Indissolubile vinculo

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    C’è qualcosa di vero in te, piccolo George? O sei solo una costruzione di menzogne e silenzi? Cos’è che spaventa il tuo cuore pavido, cosa blocca la tua fantasia, cosa frena la tua lingua? E’ l’ombra della corona, della sua istituzione, il desiderio lacerante di tenerla sul capo, la bruciante verità di non poterla mai toccare. Non ne sei degno aveva sempre sentito dire alla sua coscienza, quella parte malata della sua mente deviata. La sua coscienza, una prigione di cristallo, costruita per prevenire ogni tentativo di sbattere in faccia ai perbenisti la verità. Ma quanti privilegi hai? gli aveva sussurrato ancora, aggrappandosi alla lunga sfilza di privilegi che per diritto divino gli sono dovuti. Ma che privilegi sono quelli di posporre il proprio io per la corona?
    Si era costruito così la sua torre d’avorio, fortezza inespugnabile, l’unico luogo dove era sovrano. Tirannico, egoista, infido bastardo, nel suo castello mentale era in grado di poter tutto. Al di sopra del mondo che lo aveva partorito, sputandolo fuori dal suo ventre e senza dargli alcun aiuto reale, lo aveva messo a fronteggiare un mondo che dei suoi privilegi se ne fotteva altamente. Non sei nessuno, se non hai la corona. Era un pensiero fisso, che lo aveva logorato da quando era piccolo, ossessionandolo, mandandolo in paranoia. Quando era fatto, quando alcol e droga si mescolavano nel suo corpo, quando i suoi sensi erano alterati però la corona era il suo ultimo pensiero. Ma quando l’effetto scemava, la botta svaniva, tutta la merda tornava a galla. In quel mare di merda la sua stella polare era stata Charlotte. Paradossale. Due corpi in caduta libera, in attesa di schiantarsi al suolo, due anime infelici, legate da un qualcosa di altro. Quel filo indissolubile di cui tutti parlavano, quello che per tutta la vita lega due gemelli, due anime affini. Un muto voto infrangibile sigillato alla nascita, al quale nessuno dei due poteva tirarsi indietro.
    George non aveva mai pensato realmente al loro legame, e non perché non volesse bene a sua sorella, semplicemente George Windosr aveva per anni concentrato le sue attenzioni unicamente su se stesso, dimenticando quasi del tutto che quel sodalizio esisteva. Non l’aveva mai sentito troppo forte, era stato quasi anestetizzato dai lunghi periodi di lontananza che la sua vita privilegiata lo aveva costretto ad avere, ma quel vincolo brillava ancora degli echi infantili di giorni lontani spesi insieme.
    Da quando poi la corona aveva permesso loro di frequentare Hogwarts, insieme, mettendo fine a quell’agonia da separazione, George aveva realizzato: senza Charlie non sarebbe stato nient’altro che un’anima vagante, isolata, disprezzata, sottoposta a giudizio di quei vecchi fanatici, con i loro nasi adunchi, le espressioni vuote di chi ha servito un Dio inesistente.
    A Charlie non l’aveva mai detto espressamente, perché non ne aveva avuto il bisogno. C’erano cose che non serviva venissero dette.
    Certo era che però per sua sorella, sangue del suo sangue, lui si era promesso di esserci. Segretamente, una cosa assolutamente insolita, ma George si era giurato di esserci. Quante volte aveva zittito con il suo sarcasmo saccente le malelingue, aveva sfidato i pettegolezzi, addirittura preso le parti della sua sorellina di fronte allo sdegno di qualche parente coraggioso che aveva osato riportare le scottanti notizie dei tabloid inglesi. Con la sua lingua tagliente George aveva difeso a spada tratta l’indifendibile Charlie. . Probabilmente lo aveva fatto più per orgoglio personale che per quello della famiglia. Anche lui aveva provato più volte ad infangare il buon nome dei Windsor ma la sua coscienza, o qualcosa di molto simile ad essa, lo aveva fatto in silenzio, senza fare troppo scalpore. Nessun giornale di gossip avrebbe messo la sua faccia affilata ed emaciata in prima pagina. Non gli avrebbe certo dato quella soddisfazione.
    La sua silenziosa ribellione, logorante e disillusa, all'insegna di un tacito eccesso, a cui pochi fortunati potevano prendere parte, aveva mantenuto la sua facciata di principino rispettoso, segretamente nella vana speranza di avere una chance di poter toccare con mano la corona che fin da piccolo gli era stato detto di rispettare, a discapito di qualsiasi cosa, anche di se stesso.
    Nessun giornale di gossip avrebbe messo la sua faccia affilata ed emaciata in prima pagina. Non gli avrebbe certo dato quella soddisfazione. A quello ci pensava Charlotte, troppo accesa per rimanere in silenzio, per bruciare nel buio senza divampare come l’incendio di un ardemonio.
    Così quando aveva intravisto la sua chioma muoversi trasportata dal vento, la sua figura di spalle rivolta verso l’oscurità del lago, aveva affrettato il passo, distaccandosi dal gruppetto che aveva seguito per inerzia, come se fosse rimasto incastrato in un ingorgo di uomini, come le auto bloccate nel traffico.
    Si era avvicinato silenzioso alle sue spalle e piegandosi sulle ginocchia le aveva sussurrato all’orecchio. «Un penny per i tuoi pensieri… » aveva parlato con la sua voce melliflua accompagnando le parole con la magica apparizione di una moneta. Le si era seduto accanto, cercando nel suo sguardo perso uno spiraglio di quella mente devastata.


     
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    E' morto il figlioletto di William. Stringo tra le dita quel pezzo di pergamena che Laurel ci ha mandato mentre fisso le leggere onde solleticate da un piacevole venticello primaverile. Vorrei dire che mi dispiace, che provo pietà per i miei parenti. Vorrei dire che quel bambinetto spocchioso mi sia mai piaciuto, ma non è così. Sin da quando William ha sposato quella plebea, i tabloid avevano due argomenti preferiti; io e lei. Kate si distingueva per grazia ed educazione; faceva tutte queste cose che nessun comune essere umano farebbe. Cene di gala, volontariato, raccolte fondi per questa e quell'altra malattia. Un po' l'ho sempre invidiata. Lei, venuta su dal nulla, aveva più sangue reale nelle sue vene di quanto ne avessimo noi. Se io distruggevo la corona, lei la riabilitava, con il suo grande sorriso a trentadue denti e il suo abbigliamento sempre così perfetto. Sarà distrutta; William sarà distrutto. E io invece dal canto mio mi sto facendo una canna con un'unico cinico pensiero fisso in mente: uno in meno. E così che si slitta in linea di successione. Con la morte del pargoletto salto al sesto posto in linea di successione, George è quinto, dopo nostro padre, i nostri due cugini William e Henry, loro padre Carlo e la piccola figlioletta di William. Ho sentito che nemmeno Carlo se la passa poi tanto bene. Lo ha preso la febbre e ora quasi non si fa vedere più. L'unica a non esserne scalfita è la nonna. Lei è, e forse sarà, l'ultima grande regina dell'Inghilterra. Tutto ciò che è stato prima di lei è stato già dimenticato, e quello che ci sarà dopo, sarà forse altrettanto dimenticato. Io leggo quelle poche parole e rido di gusto mentre tiro su dalla mia sigaretta. Rido fino alle lacrime. Che inopportuna, Charlotte! Mamma, Laurel, vuole vederci al funerale, ci vuole lì con lei. Ci sarà anche nostro padre ovviamente, e tutta la sua nuova famiglia. Lui, la sua giovane sposa e i suoi due pargoletti biondissimi. Cazzo, al solo pensiero mi verrebbe da spaccare la testa in due a quel figlio di puttana. Ci ha sostituiti. In realtà non posso biasimarlo. Non posso nemmeno odiarlo fino in fondo. Convivere con Laurel, lo dico per personale esperienza, è tutto fuorché facile. Laurel vuole avere il controllo su tutto e su tutti, anche su un principe di Inghilterra. Quella donna fredda e distaccata a dismisura pensa di saperne una più del diavolo e crede di avere più diritti di chiunque altro. Lei si è spaccata la schiena per stare dove sta. Lei ci ha lavorato su. Si è sporcata le mani. Ma per piacere Laurel, queste stronzate valle a raccontare al Times. Io, noi, sappiamo come stanno le cose. Provieni da una famiglia tutto fuorché umile. I tuoi genitori - i miei nonni - si sono arricchiti come maiali durante il periodo oscuro, ti hanno mandato nelle migliori scuole, ti hanno fatta istruite da stocazzo vestito a festa. Dove e quando ti saresti fatta il culo? Non hai mai seriamente lavorato un solo giorno in tutta la tua vita. Ti servi di un esercito di camerieri, un cuoco, hai avuto due tate per ogni bambino sfornato; ti servi di un giardiniere, un maggiordomo, due signore delle pulizie e finché era in vita, tuo padre aveva ben tre badanti, di cui una brasiliana che penso facesse tutto fuorché pulirgli la merda.
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    L'ipocrisia è tale a casa mia che a volte vorrei semplicemente sparire. Andare a dormire e non svegliarmi mai più. Smettere di vedere tutte le cazzate immani che stanno succedendo sotto i miei stessi occhi. La cosa peggiore è che ne sono complice. E anche i miei vari intenti di spallar loro merda addosso, non sono altro che un tenero tentativo di sabotare unicamente me stessa. « Un penny per i tuoi pensieri… » Trasalisco appena e istintivamente torno a sorridere. George. Il mio, George. L'unica persona al mondo completamente e indissolubilmente mia. Il solo suono della sua voce mi calma, il suo sorriso, i suoi occhi, la sua semplice presenza. Non l'ho mai detto a voce alta, ma provo un senso di possessività maniacale nei suoi confronti. Non gli sto troppo addosso; lo conosco, non ama parlare, non gli piace la compagnia. Eppure, quando non se ne accorge lo guardo, lo cerco in classe, lo cerco nella sala grande e nella sala comune. Osservo i suoi atteggiamenti controllati. Il suo vagare silenziosamente sui corridoi. Così diversi eppure così fottutamente identici. A lui è sempre piaciuto il silenzio, le poche parole; si è sempre circondato di quell'apparente caos calmo. Io al contrario, il caos l'ho fomentato. A me piace il rumore, il casino - so che in fondo in fondo piace anche a lui - e in questo mi beo ogni qual volta ne abbia occasione. Appoggio la tempia contro la sua spalla mentre gli passo la lettera di nostra madre così come la canna. Nel poggiare nuovamente lo sguardo sulla lettera mi viene da ridere. Così inopportuna che a crepare dovresti essere tu, Charlotte. « E' morto il mocciosetto di William. » Dio se non sopportavo quel bambino. Lui e il suo musetto carinissimo in braccio a quella perfettina di sua madre. « Laurel ci vuole al funerale. » D'impulso lo sguardo corre a cercare quello di lui. Sto cercando una sola scusa per non andarci. Stiamocene lontani. Non voglio andare. Tu vuoi andare? Ho sempre pensato che George odiasse la corona tanto quanto la odiassi io. Ma in lui c'è qualcosa di diverso. Qualcosa che ho sempre solo percepito, ma mai compreso fino in fondo. Ricordo tutte le volte in cui ha osservato da lontano i gioielli della corona quasi come spirito di bramosia. Quasi come se li volesse tutti per sé. Non l'ho mai voluto ammettere, ma credo che George si è sempre comportato in modo così impeccabile perché in cuor suo spera che il vescovo di Westmister porrà tra le sue di mani la mela e lo scettro, così come la corona. « Ci saranno anche loro. » Asserisco di punto in bianco. Non c'è bisogno di dirgli chi. Lui lo sa; sa la mia ossessione nei confronti della nuova famiglia di papà. Sa che non l'ho mai accettato, sa che non lo accetterò mai. Ho un rapporto davvero pessimo con gli uomini che se ne vanno dalla mia vita. E più la prendo male, più pare che se ne vadano. « Se non trovassi alcuna soluzione per dare buca, sappi che ci andrò così imbottita da scambiare zia Ruth per un transessuale. » Non che fosse difficile. Zia Ruth era un transessuale senza cazzo. Un transessuale senza la parte più divertente. E certo non era l'unica che era qualcos'altro, solo che senza le parti divertenti.
     
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    Quando guardava Charlie, George realizzava l’assurdità della loro esistenza nel mondo. Che ci stavano a fare, due inetti a vivere come loro? A rubare aria probabilmente, a prendersi con prepotenza ciò che il mondo teneva lontano dalla loro portata. Charlie non era la stella polare, non per gli altri. Charlie era una supernova sull’orlo del collasso, un’aspirante buco nero. L’aveva sempre sentita, quella sua forza d’attrazione, la forza gravitazionale, che inevitabilmente attirava le persone verso di lei. Come faceva? Si era chiesto George. Come faceva a vivere in quel caotico susseguirsi di persone, di facce diverse, senza uno scopo? La invidiava? Forse sì, ma in realtà sapeva che Charlie affrontava quella vita con l’impeto delle droghe, la loro distorsione rendeva tutto meno sgradevole, qualche volta.
    Nel suo sguardo George scorse una strana luce, disarmonicamente legata allo strano cipiglio del viso. « E' morto il mocciosetto di William. » disse lei, nella voce l’eco taciuto di una risata. Morto, che parola atroce. George la respirò a pieni polmoni, quasi volesse inalare la notizia, appropriarsene. Il cuore parve accelerare, tachicardico, eccitato. Sei contento, eh George? domandò la sua coscienza. Non ti dispiace affatto, lo sanno tutti quanto vorresti che morissero anche gli altri. Quanto lo aveva odiato, quel bambino angelico, il viso serafico, le guanciotte piene e rosee, che aveva già la corona posata sul capo. Ora era morto, giaceva in qualche sfarzoso lettino, con centinaia di persone al suo capezzale. Quante lacrime avrebbero versato in Inghilterra per quel piccolo esserino? Sogghignò, crudele, lui non avrebbe pianto.
    George, anche il nome gli aveva rubato, Dio solo sa quanto ne era rimasto turbato. Perché chiamarlo così? Secondo anche in quello, privato di tutto, anche dell’identità da un piccolo spocchiosetto. Ma adesso non c’era più. Cercò di tornare serio, ma sentiva gli angoli della bocca sollevarsi pericolosamente. Non è consono ridere della morte, George. Era solo un bambino.
    « Laurel ci vuole al funerale. » la voce di Charlie interruppe il vagheggiamento, lo scosse, strattonandolo. Negli occhi di lei brillava la chiara richiesta di rimanere ad Hogwarts. In parte George la capiva, capiva il suo totale disinteresse verso il mondo della corona, perché lo odiava anche lui. Lo odiava davvero, perché in quel mondo non contava un cazzo, ma era proprio questo ad alimentare la sua ossessione malata verso il palazzo, il silenzioso infrangere le regole, per paura di essere scoperto.
    La morte di quel bambino, del George giusto, del George amato, con i genitori perfetti e una sorellina, Charlotte, come la sua, ancora più perfetta, la sua morte gli sembrava giusta. Era quello che si meritava, per avergli rubato tutto ciò che lo aveva sempre ossessionato. Forse sarebbero caduti tutti, come piccoli birilli, senza potere, forse la natura o chi per lei avrebbe fatto il proprio corso. No, non provava vergogna per i suoi sentimenti. « Dovremmo andarci. » asserì, cauto, davanti a sé il disgraziato dipinto di una bara bianca e i fiumi di lacrime, sincere e non di circostanza, a cullare il corpicino inerme dell’erede del trono d’Inghilterra. « Anche se non vogliamo» aggiunse, stringendo d’istinto la mano della sorella. Non le aveva mai confessato la sua bramosia, il suo desiderio irrefrenabile, il sogno della corona sul suo capo dorato, la folla che acclama, “Re Giorgio”. I brividi, lungo la schiena, diedero alla scena un retrogusto meno amaro, più reale. « Ci saranno anche loro. » osservò lei, nel tentativo di convincerlo, ma lui lo sapeva. Loro, non c’era nemmeno bisogno di dirlo. I loro rimpiazzi, come se nella loro vita non fossero stati già abbastanza declassati, come se i loro diritti non fossero stati già calpestati abbastanza. Loro, loro padre e la sua nuova e splendida famiglia. Probabilmente aveva lasciato una sgualdrina come Laurel per prendersene un’altra, di questo ne era quasi convinto. Ma i loro bambini, che miraggio. Creature dalle fattezze angelicate, nei loro occhi celesti George aveva visto il diavolo. Trasalì, all’idea che potessero anche loro, con grande probabilità, surclassarlo. Chi non avrebbe voluto due nuovi eredi, più facili da plasmare, piuttosto che due mine vaganti come loro? « Proprio per questo » disse calmo, arrotolando la lettera fra le mani sottili. « Già ci sopportano poco » ammise, mordendosi il labbro. « Non diamogli altre ragioni per farlo » Sapeva che a Charlie fotteva ben poco della loro opinione, avrebbe dovuto prendere esempio. Ma i due erano alimentati da forze completamente diverse. Mentre Charlie attirava tutto ciò che poteva attirare nel suo centro gravitazionale, verso l’oblio, George cercava di mantenersi ai margini del baratro.
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    « Se non trovassi alcuna soluzione per dare buca, sappi che ci andrò così imbottita da scambiare zia Ruth per un transessuale. » disse lei, quasi arrendevole, conscia del fatto che George l’avrebbe portata con sé. Di certo non sarebbe stata l’unica a strafarsi, in certe situazioni era d’obbligo, per mettere a tacere quell’isteria generale, alle occhiate indigeste delle persone. « Non la scambi sempre per un transessuale? » punzecchiò la sorella, con un sorrisetto sornione.« Non me la voglio perdere la faccia della vecchia al funerale » confessò il ragazzo, strappando i fili d’erba e schiacciandoli fra le mani. « Magari il prossimo sarà il suo » suggerì, scherzoso. In realtà ci sperava, certo, la Regina Elisabetta, sua nonna, era stata un personaggio con le palle, tutt’ora, vecchia decrepita com’era, teneva il suo culo rinsecchito sul trono e le vecchie zampacce arpionate ai suoi braccioli come se non li volesse lasciare. Ma la sua morte sarebbe stata comoda. Gli sarebbe succeduto Carlo? Non prendiamoci in giro, nessuno avrebbe voluto Carlo sul trono del Regno Unito, nemmeno Carlo voleva Carlo, figuriamoci il popolo. William, il faro di speranza, sua figlia, la magnifica e piccola Charlotte, Henry, forse l’unico che in un certo qual modo si era ribellato, da gran cazzone, all’istituzione rigida della Corona. Poi c’era suo padre, ed infine lui. Cinque persone. Non sembravano poi molte, dopotutto il mondo stava girando in una maniera del tutto insolita. Charlotte si sarebbe potuta ammalare come il suo fratellino, sarebbe sparita anche lei, diventata uno spettro. William, preso dalla disperazione magari avrebbe potuto pensare di farla finita. Henry avrebbe tenuto la corona in testa per così poco tempo, come re Edoardo VIII aveva fatto, avrebbe ceduto il trono a suo zio, per amore di una qualche donna senza titolo e sangue blu. Sarebbe toccato a sua padre. « Magari mamma e papà litigano» ipotizzò « e noi possiamo terrorizzare un po’ i rimpiazzi ». La serie di scenari possibili era infinita. Quanta folla ci sarebbe stata, per rendere l'ultimo saluto ad un bambino che nemmeno sapeva parlare bene?
    Era un evento a cui non sarebbe potuto mancare, quella situazione ribaltava tutto. Forse era l’alba di una nuova era, forse finalmente la maschera che con tanta devozione aveva tirato a lucido negli anni sarebbe servita a qualcosa. Tempo dieci anni e il suo culo si sarebbe seduto sul trono. Forse di più, ma era un tempo che poteva aspettare.


     
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    « Dovremmo andarci. Anche se non vogliamo. » Tra i due lui è quello attento ai dettagli; George è attento a tutto, anche alle cose a cui non vuole essere attento. Ha questa specie di sesto senso e non può farci nulla. George è un maniaco del controllo. Non ho mai capito come faccia ad avere sempre tutto sotto controllo. Certo, non mancano i momenti in cui ha qualche scatto d'ira, ma per lo più, sembra un agnellino. Chi ha occhi per guardarlo, sa che è tutto fuorché un angelo. Ma è questo il bello di lui; le sembianze di un angelo caduto, che all'occorrenza sfoggia un paio d'ali nere, così belle da non riuscire a distoglierne lo sguardo. Alzo gli occhi al cielo e sbuffo. Odio l'idea di vedere mio padre e la sua nuova famiglia. Ogni tanto ci invitano a cena e anche in quelle occasioni George è sempre dello stesso avviso. Dovremmo andarci. Forsse per George dovremmo andare ovunque, ovunque ci chiamino. Stringere mani e sorridere educatamente per ogni fottuta manifestazione. A volte lo invidio per il modo risoluto in cui riesce ad affrontare ogni situazione. Raramente risulta fuori posto. Raramente risulta meno che perfetto. Persino quanto è sotto stupefacenti ha un controllo tale di sé stesso che c'è da chiedersi se effettivamente ha appena ingoiato due ecstasy di fila. Io sono inopportuna. Rido e dico tutto ciò che mi passa per la testa; cose che normalmente non andrebbero mai dette. Come con zia Ruth, o come con gli animali morti che nostra cugina Lilian si mette in testa durante ogni festa. Natale, Pasqua, Capodanno. Lilian ha sempre in testa qualche creatura crepata per i suoi terribili gusti in fatto di moda. « Guasta feste. » Una leggera gomitata prima di tornare a ispirare dalla sigaretta miracolosa. L'odore pungente mi rilassa prima ancora che i suoi effetti siano entrati nel circolo. Adoro gli spinelli. Non sono troppo spinti in quanto ad effetti, ma ti danno quel che di sereno che nessun altra droga è in grado di darti. « Proprio per questo. Già ci sopportano poco. Non diamogli altre ragioni per farlo. »
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    Scoppio a ridere istintivamente. In quanto a cattiverie George era decisamente più bravo di me. Era più sottile e il suo volto angelico gli permetteva di fare le infamate più terribili senza che nessuno potesse seriamente sospettare di lui. « Replichiamo lo scherzo del topo finto nella zuppa? » Ne avevamo combinate davvero di terribili. Ogni qual volta dovessimo incontrare quei quattro, le infamate non erano mai abbastanza. Ricordo quella volta che mandammo i muffin di pronta guarigione alla moglie, colmi zeppi di cocaina. E poi quell'altra che terrorizzammo la figlia più grande piazzandogli un'innocentissima biscia nel letto. Io poi ero inopportuna. Ogni qual volta la squinzia mi chiedesse con la sua aria di sufficienza da nuova duchessa di stocazzo come stessi, mi sbizzarrivo sempre un po' di più. A parte l'aborto tutto bene. Perché, non lo sapevi? E lei giù di sensi di colpi. Certo che sei davvero inopportuna, Julia. Sono in un programma degli alcolisti anonimi. Le ho detto poi un'altra volta proprio mentre mi porgeva un bicchiere di champagne. Sempre così. Julia, la nuova moglie di nostro padre era perennemente martoriata. Ma sapete una cosa? Non mi sentivo nemmeno in colpa. Nonostante dovesse essere certamente una donna migliore di quella troia di Laurel, una parte di me non poteva fare a meno che restare dalla sua parte. Che poi spallavo anche addosso a lei altrettanta merda, giusto per par condicio. « Non me la voglio perdere la faccia della vecchia al funerale. Magari il prossimo sarà il suo. » Resto leggermente interdetta. La vecchia è stata sempre distante da noi tutti, tranne dai due squinzietti di William ovviamente. Ha così tanti nipoti che non si ricorda nemmeno tutti quanti; ha giusto la fortuna che ci chiamiamo tutti più o meno alla stessa maniera. Se non è Elizabeth al massimo è Charlotte o Katherine. Tutti gli altri se li scorda facilmente. Ma tutto sommato ho sempre provato affetto per lei. Una volta ci siamo mangiate una fetta di torta nelle cucine del castello a tarda notte. In quell'occasione mi disse di non sprecare la mia vita. ..bel consiglio del cazzo. George ha ragione. « Andiamo Georgie.. non lo pensi davvero. Se crepa la mummia ci tocca Carlo. Te l'immagini.. lui e Camilla sul trono? » Simulo un leggero brivido prima di scoppiare nuovamente a ridere. « Non so chi sia più coglione tra lui e papà. » Elizabeth aveva sfornato tre figli coglioni. Questo è poco ma sicuro. Persino zia Anna, la più piccola tra le figlie di Sua Maestà. Patrona di oltre 200 organizzazioni caritatevoli, ha circa 500 incarichi per conto della regina e della corte inglese. Poi la vedi dal vivo e ti rendi conto che non sa nemmeno allacciarsi le scarpe da sola. Laurel vorrebbe che io fossi come lei. Io vorrei che Laurel andasse affanculo. « Magari mamma e papà litigano e noi possiamo terrorizzare un po’ i rimpiazzi. » Resto per un po' a fissarlo, mentre gli sistemo un il ciuffo biondo sulla fronte. Rimpiazzi. George si è sempre sentito rimpiazzato, un po' da tutti. Era stato rimpiazzato dal nostro piccolo fratellastro e dall'infante morto. E lui stesso, ipotizzo, si senta un rimpiazzo di Robert. Nella sua ombra, vivremmo entrambi.. forse per sempre. A differenza nostra, Robert era il figlio giusto, quello responsabile, quello che non sbagliava mai un colpo. « Nessuno potrà mai rimpiazzarti.. » Gli dico di scatto, così quasi senza pensarci. Una consapevolezza che ho sempre avuto. Prima che ci provino sarebbero dovuti passare sopra il mio cadavere. George era insostituibile, un'estensione naturale di me stessa. « Porterai qualcuno? » Un sorriso malizioso si dispiega sul volto mentre gli do una leggera gomitata. Non parliamo mai di sciocchezze. A dirla tutta io e George non parliamo mai. Al massimo ci capiamo. Sappiamo già prima che succeda, qualunque cosa l'altro abbia intenzione di fare. Di sentimenti, di dolci metà o di cotte, non abbiamo mai parlato. « ..qualcuna di cui devo essere gelosa? » In cuor mio so che prima o poi succederà. So che diventerò la seconda - e poi la terza, la quarta e ancora giù - donna più importante della sua vita. M'illudo solo che non succederà troppo presto. M'illudo che non cresceremo mai. Che resteremo sempre così.
     
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    Avrebbe aspettato, come sempre. Avrebbe atteso il suo turno, impassibile. Il trono valeva più di qualsiasi attesa, sfidare i pronostici già sembrava un’enorme soddisfazione. Lui, secondo figlio di secondi figli, forse, un giorno, se l’universo avesse voluto, si sarebbe seduto su quello scomodo scranno, con in capo la pacchianissima corona d’Inghilterra. Sarebbe stato re e finalmente avrebbe abbandonato quella calma disarmante che lo accompagna in ogni gesto. La calma con cui George affrontava sempre ogni cosa, quasi irritante. Sul viso latteo l’espressione imperturbabile e sorda di chi non manifesta imbarazzo, rabbia o eccitazione. Il viso affilato sempre corrucciato in un’espressione atona, vagamente fredda, ma mai sognante. Assurdo, come uno che sognasse cose tanto impossibili apparisse così passivo alla vita. Aveva mai espressamente manifestato qualcuno dei suoi sentimenti o il suo volto serafico non si era mai distorto in una smorfia di dolore, le guance mai bagnate dalle lacrime? La sua mente, la fortezza di ghiaccio che aveva iniziato a costruire da piccolo, lavorava su di essa, con essa, in maniera maniacale. Ingranaggi e rotelle si incastravano meticolosamente, cosicché il vento non ne scalfisse le pareti fredde. Sarebbe mai crollata quella prigione per le emozioni? Eppure ricordava di aver pianto qualche volta. Rara, eccezionale. Ma lo aveva fatto lontano dagli occhi indiscreti, immerso nella sua smorta solitudine. Solo. Era una parola che riecheggiava forte nella sua mente, l’eco strisciante della solitudine che accompagna ogni individuo al mondo. Ma lui aveva Charlie, anche quando non c’era, Charlie era una costante, per quanto incostante, nella sua vita. Da sempre, benché li avessero voluti divisi per anni. A che scopo, faticava ancora a capirlo. Per lui la loro separazione forzata, per motivi scolastici, era rimasta l’abominevole scelta di una famiglia che presta poca importanza ai figli e troppa alle tradizioni. « Guasta feste. » la leggera gomitata di Charlie lo accompagnò di nuovo al presente. Respirò il fumo dello spinello che sua sorella aveva appena buttato fuori, sorridendole. Lo sapeva che Charlie lo avrebbe seguito, che per la sua insistenza avrebbe passato il triste funerale al fianco di George. Gliene era grato. Avrebbe evitato, se fosse stato un altro a morire, pensò. Ma quel piccoletto gli aveva dato talmente sui nervi che doveva esserci, indossare la sua migliore maschera, mostrare cordoglio, affetto.
    George Windsor era, doveva esserlo, impeccabile in queste malsane manifestazioni.
    « Replichiamo lo scherzo del topo finto nella zuppa? » Annuì, rallegrato dall’idea. Si sarebbero divertiti, senza ombra di dubbio. Quei due erano capaci di tirare giù il finimondo anche ad un funerale pur di creare un po’ di movimento. Per distrarsi. Essere presenti era importante, ma rimanere distanti da tutta quella merda lo era ancora di più. Non ci avranno mai come dovremmo essere.
    Sei un bugiardo, George Windsor, ti comporti esattamente come vorrebbero ti comportarsi, gli ricordò la fastidiosa vocina nella sua testa. Quanto era vero? Quanto si era sforzato per tenere insieme tutti i pezzi e non lasciarsi andare come aveva fatto Charlie? Quanto sacrificio gli era costato nascondere ogni malefatta, tenere un basso profilo piuttosto che esplodere come una bomba ad orologeria? Forse lo era. Forse prima o poi anche lui sarebbe esplodo. E la corona avrebbe assistito allo scoppio. Un botto. Come i fuochi di Guy fawkes. Magari si sarebbe conclusa così la farsa durata diciassette anni. Era una cosa che lo terrorizzava. Lo terrorizzava che il funerale potesse muovere in lui qualche strano ingranaggio. E se non avesse retto i sorrisi di circostanza, i pianti isterici e la presenza di quella corte reale che si riuniva per un bambino. Se non avesse retto la presenza di quella vecchia lucertola, La sovrana d’Inghilterra?
    Non la odi nemmeno, la ammiri si disse, ma non ne era più così sicuro.
    « Andiamo Georgie.. non lo pensi davvero. Se crepa la mummia ci tocca Carlo. Te l'immagini.. lui e Camilla sul trono? » scoppiarono entrambi a ridere « Non so chi sia più coglione tra lui e papà. » La triste verità era questa. Elizabeth era stata una grande regina, ma come madre avrebbe potuto evitare volentieri. Non si era mai interessato davvero a loro, nemmeno a suo padre. Perché interessarsi di qualcuno che per te non ha mai mostrato il minimo interesse? E mai li aveva presi ad esempio, almeno non volontariamente. Carlo era stato fin troppo stupido dall’inizio, sicuramente non aveva mostrato grandi doti diplomatiche, né coniugali. Certo che poi doveva essersi interessato ai cavalli, per sposare una come Camilla. Geroge non riusciva a togliersi da testa il volto equino dell’attuale moglie di suo zio. Nemmeno era mai stata simpatica. « Certo che lui e papà » disse, malgrado avesse usato raramente questo termine, intrinsecamente carico di affetto «se la giocano » Osservò gli occhi cristallini della sorella , il viso magro. Non si somigliavano molto, ma nel suo sguardo smarrito George riconosceva se stesso. « Però sai, Carlo potrebbe essere un esperimento governativo» asserì, buttando lì la sua ipotesi « Potrebbero farci una guida interattiva “Come distruggere una monarchia in pochi mesi” » Inutile pure a pensarlo, nessuno avrebbe permesso a Carlo di rimanere al potere. Essere il figlio scemo doveva essere stato brutto, essere l’erede al trono ma avere le capacità cognitive di un popolano del quattordicesimo secolo, che frustrazione. Che ingiustizia. Sempre meglio che essere i secondi dei secondi. « Sarebbe come guardare le scimmie allo zoo»
    « Nessuno potrà mai rimpiazzarti.. » Le parole di Charlie volevano essere di conforto, ipotizzò il giovane principe, ma George la pensava diversamente. « L’hanno già fatto » sussurrò, il sorriso amaro sul viso, la bruciante sensazione di volersi sfogare. Una sola volta George aveva avuto il piacere di essere un rimpiazzo, ma gli era valsa la morte di suo fratello. Robert, il caro e vecchio Robert. Non che i due avessero mai avuto un grande rapporto, ma tornando indietro, forse era colpa sua. La sua morte aveva alimentato l’ossessione di George, se Robert fosse stato ancora in vita probabilmente la corona sarebbe stata un sogno infantile tenuto nascosto in un cassetto. Al sicuro. E invece no. La morte di Robert, il figlio prediletto, aveva cambiato tutto. Era stata l’unico avvenimento in grado di smuovere i volti apatici della sua famiglia. Persino Laurel aveva pianto, con quella sua faccia imbrattata dal trucco e l’espressione da ricca signora del cazzo. Per Charlie, probabilmente George non avrebbe mai avuto un rimpiazzo. Ma prima o poi sarebbe successo.« Porterai qualcuno? » domandò, l’espressione furba e maliziosa sul viso « ..qualcuna di cui devo essere gelosa? » George rise di gusto nel sentire quel pizzico di gelosia nelle parole della sorella. « Sei ammattita? » domandò, inarcando il sopracciglio chiaro. « Non ti rimpiazzerò, Charlie » le disse, rigirando le sue parole. Ed era vero. Forse un giorno qualcuna sarebbe arrivata, magari la giovane grifondoro che adesso lo odiava con ogni fibra del suo corpo. Magari qualche ricca principessa dagli occhi di cristallo. O la barista di qualche locale malfamato. George non aveva mai fatto troppa distinzione su chi posare gli occhi, su chi potesse saziare i suoi giovani appetiti. Ma Charlie non avrebbe dovuto preoccuparsene. « Piuttosto tu » disse, colpendola appena con il ginocchio « qualche coraggioso pretendente? » le sfilò lo spinello dalle dita e fece un tiro. Coraggio, ci voleva coraggio ad uscire con loro. Bugiardi, viziati, così abituati ad ottenere ciò che vogliono da valicare il confine fra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Chi era tanto azzardato, pronto a bruciarsi? « Se esiste, dovrei dargli un premio » disse lui, tirando a se la sorella e dandole un bacio fra i capelli sottili. Fragile, Charlie era fragile. Al di là della corazza, dell’impertinenza, dell’inedaguatezza. Fragile e triste, come i bambini cresciuti male e in fretta, che usano l’immaturità come solido scudo verso i problemi del mondo. Disfunzionali.


     
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    « Certo che lui e papà se la giocano. Però sai, Carlo potrebbe essere un esperimento governativo. Potrebbero farci una guida interattiva “Come distruggere una monarchia in pochi mesi”. Sarebbe come guardare le scimmie allo zoo. » Ci sono molte cose che gli ho sempre invidiato; prima tra tutte la sua capacità di arrovellarsi il cervello con questioni politiche di ordine internazionale. Quando eravamo piccoli e ci istruivano ancora in casa, lui faceva tutte queste domande del cazzo sulla storia. Chi era questo, chi era quest'altro. George voleva sapere, e non so se fosse perché effettivamente fosse interessato a farsi una cultura o perché in cuor suo ha sempre avuto questa ossessione di superare chiunque venisse prima di lui. L'ho sempre percepita la sua ambizione, in un modo che non so nemmeno spiegarmi. Guardava i suoi superiori con uno sguardo quasi assassino. Non ne risparmiava nemmeno uno dalle critiche. Commenti quasi monosillabici che tuttavia erano in grado di celare una serie infinita di significati. Lui l'aveva questa paura; la paura di non essere abbastanza, la paura di essere superato, di essere rimpiazzato, di essere sempre meno rispetto a qualcun altro. Io mi sono sempre sentita fuori dall'equazione, un po' perché non gli ho mai dato motivo di preoccuparsi troppo della mia esistenza, un po' perché forse, entrambi eravamo pronti a cavarci gli occhi prima di vedere del marcio nell'altro. « L’hanno già fatto. » Lo hanno già rimpiazzato. Questo mi dice George. Mi dice che in un modo o nell'altro tutte le sue paure si sono già avverate. Il secondo di un secondo. Usavo scherzarci sopra a questa cosa da piccola. Mi piaceva tormentarlo, semplicemente perché George è uno di quelli che pare non ti dia soddisfazioni quando lo punzecchi. E invece, celato in quello sguardo cristallino c'era un vero paladino agguerrito. "Su daaaai, non fare il rosicone." E lui non rispondeva. Bambini. La peggiore specie di esserini umani che esista. Non avevo peli sulla lingua - probabilmente non ce l'ho ancora. Dicevo sempre quello che pensavo, e credevo che se l'avessi fatto, mi sarebbe stato assegnato una qualche specie di premio alla sincerità. Grandissima testa di cazzo; sin da piccola. Per sempre. Eppure lui non ha mai smesso di volermi bene, e io non ho mai smesso di aggrapparmi con le unghie e coi denti a lui; anche quando era così evidente che se solo non fossi forse la persona più importante della sua vita, mi avrebbe ben volentieri ficcato la testa nella tazza del cesso. « Forse stai sperando che non ti rimpiazzino le persone sbagliate. » Sperare che la corona non rimpiazzasse le persone era un po' come giocare alla lotteria. Non dipendeva nemmeno da noi; non dipendeva da nessuno. A meno che non castriamo William e Henry, continueremmo a scendere nella classifica delle persone più importanti nella vita della mummia. Peggio mi sento semmai dovesse venir fuori che Carlo ha qualche bastardo sparso per il mondo. Le discendenze sono scientifiche, seguono la natura le scansione dei nascituri. Potremmo ritrovarci con mini-Charlotte sul trono dopodomani e nessuno potrebbe impedirlo. La stessa mummia è salita al trono quando aveva ventisei anni, ma nella storia della nostra famiglia ci sono stati casi molto più eclatanti. Infanti che se la facevano ancora sotto con lo scettro e la corona. Sai che bellezza vedere Katherine come regina reggente. Dalle stalle alle stelle.
    « Sei ammattita? » La sua risata è cristallina. Melodiosa. Henry e William potranno anche essere i principi più famosi d'Inghilterra, ma il vero gioiello è cresciuto tra il North Yorkshire e Londra. Da piccolo le nostre cugine sceme, figlie di quel caso umano dello zio Edward, dicevano fosse malaticcio. Avevano appena studiato la storia di Francesco II di Valois, delfino di Francia, consorte di Mary Stuart. Era morto a sedici anni e secondo loro le iconografie lo rendevano molto vicino nei tratti a George. Inutile dire che se le sono prese finché non hanno chiesto scusa, e anche dopo aver chiesto scusa, si sono ritrovate la colla nello shampoo e le formiche nel letto. Se lo sarebbero sognate uno come George, loro, e in cuor mio so che a Louisa bruciava perché aveva detto che ero più bella di lei.
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    « Non ti rimpiazzerò, Charlie. » « Non ci sarebbe nulla di male eh! Anzi! Pretendo che tu lo faccia! » Mi stringo nelle spalle ben consapevole che è il corso naturale delle cose. Eppure, egoisticamente parlando vorrei che entrambi ci rimpiazzassimo contemporaneamente, o che nessuno dei due lo faccia mai. Vedere George felice, certo, mi renderebbe serena, ma sarei una testa di cazzo se non ammettessi che mi brucerebbe. E anche solo per quello che ho appena detto, sono una testa di cazzo in ogni caso. « Piuttosto tu qualche coraggioso pretendente? Se esiste, dovrei dargli un premio. » Mi lascio coinvolgere dal suo abbraccio ben lieta che per un po' lui non possa guardarmi negli occhi. Vorrei evitare di rispondere a una domanda a cui non ho nessuna risposta, pur avendone un'infinità. « Lo sai: Oh, it's just me, myself and I, solo ride until I die cause I got me for life. » Perché è così difficile? L'affettività, la vita, i problemi, la scuola, socializzare. Una mandria di animaletti gettati nel mondo senza avere la più pallida idea di cosa fare delle proprie esistenze. Qualche coraggioso pretendente? Pretendenti no. E' ovvio che quello è un lusso per me. « Non lo so. » Ammetto stringendomi nelle spalle. « Non sono una tipa che si lascia corteggiare. Invece a inseguire asini volanti sono bravissima. Credo di avere una passione per tutti quelli che mi lacerano. » Improvvisamente scoppio a ridere. Sempre così fottutamente inopportuna. « Tale madre, tale figlia. E a tratti ci piacciono anche gli stessi uomini. » Più che a tratti. A volte credo lo faccia di proposito a trovare interessante chiunque s'interessi a me. Sono certa che se durante la vacanza di due estati fa, mi fossi fermata abbastanza a lungo con Dean e Sam a Monaco, ci avrebbe provato persino con loro. « Quella testa di cazzo ci ha provato con tre quarti della mia scorta. Poi si chiede pure perché papà l'ha lasciata. » E forse io dovrei farmi due domande su come finirò. Questa mela non è poi caduta tanto lontana dall'albero. La verità è che dare contro a Laurel non è solo un passatempo. Io ho bisogno di martoriarla. Di continuo. Gliela devo far pagare. Continuerò a fargliela pagare. « Mi odia. » Continuo puoi quasi dando voce ai miei stessi pensieri. « Laurel mi odia. Ma davvero. » Non era uno di quelli antagonismi madre-figlia che si risolvono solitamente con lo scemare dell'adolescenza. « Lei una figlia femmina non l'avrebbe mai voluta. » Gli sfilo lo spinello dalle dita e torno a ispirare profondamente prima di ripassarglielo. « A volte mi immagino il suo shock quando le hanno detto che ce ne era un altro. » E queste storie le conosciamo tutti. Per qualche ragione i medici erano sempre stati sicuri si trattasse di una semplice gravidanza. Un bel bambino biondo dagli occhi azzurri su cui Laurel stava già fantasticando. E poi boom sorpresa. « L'unica cosa che le ha impedito di smettere di spingere è che se fossi rimasta lì dentro l'avrei uccisa. » Sospiro. « Sono il suo orologio biologico. » Le ricordo che invecchia. Le ricordo che ormai si sta gettando tra le braccia della mezz'età.

     
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    « Forse stai sperando che non ti rimpiazzino le persone sbagliate. » le parole di Charlie lo fecero sogghignare appena. Le persone sbagliate. Facile a dirlo quando la bramosia della corona non ti tormenta,quando non condiziona ogni tua azione. George aveva smesso di dormire da tempo, perché la sua testa non riusciva a lasciar fuori quel pensiero martellante, quell’utopica visione che nella sua mente era più reale di qualsiasi altra cosa. Sarebbe impazzito, prima o poi. Il senno lo avrebbe completamente abbandonato e di lui sarebbe rimasto solo un involucro di carne ed ossa, con il cervello completamente andato. Charlie l’avrebbe persa per altri motivi, ma certe faccende non riusciva a coglierle nelle loro infinite sfumature. Ma Charlie funzionava così, aveva ingranaggi che nessuno riusciva mai a comprendere appieno, mascherati, celati in piccoli e preziosi gesti. Nella sua infantilità, George gliene dava merito, Charlie aveva trovato un modo per affrontare le brutture del mondo. Di quali brutture parli, che sei un principe? Quelle brutture che i comuni mortali, chi della propria vita può farne quel che gli pare, non conosce. Nelle sue parole era possibile scorgere quell'apprensione sincera, quell’affetto reale, ma George non potè far altro che scuotere il capo. Certe cose Charlie forse non riusciva a capirle, il suo modo di pensare era troppo distante, troppo astratto, alieno a quell’ambiente in cui erano stati costretti a vivere. Le persone che lo avevano rimpiazzato che lo avrebbero rimpiazzato ancora, e ancora e ancora, fino a quando di lui non sarebbe rimasto che un nome in fondo alla lista, quelle persone erano la chiave. Erano il sacro Graal, ed erano così vicini eppure talmente distanti da farlo impazzire. Era questo che lo tormentava più di tutto, l’idea di poter avere qualcosa, la cosa che più al mondo il suo cuore bramava e non poterla ottenere. Probabilmente mai. Perché non era destino, non era scritto nel firmamento, non era ciò che il suo sangue blu era destinato ad essere. Ma per quanto questa scottante verità bruciasse, al contempo alimentava la fiamma, folle e irrealistica, di una futura ed
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    improbabile realizzazione. La lista non era così lunga, pensò. Magari un giorno avrebbe preso il loro posto, avrebbe iniziato a rimpiazzare gli altri. Non era quello il potere? Decidere cosa fare degli altri, avere il potere di scegliere quando il loro valore smetta di esistere, quando la loro vita smetta di contare.
    Sospirò, lasciando che il suo vagheggiamento volasse via assieme al fumo che delicatamente usciva dalle sue labbra sottili.
    « L’importante è che non sia tu a rimpiazzarmi» scherzò, abbandonando l’idea di parlarle chiaramente. George sapeva che Charlie fingeva di ignorare quella sua fissazione, perché Charlie riusciva ad intuire sempre tutto.
    Anche della sua vita sentimentale, aveva sempre sospettato, Charlie era riuscita a leggere le instabili sfumature fra le righe fitte e illeggibili. Definirla vita sentimentale era anche troppo, un’esagerazione.
    « Non ci sarebbe nulla di male eh! Anzi! Pretendo che tu lo faccia! » Rimpiazzarla, perché Charlie non aveva paura di queste cose, glielo si poteva leggere in faccia, nei vivaci specchi d’acqua dei suoi occhi. Rimpiazzare le persone, andare avanti, superare i vecchi legami per stringerne di nuovi. L’aveva invidiata, da sempre, per questa sua innata capacità. Alzò le spalle, scrollandosi di dosso il solo pensiero di dover rimpiazzare l’altra metà della sua anima. «Forse, un giorno, quando diventerai una zitella antipatica e io non sarò più in grado di vivere con quindici gatti.» Da bambini avevano parlato tanto di cosa avrebbe loro riservato il futuro. George aveva vivido ancora il ricordo di un pomeriggio passato stesi sul freddo pavimento della stanzetta a compilare elenchi sui possibili risvolti della loro vita. Anche lì, fra le opportunità della sua lista “essere il Re” compariva, scritto a lettere cubitali. Alla fine si erano messi a discutere, in una maniera assurdamente intelligente per dei bambini. “E se vivessimo insieme?” aveva consigliato lui, con quella voce ingenua e l’espressione allegra. Era paradossale che da lì a poco li avrebbero costretti a dividersi, per lunghi mesi i due non si erano né visti né sentiti. Qualche lettera, tutta qui la loro corrispondenza. Tornare a casa per le feste era come andare in terra straniera e quel viso tanto simile al suo più di una volta gli era sembrato estraneo. Poi si era abituato, e aveva addirittura apprezzato quei momenti, brevi intervalli di calore di un’esistenza asettica.
    « Non sono una tipa che si lascia corteggiare. Invece a inseguire asini volanti sono bravissima. Credo di avere una passione per tutti quelli che mi lacerano. » Un altro sorrisetto divertito andò a posarsi sul suo viso. Ancora una volta, i loro caratteri stridevano. Charlie era un’anima errante alla ricerca continua di un porto sicuro, quel porto però, aveva realizzato George, sua sorella lo trovava sempre negli individui sbagliati. Doveva essere una prerogativa delle donne della sua famiglia, una questione di genetica. « Mi odia. Laurel mi odia. Ma davvero. » continuò lei, con una nota di rabbia nella voce delicata. George assentì con un cenno del capo, ma non ne era così sicuro. Laurel di certo non li amava come una madre ama i propri figli, ma d'altronde quella donna non amava nessuno al di fuori di sé.
    I loro volti efebici erano sempre stati l’orgoglio di Laurel, per quanto lei avesse cercato di mascherarlo. Due bambole perfette da tenere esposte agli eventi importanti, come trofei, icone del suo matrimonio di successo. Come dei santini, messi lì per essere adorati. Ma chi adora davvero i santi? Chi lo fa perché ci crede davvero? Chi lo fa per pura fede? I santi si adorano per pura convenienza, nella speranza, per chi ci crede, che uno di loro prima o poi faccia un miracolo. Il ragionamento era lo stesso. George e Charlie erano santini utili alle occasioni importanti, due volti freschi pronti a prendersi tutti i complimenti. Ne era passato di tempo, pensò il principe, riflettendo i propri occhi argentini in quelli della sorella. Il tempo era passato e aveva lasciato il proprio segno sui loro visi ancora giovani, ancora belli. Non erano rughe, né macchie della pelle, ma qualcosa di più profondo, qualcosa di più oscuro. Erano le loro espressioni ad essere cambiate, la loro mimica si era evoluta, aveva imparato ad adattarsi alle situazioni. I sorrisi si erano specializzati, ognuno pronto da sfoggiare al momento opportuno. Ma era innegabile il ghignò nascosto fra gli angoli della sua bocca, il cipiglio sornione del suo sorriso, lo sguardo vitreo dietro la maschera di finto interesse. Fingere era diventato così semplice, ma sempre meno naturale. Dubitava che in realtà le persone cui rivolgeva i suoi sguardi artefatti riuscissero a cogliere la velata finzione. Erano troppo presi a pensare a come sfruttare quei visi giovani, a decidere cosa fare delle loro impotenti ed inutili esistenze. Laurel era stata la prima a comportarsi alla stessa maniera, a riempirli di false attenzione per poi abbandonarli, a loro stessi, alle cure di tate a pagamento, come le puttane. Forse anche lui aveva ereditato qualcosa da quella sciagurata della loro madre. La scarsa costanza nei rapporti, il disinteresse verso le emozioni altrui. Come se importassero qualcosa, come se valessero il mio tempo. « L'unica cosa che le ha impedito di smettere di spingere è che se fossi rimasta lì dentro l'avrei uccisa. » Una verità terribile, detta in un sospiro e con un sorrisetto sulle labbra. Allora era vero che erano uguali, due creature nefaste incapaci di reagire in maniera naturale agli eventi, secondo la morale comune. « Sei ancora in tempo » suggerì, sorridendo con lo sguardo. Nemmeno la morte in persona sarebbe riuscita a schiodare Laurel da quel mondo di sfarzo e ricchezze, era peggio della vecchia regina, lei gli artigli ormai li aveva completamente infilati nella tappezzeria, a costo di diventare lei stessa una parte dell’arredamento. Sarebbe crepata, come tutti d’altronde, ma solo quando le rughe del viso lo avrebbero totalmente sfigurato e il pannolone sarebbe diventato il suo migliore amico. « Siamo destinati a stare soli» le disse poggiando la schiena all’albero e mettendosi le braccia dietro la nuca « Forse non è nemmeno tanto male »
     
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