Moments of impact

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    Klara si risvegliò di soprassalto tra le morbide coperte del suo letto a baldacchino, l’incubo era sempre lo stesso; tormentava e disturbava i suoi sonni da più di una settimana. Erano anni che non le capitava più di sognare suo padre o la sua vecchia vita, ma ultimamente i suoi timori si facevano strada prepotentemente nei suoi pensieri. Lontana da Mosca aveva cercato di rifarsi una vita, di ricominciare e con fatica c’era riuscita, non avrebbe permesso a quei ricordi di rovinarle tutto. Il sole sorgeva alto nel cielo e la sveglia sul suo comodino segnava le undici e mezza, molti l’avrebbero giudicata una dormigliona, ma quando il tuo lavoro prevede turni fino alle quattro del mattino ti senti autorizzata a dormire fino a tarda mattinata. Restò semplicemente sdraiata ad osservare il soffitto, persa nell’incubo che l’aveva risvegliata. Nella sua mente erano ben chiari i tratti di suo padre, alterati dalla trasformazione, i canini affilati e lo sguardo bestiale fisso su di lei. Lei era sempre inerme e indifesa, non aveva altra alternativa se non soccombere, l’incubo si interrompeva sempre nel momento in cui il lupo scattava verso di lei pronto ad affondare i canini della sua tenera carne. Klara non riusciva a capire perché fossero tornati dopo tanto tempo, niente era cambiato nella sua routine; ma nonostante ciò non riusciva a fermare quegli orribili sogni. Era ancora distesa quando la porta si spalancò improvvisamente facendola sussultare. «Che sfiga sei vestita! E io che pensavo di trovarti svestita…» La figura imponente di Lucas, il suo coinquilino, si stagliò sulla porta. «Ritenta, magari la prossima volta sarai più fortunato.» Il loro era un rapporto amichevole, si divertivano a prendersi in giro; lasciandosi andare ogni tanto a qualche flirt innocente. La coabitazione era stata facile sin dall’inizio, dopotutto Klara spesso si comportava come un vero e proprio maschiaccio. Nel loro frigo non mancava una confezione di birra da sei, solitamente la bevevamo sempre insieme sul balcone prima che lei attaccasse a lavorare, oppure quando la loro casa si riempiva di ragazzi esaltati ed impazienti di seguire la radiocronaca di una partita di quidditch. «Ho cucinato, ti unici a me?» Il concetto di cucina di Klara era alquanto strano, solitamente consisteva nel mettere un piatto surgelato nel microonde; quelle diavolerie babbane le permettevano di variare la sua dieta e non mangiare solamente uova strapazzate e bacon. Fortunatamente Lucas era di tutt’altro avviso, quel ragazzo sembrava nato per cucinare, la cucina era il suo regno; lei doveva solo contribuire economicamente alla spesa. «Assolutamente sì, sto morendo di fame.» Saltò fuori dal letto e indossò una corta vestaglia sopra il pigiama, aprì le finestre per cambiare l’aria e spinse l’amico fuori dalla stanza per chiudere la porta. «Che profumino…» Il suo stomaco brontolò sonoramente, un suono profondo che sicuramente aveva udito anche Lucas. Aveva più volte incolpato l’amico di averle rovinato la vita, quando avrebbe trovato l’amore della sua vita se ne sarebbe andato; lasciandola sola a morire di fame. «Ho fatto del pollo al marsala con verdure in agrodolce.» La ragazza si leccò le labbra senza ritegno, la sua vita prima di lui appariva così vuota ai suoi occhi; fatta di pasti surgelati e take away orientali. Una volta seduti a tavola le chiese come aveva dormito e Klara fu costretta a mentire, ammettere i suoi incubi avrebbe significato anche svelare il motivo per cui li aveva ed era una cosa che non poteva fare. Lucas non conosceva nemmeno il suo vero nome, pensava che lei fosse una ragazza orfana alla ricerca di una nuova vita. Ogni volta che gli mentiva o gli nascondeva qualcosa si sentiva in colpa, ma non poteva permettersi di rischiare; conoscere la verità avrebbe potuto addirittura metterlo in pericolo e Klara non lo avrebbe mai permesso.

    Quella sera aveva un altro turno al pandemonium, ci lavorava come barista da ben tre anni e i precedenti due lo aveva fatto come cameriera. Molti lo consideravano un posto malfamato, ma la realtà era che avevano una vasta clientela: dal padre di famiglia, in cerca di qualcosa di diverso, al ragazzo giovane senza pensieri che voleva divertirti; certamente molti erano soggetti poco raccomandabili, ma solitamente preferivano i privé per non mischiarsi alla gente comune. Appena arrivata a Londra era l’unico lavoro disponibile, nessuno l’avrebbe mai assunta con la sua inesperienza, ma in quel locale le avevano dato un’opportunità e lei l’aveva sfruttata al meglio. Come ballerina avrebbe sicuramente fatto più soldi, ma vendere sé stessa avrebbe significato compromettersi nuovamente e Klara non voleva buttare via la possibilità di una nuova vita. In passato aveva usato spesso il sesso come valvola di sfogo per dimenticare i suoi problemi, per scontentare suo padre, per provare a lui e a sé stessa che valeva meno di zero. La vecchia Klara non avrebbe esitato a salire su quel palco per mettere in mostra sé stessa e vendersi al miglior offerente, ma lei non voleva più essere quella persona; motivo per cui svolgeva quel lavoro con il sorriso, grata della possibilità che le era stata offerta. Come ogni sera indossò il corto tubino nero, divisa per tutte le ragazze che lavoravano dietro al bancone, un bel passo avanti rispetto
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    alla sottoveste semitrasparente che portava quando serviva ai tavoli. Lasciò i capelli sciolti in morbide onde, dopotutto ali uomini piaceva più una chioma libera e fluente che una coda severa e ordinata; piccoli trucchi, per ottenere più mance, che aveva imparato con il tempo. Un po’ di matita e di mascara completarono il suo look, a differenza delle altre non le piaceva calcare troppo la mano con il trucco; preferiva rimanere il più semplice possibile, fedele all’idea che less is more. «Mi raccomando è sabato sera quindi ci sarà il pienone, non voglio gente senza qualcosa da bere in mano. Al lavoro!» Il loro capo era un uomo sulla quarantina, incuteva un po’ di timore, ma raramente si aggirava per il locale durante il lavoro; lui si occupava dei clienti nei privé, assicurando loro la massima discrezione possibile. Il sabato era sicuramente il giorno più movimentato della settimana, il bar veniva preso d’assalto e per tutta la serata non faceva altro che galoppare sui vertiginosi tacchi a spillo per preparare le ordinazioni. La musica pompava a tutto volume e le luci ad intermittenza illuminavano saltuariamente i corpi dei clienti che si scatenavano sulla pista, fortunatamente il bancone era sempre illuminato da una luce azzurra che permetteva loro di non lavorare al buio. «Hel settore tre…» Tifanny indicò alle sue spalle un uomo seduto al bancone senza niente da bere. Ad un primo sguardo sembrava del tutto fuori posto perché non era certamente un ragazzino in cerca di divertimento o un padre di famiglia che voleva un po’ di trasgressione. Indossava un completo di alta sartoria, irriconoscibile per chiunque non venisse da un ambiente privilegiato come lo era stato il suo. Era il classico cliente che solitamente veniva lasciato entrare nel privé senza fare troppe domande, ma il perché fosse lì e non altrove non erano fatti suoi; lei doveva solamente pensare a servirgli da bere. Gli occhi dell’uomo, pozzi neri senza fondo, erano fissi su di lei, statici e quasi privi di emozioni. Quasi intimidita Klara poggiò le mani sul balcone e si porse verso di lui per farsi sentire. «Cosa ti porto bellezza? Whiskey? Bourbon? O vuoi qualcosa di più forte?» Da brava russa qual era per lei esisteva solamente la vodka, tutto il resto era robaccia; acqua di fogna l’avrebbe definita suo padre. «Sei sicuro di essere nel posto giusto?» Con quella domanda aveva appena infranto la sua regola numero uno: farsi sempre gli affari propri, soprattutto considerando il tipo di gente che frequentava per la maggiore quel posto.


    Edited by wreckage - 6/3/2017, 21:44
     
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    « Sei in ritardo. » La voce sibilante dell'uomo aleggia nell'aria, sventrandola senza alcuna pietà. Un ragazzo ventina appena inoltrata sosta sulla porta, le braccia strette ai fianchi, la schiena diritta e l'espressione terrorizzata. Indossa un completo nero, elegante, con una camicia di seta al di sotto, di un grigio argenteo. Nella mano sinistra tiene una carpetta color avorio, rilegata elegantemente in nero. Nessuna scritta aleggia sulla copertina, semplicemente una targhetta bianca con sopra una scritta in russo.
    « La prego di scusarmi, problemi in famiglia e.. » Si morde la lingua il ragazzo, in risposta ad un cenno dell'uomo che siede al di là dell'enorme scrivania. Ha capelli corvini, occhi così neri da sembrare senza fondo, pelle diafana ed un'espressione di indecifrabile indifferenza stampata sul viso incorniciato da un sottile strato di barba scura. Indossa un completo della migliore stoffa italiana, assieme ad una camicia di seta al di sotto, entrambi neri. Alza il capo, inchiodando il povero malcapitato sulla porta con un semplice sguardo.
    « Problemi di famiglia? » Incalza, con voce pacata. Il ragazzo annuisce prontamente, leggermente rincuorato da quella sorta di interesse da parte del suo capo. Aleksej Igor Lazar non è mai stato altruista. E' il classico uomo che, non appena ti capita di poggiarvi lo sguardo addosso, l'unico pensiero che ti solletica la mente è quello che non potrai mai raggiungere il suo livello. Di classe, elegante, misterioso e perennemente distaccato dal mondo che lo circonda. Sembra quasi provenire da un altro universo, tanta è la sua sicurezza e decisione nel non intromettersi negli affari altrui, di ben poco conto per guadagnarsi il suo interesse.
    « Sì, i miei figli..- »
    « Oh, figli. Mi dispiace, purtroppo a volte capitano.. » Mormora, con un tono teatrale che, però, non riesce a nascondere una nota di cinismo al suo interno. Il ragazzo rimane interdetto per qualche istante, secondi preziosi che permettono all'uomo di allungare un braccio ed aprire la mano allargando le dita.
    « Oh, giusto! Le ho portato i documenti che le servivano. » Balza sul posto il giovane, affrettandosi per avvicinarsi alla scrivania e poggiare la carpetta tra le mani del proprio capo. Chiaramente, Igor non lo ringrazia, ma si limita a calare quegli occhi di tenebra verso il fascicolo per poi spiegarlo con calma. Fogli bianchi scritti coi caratteri cirillici del russo si palesano sotto il suo sguardo. « Posso chiedere a cosa le servono? » Alza il capo per guardarlo. « ...No, okay, come non detto. » E' simpatico quel ragazzo, ha così tanta paura di lui da andare in iperventilazione ogni qualvolta Igor lo guardi. Forse quel lavoro gli serve sul serio, per mantenere i suoi marmocchi o insomma quelle robe da genitori che il signor Lazar non ha mai capito e mai ha voluto farlo.
    « E' per questo che mi piaci! » Esordisce, con un sorriso ambiguo a distendergli le labbra sottili. Il ragazzo spalanca gli occhi preso alla sprovvista da quell'esplosione improvvisa, e per qualche istante Igor prospetta già di assistere allo sfondamento del suo cuore a dispetto della cassa toracica. Ma, ahimè, ciò non succede: un vero peccato.

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    La prima volta che aveva visto Klara Ivashkova nei fascicoli che il suo simpaticissimo padre gli aveva procurato, ne era rimasto quasi sorpreso. Dall'alto della sua arroganza, Igor era sicuro che si sarebbe trovato di fronte ad una ragazzina dall'aspetto infantile che si sforzava di assumere degli atteggiamenti da ribelle soltanto per infastidire il resto della sua famiglia. Si era ritrovato invece di fronte ad una donna fatta e finita che, seppur non era così sicuro sulla veridicità di quelle foto sbiadite, l'aspetto da bambina l'aveva abbandonato già da tempo a quanto pareva. Una valchiria, dall'espressione fiera ed il viso bellissimo. Si era chiesto da chi avesse preso, in realtà. Nonostante il padre di lei fosse un uomo di potere lì in Russia, Igor non aveva mai provato grande simpatia nei suoi confronti. A dirla tutta, Igor non provava simpatia per nessuno, ma questi sono dettagli futili. Superbo per com'era, riusciva sempre a trovare un qualche letale difetto a qualsiasi altro uomo dotato di un minimo d'importanza che fosse al di fuori di sè stesso, e forse -ma neanche poi tanto- della sua famiglia. Il signor Ivashkov gli sembrava dunque soltanto un povero illuso con manie di grandezza, anche poco intelligente probabilmente, dato che era riuscito a farsi fregare dalla propria figlia che di anni ne aveva la metà dei suoi. Tutti questi pensieri tuttavia, erano stati celati -come suo solito- da un dei suoi tanti sorrisi da depliant. Finti, ma perfetti. « Fermati quì. » Ordina al taxista. Odia i taxi, il traffico londinese, le strade affollate e se vogliamo dirla tutta anche le persone in generale. Era stato costretto dalle circostanze ad abbassarsi ad una tale miseria qual'era fermare un comune mezzo di trasporto pubblico come ogni persona normale faceva probabilmente ogni giorno. Con tutti i soldi che aveva, avrebbe potuto comprarsi mezza città, eppure aveva dovuto prendere un stramaledettissimo taxi. Aveva esitato fino all'ultimo secondo, ma qualcosa gli diceva che presentarsi in limousine o con una delle sue tante macchine costosissime non sarebbe stato un bel modo per farlo passare inosservato. Scende dall'auto, non prima di aver lasciato un profumato verdone tra le mani del guidatore consigliandogli di tenere il resto. Si guarda attorno, sistemandosi la giacca spiegazzata e schiarendosi la gola. Il pandemonium non è mai stato uno dei suoi luoghi più amati nè tanto meno frequentati. A dispetto delle apparenze, Igor non ha mai frequentato assiduamente posti del genere. Certo è che potrebbe permetterselo, ma non ha mai avuto parecchio interesse e anzi, a dirla tutta, un certo tipo di locali lo hanno sempre infastidito o addirittura disgustato talvolta. Le luci del locale lo investono mentre si appresta a sgusciare dentro. Si guarda attorno, con espressione indecifrabile. Niente in confronto ai locali russi, certo, ma riesce a sentire l'odore della feccia che si aggira tra quei tavoli sin da subito. Sospira, scuotendo leggermente il capo, prima di dirigersi a passo svelto verso il bancone. Con lo sguardo in cerca di qualcuno, non si accorge dell'uomo che gli sbatte contro. E' alticcio, e puzza di birra. Sembra volere un qualche tipo di questione da lui, ma prima che possa fare qualcosa, Igor si limita a stringergli il polso tirandolo verso dietro con il risultato di una slogatura bella e pronta.
    « Oh andiamo, non te l'ho mica spezzato. Non ancora » Lo sorpassa indifferente, lasciandolo nei gemiti e mischiandosi tra la folla. Si siede al primo sgabello libero, stringendo un bicchiere vuoto di vetro tra le mani. Lei dev'essere lì da qualche parte, deve solo aspettare. Ed ecco che la vede, perfettamente avvolta in un tubino nero aderente, i capelli castani e morbidi ad incorniciarle il viso di porcellana. Una rosa in mezzo alle spine, impossibile non riconoscerla. La osserva mentre cammina verso di lui, studiandone ogni minimo particolare attraverso quegli occhi d'ebano. Un bel bocconcino, direbbe il suo amico Alek. La noiosa faccenda del riportarla a casa assume improvvisamente una certa nota di divertimento. «Cosa ti porto bellezza? Whiskey? Bourbon? O vuoi qualcosa di più forte?» Si piega sul bancone verso di lui, lasciandogli una buona visuale su ciò che non dovrebbe vedere. Sorride, limitandosi a piegare un angolo della bocca. « Quello che hai di più forte in repertorio, mi fido di te, bellezza » Rimarca sull'ultimo termine, citandola. Nonostante normalmente reagirebbe con una semplice occhiata di fuoco, gli piace questa confidenza. «Sei sicuro di essere nel posto giusto?» Curiosa, la ragazza. Annuisce Igor, porgendole il bicchiere. « Troppo ben vestito per questo posto, dici? Oh sta' tranquilla, ho visto locali ben peggiori. » Ironizza, sistemandosi meglio sul proprio sgabello. Non le stacca gli occhi di dosso un solo secondo, intento a scrutare ogni particolare del suo viso, senza alcuna vergogna. « Ma potrei farti la stessa domanda, d'altra parte. Cosa ci fa una ragazza come te in un locale di dubbio gusto come questo? Una farfalla in mezzo ai vermi direi quasi. Posso sapere il nome di chi mi sta per versare da bere? »
     
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    Le viste di nonna Ivashkov erano sempre un grande evento, benché il padre di Klara si occupasse degli affari, Irina Ivashkova era ancora una donna potente; in grado di influenzare con maestria le decisioni del figlio. Per Klara era un vero e proprio punto di riferimento, dopo la morte della madre, sua nonna era stata l’unica figura femminile all’interno della sua vita disposta a prendersi cura di lei. Ogni sua visita era come una boccata d’aria per Klara, il padre infatti tendeva a farsi vedere il meno possibile quando la matriarca di casa Ivashkov faceva la sua comparsa. Come al solito erano sedute di fronte al camino, ma a differenza delle altre volte, tra le due regnava un silenzio di tomba; un silenzio inusuale tra le due. «Klara, dobbiamo parlare della tua eredità…» Il panico invase la giovane ragazza, nella sua mente dover fare i conti con la morte della nonna era del tutto impossibile, non poteva rinunciare all’unica persona che si era curata di lei. Di fronte alla sua espressione sgomenta la nonna si affrettò a ritrattare le sue parole. «Non to per morire mia cara, non ti preoccupare.» Tirò un sospiro di sollievo di fronte alla sua affermazione, facendo nascere in lei la curiosità di scoprire quale fosse questo lascito a lei destinato. «Tu sei l’ultima degli Ivashkov, erede di un nome che comporta privilegi, ma anche degli obblihi.» La piega che stava prendendo quel discorso le sembrava ben strana, mai prima d’ora sua nonna aveva mai accennato alla sua condizione di figlia unica e di conseguenza unica erede; l’unico che aveva affrontato più volte il discorso era suo padre. «Al raggiungimento della maggiore età dovrai farti carico di quella che è una maledizione, ma allo stesso tempo una fonte di grande potere.» Essere una Ivashkov non era facile, ma non avrebbe mai pensato di definirlo una maledizione, nella vita c’erano cose ben peggiori a parere suo. Nonostante ciò decise di lasciar sì che la nonna continuasse a spiegare, curiosa di scoprire cosa intendesse per maledizione. «E’ tradizione nella nostra famiglia che il primo genitori di ogni generazione riceva il morso e con lui la forza del lupo…» Klara era del tutto incredula di fronte a quelle parole, quella non era una tradizione, era un gioco malato a cui non voleva assolutamente prender parte. Si alzò stizzita dal divano, camminando su e giù per la stanza per diverse volte, nella speranza di riuscire a dare un senso alle parole della nonna. «Quindi anche tu…» La nonna scosse la testa con un sorriso, sorriso che la ragazza trovava del tutto fuori luogo. «Klara io sono una Ivashkov per matrimonio, tu lo sei per nascita e questo è il lascito della nostra famiglia.» Era delusa dalla nonna, mai avrebbe pensato che si sarebbe schierata dalla parte di suo padre. Klara non si sarebbe mai piegata a quella barbara tradizione e certamente non l’avrebbe mai continuata, forse era meglio che la stirpe degli Ivashkov terminasse con lei; mai avrebbe voluto sottoporre altre persone a quella crudele usanza. La trasformazione avrebbe cambiato radicalmente la sua vita, trasformandola in una persona completamente diversa. Per Klara fu semplice scegliere di scappare, cominciare una nuova vita e lasciarsi alle spalle tutto il dolore che la sua famiglia le aveva causato. Avrebbe imparato a cavarsela da sola, rinunciando a quelli che erano i suoi diritti di nascita.

    Nonostante in pandemonium fosse affollato tutta la sua attenzione era focalizzata sull’uomo elegante seduto di fronte a lei. Aveva un non so ché di animalesco, diverso dal genere di clientela che si sedeva al banco per bersi qualcosa. «Quello che hai di più forte in repertorio, mi fido di te, bellezza.» Un semplice scambio di sguardi e Klara si sentì elettrizzata, piccoli brividi la percorsero lungo la schiena costringendola a scogliere le spalle per riprendersi. Nella sua voce profonda aveva riconosciuto la dura sfumatura della sua lingua natia, nonostante fossero passati anni dalla sua fuga le era impossibile non riconoscere un suo connazionale. Quell’uomo raffinato era sicuramente abituato alla migliore vodka russa sul mercato e da brava barista non poteva certamente deluderlo. «Scusami un attimo…» Diede le spalle al cliente e tirò fuori la piccola chiave
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    che teneva appesa al collo, nascosta accuratamente sotto il tubino nero. Quella chiave era in grado di aprire un mobiletto di liquori molto costosi, riservati solamente ad un certo tipo di clientela. Tirò fuori una bottiglia di vodka Stolichnaya e la posò sul bancone di fronte agli occhi dell’uomo. Era una vodka raffinata che solo i palati migliori sapevano apprezzare, veniva spedita direttamente dal sud-est della Russia; unica zona in cui veniva prodotta. Prese un bicchierino di vetro e lo riempì di vodka fino all’orlo, stando attenta a non sprecarne neanche una goccia. «Questo è il meglio che abbiamo…» Nasconde la bottiglia sotto il bancone, lontano da occhi disperati che non potrebbero mai permettersi di pagarla. «Troppo ben vestito per questo posto, dici? Oh sta' tranquilla, ho visto locali ben peggiori.» Aveva un non so ché di famigliare il suo viso, ma nonostante ciò non riusciva a ricordare dove lo avesse visto per la prima volta. Che fosse una persona di spicco in Russia? Molto probabile, ma Klara di era lasciata quella vita, e tutto ciò che comportava, alle spalle. «Solitamente i clienti come lei li facciamo accomodare oltre quella porta. Lontano dalla comune plebaglia.» Con la meno fece cenno alla porta alle sue spalle, sempre sorvegliata da un attento e meticoloso buttafuori. Da quella parte potevano godere di tranquillità e un certo livello di privacy non indifferente, tutto ciò che succedeva al di là di quella porta rimaneva un segreto. La voce delle sue colleghe le arriva lontana, quasi attutita, perché la sua attenzione è tutta per l’uomo seduto di fronte a lei. «Ma potrei farti la stessa domanda, d'altra parte. Cosa ci fa una ragazza come te in un locale di dubbio gusto come questo? Una farfalla in mezzo ai vermi direi quasi. Posso sapere il nome di chi mi sta per versare da bere?» Tutto in quell’uomo sembra urlare pericolo, ma come una falena con la luce, Klara non può fare a meno di sentirsene attratta; come se una forza inspiegabile la spingesse verso di lui. Riempì nuovamente il suo bicchiere di vodka e si appoggiò nuovamente al bancone, giocando distrattamente con la catenella a cui era appesa la chiave del mobiletto dei liquori. «Una ragazza deve pur guadagnarsi da vivere.» Bugia. Klara era ricca come Creso e se avesse voluto avrebbe potuto vivere nell’agio più assoluto senza dover mai alzare un dito, ma tutto ciò faceva parte della sua vecchia vita. Probabilmente suo padre sarebbe diventato paonazzo per la rabbia nel vederla lavorare in un bar, ma per lei era esattamente un lavoro come un altro; utile per pagare l’affitto e mantenersi da sé senza ricorrere al piccolo gruzzolo trafugato prima di partire. «Il mio nome è Helena, signor?» Forse il cognome dell’uomo l’avrebbe aiutata a riportare alla mente dove l’aveva già visto. «Siete a Londra per lavoro o per piacere?» Una domanda innocua, ma non disinteressata. Klara era infatti curiosa di scoprire chi fosse quell’uomo così enigmatico che emanava potere da ogni poro. «Me ne versi un altro!» Un uomo chiaramente ubriaco sbatté il suo bicchiere vuoto sul bancone; quello era esattamente il tipo di vermi con cui non voleva aver a che fare. Senza ritegno le osservò con insistenza il seno, leccandosi le labbra screpolate e tremolanti. Attenzioni a cui solamente si dimostrava indifferente, ma che quella sera le sembravano intollerabili. Quando spinse il bicchiere, nuovamente pieno, verso l’uomo questo le afferrò il braccio con forza. «Hai bisogno di un passaggio a casa fiorellino?» Quasi le venne il vomito di fronte a quell’offerta, disgustata cercò di liberarsi della sua morsa, ma questi rafforzò la presa sul suo braccio. Senza volerlo si ritrovò a fissare gli occhi dello sconosciuto, in una muta richiesta d’aiuto; coglierla o meno spettava solamente a lui.


    Edited by quinzel. - 30/4/2017, 22:24
     
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    «Scusami un attimo…» Sussurra la ragazza, dandogli le spalle. Si limita ad annuire, Igor, inarcando automaticamente un sopracciglio mentre osserva attentamente la sua schiena. Deve ammettere che quella divisa riservata alle cameriere di quel posto ha il suo perchè. Aderente, elegantemente nera, che lascia ben poco spazio all'immaginazione. Dovrebbe proprio farci un pensierino ed aggiornare i tristi completi di camicetta e tailleur delle sue segretarie, pensa. E forse stiamo divagando. La vede armeggiare con un armadietto al di là del bancone, e si piega leggermente di lato per osservare bene cosa stia facendo. E' sempre stato un uomo curioso, Igor. Quel tipo di curiosità quasi indiscreta, arrogante e carica di superbia. Perchè a dire la verità non gliene frega nulla di tutta quella situazione. Non gliene frega dell'alcool, delle cameriere nè tanto meno di quel lurido posto che potrebbe comprare con anche soltanto una minima parte del suo patrimonio. Il suo unico obiettivo è uno ed uno solo: Klara. Eppure, è curioso. Potrebbe agire in maniera molto più veloce, afferrarla per un braccio e smaterializzarsi nel posto giusto al momento giusto. E' certo che il signor Ivashkov sarebbe pronto a mandare i suoi migliori sicari pur di riprenderla. Ma non lo fa, no. Non gli importa di quanto il padre di Klara possa essere un uomo potente ed a tratti pericoloso. Non gli importa della sua necessità di riaverla a casa nel minor tempo possibile. Gli è stato affidato un lavoro, una missione da compiere; è il suo lavoro e come tale decide lui i tempi e detta lui le regole. E le sue regole dicono che se non v'è un minimo di divertimento in ciò che fa, tanto vale non farlo. E' un gioco, nient'altro che questo. Un gran bel gioco a giudicare da ciò che vedono i suoi occhi mentre setacciano sapientemente il corpo della sua pedina. Si gira finalmente, Klara, tenendo tra le dita una bottiglia piena di un liquido trasparente. La sua attenzione si sposta su quest'ultima: è vodka, facile riconoscerla per uno come lui. Conosce quel marchio, l'ha vista tante volte sovrastare, regina indiscussa, sulle tavole imbandite di casa sua, in Russia.
    «Questo è il meglio che abbiamo…» Lo avverte lei, attenta a non sprecare neanche un goccio di quel nettare divino mentre lo versa in un piccolo bicchierino di vetro. Di nuovo, i suoi occhi di tenebra si posano su di lei, mentre un angolo delle sue labbra sottili si piega in un sorriso carico di malizia.
    «Lo vedo, apprezzo il meglio "che avete" » Afferma con tono ambiguo, senza staccare lo sguardo da lei. Una chiara allusione al fatto che non si stia assolutamente riferendo alla vodka. Si passa la lingua sull'arcata superiore dei denti perlacei, percorrendoli uno ad uno. Poi abbassa appena lo sguardo, avvolgendo con le dita affusolate il bicchiere. Lo avvicina al viso, annusando leggermente il liquido al suo interno. Il forte odore alcolico si insinua nelle sue narici sino a fargli bruciare gli occhi. Perfetta. Sorseggia piano, godendosi quel bruciore che cresce man mano nel suo petto. E' familiare, gli ricorda la Russia. Le giornate trascorse assieme a sua madre, le feste in grande, la villa che l'aveva visto nascere, e ciò -stranamente- lo mette di buon umore. Non che sia mai stato un tipo nostalgico, Igor, anzi. Ha sempre denigrato il suo passato e le sue origini, menefreghista e disilluso nel profondo come suo solito. Eppure..Si sente bene, in quel momento. Probabilmente deve avere qualche principio d'influenza, non c'è altra spiegazione. Se la prenderà con il povero Thomas -il suo segretario di fiducia- per questo. Così, senza un motivo ben preciso.
    «Solitamente i clienti come lei li facciamo accomodare oltre quella porta. Lontano dalla comune plebaglia.» Si gira appena per adocchiare la porta indicata dalla ragazza. Poi torna a guardarla, facendo un cenno d'approvazione col capo. Si stringe leggermente nelle spalle, finendo il contenuto del bicchiere. Rimane qualche istante in silenzio a godersi quel liquido infuocato addentrarsi in ogni suo vaso sanguigno.
    « Mi domandavo infatti perchè non ho notato nessuno ad accompagnarmi dove di dovere già all'ingresso... » Precisa, con tono falsamente risentito. Nonostante le apparenze rivelino tutt'altro, Igor non è mai stato tipo per quel genere di cose. Certo, non gli piace mischiarsi con 'la gente comune', così come la chiama, ma un mondo fatto soltanto di persone del suo rango, sarebbe un mondo davvero noioso, questo l'ha sempre detto. Gli piace infiltrarsi, rompere gli schemi ed amalgamarsi (quel poco che riesce, per lo meno) a quell'ambiente. Il suo bicchiere viene riempito nuovamente di liquore, mentre la ragazza si poggia sinuosamente sul bancone. La osserva attentamente, godendosi ogni centimetro del suo viso prima che l'alcool gli appanni la vista. Ha sempre retto in genere, e non sarebbero certo due bicchierini di vodka a stenderlo, ma deve ammettere che quella roba è davvero forte. Meglio prevenire che curare, diceva sempre sua madre.

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    « Ti ringrazio. » Sibila con un lieve cenno del capo, alzando il bicchiere come ad indicarglielo per poi riprendere a bere. Non c'è traccia di alcuna riconoscenza nel suo tono di voce: pagherà un occhio della testa per quella pagliacciata -non che questo possa danneggiare il suo a dir poco vergognoso patrimonio-, quindi tutto questo gli è dovuto. E deve ammettere che nonostante il suo malcontento iniziale, non è poi così male.
    «Una ragazza deve pur guadagnarsi da vivere.» Annuisce silenziosamente, Igor, inarcando un sopracciglio. Non capisce se lei lo stia prendendo in giro oppure no. E' brava in quel gioco, Klara, non l'avrebbe mai detto. Lo attira, come un magnete. I suoi occhi ambrati lo hanno imprigionato sin dal primo istante. Strano a credersi, per uno come lui. Il suo interesse è sempre stato impresa assai rara da ottenere. Eppure c'è qualcosa in lei, c'è qualcosa in quella ragazza dalla doppia identità..«Il mio nome è Helena, signor?» La sua voce lo distrae. Piega la testa, mentre cerca di decifrare le sue parole ritornando coi piedi per terra. Helena, si è scelta davvero un nome carino, pensa. Sorride, conscio del fatto che quello non è il suo vero nome. Sì, lo sta decisamente prendendo in giro. « Lazar. Ma puoi chiamarmi Igor » Sentenzia, finendo per la seconda volta la sua vodka. Soffia via un po' d'aria, ridacchiando appena. « E' forte eh, avevi ragione! » Il vetro del bicchiere cozza sul bancone mentre ve lo poggia con un pizzico di forza. E' vicina, estremamente vicina, e può leggere il suo interesse da quegli occhi impreziositi di quelle sottili venature smeraldine. E' sempre stato abituato a quel tipo di sguardo, Igor. Per un motivo o per un altro ha sempre attirato l'attenzione su di sè e, a dirla tutta, non gli è mai interessato più di tanto. Eppure con lei è diverso, gli piace tutto questo. Forse sta riuscendo in quel gioco ancora meglio di quanto non crede. Si chiede per qualche istante se sia giusto, tutto ciò. Se sia corretto giocare con quella ragazza e ritenerla una vera e propria fonte di divertimento. Chi è lui per decidere il suo destino?
    «Siete a Londra per lavoro o per piacere?» Si stringe nelle spalle, schioccando la lingua sul palato. Fa per parlare, ma qualcosa, o meglio qualcuno lo interrompe. Un uomo palesemente ubriaco sbatte il suo bicchiere sul tavolo. Si gira verso di lui, Igor, lo sguardo disinteressato ma divertito al tempo stesso. Eccolo lì, un classico esempio di gentaglia: alito che puzza d'alcool, vestiti di terza categoria, espressione da idiota patentato. Rimane in silenzio mentre Klara si appresta a passargli la rifornitura di birra, assottigliando appena lo sguardo quando quello decide di afferrarle un polso. Cerca di trattenere un sorriso ed una risata divertiti, mentre il suo sguardo va alla ricerca di quello della ragazza. Lo sta osservando, in una palese richiesta d'aiuto. Sospira, scuotendo la testa.
    « Hai un pessimo talento nel primo approccio con le ragazze, lo sai? » Sibila, il tono di voce estremamente sarcastico. « Fatti i cazzi tuoi. » Non è mai stato tipo da donzella indifesa, e solitamente ha sempre chiuso un occhio davanti a situazioni del genere, ma quella volta è diverso. Gli interessa, e non solo perchè si tratta del suo lavoro. Klara fa parte della sua vita, che lo voglia o no vi è entrata sin dal primo momento in cui i loro sguardi si sono incrociati. Gli appartiene, ed Igor è particolarmente geloso delle sue cose. « Non so se è ben chiaro al tuo evidente scarso intelletto, ma non ha bisogno di te. E credo che nessun'altra donna in questo posto, per non dire ovunque, avrebbe bisogno di un rifiuto della società per giunta alcolizzato quale sei, caro. » L'uomo rimane in silenzio per qualche istante. Deve averlo colpito nel profondo, e questo non fa altro che compiacerlo. Lo vede scendere dal proprio sgabello, barcollando. E' il secondo in quella serata, pensa scocciato. « Brutto stronzo.. » Biascica, prima di alzare un braccio a mezz'aria per mollargli un pugno diretto in pieno viso. Ma Igor è più veloce -cosa tra l'altro assai semplice, visto lo stato del suo avversario- ed in pochi istanti gli afferra il polso piegandolo verso dietro. Un ringhio animalesco scuote il suo petto per qualche secondo. « Che linguaggio poco consono, davanti una signorina. » Lo canzona, prima di lasciargli il braccio per afferrarlo dalla nuca e sbattergli con forza la faccia contro il bancone. Si ricompone, finendo il suo bicchierino ed osservando con un sopracciglio inarcato l'uomo ormai stramazzato per terra. « Perdonami. Forse bisognerebbe ripulire dalla spazzatura » Indica con una mano l'uomo ancora stordito sul pavimento « Non è morto. ..Credo. Beh dicevamo? » Torna a guardarla, sorridendo come nulla fosse. « Se sottostai ad un certo tipo di cose per 'guadagnarti da vivere' devi essere proprio disperata, Helena. Io ti consiglierei di lavarti il polso, chissà cosa hanno toccato, quelle mani luride. » Il suo sguardo si illumina « Potresti farlo a casa mia. Così potremmo anche parlare senza spiacevoli interferenze. Tranquilla, col tuo capo ci parlo io. » Nulla a cui un bel verdone non possa rimediare, in fondo.
     
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    «Lo vedo, apprezzo il meglio "che avete" » La voce dell’uomo è quasi ipnotica alle sue orecchie, l’allusione non era per niente sottile e Klara non può fare ameno di sentirsi lusingata di fronte a quelle attenzioni. Solitamente al bancone ricevono sempre avance da ubriaconi, persone poco raccomandabili che non avrebbe mai frequentato al di fuori dell’ambito lavorativo. La cosa forse più ironica era che l’uomo davanti a lei sembrava ben più pericoloso dei soliti mascalzoni che bazzicavano al pandemonium, un pericolo che attraeva la ragazza; che risvegliava la sua curiosità. Sentiva il suo sguardo indugiare sul suo corpo, quasi a voler imprimersi la sua figura nella mente, le sembrava di essere marchiata a fuoco da quello sguardo tenebroso. Klara era fondamentalmente insensibile a tutto ciò che la circondava, apatica era forse la parola giusta perché con il tempo aveva imparato a vivere senza emozioni, isolandole e chiudendole fuori. Non provare sentimenti era più semplice del provarne troppi e non avere controllo su di essi. Sua madre l’avrebbe definita una vita vuota, ma lei era morta in nome di false emozioni che non avevano fatto altro che divorarla. Da quel momento la vita di Klara era stata una lenta discesa verso il fondo, suo padre non era mai stato un uomo amorevole, ma ora la ragazza lo vedeva per il mostro insensibile che era ed era sempre più convinta di non voler aver niente a che fare con lui e tutto ciò che rappresentava. Una vita fatta di solitudine che si era scelta, un muro talmente impenetrabile che di rado qualcuno provava a scalfirlo. Eppure quell’estraneo sembrava aver sorpassato tutte le sue barriere, sfondandole con prepotenza. Tutto ciò avrebbe dovuto suonarle come un campanello d’allarme, ma la sua permanenza a Londra aveva affievolito il suo istinto di sopravvivenza, Klara si sentiva al sicuro, finalmente lontana da quel mondo fatto solo di sofferenza. «Lazar. Ma puoi chiamarmi Igor » Russo, esattamente come aveva supposto all’inizio. La vodka che gli aveva servito doveva essere come acqua per lui, nel suo paese d’origine i bambini imparano prima a bere la vodka e successivamente il latte; non puoi considerarti russo se non sei in grado di gettarne giù un bicchierino senza battere ciglio. Dalla sua reazione capisce che non è la prima volta che assaggia quella raffinata varietà di alcolico, spesso ha dovuto soccorrere clienti baldanzosi prede di una tosse convulsa, che avevano dovuto fare i conti con un sapore troppo forte per i loro delicati e inesperti palati. Igor non è sicuramente inesperto, niente di lui lo fa apparire come un uomo alle prime armi, di fronte alla sua richiesta di aiuto non esita ad intervenire, quasi come se volesse rimarcare che quello è il suo territorio. Il povero è talmente ubriaco che non appena cerca di colpire Igor si ritrova con il volto stampato sul bancone, Klara può giurare di aver sentito qualche osso rompersi nell’impatto con un sonoro crack. Ma ciò che ha davvero catturato la sua attenzione è stato il ringhio sordo e sommesso che ha smosso chiaramente il petto del russo. Un suono che non aveva niente di umano riconducibile ad una bestia; una bestia assetata di sangue. Klara avrebbe dovuto essere spaventata, ma quel ringhio aveva risvegliato in lei qualcosa di ancestrale, una sorta di forza che spingeva il suo sangue a correre più velocemente; inondando il suo corpo di adrenalina, una sensazione che non aveva mai provato prima. «Perdonami. Forse bisognerebbe ripulire dalla spazzatura» «Non posso fare altro che darti ragione.» In men che non si dica il servizio di sicurezza prese l’uomo di peso, molto probabilmente avrebbero finito il lavoro che Igor aveva sapientemente iniziato. Il pandemonium era frequentato dalla peggior specie di clientela, ma allo stesso tempo il suo capo non permetteva a nessuno di rimanere impunito; quell’uomo ci avrebbe pensato due volte prima di rimettere piede lì dentro. « Se sottostai ad un certo tipo di cose per 'guadagnarti da vivere' devi essere proprio disperata, Helena.» Disperata non era esattamente la parola con cui si sarebbe descritta, i suoi nobili natali l’avrebbero sicuramente impressionato, ma Klara sapeva bene che non potevano essere rivelati; non poteva mettere a rischio la libertà conquistata con così rande fatica. «In realtà questa è la parte divertente del lavoro.» Bugia. Odiava quell’ambiente, ma passare inosservata era l’unico modo che aveva di sopravvivere; al pandemonium nessuno faceva domande, inoltre suo padre non si sarebbe mai abbassato ad entrare in un posto del genere pur di riaverla con sé. «Io ti consiglierei di lavarti il polso, chissà cosa hanno toccato, quelle mani luride. Potresti farlo a casa mia. Così potremmo anche parlare senza spiacevoli interferenze. Tranquilla, col tuo capo ci parlo io.» Sorride di fronte a quell’invito, delusa dalla sfrontata sicurezza dell’uomo, Klara non era una preda facile e un salvataggio non sarebbe bastato a farla crollare ai suoi piedi. Si appoggiò di nuovo al bancone, incollando in suoi occhi in quelli dell’uomo, voleva esser certa di avere la sua totale attenzione. «Le disperate come me signor Lazar sanno che il lavoro è fondamentale, se io adesso uscissi di quei creerei uno spiacevole precedente e a lungo andare ne pagherei le conseguenze. Però il mio turno non è infinito, se saprà aspettare alla fine potrò prendere in considerazione la sua gentile offerta.» Lo lasciò solo, certa che non avrebbe perso tempo ad aspettarla, dopotutto lei era solamente una barista ai suoi
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    occhi. Quando si voltò sorrise delusa di fronte al suo sgabello vuoto, evidentemente lei era stata l’unica a percepire un’intensa attrazione. Dedicò il resto del suo turno alle solite mansioni, lei e Maya sembravano due macchina da guerra; sempre pronte a riempire i bicchieri e a far felici i clienti. Nonostante il ritmo incalzante Klara si ritrovò spesso a fissare la porta nera, nella speranza di vederlo rientrare. Igor Lazar aveva lasciato sicuramente un’impronta pesante, la ragazza riusciva quasi a sentire ancora il suo sguardo caldo su di sé. Da quando era arrivata a Londra le cose erano cambiate significativamente per lei, non aveva più bisogno di comportarsi da sgualdrina per far arrabbiare suo padre; proprio per questo motivo aveva negato a sé stessa qualsiasi tipo di relazione, voleva ritrovare l’equilibrio interiore che le era mancato a lungo. Al momento della chiusura, intorno alle tre, radunò tutte le sue cose e lasciò il locale indossando un chiodo di pelle nera sul suo elegante e poco pratico tubino. Fuori l’aria era pungente, le accarezzava la pelle causandole piccoli brividi incontrollati; inspirò a pieni polmoni l’aria notturna, voleva liberarsi dell’odore di alcool che permeava i suoi sensi. Sotto la luce del lampione una figura attendeva immobile, le braccia incrociate e lo sguardo fisso su di lei; spesso lei e le sue colleghe avevano dovuto richiedere l’intervento della sicurezza perché qualche cliente non era stato in grado di accettare un no come risposta. Fece un passo indietro per tornare all’interno del locale, ma si accorse che l’uomo in attesa non era un cliente scontento ma Igor. L’aveva aspettata per tutto quel tempo, Klara non poté fare a meno di sorridere di fronte a quella scoperta. Si avvicinò con cautela, domandosi cosa lo avesse spinto a restare lì fuori per quasi due ore; che fosse davvero interessato e lei? «Penso che sia ora di accettare quell’invito…» Si accostò al suo corpo, lasciando pochi centimetri a separarli. Klara era alta per essere una ragazza, ma per guardarlo negli occhi doveva sollevare il volto; lì sotto quel lampione fu in grado di cogliere tutti quei piccoli dettagli che nella penombra del pub non era stata in grado di vedere. Oltre a loro non c’era nessuno, il vicolo era riservato all’entrata e all’uscita di chi lavorava all’interno del pandemonium; proprio per questo motivo erano circondati da un silenzio tombale, l’unica cosa che sentiva era il rumore impalpabile dei loro respiri. Igor era un predatore, l’aveva puntata, braccata dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati e lei era finalmente pronta a soccombere. Si sporse verso di lui, ma tutta la sua attenzione venne catturata da una serie di piccoli gemiti. Si sporse verso il fondo del vicolo cercando di identificare quel suono, ma era troppo flebile per capire da che cosa fosse causato. «Lo senti anche tu?» Seguì il rumore con passi lenti, avvicinandosi sempre di più all’origine. Sembrava provenire da uno scatolone chiuso, abbandonato vicino ai bidoni della spazzatura; forse qualcuno aveva abbandonato un animale, quella zona era infatti ricca di cani e gatti randagi. Si avvicinò con cautela chinandosi per aprire lo scatolone e quando ne scorse il contenuto rimase sbalordita: una bambina giaceva tra una serie di coperte, agitava i piccoli pungi ed era rossa in viso per lo sforzo che stava facendo. Come si poteva abbandonare un bambino così? Nel bel mezzo della notte? «Igor è una bambina…» La tolse dallo scatolone per stringerla a sé, quale madre poteva fare una cosa del genere? Klara poteva capire che non tutti avessero l’istinto materno, ma abbandonarla così significava condannarla a morte. Era pervasa dalla rabbia, una rabbia cieca che le faceva digrignare i denti; come se stesse ringhiando. Si avvicinò all’uomo per mostrargli quel piccolo fagotto che si era letteralmente appiccicato a lei. Non doveva avere più di qualche giorno, al massimo un paio di settimane a giudicare dalle sue dimensioni. Era vestita e pulita, segno che qualcuno si fosse preso cura di lei fino a quel momento. «Potresti portarmi in os…» Non poteva andare in ospedale, avrebbero fatto domande su di lei, sul suo passato; domande che l’avrebbero esposta a pericoli, rischiando di svelare la sua posizione a suo padre. «Portami in un posto sicuro.» Non poteva tornare a casa sua perché Lucas avrebbe fatto domande, domande a cui lei non poteva rispondere. In quel momento poteva solamente far affidamento su Igor.
     
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