War & Peace

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    La pace è un concetto relativo. Potremmo definirla come assenza di guerra o turbamenti, oppure come silenzio, come ordine. Tante sfumature della stessa cosa che, tuttavia, non necessariamente convivono. Quello, nello specifico, era un periodo di guerra, e ogni guerra porta a misure straordinarie tanto spiacevoli quanto indispensabili. Però, agli occhi di Percy, in quel conflitto latente vi era comunque una pace sibilante, una giustizia fumosa che le sue dita riuscivano a malapena ad afferrare. Certo, si era legato al dito il decadimento della propria carica - per cui aveva lavorato sodo, e su questo non c'era scusa che tenesse - e il fatto che fosse stato espropriato della sua bacchetta, ma Percy vedeva in quelle sgradevoli misure l'idea che vi era a monte, e pur sentendosi intaccato personalmente, le condivideva. "Ma come? Ti tolgono la tua spilletta. Ti tolgono la bacchetta. Ti tolgono la possibilità di uscire. Come cazzo fai a dargli pure ragione?" Aveva sbottato basito, contando le disgrazie sulle dita, un suo compagno di casata. Un tipo a posto, ma il sangue che gli scorreva nelle vene lo aveva obbligato a cambiare alloggio. In tutta risposta, comunque, Percy alzò le spalle, liquidandolo con un gesto noncurante della mano. "Cioè, lo sai cosa ne penso. A me nemmeno frega troppo di stare qui: capisco che in tempi del genere..sì..ecco, generalizzare sia una forma di sicurezza. Però è il resto che non comprendo: mi pare tanto una cosa fatta così, giusto per giocare a chi piscia più avanti." Platealmente, il giovane Watson fece schioccare la lingua sul palato, alzando gli occhi al soffitto gocciolante di umidità. Si pentì istantaneamente di essere andato a trovare il compagno; non che non gli andasse a genio - era forse uno dei pochi che Percy tollerasse realmente - ma semplicemente sapeva essere davvero fastidioso quando ci si metteva di impegno. "Jackson.." esordì, esalando un sospiro sconsolato mentre andava a passarsi una mano sulla tempia "..da amante della pozionistica a un altro, lo sai, ho stima nei tuoi confronti. Ma di politica non ci capisci un cazzo." Fattelo dire. Due parole mute, espresse semplicemente da una stretta di spalle. Quello, consapevole di ciò, lasciò stare, rispondendo solo con una domanda, posta nella posizione china verso di lui. "Lo accetto. Ma non raccontarmi balle..ti brucia per la spilla, vero?" La risposta corta? Sì, gli bruciava eccome, perché se l'era meritata e si era fatto il culo per ottenerla. Tuttavia non c'era solo quello, e Percy non era tanto infantile da puntare i piedi per una cosa simile. Si prese dunque qualche istante per rispondere, riflettendo e misurando bene le parole atte a veicolare il concetto che intendeva esprimere. Alla fine, con un ulteriore schiocco di lingua, riportò gli occhi in quelli del compagno, chinandosi a sua volta verso di lui, puntellando i gomiti sulle gambe. "Vedi..il fatto che tu me lo chieda, ancora una volta, mi dà prova che non hai capito la situazione in cui ci troviamo." Ne' tanto meno il gioco di chi aveva stabilito quelle regole. Detto ciò si alzò dalla brandina cigolante su cui aveva preso posto momentaneamente, salutandolo con un cenno del capo fino a sparire oltre la porta di quel simil-dormitorio che Kingsley aveva fatto imbastire. Oltre quella vi era un piccolo spazio ricreativo, simile in tutto e per tutto alle sale comuni, con l'unica differenza che non vi erano i colori di nessuna casata, e il gelo superava di gran lunga quello dei sotterranei in cui era abituato a muoversi. Alcuni occupavano i tavoli a loro disposizione per studiare, altri per giocare a gobbiglie, altri ancora per parlottare tra loro con aria cospiratoria, fissandolo come se fosse il nemico da abbattere. Ignorando quegli sguardi, si fermò in mezzo alla sala con il suo solito fare stoico, in attesa di qualcuno. Aveva ancora un'ultima commissione da fare lì sotto. Perché sì, non ci era andato solo per trovare Jackson, ma anche perché spesso era agli studenti purosangue che veniva affidato il compito di mediatori tra i piani alti e le segrete. Niente di particolare: Percy Watson era tanto all'oscuro quanto lo era chiunque altro lì dentro, ma a volte capitava che un qualche pacco postale arrivasse dopo il banchetto mattutino e dovesse essere recapitato manualmente da studente a studente. Quel pomeriggio, al Serpeverde, era capitato un pacco per Maelys Weasley, probabilmente con qualche leccornia da parte della famiglia. D'altronde non poteva essere nulla di sospetto, altrimenti l'inquisizione avrebbe già preso gli adeguati provvedimenti.
    "Weasley." esordì dunque, laconicamente, non appena vide comparire la chioma rossa oltre la porta che dava sullo spazio femminile. Con prontezza rovistò all'interno della tracolla grigiastra, estraendone il pacco lievemente ammaccato dal viaggio e porgendolo alla ragazza. "Evidentemente oggi sono il tuo corriere; che non si dica che non sei una ragazza fortunata." Stirò un mezzo sorriso tra il sarcastico e il sornione, alzando un sopracciglio non appena il suo sguardo ceruleo si posò nuovamente sul pacchetto. "Magari, però, consiglierei un gufo più attento la prossima volta. Mettilo in lista per la prossima riunione di famiglia."


    Edited by Heart of Darkness - 22/4/2017, 15:52
     
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    Le molle del letto -brandina- che le era stato assegnato cigolavano rumorosamente ogni qualvolta la ragazza si spostava anche di pochi centimetri. All'inizio il rumore l'aveva tormentata, si era quasi messa ad urlare dopo essersi resa conto di non poter mettere a tacere quel cigolio fastidioso con un incantesimo. Non perché non ce ne fosse uno adatto, ma perché non le era permesso. Restituire le bacchette alla fine di ogni lezione le era sembrano un insulto, un vero affronto, ma ciò nonostante l'aveva fatto, con la testa china, aveva lasciato cadere la propria bambina assieme a tutte le altre. Odiava averlo fatto e doverlo fare ancora, ancora e ancora fino a quando qualcosa sarebbe cambiato. In peggio pensò, qualcosa cambierà, ma non aspettarti scuse o fiori di campo. Le cose sarebbero cambiate, lo aveva capito dal brindisi ambiguo del loro nuovo preside. Le conferme erano arrivate man mano. E ora si ritrovavano rinchiusi nell'ultimo buco del castello. Non che si lamentasse della poca luce o dell'umidità, essere una Serpeverde l'aveva temprata, l'umidità dei sotterranei le era entrata talmente nelle ossa che ormai era un tutt'uno con il suo corpo. Nemmeno l'assenza di luce naturale le dava tanto fastidio, i suoi occhi si erano abituata a quella mancanza, si erano adattati alla luce fioca delle torcie dei sotterranei e si sarebbero adattati anche alle luci danzanti di quelle segrete in cui stavano stipati, come sardine. La sua compagna di cella quanto meno era silenziosa, forse anche troppo. E la cosa aveva iniziato ad irritarla. Al rumore della brandina si era quasi abituata, ma gli occhi vitrei della sua compagna le mettevano un'angoscia atroce. «Sicura di stare bene?» domandò la rossa avvicinandosi alla ragazzina che non aveva mai visto in vita sua «So che è una brutta situazione» Una situazione di merda. Il volto della tipa era piatto come una tavola «Ma siamo quasi tutti sulla stessa barca...» Sbuffò, davanti alla totale apatia della tassorosso, almeno così le sembrò aver visto dai colori sbiaditi della cravatta che sembrava voler tener nascosta. «Va bè, se ti serve qualcosa io sono fuori» come tutti gli altri ragazzini normali. Le celle sotterranee, al di là dei ragni e della quantità di studenti costretti a viverci, non erano un luogo totalmente ameno, Maelys doveva ammetterlo. Un aspetto positivo era il poter passare più tempo in famiglia, pensò mentre raggiungeva la folta schiera di cugini «Mi è capitata una tipa che sembra sia già morta» disse la rossa affiancando Olympia e alcuni dei suoi compagni di casata. «Penso che non sappia sorridere» ipotizzò la ragazza dondolandosi sui talloni «o parlare, e nemmeno respirare da quello che ho dedotto».
    Un altro lato positivo, mentre si girava verso l'origine della voce che chiamava il suo nome, di stare lì sotto era lo stare lontana da un paio di elementi. A Serpeverde troverai gli amici veri, certo, però magari Percy Weasley tanto amico non le era. «Evidentemente oggi sono il tuo corriere; che non si dica che non sei una ragazza fortunata.» l'apostrofò il biondino frugando nella tracolla. «Da caposcuola a postino, wow!» disse lei, ostentando grande meraviglia "Che salto di qualità, Watson. Devi andarne fiero" lo punzecchiò prima di prendere il pacco malconcio dalle sue mani. «Magari, però, consiglierei un gufo più attento la prossima volta. Mettilo in lista per la prossima riunione di famiglia.» Maelys osservò il pacchetto su cui suo padre aveva scritto a caratteri cubitali "Condividili con tuo fratello". «Oh certo, aspetta che me lo segno» disse, mimando il gesto di prendere appunti per aria. Aprì il pacco con foga, assaporando già il sapore delle cioccorane sotto al palato. «Come va nel mondo emerso, Percival?» domandò, pungente estraendo un paio di pacchetti più piccoli. «L'aria è più pulita? L'acqua più limpida e il sole più caldo?».
    Maelys sapeva essere estremamente fastidiosa, istigare le persone sembrava quasi essere uno sport, e Percy Watson, con la sua espressione vagamente spocchiosa, solo merlino sa quanto la irritasse.


    Edited by conundrüm - 8/6/2017, 17:35
     
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    "Come va nel mondo emerso, Percival?" Bella domanda. Una bella domanda per una risposta altrettanto bella: va esattamente come va qui sotto, solo che non abbiamo i topi. "L'aria è più pulita? L'acqua più limpida e il sole più caldo?" Istintivamente il Serpeverde portò gli occhi al soffitto con fare platealmente drammatico, inclinandosi appena di lato per poggiare la spalla contro uno di quegli umidi muri di pietra. Sarebbe rimasto lì sotto solo per ridere internamente di tutte quelle principessine ripulite che si sarebbero messe a piangere per l'umidità che gli increspava i capelli. Che dire? Quella situazione aveva davvero rimesso in ordine le priorità della gente, e di questo il giovane Watson non poteva che esserne lieto. "E gli uccellini cinguettano." aggiunse quindi, con un sorrisino paraculo dei suoi, stringendosi nelle spalle. Tuttavia interruppe quel poetico quadretto con un gran bel sospiro drammatico, scuotendo appena la testa come a negare una realtà troppo difficile da digerire. "Eh, Weasley, non riesco proprio a mentirti: senza di te Serpeverde non ce la fa proprio. Abbiamo tutti le fascette a lutto. In sala comune ci sta persino un altare dedicato a te; ogni sera ti accendo una candela e metto una rosa rossa con tre spruzzi di Chanel vicino alla tua foto." Un pathos così grande che lo obbligò a portarsi teatralmente una mano al petto, quasi volesse strapparsi il cuore e darlo in dono alla rossa. La verità, ovviamente, era che Percy come al suo solito adorava trovarsi in una posizione di vantaggio. Pur privo di spilla e bacchetta, il Serpeverde era uno degli eletti, uno di quelli a cui non era stato richiesto di lasciare la propria sala comune per finire in un corridoio di letti insieme a tutti gli altri. E certo, magari le differenze tra sopra e sotto non erano poi così grandi, non a livello pratico, ma a livello psicologico lo erano eccome. Quei ragazzi, quelli col sangue sporco, avrebbero anche potuto trasferirli nel migliore albergo di lusso, ma nelle loro teste sarebbero sempre rimasti quelli che dovevano essere separati, quelli di cui non ci si poteva fidare: gli sbagliati. Che fosse giusto o ingiusto, questo sta alla coscienza di ognuno deciderlo. E Percy, dal canto suo, non nascondeva poi così tanto il suo pensiero a riguardo.
    Gettando l'occhio sulla scatola aperta dalla Weasley, allungò svelto una mano a rubarle una cioccorana. Tipico del Serpeverde: chiedere il permesso è un optional nel momento in cui tutto ti è dovuto. Con aria sorniona addentò quindi il dolciume, assaporando il gusto di cioccolata che troppo poco spesso si concedeva. D'altronde non era uno di quelli a cui spedivano certe cose, e anche quando ne aveva l'occasione era molto difficile che spendesse i propri soldi in leccornie di vario genere. "Toh, ho trovato Harry Potter." disse atono, rigirandosi la carta violacea della cioccorana tra le dita. "C'è davvero chi le colleziona ancora?" Una domanda più retorica che altro, a cui rispose con un gesto molto eloquente, lasciando cadere l'involucro in un cestino lì accanto per poi riportare gli occhi alla compagna come se nulla fosse. "Insomma? Ai piani alti è cambiato poco; piuttosto, in qualità di Caposcuola decaduto, ho molto a cuore i miei pulcini finiti qui sotto." Stronzata. A Percy non poteva davvero fregare di meno dei Serpeverde lì sotto. D'altronde, oltre ad essere in quantità decisamente minore rispetto alle altre casate - un vanto di cui andava fierissimo -, si trattava anche di persone che in fin dei conti lui aveva sempre ritenuto in una certa misura indegne di condividere i suoi stessi colori. "Mi aspettavo di trovare le barricate. O quanto meno qualche genio in piedi su un tavolo a incitare alla rivolta di classe. Che dire? Sono un po' deluso." Fece una smorfia, per poi indicare la rossa con un gesto sommario della mano "Voi Weasley, poi, siete così tanti che potreste addirittura fondare un partito da soli. Il colore rosso dei riottosi ce l'avete di natura, d'altronde."
     
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    Percy Watson, o Percival, come preferiva lei, non era mai stato un gran simpaticone, nè per Maelys nè per il resto dell'umanità, aveva sempre sospettato la Weasley. Forse era il sorrisetto sarcastico, quel tono fastidiosamente arrogante che aveva nella voce o la maniera altezzosa di arricciare il naso. Maelys se ne era accorta, aveva sempre avuto il maledetto vizio di fissare le persone fino a diventare inopportuna, per scovare nei loro gesti dei piccoli vezzi, dei segnali che dicevano di un individuo più di quanto le parole potessero fare. «Eh, Weasley, non riesco proprio a mentirti: senza di te Serpeverde non ce la fa proprio. Abbiamo tutti le fascette a lutto. In sala comune ci sta persino un altare dedicato a te; ogni sera ti accendo una candela e metto una rosa rossa con tre spruzzi di Chanel vicino alla tua foto.» disse il serpeverde interpretando teatralmente la parte del compagno afflitto. Maelys accennò un sorriso, tutt'altro che divertita, piuttosto la sua bocca era contorta in un mezzo ghigno.
    «Noto che la mia assenza vi ha reso anche tutti più simpatici» fu la risposta della rossa serpeverde che scoccò al suo compagno di casata un'occhiata non poco maligna. Poi vide le mani del ragazzo muoversi svelte verso il pacco ricolmo di cioccorane e dolciumi di ogni tipo. Maelys preparò la mano per schiaffeggiare quella zampaccia, ma la voce di sua nonna squillò come il trillo di un antifurto nella sua mente. Il cibo si condivide, piccola disgraziata. «No ma non chiedere, serviti pure» asserì la ragazza prendendo a sua volta una cioccorana e staccandogli, con molta poca grazia, la testa gracchiante.
    «Toh, ho trovato Harry Potter» disse il ragazzo, mentre fra le mani faceva girare la carta con il volto di suo zio. Di quelle carte ne era pieno l'intero regno di sua maestà. «C'è davvero chi le colleziona ancora?» domandò retorico mentre Maelys riponeva quella con Minerva McGranitt, probabilmente la quindicesima in suo possesso della leggendaria professoressa, nella scatola.
    «Insomma? Ai piani alti è cambiato poco; piuttosto, in qualità di Caposcuola decaduto, ho molto a cuore i miei pulcini finiti qui sotto.» La ragazza schioccò la lingua contro il palato e si lasciò sfuggire dalle labbra una mezza risata, non pensava che Percy potesse tenere a cuore qualcuno che non fosse Percy. «Notavo una certa apprensione sul tuo viso, anche gli occhi lucidi, Watson» rispose lei spostando il pacco lontano dalle indesiderate mani dell'ex caposcuola. Ex caposcuola, come suonava bene. «Ma non preoccuparti, i tuoi pulcini stanno bene»
    In effetti per tutte le serpi il cambiamento era stato minimo, all'umidità e alla luce fioca ci si abitua. L'idea di essere stati privati dei loro dormitori invece risuonava forte nelle loro menti. Qualche cretino, che era finito lì sotto perché come tutti gli altri non aveva il sangue puro aveva anche avuto il coraggio di dire che lì giù "uno come lui non poteva starci". Inutile dire che le sue parole erano state messe a tacere velocemente. Probabilmente lì sotto non si sarebbe fatto molti amici.
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    «Mi aspettavo di trovare le barricate. O quanto meno qualche genio in piedi su un tavolo a incitare alla rivolta di classe. Che dire? Sono un po' deluso.» la punzecchiò il ragazzo facendole notare la totale inattività in fatto di proteste. «Guarda, per un pelo ti sei perso la rivolta coi forconi» disse la ragazza con finto entusiasmo mentre scuoteva la mano destra stretta in un pugno fingendo di mantenere un forcone. «Domani se arrivi prima magari riesci a beccarti i cori» La verità era che qualcuno aveva parlato, tra di loro, in piccoli gruppetti si erano scambiati bisbigli, opinioni. Tutti, chi più, chi meno, aveva espresso la propria opinione su quella situazione palesemente di merda. Anche la sua compagna di cella, la tassorosso zombie aveva bofonchiato qualcosa a riguardo prima di cadere in uno stato di catalessi.
    «Voi Weasley, poi» riprese a parlare il ragazzo. Maelys poté notare una strana sfumatura nella maniera in cui Watson pronunciava il suo cognome. Stronzo borioso pensò. Lo pronunciava proprio come quelli che pensavano di essere in qualche modo superiori, con quel pizzico di snobismo, quasi come se gli facesse pena anche solo il doverlo dire.
    «siete così tanti che potreste addirittura fondare un partito da soli. Il colore rosso dei riottosi ce l'avete di natura, d'altronde.»
    Gli sorrise quasi compiaciuta di quelle parole, che ci avrebbe scommesso la Tana, non erano dette per essere un complimento. Ma era vero, quelle segrete erano popolate da una quantità assurda di Weasley, la nuova legge marziale non ne aveva risparmiato nessuno. Uniti si è più forti.
    «E' già successo una volta» gli ricordò la giovane serpeverde guardandolo negli occhi. «ed erano anche di meno»


    Edited by conundrüm - 8/6/2017, 17:33
     
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    C'era una linea davvero sottile tra le persone che andavano a genio a Percy e quelle che lo infastidivano profondamente. Spesso le due cose si mischiavano talmente tanto da non riuscire a capire chi appartenesse a quale categoria. In realtà il problema era che il Serpeverde non aveva mai davvero saputo cosa volesse dalle persone a lui circostanti, non almeno dal punto di vista umano. Le sue idee erano estremamente chiare per quanto riguardava i rapporti di convenienze, i classici do ut des, mentre il resto era un territorio a lui completamente ignoto. Alcuni credevano che in fondo possedesse un buon cuore, e che tutto ciò di cui necessitasse fosse affetto e pazienza, poiché non era abituato a trattare con le persone; la verità, quella cruda e più difficile da digerire, era che a Percy non interessava davvero nulla di nessuno - escluso se stesso e sua sorella. Conversava con i compagni perché doveva, perché la sua diligenza si estendeva anche alle norme sociali non scritte, ma di norma l'interessamento verso il prossimo finiva lì. Maelys Weasley, nello specifico, era uno di quei casi particolari che si trovano sui libri di matematica: solitamente va tutto in un modo, poi ci sta un numero o un segno diverso e allora l'equazione prende tutt'altra piega da quella che ci si aspetterebbe. Se Percy avesse mai dovuto rispondere con sincerità alla domanda 'Cosa ne pensi di Maelys Weasley?' probabilmente non avrebbe saputo dire nulla, dileguando il tutto con una stretta di spalle e un'acuta perifrasi volta a far intendere che lui semplicemente alla compagna non pensava affatto. La verità era che a Watson, la Weasley non stava poi così sulle palle come si divertiva a farle credere. La sua considerazione spaziava piuttosto tra il c'è di peggio e il non la cederei ad altre casate neanche se mi pregaste in cinese. Il punto era che secondo lui, una personalità del genere era sprecata tra gli Weasley, una famiglia per cui non nutriva poi questa grande considerazione - e conoscendolo, non c'era da chiedersi perché, dato l'esempio di alcuni suoi appartenenti che frequentavano la sua stessa scuola. Ovviamente non avrebbe mai ammesso nulla di tutto ciò nemmeno sotto tortura. Prima di tutto perché Maelys era pur sempre una Weasley e una mezzosangue, e in secondo luogo perché Percy a prescindere non ammetterebbe mai che qualcuno possa quasi andargli a genio. Testardo come un mulo e orgoglioso al punto da meritarsi un girone infernale solo per quello, il giovane Watson era la sintesi della più totale strafottenza. Un legame, anche solo di amicizia, era ai suoi occhi un fardello capace di impedirgli il conseguimento dei propri obiettivi, soprattutto quando si trattava di persone in un certo senso scomode. E così aveva preso l'abitudine a quei divieti auto-imposti, tanto da anestetizzare il proprio senso di colpa o il proprio spirito di socialità al punto da non avvertire più quelle spinte se non come un lontano eco facile da zittire. Un'esistenza triste, direte voi, ma ognuno vive a modo proprio, e alla luce di ciò che Percy aveva visto in quei diciassette anni, il modo che aveva escogitato non era poi tanto insensato: lo proteggeva a tutto tondo, e per giunta sembrava dare i frutti che il ragazzo desiderava. Poco male che tutto ciò che vi era intorno fosse una fredda steppa in cui la sopravvivenza appariva impossibile, d'altronde nel suo cuore era sempre stato difficile sopravvivere a lungo.
    "E' già successo una volta ed erano anche di meno." Mossa rischiosa quella di giocare al gioco di sguardi col Serpeverde, poiché quegli occhi cerulei sembravano incapaci di abbassare il proprio quando venivano sfidati, animandosi di una fiamma azzurrina piena di mille sfaccettature differenti. Si sa: il fuoco, anch'esso, ha una gradazione. E sebbene sia comunemente immaginato come dipinto del rosso aranciato dei tramonti, esso assume le sue temperature più alte quando la fiamma si colora di quello stesso azzurro intenso che tingeva le sue iridi. "Peccato non aver nessun Signore Oscuro a minacciarci e nessun Prescelto a proteggerci." disse mellifluo, sullo sbocciare di un sorriso malizioso. Il senso era chiaro: questa volta, a differenza di anni prima, un'eventuale rivolta non si sarebbe potuta poggiare sulle stesse solide basi. Il mondo si era evoluto, il bene e il male erano diventati concetti più labili, e le persone a schierarsi da una parte o dall'altra non erano più divisibili in mangiamorte e partigiani. Le cose erano cambiate, le frontiere si erano spostate e ridisegnate attorno a nuovi ideali e obiettivi, e tra le parti, il male poteva nascondersi ovunque. Quella volta, il male, non aveva carta di identità, ne' era distinguibile tra la folla. Si morse per un istante il labbro, pensieroso negli occhi di lei, prima di schioccare la lingua sul palato e riprendere parola "Toglimi una curiosità, Weasley. Giusto perché, a differenza di ciò che credi, io sono convinto che la tua bella testolina rossa sia capace di comprenderla." lentamente staccò la spalla dal muro a cui si era appoggiato, ergendosi meglio di fronte alla compagna "Se ci fosse anche solo una remota possibilità che qui dentro" e nel dirlo indicò l'ambiente sotterraneo con un movimento circolare dell'indice "si trovi qualcuno coinvolto negli attentati, qualcuno responsabile della morte di tantissimi maghi, qualcuno che un giorno potrebbe aiutare a far fuori la tua famiglia al completo..preferiresti correre il rischio?" Una domanda lecita. Nessun razzismo, nessun classismo, nessun potere oscuro celato dietro una maschera. E magari sì, Percy aveva ideali e credenze poco limpide, ma aveva davvero così tanto torto? Un dubbio a cui era difficile dare risposta, e che sembrava tratteggiarsi nell'espressione del suo sguardo così come nel modo quasi soffocante con cui lo imponeva negli occhi della rossa. "So che è difficile crederlo, ma non sono il lupo cattivo venuto a soffiare sulla tua casa. Nessuno di noi lo è."
     
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    Maelys era una creatura assai complessa, che aveva sempre preso posizioni su tutto nella sua vita. Che si trattasse di quante colonne dovesse essere la pergamena per Storia della magia o di quanto effettivamente nocivo fosse lo sfruttamento degli Elfi domestici al castello. Aveva sempre dovuto dire la sua, metter bocca sugli argomenti di cui il mondo stava parlando in quel momento. Il suo mondo, quello di Hogwarts, il mondo della sua famiglia, l’intero mondo magico. Maelys non era brava a tenersi strette le proprie opinioni, sarebbe stato uno spreco. Perciò sulla situazione che stavano vivendo in quel momento, una situazione al limite del paradossale, folle e discriminante, la serpeverde non si era tirata indietro. Ne aveva parlato più che altro con qualche cugino, aveva espresso la sua rabbia, come in realtà sembravano aver fatto quasi tutti. Ma i meccanismi di quegli avvenimenti le apparivano illogici e piuttosto approssimativi. C’erano troppe cose che sfuggivano al suo controllo, era tutto troppo ambiguo. «Peccato non aver nessun
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    Signore Oscuro a minacciarci e nessun Prescelto a proteggerci.
    » Le parole dell’ex caposcuola erano portatrici di una triste verità che la stessa Maelys aveva potuto costatare. Il mondo era diverso da quello che i suoi genitori e la sua famiglia avevano dovuto affrontare. Suo padre aveva combattuto una guerra di cui portava ancora le indelebili cicatrici, la sua famiglia aveva sofferto perdite atroci. Ma sentiva in un certo senso che erano stati più fortunati. Avevano avuto qualcuno e qualcosa di concreto contro cui combattere. Lord Voldemort non era stato solo un sussurro o un azione insinuatasi subdolamente nella loro quotidianità. Lord Voldemort era stato tangibile, visibile, udibile. Il suo corpo , la sua voce, il suo tocco, erano stati reali. La sua minaccia era stata una pioggia torrenziale, un uragano che con violenza si era abbattuto sul mondo magico. I suoi ideali erano stati chiari, così come le sue intenzioni. Il suo corpo di scagnozzi avevano ricevuto un nome, un marchio. Ma adesso cosa c’era? Azioni mirate a dividerli, per la sicurezza. Non era un temporale, ma una pioggerellina costante e perpetua. Tic, tic, tic. L’interminabile ed irritante cadere della pioggia sottile che con la sua mite insistenza corrode e separa. Lord Voldemort era stato frutto del caso, il suo operato era nato da una profezia.
    Adesso non sapeva nemmeno chi realmente indossasse le vesti del cattivo.
    Non c’era nemmeno più un salvatore, qualcuno legato per un vincolo invisibile a quella guerra, nessun Harry Potter per loro, la generazione Y, troppo abituata alla storia e alle contrapposizioni plateali per comprendere l’infinità di sfumature che correvano fra un polo all’altro.
    «Se ci fosse anche solo una remota possibilità che qui dentro, si trovi qualcuno coinvolto negli attentati, qualcuno responsabile della morte di tantissimi maghi, qualcuno che un giorno potrebbe aiutare a far fuori la tua famiglia al completo..preferiresti correre il rischio?» Maelys mantenne fermo lo sguardo in quello del serpeverde, benché sembrasse bruciare, scavare a fondo nella sua mente.
    La remota possibilità di cui le sue labbra sottili avevano parlato non era poi tanto remota, questo la giovane Weasley lo sapeva. «So che è difficile crederlo, ma non sono il lupo cattivo venuto a soffiare sulla tua casa. Nessuno di noi lo è.»
    Maelys non esitò a pensare il contrario, nel tener testa al suo sguardo opprimente e alle sue spalle spioventi che la facevano sentire piccola come mai prima d’ora. Percy Watson non aveva timore di parlare, con la sua lingua pungente sembrava trovarci gusto nel mettere le persone di fronte a verità troppo scomode.
    «Sai, Percy, qualche volta dobbiamo correre dei rischi» ammise alzando appena le spalle «In questo momento le nuove regole non mi fanno sentire al sicuro» Si leccò le labbra, ormai un po’ secche. «E’ vero, qui dentro, forse anche la mia compagna di stanza, chiunque potrebbe avere le mani impastate in qualcosa di potenzialmente pericoloso» disse accompagnando le sue parole con un cenno del capo verso i vari studenti che affollavano quella stanza cupa « Ma dal mio punto di vista lì fuori sembra che le priorità siano ben altre. » forse il serpeverde aveva ragione, ma la distinzione fra purosangue e non, aveva bruciato pesantemente l’orgoglio della giovane Weasley.
    « Se sei così sicuro che non ci siano lupi cattivi pronti a tirar giù le mura della mia casa» si portò una mano sul fianco e inclinò leggermente la testa catturando ancora gli occhi cristallini del ragazzo. « dovresti almeno dare una valida spiegazione a questa assurdità» disse indicando con la mano l’intera “sala comune”. « Cosa mi rende effettivamente più pericolosa di te?»



    Edited by conundrüm - 8/6/2017, 17:34
     
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    "Sai, Percy, qualche volta dobbiamo correre dei rischi. In questo momento le nuove regole non mi fanno sentire al sicuro." Insensibile, apatico, anaffettivo. Lo avevano chiamato in ogni maniera possibile, gli epiteti li aveva sentiti tutti, e il fulcro di essi era solo uno: brucia tanto quando la gente non si sforza a mascherare quanto poco gliene freghi del prossimo. Percy non lo aveva mai fatto, era probabilmente l'unico briciolo di onestà ad essergli rimasta attaccata alla pelle; non gli importava di fingersi empatico solo per far contenta la gente, a lui semplicemente non fregava un cazzo degli altri e non si preoccupava di nasconderlo. E il bello è che non era lui quello strano, perché in fin dei conti a nessuno interessa dei problemi altrui, nessuno vuole sentirsi raccontare di quanto ci sei rimasta male quando il ragazzo ti ha lasciata, ne' gli importa veramente di aiutarti, ma ti dice il contrario perché altrimenti sta brutto, perché sennò sei insensibile. Notizia bomba: tutti sono insensibili, ma alcuni sono pure ipocriti. Tuttavia c'è una distinzione importante da fare, perché l'interessamento per i fatti degli altri è una questione differente: quelli sono di pubblico interesse, sebbene nascano da un sentimento ben diverso dall'empatia. Quel genere di curiosità è più morbosa, e comunque incentrata su se stessi, sul mettersi a paragone, sul sentirsi superiori, sul giudicare il prossimo in virtù delle proprie esperienze. Di fondo il perché si può rintracciare nel fatto che la vita di molte persone è semplicemente vuota, e quel vuoto va riempito con qualche gossip per il semplice gusto di andare a letto con la consapevolezza che ci sta qualcuno messo peggio, qualcuno più matto, qualcuno più stronzo, qualcuno più stupido, qualcuno più spezzato. E' tutto un grande circo di egocentrismo di cui tutti avevano la presunzione di essere l'eccezione, senza mai esserlo sul serio. "E’ vero, qui dentro, forse anche la mia compagna di stanza, chiunque potrebbe avere le mani impastate in qualcosa di potenzialmente pericoloso. Ma dal mio punto di vista lì fuori sembra che le priorità siano ben altre." Il volto impassibile, come se la ragazza stesse parlando del tempo, come se avesse detto che forse il giorno seguente avrebbe piovuto, a giudicare dalle nuvole. Una qualsiasi altra persona si sarebbe sentita in colpa, le avrebbe avvolto un braccio attorno alle spalle, le avrebbe chiesto scusa e le avrebbe detto che tutto sarebbe andato a posto. Ma Percy non era una persona qualsiasi, non chiedeva scusa, non abbracciava la gente, e sapeva per certo che niente sarebbe andato magicamente a posto. E d'altronde cosa rendeva loro degli individui bisognosi dell'aiuto altrui? Trattenne dunque a stento un sorrisino beffardo, l'espressione della più totale disillusione. La speranza è l'ultima a morire d'altronde, no? Ma con il tempo Percy aveva imparato a non aspettarsi nulla da nessuno, perché purtroppo in quel modo le cose andavano in un certo verso preciso: ciò che ottieni, lo ottieni solo se ti allunghi e te lo prendi, mai in altre maniere. "Se sei così sicuro che non ci siano lupi cattivi pronti a tirar giù le mura della mia casa dovresti almeno dare una valida spiegazione a questa assurdità. Cosa mi rende effettivamente più pericolosa di te?" La risposta reale? Nulla. Percy era pericoloso, probabilmente più di chiunque altro in quella topaia, ma c'è un enorme differenza tra essere pericolosi ed essere scomodi. Pericoloso, in quella società, era accettabile; lo stesso, però, non si poteva dire di scomodo. Percy era pericoloso perché ovunque andasse, in un modo o nell'altro, la morte lo accompagnava sempre nel cuore, in quel cuore così gelido e duro da lasciare quasi zero spazio alle emozioni. Ogni mattina si svegliava e vedeva di fronte a sé gli occhi morenti del suo fratellino, e in seguito quelli del ragazzo che aveva ucciso. Certe cose non cambiano mai, non si dimenticano mai, restano parte di te per sempre. Era pericoloso perché, quando ancora poteva uscire dal castello, passava ogni giorno di fronte alla lapide che recitava il nome Jonathan Watson, guardandola senza alcun genere di trasporto o sentimento. Lì giaceva suo fratello, lì Percy avrebbe dovuto piangere le sue lacrime e portare un mazzo di fiori, ma non lo faceva, da che era arrivato ad Hogwarts non lo aveva mai fatto, e forse non aveva nemmeno intenzione di farlo. Tanto che differenza faceva? Johnny era morto, non poteva vederlo, non poteva sentirlo, e un paio di fiori non avrebbero di certo cambiato le cose. Il fatto è che le tombe non sono per i morti, ma per i vivi. Perché la gente ha bisogno di sentirsi con la coscienza a posto, ha bisogno di un buon pretesto per non sentirsi una merda nel continuare la propria vita. Quei fiori non sono mai per i morti, sono per la gente che ce li mette. E' tipo un 'ehi, non ti ho dimenticato', quando in realtà quel tizio sotto terra è l'ultimo dei tuoi pensieri. La gente non riesce ad essere onesta nemmeno con chi non c'è più. E Percy non aveva bisogno di rendere il suo dolore plateale poggiando qualche pensiero sulla tomba del fratellino; lui lo ricordava già, senza bisogno di scenette o bagni di coscienza fatti per sentirsi delle persone migliori. Non gli importava di fare a gara con la tomba del vicino su chi aveva i fiori più rigogliosi, gli importava solo di suo fratello, e non aveva bisogno di dimostrarlo a nessuno. L'odore di morte era già nel suo cuore da molti anni, e sapeva precisamente di cosa sapesse: di nulla. Lo stesso nulla che provava di fronte alla paura di quei ragazzi rintanati nei sotterranei più sotterranei. Non sapeva quale per loro fosse l'odore di morte, ma era certo che in qualche modo lo sentissero, perché in una certa misura, quella in cui si trovavano, era un po' la loro tomba. Una tomba a cui Percy era sfuggito, e il Serpeverde non era mai stato il tipo da provare il senso di colpa del sopravvissuto: l'unica cosa che sentiva, ancora una volta, era quel vuoto cosmico che sa di chiuso. "Se fossi pericolosa non saresti qui, fidati." disse quindi, scuotendo appena la testa come se stesse scansando un pensiero stupido. Se fosse stata pericolosa nel senso in cui davvero avrebbe potuto costituire una minaccia, quella conversazione tra loro due non sarebbe mai avvenuta e di Maelys Weasley non si sarebbe più sentito nemmeno l'eco. "Però sei imprevedibile, vedila così." Sottolineò la parola con un cenno eloquente della mano, abbassando appena il mento nel dirla, così da rivolgerle il suo sguardo da sotto le ciglia. "Statisticamente parlando, quantomeno. Io con i babbani non ho alcun tipo di legame. Voi, invece, sì. Almeno a livello ipotetico-realistico." Semplice come bere un bicchiere d'acqua. Nessun fermento rivoluzionario, nessun ideale a infiammare il cuore: facile e veloce constatazione dei fatti. "Sappiamo entrambi che non stai programmando di far esplodere il Wizengamot, Weasley, non prendiamoci in giro. Ma mettiamo il caso che io possa in qualche modo garantire per te e che ciò possa toglierti da qui dentro.." tranquillamente mosse un passo più vicino alla compagna, piegando il capo di lato ad osservarla meglio, a incatenare bene lo sguardo nel suo "..mettiamo anche l'ipotesi che io possa farlo per tutta la tua famiglia.." un altro passo, lento come il muoversi sinuoso delle spire di un cobra "..sarebbe giusto? Per loro, intendo." Non staccò nemmeno per un istante lo sguardo, ma con un cenno scattante del capo indicò gli altri studenti nella sala "Sarebbe giusto selezionare chi a parità di pericolo costituito è considerato come meno probabile ad essere un terrorista? E su che base? Sulla mia parola? O su quella di chi?" In un movimento veloce si inumidì le labbra, mordendosi per un istante l'interno di quello inferiore, mentre sottolineava quelle domande con un brava cenno del capo. "Potrebbero uscire tutti, e rischiare che il prossimo attentato faccia fuori mezzo castello: me, te, la tua famiglia, mia sorella. Oppure si potrebbe scegliere più minuziosamente chi mandare qui sotto, e la disparità sarebbe ancora più grossa. E allora che fare? Infilare il veritaserum in gola a ogni mago nella speranza di trovare chi ha qualcosa da nascondere?" Si interruppe per un istante. "A me hanno tolto la bacchetta, come a te. Mi hanno tolto la possibilità di uscire, come a te. Mi hanno tolto anche una carica che sfido chiunque a dire che non fosse meritata. Dormirò pure su un letto a baldacchino, ma se è questo che ti interessa, Maelys, vuol dire che la mia considerazione di te è clamorosamente errata." Non Weasley, non rossa, ma Maelys: un nome pronunciato per la prima volta in tre anni che la conosceva.
     
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    Non saprebbe nemmeno dirvi il perché strabuzzò gli occhi nel sentire il serpeverde pronunciare il suo nome. Maelys, risuonò per un breve istante come un'eco nella sua mente. Quasi dimenticò cosa gli stesse dicendo. Il sette anni di scuola, sotto gli stendardi della stessa casata, nonostante l'abissale differenza fra i due, Percy Watson non si era mai rivolto a lei chiamandola solo per nome. L'aveva sempre additata come Weasley, e come una considerevole maggioranza dei suoi concasati, nella sua voce c'era sempre stata una punta di disprezzo. Non aveva mai nascosto un certo orgoglio nel sentire pronunciare il proprio cognome con un certo astio, lei, eppure ancora faticava a realizzare quanto un cognome potesse pesare tanto. Il suo, probabilmente, a differenza di un Carrow, di un Zabini e anche di un Malfoy, avrebbe dovuto riscuotere una certa simpatia, dato l'enorme impegno della sua famiglia nei decenni precedenti, eppure non tutti la pensavano come lei. Perciò non non saprebbe dirvi il motivo della sua reazione perché si vergognerebbe di aver sentito una stretta allo stomaco nel vedere le sue labbra sillabare il suo breve nome, e realizzare quanto suonasse bene detto con la sua voce.
    Scrollò le spalle, con fare disinvolto, per togliersi dalla testa quel suono e l'espressione attonita del suo volto.
    Per quanto non condividesse, e probabilmente mai l'avrebbe fatto, alcunché con il ragazzo eccetto l'appartenenza ad una casata che aveva suscitato non poco scalpore in famiglia, Maelys comprese pienamente le parole del ragazzo. « Non è il letto a fare la differenza » sentenziò, facendo uno sforzo pachidermico nel mantenere lo sguardo ferreo del ragazzo "« Non sono così superficiale.» Un po' lo era stata, inutile prendersi in giro. Non era stato un enorme cambiamento, non aveva certo perso la vista mozzafiato che dava sul parco di cui i grifondoro si erano sempre vantati, e nemmeno gli spiragli di luce che infrangevano le vetrate colorate della sala comune corvonero, ma i comfort della sua stanza un po' avevano pesato. Il punto era un altro. « Sono le condizioni, tutta questa baracconata si mantiene in piedi su una semplice questione, e sai quanto me che è vero.» Il sangue, un argomento antico quanto la magia stessa. Percy era sempre stato dotato di una sottilissima intelligenza, che la ragazza non aveva mai apertamente apprezzato. Di sicuro, eccezion fatta per qualche commento molesto in stato di ebrezza, Maelys non aveva probabilmente mai detto nessuna parola carina sul conto del giovane Watson. C'avrebbe scommesso Villa Conchiglia che nemmeno lui si era sprecato in gentilezze sul suo conto. « E rinchiuderci qui sotto, come dei possibili terroristi, dovrebbe in qualche modo mettere in sicurezza l'intero castello?» Mimò un applauso, caricando il battito delle mani con una grossa e pungente nota di ironia L'idea di dividerli sarebbe stata anche furba, ci aveva pensato a fondo Maelys, ma rinchiudere tutti coloro che non erano degni di fiducia da parte di qualcuno più in alto di loro, poteva effettivamente avere un senso? Certo, lontani dal mondo, senza la minima possibilità di comunicare con l'esterno non avevano grande potere, ma seppure in quell'anfratto ci fossero stati papabili terroristi, rinchiuderli tutti insieme non era esattamente l'ultima cosa da fare? La ragazza tenne quei pensieri per sé. « Dei veri geni. Ritengo che aver tolto le bacchette a tutti» e lasciò che l'ultima parola risuonasse forte e chiara « sia stata già una grande trovata. » Cos'è un mago senza la sua bacchetta se non un babbano con immense capacità ma nessun tramite attraverso cui dar loro sfogo? « E in ogni caso la mia imprevedibilità è pari alla tua e a quella di qualunque altro. Perciò non venirmi a dire che ci tengono rinchiusi qui sotto per la sicurezza del castello e degli studenti.»
    Gli occhi della ragazza parvero scintillare di una luce cocente, quasi vulcanica. Maelys era abituata ad avere ragione, lei, la principessina di casa Weasley-Delacour, perciò tener testa a Percy Watson, il quale era in grado di rigirare discorsi meglio di un cuoco con le frittate, l'innervosì a dismisura. Sarebbe stato da codarda prendere il pacco e voltargli le spalle, perciò scartò quasi con impeto un'altra cioccorana e ne strappò la testa, brutalmente. Nella sua stupida, stupidissima mente, quel gesto doveva avere qualcosa di vagamente minaccioso, come per dire: sono pronta a staccarti la testa a morsi, perché so di avere ragione.




    Edited by conundrüm - 8/6/2017, 17:31
     
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    Ascoltò le parole della ragazza senza muoversi di un centimetro, guardandola come una mamma guarderebbe il suo bambino portare avanti discussioni del tipo 'da grande voglio fare l'allevatore di dinosauri'. Percy, checché se ne dicesse, nutriva una buona considerazione di Maelys: era una ragazza intelligente, che sapeva farsi valere senza lasciare che nessuno le mettesse i piedi in testa. La pensavano diversamente su più argomenti di quanti potesse contare, ma non per questo la riteneva meno valida. Tuttavia Percival non era il tipo di persona che sentiva il bisogno di vendere le proprie opinioni agli altri: le esponeva - qualora fosse disposto a farlo - nella maniera più eloquente possibile, per poi passare la palla agli altri e dare a loro la decisione di comprendere il suo punto di vista o meno. Maelys lo aveva capito, e di questo lui ne era certo, perché le leggeva negli occhi quanto effettivamente non potesse cassare in toto le argomentazioni che lui le aveva dato; non era d'accordo, ma non poteva nemmeno dargli tutto quel torto che un sacco di gente, lì sotto, si sarebbe arrampicata sugli specchi pur di affibbiargli. D'altro canto a Percy nemmeno interessava di farsi piacere, o farsi capire: che lottassero pure con i mulini a vento, da lui non avrebbero certo ottenuto uno scontro, non quando si trattava semplicemente di prendersela con qualcuno perché non c'è nessuno con cui prendersela sul serio.
    Così, una volta che Maelys ebbe finito di parlare, il giovane Watson esalò un lungo sospiro, stringendosi nelle spalle con fare sereno e il sorriso della Gioconda. "Ritorniamo sempre sugli stessi punti, ma d'altronde non voglio nemmeno fare il venditore ambulante per inculcarti cose di cui in ogni caso rifiuteresti di convincerti." Un modo decisamente molto diplomatico ed elaborato per dire solo 'non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire' "Sappiamo entrambi che nessuno di noi due se ne uscirà da questo discorso dando ragione all'altro." Nel dirlo le lanciò un sorriso sornione, ben consapevole del fatto che forse, loro due, avrebbe sempre comunicato in quel modo: alla continua ricerca di non dare soddisfazione all'altro e alzare un po' di più l'asticella. Una sfida sottile, una guerra fredda che andava avanti da anni e che forse, in fin dei conti, a tutti e due piaceva giocare molto più che vincere. Magari è questo che succede quando tra due persone esiste tanta sintonia quanta divergenza: da una parte non riesci a trovare un punto d'accordo su qualsivoglia argomento, e dall'altra non riesci a smettere di discutere perché sai che con ben poche persone potrai farlo a tali livelli. Percy e Maelys avevano l'animo del bastian contrario inculcato a fondo, erano testardi e inamovibili, con una lingua tagliente come la lama di un rasoio. Tanto simili quanto diversi: proprio come due pezzi complementari di uno stesso puzzle, in un certo qual modo si incastravano pur essendo creati in maniera totalmente antagonistica.
    Così, stringendosi ancora una volta nelle spalle, lanciò uno sguardo all'orologio, sistemandosi meglio la tracolla prima di riportare lo sguardo sulla propria interlocutrice. "Beh, come al solito è stato un piacere, ma penso proprio che sia ora per me di tornare al mio gruppo carbonaio di purosangue in cui complottiamo per annientarvi tutti e prendere il controllo del mondo." sciorinò con fluente sarcasmo, stirando un mezzo quanto veloce sorrisino ironico. "Pensavamo di mettervi il pigiama a righe come prossimo passo, ma chi lo sa?" Alzò le braccia, come a sottolineare la sua ignoranza in merito prima di avviarsi verso la porta che divideva le segrete dal resto del castello. Si fermò per un attimo sulla soglia, poggiando una mano sullo stipite della porta mentre si voltava a guardare per l'ultima volta la compagna. "Non pensavo che avrei mai fatto la parte dell'ottimista, ma c'è un mondo oltre le mura del castello, forse peggiore di questo microcosmo parallelo, ma c'è..non dimenticartelo. Magari un giorno ci ritroveremo lì, e parleremo in maniera diversa." Magari io la penserò come te e tu invece come me. Chi lo sa? Magari nessuno di noi due ha torto, ne' ragione, o forse nemmeno sappiamo davvero ciò di cui stiamo parlando.
    O forse siamo costretti a scontrarci in questa realtà ma non nella prossima. Le mura del castello esercitano una magia strana sulle persone: quando respireremo aria pulita, meno condizionata dalle informazioni date col contagocce e dalla necessità adolescenziale di vedere tutto nero o bianco, lì potremo dirci davvero cosa stiamo facendo di noi stessi.
    "Buona serata."

    Questa è una storia da raccontare
    Può andare bene, può andare male
    Ma non si qual è il finale.
    Bisogna andare, comunque andare a camminare
    sulla terrazza con vista mondo
    dove ogni alba è anche un tramonto.


     
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