Let's talk about sex.

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    Pervinca è una donna ormai piuttosto matura e sa riconoscere quel particolare sguardo. Ultima ora di lezione, solitamente sempre la più noiosa perché tutti non vedono l'ora di scappare via per andare a cena. Pervinca compresa. Ma quella sera c'è qualcosa di diverso. L'ha capito subito la bionda e deve ringraziare ancora una volta il suo infallibile sesto senso. Lettura dei fondi di caffè, una lezioncina piuttosto semplice, niente di troppo impegnativo, eppure c'è qualcosa che la stuzzica, qualcosa nell'aria che la diverte e non sa ancora cosa sia. Cammina tra i banchi, strizzata nel suo tailleur grigio, che è riuscita a rendere meno serioso grazie ai fiammanti e per nulla vistosi tacchi a spillo rossi. Lucidi, così tanto lucidi da non poter passare inosservati nemmeno di notte. Ma Pervinca non è una donna che vuole passare inosservata. Vuole spiccare, vuole essere notata, è felice soltanto quando l'occhio di bue la segue, mentre passeggia sinuosa sopra il palco ricreato ad opera d'arte nella sua aula. I ragazzi, chi più chi meno, sono tutti presi nella consultazione delle tazze e di tanto in tanto danno una sbirciata al manuale di Divinazione, giusto per sembrare più dotti quando lei gli si fa vicino, per cercare di capire quanto siano portati nella materia. Per alcuni non vi è speranza. Li ha visti entrare per la prima volta in classe e già sapeva. Povero tesoro, per quanto ci proverai, te non riuscirai mai ad aprire il tuo terzo d'occhio sembra pensare, mentre si porta la mano a coprirsi le labbra, dopo aver ascoltato l'ennesima cazzata su quanto un semplice gatto assomigli al tanto temuto gramo. Non sa perché piaccia tanto, eppure il gramo sembra essere sempre la soluzione a tutto per questi ragazzini tarati, con i loro paraocchi artificiali. Passa oltre, leggermente basita e insoddisfatta dall'andamento della classe. Ci sono alcune menti brillanti tra di loro, ma si possono contare sulle dita di una mano. Proprio per questo, per tentare di risollevarsi il morale, si avvicina al tavolo di alcuni Corvonero. Li conosce giusto per cognome, Cassie non gliene ha mai parlato, forse perché in fin dei conti non sono così interessanti e acuti come la casata in cui sono stati smistati voglia far credere al mondo intero. Passeggia silenziosa intorno a loro, sbirciando da sopra le loro spalle, giusto per controllare che non siano più cretini del gruppo di Serpeverde che ha appena superato. E' nel momento in cui si ferma davanti al loro tavolo che lo becca. Lo sguardo. Charles Beaumont le ha appena fissato le tette, con davvero poca discrezione, a dire il vero. Abbassa lo sguardo quel tanto che basta per fissarsele a propria volta, giusto per controllare che non ci sia nulla fuori posto e poi lo lascia scivolare con un'accurata precisione verso i suoi occhi scuri. Trattiene evidentemente una risata, mentre si sporge volutamente in avanti, giusto per testare le sue capacità di resistenza. «Signor Beaumont mi dica, cosa vede nella tazza del signor Lane?» Lo squadra, cercando di registrare ogni sua possibile mossa, ogni atteggiamento lampante che ne riveli le emozioni. Ed eccola qua.
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    La goccia di sudore che si fa strada tra i suoi capelli, scendendo lungo la tempia, per essere poi cancellata velocemente dalla mano nervosa del ragazzo. Sorride, Pervinca. Non ha una buona soglia di resistenza, ma gli ormoni sono ormoni. Specialmente in piena fase adolescenziale. Lei alla sua età era anche peggio con il suo primo ragazzo, di cui però non ricorda il nome. Si incupisce, appena, prima di ritrovare una parvenza di calma quando il ragazzo, dapprima balbettando, poi sempre più sicuro di sé, snocciola qualche definizione base sulla Caffeomanzia. Non tutto corretto, ma dopo il fiasco dei Serpeverde, anche quel piccolo intervento sembrava oro. Gli sorride, piegando appena la testa. Gira poi sui tacchi, sculettando verso la cattedra. Recupera un foglietto libero dal disordino che regna sovrano sopra il tavolo e butta giù qualche riga veloce con la piuma appena imbevuta nel calamaio. Soddisfatta, piega il bigliettino fino a farlo diventare di dimensioni ridotte e torna verso il tavolo dei Corvonero. Finge indifferenza, mentre lascia si piega in avanti per prendere la tazza del signor Campbell. E' in quell'istante che la mano libera sguscia verso il libro riposto di fronte agli occhi di Beaumont, lasciando sotto di esso il bigliettino. Gli scocca un'occhiata circospetta, prima di proseguire come se nulla fosse con il resto della lezione.
    "La prego di raggiungermi questa sera, alle ore 21, nel mio ufficio." Non si è firmata, non ha spiegato il perché di quella improvvisa spiegazione. Non ce n'è bisogno perché in tutta onestà non sa nemmeno lei perché gli ha scritto. L'ha visto impacciato, piuttosto rigido e ha sentito quella petulante vocina nella testa che l'ha spinta a tendere una mano in direzione di quel povero bisognoso. Si sente magnanima. Pure una brava persona, mentre si abbottona i jeans e si guarda allo specchio. Ha deciso di optare per qualcosa di meno vistoso questa volta, giusto per non fargli saltare subito tutti i bottoni dei pantaloni. Vuole aiutarlo. Non sa in che modo, ma sente che quella è la sua vera vocazione. Aiutare il prossimo in difficoltà, cercando di aprirlo alle possibilità che il mondo ha da offrirgli. Si sente una degna persona, mentre si dà un'ultima rimirata allo specchio, prima di udire un leggero bussare alla porta. Con lunghe falcate, si avvia verso l'entrata, rimanendo però dietro di essa, appena qualche secondo. Giusto il tempo di farlo crogiolare nel suo brodo, in attesa di sapere di che morte deve morire. Con un sorriso a trentadue denti, infine, apre. Si appoggia allo stipite della porta con la spalla, mentre lo osserva. «Puntuale come un orologio svizzero, signor Beaumont. Prego, si accomodi.» Lo lascia passare e lo segue con lo sguardo, giusto per capire da che parte cominciare con lui. La postura delle spalle è troppo rientrata, sinonimo d'introversione. Gli occhiali gli danno quell'aria da bravo ragazzo intelligente, tipico del ragazzo che si presenta con orgoglio ai propri genitori. Punto a suo favore. Lo guarda accomodarsi al tavolino e finalmente gli si fa vicina, prendendo posto davanti a lui. Cerca di sembrare più conciliante, dolce e meno femme fatale possibile, mentre lo guarda dritto negli occhi. «Ti starai di certo chiedendo perché ti abbia convocato, Ch- posso chiamarti, Charles, non è vero?» Chiede, passando ad un livello subito più informale, prima di alzarsi per prendere la teiera già scaldata, preventivamente. «Ci arriveremo, ma prima bisogna sempre ricordarsi di osservare l'etichetta e i convenevoli del caso, così dicono perlomeno.» Si appresta a prendere anche due tazze, prima di riavvicinarsi al tavolo, spostando la sedia con l'aiuto di un movimento dolce del fianco. «Ti va un po' di tè, Charles?»
     
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  2. Mischief
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    Era il terzo anno che faceva divinazione, la materia non gli piaceva granché ed era praticamente certo che non piacesse neanche a molti dei suoi compagni, era poco quello che si poteva imparare se non si possedeva un dono innato, eppure la classe della professoressa Branwell era sempre piena, soprattutto di ragazzi e come dar loro torto: la professoressa Branwell era una gioia per gli occhi. E, infatti era sempre seguita da sguardi languidi nei corridoi, la sua figura sensuale era causa di fantasticherie della maggior parte del corpo studentesco e c'era da dire che la lei non faceva molto per rimanere fuori dal centro dell'attenzione, anche quel giorno in classe portava un tailleur grigio scollato molto aderente e delle scarpe rosse coi tacchi a spillo. Nonostante cercassi sempre di non accomunarmi alla massa di persone che le sbavavano dietro, anche a me capitava di guardarla con gli occhi da triglia di tanto in tanto, certo non lo avevo mai fatto davanti a lei e soprattutto, la professoressa, non se n'era mai accorta. La cosa però stava per cambiare.
    Era l'ultima ora di lezione di una giornata pienissima, i professori sembravano più ossesionati di lui dai G.U.F.O di quel passo probabilmente mi avrebbero mandato al manicomio, fra lo studio l'insonnia e le ronde notturne da prefetto, non dormivo praticamente mai. Non potei neanche biasimarmi troppo per essermi distratto, il fatto era che Pervinca Branwell stava venendo verso il mio tavolo e io la stavo fissando, da ormai due minuti buoni, ero talmente assorto che anche se si stava avvicinando a me, non mi resi conto che le stavo fissando il seno, strizzato da quel tailleur, che non faceva altro che risaltarne le forme. Non mi resi conto che si era accorta del mio sguardo, fino a quando lei non si chinò per intercettare il mio sguardo con quei maledetti occhi chiari.
    «Signor Beaumont mi dica, cosa vede nella tazza del signor Lane?» Non c'era traccia di rimprovero nella domanda della prof, il problema è che chinata a quel modo sul mio tavolo guardarla negli occhi era ancora più difficile di quanto non fosse prima, ero dolorosamente conscio del fatto che se avessi abbassato lo sguardo avrei avuto una visuale paradisiaca, ma anche che se l'avessi fatto la professoressa mi avrebbe di certo visto, a quel punto non avrei avuto neanche più la scusa che ero incantato. Il cuore mi batteva all'impazzata per la vergogna, mentre una goccia di sudore scese lentamente lungo la mia tempia e rapido l'asciugai con il dorso della mano. Sapevo bene che anche quel gesto non era passato inosservato, perché mi stava squadrando attentamente, come se avesse occhi solo per me. Presi in mano la tazza del mio vicino, lieto di aver qualcosa da guardare che non fosse lei e cominciai a balbettare qualcosa sulla caffeomanzia, cercando di capire se nella tazza ci fosse un anello o un arco. Alzai finalmente lo sguardo e la professoressa mi stava sorridendo, con la testa leggermente piegata da un lato, come si guarda un cucciolo addormentato, tanto per capirci. Tirai un sospiro di sollievo quando la professoressa si voltò dandomi la schiena. Sta vistosamente sculettando o ho le allucinazioni? Questa volta però fui ben attento a non lasciare che notasse nulla del mio sguardo, quando tornò a guardare verso di me, stavo controllando la mia tazza di té. Si avvicinò ancora una volta a me per parlare con Campbell e per la seconda volta si piegò sul nostro tavolo, non era rivolta verso di me, come in precedenza, ma era così vicina che potevo sentire il profumo emanato dai suoi capelli. Ma che ho fatto di male oggi? Notai però un movimento strano della prof e un leggero tonfo sul tavolo, come se la professoressa avesse mosso il mio libro. Controllai non appena si alzò, c'era un biglietto piegato con cura, sotto al manuale: "La prego di raggiungermi questa sera, alle ore 21, nel mio ufficio." Il sangue mi si gelò nelle vene.

    Non potei fare a meno di prepararmi con cura, per vedere la professoressa Branwell, scelsi una camicia chiara e dei jeans, ma restai quasi venti minuti davanti allo specchio a sistemarmi i capelli. Ero patetico. Oltretutto con ogni probabilità, la professoressa voleva vedermi per punirmi. Il biglietto era una grazia nei miei confronti, per non farmi morire di vergogna davanti a tutti. Eppure una parte di me, era quasi contenta di avere una scusa per bussare al suo ufficio, nella torre nord del castello. Bussai esitante alla porta e aspettai pazientemente che mi dicesse di entrare. Fui colto di sorpresa, quando la porta si aprì e me la ritrovai davanti.
    «Puntuale come un orologio svizzero, signor Beaumont. Prego, si accomodi». La Branwell era appoggiata allo stipite della porta, indossava dei semplici jeans e in qualche modo in quell'outfit sembrava più giovane, più vicina alla sua età di come l'aveva mai vista. «Buonasera, professoressa». Entrai vistosamente nervoso e mi sedetti al tavolo, poggiando le mani sulle mie ginocchia, non ero mai entrato nel suo ufficio ma non mi venne neanche in mente di guardarmi intorno.
    «Ti starai di certo chiedendo perché ti abbia convocato, Ch- posso chiamarti, Charles, non è vero?» Annuii velocemente, incapace di parlare, il suo tono era diverso da quello che teneva in classe, più conciliante e meno rigido. Mi tranquillizzai un po', sentendo quel tono dolce. «Ci arriveremo, ma prima bisogna sempre ricordarsi di osservare l'etichetta e i convenevoli del caso, così dicono perlomeno». Si era rialzata, per prendere una teiera e due tazze. «S-sì in effetti, me lo sono chiesto, immaginavo una punizione...» La mia voce suonava più rauca del solito, mi ero chiesto principalmente il motivo di tanta segretezza e del sotterfugio di quel bigliettino. Per sicurezza non avevo detto a nessuno di quello che dovevo fare, neanche alla povera Olympia che aveva placidamente accettato di scambiare i nostri turni di ronda, senza fare domande. «Ti va un po' di tè, Charles?». Un po' di té caldo magari avrebbe sciolto il nodo che avevo in gola. «Ehm sì grazie, professoressa».


    Edited by Mischief - 5/4/2017, 00:54
     
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    Imbarazzato. E' questo l'aggettivo che sembra calzare meglio addosso al ragazzino che si ritrova di fronte. E' impacciato e a disagio. E questo un po' le dispiace. Solitamente è lei la professoressa figa che riesce ad instaurare subito un rapporto d'amicizia con i suoi studenti. Vuoi perché è giovane, vuoi perché porta con sé sempre dei doni graditi (dall'erba, all'alcol, a idee originali per divertirsi in modo alternativo), vuoi perché si sente ancora una sedicenne nell'animo, ma ci riesce sempre. Non ha fatto i conti però con il genere maschile. O meglio, con il sottogruppo del genere maschile che è sì, in piena crisi ormonale, ma che è anche terribilmente timido e dubbioso su ciò che gli sta capitando. Charles Beaumont appartiene sicuramente a quel sottoinsieme. «S-sì in effetti, me lo sono chiesto, immaginavo una punizione...» Lo guarda, lasciandosi sfuggire una risatina limpida. Allunga la mano per dare un leggero colpetto al dorso della sua e la ritrae immediatamente, cominciando a versare il tè nella prima tazza. «Una punizione? Da me? Non credo di averne mai assegnata effettivamente una, da quando sono qui» si ritrova a dire, portandosi l'indice al mento, mentre sta pensando. No, effettivamente ha punito alcuni studenti che le sono capitati sotto le mani, niente di troppo severo o pericoloso, ovviamente. Ed era tutti sempre estremamente consenzienti e coscienti, oltre che assolutamente felici all'idea di averne un secondo round. «Comunque sia, no, non sei qui per essere punito Charles.» Aggiungerebbe altro ma si trattiene, per paura che il ragazzo si possa alzare, scappando via a gambe levate. E' una cosa che un ragazzino come Charles farebbe assolutamente, è pronta a metterci la mano sul fuoco. «Ehm sì grazie, professoressa». Scuote la testa, divertita, mentre lascia strisciare la tazza ricolma di tè verso di lui. Tè che non è effettivamente soltanto tè. E' una tisana all'erbe molto naturali, qualcosa che serve a far rilassare i nervi e far uscire il vero io interiore. Ma questo non l'aggiunge, non sia mai che poi la sua razionalità cominci a cozzare con il suo interiore, facendolo correre urlante in presidenza, con il conseguente quasi assicurato licenziamento. Solo per aver inavvertitamente drogato uno studente. Poi drogato, che parolona sarebbe se usata in un contesto così pacifico e tranquillo come è quello in cui si trovano i due. Decide quindi di tacere, per il bene comune. «Pervinca. Ti prego non farmi sentire più vecchia di quanto mi senta già.» Gli sorride, prima di portarsi alle labbra la tazza fumante. Inspira profondamente, socchiudendo appena le palpebre, giusto il tempo di immagazzinarne l'odore intenso, per poi buttarne giù due sorsate copiose. «Ovviamente sappi che sei completamente giustificato per non aver assolto le tue mansioni da prefetto, questa sera. Ti copro io, tranquillo.» Gli lancia un'occhiata allusiva, facendogli l'occhiolino. Insomma, l'espressione tipica di una persona sulla quale non investiresti nemmeno un briciolo di fiducia. «Ma ora veniamo a noi, ti va?» Aggiunge, spostando di lato la propria tazza, per fare spazio sul tavolo. Agguanta un mazzo di tarocchi e lo posiziona davanti a lui. Accenna le carte con un movimento veloce del cenno, cercando di prendere tempo per trovare le parole giuste per affrontare l'argomento. Insomma, non è facile far aprire un ragazzino timido riguardo la propria attività sessuale, chiaramente. «Ti va di fare un giro di carte? Magari scopriamo qualcosa d'interessante sul tuo futuro.» Sceglie ogni parola accuratamente, inclinando il busto verso il ragazzo, quel tanto che basta che creare tra di loro una comfort zone, dove si possa sentire al sicuro, protetto e soprattutto libero di parlare di qualsiasi cosa gli passi per la mente. «Devi prendere le carte e smazzarle a tuo piacimento, così che possano prendere la tua energia e riconoscerti come il padrone del tuo destino.» Prende un altro sorso di tè, appoggiando le spalle contro lo schienale della sua sedia. L'osserva in silenzio, oscillando il piede sotto il tavolo. La situazione le sembra più rilassata, più congeniale all'introdurre l'argomento della serata, perciò ci prova, buttandosi. «Sai? Oggi ti osservavo a lezione e per quanto tu non abbia propriamente la giusta propensione alla mia materia, ammiro la tua perseveranza.» Un dato di fatto forse, eppure apprezza veramente l'impegno che alcuni suoi studenti, decisamente non dotati in fatto di divinazione, impiegano nel continuare a mettersi in ridicolo nella sua classe. E' una dote non da poco, sicuramente, da stimare senza ombra di dubbio. «C'è qualcosa che vuoi chiedermi magari, Charles?» Punta gli occhi chiari in quelli di lui, aspettando una risposta. Dimostrami che non ho sbagliato a convocarti qui.
     
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  4. Mischief
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    La sua risata cristallina, mi spiazzò, ma non quanto la mano che si posò velocemente sulla mia, anche se solo per un attimo. «Una punizione? Da me? Non credo di averne mai assegnata effettivamente una, da quando sono qui». Non stava andando esattamente come credeva, la Branwell sembrava amichevole e molto rilassata, non che fosse mai stata una professoressa severa, ma, per quella sera, aveva completamente abbandonato quel ruolo. «Comunque sia, no, non sei qui per essere punito Charles». Il tocco della sua mano, mi aveva fatto un po' arrossire, abbassai leggermente lo sguardo, mentre mi passava la tazza piena fino quasi all'orlo, e ne approfittai per mettere due cucchiaini di zucchero nel té. Aveva un colore strano, ma non ci feci troppo caso, sarò stato un infuso di qualche tipo, non chiesi neanche cosa fosse, mi fidavo completamente della persona che avevo di fronte. Portai la tazza alle labbra con cautela, per non versare il contenuto da nessuna parte, e buttai giù un lungo sorso di quella tisana. L'effetto fu quasi immediato, anche se me ne resi conto dopo qualche minuto, il groppo che avevo in gola si sciolse, i miei nervi si rilassarono, quando abbassai la tazza, ogni traccia del rossore dal mio viso se ne era andata.
    «Pervinca. Ti prego non farmi sentire più vecchia di quanto mi senta già». Feci un debole sorriso. «Lei non è vecchia, prof... Pervinca». Mi corressi subito, la mia voce meno formale aveva una nota adulatrice, che non avevo affatto preparato. Ingollai altre due sorsate di tisana, era molto buona e il fatto che non fosse bollente mi permise di berla molto velocemente, quando riabbassai la tazza, ne era rimasta meno di un quarto. «Ovviamente sappi che sei completamente giustificato per non aver assolto le tue mansioni da prefetto, questa sera. Ti copro io, tranquillo». Mi fece l'occhiolino e il mio sorriso si allargò di rimando al suo. Non avevo la minima idea del motivo per cui ero stato convocato, a quel punto, le mie ipotesi si erano rivelate completamente errate, ma lungi da me lamentarmene. C'erano modi peggiori di passare una serata, che in compagnia di Pervinca Branwell. «Non c'è problema, ho chiesto a Olympia se poteva coprirmi». Persino io fui stupito dalla mia improvvisa disinvoltura, sembrava che la bionda con le sue parole fosse riuscita a mettermi a mio agio, c'era anche da aggiungere che il fatto che avesse una semplice t-shirt e un paio di jeans, aiutava non poco a non vederla come una professoressa, ma semplicemente come a una ragazza più grande.
    «Ma ora veniamo a noi, ti va?» Ero sinceramente curioso adesso, la imitai spostando di lato la mia tazza ormai vuota a lato. «Ti va di fare un giro di carte? Magari scopriamo qualcosa d'interessante sul tuo futuro». Il sorriso conciliante, gli occhi magnetici, il linguaggio del corpo completamente rilassato. Tutto di Pervinca sembrava assolutamente naturale, non avrei mai immaginato come ogni minimo dettaglio, dalla scelta delle parole alla posizione scelta, fossero mosse studiate con cura minuziosa. Non potevo immaginarlo, anche perché pendevo dalle sue labbra: non mi resi conto che aveva piazzato un mazzo di tarocchi di fronte a me, fino a quando non fece un cenno verso il tavolo. «Devi prendere le carte e smazzarle a tuo piacimento, così che possano prendere la tua energia e riconoscerti come il padrone del tuo destino». Annuì, e presi il mazzo oblungo in mano e lo mazzai un paio di volte, con cura, cercando di non rovinare le carte che sembravano costose. Eppure, dubitai che una semplice occhiata al mio futuro, fosse il motivo per cui ero stato chiamato nel suo ufficio. «Sì, certo. In fondo sono molto curioso, non mi fido molto delle previsioni dei miei compagni, quindi è come se fosse la prima volta che qualcuno "mi fa le carte". Va bene, così?» Riposai il mazzo sul tavolo dopo averlo coppato un altro paio di volte. «Sai? Oggi ti osservavo a lezione e per quanto tu non abbia propriamente la giusta propensione alla mia materia, ammiro la tua perseveranza». Sorrisi questa volta un po' imbarazzato, non per il complimento, ma al ricordo di quella lezione. Aveva fatto davvero una figura pessima. «Oh, grazie. Visto che siamo in argomento, ne approfitto per... Be' mi dispiace, per oggi. So che ha notato il mio sguardo, non si ripeterà più, la mia è solo una piccola...» Cotta. Lasciai cadere la frase. Che diavolo ti prende? Come avevo trovato il coraggio di anche solo accennare a quello che era successo in classe? In più stavo per confessarle della piccola, stupida, cotta adolescenziale che avevo per una professoressa. Non che fossi molto originale, quale ragazzo della mia età non la aveva, per lei?
    «C'è qualcosa che vuoi chiedermi magari, Charles?» Mi ero perso nei miei pensieri, ancora una volta gli occhi chiari di Pervinca erano puntati nei miei, ma a differenza di prima, ebbero un effetto rassicurante. Non capii subito a cosa si riferisse, ma mi ripresi immediatamente. «Riguardo al mio futuro?» Chiesi, ma era più una domanda retorica. Finii subito a pensare ad Aleksandra e se mai in futuro sarei riuscito a confessarle quello che provavo. «Be' ci sarebbe una cosa, mi prenderai per un ragazzino idiota». Un sorrisetto si riaprii sulle mie labbra, ancora una volta non capii come quelle parole uscissero dalla mia bocca, senza che balbettassi o mi vergognassi a morte. «Mi chiedevo se riuscirò mai a dichiararmi alla ragazza che mi piace». La guardavo dritto negli occhi, come avevo cercato in ogni modo di non fare in passato, perché mi metteva profondamente a disagio.


    Edited by Mischief - 14/4/2017, 10:13
     
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    «Sì, certo. In fondo sono molto curioso, non mi fido molto delle previsioni dei miei compagni, quindi è come se fosse la prima volta che qualcuno "mi fa le carte". Va bene, così?» In fondo riesce a capirlo alla perfezione. Tra i suoi compagni pochi spiccano per intelligenza e visione totalitaria della verità. In quel momento le vengono in mente soltanto due nomi, che spiccano tra la marmaglia di persone inaffidabili e inadatte che popolano le sue classi. E non sono di certo i nomi degli amichetti del ragazzo curioso ma ingenuo che ha davanti agli occhi. «Va benissimo.» Piega la testa accavallando la gamba sotto il tavolo. Il piede, inavvertitamente, struscia contro la gamba del ragazzo, ma Pervinca non si scompone affatto. Lascia che quel contatto risulti naturale e non premeditato, camuffa un sorrisetto fintamente angelico, prima di prendere un nuovo sorso di quel tè rilassante. A lei non fa più effetto ormai. Ha provato fin troppe cose nella sua vita per essere assuefatta da un semplice decotto di erbe naturali, con un pizzico d marijuana. Però la rilassa sempre, le dà quell'effetto tipico di una camomilla o di una tisana bevuta prima di andare a dormire. «Oh, grazie. Visto che siamo in argomento, ne approfitto per... Be' mi dispiace, per oggi. So che ha notato il mio sguardo, non si ripeterà più, la mia è solo una piccola...» Sorride divertita, nascondendo le labbra dietro la tazza. Finge di non essere lusingata da quelle attenzioni così fanciullesche eppure sente di provare quell'emozione, nel profondo. Non le capita più tanto spesso di ricevere simili complimenti e un po' deve ammettere che quella sensazione le fa piacere. La riscalda. Il sentirsi desiderata, seppur da un ragazzino assolutamente inesperto e terribilmente imbranato, la fa stare bene. Giusto un po'. Allora finge imbarazzo, lasciando che le proprie gote si tingano di porpora. Ormai sa condurlo bene quel gioco, si è abituata a farlo per anni e le risulta ancora più facile con un agnellino come Charles di fronte a sé. «Sbandata? Infatuazione Cerca una parola per concludere quella frase lasciata malamente a morire senza un finale. «Non ti preoccupare caro, sarà il nostro piccolo segreto.» Gli sorride, prima di raccogliere i vari mazzi di carte che ha tagliato, raggruppandoli in uno unico. Sente che l'energia del ragazzo è stata trasferita nei tarocchi, riesce a percepire quel febbrile sfrigolio estraneo tra le sue dita, mentre sistema le prime tre carte di fronte al ragazzo. Un triangolo perfetto, il cui vertice è puntato verso Charles. E' la posizione consona quella perché le carte, tutte e tre coperte, puntano verso il destino di colui che ha invocato il loro aiuto. «Be' ci sarebbe una cosa, mi prenderai per un ragazzino idiota. Mi chiedevo se riuscirò mai a dichiararmi alla ragazza che mi piace.» Lo ascolta con attenzione, ma non lo guarda negli occhi. E' presa nel passare le proprie dita sopra le carte, formulando mentalmente la domanda che le è stata posta dal ragazzo. La indirizza alle carte, annuendo poi, come ad aver capito l'intero disegno dell'universo. «Se sei pronto, direi di cominciare.» E così dicendo, scopre la carta più vicina a sé. Quella di sinistra. L'osserva, aggrottando appena le sopracciglia. Poi alza lo sguardo verso il ragazzo e si rilassa. Deve metterlo a suo agio. E' questo il piano dell'universo. «L'appeso a testa in giù, interessante. Molto interessante a dire il vero.» Accarezza la carta con le unghie. «Ti sei sottoposto volontariamente ad un processo d'iniziazione dalla quale emergerai completamente trasformato.» Si passa la lingua ad umettare il labbro inferiore, prima di far scivolare nuovamente i propri occhi in quelli del ragazzo. Sorride, affabile. «Potrebbe essere forse la risposta alla tua domanda. Per arrivare a dichiararti, devi lasciare la strada sicura per cominciare a percorrere quella impervia, quella che non conosci e ignori finora. Gli spiega, intrecciando le proprie dita sopra il tavolo. «E stando allo sguardo che mi hai lanciato questa mattina, posso quasi scommettere sul fatto che questa via ti fa anche un po' paura.» Il suo viso si illumina grazie al sorriso incoraggiante che le piega le labbra. «Secondo questa carta- indica il tarocco picchettando l'unghia sopra di esso -sei già sulla buona strada per scoprire il tuo prossimo io.» Porta il peso in avanti, come a volergli fare una confidenza privata. Eppure è una domanda quella che vuole fargli. E' una domanda che la tartassa da quello sguardo. «Dimmi Charles, quanto ti è ignota la via dell'amore
     
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  6. Mischief
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    Il piede della professoressa mi sfiorò la gamba, con un contatto che sembrò perfettamente casuale a giudicare dalla mancanza totale di una reazione da parte della bionda. Fu un contatto leggero come una carezza e che durò soltanto un secondo, ma qualcosa nel suo sorrisetto mi fece pensare che non lo fosse affatto. Il solo pensiero mi causò un nodo in gola, mentre assumevo una posizione più rigida sulla sedia. «Sbandata? Infatuazione?». Anche se avessi voluto rispondere, e non lo volevo affatto, il nodo che si era formato nella mia gola non si era ancora sciolto. Così mi ritrovai stupidamente ad annuire innaturalmente con un sorso di té in gola, evitando di guardarla dritta negli occhi.
    «Non ti preoccupare caro, sarà il nostro piccolo segreto». I sorrisi che mi stava riservando, mi stavano scavando un buco nel petto. Il mio cuore batteva più forte del normale dallo stesso momento in cui ero entrato nell'ufficio di Pervinca, per quanto mi fossi calmato molto in realtà, visto l'atteggiamento accomodante della professoressa, ma questo non toglieva il fatto che quella bionda mozzafiato sembrava avere occhi solo per lui e questo sarebbe bastato a far perdere la testa a chiunque, figuriamoci a un ragazzetto senza alcuna esperienza. Guardai le sue mani e le sue unghie perfettamente curate, mentre con dei movimenti fluidi e automatici rimetteva insieme il mazzo di tarocchi. Posizionò di fronte a me tre carte coperte messe a triangolo rovesciato. «Se sei pronto, direi di cominciare». Pervinca svelò per prima la carta alla mia destra, che mostrava un uomo appeso per un piede. C'era da aspettare che i tarocchi fossero allegorici, perché non avevo alcuna voglia di finire appeso da nessuna parte. Cercai i suoi occhi per vedere la sua reazione, ma lei stava guardando le carte, con le sopracciglia leggermente aggrottate. «L'appeso a testa in giù, interessante. Molto interessante a dire il vero. Ti sei sottoposto volontariamente ad un processo d'iniziazione dalla quale emergerai completamente trasformato». Volontariamente? Stava parlando al passato? Riguardava gli esercizi che avevo fatto l'anno prima per imparare a trasformarmi in un gatto? Non aveva senso, doveva predire il futuro non indovinare il mio passato. Eppure non mi veniva in mente niente, non avevo preso parte a nessun processo di trasformazione men che meno volontariamente. E poi c'era la questione di quello sguardo quando aveva visto la carta. «Pro... Pervinca, scusa, ma cos'era quello sguardo alla carta, ti ha stupito?». Chiesi senza riuscire a trattenermi, era tornata a guardarmi negli occhi con quel sorriso, quello che mi faceva credere che fossi l'unica cosa interessante della stanza, o almeno così mi piaceva credere. Non mi sfuggì neanche la lingua che passò velocemente sulle sue labbra. Volevo dire qualcos'altro, ma me l'ero bellamente scordato.
    «Potrebbe essere forse la risposta alla tua domanda. Per arrivare a dichiararti, devi lasciare la strada sicura per cominciare a percorrere quella impervia, quella che non conosci e ignori finora». Non potevo fare a meno che seguire ogni suo movimento, come se fossi incantato da una sirena, persino il fatto che intrecciò le dita sopra al tavolo e il picchiettio con le unghie curatissime sul tarocco, mi sembrò affascinante. «Non... Non capisco. Non mi sembra di essere nel mezzo di nessuna trasformazione, come fa a essere volontaria?» Mi avvicinai al tavolo, spingendo in avanti la sedia e posai le mani sul tavolo, mettendomi in una posizione molto simile alla sua ma tenni le mani lontane l'una dall'altra, quasi ad abbracciare le carte sul tavolo. Non me ne resi neanche conto, ma solo conversando con lei in quella maniera, avevo perso parecchia della mia timidezza. «E stando allo sguardo che mi hai lanciato questa mattina, posso quasi scommettere sul fatto che questa via ti fa anche un po' paura». La guardai senza capire, per qualche secondo, il suo viso era di nuovo sorridente. «Secondo questa carta, sei già sulla buona strada per scoprire il tuo prossimo io». Non mi piaceva ammetterlo, ma sicuramente aveva ragione, la mia timidezza era quello che più mi bloccava. La paura di essere rifiutato, il fatto che la persona a cui volevo dire che mi piaceva era anche la mia migliore amica. Ma in realtà, ero timido con tutte le ragazze, mi venne in mente quella serata con Scout, quando mi aveva mostrato il suo tatuaggio sul costato, non ero riuscito a fissare il suo tatuaggio per più di due secondi senza imbarazzarmi. Per tutte queste ragioni, pensavo si sbagliasse. Ero lontanissimo dal trovare "il mio prossimo io", non mi ci ero mai neanche avvicinato. Stavo per risponderle, ma mi precedette. Si chinò verso di me, le nostre mani quasi si toccarono sul tavolo. «Dimmi Charles, quanto ti è ignota la via dell'amore?» I miei occhi erano completamente persi nel suo sguardo magnetico. «E' proprio questo il punto, non ho mai neanche baciato una ragazza- Abbassai lo sguardo sulla tazza di té ormai finita, non volevo neanche sapere di che colore fosse il mio viso- come faccio a essere già sulla strada del cambiamento?» Era una cosa tristissima, ma probabilmente Pervinca era l'unica ragazza... Donna, in realtà, che si fosse accorta di un mio sguardo languido, che sapesse anche minimamente che c'era qualcosa di lei che mi piaceva. Fu proprio in quel momento, che per la mia mente passò un'idea folle. Forse intendeva che quella serata fosse l'inizio della sua trasformazione, ma come intendeva aiutarmi? No, non aveva senso. Doveva essere una coincidenza.
     
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