Little unsteady

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    Non erano tempi facili. Affatto. L'altra sera era stata il colpo di grazia che aveva definitivamente affossato qualunque sua speranza perchè quanto Eric le avesse raccontato si spegnesse di botto. Ci aveva sperato e sperato ancora. Aveva persino pregato perchè ciò accadesse, ma le sue preghiere vane non erano state ascoltate - come al solito. Non era facile poi quando dentro di lei conviveva una personalità ancor più tormentata. Lo sentiva infastidirsi di fronte a tutto. Lo trovava davvero bello quando era imbronciato. Le sopracciglia gli si corrugavano e sfoggiava tutto il suo humor tipicamente inglese. Non poteva fare altrimenti. Lui doveva mostrarsi cordiale, felice - anche quando veniva parcheggiato in cantina come un lebbroso. Erano tutti malati, malati dalla nascita; Beatrice, Eric, Olympia, Dean, Sam.. erano tutti sbagliati perchè erano nati da unioni diverse da quelle moralmente accettate. Il momento peggiore era stato quello in cui la sua spilla era stata strappata magicamente a forza dal suo petto. Degradata, spogliata dall'unico titolo per il quale effettivamente in tutta la sua vita aveva lavorato sodo. Quelli erano i riconoscimenti di cui andava fiera. I voti a scuola, le partite di Quidditch, la sua spilla. Quelli se li era guadagnati lavorando sodo; tutto strappato dall'arrivo di un misterioso uomo in giacca e cravatta che sembrava saperne una più del diavolo. Non riusciva ad accettarlo, ma la cosa che le faceva maggiormente male era il fatto che Eric era costretto ad accettarlo a forza. Entro quella sera avrebbero dovuto dire addio, forse per un breve periodo, forse per sempre, alla loro culla, al posto in cui Beatrice lo aveva guardato per la prima volta con diffidenza mentre si pavoneggiava con le altre ragazze. Entro quella stessa sera avrebbero dovuto traslocare in quella che sarebbe stata la loro nuova casa.
    Parlavano poco. Molto meno del solito. Beatrice gli aveva lasciato i suoi spazi, ma da lontano, non aveva mai smesso di osservarlo. Di incontri eterei ne avevano avuto pochi dopo la cena in Sala Grande. La verità è che lo evitava perchè non avrebbe saputo cosa dirgli e probabilmente la stessa cosa era per lui. Non erano tipi da magre consolazioni. Troppo pragmatici per dirsi che andrà tutto bene. Troppo realisti e pessimisti per non accorgersene che le cose non avrebbero fatto altro che peggiorare. Si era permessa di farsi spazio a forza solo la sera prima. Aveva fatto irruzione mentre iniziava a impacchettare le sue cose e gli aveva poggiato una mano sulla spalla, poi altrettanto aveva fatto con la fronte, incollandola contro la sua schiena; e poi lo aveva abbracciato, così, in silenzio. Non gli era sfuggito il modo intenso e pensieroso in cui guardava la fotografia della madre, sempre lì sul suo comodino. Aveva intuito, Beatrice, quanto fosse importante per lui quella donna; un amore che a modo suo invidiava, bramava e col quale sapeva di non poter competere, e col quale, non voleva nemmeno competere. Intuiva che in quanto volto pubblico, qualunque suo sbaglio poteva ricadere anche su di lei, così come gli sbagli di Richard ricadevano su Beatrice e così come gli sbagli di Beatrice sono ricaduti in passato sul padre. Non poteva biasimarlo per concedere quelle interviste così accattivanti e serene, così piene di spirito, quasi come se non stesse succedendo niente, pur essendo il suo animo in completo contrasto. Non condivideva, a volte lo odiava, a volte avrebbe solo voluto gettargli in faccia i giornali e dargli del codardo. Ma non lo faceva; una muta frustrazione alloggiava nel suo cuore ogni qual volta si rendesse conto di quanto tutto fosse.. complicato. Si era scervellata molto su come ristabilire un contatto. In cuor suo lo bramava più di ogni altra cosa, eppure, al contempo, non lo voleva affatto. Essere così tossici l'uno per l'altro e al contempo sentire la necessità di coesistere ad ogni costo era un paradosso che Beatrice non aveva mai provato nei confronti di nessun altra persona. Chi l'avrebbe detto? Dopo tutto il tempo in cui si è preclusa quasi completamente qualunque forma di legame, quella a cascarci con tutte e due le scarpe era stata proprio lei. Beatrice era una ragazza indipendente, per lo più dedita all'assenza di qualunque forma di emotività. Ogni sua emozione veniva prima passata attraverso un lungo quanto doloroso procedimento che affaticava il suo cervello. Processo comunemente chiamato pippe mentali. Se dopo l'analisi approfondita dei pro e i contro, sopravviveva ancora qualcosa della materia grezza, Beatrice si permetteva di provare. Eric era passato oltre quel varco. Lo aveva fatto in modo invasivo, spregiudicato; aveva fatto sì che lei apprezzasse tanto le sue qualità uniche agli occhi di lei, quanto i suoi difetti. Avevano superato molte prove e avevano accettato ben volentieri l'uno le stranezze dell'altro. Non era facile certo "convivere" l'uno nella testa dell'altro, ma per un qualche motivo che forse risultava persino ignoto a entrambi, continuavano a farlo. E non era certo per abitudine - cedere all'abitudine non era un lusso che sapevano concedersi. C'era dell'altro. Beatrice quanto meno, ne era certa.

    Durante l'ora di buco si era rintanata in biblioteca; lui aveva DCAO e così, invece di studiare, si era seduta accanto a lui in fondo all'aula, seguendo una lezione a cui non avrebbe dovuto assistere. Prendi appunti! gli aveva detto in tono canzonatorio ad un certo punto, vedendolo più intento a concentrarsi sul libro, piuttosto che sul suo quaderno poi me li presti. Sempre un topo di biblioteca, Beatrice. Nonostante avesse dovuto affrontato quegli argomenti l'anno successivo, voleva essere sempre un passo avanti agli altri. In quello tuttavia si capivano; un po' topo di biblioteca, sempre impeccabile, lo era anche il signor Donovan qui presente. Non si era sforzata di dirgli altro. Ogni tanto
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    lo osservava, per lo più quando non le prestava attenzione e nella luce cupa dei suoi occhi vi trovava una bellezza inestimabile, quella del tormento, la luce di una bontà smisurata che Beatrice gli invidiava incredibilmente. Riusciva a leggervi cose che alla maggior parte delle persone sarebbero risultate innaturali da associare a quel diavolo dagli occhi di carbone. Quando la campanella suonò, si distolse da quel torpore e gli avvolse una mano attorno al braccio. Prima di cena ti aspetto nella stanza delle necessità. La tuta non è un optional. Strizza l'occhiolino, la nostra donna del mistero, e poi scompare esattamente come era arrivata. Non aveva frequentato poi molto quel posto, pur avendone scoperto l'esistenza già da un paio d'anni. Ci andava soprattutto quando aveva bisogno di stare da sola, quando voleva sfogarsi; ci andava per ritrovare posti che altrimenti sarebbero rimasti incastrati solo nella sua memoria.
    L'ambiente aveva assunto le sembianze di una palestra che Beatrice e Holden avevano visitato lungo il loro tortuoso percorso dell'anno appena passato. Era no di quei posti sporchi, alquanto bui, un tempo vissuti intensamente e poi di punto in bianco abbandonati. Lei, Beatrice, ci era caduta letteralmente dentro. Mentre seguivano le tracce di uno dei fedelissimi dell'alfa, era finita incastrata con i piedi nelle assi putride di una botola che portava in questa enorme palestra da box sotterranea. Al centro un ring d'altro tempi, con tanto di alte recinzioni, e tutto intorno sacche da boxe di ogni grandezza e peso, così come decine di attrezzi e pesi. Una delle pareti tappezzata di grandi specchi impolverati. Solo un lato della stanza permetteva una leggera illuminazione proveniente da alcuni oculi lerci che filtravano a malapena qualche raggio solare. Per il resto, il posto si serviva dell'illuminazione preferita dai maghi; il fuoco. In fondo alla stanza un grosso camino e tutto attorno alle pareti e sulle colonne portanti, vi erano appesi candelabri le cui fiamme tiepide scoppiettavano ogni tanto a contatto diretto con la cera. Solo un ticchettio cadenzato piegava il monumentale silenzio dell'ambiente, grondante di polvere. Mentre le porte della stanza delle necessità si aprono per una seconda volta quel tardo pomeriggio, la figura nella penombra che colpisce ritmicamente il punching ball si ferma. Afferra un asciugamano con cui si asciuga la faccia e beve un po' d'acqua prima di avvicinarsi. « Iniziavo a pensare che mi avresti dato buca. » Sempre teneramente Beatrice. Così.. amorevole, premurosa, gentile. La ragazza dei sogni di ogni uomo. Ma sapeva il fatto suo, Beatrice. Sapeva che non sarebbe stata in grado di far parlare Eric per sfogarsi, così come non lo avrebbe fatto lui. Sapeva anche che di questo passo prima o poi sarebbero implosi, o l'uno contro l'altro, o contro ignari terzi. Non c'era cosa migliore se non sferrare un po' di pugni e calci, liberando completamente la mente da qualunque forma di rabbia, oppure, ancora meglio canalizzarla. C'era poi un altro obiettivo nelle intenzioni della Morgenstern; uno decisamente più egoista. Kingsley aveva tolto loro le bacchette, e per quanto Beatrice fosse certa che Eric fosse in grado di prendersi cura di sé, doveva convincersene; e poi, cercare quanto meno di proteggersi dalla magia senza usarla, cercare di combattere ad armi pari con un nemico nettamente superiore, non era come fare il bulletto in cortile. Lei queste cose le aveva interiorizzate in molti anni, e tutto questo, solo ed esclusivamente perché i cacciatori bandivano quasi completamente l'uso della magia. E poi, diciamocelo, se ne erano fatte di cotte e di crude nell'ultimo anno. Beatrice di certo aveva un paio di cose per cui lo avrebbe ben volentieri picchiato a sangue. E visto il modo in cui aveva preso le sue decisioni, senza nemmeno interpellarlo, era certa che anche al giovane Donovan l'avrebbe fatto più che volentieri. « Ho pensato, per la tua gioia, di renderti partecipe di un allenamento hunter style. » Bugia. In circostanze normali non lo avrebbe fatto nemmeno sotto tortura. Una regola silenziosa di Eric e Tris era non chiedere, occuparsi dei propri affari privati senza interferire con l'altro. Presupponeva una grande fiducia, ma il più delle volte era una lama a doppio taglio. Ognuno dei due aveva i propri segreti, oscuri e per niente piacevoli, ma era davvero un bene tenersi alla larga così? La verità è spesso difficile da accettare, ma le mezze verità sono pillole altrettanto difficili da ingoiare e col tempo generano sospetto e incomprensioni. « Sempre se non hai paura di essere picchiato da una ragazza. » Gli disse gettandogli un paio di protezioni per le mani dirigendosi verso la gabbia del ring. Non riuscì a trattenere un leggero sorriso mentre apriva le porte dell'inferno. « Oppure quelli come te sono bravi solo sulla scopa? » Beatrice, non risvegliare il can che dorme.

     
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    Prima di cena ti aspetto nella stanza delle necessità. La tuta non è un optional. Prepararsi per i M.A.G.O. anticipati era una cosa che Eric aveva messo in conto sin da quando aveva rimesso piede a scuola dopo lo scandalo. In fin dei conti molte cose le aveva apprese col tempo, dunque doveva solo rendere ufficiali le sue conoscenze con un pezzo di carta. Tuttavia non era facile, non con tutte le pressioni che si trovava a sopportare ogni giorno. Oltre al cambio di sala comune, vi era il problema di dover essere sempre scortato tra il campo di allenamento e il castello e viceversa. Lo trovava immensamente stupido. Lui, trattato come un sospetto terrorista. Proprio lui che fino al giorno prima troneggiava su tutte le copertine come l'idolo del mondo magico. Una bella caduta. Ora non faceva più tante interviste come prima, o meglio, non gliene venivano richieste così tante. Ma il problema non era nemmeno quello, perché un attimo di respiro gli serviva per riprendere il fiato dallo stile di vita che aveva condotto negli ultimi anni; il problema erano le tifoserie. Man mano che i mesi passavano, le partite di Quidditch cominciavano a diventare sempre più scontri ideologici e sempre meno eventi ricreativi. La sicurezza negli stadi era aumentata a dismisura e a tutti i giocatori era proibito avere contatti con i tifosi prima, durante e dopo gli incontri. Uscivano dal campo e subito una fiumana di guardie del corpo gli si facevano intorno, scortandoli fino agli spogliatoi e poi fuori da essi. Paradossale come in tutta quella sicurezza, Eric si sentisse tutto tranne che al sicuro. E nel frattempo le partite diventavano sempre più violente tra le tifoserie, le quali sfociavano spesso in scontri aperti aspramente sedati e arresti. E lui? Lui si trovava nella posizione di non poter dire nulla, a volte persino di voltare le spalle ai suoi fan per non perdere il lavoro. Un casino. In tutto ciò si inseriva lo studio, quello che non gli riusciva più bene come una volta. Studiava, certo, e studiava anche tanto, ma aveva la testa da tutt'altra parte e questo era innegabile.
    Quando chiuse il libro, sancendo la fine della sessione di studio, si sentì di aver impiegato ore e ore a fissare le pagine piene di scritte fitte fitte senza aver immagazzinato nulla. Scansò il pensiero, dicendosi che il giorno seguente il sole sarebbe sorto lo stesso e avrebbe fatto di meglio. Si avviò dunque verso i sotterranei, infilandosi sovrappensiero la tuta - tanto sovrappensiero che finì per mettersi la tshirt al contrario - e percorrendo a ritroso il suo percorso con la stessa aria di un fantasma. Eric Donovan c'era e non c'era. Stava lì, ma solo col corpo. La sua testa vagava tra mille preoccupazioni a cui non sapeva dar pace, e pur tentando di dire a se stesso e agli altri che tutto filava liscio, lui era il primo a non crederci. Ma d'altronde è proprio quello il bello di essere bugiardi: alla fine, in una maniera o nell'altra, convinci tutti quanti, anche te stesso.
    "Iniziavo a pensare che mi avresti dato buca." stirò un sorriso stanco, stringendosi nelle spalle. "Ci hai sperato, eh?" Si guardò intorno, misurando l'ambiente che Tris aveva plasmato nella propria mente. Una palestra. Rise tra sé e sé: non si sarebbe aspettato niente di meno. Qualsiasi altra ragazza avrebbe tratteggiato un ristorantino isolato, un tavolo per due al lume di candela, o forse un letto cosparso di petali di rosa. Non la sua ragazza. E nell'immagazzinare quel pensiero, qualcosa nel suo cuore si smosse, come un moto di orgoglio, o il riconoscimento che ciò che c'era stato non era svanito in quell'anno di distanza. Un tempo non lo avrebbe ritenuto possibile. "Ho pensato, per la tua gioia, di renderti partecipe di un allenamento hunter style. Sempre se non hai paura di essere picchiato da una ragazza. Oppure quelli come te sono bravi solo sulla scopa?" Un altro sghignazzo sommesso. Lo stava stuzzicando, ovviamente. Aveva messo in conto che prima o poi sarebbe arrivato quel momento, e aveva avuto un anno per prepararsi mentalmente ad affrontarlo. Dunque si avvicinò metro dopo metro, passandole alle spalle per risponderle con un sussurro all'orecchio "Quelli come me sono bravi in tante cose quando si tratta di attività fisica." Passò oltre, iniziando ad avvolgersi le nocche con delle bende umide lasciate nell'angolo. "Sempre che non si abbia troppo paura di farsele piacere troppo, ovviamente." Stirò un sorriso, scoccandole un'occhiatina eloquente di sottecchi prima di rivolgerle un occhiolino e avvicinarsi alla mora. Tu stuzzichi me, io stuzzico te. D'altronde tra loro due era sempre stato così, era il loro modo di comunicare, il loro modo di mostrare il proprio interessamento, di soffiare sul fuoco di quella scintilla inestinguibile. Ed era davvero formidabile come risultasse davvero impossibile a entrambi svincolarsi dall'altro. Per un periodo, durante l'assenza di Tris, Eric si era detto che in realtà fosse tutto dovuto a quello strano e ancora inspiegabile legame che li portava a stare insieme anche quando non ci stavano effettivamente; poi però era passato il tempo, avevano avuto le proprie rogne, le loro faccende da sbrigare, e quel pungente pizzicorio che animava i suoi arti al pensiero di lei non ne aveva proprio voluto sapere di andarsene. Così lo aveva accettato. Aveva accettato che più che una causa, quel legame era stato un pretesto. Non teneva in pugno la situazione, ma piuttosto aveva scatenato un effetto domino che forse si sarebbe verificato lo stesso, in altre maniere, se quella magia non avesse mai avuto modo di verificarsi, se quella notte non ci fosse mai stata. Ci sono troppe cose, in questo mondo, che non comprendiamo, e una di queste è l'attrazione gravitazionale che ci porta a ruotare attorno a certe persone piuttosto che ad altre.
    Rimase qualche istante in silenzio prima di avvicinarsi di nuovo alla ragazza e dire, questa volta più mestamente. "Mi dispiace per la carica." per il fatto che l'avesse persa così ingiustamente. Tutti lì dentro avevano perso qualcosa, ma c'era chi aveva dovuto lasciarsi indietro più cose degli altri; tra quelli vi era Tris. Tris che aveva sempre dato il massimo per la scuola e per i suoi compagni, che aveva meritato il suo posto tra i Caposcuola senza pretenderlo, senza mai imporsi. Lo aveva guadagnato, tanto velocemente quanto gli era stato sottratto. Il rumore della spilla che tintinnava sul terreno riecheggiò per qualche istante nelle orecchie di Eric, venando il suo sguardo scuro di una sfumatura amara. Quello era uno dei tanti problemi del loro legame: ciò che sentiva lei, lo sentiva anche lui. E sebbene Tris non avesse detto nulla - come era suo solito -, lui sapeva esattamente come si sentisse, e forse quel dolore era ancora più forte in virtù del fatto di non provarlo in prima persona. Era lacerante perché era stato imposto a una persona che lui amava in maniera folle, che non avrebbe mai voluto veder soffrire nemmeno la più infima delle ferite. E faceva ancor più male perché non aveva potuto fare nulla se non restare a guardare in silenzio. Umiliazione. Ecco cosa sentiva. La sentiva in lei, ma la sentiva anche in se stesso. Intrecciò le dita a quelle di Beatrice, stringendole appena. "Se vuoi.." disse piano, serio, piantando gli occhi in quelli color nocciola di lei "..dovrei avere da qualche parte una foto di Kingsley." Il tono andò a cedere alla pressione di un sorriso divertito, leggero "Potrei appiccicarmela in fronte, così picchiandomi prenderesti due piccioni con una fava." Pausa. Abbassò il mento a scrutarla da sotto le ciglia con un sorrisino sornione, alzando un sopracciglio e puntandole contro l'indice della mano libera "Perché non sono uno stupido, Morgenstern. Lo so che ce l'hai anche con me."

     
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    Ma non era la rabbia il vero problema. Beatrice non riusciva ad essere arrabbiata con Eric. Non mai. Per quanto ci provasse, una parte di sè si convinceva di avercela con lei, ma la verità è che ce l'aveva unicamente con se stessa e automaticamente ce l'aveva con lui. Erano ormai un pacchetto unico; i problemi dell'uno erano i problemi di entrambi, le preoccupazioni di uno dei due erano di entrambi. Quella comunanza andava oltre l'individualità e per quanto provasse a convincersi che fosse libera e indipendente, non lo era affatto. Il vero problema era il senso di colpa, l'aver provato cose così sbagliate, così lontane da ciò in cui credeva, senza la minima remora. Ce l'aveva con lui perché si era convinta a fare qualcosa che sapeva di volere e che pure non avrebbe mai pienamente accettato. Chiunque fosse esterno a quel tripudio di emozioni avrebbe visto la cosa come un compromesso. Ma non lo era; non c'erano compromessi tra Eric e Beatrice. Forse se ci fossero stati, le cose sarebbero risultate di più facile comprensione, sarebbe stato più facile litigare, urlarsi contro, arrabbiarsi. E avrebbero potuto sfogarsi.

    La biondina si sta mordendo il labbro. Lo squadra con uno sguardo che lascia poco spazio agli equivoci e all'immaginazione. O forse c'è sin troppo spazio per l'immaginazione. E lei la sente, quella carica elettrica; scorre lungo la sua pelle nonostante si trovi a centinaia di chilometri di distanza. Chiusa nella sua stanza in un motel squallido, sdraiata sul letto mentre si gira per le mani un coltellaccio. E' impotente e al tempo stesso è come se sentisse paradossalmente di avere pieno controllo della situazione. E tutto ciò la destabilizza. E' confusa e infelice, eppure, al contempo non lo è affatto. Vorrebbe avere la forza di interrompere quel contatto mentale, come d'altronde entrambi hanno fatto spesso; qualcosa che lentamente avevano imparato a controllare per prendersi i propri spazi. Si lasciavano fuori l'uno dalla vita dell'altro, senza pretendere nulla, senza rimproverarsi, senza contestare gli spazi che si prendevano. Eppure, nonostante Beatrice avesse bisogno dei suoi spazi, c'erano una parte di sé che non riusciva più a vivere di soli spazi, di silenzi, di sguardi colmi d'intesa, mai soddisfatti. Nonostante sentisse il sospiro caldo di lui sulla pelle, le labbra contro le sue, le mani scorrere sopra i suoi vestiti, nonostante non si sentisse mai sola, le mancava. Perché in un certo qual modo sapeva fosse tutto una forma malata e particolarmente reale di finzione, messa in atto dalle loro menti, per chissà quale casualità. Non era la stessa cosa, e sapeva non fosse la stessa cosa soprattutto per lui. Poter sviscerare Eric l'aveva portata ad assumerne in un certo qual modo i tratti, a tal punto da sapere quanto fosse carnale, quanto in realtà cercasse di continuo il contatto fisico, la sfida. Nel corredo genetico di Eric c'era l'attesa, ma solo a breve termine; c'era la pazienza, solo se soddisfatta. C'era il bisogno di sentirsi uomo. E Beatrice, quel desiderio non aveva mai saputo cosa significasse prima di comprendere la sua indole. Lei dal canto suo, non conosceva ancora quel lato della vita, non lo aveva nemmeno mai considerato prima che lui facesse irruzione nella sua vita con la sua solita prepotenza. La verità è che Eric e Tris erano anime gemelle, e non lo erano solo perché il destino aveva fatto sì che rimanessero incastrati l'uno con l'altro che piacesse loro o meno. Lo erano già prima, prima di conoscersi, prima di non sopportarsi, prima anche solo di conoscere i loro rispettivi nomi. Eppure, ciò non bastava. Non bastava per Eric, e ormai non bastava nemmeno per Tris. Lei dal canto suo era cresciuta; aveva sperimentato cose che nemmeno s'immaginava di poter mai vivere. E così la sua tipica personalità conservatrice, di rigide connotazioni, era lentamente scemata. « Baciala. » Un sussurro al suo orecchio mentre gli occhi scuri di lei corrono lungo il corpo della ragazza, non con invidia o disgusto, ma nemmeno con desiderio. Corrono con un attenzione scientifica lungo le sue forme, osservandone le peculiarità quasi come se fosse un chirurgo che sta cercando di individuare l'esatto punto di taglio. « Baciala proprio qui. » Un secondo sussurro prima di poggiare le labbra sul collo della ragazza senza distogliere lo sguardo da lui. Chiunque sia esterno a queste teste di legno, potrebbero vedere Eric e Tris come due persone estremamente immorali. Dopo quella prima volta, la stessa Tris si è sentita altamente immorale, sporca, quasi come se avesse fatto un altro strappo alla regole, di nuovo, per la stessa persona. Eppure - paradossalmente - lo ha fatto perché lo voleva.

    « Quelli come me sono bravi in tante cose quando si tratta di attività fisica. » Un sussurro all'orecchio; si approfitta per chiudere gli occhi, ben consapevole che non può guardarla negli occhi. « Sempre che non si abbia troppo paura di farsele piacere troppo, ovviamente. » Piega la testa di lato voltandosi per tornare a osservarlo. Sul serio? Incrocia le braccia al petto; tipica mossa di chi è in procinto di mettersi sulla difensiva. Se solo la sua aria non fosse così apertamente scherzosa, lo prenderebbe ben volentieri a pugni. Ma sa che non farebbe altro che dargli soddisfazione. Sta aspettando una reazione, una qualunque mossa. Entrambi lo stanno facendo. Sono in attesa da una vita. Sempre in attesa. Di qualcuno, di qualcosa. Mai pienamente soddisfatti di ciò che hanno, di ciò che potrebbero avere. Una vera e propria maledizione a cui non ci si può sottrarre pienamente. « Mi dispiace per la carica. » Si sente quasi sollevata e gli è grata di quel improvviso cambio di argomento. Un terreno neutrale, uno su cui la ragazza si sente tutto sommato al sicuro. Si stringe nelle spalle. « Non importa; non l'ho mai voluta quella spilla. » Finché non l'ha persa quanto meno. Perché le cose le si vogliono di più quando non le si hanno o si perdono. A dirla tutta, il gesto, la situazione, l'avevano colpita più per la prepotenza usata, non tanto per la perdita in sé. Ci sono abituata. All'umiliazione. Alla frustrazione. Al senso di impotenza. L'aveva provata prima ancora che succedesse a lei. L'ha provata ogni qual volta pensasse all'esatto momento in cui le dita di lui strette attorno a una piuma di qualità superiore, mimavano la sua firma su una lettera di dimissioni. « Bisogna abituarsi.. finché non ne avremmo abbastanza. » Perché il punto di rottura stava arrivando; incalzava. Lo sentiva in se stessa, in Eric, e poteva immaginare fosse altrettanto per gli altri. In un modo o nell'altro i più temerari stava esplodendo, e non ci sarebbe voluto molto prima che il punto del non ritorno si dispiegasse di fronte ai loro occhi. « Se vuoi.. ..dovrei avere da qualche parte una foto di Kingsley. Potrei appiccicarmela in fronte, così picchiandomi prenderesti due piccioni con una fava. Perché non sono uno stupido, Morgenstern. Lo so che ce l'hai anche con me. » Colta in flagrante? Nemmeno per un po'. Ciò che le faceva effetto era sentire quelle parole a voce alta. Qualcosa che pensava potesse evitare con lui. Parlare. Sarebbe dovuto risultare così facile; eppure non lo era affatto. Abbassa lo sguardo d'istinto, lasciando che le dita di lei si incastrassero meglio con quelle di lui. Una stretta ermetica.
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    Deglutisce d'istinto mentre lo sguardo allarmato torna a cercare il suo. Un improvviso sorriso leggermente ironico imperla le sue labbra mentre lo attira verso il ring al centro della stanza. « E privarmi di quella faccia tosta? Eric Donovan, sei senza pudore! » Si scioglie dalla sua stretta, entrando nel ring. Quando si trovano nuovamente faccia a faccia, fa scorrere la zip della felpa, lasciandola scivolare lungo le braccia fino a toccare terra. Con un calcio libera il campo, ponendosi lì dritta in piedi di fronte a lui. Non era necessario. Ma era una mossa alla Eric Donovan. Ed Eric Donovan doveva sapere che le sue armi erano doppiamente affilate. « Perché dovrei mai avercela con te? La tua condotta è inespugnabile.. sempre. » Non dai mai modo a nessuno di rimproverarti niente. Sempre un passo a tutti. Impeccabile. Lo era davvero. Lo era sempre stato. E ogni qual volta non lo fosse era perché sapeva di non potersi comunque rimproverare nulla. Beatrice lo sapeva, lo accettava, le stava bene. E proprio per questo motivo non poteva e non aveva nemmeno il desiderio di prenderlo a calci nel sedere. Sarebbe stato uno spreco di tempo quando in fin dei conti quella situazione l'aveva creata lei sin dal primo momento.« Sei un cavaliere senza macchia e senza paura. » Lo sta allegramente prendendo in giro; ma non lo fa con cattiveria e tanto meno con cattive intenzioni. « Chi l'aveva detto? » Resta lì a pensarci per qualche istante mentre gli sorride. Un sorriso davvero raggiante, perché quando è con lui, non riesce a non essere radiosa. E' come se ogni poro del suo corpo rispondesse naturalmente alla presenza di lui, al solo fatto che si trovassero nella stessa stanza. « Era Meredith? O Jane? .. oddio no forse quella era Allison.. Aline? Gin.. evra? » Resta per un po' a pensarci, con aria fintamente teatrale. « No.. era Penny.. Penelope. La chiamavi Penny o Penelope? Perché effettivamente mi fa un certo effetto immaginarmi una scena di pathos mentre urli il nome di un'ipotetica Penny. » Ora è seriamente confusa. Si sta davvero arrovellando la testa attorno a quel problema? E davvero diventato tutto così naturale tra loro due oppure era solo lei che cercava di convincersi che andasse tutto bene? No che non andava tutto bene, ma non poteva nemmeno non andare tutto bene. Trasalisce pochi secondi dopo, tornando al discorso che stava facendo. « Si comunque.. una gran bella frase a effetto. Era.. » Deglutisce. « ..adatta. » Un gran bel cavaliere, tanto quanto lei era una principessa. Due persone estremamente onorabili, fiere e giuste, che non avevano fatto altro che mentire e ingannare per un anno intero. I loro amici, le famiglie, chiunque li circondasse. E lo avevano fatto consapevolmente, persino provando un pizzico di orgoglio e soddisfazione nel farlo. Quasi come se quella cosa fosse solo loro e avesse paura che chiunque ne venisse a conoscenza gliel'avrebbe potuto rubare. Ed effettivamente era così. Nessuno avrebbe mai potuto comprendere fino in fondo. Tris per prima non capiva. Non ci capiva più niente. Non ci aveva mai capito niente. « Soprattutto perché sei stato un gran cavaliere.. a non richiamarla. » Ed era davvero sincera. Se non le richiamava, se restava casuale, il suo disagio interiore, scemava. Non del tutto; non sarebbe mai stata del tutto tranquilla. A volte le sembrava che tutto quel trasporto che ci mettesse con alcune di loro fosse il segno che qualunque cosa avessero si stesse scardinando. Mentre si lasciava coinvolgere da quelle situazioni, da quella melma di corpi, aveva a volte paura che lo stesse perdendo. Un po' alla volta. E nonostante sentisse lo stesso trasporto, nonostante ne fosse coinvolta al cento per cento - anche più di quanto fosse pronta ad ammettere - il pensiero che stesse per legarsi a qualcuna di loro l'aveva sfiorata più di una volta. « Avanti, fammi vedere cosa sai fare. » Sussurra infine mentre assume la tipica posizione di difesa. Ma non è un sussurro che proviene dalla ragazza di fronte a lui. E' la stessa ragazza il cui sospiro caldo solletica il lobo del suo orecchio.


     
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