be like her

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    Non ha mangiato quasi nulla a cena. L'appetito è sempre qualcosa che, se in salute, raramente le manca, eppure in questi giorni non sente nemmeno la voglia di riempire lo stomaco. Non è estremamente difficile immaginare il perché.
    Malia non mai stata una che sogna in modo sfrenato, ha sempre avuto gli occhi aperti e lo sguardo vigile su tutto ciò che la circonda, tuttavia le cose, almeno fino a qualche settimana fa, non stavano andando così male. La situazione era di certo drammatica, ma, per lo meno ad Hogwarts, le cose sembravano essere le stesse.
    E invece, a un certo punto, è arrivata l'esplosione. Qualcosa di improvviso e inaspettato, succede sempre a degli attimi di disordine, di attesa quasi macabra. Nei giorni precedenti la tensione era così densa nell'aria che sembrava quasi di poterla afferrare, percepirne la consistenza sui polpastrelli; e si riusciva a percepire l'odore del pericolo, lo stesso che per una serie di motivi la Grifondoro ha imparato a riconoscere fin troppo bene. C'era inquietudine negli occhi, e in giro vedevi mani che picchiettavano incessanti sui tavoli e denti che torturavano labbra per nessun motivo apparente. Era nell'aria, davanti agli occhi di tutti, nel modo di camminare all'improvviso più nervoso e negli sguardi preoccupati degli insegnanti, in tante cose.
    Malia una brava osservatrice non lo è mai stata, ma per forza di cose ha imparato a conoscerli, questi segnali. Sarà una tecniche di sopravvivenza, sai, tipo quelle che il corpo sviluppa autonomamente dopo troppe percosse. Funziona così, non è vero? Crede di averlo letto da qualche parte, ma non ci metterebbe la mano sul fuoco, visto che non è esattamente una vittoria garantita, con lei e coi libri.
    Però l'ha sentito, davvero. Nei giorni precedenti alla cena in cui Kingsley ha annunciato le nuove direttive scolastiche, le bastava guardare uno dei loro visi per sentire tutto addosso. E si ritrovava assalita da questa sensazione, così orribilmente familiare, di terrore. Ma nessuno ha avuto il coraggio di parlarne, esprimere anche solo un timore. Sono rimasti in silenzio, tutti quanti, in attesa dell'inevitabile cambiamento.
    È strano che basti una persona. Si ritrova a pensare più spesso del dovuto a questa cosa. Lo sa bene che di mezzo a questa cosa ce ne stanno molte di più, non è stupida, però questa cosa in qualche modo la affascina: l'idea che sia successo tutto così all'improvviso, per mano di un singolo individuo; che da un giorno all'altro il castello che chiamava casa è diventato una prigione, che è bastato un uomo dallo sguardo glaciale e dal sorriso minaccioso a far esplodere tutto quanto.
    Oggi ha cambiato stanza. Non sarà Kingsley a farla impazzire, né gli uomini inquietanti che ha piazzato in giro per il castello per controllarli, né questa nuova disposizione di camere che li fa sembrare tutti dei detenuti pericolosi, nemmeno degni di uno spiraglio di luce. Senza dire niente, quindi, ha preso le sue cose e ha abbandonato la vecchia stanza, quella con l'insopportabile biondina di Corvonero capace di effettuare contatto visivo unicamente con un libro di testo, e si è diretta nella stanza di Eris MacBride. Non si conoscono bene, ma la Corvonero con lei è stata gentile come sempre, e questo a Malia basta e avanza perché venga gestita una convivenza. E in ogni caso, a questo punto, chiunque sarebbe stato meglio di quell'ameba con cui doveva condividere i suoi spazi fino a questa mattina. Meglio ancora, poi, se è riuscita a trovare un letto una brandina vuota accanto a quella di un viso familiare come quello dell'ex Caposcuola di Corvonero.
    « Uno di questi giorni impazzisco » si lamenta ad un certo punto della serata la mora, tirando fuori la testa dal proprio baule di vestiti che sta riordinando e puntando gli occhi sulla compagna, intenta a leggere un libro a letto. Solleva le mani in aria, sul punto di dire qualcosa, e poi le lascia ricadere un istante dopo per terra, stancamente. Non ce la fa proprio, a fingersi serena come tutti gli altri. A continuare con la propria vita come se niente fosse, mentre all'improvviso si ritrova priva della propria bacchetta, neanche fosse la peggiore dei criminali di Azkaban, e rinchiusa tra quattro mura di pietra, senza possibilità alcuna di uscita. Non ce la fa, a fingere.
    Lo sguardo si ferma ancora qualche istante sulla figura di Eris, che, come sempre, appare perfettamente composta e impeccabile. « Mi spieghi come fai? » chiede, d'istinto, dopo aver emesso un sospiro impercettibile. « A essere così... impeccabile. A non farti scalfire da tutto quello che sta succedendo. A essere calma in ogni situazione e a calmare pure gli altri » di sicuro è per questo che l'avevano scelta come Caposcuola. Malia non sa essere così. Non è mai composta, non capisce quando è il caso di abbassare la voce ed è disordinata, ha i capelli sempre arruffati e le mani che gesticolano in modo troppo frenetico. Ci sono giorni in cui vorrebbe essere un po' più Eris e un po' meno se stessa, essere più diplomatica e avere più pazienza in tutto: è convinta che riuscirebbe ad affrontare la vita con maggiore serenità e decisamente meno stress. « A me certe volte viene voglia di... urlare, non lo so, e incazzarmi col mondo. È possibile che a te non succeda mai? » O forse sei solo estremamente brava a fingere. Ti prego, insegnami come si fa.
     
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    Era stata privata della sua spilla, di quell'incarico così importante per lei per cui aveva duramente lavorato. Aver perso quella spilla però non l'aveva fatta desistere dal tener fede ai suoi doveri, gli studenti più piccoli la guardavano in cerca di risposte; nella vana speranza che lei sapesse cosa fare o cosa dire. L'unica cosa che era stata in grado di fare era fingere, fingere che andava tutto bene ed essere presente ogni qualvolta qualcuno avesse avuto bisogno di lei. Spostarsi nei sotterranei aveva generato un gran trambusto, gli studenti più piccoli si muovevano spaesati; i più fragili erano sempre sull'orlo delle lacrime e con l'unico desiderio di tornare a casa. Dopo il banchetto la sua vita sembrava letteralmente piombata nel caos, si divideva tra lo studio e i suoi vecchi compiti di caposcuola; voleva essere un modello per i suoi compagni e per essere ciò avrebbe dovuto mostrarsi tranquilla, mentre dentro di sé non faceva altro che urlare e inveire contro quell'ingiustizia. Eris era abituata ad essere un'emarginata, lo era stata per tutta la sua vita, nella sua famiglia lei era quella strana; quella che sua sorella denigrava ogni qual volta voleva sentirsi superiore, come se volesse punirla per essere nata strega. Niente di quella situazione era per lei nuovo e forse proprio per questo motivo era così brava a fingere. Ogni notte prima di coricarsi controllava che tutti gli studenti più piccoli fossero a letto, si muoveva con passo felpato tra le numerose celle abilmente convertite a stanze da letto. Udì una serie di piccoli singhiozzi quasi soffocati, come se qualcuno stesse piangendo con la faccia sprofondata nel proprio cuscino. Quando si affacciò nella stanzetta successiva vide una bambina piccola rannicchiata contro il muro, le spalle minute tremavano al ritmo dei suoi singhiozzi e nemmeno il pupazzo che stringeva tra le braccia sembrava in grado di darle conforto. «Ehi piccolina cosa succede?» La bambina sobbalzò, premendosi contro il muro. La corvonero entrò e si sedette sul lettino e iniziò a massaggiare la schiena della bambina, era talmente piccola che non poteva essere altro che una primina; molto probabilmente aveva sognato molte volte la scuola di Hogwarts e mai si sarebbe immaginata di finire nei sotterranei come una reclusa, addirittura privata di quella bacchetta che aveva appena iniziato a maneggiare. «V-voglio andare a casa...» Molti studenti avevano espresso il desiderio di tornare a casa, alcuni avevano addirittura tentato di scrivere ai genitori, ma la loro posta veniva controllata giornalmente e molte lettere venivano semplicemente accartocciate e buttate. «Non dire così, qui non è male...puoi anche vedere i tuoi amici che appartengono a casate diverse.» Eris si era stufata di raccontare quella favoletta, di fingere che tutto andava per il meglio, ma allo stesso tempo non poteva terrorizzare oltre quei bambini; non poteva dire loro che mai niente del genere era successo ad Hogwarts. Era già abbastanza grave che sapessero di essere nei sotterranei a causa del loro sangue non puro. «Ma qui è sempre buio, nella torre riuscivo a vedere il cielo e luna...» Capiva benissimo lo sconforto che la bambina stava provando, anche lei era abituata a perdersi nella volta celeste, mentre le finestre dei sotterranei garantivano loro un piccolo scorcio dei fondali del lago nero. «Vedi quei piccoli fasci di luce che sembrano tagliare l'acqua? Ecco quelli sono i raggi della luna. Non è la stessa cosa, ma a loro modo sono suggestivi.» Non era una gran consolazione, ma la ex caposcuola cercava di insegnare loro a vedere il lato positivo delle cose; anche in una situazione difficile come quella. La bambina si girò verso la finestra e si perse con lo sguardo nei meandri del lago, la cosa più importante per Eris era che avesse smesso di piangere. Stanca e letteralmente a pezzi fece ritorno alla sua stanza, un piccolo angolo di pace in cui poteva permettersi di non essere perfetta, di non essere indistruttibile. Quella mattina si era aggiunta Malia, una studentessa grifondoro che non aveva mai avuto modo di conoscere bene. Per Eris era un piacere non essere più da sola, era stanca di non avere qualcuno con cui parlare o che semplicemente la distraesse dai proprio pensieri. La corvonero si sdraiò sul piccolo letto e prese il libro che aveva
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    tralasciato troppo a lungo, Cime tempestose non era esattamente il romanzo più romantico del mondo, ma si adattava molto bene al suo umore ultimamente. «Uno di questi giorni impazzisco» La grifondoro si sollevò improvvisamente, mettendo fine alla sua ispezione del baule. Dall'esatto momento in cui era entrata nella stanza aveva aspettato con ansia quel momento, la compagna sembrava infatti avere i nervi a fior di pelle; pronta ad esplodere come un vulcano. Pronta a ricevere il fiume di parole che sarebbe sgorgato dalle sue labbra Eris si sedette sul letto appoggiando la schiena al muro e stringendosi le ginocchia al petto. Lo sfogo della grifondoro non era qualcosa di inaspettato, spesso in quei giorni gli studenti avevano perso le staffe; senza contare i continui malumori che serpeggiavano tra purosangue e non. « Mi spieghi come fai? A essere così... impeccabile. A non farti scalfire da tutto quello che sta succedendo. A essere calma in ogni situazione e a calmare pure gli altri » Era la prima volta che qualcuno le chiedeva come mai fosse così composta, perchè i suoi movimenti, le sue azioni sembravano sempre perfettamente misurate e i suoi sentimenti celati, quasi nascosti sotto una patina di perfezione che molti etichettavano come freddezza. Spesso veniva giudicata superficiale e forse proprio per questo motivo le era difficile stringere amicizia e avvicinarsi alle altre ragazze. « A me certe volte viene voglia di... urlare, non lo so, e incazzarmi col mondo. È possibile che a te non succeda mai? » Urlare era un eufemismo, certe volte le sarebbe piaciuto buttare giù quella facciata di perfezione a suon di pugni; di gridare talmente forte da perdere la voce. Purtroppo la corvonero era il frutto di ciò che le era stato fatto, non poteva dire di avere una famiglia cattiva, ma allo stesso tempo non poteva dire di sentirsi amata. I suoi genitori non sono mai stati in grado di comprenderla veramente, incapaci di gestire e affrontare la sua appartenenza ad un mondo talmente diverso dal loro. «In realtà mi succede più spesso di quanto tu possa immaginare. E la mia aurea di perfezione è solo una banale maschera.» Una finzione inventata per proteggere sé stessa dal mondo che la circondava e che sembrava non accettarla. La sua stessa sorella, sorella con cui aveva condiviso il grembo materno, non faceva altro che denigrarla, farla sentire inferiore e l'unico modo che Eris aveva trovato per proteggersi era stato fingere che niente la sfiorasse; un atteggiamento che a lungo andare era diventato per lei una specie di corazza. «Non avrò più la mia spilla ma sento di avere ancora un dovere verso gli studenti più piccoli. Molti di loro chiamano ancora la mamma e il papà nel sonno perchè non si sentono sicuri qui....ad Hogwarts.» Il che era un eufemismo perchè per gli studenti la scuola è sempre stata una specie di seconda casa, simbolo di amicizia, avventure e molto spesso anche amore. «E' un banale tentativo il mio di mostrarmi forte, di essere un modello per i più piccoli...Invidio la tua capacità di lasciarti andare, di essere così trasparente.» Malia non aveva paura di mostrarsi arrabbiata, di far sentire il suo ruggito o di mostrare le sue emozioni per quelle che erano; al contrario Eris si sentiva sempre in dovere di giustificare le proprie emozioni e spesso di nasconderle affinché gli altri non potessero vederle.

     
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