosse ritrovato sprovvisto dei suoi proiettili. «Già ma l’hai fatto ugualmente…ne è valsa almeno la pena?» lo rimproverò la grifondoro, domandandogli qualcosa che lui non si era mai chiesto. Ne era valsa la pena? A che gioco a veva voluto realmente giocare? Perché prenderla in giro, quando non era necessario? Nemmeno si era divertito, nemmeno si ricordava perché avesse accettato quell’inutile scommessa. Perché detesti quando mettono in dubbio una qualsiasi delle tue capacità. Ma che le mettessero in dubbio oppure no, non era quello. George non era oggettivamente un adone, il suo aspetto era efebico e consumato, gli occhi cerchiati da profonde occhiaie, i capelli pallidi come la pelle, occhi spettrali che sembravano scavare nei più reconditi meandri di chi vi si specchiava. Non era bello, non oggettivamente, ma le ragazze, il sesso, non erano mai stati un problema. Che fosse per il cognome, per l’atteggiamento da stronzo che intrinsecamente si trascinava dietro, l’aspetto da dannato, un po’ tutto. Probabilmente era anche per questo che Reina gli aveva detto sì. Probabile, anche se di certo non sembra essere mai stata attratta dai tuoi titoli. Era forse questo ad averlo spinto, la grifondoro gli era sembrata diversa. Viva, accesa, lontana da quella malizia un po’ perversa che brillava negli occhi delle altre. Era stata quella la vera sfida, probabilmente. Avvicinarsi a qualcuno tanto diverso da lui. E ti ci sei anche trovato bene lo punzecchiò, la sua coscienza, sempre pronta a girare il dito nella piaga. Quella domanda gli aveva seccato la bocca, le parole non erano in grado di uscire. Ne era valsa la pena? Cosa avrebbe dovuto risponderle? «Non era mia intenzione ferirti» biascicò, cercando di essere il più sincero possibile. Ma l’hai fatto ugualmente. Si immaginò la voce di Reina ripeterglielo ancora. Mentre stavano assieme George si era sentito diverso, non che la ragazza l’avesse poi cambiato realmente, di base il suo substrato era rimasto quello di sempre, il giovane e ricco rampollo, arrogante e disgraziato. Ma forse tutta l’energia della grifondoro l’aveva contagiato. L’aveva punto, gli aveva dato una scossa «Era tutto finto?» domandò lei, in un sussurro. La sua voce quasi tremava, si rese conto il serpeverde, cercando nel suo sguardo un segno di cedimento.
    «Quale persona degna di tale nome scommette sui sentimenti di un’altra persona?»
    Era stato tutto finto? Forse. Non lo sapeva nemmeno lui. C’era qualcosa di profondamente sbagliato nei suoi atteggiamenti, così criptici che talvolta lo disorientavano. Era davvero apatico come mostrava di essere, disamorato e borioso, o le risate condivise con Reina, quella vitalità che aveva sentito scorrergli nelle vene in sua presenza erano reali? Dove si collocava il vero George? Non lo sapeva nemmeno lui.
    «Credo di no.» si sforzò di dirle «Non fingevo, Reina, non lo so» disse, con una certa punta di esasperazione nella voce, lo innervosiva dover dare risposte incerte a domande che lo mettevano in difficoltà, con le spalle al muro. Perché Reina stava cercando di fare questo, forse voleva metterlo a nudo. «Tu mi piaci » ammise, calando un attimo la maschera. Lo sguardo basso rivolto al pavimento, perché gli occhi di lei, lo sapeva, lo avrebbero incenerito « Mi piacevi» disse, quasi correggendosi, per paura di essersi esposto troppo. « Non lo so che tipo di persona sono» se lo sapessi avrei già trovato il mio posto nel mondo «ma non credo di aver mai voluto prenderti in giro». Per una volta le fu sincero, lo si vedeva dai suoi occhi, glaciali, distanti eppure vagamente lucidi. Era un doppiogiochista, un arrivista, nella vita probabilmente ne avrebbe distrutti di cuori e vite, ma Reina se lo meritava?
    Vedi George, anche tu hai un cuore sotto sotto sussurrò a se stesso, hai solo paura di mostrarlo.


     
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    La rabbia era ormai sparita, aveva lasciato il posto ad una cocente delusione che non sembrava in grado di superare. Reina era una persona benevola, sempre pronta a tendere una mano a chiunque fosse in difficoltà e forse avrebbe dovuto farlo anche in quel momento. George era un enigma difficile da decifrare, erano praticamente agli antipodi, però nella loro diversità erano riusciti a trovare un punto d’incontro. Una parte consistente del suo cuore le diceva di perdonarlo, di porgere l’altra guancia, ma la ragione la spingeva a chiedersi se potesse veramente fidarsi di quel ragazzo. «Non era mia intenzione ferirti» La grifondoro fu costretta a mandare giù un boccone amaro, perché nonostante tutto credeva alle sue parole e non poteva fare niente per cambiare ciò. Reina era una persona istintiva, si era sempre lasciata guidare dall’istinto e, nonostante qualche scivolone, non aveva mai rimpianto le proprie scelte. Continuava a ripetere a sé stessa che non avrebbe ceduto di fronte al suo sguardo malinconico, ma lei era stata sincera e quei sentimenti non erano scomparsi; li aveva solamente messi sottochiave, ignorati nella speranza che piano piano svanissero da soli. «I-io non so cosa dirti George…» Sconfitta era la parola giusta, voleva odiarlo, voleva essere in grado di voltargli le spalle, ma lei non era fatta così. Non riusciva ad inveire contro di lui, riusciva solamente a pensare a ciò che erano stati e a ciò che sarebbero potuti diventare; nella sua mente si era rifiutata di accettare l’idea che tutta quella dolcezza che George aveva mostrato mei suoi confronti fosse finta, ma come poteva mettere ancora in gioco il suo
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    cuore? Si stiracchiò le mani nervosamente, le sue braccia fremevano dalla voglia di stringersi a lui per scaldarlo, per fargli capire che una parte di lei non poteva fare a meno di credergli; ma cedere avrebbe significato mettersi nelle sue mani ancora una volta e rischiare di venire spezzata per sempre. «Non fingevo, Reina, non lo so» Lui non aveva il diritto di mostrarsi esasperato, come se le sue domande fossero troppo difficili, ma allora perché l’aveva cercata se non era pronto a rispondere? La cosa peggiore era che Reina sentiva il bisogno di consolarlo, di scacciare quella malinconia per vederlo nuovamente sorridere, ma George era come una fortezza inespugnabile. I suoi pensieri erano abilmente celati dietro quei magnetici occhi azzurri e lei non sapeva come fare per tirarli fuori. «Tu mi piaci…Mi piacevi» La confessione la lasciò spiazzata, spingendola ad allontanarsi nell’esatto momento in cui si corresse. Che non avesse finto infatti non significava che avesse seriamente provato qualcosa per lei. Annuì semplicemente di fronte a quella dolorosa ammissione, certa che forse adesso poteva finalmente mettersi il cuore in pace. «…non credo di aver mai voluto prenderti in giro» Una magra consolazione per lei che aveva investito il cuore e la mente in quelle possibile relazione. Lei e George venivano da mondi completamente diversi e forse proprio questi li aveva allontanati; lui era un nobile inglese, un papabile futuro re, mentre lei era semplicemente una ragazzina australiana cresciuta dalla nonna, come potevano incontrarsi i loro due mondi? «Forse è stato meglio così…Hogwarts tra poco finirà e io non so ancora cosa farò, potrei tornarmene addirittura a Victoria in Australia.» Non aveva mai pensato alla sua vita dopo Hogwarts, ma il tempo stava per scadere e presto avrebbe dovuto scegliere, prendere in mano la sua vita e decidere da sé cosa era meglio per lei. George dal canto suo sarebbe tornato a quel mondo dorato, forse troppo rigido per i gusti della grifondoro, ma per lui era un po’ come il suo ambiente naturale. Mentre uscivano insieme aveva vissuto nella stupida fantasia che li avrebbe potuto mostrargli la sua bellissima Australia, ma in cuor suo sapeva che sarebbe potuta rimanere solamente una fantasia. Forse proprio per questo si avvicinò al ragazzo, posò una mano sul suo petto, dove spesso aveva poggiato il capo, e non poté fare a meno di sorridere quando riuscì a sentire quel flebile battito rispondere al suo tocco. Piccole lacrime le inumidirono gli occhi perchè niente poteva renderla più felice se non quella piccola conferma di quanto non fosse indifferente al ragazzo. «Io penso che in cuor tuo tu sappia quanto di ciò che avevamo fosse vero e la cosa importante è che tu lo ammetta a te stesso…» Forse quello sarebbe stato per lui un primo passo per imparare a comprendere i suoi sentimenti. Avrebbe tanto voluto dirgli di custodire il suo cuore, ma farlo avrebbe significato esporsi troppo e lei non poteva assolutamente permetterselo; era stata fin troppo sincera con il serpeverde. «Le nostre vite sono così diverse che non era una cosa destinata a durare. Tu sei un principe ed io una specie di immigrata…esistiamo solo nelle favole George.» Fu quasi doloroso ammetterlo, ma Reina aveva smesso di vivere di illusioni.


    Edited by quinzel. - 1/6/2017, 00:42
     
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    Se avesse avuto il coraggio di ammetterlo, a se stesso, a lei e al mondo, George avrebbe definito la giovane grifondoro come una vera e propria debolezza. O almeno così era stata. Adesso però non riusciva comunque ad evitare di pensare a lei ancora in quel modo, in una maniera o nell'altra. Lo pensava anche in quel momento, mentre scrutava il volto dai lineamenti gentili di lei. «I-io non so cosa dirti George…» Nessuno lo sapeva. Nessuno sembrava mai sapere cosa dire in sua presenza, perché le parole di George avevano il potere di destabilizzare gli altri. Il giovane principe era bravo nell'arte del dubbio e dell'incertezza. Era un abile camuffatore di emozioni e pensieri che raramente prendevano vita al di là della sua mente. Ne era forse geloso, morbosamente geloso, così tanto da non volerli condividere. O era ancora una volta la paura, quella che l'aveva sempre tormentato, attanagliandolo, scavandogli quasi la fossa. La paura che lo portava di continuo a mentire, rannicchiarsi dietro la facciata del principe imperturbabile, dietro la flemmatica e asettica espressione di totale disinteresse. Ma Reina aveva scoperchiato quell'antica tomba e aveva fatto entrare un po' di luce, per un breve istante, un battito di ciglia. Era stato come scontrarsi contro un muro, varcare la soglia verso una dimensione più luminosa e meno grigia e costruita di quella in cui si sentiva costretto a vivere. In cui voleva essere costretto a vivere. Aveva addirittura dimenticato di pensare alla corona, quell'ossessione malata che lo perseguitava nutrendo la sua anima emaciata e spigolosa. Era come essere stato punto da qualche strano insetto che ti libera le vie respiratorie, che ti apre gli occhi su un mondo talmente immerso nei colori che fa quasi male guardarli. Si era scontrato con una verità troppo diversa dalla sua, una dimensione altra che non aveva saputo affatto apprezzare. «Forse è stato meglio così…Hogwarts tra poco finirà e io non so ancora cosa farò, potrei tornarmene addirittura a Victoria in Australia.» Sgranò gli occhi, quasi sorpreso dalle sue parole. Mai l'aveva vista così risoluta, nemmeno quando la sua voce fragile l'aveva mandato al diavolo. Annuì, pensando che forse avesse ragione. Quel mondo stava per abbandonarli, presto o tardi, prima di quanto si sarebbero aspettati, sarebbero diventati adulti. Lo spaventava, come un po' tutto, eppure si sentiva finalmente pronto, perciò abbandonarla definitivamente poteva solo aiutare. «Io penso che in cuor tuo tu sappia quanto di ciò che avevamo fosse vero e la cosa importante è che tu lo ammetta a te stesso…» Difficile, quasi impossibile. Ammettere una cosa tanto grande per una persona tanto piccola. Perché George era piccolo, negli affetti, nelle emozioni. Una smorfia gli sfigurò il viso, un misto di dolore e perplessità. «Le nostre vite sono così diverse che non era una cosa destinata a durare. Tu sei un principe ed io una specie di immigrata…esistiamo solo nelle favole George.» Lei forse lo sapeva meglio di lui ed era stata più coraggiosa di lui, un codardo fin dalla culla. Delle favole loro due non avevano nemmeno la speranza. «Forse hai ragione. E' meglio che vada.» Prese appena la mano della ragazza fra le sue, fredde e magre. La strinse cercando i suoi occhi come un assetato cerca un'oasi nel deserto. «E' stato bello parlarti, Reina.» Lasciò cadere la mano aggraziata della ragazza e si allontanò a grandi passi dal cortile. Affrontare le proprie paure non era mai stato una cosa molto da George, aggirarle, evitarle era sempre stato più facile. Ma come raramente gli era successo nella vita, finalmente sembrava essersi liberato da un peccato imperdonabile, uno dei tanti a riempire la sua vita.

     
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