The day after

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  1. Mischief
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    Le stesse fondamenta di Hogwarts avevano tremato la notte precedente, tutti erano curiosi di conoscere il preside e lui lo aveva fatto in grande stile. A quasi ventiquattro ore di distanza, non si parlava d'altro a scuola. Era stato un giorno complicato, la maggior parte degli studenti erano stati cacciati dalle loro sale comuni, per la sola colpa di non avere origini magiche radicate. Le politiche puriste del governo, che sembravano non aver ancora toccato Hogwarts, si erano finalmente presentate e con una prepotenza che non credeva possibile fra quelle mura, soprattutto da un preside verso i suoi studenti. La maggior parte dei ragazzi, perché ammettiamolo i purosangue sono in netta minoranza, avevano dovuto abbandonare le loro sale comuni per raggiungere dei sotterranei in cui nessuno che conosceva aveva mai messo piede, era una zona che neanche faceva parte del castello. Prefetti e capiscuola non esistevano più, la sera prima i nostri distintivi erano caduti dalle divise davanti ai nostri occhi, ma la cosa peggiore è che eravamo stati sostituiti dalla "squadra di inquisizione" maghi addestrati pronti a far rispettare le regole della nuova amministrazione. E sinceramente credevo che le trasgressioni alle regole sarebbero state punite in maniera molto diversa da prima. Perché ora eravamo sotto un regime, non eravamo più liberi, non avevamo più neanche le nostre bacchette, se non per partecipare alle lezioni, che immaginavo sarebbero state sempre controllate dalla squadra d'inquisizione per evitare rivolte, una volta che gli studenti erano in possesso delle LORO bacchette.
    Non so se provassi più rabbia, sconforto o indignazione, sicuramente però mi sentivo in colpa, io potevo restare al castello: il mio sangue era abbastanza puro per loro e a essere onesti se fossi stato uno degli studenti costretti a vivere nei sotterranei, avrei odiato quelli che restavano al castello.
    Ero rimasto quasi tutto il giorno nella mia stanza, non volevo vedere chi dei miei amici era ancora al castello, della maggior parte non sapevo quali fossero le discendenze magiche, non mi era mai neanche venuto in mente di chiederlo. Sapevo che sia Lydia sia Aleksandra sarebbero rimaste, ma non sapevo nulla dello stato di sangue degli altri. Mi decisi a uscire dalla mia stanza solo dopo l'ora di cena, non avevo mangiato nulla tutto il giorno, ma non avevo per niente fame.

    Mi sedetti davanti al fuoco nella semideserta sala comune, indossavo dei semplici pantaloni della tuta e una t-shirt nera senza fronzoli, i capelli un po' scompigliati come se mi fossi appena svegliato, aprii la gazzetta del profeta che mi era arrivata quella mattina, il titolo in prima pagina parlava di Hogwarts, ovviamente, ma non avevo avuto ancora il coraggio di leggere l'articolo. Mi sentivo stanco, non avevo neanche praticamente dormito, saltai a piè pari l'articolo su Hogwarts e mi concentrai sulle notizie di sport, benché non mi interessassero minamamente, ben presto mi addormentai cullato dal tepore del fuoco, il giornale mi cadde dalle mani e mi addormentai con la testa all'indietro sulla spalliera, in una posizione del tutto innaturale.


    Edited by Mischief - 8/4/2017, 16:35
     
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    In punta di piedi. Le suole delle sue scarpe sembrano quasi non toccare le pietre millenarie del castello. Cammina con cautela, con una sorta di timore riverenziale, quasi come se quel posto non le appartenesse. In fin dei conti, fino a pochi anni fa era certa che non avrebbe mai frequentato Hogwarts. Il castello non faceva parte dei suoi piani; Aleksandra era nata sbagliata. Suo padre amava ricordarglielo. Gli piaceva torturarla con l'idea che lei non era una di loro. Pur essendo nata Purosangue, Aleksandra è stata considerata per molto tempo una magonò; celata agli sguardi dei più, quasi come se fosse una specie di fenomeno da baraccone che non aveva nemmeno il diritto di esistere. Ora le cose erano cambiate, e la piccola principessa della dinastia dei Carrow aveva ripreso il posto che le spettava. Eppure, lei, in cuor suo, continuava a sentirsi lo stesso fenomeno da baraccone. Sporca, impura; spaventata persino dalla sua stessa ombra. Ricorda i primi giorni a Hogwarts. Sono stati terribili. Tutto quel trambusto, le voci, la gente intenta a raggiungere le aule che la spintonava sui corridoi. Era stato tutto così nuovo. In un certo qual modo lo è ancora. Tuttavia, la piccola Carrow è stata fortunata. Suo fratello non ha mai smesso di restarle accanto e sin dai primi giorni ha avuto la fortuna di incontrare compagni valorosi che l'hanno fatta subito sentire a proprio agio. Ed era proprio lui, il suo migliore amico, che ora cercava con lo sguardo nella Sala Grande. Charles era una delle persone più importanti che avesse dopo la sua famiglia. Quando stava male, le bastava guardarlo negli occhi e tutto passava. La calmava e riusciva a rassicurarla, soprattutto quando le capitava di avere uno di quei terrificanti attacchi di panico. Era suo amico e confidente e con lui amava condividere i suoi pasti. Non lo aveva visto per tutto il giorno. Lo aveva cercato con lo sguardo in classe e anche nelle pause tra una lezione e l'altra, ma di Charles non c'era traccia. Si era persino fatta coraggio e aveva chiesto a uno dei suoi compagni di stanza se lo avesse visto, ma quest'ultimo non seppe risponderle. Non l'ho visto. Stamattina quando sono uscito, stava ancora dormendo. Non doveva averla presa bene, quella nuova situazione all'interno del castello. Persino la sera prima quando aveva provato a parlargli, Charles era stato monosillabico e si era recato nella sua stanza subito dopo cena. Non sapeva nemmeno come potesse aiutarlo. Aleksandra dal canto suo sapeva già che qualcosa sarebbe accaduto. Suo fratello Deimos l'aveva avvertita. L'aveva rassicurata. Le aveva giurato che nulla le sarebbe successo e che qualunque cosa stesse accadendo dentro Hogwarts, era unicamente per la sicurezza di tutti. E lei ci aveva creduto. Ci aveva creduto davvero, perché dalle labbra di Deimos, Aleksandra pendeva come ogni ragazzetta che pende dalle labbra della propria figura paterna. Il maggiore dei Carrow era diventato questo per lei. Un padre, un fratello, un amico; il confidente di cui avesse bisogno e anche la figura autoritaria a cui qualunque adolescente doveva far riferimento. Finita la cena, la Carrow raccoglie quindi le sue cose e all'interno di un fazzoletto di stoffa raduna un po' di cibarie; qualche panino e un paio di dolci. Se non ha ancora mangiato, avrà sicuramente fame. Si ferma ancora per un po' sui corridoi con qualche compagna di altre casate, per scambiarsi impressioni sulla lezione di Trasfigurazione di quella mattina e si precipita verso la torre Corvonero solo pochi minuti prima del coprifuoco.
    La loro Sala Comune è quasi deserta. Solo una figura, illuminata dal tenero fuocherello scoppiettante nel caminetto, soggiace su uno dei comodi divanetti decorati di blu e argento.
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    Lei sorride nel vederlo, teneramente divertita dalla posizione in cui sta dormendo. Charles potrebbe dormire persino nell'acqua. O forse è solo molto stanco. Si siede su una delle poltrone adiacenti al divano, lascia cadere la tracolla e appoggia il fazzoletto colmo di cibarie sul tavolino di fronte. Dalla tasca tira infine fuori una confezione di noccioline che ha rubato a cena per se stessa e la apre. E così, con fare molto spiritoso, dopo essersene mangiata qualcuna fissandolo silenziosamente in quell'innaturale posa da Maya desnuda, Aleksandra gli getta addosso la prima nocciolina. E poi una seconda e una terza. E scoppia a ridere, mentre con il chiaro intento di fare canestro nella sua bocca semichiusa, continua a gettargli addosso noccioline; lo fa quantomeno finché non si accorge che sta aprendo gli occhi. « Nooo! Guastafeste! Stavo cercando di fare canestro. » Forse non il periodo migliore per darsi agli atteggiamenti spiritosi. Ma in fin dei conti, Aleksandra non ci vede nulla di male. Se suo fratello dice che è per il loro stesso bene, allora deve essere così. La Carrow ha una fede quasi cieca nei confronti di Deimos. Non potrebbe mai mettere in dubbio le sue parole. « Non ti ho visto a cena.. e nemmeno tutto il giorno. » Gli indica quindi con un cenno della testa ciò che è riuscita a racimolare a cena. « Ho pensato avessi fame. » E poi cala una sorta di silenzio un po' imbarazzante. Il suo istinto le dice che c'è qualcosa che non va. Deve esserlo. Altrimenti non sarebbe sparito così per ventiquattro ore di fila. « Va tutto bene? »

     
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  3. Mischief
         
     
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    Le mie zampette battevano sulle pietre del pavimento dei sotterranei, senza fare il minimo suono. Le pupille dilatate, le orecchie basse, stavo correndo dietro a qualcosa, che continuava a sfuggirmi. Ogni volta che giravo l'angolo, vedevo qualcosa girare l'angolo opposto alla fine del corridoio e non potevo fare altro che correre a perdifiato cercando di prendere il fuggitivo. Lo persi completamente quando la mia strada venne sbarrata da una porta che si aprì nei sotterranei. Dalla porta uscì il nuovo preside, che assomigliava poco all'originale. Non aveva le iridi e gli occhi erano completamente neri, aveva un colorito stranamente chiaro, simile a quello di un vampiro ed era molto più alto di come era in realtà. Inarcai la schiena, con la coda a scovolo ben dritta dietro di me. Il preside si avvicinò lentamente, mentre io arretravo soffiando verso il suo viso.

    «Nooo! Guastafeste! Stavo cercando di fare canestro». Mi svegliai muovendo la testa di lato istintivamente, quando una nocciolina mi colpì la guancia. Il primo istinto fu quello di stiracchiarmi le zampe, ma ero in forma umana. Aprii gli occhi a fatica, non avevo dormito abbastanza per risvegliarmi così in fretta da capire che cosa stava succedendo e chi ci fosse con me. Il mal di testa fu la prima sensazione che mi colpì. Gemetti sommessamente e strizzai gli occhi, portando una mano alla fronte. «Non ti ho visto a cena.. E nemmeno tutto il giorno». Aprii gli occhi ed Aleksandra era seduta a fianco a me, la sua risata rieccheggiò nelle mie orecchie, vedendola l'istinto fu immediatamente quello di sorridere di rimando, ma in quel momento ero fin troppo consapevole di quanto dovessero essere scompigliati i miei capelli. Mi passai una mano sulla testa, cercando vanamente di rendermi più presentabile. «Ho pensato avessi fame». Stava indicando un fazzoletto sul tavolo, con sopra gli avanzi della cena. La mia salvatrice. Aleksandra era con ogni probabilità la mia più cara amica. Non avevo mai tenuto segreti con lei, fino a all'inizio di quell'anno scolastico, poi le cose sono leggermente cambiate. Mi sono reso conto di essere perdutamente innamorato di lei e da quel momento per me fu molto più difficile aprirmi con lei, per dirle tutte le cose che le dicevo prima, non perché non gliele volessi dire, ma perché tutte le volte che finivamo in un discorso più serio, più intimo, arrossivo, mi imbarazzavo, dicevo cose idiote, facendo battute per evitare di rivelare alcun tipo di sentimento che avrebbe potuto farle capire quanto fossi cotto. Dirgli quello che provavo era fuori discussione, non solo non volevo rischiare di perderla, ma una ragazza come lei era fuori dalla mia portata. Però così facendo mi ero ritrovato con due segreti che pendevano sulla mia testa come una spada di damocle, il primo, quello innocente, era il fatto che durante l'estate mi ero fatto un tatuaggio. Il secondo era un po' più problematico, il fatto di essere un animagus non era un problema in sé. Lo era, però che Aleksandra aveva fatto amicizia con la mia versione felina e una volta mi avesse persino portato in camera sua a dormire. Non avevo veramente idea di come dirle che mi ero nascosto sotto il letto, per evitare di vederla cambiarsi.
    «Va tutto bene?» No non andava tutto bene, non avevo mai desiderato tanto fare magie con la sua bacchetta, in più aveva una voglia matta di uscire dalla sala comune e andare a vedere come se la cavavano i suoi compagni e dove alloggiavano, il problema è che poteva farlo solo da gatto perché non gli avrebbero mai permesso di lasciare il castello. «Potrebbe andare meglio». Feci un sorriso stiracchiato e presi un pezzo di torta di verdure dal fazzoletto di fronte a me. «Grazie per questo, ne avevo bisogno». Lo dissi più che altro per cortesia, ma quando diedi un morso al tortino, realizzai quanta fame avevo in realtà, diedi altri due morsi veloci prima di continuare la conversazione. «Ho fatto solo fatica ad abituarmi alle nuove... Politiche scolastiche. Domani andrà meglio». Non ne ero affatto sicuro, ma non c'era nient'altro che potessi dire. «Spero solo che chi c'è dietro tutto questo, la paghi cara». Dissi deciso, improvvisamente con uno sguardo più duro. L'insieme di tutte le cose che erano successo gli facevano montare una rabbia che non penso di aver mai provato prima. Non avevamo più le bacchette, ci avevano separato dai nostri amici, eravamo sotto un regime dittatoriale e tutto quello che potevo fare, era non fare nulla. Completamente impotente.
     
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