hope you're fine

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    Spero solo tu stia bene.

    Dietro a quelle cinque parole così asciutte, scritte con la sua tipica grafia disordinata e difficilmente comprensibile, c'erano un'infinità di messaggi nascosti. C'era un frustrato Dove diavolo sei finita? Perché te ne sei andata di nuovo?, che aveva piegato quel piccolo foglio sotto la pressione insistente dei polpastrelli della mora, tanto da renderlo così stropicciato; c'era una nota di rassegnazione, sconfitta: Vorrei potermi arrabbiare ma non posso, la scelta è tua; questo non stava scritto ma bastava guardare la pergamena chiara con attenzione, vedere e non solo leggere. Le lettere erano marcate più volte, l'una sull'altra, come se l'autrice di quel messaggio avesse cercato ogni modo possibile per impedire a se stessa di continuare a scrivere altro; e c'era un cuore disegnato, in un angolo, piccolo, uno di quegli schizzi che si fanno sul proprio quaderno durante una lezione particolarmente noiosa: Malia l'aveva messo così, senza effettivamente rifletterci più di tanto, eppure, una volta inviato quel messaggio, aveva quasi cominciato a sperare che l'amica leggesse qualcosa di più in quel disegnino apparentemente insignificante, forse una nota d'affetto che era sempre stata un po' tentennante a mostrare con la Morgenstern, probabilmente a causa dell'apparente freddezza che caratterizzava quest'ultima.
    I primi giorni, subito dopo che Sam le aveva dato la notizia, li aveva trascorsi in un misto di disappunto e preoccupazione. Perché, nonostante le faide e le incomprensioni, e tutte le volte in cui sarebbe stato più facile capire al volo una lezione di Trasfigurazione piuttosto che seguire un ragionamento della Caposcuola, Malia sapeva di Beatrice qualcosa che la terrorizzava. La conosceva, per certi aspetti, in un modo che le faceva paura. Se era andata via così all'improvviso, non si trattava di un desiderio di cambiare aria, ma doveva esserci una ragione precisa; com'era sempre, d'altronde, dietro a tutte le mosse della giovane cacciatrice. E Malia lo sapeva, era inutile arrovellarsi su domande alle quali non sarebbe mai riuscita a darsi una risposta, e proprio questo l'aveva spinta a strappare un pezzo di pergamena e a farne un bigliettino piccolo, nel quale mettere per iscritto le sue perplessità: aveva passato decine di minuti a fissare il vuoto di quella carta, prima di capire che alla fine c'era solo una cosa che le interessava sapere davvero.
    Ora Beatrice è tornata e le cose da dire sarebbero di più di quelle che riescono a entrare in un piccolo pezzo di pergamena.
    Al di là di un saluto di circostanza, e qualche chiacchiera non troppo impegnativa, le due non hanno ancora avuto occasione di parlare davvero, o, per lo meno, di trascorrere del tempo in solitudine, in lontananza da tutto quello che sta succedendo intorno a loro.
    Gli ultimi giorni sono stati confusionari, stressanti e decisamente drammatici: lei e gran parte dei suoi amici si ritrovano all'improvviso prigionieri della stessa Hogwarts, confinati come animali in piccole cellette senza neanche uno spiraglio di luce naturale, figurarsi le comodità alle quali era abituata alla torre dei Grifondoro. Le stanze sono piccole e anguste, non ha spazio dove mettere i suoi vestiti, che restano chiusi in una massa disordinata all'interno del baule, ai piedi di quello che non riesce proprio a definire letto. Le lenzuola della sua brandina, poi, non sembrano essere state pulite in tempi recenti, e lei non ha nemmeno la sua bacchetta per provare a rimediare.
    C'è un disordine incredibile, qui giù: si fa strada tra i corridoi angusti che fa difficoltà a distinguere e le sembra tutto così poco familiare. C'è un ragazzo di Tassorosso che urla, dice che sua madre ha preso il morbo, e piange, batte i pugni forte contro il muro e nemmeno la forza bruta dei suoi due compagni riesce a frenarlo. « Sarò io il prossimo » dice, piangendo, e il resto è incomprensibile. Sembra di stare in un'altra vita.
    Malia obbliga se stessa a non fermarsi, va' avanti, si ripete, è meglio non guardare. Se lo dice da un po' a questa parte e lo sa bene che questa formula non serve a niente; che, quando si ritrova nella solitudine angosciante della notte, le urla le riecheggiano nella testa e sa di essere lei la prossima. Ancora.
    Svolta l'ultimo angolo del suo percorso, e quando si ritrova di fronte alla porta di legno attende un istante, prima di far incontrare le sue nocche con la superficie un po' ruvida per un paio di volte. Abbassa la maniglia e dà una spinta al legno solo quando dall'altra parte sente un invito ad entrare. Beatrice è sul letto, e nel vederla la mora le rivolge un sorriso.
    « Mi sono sempre chiesta come facessero i Serpeverde a sopportare l'assenza d'aria che c'è qui sotto » esordisce, ancora sulla soglia, lo sguardo che si sposta dalla figura esile della ormai ex Caposcuola Grifondoro alle pareti fatiscenti della stanza. Si stringe nelle spalle, mentre una risata breve, intrisa di amara ironia, lascia le sue labbra e per qualche istante riempie lo spazio vuoto che le separa. « Adesso per lo meno so come ci si sente » un sospiro rassegnato conclude la sua riflessione, mentre si avvicina alla sua compagna, senza però dimenticare di chiudere la porta alle sue spalle. Una volta raggiunto il letto della mora, si accomoda accanto a lei.
    « Sono capitata in stanza con una Corvonero matta che ha l'abitudine di ripetere ad alta voce tutto quello che studia. Se l'obiettivo di King è farci impazzire tutti quanti, con me ci sta riuscendo alla grande » si porta una mano alla fronte, distrattamente, e la massaggia un paio di volte, per poi infilare le dita tra i capelli e spostarli da una parte, così da poter osservare meglio la Morgenstern.
    Ci sono tante di quelle cose che vorrebbe dire, adesso, che è a corto di parole.
    « Come te la passi? » è forse il modo più banale di cominciare, se è questo quello che stanno facendo. La verità è che forse loro due non hanno mai concluso niente, e tra le malattie e le assenze, il loro legame è come rimasto sospeso in aria, fermo in un alone d'ambiguità e confusione. Eppure sono proprio queste semplici parole, le più stupide e di circostanza, che vengono fuori dalle labbra della mora, incapace per il momento di trovare qualcosa di più originale, o più diretto, per arrivare al punto.
    La osserva per un istante ancora, Beatrice, e Malia (per un attimo solo, però) può giurare di vederci dentro a quegli occhi marroni la stessa ragazzina che le ha insegnato a tirare le freccette dentro ad un bersaglio, una volta. La stessa che le ha regalato il bracciale d'argento. Quella a cui raccontava le sue sciocche avventure amorose e che le dava consigli già fin troppo saggi per l'età che aveva.
    Il fatto è che, forse, un punto a cui arrivare non c'è proprio. Forse Malia ha solo bisogno di chiacchierare, con Tris, e non di parlare. Questa volta, se ne accorge solo ora, vuole davvero sapere soltanto come vanno le cose nella vita della Grifondoro: vuole intavolare discorsi futili, come una volta, perché la verità è che dopo tutto questo tempo si sente stanca di litigi che non hanno senso e di occhiate risentite - forse non è necessario urlarsi in faccia i propri risentimenti o puntualizzare le mancanze, e le ferite, e le attese. Forse le parole sono sopravvalutate e a volte basta semplicemente esserci.
    Le domande da fare sono un milione, dove sei stata? cosa hai fatto? perché non hai avvertito nessuno? come mai sei andata via così? che cosa è successo?, però, in effetti, se ci pensa bene, non sono poi così urgenti.
    Spera solo che lei stia bene.


    Edited by chärlie - 10/4/2017, 20:12
     
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    Finché Eric era ancora a Hogwarts, Beeatrice non aveva potuto fare a meno di sbirciare. Si metteva lì seduta accanto a lui al tavolo dei Grifondoro e li osserva tutti, uno ad uno. Nessuno sembrava particolarmente felice tutto sommato, ma i suoi, la sua gente era quella col fuoco di Godric nelle vene ed effettivamente non si lasciavano scalfire da nulla. Erano adorabili nel loro farsi scherzi a vicenda, ridere per ogni cazzata, prendersi in giro, sparlare dei secchioni al tavolo blu-argento e così via. Poi ogni tanto le vedeva, in compagnia. Anche loro sembravano stare bene. Beatrice le osservava più che potesse e a volte costringeva Eric a trovarsi ovunque si trovassero loro pur di poter scorgere più da vicino i loro volti. Pur di assicurarsi che qualunque cosa avesse fatto, non stesse influenzando il loro umore o le loro anime. « Stanno bene.. tu cosa ne pensi? » "Ti prego, la Potter starà bene solo quando riuscirà a strappare un Eccezionale da Burgoyne. Aspetta e spera cocca." Le rispondeva lui mentalmente facendola ridere. « A Malia sono cresciuti i capelli. » Lo sguardo si concentrava sul polso su cui ogni tanto riusciva ancora a scorgere il bracciale in argento che le aveva donato ormai molto tempo addietro. Un sorriso spontaneo le sorgeva allora sulle labbra senza dire o pensare altro. Quando Beatrice si concentrava su questi dettagli, Eric staccava la testa - più o meno - e la lasciava vagare nel suo spazio vitale a proprio piacimento. Le mancava. Non tanto stare lì in mezzo, cosa che faceva sin troppo spesso grazie al legame con il giovane Donovan, quanto proprio quell'aria. L'idea di farsi spazio tra i corridoi al cambio dell'ora, alzare gli occhi al cielo e fare commenti sarcastici a destra e manca; le mancava bastonare Sam e Dean ogni qual volta le chiedessero aiuto con i compiti. Accidenti le mancava persino ignorare le persone. Le mancava litigarci, scontrarcisi, avere la meglio o al contrario, soccombere in una qualunque forma di lite. Cristo santo, le era mancato persino Watson e il suo muso pallido da ragazzetto dalla salute cagionevole. E ora era lì, in quello spazio angusto, stretta tra le pareti di una prigione fredda; completamente ristrutturata, un cazzo, si ritrovò a pensare mentre disfaceva i suoi bagagli, senza mettersi poi troppo comoda. Sin da quando l'annuncio era stato fatto, Beatrice non aveva più trovato pace. La sera stessa del banchetto si era recata in biblioteca per trovare informazioni sul conto di Edmund Kingsley e da lì è stato un programma in discesa. Nonostante fosse stata in grado di reperire ben poche cose, il suo spirito combattivo si stava già preparando ad affrontare qualunque sorta di difficoltà le nuove prerogative di Hogwarts le avrebbero messo di fronte. Si sentiva ingabbiata, perennemente arrabbiata, quasi come se il suo cervello e il suo cuore venissero compressi di continuo da una forza gravitazionale altra. Posto il baule sotto al letto, si ritrovò a setacciare la sua cella alla ricerca di posti in grado di celare i suoi segreti. Un mattone leggermente ballerino, le permise di nascondere un po' di punte fresche, e qualche piccola arma da taglio. Nient'altro. Non avrebbe appeso quadri alle pareti e nemmeno poster. Nessun cimelio di famiglia sul comodino, nessuna foto di parenti o amici. Questo l'atteggiamento di chi non aveva la minima intenzione di posare le chiappe d'oro troppo a lungo in quel posto.
    Infine, salta sulla sua brandina con l'ultimo libro che Eric le ha prestato; Voltaire, Trattato sulla tolleranza. Così adatto alle circostanze.
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    Non leggerà tuttavia troppo a lungo, poiché non appena bussano alla porta, la Morgenstern si ritrova a scattare come una molla, quasi come se fosse appena stata sorpresa a fare qualcosa di illegale. La paranoia, brutta bestia. Non appena la porta si apre, il boato esterno irrompe nell'ambiente buio della stanzetta-cella. Lì fuori c'è il delirio. Tutti ancora intenti a spostare bauli, piangere e urlare. C'è chi evidentemente trova anche il tempo per farsi due risate. In fin dei conti, s'immagina già come Dean e quelli come lui vedranno un soggiorno del genere. Esperienza altamente formativa nonché vacanza studio e periodo di prova per quando finiranno tutti in galera per davvero. Dean; sempre pronto a non prendere le cose sul serio. « Mi sono sempre chiesta come facessero i Serpeverde a sopportare l'assenza d'aria che c'è qui sotto » Quella voce le è estremamente famigliare. Le sorride e le fa cenno di entrare, prima di chiudere la porta per attutire il trambusto divagante che c'è lì fuori. Malia si accomoda accanto a lei e Beatrice di rimando chiude il libro e lo posa sul comodino dal sostegno precario. « Adesso per lo meno so come ci si sente » « Capisco anche le loro difficoltà oggettive nel formulare un pensiero di senso compiuto. C'è un'evidente mancanza di ossigeno qui dentro. » E nel dire ciò appoggia la testa contro il muro alle sue spalle e punta lo sguardo verso il soffitto. La cosa peggiore di queste tenebre, non è la mancanza di luce in sé, quanto l'effettiva mancanza di aria. Dopo aver dormito per quasi un anno sotto le stelle, essere compressa tra quattro mura in assenza di luce e abbastanza ossigeno, era come esporre un vampiro a piccole dosi di raggi solari. « Sono capitata in stanza con una Corvonero matta che ha l'abitudine di ripetere ad alta voce tutto quello che studia. Se l'obiettivo di King è farci impazzire tutti quanti, con me ci sta riuscendo alla grande » Si ritrova a ridacchiare, cosa che non fa a dirla tutta da parecchio, non con Malia, ma nemmeno in generale. Conosce bene l'avversità della Grifondoro nei confronti dei secchioni. Ai tempi in cui condividevano ancora lo stesso dormitorio, Malia storceva il naso ogni qual volta Beatrice la spingesse in biblioteca, ogni qual volta la vedesse fare i compiti fino a tarda ora. Prima il piacere e poi il dovere. Due poli opposti; eppure, in qualche modo compatibili, quanto meno finché non erano entrate di mezzo le troppe stranezze di Tris, che con il tempo oltretutto si sono moltiplicate all'ennesima potenza. « Scappa! Scappa finché puoi! » E dicendo ciò si ritrovò a fissare la brandina della sua vicina. Non aveva ancora idea di chi le avessero assegnato. Era certa che non avrebbe poi fatto molta differenza. Era certa che avrebbero trovato il modo per non restare lì troppo a lungo. « Come te la passi? » Sorrise lievemente di fronte a quella domanda e rimase per un tempo infinitamente lungo pensierosa, cercando di trovare la risposta adatta da darle; qualcosa che fosse effettivamente sincero e genuino, ma non troppo preoccupante. Se avesse dovuto togliersi un peso dallo stomaco, cosa che ormai non faceva più nemmeno con Eric, avrebbe dovuto iniziare una lamentela lunga mezz'ora. Non me la passo. Ho un marchio che mi brucia perennemente alla base della schiena. Sono sempre rabbiosa - no, non rabbiosa; sono proprio incazzata come una bestia. Non dormo e ho perso il conto di quante costole mi sono rotta durante l'ultimo anno. Mio padre è morto, ed è anche colpa mia. E ora ho l'Inquisizione alle calcagna che mi fa terrorismo psicologico tutti i santi giorni nella speranza che io ceda di spontanea volontà alle loro richieste. Non me la passo. Ma tutto ciò non lo dice, Beatrice, e non dice nemmeno tante altre cose che vorrebbe poter riversare sulle spalle di qualcun altro. Scuote la testa e si piega appena per afferrare la tracolla dalla quale tira fuori una scatola di cioccolatini. Li ha ricevuti quella stessa mattina da suo cugino, Wolfgang. « Starei meglio se potessi condividere questa roba con un'amica, piuttosto che ingrassare da sola. » Scarta l'imballaggio e ne afferra uno al rum, per poi sistemare la scatola tra il ginocchio sinistro di lei e il destro di Malia. « Ho avuto periodi migliori.. » Inizia infine. « Ci sono stati un po' di casini a casa.. » Un funerale, liti, eredità da spartire, polemiche da sedare. « ..cose da sistemare. Gente da bastonare.. NON LETTERALMENTE! Giuro! » Si ritrovò a sorridere per un attimo, prima di rubare un secondo cioccolatino. Quel lato di Beatrice che bastona la gente, era quanto meno qualcosa che doveva suonare famigliare per Malia. Ne aveva fatto una missione all'interno delle mura del castello. Il regno del terrore dei Grifondoro. Tutto ciò sembrava così lontano ora. Pensare di togliere punti a dei ragazzi solo per essersi accesi una sigaretta nel proprio dormitorio sembrava ormai impensabile, oltre che alquanto patetico. « Ma non deprimiamoci. Poi ti racconterò di casa.. » Di Richard. Non voleva che la loro prima vera conversazione dopo un tempo infinitamente lungo venisse di netto troncata da eventi tristi come morti e funerali. E in fin dei conti Beatrice era la prima a voler cancellare anche solo per pochi istanti quanto accaduto negli ultimi due mesi della sua esistenza. Un incubo, un calvario di proporzioni bibliche. « Dimmi di te, di Hogwarts. Cos'è successo? Per dieci minuti, minimo, voglio gli scoop più succulenti del castello. Voglio sapere chi ha rimorchiato chi, e soprattutto, chi ha rimorchiato te. » Dicendo ciò le fece cenno di darle le spalle. Non appena lo fece le raccolse i capelli, passandoci le dita affusolate tra la folta chioma d'ebano. « In cambio, mademoiselle, la pagherò, realizzando una delle acconciature più couture che i miei viaggi mi hanno permesso di imparare. » Ne aveva bisogno. Ne avevano bisogno entrambe. Essere due normale ragazze diciassettenni che si fanno - letteralmente - le treccine, e sparlano di ragazzi. Prima o poi sarebbe arrivato anche il momento delle cose serie, se lo sentiva, ma per dieci minuti, solo dieci, potevano concedersi una pausa. Anche tu Beatrice, anche tu puoi.

     
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    A discapito delle mura fredde e dell'aspetto glaciale della stanza, delle mattonelle rotte sul pavimento e della totale assenza di aria, Malia, una volta entrata, si sente un po' più a casa di quanto avrebbe immaginato. A lei basta sempre un viso amico, un sorriso ad una sua battuta scema per essere a proprio agio anche nel posto peggiore della terra. Anche a Hogwarts, ora che è diventata una gelida cella da cui non puoi scappare. Sforzarsi nella ricerca dei lati positivi delle cose è sempre stata un po' la sua cifra, un modo che ha per sfuggire alla brutta realtà che è costretta a vivere, e trovare quelle piccole grinze di felicità che le ravvivano la giornata: Beatrice, oggi, col suo sorriso appena accennato e la sua risposta pronta, è una di queste.
    Si stringe nelle spalle, al commento dell'amica, mentre si sistema meglio sul letto accanto a lei, e non può che trovarsi d'accordo. « Vedi, doveva pur esistere una ragione che spiegasse la loro idiozia. Ma vogliamo loro bene così per come sono » Eccetto qualcuno. La giovane Grifondoro non è una che si fa trascinare dal morbo del pregiudizio, eppure, nonostante la sua grande apertura verso tutti i suoi compagni, non può non ammettere l'esistenza di alcune personalità, appartenenti alla casata di Salazar, a dir poco insopportabili. Giusto l'altroieri è stata sul punto di piantare un bel pugno sulla faccia di Percy Watson, in seguito ad una lite accesa nata per una cosa stupida come un calderone.
    « Scappa! Scappa finché puoi! » Sorride, scuotendo un poco la testa alle parole della compagna, e si stringe nelle spalle. Non ha voglia di mostrarsi così poco tenace sin da subito, e soprattutto non crede che sia esattamente la mossa migliore, specie dopo un discorso come quello di Kingsley al banchetto di qualche sera fa. Dovrebbe, piuttosto, farsi vedere forte e impossibile da scalfire, una ragazza che sa adattarsi a qualunque situazione e che non si lamenta per una compagna di stanza troppo noiosa. Vuole dimostrare di avere fegato. Di non impazzire.
    Si morde il labbro inferiore, allunga meglio le gambe sul letto e le incrocia una sull'altra, i piedi che stanno fuori dal materasso e che si muovono in un tremolio incessante. « Non lo so, sai. Forse voglio provarci, magari non è così male come sembra. Penso che vedrò come va. In caso, posso sempre venire a infastidire te, Olympia, oppure i ragazzi » Non è sicura del tipo di controlli che avranno quotidianamente qui nei sotterranei, ma qualcosa le dice che non sarà tutto rose e fiori come fino a qualche tempo fa, quando ci si poteva intrufolare nella notte nella stanza di qualcun altro senza troppi problemi; eppure la cosa non la preoccupa più di tanto. Nella sua carriera scolastica è stata sorpresa a fare cose ben più gravi, e non sarà certo uno scemo come Eddy King a farle venire il terrore delle autorità, così all'improvviso.
    Gli occhi della giovane s'illuminano di colpo, quando Tris tira fuori la scatola di cioccolatini da condividere e la interpone tra loro due. Ne prende uno, senza fare troppi complimenti, e dà un primo morso mentre, gli occhi fissi sulla parete di fronte, ascolta la breve panoramica della vita dell'amica. Non sa bene come interpretare. Casini a casa può significare tutto e niente, e, conoscendo poi il tipo di famiglia da cui Beatrice proviene, la Grifondoro in questo momento potrebbe star facendo riferimento davvero a tutto. Vorrebbe frenarla, Malia, tirar fuori la sua indomabile curiosità e fare altre domande, perché è stata bloccata un anno intero a Hogwarts a farsi bastare uno spicciolo Se ne è andata, a mordersi la lingua per evitare di dire qualcosa che non avrebbe dovuto, e rivelare troppo. Inspira, tra una pausa e l'altra dell'amica, come se stesse per dire qualcosa; alla fine però stringe il labbro inferiore tra i denti anche questa volta, e decide piuttosto di lasciarla finire.
    « ...cose da sistemare. Gente da bastonare... » Col cioccolato ancora in bocca, inarca un sopracciglio e si volta alla sua destra lentamente, per incrociare lo sguardo dell'amica, con fare indagatorio. Fortunatamente quest'ultima capisce al volo la sua occhiata e, con un sorriso, si appresta ad aggiungere: « NON LETTERALMENTE! Giuro! » Malia ride con lei e scuote la testa, divertita, mentre recupera un secondo cioccolatino dalla scatola e lo avvicina alle labbra.
    « Sai com'è, quando si parla di queste cose, con te, c'è sempre da stare cauti » dice, appoggiando la testa al muro dietro di lei e osservando il soffitto, per qualche istante. Sta ripensando a tutte quelle volte, nell'anno passato, in cui l'approccio severo e deciso della Caposcuola della casata di Godric avrebbe potuto essere utile. Olympia è senza dubbio stata impeccabile nel suo lavoro, come sempre, ma talvolta a Grifondoro c'è stata un po' troppa anarchia - perfino per i gusti della mora. « Avresti dovuto esserci, quest'anno. Avresti messo a posto un paio di coglioncelli » Sospira. Vorrebbe dirle che le dispiace, che proprio adesso che è tornata la sua carica le sia stata tolta in questo modo, che non è giusto e che nessuno di loro lo meritava. Ma sono parole sprecate, perché Beatrice queste cose le sa già e, soprattutto, Malia sa che non sarà di certo una stupida spilla a crearle dispiaceri.
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    « Dimmi di te, di Hogwarts. Cos'è successo? Per dieci minuti, minimo, voglio gli scoop più succulenti del castello. Voglio sapere chi ha rimorchiato chi, e soprattutto, chi ha rimorchiato te. » La mora solleva un angolo delle labbra, in un mezzo sorriso, e lascia che Tris si sistemi alle sue spalle e raccolga i capelli tra le proprie mani. Si sistema meglio sul letto e recupera un altro cioccolatino dalla scatola, come a voler prendere tempo.
    Non ha mai avuto la pretesa di pensare di conoscere davvero Beatrice Morgenstern. Le è stata amica, per un tempo, e forse lo è ancora, in un modo strano e ancora non ben definito, ma mai avrebbe la certezza di affermare di sapere ogni cosa di lei. È sempre stata uno di quei libri complessi, la giovane Grifondoro, di quelli che all'inizio pensi di capire ma che, ad un tratto, ti sorprendono come mai avresti pensato. E allora devi ricominciare a leggere da capo e interpretare tutto di nuovo, cercare gli indizi nascosti tra le righe e soppesare ogni parola già letta, perché ci sarà sempre un significato latente. Malia lo ammette, di Tris conosce soltanto pezzi di storia, e qualche manifestazione sporadica del suo essere, ma il resto è ignoto per lei. Eppure adesso, mentre le intreccia i capelli e la esorta a raccontarle le storie più stupide e inutili del castello, Malia pensa di capire cosa c'è dietro. Poi ti racconterò di casa. Anche Tris, come lei, ha bisogno di staccare la spina da tutte le negatività, e dalla pesantezza del mondo che la circonda e che - Malia lo può intuire con non troppe difficoltà - deve essere almeno un miliardo di volte più soffocante del suo.
    E allora le regala una risata, cerca di suonare il più spontanea possibile, perché vuole esserlo, davvero; poi abbassa un po' la testa per consentirle un lavoro più semplice, facendo partire il classico fiume di parole à la Stone. « Oddio, c'è così tanto da dire » comincia, con fare quasi drammatico, portando una mano al petto, per poi prendere un enorme respiro. « Partiamo dai reali. Malfoy e la Windsor si sono lasciati » si stringe nelle spalle. Non crede che questa notizia possa importare più di tanto a Tris, così come non è importante per lei, ma, sì, insomma, per dovere di cronaca. « E invece il suo fratellino se la fa con Reina Bruke. Almeno così pare. Non ne sono proprio sicurissima, devo essere onesta. Poooi... qualcuno ha visto in giro Watson e la Dagerman insieme, ma insomma, non è una grande sorpresa, considerato che lei se la fa con chiunque » ridacchia leggermente, sforzandosi però di mantenere ferma la testa in modo da agevolare la compagna. « Olympia e Rudy, se devo essere sincera, non me la raccontano giusta. Ma la conosci lei, negherà fino alla morte. Cos'altro... Oh! Donovan si è diplomato, sai. Non so cosa stia facendo adesso, però fino a quando era qui si è divertito parecchio, devo dire » osserva, portando due dita al mento con fare pensieroso. Un vero peccato vedere la stella del Quidditch inglese andar via dal castello; non ha mai davvero legato con lui, ma ha pur sempre rappresentato per anni un punto di riferimento per tutti i Grifondoro. « Dean credo sia riuscito a concludere l'ardua impresa di uscire con tutte le ragazze del castello. Cioè, credo abbia completato almeno due casate per intero, anche se non mi ricordo esattamente quali. E Sam non è stato da meno » Il Serpeverde lo liquida velocemente, con un gesto rapido della mano, nella speranza che l'amica non avverta la nota di stizza che ormai viene fuori naturalmente nel parlarne, e che nemmeno lei ha voglia di sentire colorare la sua stessa voce. « Io... niente di particolare, davvero. Per un po' sono stata un ragazzo, un Corvonero, si chiama Wilhelm. Ovviamente non ha funzionato » si stringe nelle spalle, con fare noncurante. Non che non le importi, però sapeva già come sarebbe andata a finire quando la storia è iniziata. Lei e Wilhelm stonavano in tutto, ed era chiaro fin dal primo giorno; a questo si è aggiunto il solito comportamento di lei. Non è mai stata fatta per questo tipo di cose, per l'amore e i sentimenti, proprio non li capisce e non li sa gestire. Non sa essere costante e per quanto ci provi, ad impegnarsi, rovina sempre tutto con i suoi atteggiamenti. « È che, lo sai, sono sempre un po' cogliona per queste cose, io. Lui era adorabile, davvero, ma io... non so stare ferma » su una sedia, dietro al mio banco, in una relazione, nella vita. Ha bisogno di muoversi in continuazione e non ce la fa a stare. Non ce l'ha fatta con Wilhelm e dubita di poterci riuscire con qualcun altro.
    Si sforza di pensare, andare a ritroso con la mente nell'ultimo anno e cercare qualche altra notizia interessante, ma, a onor del vero, questo non è stato più avvincente di quelli precedenti. « La verità è che è stato tutto un po' noioso, quest'anno. Buon per te, però, sei arrivata appena prima del colpo di scena » sorride, un po' amaramente, mentre le pupille si spostano di lato, in modo da spiare con la coda dell'occhio la reazione della compagna.
    « E adesso, invece, faremo in modo di trovare qualcuno per te. E non mi dire che hai intenzione di mettere su Miss Muro ancora, perché sappi che piuttosto ti rifilo un filtro d'amore. » riprende a parlare velocemente, presa da una da una foga improvvisa, e si sfrega le mani con fare cospiratorio. « Vedi, se c'è qualcosa per cui possiamo ringraziare Kingsley è che ora, con questa nuova sistemazione, sarà senza dubbio più facile trovare un ragazzo. Tanto i Purosangue non ci piacciono. Sono tutti arroganti e boriosi; e quelli che non lo sono lo diventeranno presto con questi nuovi privilegi » conclude, soddisfatta, e fa per voltarsi verso l'amica ma le mani di quest'ultima la bloccano per i capelli. « Allora, che dici? Hai già messo gli occhi su qualcuno? »


    Edited by chärlie - 1/5/2017, 20:35
     
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    Non ricorda l'ultima volta che è stata effettivamente bene con qualcuno. E così se ne approfitta. E improvvisamente ricorda. Nonostante le liti che lei e Malia hanno avuto in passato, ricorda perfettamente perché la ragazza le era piaciuta sin dal primo momento. Malia era divertente, uno spirito libero e tendeva a coinvolgere senza se e ma chiunque le stesse attorno. La Stone aveva davvero energie da vendere, e le impiegava quasi sempre nel cercare di vivere la sua vita al meglio. Malia era quella del bicchiere mezzo pieno il più delle volte. Era la testa calda che non si piegava di fronte a niente e che lottava intensamente per ogni cosa che desiderasse. Non aveva mai cattive intenzioni. « Oddio, c'è così tanto da dire. » Ed è come invitare la Stone a nozze poiché si getta in una lunga scia di nomi ed eventi che Beatrice si assapora con grande interesse mentre le intreccia i capelli. « Partiamo dai reali. Malfoy e la Windsor si sono lasciati. E invece il suo fratellino se la fa con Reina Bruke. Almeno così pare. Non ne sono proprio sicurissima, devo essere onesta. » « Reina? Davvero. Non sapevo avesse una passione per i royals. » E dicendo ciò scoppiò a ridere ben consapevole del fatto che quei due non le erano mai piaciuti. Nemmeno un po'. Così tanta puzza sotto il naso, da vendere a palate. « Poooi... qualcuno ha visto in giro Watson e la Dagerman insieme, ma insomma, non è una grande sorpresa, considerato che lei se la fa con chiunque » « E' Watson che mi sorprende. Chissà perché ho sempre immaginato che un giorno avremmo fatto i conti con il suo coming out. » Si stringe nelle spalle. « E tanto per essere chiari, nonostante sia insopportabile, sarebbe stata una tragedia. » Un bel ragazzo. Doveva prendere le cose un po' più alla leggera. Ma a dirla tutta, Beatrice poteva davvero rimproverare qualcuno di non prendere le cose alla leggera? NO! Assolutamente no. « Olympia e Rudy, se devo essere sincera, non me la raccontano giusta. Ma la conosci lei, negherà fino alla morte. » Su quel punto si stringe nelle spalle. « Quei due. » Dice alzando gli occhi al cielo. « Avevo intuito ci fosse qualcosa già a Natale dell'anno scorso. Prima o poi riceveremmo le partecipazioni, te lo dico io. » Due vecchie comari di paese. « Cos'altro... Oh! Donovan si è diplomato, sai. Non so cosa stia facendo adesso, però fino a quando era qui si è divertito parecchio, devo dire. » Ed eccola; la grande rivelazione di cui non avrebbe voluto essere messa al corrente. Fu lieta di sapere Malia di spalle, perché l'espressione assunta dalla Morgenstern sul punto fu un misto di amarezza e fastidio. Lo sapeva; lei lo sapeva. Lei lo aveva accettato. Glielo aveva lasciato fare. Lasciò quindi il punto cadere, ascoltando cosa la Stone avesse ancora da dire. L'argomento Donovan era da evitare. « Dean credo sia riuscito a concludere l'ardua impresa di uscire con tutte le ragazze del castello. Cioè, credo abbia completato almeno due casate per intero, anche se non mi ricordo esattamente quali. E Sam non è stato da meno. » Alzò gli occhi al cielo scoppiò a ridere nel sentir parlare di due dei loro, forse, migliori amici. « Sai io ho una teoria: un giorno ci resteranno così infognati con una persona e patiranno così tanto da pagare per tutte le loro conquiste passeggere. E' solo questione di tempo prima che il karma li punisca. »
    Ma deve ammettere che ciò che le interessa di più è Malia; vorrebbe sapere come è stata lei, come si è sentita, che cosa ha fatto. Guardarla da lontano non era come essere effettivamente là. Si era accorta Beatrice di quanto la sua presenza fosse importante - anche solo per imbruttirsi a vicenda e litigare per cavolate - solo quando non c'era più stata. « Io... niente di particolare, davvero. Per un po' sono stata un ragazzo, un Corvonero, si chiama Wilhelm. Ovviamente non ha funzionato. È che, lo sai, sono sempre un po' cogliona per queste cose, io. Lui era adorabile, davvero, ma io... non so stare ferma. La verità è che è stato tutto un po' noioso, quest'anno. Buon per te, però, sei arrivata appena prima del colpo di scena. » Sospira e a quel punto, finiti di intrecciare i capelli li ferma alla base con un elastico lasciato sul comodino. L'idea di quanto successo in sala grande ha tutto il sapore di una sconfitta per la Morgenstern. Deve mandarla giù, ma non ci riesce fino in fondo. Li ha costretti a brindare assieme a lui, a piegarsi; ha sorriso loro con la cordialità di un amico, di una figura rassicurante. A quel punto si sposta sulla brandina di fronte alla propria, per poter avere la ragazza faccia a faccia. « Credo che preferisco la versione di Moses. » E così schiarendosi la voce, cercò di emulare la voce da tossico coglione dell'amico. « Porti iella Morgenstern! Mannaggia a te. Viè qua e fatti una canna. E una risata per piacere, Morgenstern, che siamo ancora vivi. » Ecco, più o meno questo era stato il tasso.

    « E adesso, invece, faremo in modo di trovare qualcuno per te. E non mi dire che hai intenzione di mettere su Miss Muro ancora, perché sappi che piuttosto ti rifilo un filtro d'amore. Vedi, se c'è qualcosa per cui possiamo ringraziare Kingsley è che ora, con questa nuova sistemazione, sarà senza dubbio più facile trovare un ragazzo. Tanto i Purosangue non ci piacciono. Sono tutti arroganti e boriosi; e quelli che non lo sono lo diventeranno presto con questi nuovi privilegi. Allora, che dici? Hai già messo gli occhi su qualcuno? » Scoppiò a ridere di fronte a quelle frasi. Forse avrebbe dovuto dirglielo. Forse avrebbe dovuto togliersi il peso con qualcuno. Sfogarsi. Parlarne. Una parte di lei voleva un consiglio, uno serio, non tipo quello di suo fratello che le aveva detto una cosa del tipo sorella, non abbiamo tempo per le sciocchezze. L'altra parte di sé ha paura che parlarne a voce alta renderà tutto troppo vero. E lei, Beatrice, è riuscita a sopravvivere all'idea di quel legame solo ed esclusivamente grande al fatto che esisteva solo nelle loro teste e da nessun altra parte. Sapeva che tra lei ed Eric non sarebbe mai stato facile; non stare insieme e tanto meno uscire allo scoperto, semplicemente perché nonostante fossero così simili, avevano due vite davvero diverse. Si capivano, forse come nessun altro al mondo fosse in grado di capirsi. Sapevano concedersi gli spazi necessari per poter sopravvivere senza intralciarsi, ma al contempo, sapeva Beatrice di avere bisogno anche delle cose più sciocche di una relazione. Quelle che non si era mai concessa. Un'uscita a Hogsmeade, una cena, il cinema con la maxi confezione di pop corn. In quel loro mondo tutto ciò sembrava sempre più difficile da realizzare. E non solo per Beatrice, dato il suo stile di vita. Lo stava diventando un po' per tutti. « Io spero vivamente che avremmo tempo di rimorchiare. » Lei non ne aveva prettamente bisogno. Probabilmente non lo avrebbe comunque fatto. Beatrice faceva parte di quella categoria che non si concedeva di flirtare. O le cose le cadeva giù dal cielo, oppure non si sforzava troppo, ma poi aveva anche la pretesa di lamentarsi di essere sola. C'era poi quella cosa dentro di lei che non le permetteva mai di focalizzarsi effettivamente su ciò che desiderava. Era come se la distogliesse da qualunque forma di felicità potesse aspirare. Lei, quell'essere immondo penetrato nel suo cuore, faceva di tutto pur di renderla infelice. Era il pegno da pagare per aver voluto elevarsi a dio, salvando la ragazza che aveva di fronte a sé.
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    « Le cose si stanno mettendo male. » Inizia quindi, lasciandosi dominare da un serio senso di sconforto. Si passa le mani tra i capelli, scivolando giù dalla brandina fino a toccare terra. Le ginocchia nuovamente incollate al petto e la fronte incollata contro quest'ultime. « Non solo qui dentro. Anche là fuori è tutto così.. » Incerto. Incasinato. Indeterminato. « Avevi ragione l'altra sera a cena. » L'aveva guardata in volto e aveva visto il suo sconforto. La sua proposta, attendere, non fare nulla, non era certamente piaciuto alla giovane Stone, e a dirla tutta non piaceva nemmeno a lei. Ma Beatrice a differenza della ragazza era sin troppo cauta, forse sin troppo paurosa per agire d'istinto. « Dobbiamo fare qualcosa. » Continuò quindi riprendendo quelle che erano le parole della Grifondoro. « TU, devi fare qualcosa. » Pausa. Una pausa lunghissima prima di sospirare e alzarsi in piedi, rubandosi un altro cioccolatino dalla scatola. « Ecco, cercherò di spiegarti un po' di cose, e tu devi promettermi che non darai di matto. » Conosceva in parte il suo carattere; sapeva che la Stone tendesse a filtrare tutto attraverso le sue esperienze. Ogni qual volta Beatrice avesse provato a spiegarle qualcosa su di sé, aveva visto un senso di terribile confusione sul volto della ragazza. Anche questa volta l'avrebbe forse confusa. Ancora più del solito, ma come sempre, non pensava ci fosse una persona migliore nelle cui mani abbandonare un pezzo di sé. Dille cosa hai fatto. Perché non glielo dici. Ancora quella voce. Quella voce maliziosa nella sua testa che la sbeffeggiava. « E' morto mio padre. » Hai ucciso tuo padre. E' anche colpa tua. L'hai guardato morire. « Lui era una specie di.. guida.. per la mia gente. Era il nostro leader. Quando un leader muore, automaticamente tutte le responsabilità della gilda passano nelle mani del suo successore. In questo caso io. » Un'altra pausa, il tempo di far metabolizzare le cose alla ragazza. « Ora tutto ciò che io faccio, si riflette automaticamente sui miei cari. Ma non è questo il punto. Ho pensato per tanto tempo che questa fosse una questione che riguardasse solo me. Ma la verità è che tutti noi siamo minacciati allo stesso modo. Tu fai una cosa e se la prenderanno con i tuoi e con te. Io faccio una cosa e loro se la prenderanno con i miei e con me. Se la prenderanno con i nostri amici qui dentro. » Prese la sua mano, tornando a sedere accanto a lei. Uno sguardo intenso, colmo di sottintesi. « Questa situazione non piace nemmeno a me. Cazzo, li prenderei a coltellate uno ad uno! Ma non possiamo. Non sappiamo chi sono, quanti sono, da dove arrivano, che cosa vogliono. Per questo devi promettermi che starai attenta. E la prossima volta che Edmund Kingsley ti chiederà di alzare la coppa in onore della sua fottuta persona, lo farai. Devono pensare che ci hanno in pugno, altrimenti ci terranno d'occhio. E noi non potremmo fare niente. » Dicendo ciò infine, strinse le dita di lei con maggiore forza avvicinando il volto al suo orecchio. Perché si sa, qui le pareti sono sottili e non si è mai in grado di sapere quando un fantasma spunterà fuori dal nulla. « E a proposito di ciò, c'è qualcuno che mi sta seguendo sempre. Ogni qual volta esca fuori di qui. » Altra pausa. Deglutisce fortemente prima di chiudere gli occhi ben consapevole di cadere forse per la prima volta preda alle debolezze di fronte alla Stone. « E ho paura. »


     
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    Raccontarsi è facile. Non lo avrebbe detto, Malia, ma è un po' come se quell'anno di silenzio tra loro non ci fosse stato, e quando sente l'amica ridere o infilare i propri commenti nel suo racconto è come se all'improvviso fossero catapultate da un'altra parte del castello, nella torre di Grifondoro, coi volti più distesi e le risate, quelle vere, quelle forti e incontrollabili che ti fanno venire il mal di pancia, sempre pronte sulle labbra. C'è qualcosa che non è cambiato, nel modo che hanno di rivolgersi l'una all'altra, negli sguardi d'intesa che si scambiano e che sanno interpretare senza troppe difficoltà. Sono sempre Tris e Malia, nonostante tutto, e imparano a ritagliarsi attimi di serenità anche in certe giornate, così appesantite dal cambiamento.
    Piega le gambe, avvicinando le ginocchia al petto, mentre con le dita di una mano percorre l'acconciatura che l'amica le ha appena regalato, col tentativo di percepirne la bellezza attraverso il solo tatto. Ovviamente Kignsley, nell'arredamento delle celle sotterranee, non si è sprecato più di tanto, e così anche le stanze femminili sono prive di qualsiasi superficie utile a specchiarsi. Come gli animali, pensa indignata fra sé e sé, mentre si rivolge verso la Grifondoro e risponde alla sua imitazione di Dean Moses con un accenno di sorriso: « È vero, l'importante è ricordarsi che c'è sempre di peggio nella vita, no? » si ritrova ad osservare, e all'improvviso si sente una di quelle vecchiette di quartiere che è sempre stata abituata a vedere il bicchiere mezzo pieno, una di quelle il cui motto è "l'importante è che abbiamo la salute". , si ritrova a pensare, forse l'importante è proprio questo. Sopravvivere.
    « Io spero vivamente che avremmo tempo di rimorchiare. » Nell'udire il cambio di tono di voce di Beatrice, la mora sospira, poco propensa a spostare la conversazione su argomenti più seri. È così bello restare ancorati al passato: raccontarsi storie che non hanno utilità, solo per il gusto di farlo, scambiarsi pareri e giudizi su cose che potrebbero essere ignorate, prendere in giro i propri compagni e sognare, almeno per qualche istante ancora, di avere la pace.
    Malia scuote la testa, e con un gesto rapido della mano annuncia il suo dissenso. « Vedrai che riusciremo a infilarcelo, tra una protesta e l'altra » scherza, rubando un ultimo biscotto dalla scatola della compagna. Parla per parlare, in fin dei conti, e il fatto è che non ci crede nemmeno lei, a quello che dice. Trovare qualcuno in questo momento è forse l'ultima cosa che vuole e di cui ha bisogno, ma c'è sempre un non so che di felice, e spensierato, e normale nel parlare di ragazzi e nel lamentarsi della propria vita sentimentale. È uno di quei cliché che probabilmente Tris non sopporta ma che Malia sente di dover portare in tavola, perché è sempre stato suo il ruolo, essere quella non troppo seria né troppo saggia.
    « Le cose si stanno mettendo male » e qui non c'è molto da sdrammatizzare, perché la mora sa benissimo che questa è la nuda e cruda verità, che la situazione sta davvero degenerando, che devono trovare un modo per fare qualcosa, tutti loro. E fa per parlare, dire a Beatrice quello che pensa per filo e per segno, raccontarle di tutte le idee che le sono balenate in mente in questi giorni e proporle di metterne in atto qualcuna, ma quando vede l'amica scivolare fino al pavimento, con la testa tra le ginocchia, capisce che non è solo Kingsley il problema; che c'è dell'altro che non va e che, come sempre, Beatrice Morgenstern pensa di poter affrontare tutto da sola.
    Sospira. « Tris... » comincia, e questa volta un'idea ben chiara di come continuare ce l'ha, perché ha passato un anno intero ad allenare queste parole nella gola, a dirle nei suoi sogni che con lei può parlare, che non è sola, che lei, nonostante non sembri, è una che i segreti li sa mantenere più che bene. E Beatrice per prima dovrebbe saperlo. Ma non riesce a continuare, perché la mora solleva lo sguardo, più determinata, e riprende a parlare.
    « TU devi fare qualcosa » dice ad un tratto, e a queste parole Malia quasi sussulta, per il tono con cui vengono pronunciate dalla sua interlocutrice e per l'occhiata che l'accompagnano. Non sa esattamente cosa dire, in questo frangente. Aggrotta le sopracciglia, incerta, e si limita ad annuire rapidamente, facendo cenno alla compagna di andare avanti. Qualunque cosa c'è da fare, lei la farà. Non per nulla è una Grifondoro: loro non si tirano indietro di fronte a niente. « Ecco, cercherò di spiegarti un po' di cose, e tu devi promettermi che non darai di matto. »
    Prende un bel respiro. Non è la prima volta che la Stone si ritrova sommersa da un enorme carico d'informazioni fornite tutte in una volta, e, considerato che sta parlando proprio con Tris, sa anche esattamente che tipo di notizie aspettarsi: di certo non possono essere buone nuove. Si stringe nelle spalle, mostrando l'espressione ormai rassegnata che l'agonia di queste ultime giornate gli ha cucito addosso. Cosa può esserci di peggio di tutto questo? Esiste davvero un gradino più basso dell'umiliazione, dello scherno, della perdita anche del diritto di parola? « Guarda che mi sottovaluti. Non ho dato di matto la sera del banchetto con Kingsley, penso di poter resistere a tutto ormai » si permette d'infilare un sorriso amaro, e con una stretta di spalle concede di nuovo la parola all'amica.
    « E' morto mio padre. Lui era una specie di.. guida.. per la mia gente. Era il nostro leader. Quando un leader muore, automaticamente tutte le responsabilità della gilda passano nelle mani del suo successore. In questo caso io. »
    Spalanca gli occhi, un misto di sorpresa e compassione nel suo sguardo. È pur vero, che Malia era pronta a sentirsi dire qualunque cosa, ma questo proprio non se l'aspettava. « Io non sapevo... Oddio mi dispiace Tris. Perché non mi hai detto niente prima? » Non è certa di quanto possa la sua empatia essere gradita agli occhi della Morgenstern. Lei è una che affronta la vita di petto, che non si piange addosso né ha rimpianti, e forse anche le condoglianze sono qualcosa di inutile, per la sua filosofia. Si sforza, piuttosto, nel concentrarsi sul resto di cose che l'amica le sta dicendo: con la morte del padre, lei è subentrata come guida della gilda. A questo, lì per lì, ovviamente Malia non aveva pensato; eppure Beatrice gliene aveva parlato, qualche volta, delle sue responsabilità future e di come, fin da piccola, la sua educazione fosse stata fortemente improntata su questo aspetto. Non si è mai sbilanciata nelle descrizioni, è vero, mantenendo sempre un certo grado di riservatezza, ma negli anni Malia è riuscita a carpire qualche informazione qua e là. E tutte le volte che s'immaginava Beatrice Morgernstern come capo di un gruppo di cacciatori, vedeva di fronte a sé una donna adulta, forte e senza paura, con i segni del tempo e dell'esperienza evidenti negli occhi e ben impressi sulla pelle; di certo non pensava ad una diciassettenne ancora acerba, seduta per terra in una piccola cella di Hogwarts con le ginocchia al petto ed il terrore in volto.
    Non sa cosa dire, Malia, come consolarla, né ha modo di esprimere la propria opinione su qualcosa di così distante e fuori da ogni sua competenza. Così l'ascolta parlare, in silenzio religioso, attenta a carpire ogni cambio d'intonazione della Grifondoro. « Ma la verità è che tutti noi siamo minacciati allo stesso modo. Tu fai una cosa e se la prenderanno con i tuoi e con te. Io faccio una cosa e loro se la prenderanno con i miei e con me. Se la prenderanno con i nostri amici qui dentro. »
    Si morde il labbro, incrociando le braccia al petto, come a volersi proteggere dalle cose che sta sentendo. Come a volerle negare. A questo lei, ovviamente, non aveva pensato. Perché tutto quello che fa lo fa per se stessa e basta, non immagina mai quali possano essere le conseguenze delle sue azioni, e di certo non ha mai pensato che queste potessero in qualche modo influenzare le persone a cui vuole bene. Adesso, evidentemente, Kingsley ha fatto in modo che ci si debba preoccupare anche di questo, nel calcolare le proprie mosse future. Malia sa già che non sarà mai in grado di tenere in conto, nel suo agire quotidiano, altri elementi oltre a ciò che le passa per la testa sul momento, e sa che l'amica è ben a conoscenza di questa sua debolezza. E allora comincia a capire dove Beatrice vuole andare a parare, con questo discorso.
    « Per questo devi promettermi che starai attenta. E la prossima volta che Edmund Kingsley ti chiederà di alzare la coppa in onore della sua fottuta persona, lo farai. Devono pensare che ci hanno in pugno, altrimenti ci terranno d'occhio. E noi non potremmo fare niente. »
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    Serra i denti, e all'improvviso la mano di Tris che stringe la sua comincia a pizzicare, si fa scomoda, e lei avrebbe solo voglia di allontanarla. Il suo corpo si rifiuta di sentire quelle parole, la sua mente comincia a rassegnarsi. Ma è proprio questo quello che vogliono loro: rassegnazione, arrendevolezza, incapacità di rispondere a qualunque provocazione per paura. Ecco, la paura, quella Malia non vuole provarla, perché lei vuole essere coraggiosa, resiliente, vuole poter sopportare tutto senza mai farsi scalfire, senza piegarsi al loro volere. Incassare i colpi e non dar loro soddisfazione. Contrattaccare.
    Fa per ribattere, ma l'amica le si avvicina all'orecchio e le rivela qualcosa che la fa rabbrividire più di tutto. Qualcuno la sta seguendo. E la situazione è talmente grave che la giovane non ha nemmeno il coraggio di dirlo ad alta voce, forse per paura di essere udita da orecchie indiscrete. Chi può mai saperlo in fondo, d'altronde se Kingsley è riuscito a sbatterli tutti nelle segrete del castello, nulla suggerisce che non abbia anche fatto in modo di sorvegliarli a dovere in ogni angolo della loro nuova sistemazione.
    Sospira, frastornata. Non sa da dove cominciare; cosa fare per consolare un'amica che ha tutte le ragioni per essere terrorizzata da quello che sta succedendo. Vorrebbe dirle che andrà tutto bene, che ne usciranno, in un modo o nell'altro, ma come può?
    Scuote la testa, decisa. « Non posso prometterti niente, Tris. » dice, mentre le sue dita scivolano via rapidamente da quelle della Morgenstern. Punta gli occhi scuri nei suoi, castani. « Come posso, dopo quello che mi stai dicendo? Non possiamo far finta che non stia succedendo nulla... » Come può ignorare ignorare il terrore negli occhi della sua amica? Dimenticare quello che le ha appena confessato, che qualcuno segue costantemente ogni suo movimento? Come può alzarsi dal letto, domani mattina, andare a lezione come se niente fosse, e sperare in un voto alto ad Erbologia mentre la gente là fuori muore? O viene spedita ad Azkaban per i motivi più assurdi?
    « È vero noi, qui dentro, non sappiamo niente. È vero che dobbiamo essere cauti. Ma dimmi, Tris, qual è la differenza tra fargli credere che ci abbiano in pugno ed esserlo davvero? Hanno le nostre bacchette, la nostra libertà, la dignità. Ci stanno togliendo tutto, a poco a poco, e noi ce ne stiamo qui a fare finta che la cosa ci vada bene. Che ci siamo rassegnati. Che cosa cambia, a questo punto? Spiegamelo, perché io non lo capisco proprio. » Scuote la testa. Non riesce ad accettarlo. Anche solo parlarne, così, a bassa voce e sul pavimento freddo della piccola cella della compagna, le fa montare in corpo una rabbia mai vista. « Tu credi che se non ci terranno d'occhio le cose cambieranno? Cosa potremo fare allora? Dimmi seriamente Tris, e non ti risparmiare con me, ti prego, perché sono stanca delle mezze verità e voglio sapere, che cosa sta succedendo: tu credi che ci sia un altro modo per venire fuori da questa situazione? Qualcuno a cui aggrapparsi? C'è qualcuno, là fuori, che ha mai reclamato i diritti degli studenti di Hogwarts, che si chiede perché ci abbiano chiusi qui dentro come prigionieri, oppure siamo davvero soli come sembra? » Serra le labbra, un'espressione amara in volto. « Perché se così fosse, io ferma non ci sto. Per te, per me e per tutti quanti. Non ho intenzione di lasciarmi risucchiare l'anima da quello che sta succedendo. »
    Prende un respiro, e una mano si posa su quella della Morgenstern, con delicatezza. Il suo tono si fa più leggero, e l'espressione dura si affievolisce. Non ha voglia di darlo a vedere, ma anche lei ha una paura matta. E deve compiere uno sforzo immane perché la sua voce non cominci a tremare, rivelando il suo vero stato d'animo. « Non ho intenzione di fare nulla di avventato. Non sono stupida, lo sai. Ci tengo a me stessa e... a tutti voi. A mio padre, e a tutte le persone che potrei mettere in pericolo. Ma non ce la faccio - non ce la faccio proprio Tris, mi capisci? - ad accettare passivamente tutto quello che ci sta succedendo. Non so aspettare e sperare in qualcosa che forse non arriverà. » La salvezza non è qualcosa che viene da fuori. Dobbiamo crearcela noi.
     
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