Every flight begins with a fall

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    A nulla era servito tutto quel protestare, sciorinare scuse, sfuggire alle accuse di tentato omicidio involontario proclamando innocenza pur di darsela a gambe: Gemma Wilde era ufficialmente una bomba ad orologeria su Firebolt, pareva. All'insegnante di Volo per poco il cuore non aveva sfondato il petto quando era stata informata che uno dei suoi pupilli era precipitato da più di duecento metri di altezza durante una lezione. E la colpevole? Le aveva dato dell'imperita, della dappoco ed era una delusione. Lei, lei che stata selezionata come membro attivo della squadra di Quidditch a soli undici anni e mezzo, lei, le cui acrobazie aree erano state più volte descritte come pennellate precise e pulite d'un espressionista astratto. Era bastato un solo incidente ai danni di un Weasley dopo un percorso professionale ineccapibile ed era evidente che la sua reputazione di giocatrice d'oro era rovinata per sempre. Oh, ma la macchietta sul suo curriculum gliel'avrebbe fatta grattare via con la lingua a quello Hugo là, quel Grifotonto che ne stava per terra a strillare in preda agli spasmi, quel ragazzino viziato che non aveva esitato a puntarle il dito contro.
    « Datti una calmata, Wilde: non è stato Hugo Weasley ad aver fatto la spia. Tutti i Grifondoro presenti hanno visto cos'è successo, non c'è nessun complotto contro di te. » Lo sguardo smeraldino di Gemma era fermo sulla vena pulsante sulla fronte dell'insegnante che manifestava quanto, a dispetto della calma professionale che pazientemente si forzava di ostentare, stesse invero delirando, nell'ansia di scoprire se fosse il caso che i Weasley avrebbero mosso causa alla scuola o peggio, proprio all'insegnante stesso. Non era il primo incidente in campo né sarebbe stato l'ultimo, certo, ma in questa particolare circostanza la parte lesa non era uno studente qualsiasi, ma una promessa del Quidditch, un futuro e quasi certo motivo di vanto per Hogwarts, destinato ad entrare a far parte di qualche leggendaria squadra internazionale garante di successo. D'altronde era onestamente difficile che passasse inosservato, saettando in cielo come fosse dotato di piccole e pratiche ali invisibili, tanto veloce da tagliare l'aria stessa; Hugo Weasley era il prototipo dell'eccellenza sportiva, tanto che era quasi impossibile riuscire a tallonarlo su una scopa con la costanza necessaria da superarlo. Ecco, se lei si poteva definire brava, lui era il migliore. E Gemma si era presto arresa dall'idea masochistica e folle di lanciarsi all'inseguimento di traguardi tanto utopici: lui era destinato ad un glorioso successo a braccetto della sua fedele compagna di legno mentre lei, al massimo, si sarebbe ritrovata a lucidare le coppe col nome di lui inciso ammassate nella Sala Trofei. Questo perché un cognome, un reddito familiare sopra la media e l'essere figlio di due rinomate leggende fa la differenza nel mondo, questo perché a pari merito, Hugo sarebbe stato comunque dieci passi avanti a lei, brava, sì, certo - ma non abbastanza brava. Ed era forse questa la motivazione per cui no, di certo non era né soddisfatta né contenta di essersi distratta tre millimetri di secondi, essersi schiantata addosso ad Hugo Weasley a tutta velocità e di essergli precipitata addosso fratturandogli la gamba - uscendone lei miracolosamente illesa - ma forse poteva iniziare a pensare che il karma stesse svolgendo (per una volta!) il suo compito e questa non fosse altro che una punizione divina per un'esistenza tanto felice e fortunata. Lei non era stata altro che il messaggero in carne ed ossa del fato, che si accingeva a distribuire un po' di sofferenza anche a chi fino ad ora aveva vissuto felice sotto la presenza leggiadra di uno spesso Velo di Maya. Ma ovviamente, lei cosa ne poteva sapere delle sofferenze che Hugo Weasley poteva patire?
    « Guardi, questo è Quidditch. È il tipo di rischio a cui siamo aperti tutti noi quando saliamo su una scopa, specialmente i "campioni" - mimò le virgolette con le dita di entrambe le mani, perché sebbene la prospettiva fosse quella e tutti se lo aspettavano e blablabla, Weasley era ancora un perfetto nessuno nello scenario del Quidditch mondiale, proprio come lei - di agonismo come Weasley. Io ho altre cose più importanti da fare (tipo, non so, passare l'anno?) che fare da infermiera ad un ragazzino piagnucolone che fa una TRAGEDIA per un taglietto. Ci sono persone addette a queste mansioni che non vedono l'ora di prendersi il merito per aver rattoppato la gamba disfatta di Hugo Weasley » ruggì impetuosa tentando goffamente di giustificare, coprire e nascondere un errore che in realtà era suo e soltanto suo, senza preoccuparsi che lui, che tutti sentissero, senza preoccuparsi di star passando come l'egoista, incurante, minimizzante e stupida ragazzina che era. Schioccò un'occhiata di veleno al Grifondoro, tornando a massaggiarsi il deretano, che era stato per più di dieci minuti buoni disteso sul ginocchio infortunato di Weasley. Questo prima che lui, (giustamente) in preda al dolore, non facesse in modo che gli altri testimoni accendessero la reazione a catena che aveva condotto lì l'insegnante, prima che facesse "la spia". Cosa di cui, essendo ancora vivo e con la gamba ancora attaccata al corpo, per Gemma poteva e doveva benissimo fare a meno.
    « Wilde, Hugo Weasley potrebbe rischiare di non partecipare alle selezioni dei Falcons per colpa di questo infortunio causato da te, te ne rendi conto o no? Ora tu l'accompagni in infermeria e stai con lui fin quando non siamo sicuri che sia meno grave di quanto sembri, o puoi dimenticarti di rimettere il tuo culo sulla scopa. » Così sentenziò l'insegnante alle sue realisticamente controproducenti scusanti, mentre le labbra di Gemma vibravano silenziosamente di rabbia, sussurrando una decina di improvvisate imprecazioni a Merlino che avrebbero fatto impallidire anche un maggiorenne. In poco tempo, il Campo di Quidditch rimase orfano del suo gestore e degli altri studenti lasciandoli, soli, l'uno distante dall'altro di pochi metri. Sbuffò, camminando lentamente nella sua direzione palesemente controvoglia, desiderando di non aver mai messo piede fuori dal letto quella mattina.
    « Su, alzati, Weasley. La recita è finita, se ne sono andati tutti » soffiò atona, roteando gli occhi verso le nuvole e distendendo il braccio come suggerendo al ragazzo di aggrapparvisi per sollevarsi da terra, troppo stupida per capire che era andata pure troppo bene, che non è possibile cadere da quell'altezza senza rischiare di spezzarsi l'osso del collo.

    Edited by wilder - 31/10/2018, 20:12
     
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  2. Gingeristheway
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    Sapete quando vi dicono che se rischiate la morte tutta la vostra vita vi passa davanti? E' una grandissima cazzata. In fondo cadere da una scopa da venti metri, dopo che un bolide impazzito, che risponde al nome di Monique Riverstone, ti colpisce in pieno, senza minimamente guardare dove diavolo stesse andando, rientra pienamente nella definizione di "rischiare la morte", durante la caduta, capivo a malapena dove fossi, figurarsi se riuscissi a pensare alla mia vita. Caddi a terra con violenza inaudita, il terreno morbido aveva attutito la caduta, ma la mia gamba faceva un male cane, era rotta, in più punti. Me ne accorsi subito nonostante il mio stato di totale confusione, ma quando anche il mio corpo si rese conto di quel trauma, il dolore che sentii era indescrivibile. Riverstone era bravina a volare, anche se non lo avrebbe mai ammesso di fronte a lei, però non c'era dubbio di chi fosse la colpa, l'aveva vista arrivare, ma era stato impossibile schivarla, stava guardando da tutt'altra parte e gli era arrivata addosso come una scheggia rossa. L'ultima volta che aveva visto qualcuno fare un errore simile, usava ancora la scopa giocattolo che gli aveva regalato il padre e sua sorella, munita della stessa, aveva fatto più o meno la stessa cosa. Le differenze erano che lei aveva tre anni e la sua scopa si alzava di un metro da terra al massimo.
    «RIVERSTOOOOOOONE». Mentre mi contorcevo a terra per il dottore, urlai con tutto il fiato che avevo in gola, ma dopodiché persi lucidità. Mi ripresi un poco solo quando il professore di volo si avvicinò con la bacchetta e fece un semplice incantesimo per alleviare il dolore. Sentii qualcosa riguardo al fatto che non poteva fare nient'altro, dovevo andare in infermeria. Quando mi ripresi un poco, Monique stava discutendo animatamente con il professore, a quanto pareva doveva accompagnarmi in infermeria, non sembrava minimamente intenzionata. Ma io avevo bene altre cose a cui pensare, cominciai a esaminare la mia gamba, presi la bacchetta e la puntai verso i pantaloni.
    «Diffindo». Niente ossa che fuoriuscivano, feci un sospirone, il ginocchio era gonfio da fare schifo, riusciva a malapena a muovere la gamba senza sentire dolore, ma andava tutto bene. Sapevo benissimo che sarebbero stati in grado di mettere tutto a posto, avevo visto di peggio, ed era andato tutto bene, magari avrei dovuto passare la notte in infermeria, ma tutto sarebbe andato bene. Lentamente tutte le persone intorno a noi se ne stavano andando e il professore si chinò davanti a me prima di andarsene.
    «Weasley, Miss Riverstone la accompagnerà in infermeria e resterà con lei finché non si sarà ripreso, nel frattempo le procurerò delle stampelle in modo che riesca ad arrivare in infermeria senza poggiare la gamba in terra». Feci un sorrisetto sentendo le sue parole, questa si che sarebbe stata divertente da vedere. Non avevo passato molto tempo con Monique Riverstone, ma per quel che avevo visto nei campi di quidditch, era una ragazzina presentuosa e egoista, non era sicuramente una sua idea quella di accompagnarlo in infermeria. Ecco spiegato perché stava discutendo con il professore. Con un colpo di bacchetta il professore fece apparire le stampelle, vicino a lui.

    «Su, alzati, Weasley. La recita è finita, se ne sono andati tutti». Soffiò la ragazza, come un gatto arrabbiato. La fulminai con lo sguardo, mi stava porgendo la mano per rialzarmi, con la faccia di una che aveva la voglia di bere veleno di acromantula, piuttosto che fare quello che stava facendo. Le presi il braccio con una mano e puntai con la gamba buona per terra per alzarmi, cercando di tenere la gamba rotta più dritta possibile. «Quindi dimmi Riverstone, avevi visto qualcosa che ti piaceva e volevi averlo a tutti i costi? Oppure semplicemente dovremmo andare a Hogsmeade a comprarti un paio di occhiali prima di andare in infermeria. Feci una smorfia dicendo l'ultima parola, perché alzandomi avevo mosso la gamba in maniera innaturale. Mi appoggiai pesantemente sulle sue spalle istintivamente con un braccio, non che potessi fare altrimenti. «Ti chiederei di portarmi in infermeria con un incantesimo di levitazione, ma non vorrei che vedessi qualcos'altro che ti piace e mi facessi cadere andando a rincorrerlo». Il fatto che riuscissi a essere il solito ironico stronzo, era sicuramente un buon segno riguardo le mie condizioni di salute. La guardai e feci un gesto con la mano. «Non mi hai ancora preso le stampelle da terra, Riverstone? Come credi che possa abbassarmi a prenderle?» La guardai con un ghigno sfrontato. Dovevo arrivare in infermeria, su quella gamba, malconcia. Il minimo che potessi fare era divertirmi un po'.


    Edited by Gingeristheway - 14/4/2017, 02:32
     
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    Okay, magari un po' - un po' tanto infinitesimo che mimandolo con il pollice e l'indice nemmeno vi si sarebbe visto attraverso, sia chiaro - le sarebbe dispiaciuto scoprire che il secondogenito di Ron Weasley ed Hermione Granger - la stessa Hermione Granger a cui Gemma aveva rivolto sospiri d'ammirazione e la cui storia ridondante la faceva sentire vergognosamente misera - non avrebbe potuto coronare la propria chimera fanciullesca per colpa della pericolosa, disattenta e travolgente brama di adrenalina made in Wilde. Quel po', tuttavia, cozzava con la parte di lei che un bel po' di più le faceva odiare quello stesso sogno di lui, non avendone mai avuto lei lo straccio di mezzo. Aveva sì, certo, chiesto nel suo diario e nelle lettere indirizzate all'insopportabile e isterico essere che l'aveva messa al mondo (= sua madre) una bacchetta nuova e non difettosa per papà, che da mesi aveva inspiegabilmente smesso di produrre magie. James Wilde era diventato triste, tutto cupo, malaticcio e dall'andatura flemmatica che Gemma si era armata di una penna d'oca e aveva abusato degli imperativi affinché tutti a casa si sentissero obbligati a sbracciarsi pur di realizzare quella che invero non era altro che una richiesta legittima: far tornare suo papà lo stesso papà di sempre. Un sogno che però col passare dei mesi si stava rivelando meno realizzabile persino delle fantasie fameliche di gloria di quello Hugo Weasley là, che aveva tutte le carte in regola per coronare il proprio e finire per essere il vincente, quello che nella vita ce l'aveva fatta. La propensione naturale del Grifondoro ad innalzarsi da terra per solcare cieli inesplorati faceva storcere il naso a Gem che, col carattere mutevole delle persone superficiali e verde come l'invidia che covava a palate, non aveva nemmeno uno straccio di ambizione, strada da percorrere, aspirazione per cui ardere al mattino e precipitarsi giù dal letto. Questo non significava che avrebbe smesso di ostentare la stessa faccia boriosa e fiera che sul volto lentigginoso di Weasley la irritava - sebbene fosse, proprio lei, il peggior esemplare di perdente nella vita, canticchiante, danzante, dalle sembianze ingannevoli ed avvolto in un'elegante divisa dalle rifiniture rosso-dorate. Quindi che diritto aveva, a quell'orgoglio sconfinato, che non le faceva abbassare le orecchie nemmeno quando avrebbe dovuto implorare perdono? Il Grifondoro pronunciava parole che a lei apparivano stridenti, fuori luogo e fuori persona: come gli veniva in mente di rivolgersi così a lei! Lei che stava sacrificando preziose ore della sua giornata, legittimamente impiegabili a fissare intensamente gli uccelli che venivano respinti dal Platano Picchiatore e tornavano comunque a molestarlo - invece che star lì a far del babysitteraggio a lui e alla sua lingua che, a quanto pareva, non era stata tenuta abbastanza stretta tra i denti da essere morsa a sangue durante lo schianto. « Per tua fortuna sono più le cose che non mi piacciono che quelle che mi piacciono. Nella vita ma, soprattutto, adesso e qui - asserì per un attimo complice della pantomima di lui, enfatizzando il tono di voce affaticato e strozzato di chi sta compiendo uno sforzo micidiale caricandosi sulla spalla un rosso ad occhio e croce alto due metri, tutto storto e tutto scomposto (proprio quel che ci voleva da aggiungere alla propria figura già di per sé scarsamente equilibrata!) - e quelle non devi andare a rincorrerle, te le ritrovi schiacciate sul naso mentre cerchi di essere un giocatore decente e di portare la tua squadra alla vittoria » Da come Gemma aveva imbevuto di sarcasmo quelle parole affilate come coltelli da cucina, pareva che quello di cui parlava non fosse invece proprio lo stesso identico obiettivo del Grifondoro, suo compagno di casata, suo compagno di squadra - e dove altro se lo sarebbe dovuto ritrovare tra i piedi, pronto a ricicciare questa nuova storia, nonché futuro gossip, sulla sua deficienza sportiva? Insomma, oltre al danno, pure la beffa ai danni di Hugo Weasley, senza minimamente che il pensiero che, più il carico era pesante, più dure sarebbero state le conseguenze al suo irruento ed insensato vomito di parole, la sfiorasse.
    Mentre con tutta probabilità si faceva strada nella lista di persone detestabili di Weasley, Gemma camminava lentamente e a fatica con una spalla fuori uso, tanto secca e fisicamente debole che era, lanciandogli di tanto in tanto occhiatacce smeraldine che promettevano vendette. Quando poi a lei l'ultima provocazione, in un contesto già di per sé forzato e teso come una corda di violino, apparve come un presuntuoso imperativo, un obbligo dettato da una "condizione di prigionia", Gemma scattò all'improvviso, liberandosi dal basto da mulo che era il peso di lui e facendo ricongiungere il didietro del martoriato ragazzo col prato umido del campo, accanto alle stampelle. « Non hai proprio capito con chi hai a che fare, allora - disse con il suono sgradevole di un acuto penetrante nei lobi di entrambi gli orecchi, pontificando dalla posizione elevata in cui si trovava rispetto a lui, spalmato sul prato - se pensi di potermi torturare per le prossime ore dopo non esser nemmeno stato in grado di stare attento e schivarmi, eh! Pensa se fossi pesata duecento chili, a quest'ora saresti già bello e che stecchito » Ma diglielo pure, Gem. Complimenti, non stai altro che migliorando la tua situazione. Durante quella manovra esplosiva insieme al ragazzo era caracollata per terra anche la sua bacchetta, che Gemma si era chinata felinamente a raccogliere. Nel rizzarsi, aveva indugiato sulla figura del Grifondoro con le mani sui fianchi, colta da un'idea che stava pian piano maturando nella sua testa. « Non possiamo, che ne so, inventarci un modo per concludere in fretta questa storia? Che tanto lo so che la stai facendo più grande di quel che è e secondo me è tipo solo una storta, nulla di eclatante » In fondo, a lei piaceva riempirsi di pensieri che la vedevano protagonista di una storia tutta diversa, tutta irreale, tutta bugiarda dove, in una situazione ribaltata, se fosse stata lei vittima della scopa impazzita lui, si sarebbe rialzata in un battito di ciglia, contro il dolore che l'avrebbe gravitata a terra: perché lei era una guerriera, una che non soccombeva neanche quando le ferite, interne o carnali che fossero, bruciavano come l'inferno. Ma erano fantasticherie, pensieri infatili d'una ragazzina ossessionata dal dimostrare il proprio valore ed il proprio coraggio, non le percezioni reali di un individuo che ha appena fatto un volo da duecento metri o sta patendo le conseguenze di un cuore spezzato. Soltanto infine, soltanto quando per un attimo riuscì a proiettare un ricordo - lei, più capace di sopportare la dolenza di una frattura che quella dell'abbandono di una qualche figura amata - che finalmente realizzò che forse in qualche modo avrebbe dovuto aiutare quel ragazzo, il quale stava subendo le nefaste conseguenze delle sue invisibili sofferenze da tutto il pomeriggio. Ed eccola, impugnare la bacchetta ed arricciarvisi una ciocca dorata ribelle che le cadeva sulla fronte, mentre la fronte corrugata lasciava intendere che i suoi ingranaggi erano, sfortunatamente per tutti, partiti nuovemente al galoppo. « Ci dovrà pur essere un incantesimo...? » Disse rivolgendosi più a se stessa che a lui, camminando avanti e indietro mentre si picchiettava la bacchetta sul mento. C'era eccome, peccato che delle lezioni sugli incantesimi di guarigione ricordava solo il rumore del suo sbadiglio ed il martellante promemoria a se stessa "tanto la medimaga non la vuoi né puoi fare, questo puoi pure non saperlo, quest'altro è inutile", « Brachium... - peccato che - reparo? » si ricordasse soltanto la formula a metà. Non fece di proposito nemmeno questa, no: come a voler accompagnare gestualmente la rivelazione - in pratica gesticolando, sì - mosse il braccio che impugnava la bacchetta, la quale rispose all'unico comando che necessitava per farla funzionare: agitarla nel mentre si pronuncia una formula. Peccato che fosse indicata per riparare gli oggetti, non c'era alcuna delucidazione, nota o postilla sugli effetti collaterali se lanciata per riparare una parte rotta di un essere umano. Doveva proprio parere che Gemma Wilde stesse tentando di ammazzare Hugo Weasley con tutti i mezzi a sua disposizione.

    Edited by wilder - 31/10/2018, 20:15
     
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  4. Gingeristheway
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    Eppure la conoscevo, dico non bene, chi ha voglia di sentire lagne per più di un allenamento di quidditch? Però, avrei dovuto capire che non era affatto una buona idea, provocarla in quel modo. Riverstone non era esattamente conosciuta per essere una persona equilibrata e i matti dovrebbero sempre essere tenuti a bada.
    «Per tua fortuna sono più le cose che non mi piacciono che quelle che mi piacciono. Nella vita ma, soprattutto, adesso e qui e quelle non devi andare a rincorrerle, te le ritrovi schiacciate sul naso mentre cerchi di essere un giocatore decente e di portare la tua squadra alla vittoria». Il corpo esile della giocatrice, si piegò sotto il suo peso, forse l'unica cosa per cui non potevo biasimarla, in quella serata uggiosa. Poteva negarlo, quanto gli pareva e piaceva, leggevo chiaramente, nel suo modo di fare, che sapeva benissimo cosa aveva fatto e quanto grave fosse, non che le importasse qualcosa. Se avesse avuto la minima possibilità di cavarsela senza doverlo aiutare, avrebbe continuato a lamentarsi con il professore e l'avrebbe avuto vinta. «Avanti Riverstone, non c'è bisogno di mentire. Lo vedo come mi guardi». Ovviamente non l'avevo mai vista nemmeno fare un cenno della mia direzione, figurarsi fissarmi in maniera intensa.
    «Non hai proprio capito con chi hai a che fare, allora». Narici dilatate, voce acuta con frequenze udibili solo dai cani, era talmente irritante che mi veniva voglia di silenziarla con la bacchetta. Il fatto che il suo atteggiamento pieno di sé, irascibile e orgoglioso fosse tale e quale al mio, non mi passò neanche per l'anticamera del cervello. Ecco una piccola differenza c'era, io non stavo mentendo. Lei diceva che facevo finta, che esageravo il mio infortunio. Stavo cominciando a irritarmi, mentre ascoltavo i suoi deliri di onnipotenza, puntai entrambe le mani per terra e il piede buono per alzarmi, ce la feci con un po' di fatica e alcune smorfie per tutte le volte che la gamba rotta urtava il terreno. «Ci dovrà pur essere un incantesimo». Stava per risponderle, ma le sue parole lo allarmarono, al punto da fargli cercare la bacchetta nella divisa di grifondoro. «Che diavolo fai? Sei mat...» Stava già puntando la bacchetta verso di me, non c'era tempo di fermarla a parole. «Brachium.. Reparo». Fece l'incantesimo quasi con noncuranza, come se non stesse giocando con le mie ossa, senza contare il mio futuro di giocatore. Estrassi la bacchetta appena in tempo. «Protego». Urlai furibondo, non successe nulla, restai in piedi su una gamba sola, l'altra piegata toccava terra solo se perdevo l'equilibrio causandomi un dolore lancinante. Il mio volto era una maschera di rabbia, e in connubbio con la mia divisa strappata ancora sporca di terra e sangue, per la caduta, mi dava più l'aria di un minatore che di uno studente nella squadra di quidditch della scuola, alzai la bacchetta puntando dritto in mezzo ai suoi occhi. «Expelliarmus. Ora ascoltami, stupida ragazzina viziata, prova a fare ancora una cosa del genere e per farti rimettere il culo su una scopa, prima dovranno costruirtene uno nuovo». Il tono era secco, non più beffardo e canzonatorio, era mortalmente serio.
     
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