Looking too closely

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    Olympia è insoddisfatta. Frustrata anche. A dire il vero è pure piuttosto incazzata. Nel giro di pochi giorni si è ritrovata sbattuta nelle ex celle di Hogwarts, dove le condizioni sono tutt'altro che dignitose. L'unico spettacolo che si vede dalle poche finestre è il fondo del Lago Nero. Carino la prima volta, carino la seconda, ma alla terza diventa un'enorme rottura di palle. Da Grifondoro a Serpeverde nel giro di una sera. Senza contare il fatto che il nuovo preside ha deciso di adottare una nuova strategia di comando, per salvaguardare la loro presunta sicurezza. Niente bacchette fuori dalle classe, svolti un angolo e ti ritrovi un cazzo di auror a pattugliare, coprifuoco alle 21 e poi di nuovo in gattabuia, insieme al resto della feccia. Ad Olympia è chiaro il perché soltanto i sangue sporco sono stati invitati cortesemente a lasciare i propri dormitori per cominciare a dormire su delle brandine dalle coperte scure, omologate. Tutti insieme, rinchiusi come topi, costretti ad usare gli stessi spazi, gli stessi grigi dormitori che riescono soltanto ad avviluppare l'anima in una coltre di profonda tristezza. Ha studiato storia, nel vecchio liceo babbano. Le piaceva anche molto, a dire il vero, era portata. E ora non le è difficile riuscire a fare un paragone abbastanza delineato tra il comportamento di Kingsley e quello di alcuni dittatori babbani. La paura del diverso con conseguente reclusione, decreti vari che fanno scivolare via ogni sorta di libertà, ogni sorta di scappatoia. Soffocare il diverso in ogni modo possibile, mettendolo sotto una campana di vetro, dove a poco a poco la fiamma si spegne, morendo. E' stato geniale il preside, deve ammetterlo. Far passare come una questione di sicurezza l'intera faccenda è stata una mossa intelligente. Tenerli segregati tutti nello stesso posto, togliendo loro qualsiasi arma con la quale contrattaccare è un chiaro ed evidente scacco al Re bianco. Soffocare la Regina affinché non possa far scoccare la scintilla per una sommossa, una rappresaglia. Così che non possa difendere il proprio Re. Sorride amaramente, Olympia, mentre rompe l'ennesima punta di matita, trapassando il foglio bianco. Sono giorni che non riesce a disegnare e solitamente è l'unica cosa che riesce a tenerle i nervi abbastanza controllati, tanto da non farle dare di matto. Quella mattina però non ha preso le medicine. Non è stata una dimenticanza o una svista. Non le ha prese di proposito. Quelle due pasticchine colorate l'aiutano a tenere a bada i sbalzi d'umore, ma le annebbiano la mente, facendola sentire poco lucida e presente a se stessa. E quella mattina ha sentito il bisogno di lasciarsi andare, di rimanere lucida e quindi di scivolare in quel tornado di emozioni contrastanti. Perché ovviamente, come se non bastasse l'atmosfera di disagio e catastrofe imminente in cui nuotava Hogwarts, Olympia è una ragazza di sedici anni, ergo ha qualche problemino, diciamo, all'altezza del cuore. Al solo pensiero di quel cretino patentato, spinge ancora una volta la matita contro il foglio e la mina si spezza. Di nuovo. Dà un'occhiata furtiva intorno a sé, quasi si sentisse un animale in prigione, prima di recuperare il tempera matite. Siamo in una scuola magica e per appuntare le matite devo usare aggeggi babbani. Sbuffa, piuttosto scocciata, mentre comincia ad avvertire quella strana sensazione alla nuca. Un formicolio silente che le fa capire sempre quando è osservata. Il viso scatta verso l'alto e comincia a perlustrare l'ambiente con sguardo tutt'altro che amichevole. Guarda a destra, davanti a sé, ed infine alla sua sinistra e i loro sguardi si incontrano. Rimane a fissarlo, con la sua solita faccia scazzata, alzando le sopracciglia come a volerlo invitare a parlare. A dirle qualcosa. Come a sfidarlo a mettere alla prova i suoi nervi, già che c'è. Come fa sempre. Se ne sta seduto poco più in là, in un tavolo, in solitaria. Come al solito, quando si parla di Scorpius Malfoy. Non sia mai che provi a fare amicizia con qualcuno il perfetto Serpeverde dalla pelle diafana, i capelli sempre meravigliosi e gli occhi tanto chiari da sembrare irreali. Sul serio? E' così che insulti le persone? Lodandone i tratti? Scuote la testa, fingendo di non aver sentito la voce nella sua testa e dopo qualche istante, decide che non vale la pena cominciare l'ennesima battaglia di pungenti frecciatine. Più che altro, non è il caso, viste le sue condizioni psicologiche. Allora abbassa nuovamente lo sguardo, pronta a ricominciare quel disegno che le sta riuscendo veramente male. Non sembra nemmeno il suo Willy Wonka. Passano alcuni secondi e lei si sente ancora osservata. Terribilmente e tremendamente osservata. Storce la bocca, infastidita, mentre si gira nuovamente a guardarlo. I capelli le ricadono ribelli davanti alla faccia e li scaccia via, poco elegantemente, con una manata. Vuoi anche una foto, Malfoy? Le vorrebbe chiedere, ma si morde la lingua. Inspira ed espira un paio di volte, come le hanno insegnato nella clinica per matti, e poi decide di alzarsi. Raccoglie tutto, quaderno, matite e astuccio e si avvia verso di lui. Gli si siede vicino senza chiedere il permesso, si appropria del suo spazio senza chiedere permesso e quando ha fatto di sistemare le sue cose, punta il gomito sul tavolo, una mano tra i capelli e si gira a guardarlo. «Mi volevi dire qualcosa, Malfoy Usa il suo cognome, conscia di quanto dia sui nervi essere chiamati così. A lei perlomeno dà fastidio, parecchio. E quindi lo fa apposta, giusto per ripagarlo con la stessa moneta. Disturbo per disturbo. «Niente?» Lo osserva per qualche istante, scuotendo la testa, leggermente annoiata. Una smorfia le distorce le labbra, mentre fa spallucce e si gira nuovamente. Il disegno del suo gatto, da quell'angolazione e con la luce di quel tavolo, sembra ancora peggio, come se questo sia effettivamente possibile. In un raptus di rabbia, accartoccia il foglio e lo butta verso il fondo del tavolo, facendo attenzione a non colpire nessuno, perché le buone maniere prima di tutto. Anche quando si ha l'umore nuvolo come il cielo durante un'acquazzone estivo. Ma tanto sono soli al mondo, in quella parte di biblioteca, nota dopo qualche minuto. «Okay, sono stanca, annoiata e pure parecchio incazzata. Perciò, per una volta soltanto, puoi smetterla di fare il cretino e non mandarmi in pallone il sistema nervoso?» Una richiesta così poco da lei da riuscire a spiazzarla, nell'udirla. Chiude le labbra e incontra i suoi occhi. Ora mi manda affanculo e tante care cose! Pensa, mentre tenta di fare appello a tutta la calma che le è rimasta in corpo per fingersi disinteressata. Ma è la verità. Vorrebbe tanto che Scorpius la prendesse sul serio, per una volta, magari riuscendo così a parlarsi come due persone normali e non come due dodicenni in vena soltanto di prendersi per il culo. «Apprezzerei molto se mi dessi una mano a distrarmi.»
     
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    Scorpius era alquanto infastidito da tutte le misure che il preside King aveva assunto, suo padre molto probabilmente lo avrebbe intimato di farsi gli affari propri; la loro famiglia aveva perso fin troppo a causa dello schierarsi dalla parte sbagliata. Il serpeverde aveva provato sulla sua pelle cosa volesse dire venir denigrato, addirittura emarginato, per fatti di cui lui non aveva nessuna colpa. Il suo unico errore era stato di nascere Malfoy, un cognome che sulle sue spalle pesava come un macigno. Negli anni aveva imparato a far finta di niente, ma dentro di sé conservava ancora il ricordo di quel bambino che in fondo desiderava solamente fare amicizia, ma che per colpe non a lui imputabili veniva respinto. Il buonsenso gli suggeriva che lui non doveva proprio niente a quei compagni che l’avevano sempre messo da parte, ma forse, sotto sotto, Scorpius voleva essere una persona migliore; dimostrare al mondo che Malfoy era soltanto un cognome. Durante la cena avrebbe voluto scagliare il suo bicchiere di vino lontano, proprio sotto il naso del preside; manifestare apertamente il suo disprezzo nei confronti delle rigide misure adottate. A fermarlo erano stati i commenti dei suoi compagni di casata, sembravano tutti contenti di liberarsi dei mezzosangue e dei nati babbani; una realtà che al serpeverde aveva dato il voltastomaco. Si era alzato con disprezzo, lasciando il suo piatto del tutto intonso, un senso di impotenza così opprimente da rendergli impossibile mangiare. Aveva cercato lo sguardo di una persona mentre scivolava lungo la sala grande, ma la rossa stava confabulando con i suoi compagni; troppo infuriata per accorgersi dello sguardo del ragazzo. I giorni successivi erano stati scanditi da una specie di mutismo generale, alcuni studenti si erano trasferiti nei sotterranei tra fioche proteste sedate dagli ex caposcuola che, nonostante la decadenza delle loro cariche, non avevano smesso di svolgere il loro lavoro. Scorpius si era tenuto alla larga da tutto ciò, sicuro che in qualche modo alcuni studenti avrebbero trovato il modo di usarlo come capro espiatorio, si era limitato a rimanere chiuso nella sua stanza e a presenziare alle lezioni. Il serpeverde aveva cercato di nascondersi, di isolarsi, di trovare la pace lontano da tutti come faceva di solito. La biblioteca in quei giorni era più vuota del solito, nessuno degli studenti aveva granché voglia di studiare e se questo volesse dire rimanere da solo in biblioteca per lui non era assolutamente un problema. Occupava sempre il solito banco, l’ultimo della fila sotto una grande finestra; da quella posizione può osservare il resto dei banchi, ma allo stesso tempo troppo lontano per diventare l’oggetto di sguardi altrui. La sua attenzione viene attirata da una chioma rossa, biondo fragola per la precisione, che solo una persona può sfoggiare: Olympia Potter. La fiera leonessa, colei che l’ha trattato esattamente come tutti gli altri; ma cosa poteva aspettarsi Scorpius? Comprensione? Evidentemente aveva riposto fin troppa fiducia nelle persone. Vorrebbe distogliere lo sguardo il serpeverde, ma Olympia è una specie di magnete, attira su di sé lo sguardo di chiunque la circondi. Molti la guardano per la sua bellezza, altri per via del suo cognome, ma Scorpius vuole solamente capire se tutta quella luce nasconde anche un lato oscuro. Vorrebbe chiederle come si trova nei sotterranei, non per prendersi gioco di lei, ma perché una piccola parte di lui vuole rassicurarsi che laggiù non le manchi niente. Prenderei volentieri il tuo posto se solo potessi. Ma la grifondoro sembra quasi infastidita dal suo sguardo, come un prurito insopportabile di cui non riesci a liberarti. Un piccolo barlume di divertimento che spinge il serpeverde a continuare ad osservarla solamente per darle sui nervi. Si sono sempre punzecchiati, infastiditi, comportamenti quasi infantili che donano un po’ di sapore alle noiose giornate del ragazzo. Olympia ha uno spirito combattivo e non demorde mai, non abbassa lo sguardo di fronte a quello glaciale di Scorpius, ma al contrario lo sfida ruggente. La ragazza inizia a raccogliere le sue cose, illudendo per pochi secondi il serpeverde; convinto di aver vinto quel
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    piccolo scontro rimane piacevolmente sorpreso quando lei si accomoda senza molti complimenti al suo fianco. Un sorrisino impertinente e sfacciato si dipinge sul volto del ragazzo. Hai coraggio piccola Potter. «Mi volevi dire qualcosa, Malfoy Il sorriso scompare dal suo viso, lasciando osto ad un’espressione dura e indecifrabile. Sei esattamente come tutti gli altri. Una realtà del tutto deludente. Quali ombre nascondi piccola leonessa? Si limita ad osservarla, stoico nello sguardo e nella posizione. «Niente?» E’ nervosa, quasi isterica di fronte alla sua mancanza di reazioni, addirittura spiazzata. Rimanere ferma le è quasi impossibile, tanto da suscitare una piccola smorfia nella sua impassibile espressione. «Okay, sono stanca, annoiata e pure parecchio incazzata. Perciò, per una volta soltanto, puoi smetterla di fare il cretino e non mandarmi in pallone il sistema nervoso?» Una richiesta del tutto inaspettata che apre una piccola crepa nel suo innato stoicismo. Si mette comodo il serpeverde, prendendosi tutto il tempo di osservare la ragazza e cercare di capire il perché di quella richiesta. Dov’eri tu quando tutti mi escludevano? Quando facevano crollare il mio sistema nervoso. Scorpius non si fida di lei e probabilmente neanche lei dovrebbe farlo. Sapeva di non doverle niente eppure non riusciva ad alzarsi e lasciarsela alle spalle. «Apprezzerei molto se mi dessi una mano a distrarmi.» Era la prima volta che la grifondoro gli chiedeva qualcosa, che fosse cambiato qualcosa? Forse tutti i cambiamenti dell’ultimo periodo avevano messo in secondo piano l’astio che sembrava scorrere tra le due famiglie. Nella sua testa era in grado di sentire i rimproveri del padre che gli intimavano di starle lontano, perché mischiarsi con i Potter non avrebbe portato nulla di buono. «Come sono i sotterranei?» Avrebbe tanto voluto vederli, assicurarsi che non venissero trattati indecentemente, ma il serpeverde sapeva che mostrare la sua faccia là sotto non era una buona idea. Si alzò in tutto il suo metro e novanta e prese la grifondoro per mano, trascinandola dietro di sé senza preoccuparsi di recuperare le loro cose. La spinse in un’ala del tutto deserta che veniva raramente utilizzata dagli studenti, le fece appoggiare la schiena contro gli scaffali e avvicinò il suo volto a quello della ragazza. «Da cosa hai bisogno di distrarti Olympia?» Non Potter, ma Olympia perché per lui il cognome che portava non aveva veramente importanza. «Cosa frulla nella tua testa piccola grifondoro?» Scorpius era sicuramente in grado di aiutarla a non pensare, era un maestro in quel campo; negli anni aveva imparato a svuotare del tutto la sua mente, liberandosi di tutti quei pensieri che avrebbero altrimenti rischiato di schiacciarlo.


    Edited by scorpius. - 23/8/2017, 15:39
     
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    Olympia non ha mai capito a fondo Scorpius Malfoy. Forse perché essenzialmente non si è mai interessata troppo a lui, per poter sapere davvero che tipo di persona lui sia. Lo conosce per il nome, per il pesante cognome che porta e lei per prima dovrebbe sapere quanto sia una merda essere giudicati per la nomea che la propria famiglia si porta dietro da anni. Suo padre non ha mai cercato di buttare fango sulla famiglia di Draco Malfoy, eppure Olympia sa delle vicissitudini accadute tra di loro, ai tempi di scuola, mamma Ginny gliele ha raccontate per filo e per segno, una volta che la ragazzina aveva insistito fin troppo. Ma alla fine dei conti ad Olympia non importava nulla del cognome di Scorpius. Non è per quello che non ripone fiducia in quel ragazzo dagli occhi talmente chiari da sembrare irreali, quasi trasparenti. Non si fida di lui perché, paradossalmente, lei, l'integerrima paladina dei diritti di chiunque, pronta sempre a battersi per qualsiasi essere vivente sulla faccia della terra, l'ha giudicato ancor prima di aver avuto l'effettiva possibilità di conoscerlo a fondo. C'è sempre stato un salutare gioco tra i due, uno stuzzicarsi continuamente, creato con delle occhiate eloquenti, falsi sorrisetti, battute che hanno sempre quel agrodolce sapore di pura e semplice frecciatina. Eppure c'è qualcosa nella freddezza stoica con il quale il ragazzo si aggira per il castello che fa sentire Olympia a disagio, quando è nei paraggi. Come se tutta quell'aura perfetta di cui è ricoperta la figura del Serpeverde servisse come superbo scudo e monito per coloro che non possono nemmeno competere con lui. Non possono essere alla sua altezza. Più grande paradosso di questo non vi può essere, perché Olympia era così, un tempo, appena arrivata ad Hogwarts. Schiva, introversa, menefreghista, sempre alla disperata ricerca di uscire di scena, più velocemente possibile, per non essere più seguita dalla luce dei riflettori, per non essere seguita dagli sguardi impietositi degli altri. Non era stato un anno facile, eppure, grazie ad alcune persone, era riuscita ad uscirne, a formare delle crepe sopra quella sua armatura esteriore. Forse può essere così anche per Scorpius. Magari non è lo spocchioso che tutti credevano lui sia. Magari ha soltanto bisogno di una leggera spinta. «Come sono i sotterranei?» I suoi occhi si fermano nei suoi nel giro di qualche secondo, mentre sente montare dentro di sé un'ondata calda di rabbia mista alla viscerale foga dell'ira più nera. «Mi prendi pure per il culo?» Dice senza pensare. Parole di fuoco, dettate dall'assenza di sedativi nel suo corpo e dall'astio che ha covato per giorni, in quelle celle di merda. Poi le iridi del ragazzo sembrarono dirle qualcosa. Sembravano raccontarle una storia diversa. Non era una presa in giro la sua, come se la poteva aspettare apertamente da un Watson, per esempio, ma una domanda interessata. C'era quasi della comprensione nei suoi occhi. «Okay, no. Scusa. Riformulo. Sono davvero un inferno. Non credo sia un caso il fatto che siano così in basso e vicini al centro della Terra.» Non sa neppure cosa stia dicendo, mentre si gratta nervosamente la nuca con la punta arrotondata della matita. «Come fate a vivere là sotto voi Serpeverde? Non vi invidio proprio. Manca l'aria, fa caldo. Non è piacevole come qualcuno vorrebbe far credere, ai piani alti.» Lascia poco all'immaginazione con quell'ultima frase. Non le frega nemmeno troppo di quale sia il pensiero di Scorpius a riguardo. Ha bisogno di sfogarsi con qualcuno, ha bisogno di raccontare a qualcuno del di sopra di quanto faccia schifo essere trattati come dei ratti solo perché non si ha il sangue giusto. Di quanto faccia schifo stare di sotto. Apre la bocca per aggiungere altro, ma lui lascia scivolare la propria mano a stringere quella di lei. Gli occhi verdi della ragazza non fanno in tempo a focalizzarsi sulle dita intrecciate, che si sente trascinare via di peso. E' in preda alla confusione e ad una leggera vena di panico nell'essere toccata così da un qualcuno che non rientra nella sua stretta cerchia di conoscenti, tanto d'accorgersi soltanto in un secondo momento dove il biondo la sta portando. La parte più remota della biblioteca, dove non c'è un'anima viva a parte loro. La spinge verso gli scaffali e dal suo metro e novanta si abbassa al suo metro e sessanta, fin quando i visi non si ritrovano a stretta vicinanza. Comincia a sudare freddo, Olympia. Non è un bene, non è assolutamente un bene. Si agita, mentre sente che verrà travolta da un'altra ondata di panico. Vedi? Sei una cretina, le devi prendere quelle dannate pillole. E per una volta dà ragione alla vocina stridula che le parla nella testa. Ha veramente ragione. «Da cosa hai bisogno di distrarti Olympia?» Vorrebbe tirargli un pugno in faccia e scappare via da quello sguardo che non ha intenzione di distogliere da lei. Che cazzo vuoi Scorpius? Mh? Gliel'hai chiesto te di distrarti, cosa ti aspettavi? Una partitella a scacchi magici magari? Si tortura le mani che tiene dietro alla schiena, come a voler sprofondare nello scaffale, facendosi più piccola possibile. «Io..» comincia a parlare, ma si blocca all'istante, perché sente che sta per avere un crollo. Il suo sistema nervoso è in corto circuito e con ogni probabilità sta per dare di matto. Davanti a Scorpius Malfoy. Ottimo. Il suo sguardo saetta ovunque, senza trovare un appiglio sicuro, ma non si azzarda a soffermarsi in quello di lui. Mai. «Cosa frulla nella tua testa piccola grifondoro?» Eh, sentiamo..che ti frulla in testa, piccola pazza? Che gli racconterai? Prende un profondo respiro, poi un altro e mentalmente conta fino a cinque, prima di guardarlo nuovamente negli occhi. «Io non ho preso le mie medicine stamattina.» Lancia la bomba e senza accorgersene, comincia a sentire il proprio corpo rilassarsi, a poco a poco. Le terminazioni nervose cedono sotto la depressurizzazione e il battito rallenta notevolmente. Non le pulsano più le tempie e questo è un bene. «Sai, ho un problema. Un problema mediamente serio. Sì, insomma. Un problema per cui devo prendere delle pillole e quando non le prendo la testa mi va in sovraccarico e mi agito e..» Straparlo. Come non fa mai solitamente. Pian piano si accorge di aver raccontato uno dei suoi più grandi segreti ad un perfetto sconosciuto e questo la fa arrossire notevolmente, senza che ci possa fare nulla. Distogliere lo sguardo, mentre rimane compressa tra di lui e i libri alle sue spalle. «Per questo gradirei un po' di spazio. Ti ho chiesto di aiutarmi a distrarmi, non di togliermi l'aria, per farmi svenire.»
     
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    «Mi prendi pure per il culo?» Un piccolo sorriso affiora sulle labbra del serpeverde, quasi orgoglioso di quella sua uscita così cruda che sembra fare a pugni con quell'aurea di perfezione di cui si circonda sempre. Poi però rimase deluso, come aveva supposto lei aveva scambiato il suo genuino interesse per una sorta di scherno; una presa in giro di bassa lega. «Come fate a vivere là sotto voi Serpeverde? Non vi invidio proprio. Manca l'aria, fa caldo. Non è piacevole come qualcuno vorrebbe far credere, ai piani alti.» Kingsley aveva pubblicizzato i sotterranei come un luogo accogliente, ma dalle parole di Olympia era chiaro che non fossero il posto idilliaco che il preside aveva descritto. «Diciamo che noi serpi ci troviamo a nostro agio nei luoghi bui e umidi.» Sorridi avrebbe voluto dirle, ma chi avrebbe creduto alle sue parole? Forse l'avrebbe solamente presa come una provocazione; essere frainteso dopotutto era una cosa che gli capitava da tutta una vita. Forse lontani dagli occhi di tutti in quel piccolo angolo dimenticato della libreria potevano essere loro stessi, senza etichette, cognomi o pregiudizi...semplicemente due ragazzi. Per un momento le sembra di aver davanti un'altra persona, non più la classica leonessa che non si vergogna di fare sentire il proprio ruggito, ma qualcosa di più mansueto; quasi nervosa di fronte alla sue presenza. Sono io a metterti così in soggezione? Non riesce a mantenere lo sguardo fisso nel suo, cerca in tutti i modi di non fissarlo fino a quando costringe sé stessa ad alzare lo sguardo. Sono belli gli occhi di Olympia, grandi ed espressivi, una tempesta verde che ti travolge e ti lascia senza fiato. «Io non ho preso le mie medicine stamattina.» Una rivelazione che non si sarebbe mai aspettato, non appena si confida con lui rimane quasi sconvolto; non per il contenuto della rivelazione, ma per il semplice fatto che lei si sia fidata di lui, che gli abbia regalato una parte di sé di cui forse pochi sono a conoscenza. Non è un dramma il fatto che prenda delle medicine, anche sua mamma ha dovuto prendere per un periodo dei farmaci contro l'ansia; al giorno d'oggi vengono prescritti come caramelle ed è molto più strano che ci siano persone che non ne debbano fare un uso costante piuttosto che il contrario. Pensi che questo ti renda imperfetta? In realtà non faceva altro che renderla più umana, meno immacolata e più vera ai suoi occhi. «E perchè mai non le hai prese se te le hanno prescritte?» Scorpius si stava preparando per diventare un guaritore, sapeva quindi che con le medicine non si scherzava; se un medico gliele aveva prescritte era giusto che lei le prendesse. «Saltare le dosi non è una cosa saggia.» Avresti potuto farti del male. Avrebbe voluto scuoterla per farla rinsavire, qualsiasi problema avesse con i cambiamenti di Kingsley non doveva permettere che la sua salute ci finisse in mezzo. «Sai, ho un problema. Un problema mediamente serio. Sì, insomma. Un problema per cui devo prendere delle pillole e quando non le prendo la testa mi va in sovraccarico e mi agito e..» e diventi adorabile. Scorpius era come imbambolato di fronte a quel suo lato impacciato, aveva appena scoperto che oltre alla facciata di perfezione c'era molto di più. Olympia Potter portava dentro di sé un mondo intero. «Per questo gradirei un po' di spazio. Ti ho chiesto di aiutarmi a distrarmi, non di togliermi l'aria, per farmi svenire.» Si allontanò con le mani alzate sorridendo, quella giornata in biblioteca aveva preso una piega del tutto inaspettata. «Non era mia intenzione metterti a disagio.» La stava chiaramente stuzzicando, voleva semplicemente vederla scattare e prendere fuoco, vedere quella massa di capelli ondeggiare e i suoi occhi brillare. Fece qualche passo indietro, così da non schiacciarla più contro gli scaffali della libreria; voleva un modo per distrarsi e lui glielo avrebbe dato. Si affacciò sul corridoio controllando che nessuno venisse nella loro
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    direzione, quello che stava per fare non era esattamente vietato, ma questo perchè nessuno ci aveva mai pensato. Salì in piedi sul banco appena sotto la finestra e ne aprì le ante per lasciar entrare la fresca brezza che soffiava sempre sulle torri di Hogwarts. Aveva trovato quel piccolo angolo di paradiso qualche anno prima, era frustrato, impotente di fronte all'ennesima denigrazione e incapace di reagire...in un momento di debolezza aveva pensato che a nessuno sarebbe interessato se si fosse lanciato da una finestra, come poteva interessare loro? A nessuno interessava ciò che un Malfoy faceva o pensava. Arrivato lì però non ce l'aveva fatta, la vista gli aveva mozzato il fiato e i suoi problemi erano scomparsi improvvisamente. Senza troppe cerimonie afferrò ancora una volta la mano della grifondoro e se la trascinò dietro. «Chiudi gli occhi e fidati di me.» Forse era una richiesta troppo pretenziosa da parte sua, ma sperava vivamente che lei non si tirasse indietro, voleva semplicemente mostragli il mondo dalla sua prospettiva. Con le sue piccole mani tra le sue mise un piede fuori della finestra, su un piccolo terrazzino, non era sicuramente stato costruito per qual motivo, ma era abbastanza largo per ospitare due persone. Non le tolse gli occhi di dosso neanche per un momento, non voleva spaventarla facendole fare un passo falso. La tenne saldamente, guidandola ad ogni passo e senza mai perdere la presa. Quando arrivarono al punto giusto l'aiutò a sedersi, a buttare le gambe oltre il bordo a penzoloni. «Apri gli occhi Olympia.» Sperò che anche lei rimanesse senza fiato, talmente stupita da dimenticare anche per un solo momento tutti i problemi che offuscavano la sua mente. «Lascia senza parole vero?» Da quell'altezza si vedeva il lago nero, la foresta proibita e verde a non finire; uno spettacolo che poche viste potevano vantare. «Quando ho bisogno di pensare vengo qui, così sono sicuro che non mi troverà nessuno.» Chi avrebbe mai pensato di andarlo a cercare su un cornicione? Mostrarle quel posto era stato un rischio, era il suo luogo di pace e stranamente si era sentito di condividerlo con lei; forse in cuor suo voleva solamente donarle un po' di serenità. «Mi sembra quasi impossibile che da qui a qualche settimana lascerò questo castello per sempre...» Scorpius non aveva ancora realizzato che quello era il suo ultimo anno, che presto si sarebbe diplomato per poi entrare nella vita adulta. Di fronte a sé lo aspettavano mesi duri, non aveva ancora parlato con suo padre della decisione di non entrare negli affari famiglia; sapeva dentro di sé che Draco non avrebbe mai accettato una decisione simile e forse proprio per questo motivo non voleva fare altro che prolungare la sua permanenza in quel castello ancora per un po'.


    Edited by scorpius. - 23/8/2017, 15:39
     
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    «E perchè mai non le hai prese se te le hanno prescritte? Saltare le dosi non è una cosa saggia.» Alza gli occhi ad incontrare quelli chiari di lui. Stringe appena le palpebre, guardandolo con quell'espressione che sembra volergli dire "No, tu dici?Non lo sapevo mica." Si stringe le mani sotto il seno, mentre scuote la testa. «Non è una bella situazione quella in cui stiamo» comincia a dire, mentre distoglie lo sguardo, come se provasse vergogna per essere stata colta in flagrante. «Giù non si sta bene, per niente. C'è chi non è abituato a certi "luoghi bui e umidi"» si aiuta con le dita per apostrofare le sue stesse parole. «Me compresa, ovviamente. Non l'avrei mai detto, perché in tutta onestà speravo di capitare a Serpeverde quando sono arrivata al castello, ma ormai credo di essere fin troppo abituata all'aria che si respira nelle torri.» Fa spallucce, tornando a guardarlo per qualche secondo. Perché ti racconto tutto questo, eh Scorpius? Ti racconto tutte le mie stronzate come se fossi il mio miglior amico. E non lo sei. Ma forse può sempre diventarlo. «Le medicine se da una parte mi fanno bene, perché mi tengono a bada gli sbalzi d'umore e le..» vocine nella testa. No questo non può ancora dirglielo, non può passare ai suoi occhi per la completa pazza che in effetti è. Si schiarisce la voce e prosegue, come se nulla fosse. «Dall'altra parte mi incasinano la testa, completamente. Mi assopiscono, lo fanno con ogni mio senso, seppur può non sembrare all'apparenza.» Alza nuovamente gli occhi, mentre stringe le labbra in una linea sottile, che sembra inglobarle. «Mi addormentano, addormentano ogni mia cellula e io al momento ho bisogno di essere e rimanere lucida. Anche se questo vuol dire essere la pazza lunatica che passa dall'essere felice all'essere apatica, dalla risata convulsa alla tristezza eterna.» E' il mio prezzo da pagare.E' una condizione con la quale Olympia sa che dovrà vivere in eterno. In fondo il suo DPTS (disturbo post traumatico da stress) non è stato mai superato. Nemmeno con le interminabili sedute di terapia, alla quale Olympia andava, senza ascoltare veramente. Nemmeno con il dire perentorio che aveva chiuso con quel capitolo della sua vita. Che ci aveva messo una pietra sopra. Ma in fondo una pietra sopra alla morte del tuo primo amore non la metti mai veramente. Non la metti sopra il fatto che te sei la miracolata, la sopravvissuta, mentre lui sta sette metri sotto terra, in un camposanto di periferia. Non ce la metti mai fino in fondo e mai come in quei giorni Olympia si è accorta di questo fatto. Mai come in quei giorni ha sentito così vicino Willem, da quando è morto. Ed è forse per questo che ha smesso di prendere i medicinali, negli ultimi giorni. Perché avere la mente lucida significa sognarlo, avere allucinazioni di lui e sentirlo al proprio fianco. «Non era mia intenzione metterti a disagio.» La sua voce la richiama alla realtà, mentre i suoi occhi saettano in quelli di lui, che fa qualche passo indietro, a darle lo spazio da lei richiesto. «Non mi hai messa a disagio» borbotta, come a voler rispondere alla sua provocazione, mentre lui sembra intento ad osservare che non ci sia nessuno nei paraggi. Poi esce completamente dal personaggio di Scorpius Malfoy. O perlomeno dall'idea cretina che Olympia si era fatta di lui. Del perfetto, angelico essere che camminava per i corridoi della scuola, dispensando la propria presenza in giro, come se fosse un prezioso dono per tutta la comunità della scuola. Lo vede salire sul tavolo affiancato al muro per poi aprire la finestra. L'aria fresca le si riversa in faccia, lasciandola lì a bearsi di quella sensazione. Socchiude appena gli occhi, prima di riaprirli velocemente per puntarli su di lui. «Scorpius ma cos-». Lui la prende di nuovo per mano e lei ancora una volta si ritrova a guardare quella strana stretta che non le fa più tanta paura. «Chiudi gli occhi e fidati di me.» Scuote la testa, mentre si ritrova a sorridere come una scema. «No, non ci pensare neanche.» Continua a scrollarla, mentre i capelli le danzano sulle spalle. «Okay, ho avuto un momento di debolezza, abbiamo avuto il nostro momento cuore a cuore, ma no, non puoi chiedermi di..» Si blocca, lo guarda e si morde il labbro inferiore. Puoi farlo, Olympia? Puoi fidarti veramente? Forse il fatto che non ha preso le pasticche, quella mattina, sembra essere davvero una benedizione perché Olympia lo osserva in silenzio, ne valuta l'affidabilità, per poi scrollare la testa di nuovo e socchiudere le palpebre. «Qualsiasi cosa mi accadrà, da questo momento in poi, sarà colpa tua. Tutta tua e se mi faccio male, ne riceverai tanto in cambio.» Ma non può prenderla sul serio perché ha sulle labbra un sorriso eccitato, di chi si sta fidando per la prima volta di qualcuno, mettendogli la propria vita tra le mani. Fanne buon uso, Scorpius. Sale sul tavolo e lo segue, mantenendo gli occhi serrati. Vacilla soltanto quando sente di avere un piede fuori dalla finestra. Ha l'istinto di aprire gli occhi per vedere dove la sta portando. Per un attimo le passa per la testa l'idea che forse la sta lanciando dalla finestra e lei morirà da lì a qualche secondo in caduta libera. Ma poi sente le sue mani intorno a sé, sente i suoi piedi a terra, per poi sentirli nuovamente sospesi a mezz'aria. «Apri gli occhi Olympia.» E si fida di nuovo e apre gli occhi. E' seduta sul balconcino di un terrazzo, con i piedi che si muovono leggeri nel nulla. E davanti a lei si estende tutto il verde che
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    accerchia il castello. Oltre i cancelli è quasi possibile scorgere Hogsmeade e oltre quella macchia scura c'è il sole che scende, pian piano, finendo il suo corso giornaliero. Deglutisce, mentre la brezza le pizzica il volto, portandole i capelli all'indietro. «Lascia senza parole vero?» Gira il capo e i suoi occhi si fermano sul Lago Nero e la foresta proibita, poco distante. Annuisce, senza riuscire a dire una parola perché sì, lascia davvero senza alcuna capacità discorsiva. Lei la natura l'ha sempre bramata, l'ha sempre adorata, grazie anche al legame costruito con il suo sangue Veela. Ma ciò che vede la lascia senza fiato, letteralmente, tanto da doversi ricordare di respirare. Ha il cuore pieno di euforia e allo stesso tempo di pace. «Grazie» riesce a dire infine, mentre gli lancia un'occhiata veloce, leggermente imbarazzata. «Sei riuscito decisamente a distrarmi.» Decisamente. Non avrebbe potuto fare o dire altro di meglio di quello che ha effettivamente fatto. «Quando ho bisogno di pensare vengo qui, così sono sicuro che non mi troverà nessuno.» E capisce subito il perché di quelle parole. Lì sembra di essere i padroni del mondo, nella più totale pace e solitudine. Un posto perfetto per i suoi nervi ballerini. E lui l'ha portata lì, lì dove solitamente va per stare da solo. Per non essere trovato. Si stringe nelle spalle, prima di voltarsi a guardarlo. «Voglio sapere il come sei riuscito a trovare questo squarcio di paradiso?» Gli domanda fissandolo, prima di stringere le labbra. No, forse non lo vuole sapere. Perché non ci sono molti modi di trovare quel cornicione abbandonato a se stesso. E ancora una volta, allora, riesce a scorgere un lato diverso di Scorpius, così differente dalla solita scorza alla quale è abituata. E' riflessivo, solitario. Solo. E lei si è sentita sola per tanto tempo, una volta arrivata al castello, perciò è una sensazione che capisce alla perfezione e le fa strano vederla ricadere sulle spalle di un giovane dalla fama che lo precede, per via del suo cognome. «Mi sembra quasi impossibile che da qui a qualche settimana lascerò questo castello per sempre...» Solo in quel momento realizza che se ne sta per andare. Proprio quando ha cominciato a vederlo per com'è veramente. «Oh ma allora dillo tranquillamente che tutta la storia della fiducia era semplicemente una tattica per lasciarmi la tua eredità senza passare per il romantico di turno!» Avvolge il parco che si trova al di sotto dei loro occhi chiari con le braccia, cercando di sdrammatizzare un po' quell'aria triste che si è andata creando. «Sai già cosa farai dopo Gli domanda poi, lasciando che gli angoli delle labbra si incurvino verso l'alto, istintivamente. «Devo ammetterlo, non ci avevo mai pensato prima d'ora, ma potresti quasi mancarmi.» La butta di nuovo sullo scherzo, mentre sente che veramente potrebbe mancargli, da lì a qualche mese. Anche soltanto i loro semplici scambi di battute sarcastiche. «Di certo non mi mancheranno i tuoi capelli sempre perfetti e mai fuori posto. E i colori della tua divisa. Quelli no


    Edited by survivor` - 22/8/2017, 21:21
     
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    «Giù non si sta bene, per niente. C'è chi non è abituato a certi "luoghi bui e umidi". Me compresa, ovviamente. Non l'avrei mai detto, perché in tutta onestà speravo di capitare a Serpeverde quando sono arrivata al castello, ma ormai credo di essere fin troppo abituata all'aria che si respira nelle torri.» Una rivelazione quella della della grifondoro che lo lasciò parecchio basito. Mai avrebbe potuto immaginare che per un breve momento la giovane Potter avesse parteggiato per i serpeverde. Sorrise di gusto di fronte a quella piacevole novità e senza rifletterci pensò a come sarebbe stato averla tra le fila della sua casata; forse non si sarebbero odiati in quel caso, forse le cose sarebbero state diverse, ma evidentemente il cappello parlante aveva deciso di metterli su fronti opposti. «Penso proprio che i nostri colori ti avrebbero donato invece...» Molto più di quelli che indossi ora. Avrebbe voluto aggiunger, ma si accorse da solo che la ragazza non avrebbe preso quella ingiustificata denigrazione dei colori rosso-oro. Ascolta con attenzione le sue spiegazioni, il motivo per cui è costretta a prendere quelle pillole e forse per la prima volta in vita sua riesce a vederla per quella che è: una semplice ragazza con migliaia di sfaccettature, ma sempre e solo una ragazza come le altre. Se qualcuno in passato gli avesse detto che lui e Olympia Potter si sarebbero confidati tra gli scaffali della biblioteca si sarebbe messo a ridere, un'utopia per le sue orecchie. Suo padre avrebbe sicuramente storto il naso di fronte a quella confidenza, prima ancora che la scuola iniziasse lo aveva avvertito di tenersi alla larga dai Potter. Solo guai portano! Erano state le sue parole, lui incolpava il padre della grifondoro della rovina dei Malfoy, ma in base a quello che aveva letto nei libri di storia Lucius si era semplicemente distrutto con le proprie mani. «Mi addormentano, addormentano ogni mia cellula e io al momento ho bisogno di essere e rimanere lucida. Anche se questo vuol dire essere la pazza lunatica che passa dall'essere felice all'essere apatica, dalla risata convulsa alla tristezza eterna.» Non capiva le sensazioni di cui lei stava parlando, ma poteva comprendere il senso di impotenza di fronte a quei cambiamenti; la sua voglia di non chinare la testa, ma di fare qualcosa per cambiare la propria condizione, di lottare per quei diritti per cui tante persone si erano sacrificate. «Rimane comunque che non dovresti sospendere la somministrazione in questo modo. Devi parlarne con il tuo medico e chiedergli come potresti abbassare il dosaggio e ridurre li effetti collaterali.» Non era propriamente consapevole di come funzionassero i farmaci per la psiche, ma allo stesso tempo sapeva che interrompere bruscamente l'assunzione di farmaci avrebbe potuto causarle ben altri problemi. Prepararsi per le prove di ingresso al tirocinio del San Mungo stava sicuramente dando i suoi frutti, più leggeva più si appassionava alla materia. Non era ancora sicuro di come suo padre avrebbe preso la notizia, ma per la prima volta in vita sua era deciso a fare qualcosa unicamente per sé e per nessun altro. «Non mi hai messa a disagio» Non mentirmi piccola Potter, sono pur sempre un lupo travestito d'agnello. Evitò di rimarcare il suo punto di vista, la sua burbera risposta inoltre era stata pressoché una conferma sufficiente per lui. Avere una qualche sorta di effetto su di lei lo galvanizzava, aveva passato anni a sentirsi indifferente, non capito; soprattutto da lei con qui all'inizio aveva cercato una qualche forma di connessione. Possibile che solo ora, ormai giunti alla fine di un percorso, fossero in grado di metter da parte le ostilità e vedersi semplicemente per quel che erano in realtà?! «No, non ci pensare neanche. Okay, ho avuto un momento di debolezza, abbiamo avuto il nostro momento cuore a cuore, ma no, non puoi chiedermi di..» La guardo di sbieco mentre cerca inutilmente di opporsi al suo invito, è bella Olympia quando sorride; i capelli si muovo sinuosi e lui non può fare altro che fissarla rapito. Troppo spesso quegli occhi l'hanno guardato con diffidenza e li sembra quasi impossibile scorgervi per la prima volta un briciolo di fiducia, come se anche lei si stesse facendo forza per lasciarsi andare; per abbandonare quella algida serietà che spesso sembra fagocitarla. «Qualsiasi cosa mi accadrà, da questo momento in poi, sarà colpa tua. Tutta tua e se mi faccio male, ne riceverai tanto in cambio.» Come se fosse un piccolo boyscout si traccia un'immaginaria croce sul cuore, un modo per rassicurarla che non le succederà niente di male; vuole solo mostrarle un modo di fuggire, una valvola di sfogo per la sua mente così sovraccarica di emozioni e sensazioni. «Non ti preoccupare, ti terrò al sicuro...» Una promessa che in qualche modo a poco a che fare con ciò che sta per mostrarle, ma molto in comune con i tempi duri che si avvicinano inesorabilmente. Condividere con lei quel posto significa rinunciare ad una parte di sé, quasi come se stesse accettando di farla entrare nel suo mondo. Quando la vede sgranare gli occhi capisce di aver fatto centro, di averla sorpresa veramente, forse per la prima volta. «Voglio sapere il come sei riuscito a trovare questo squarcio di paradiso?» Una domanda che il serpeverde non si aspettava e che forse non è in grado di affrontare; non aveva mai confidato a nessuno quel momento di debolezza, non perchè si vergognasse, semplicemente per il fatto che non era mai stato in grado di accettarlo. Olympia però sembra la persona giusta a cui raccontarlo, probabilmente l'unica
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    persona capace di comprenderlo senza giudicarlo. «L'ho trovato un paio di anni fa...ero semplicemente stufo.» Le pressioni della sua famiglia e la ritrosia dei compagni non facevano altro che peggiorare il suo umore, spingendolo a chiudersi in sé stesso sempre di più. «Mi sembrava che il mio cognome fosse diventato un peso troppo grande, un peso che non volevo più portare.» Per tutta la sua vita le persone non aveva fatto altro che attribuirgli le colpe di suo nonno e suo padre, forse a causa di quella somiglianza che lo legava indissolubilmente ai suoi avi. «Così sono salito qui sopra con l'intenzione di fare un unico salto, ma nell'esatto momento in cui ho raggiunto il bordo ho ricominciato a respirare.» Aveva tirato un gran sospiro e tutti i suoi problemi erano diventati minuscoli, molti di essi erano addirittura scomparsi di fronte alla maestosità di quel panorama. Ogni volta che la vita sembrava opprimerlo lui si rifugiava là sopra, la calma surreale di quel luogo azzerava i suoi pensieri e gli permetteva di riordinare le idee. Non si vergognò di guardarla negli occhi, lei in primis avrebbe dovuto capirlo perchè come lui portava un cognome importante e spesso il passato legato ad esso diventava un fardello troppo pesante da portare. «Oh ma allora dillo tranquillamente che tutta la storia della fiducia era semplicemente una tattica per lasciarmi la tua eredità senza passare per il romantico di turno!» Lei aveva pienamente ragione, aveva scelto lei come persona a cui passare il testimone, sicuro che ne avrebbe fatto buon uso e che al momento giusto avrebbe scelto un'altra persona a cui svelare quel piccolo segreto. Non aveva mai pensato di condividerlo per paura che prima o poi si spargesse la voce, costringendolo così a rinunciare a quel piccolo angolo di paradiso. «Ti sto affidando molto più di un'eredità cara Olympia, questo posto può essere la tua valvola di sfogo e forse anche la tua ancora di salvataggio.» E chissà forse un giorno non avrai più bisogno di quelle pillole. Non conosceva i motivi che l'avessero obbligata ad assumere farmaci e chiederle il perchè era semplicemente una cosa che non poteva fare, per qualche motivo sentiva che era una cosa che apparteneva a lei soltanto. «Sai già cosa farai dopo Annuì brevemente mentre si lasciava cullare dalla brezza che soffiava sempre a quell'altezza. Aveva pensato al suo futuro sempre più insistentemente, sin dalla sua nascita si era sentito in dovere di seguire le orme di suo padre, di prendere in mano gli affari di famiglia e contribuire così anche lui al nuovo lustro che Draco voleva donare alla famiglia Malfoy. Per sua sfortuna Scorpius si era reso conto che non gli interessava minimamente diventare parte di quel mondo corrotto. Piano, piano si era fatta strada in lui la voglio di fare qualcosa di utile e che potesse fare la differenza, non nelle ricchezze della sua famiglia; ma nella vita delle persone. «Quest'estate inizierò un programma di tirocinio al San Mungo, stai parlando con un futuro dottore....Dott. Malfoy suona bene no?! E tu piccola Potter?! Quali sono le tue aspirazioni?» Sapeva che a lei mancava ancora un anno, ma qualcosa gli suggeriva che forse la grifondoro aveva le idee ben chiare in testa. Era curioso di sapere se avesse scelto di seguire le orme dei suoi genitori o di distinguersi da essi. «Devo ammetterlo, non ci avevo mai pensato prima d'ora, ma potresti quasi mancarmi. Di certo non mi mancheranno i tuoi capelli sempre perfetti e mai fuori posto. E i colori della tua divisa. Quelli no Sgranò gli occhi, certo di aver sentito male, mai in vita sua avrebbe mai pensato di sentirle pronunciare quelle parole. Il commento sulla perfezione dei suoi capelli lo fece ridere, una risata aperta e sincera; spesso era stato preso in giro per quella perfezione innaturale. «Non puoi prendertela con me, è tutta questione di geni e i colori della mia divisa sono stupendi.» Alzò il mento con fare ironicamente altezzoso, anche se sapeva benissimo di non essere indifferente al sesso femminile. Per lui i rapporti con le ragazze non erano mai stati un problema, anche se la maggior parte di esse lo guardava con diffidenza. «Mi spaventa solo lasciare la scuola in un momento del genere, anche se per molte persone sarà sicuramente un motivo di festa.»
     
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    ««Non ti preoccupare, ti terrò al sicuro...»» Olympia alza gli occhi verso quelli di lui e per una strana ragione ha come la sensazione che non si stia riferendo a ciò che stanno per fare. Sembra essere più una promessa per l'avvenire e la cosa, curiosamente, non la mette a disagio, ma anzi, le fa provare una sensazione nuova, di pace e sicurezza. Forse è per questo che poi chiude gli occhi, con maggior sicurezza e si lascia guidare da lui fuori dalla finestra, di fronte a quello splendore che si trova sotto i loro piedi. «L'ho trovato un paio di anni fa...ero semplicemente stufo. Mi sembrava che il mio cognome fosse diventato un peso troppo grande, un peso che non volevo più portare.» Nell'ascoltare quella confessione profonda, in Olympia nasce una consapevolezza, che non ha mai avuto fino a quel momento: Scorpius non è diverso da lei, come ha sempre creduto. E' un'anima smarrita la sua, alla ricerca della propria dimensione, al di fuori del territorio sul quale il suo cognome regna sovrano. Prova tristezza nell'ascoltarlo perché riesce a rivedersi in ogni parola e si sente stupida per non averlo mai capito prima di quel momento. Volge il capo verso il parco verdeggiante, seguendolo con gli occhi smeraldini fino al Lago Nero. Si ritrova a pensare che le andrebbe tanto di fare un bagno, il sole sta calando ma è ancora abbastanza caldo. Le farebbe bene fare una pazzia e farebbe bene anche a Scorpius, probabilmente. «Così sono salito qui sopra con l'intenzione di fare un unico salto, ma nell'esatto momento in cui ho raggiunto il bordo ho ricominciato a respirare.» I suoi occhi continuano a vagare, fin quando non incontrano quelli di Scorpius. Non sembra provare alcun disagio nell'ammettere quell'attimo di debolezza, forse perché anche lui ha capito quanto li accomuna. Non sa però che anche Olympia ha pensato di saltare anni prima. Se ne stava lì, a camminare sul cornicione del tetto dell'ospedale psichiatrico, immaginando di cadere, immaginando quanto ci avrebbe impiegato, quanto sarebbe durata la consapevolezza di morire, prima di non sentire più nulla. Ballava sul bordo, in bilico tra la vita e la morte, in punta di piedi, con le braccia alzate a tentare di raggiungere il sole. Come a volersi prendere beffa della vita che aveva deciso di crocifiggerla senza pietà, togliendole tutto. Perché a quindici anni il primo amore è tutto, il lavoro dei sogni è tutto, un sorriso caldo sul viso è tutto. Ma alla fine, aveva deciso di non farlo. Si era ritirata indietro e si era fumata la prima canna della sua vita, insieme a sua cugina. Perciò, Olympia capisce davvero Scorpius quando le racconta quel segreto intimo. Lo capisce meglio di chiunque altro e per la prima volta riesce ad entrare in connessione con lui. Sente che un ponte di filamenti empatici li sta tenendo collegati. E allora sente quasi il bisogno di allungare una mano, per fargli capire che non è solo, che lei lo capisce, ma si blocca a metà strada, indecisa. Non è certa che lui voglia sentirsi compatito, per questo la ritrae velocemente, con una scrollata del capo. «Chi l'avrebbe mai detto?» Si ritrova a commentare. «Siamo più simili di quanto avessi mai potuto pensare.» Sorride tranquilla nel guardarlo negli occhi. «I nostri cognomi, una delizia e una croce no?» Delle delizie del nome che porta Olympia ne ha viste davvero poche. Ne ha sempre sentito il peso opprimente, invece. Mai all'altezza del padre, mai al livello delle sue eroiche gesta. "Sei la figlia del Prescelto?" La domanda che si è sentita rivolgere tutta la vita, mentre sui visi di chi lo domandava appariva quell'espressione strana, quasi compassionevole, di chi voleva dire "E come mai sei così ordinaria?" Già, così ordinaria, così normale per poter portare un tale cognome. «Un giorno sono convinta che cambieranno le cose, però. Quando usciremo da queste quattro mura piene di giudizi e stereotipi, tu sarai soltanto Scorpius e io soltanto Olympia. Devi batterti per il tuo nome, non per il tuo cognome.» Che poi, agli atti, vale meno di zero. Battiti per essere te stesso e non per l'idea che il mondo ha di come dovresti essere.
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    «Ti sto affidando molto più di un'eredità cara Olympia, questo posto può essere la tua valvola di sfogo e forse anche la tua ancora di salvataggio.» Alza un sopracciglio, sinceramente colpita. Le sta passando il testimone, le sta consegnando un posto sicuro nel quale poter essere se stessa. Sorride, portandosi una mano al petto, a mo' di tacita promessa. Non aggiunge altro. Bastano quel sorriso e quella mano sul cuore a fargli capire che gli è riconoscente, davvero riconoscente. E che terrà per sé quel posto segreto, fin quando non sarà ora di rendere partecipe qualcun'altro di quel piccolo pezzo di mondo solitario. «Quest'estate inizierò un programma di tirocinio al San Mungo, stai parlando con un futuro dottore....Dott. Malfoy suona bene no?! E tu piccola Potter?! Quali sono le tue aspirazioni?» Una risata, prepotente, fuoriesce dalle sue labbra rosee, mentre scuote la testa. «Effettivamente suona curiosamente bene. Dott. Malfoy..» Gli fa eco, socchiudendo gli occhi, per mimare un'aria trasognante nel pronunciare quelle due parole, facendo attenzione ad arrotolare sinuosamente la lingua. «È davvero una bella missione e ora posso dire di potertela vedere cucita perfettamente addosso.» Mi dispiace non averlo capito prima. Pensa, prima di capire che deve rispondere anche alla sua domanda. Olympia aveva un sogno, tre anni fa. Voleva diventare una violinista. Aveva anche ottenuto un'ammissione anticipata alla Royal Academy of Music di Londra, una cosa piuttosto prestigiosa per una ragazzina di appena quindici anni. Questa era l'aspirazione di Olympia. Abbassa gli occhi e istintivamente si passa il pollice sulla linea frastagliata che ha all'altezza del polso destro. La cicatrice di un sogno infranto. Il non aver preso le medicine in quel momento non è un bene, perché vorrebbe soltanto piangere. Perché ancora la tristezza è pressante, pur dopo tutti questo tempo. Deglutisce, rialzando gli occhi, per puntarli sul sole che cade oltre le montagne. «Non lo so.» Risponde sincera, accennando una smorfia che le riempie le gote. Con il violino fuori discussione, Olympia non ha più pensato a cosa voler fare da grande. Seguire le orme di suo padre, diventando un Auror? Oppure seguire le tracce di sua madre, lavorando al Ministero? Non è certa di sapersi vedere in vesti tanto ufficiose. Non è certa nemmeno di vedersi come medimago. In tutta onestà, come tre anni fa, Olympia non riesce a vedersi all'interno del mondo magico, eccezion fatta per i campi naturalistici. Si stringe nelle spalle, vergognandosi un po' di quella sua indecisione. «Probabilmente mi ritroverai a servirti da bere ai Tre Manici di Scopa, quando ci andrai con l'infatuazione del giorno.» Scherza, mentre sul volto le si apre un sorriso nervoso. E' un tasto dolente quello del suo futuro, con il quale non vuole scendere a patti prima del dovuto. «Non puoi prendertela con me, è tutta questione di geni e i colori della mia divisa sono stupendi.» Scuote la testa, ridendo, sorvolando bellamente la questione geni, per cui un altro giorno l'avrebbe rimbeccato ben bene. «Mi spaventa solo lasciare la scuola in un momento del genere, anche se per molte persone sarà sicuramente un motivo di festa.» Le risate scemano e si ferma a guardarlo, come a richiederne la sua totale attenzione. «Che cosa ti interessa di ciò che pensano gli altri? Fregatene Dice con convinzione e con sguardo deciso. «In quanto a noi, ce la caveremo tranquillo. Sarà dura, lo so, ma ci riusciremo anche senza i tuoi preziosi geni o i colori della tua divisa.» Gli dà una leggera gomitata sul braccio, prima di tornare a guardare di fronte a sé. Per poi avere l'idea, stupida sì, ma l'idea. «Okay, stai per andartene tra poco, quindi dobbiamo festeggiare in qualche modo. E sto per proporti una cosa stupida, ma dovrai assecondarmi e aiutarmi.» Dicendo ciò, poggia una mano sul cornicione e una a stringere la sua, per far leva e alzarsi in piedi pian piano, proprio lì. Continua poi a stringergli la mano, come a volerlo invitare a seguirla in quella pazzia vera e propria. «Dai forza, devi pur fare qualcosa di pazzo prima di diventare un vecchietto I suoi occhi brillando di luce propria. «Se è chiederti troppo farlo per me, fallo per te stesso.»


    Edited by survivor` - 26/8/2017, 14:33
     
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