Lost highways

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    Bisogna essere almeno in due affinché uno sia libero. E lì dentro, all'interno di quel castello ormai quasi irriconoscibile, le uniche persone realmente libere erano quelle che avevano appuntato il badge dell'inquisizione. Camminavano per i corridoi come se fossero i padroni di quel luogo, e in fin dei conti lo erano a tutti gli effetti. Un tipo di giustizia che non tutti sembravano essere in grado di accettare, prendendo la situazione con il vittimismo di chi crede che uno sguardo in cagnesco e due parole biascicate a mezza bocca possano cambiare il mondo. Ovviamente non potevano. E Percy trovava anche che molti dei motivi addotti alle critiche fossero non solo stupidi, ma anche dovuti a puro e semplice egoismo. Non che lui non fosse egoista, anzi, era il capo degli egoisti: si era legato al dito il ritiro della spilla solo ed esclusivamente perché qualcuno aveva osato scavalcarlo in una zona a tutti gli effetti di sua proprietà. Tuttavia vedeva il piano; guardava quella situazione con lo stesso occhio di chi guarda la scacchiera dall'alto, osservando la posizione di ogni pezzo e la strada che ognuno di essi ha più probabilità di intraprendere. Molti dei suoi compagni, invece, guardavano il tutto dal punto di vista del Re: immersi nel gioco, protetti da una fila di pedoni, e timorosi di uno scacco matto capace di arrivare da un momento all'altro. Era questione di punti di vista, insomma, e come al solito più si è distanti col proprio e più c'è possibilità di capire realmente cosa ci accade intorno e dunque affrontarlo con la giusta dose di sangue freddo. Non era quindi mancato chi addirittura se l'era presa con lo stesso Percy, chiedendogli rabbiosamente come facesse a trovare giusto tutto ciò. A te hanno tolto la spilla. Lo sapeva, e ancora gli giravano le palle a riguardo. Ti hanno tolto la bacchetta. Altra girata di palle, dato che Percy senza bacchetta non andava neppure in bagno. E' ingiusto. Non è ingiusto, è opinabile. C'è differenza. E molte di quelle persone così tanto indignate, con ogni probabilità non sarebbero state poi così scandalizzate se si fossero trovate fuori dalle mura di Hogwarts, o se fossero state nell'inquisizione. Il problema, in sintesi, era uno solo: che alla gente non piace quando vai a pisciare nel suo orticello. Giusto e doveroso, dato che il nostro Watson era il primo a farsi girare le gonadi per la minima invasione del suo spazio personale. Tuttavia adorava la tridimensionalità di quella situazione fortemente chiaroscurale. In una qualche maniera perversa adorava anche il modo in cui lo faceva sentire combattuto, contrastato all'interno di se stesso. Odiava essere vittima, o quanto meno suddito, però non poteva che ammirare il genio del regnante. Edmund Kingsley aveva fatto una manovra encomiabile sulla scacchiera, e pur avendo perso più di un pezzo, il Serpeverde non poteva che rendergliene sportivamente atto, da bravo amante degli scacchi qual'era. Insomma, la riflessione lo aveva portato a vederla così: aveva perso un round, ma non contro il primo arrivato, bensì contro un uomo la cui strategia non poteva che stimare. E poi, cosa volete che gliene importasse a lui? Tra pochi mesi sarebbe stato fuori da quelle mura, e probabilmente uno dei primi a mettere in atto manovre del genere, o quanto meno ad appoggiarle. Il fatto che in quel momento ne venisse intaccato era solo frutto della circostanza: si trovava nel mucchio, ma non ancora per molto.
    Con l'avvicinarsi degli esami e dunque della fine della sua carriera scolastica, Percy trascorreva giornate intere a fare avanti e indietro tra camera, biblioteca e guferia. Come al suo solito aveva giocato d'anticipo, informandosi sin dall'anno prima di tutte le possibilità lavorative che aveva di fronte, ed è inutile dire che per uno come lui tutte le porte sembravano essere aperte. Una media stellare, un curriculum encomiabile e una sfilza di premi a vari concorsi vinti non potevano che essere un biglietto di sola andata per il successo, e in fin dei conti si trattava anche di un successo ampiamente meritato. Non c'era da stupirsi, dunque, di tutte le risposte positive che riceveva ogni giorno via gufo per i vari stage di prestigio verso i quali aveva mostrato anche solo un blando interesse. Si sarebbe comunque riservato di decidere a esami finiti, con la mente più sgombra e la varietà più ampia possibile di strade valicabili. Su alcune, tuttavia, aveva già gettato il proprio occhio più che su altre. Quella mattina, nello specifico, aveva ricevuto la lettera del Ministero riguardo il corso di studi a numero chiuso in Magisprudenza (una via tanto elitaria quanto prestigiosa per intraprendere il cursus honorum a cui da sempre aveva auspicato): accettato. Un sorriso compiaciuto si dipinse sulle sue labbra mentre ripiegava la pergamena, avviandosi a passo svelto verso il bagno degli studenti. Non appena aprì la porta, una zaffata di fumo denso giunse alle sue narici, immergendolo in un'atmosfera tanto nebbiosa da far quasi bruciare i suoi occhi cristallini. La figura che si trovò di fronte fu immediatamente individuabile, e nemmeno lo sorprese troppo, nonostante si trovasse nel bagno degli uomini. "Non sapevo avessi deciso di abbandonare la tua femminilità a tal punto da cambiare toilette." disse ironicamente, prima di infilarsi in uno dei bagni per fare ciò che doveva, uscendone subito dopo per lavarsi le mani ai lavandini, lì dove lei stava graziosamente appoggiata con la propria sigaretta. Fino a qualche settimana fa le avrebbe chiesto di spegnerla, ricordandole le regole dell'istituto. Ma ora non aveva più una spilla, non era un suo interesse far sì che i compagni di casata non incappassero in sanzioni. Le avrebbero tolto cinque punti? Dieci? Non gliene importava nulla, la responsabilità non era più suo, e di questo non poteva che ringraziare Kingsley. Lo aveva sollevato di un onore, vero, ma anche di un onere. Così, noncurante, incrociò le braccia al petto, appoggiandosi con la schiena al muro accanto a Charlie. Rimase in silenzio qualche istante, lasciando che l'assenza verbale si insinuasse tra loro due, per poi scoccarle uno sguardo di sottecchi, alzando il sopracciglio con aria sardonica. "Lo so..fa strano anche a me non fare lo sbirro. Ma stai tranquilla: adesso puoi godertela senza sorbirti il mio comizio." disse, ruotando il polso in un movimento elegantemente eloquente, solo per poi affondare la mano nella tasca dei pantaloni e passarle la lettera del Ministero ricevuta poco prima. Senza troppi convenevoli estrasse una sigaretta dal pacchetto poggiato sul lavandino, ritrovandosi a reprimere un'espressione di mezzo disgusto nel dover usare l'accendino piuttosto che la bacchetta per accenderla. "Stavo pensando di accettare." disse semplicemente, riferito al foglio di pergamena. Non che alla Windsor fregasse nulla di quello che Percy avrebbe fatto o meno dopo la scuola, ma era pur sempre una delle poche persone con cui il Serpeverde poteva parlare un po' di tutto. "Stai già pensando al dopo?" Una domanda stupida. Non tanto per il contenuto, ma perché Percy conosceva bene Charlie, e per lei il futuro non era mai stato tra i pensieri per moltissime ragioni: Charlie guardava al presente, mentre Watson, lui guardava sempre in avanti, così avanti da non viverlo mai davvero quel presente, ne' nei fatti ne' nelle persone.
     
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    Oltre ogni previsione. In Storia della Magia. Non è solo la materia; che sia chiaro, sono la reincarnazione dell'intelligente ma non si applica, ma tutto sommato questo è troppo persino per me. Se me ne fregasse qualcosa, giuro che mi farei un applauso da sola. Ma no, non me ne frega un cazzo. E giuro che questa volta i compiti li ho fatti da sola. Forse è tutta questa situazione; c'è più ossigeno per tutti. Meno musi lunghi, meno gente da dover sopportare necessariamente sui corridoi. Se ne avessi l'occasione giuro che stringerei la mano a Edmund Kingsley e gli darei la medaglia per la lotta alle rotture di cazzo. Ad essere onesta, tutta questa situazione non mi ha colpita affatto e so cosa pensate; tu sei una privilegiata Charlotte, tu non vivi lì sotto. Insomma. La verità è che vivere sotto o sopra fa lo stesso. Le agiatezze non mi hanno mai impressionata, anzi, se sapessi che ciò potrebbe privarmi della compagnia del 99% della popolazione di Hogwarts sottoscriverei un contratto in cui accetto di vivere da eremita in qualunque cella del cazzo mi venga assegnata. Le sento le lamentele; in Sala Grande non si parla d'altro se non dei nostri poveri compagni costretti a vivere in miseria. Ma quale miseria? Fino alla prova contraria mangiano ancora il nostro stesso cibo, hanno un tetto sopra la testa e non ho ancora sentito di nessuno studente sottoposto a torture cinesi. Certo, ormai è chiara la divisione tra noi e loro, ma un noi e un loro c'è sempre stato. Bisognava solo mettere i puntini sulle i, e grazie al cielo qualcuno di forsennato è finalmente giunto per mettere le cose in chiaro. Della situazione politica attuale mi sono interessata tanto quanto m'interesso solitamente del superfluo, ovvero zero. Ma come Charlotte? La tua famiglia lotta contro le ingiustizie, si mostrano sulle copertine intenti a sfamare i poveri nell'Africa e stringono la mano ai contadini del North Yorkshire. Appunto! Non credo esista mondo più ipocrita della mia famiglia. "Io capisco la loro situazione e mi batto tutti i giorni perché acquistino i loro diritto." No cazzo, Katherine! Non dire queste cose per piacere. Abbi la decenza quanto meno di stare zitta. Quando di preciso lotteresti per i diritti dei fottuti contadini del North Yorkshire? Tra un photoshoot e l'altro, quando bevi gli infusi di tè da ottanta sterline a tazza oppure forse mentre provi il tuo vestiario per il tour estivo in compagnia della mocciosa che ancora non ti è crepata male? La verità è che ho deciso che qualunque cosa per la mia famiglia sia essenziale e di vitale importanza, per me non vale un cazzo. E forse, ciò, non gioca sempre a mio vantaggio. Ma io sono una coerente e mi assumo ben volentieri le responsabilità di tutto ciò che faccio. Che cosa mai potrebbero fare? Togliermi il saluto? Escludermi dalla famiglia? Prego gli dei di qualunque religione mai esistita da almeno diciassette anni affinché accada. Mi sono rivolta persino ai pastafariani, ma questi miracoli sono troppo persino per loro. « Non sapevo avessi deciso di abbandonare la tua femminilità a tal punto da cambiare toilette. » Mentre mi accedo la seconda sigaretta di quella pausa dallo studio sin troppo lunga, lo osservo entrare nel bagno e fare ciò che deve fare. Non un pizzico di imbarazzo nel seguirlo con lo sguardo. La vergogna è una cosa che ho perso come minimo una decina di anni fa - sempre se l'ho mai posseduta. Non so perché, ma non credo di aver mai provato vero imbarazzo. Non sul serio. Non per queste cose quanto meno. L'anatomia umana è la cosa più naturale che esista. Non capisco perché la gente la consideri un tabù. « Non dovresti farmi una cazzo di ramanzina? Windsor, butta quella sigaretta, 10 punti a Serpeverde.. blablabla » Credo di esser stata beccata così tante volte a fare qualcosa di illegale da Watson che ho perso il conto. « Hai detto cazzo? Altri 5 punti in meno, Windsor. » E non ci ho mai fatto caso alla sua totale assenza di umorismo. Quel ragazzo prendeva così tanto sul serio le cose. Era un manico del controllo. Non poteva sfuggirgli niente di vista, altrimenti impazziva. Nel corso degli anni mi è capitato di chiedergli aiuto con qualche compito di recupero necessario per non finire col fare la figura della ripetente, e vi giuro che ho passato le ore peggiori della mia vita. Bravissimo, ma non per questo meno rompi palle. Un silenzio di qualche istante mi permette di trovare il tempo per sorridergli scuotendo la testa con un'aria sconsolata. Quante me ne hai fatte passare, Watson. E guardarci adesso, di nuovo alla pari - più o meno. « Lo so..fa strano anche a me non fare lo sbirro. Ma stai tranquilla: adesso puoi godertela senza sorbirti il mio comizio. » « Nooo! Mi stai togliendo il sacrosanto diritto di mandarti affanculo dopo tutto questo tempo. Perché Watson!? Perché? » Aria fintamente sconsolata mentre afferro la busta che mi porge. Sigillo del Ministero. Sta facendo tanto il misterioso e oltretutto è chiaramente di buon umore. Abbastanza quanto meno da infrangere a sua volta le regole. Uno sguardo leggermente malizioso e al contempo confuso prima di gettarmi nella lettura del foglio presente all'interno della busta. Magisprudenza.
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    « Stavo pensando di accettare. » Ispiro nuovamente dalla sigaretta mentre, man mano che arrivo fino in fondo il mio sorriso si fa sempre più sincero; forse più spento. Provo un pizzico d'invidia nei suoi confronti. Non che a me interessi quella carriera lì - che sia chiaro. Per un po' ci ho persino pensato, ma chi cazzo mi prenderebbe? Ho pensato a tante strade, a tante cose che potrei fare. Ma la verità è che io sono una principessa. « Cazzo Percival! Congratulazioni. Devo dire che ti ci vedo parecchio. Mi hai già dato abbastanza dimostrazioni di quanto sai essere una spina nel fianco negli ultimi quasi-sette-anni, quindi.. dovresti. » E a te che cazzo te ne frega? E soprattutto, a lui, della tua opinione che cazzo gliene frega? Niente. A nessuno dei due frega niente. Abbiamo solo un talento innato nel perdere tempo a parlare del nulla insieme. « Stai già pensando al dopo? » Scoppio a ridere mentre ripiego la lettera, restituendogliela. « Ma certo! » Pausa. Sorpresi? « Ci sono almeno una ventina di settimanali che si contendono l'esclusiva della storia del mio diploma. Passerò l'estate a far sognare le ragazzine sulle copertine. » Mi stringo nelle spalle con noncuranza. Non può essere poi sorpreso della risposta. C'è un che di amaro in tutto ciò; qualcosa che non riesco a buttare del tutto giù. « Ah! E se non sbaglio il figlio del principe di Monaco ha rinnovato la sua promessa di matrimonio. Ma a dirla tutta non ne sono sicura; l'ultima volta che l'ho visto era senza alcun dubbio gay. » Scuoto la testa nuovamente chiudendo gli occhi per un paio di secondi. « Quanto meno tra un paio d'anni avrò un avvocato abbastanza brillante da spellarlo vivo. » Non l'avrei mai sposato che sia chiaro. Laurel avrebbe dovuto prima sedarmi e poi uccidermi, infine sperare che la divina provvidenza facesse una qualche sorta di miracolo riportandomi in vita lobotomizzata. E lo facevo per entrambi. Lui aveva il diritto di essere felice insieme all'uomo della sua vita. Ed io dovevo quanto meno avere il diritto di continuare a mandare affanculo la mia di vita.



    Edited by shame; - 24/4/2017, 01:40
     
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    La solitudine non è una condizione fisica, non si tratta di ritrovarsi senza amici o senza conoscenti intorno. La solitudine, a volte, è un isolamento quasi volontario dal resto del mondo. Magari gli amici ce li hai pure, ma sei comunque solo. Percy, nello specifico, lo era sempre stato. Charlie, anche lei, non era da mano. E le volte in cui si trovavano insieme, quei due cosmi così tanto solitari si rendevano ancora più evidente: uno parlava, l'altro rispondeva con una cosa diversa e così via. Parlavano più con se stessi che tra loro, e in fin dei conti andava bene a entrambi, perché non era possibile farlo con altra gente. Con gli altri ti dovevi impegnare, dovevi provare a costruire un ponte tra te e loro anche quando non ne avevi voglia, mentre tra loro potevano tranquillamente rimanere soli senza esserlo del tutto. Una magra quanto masochistica consolazione, ma pur di rimanere a galla si fa di tutto. Il Serpeverde aveva la certezza schiacciante che alla compagna non potesse fregare di meno dei suoi piani per il futuro - figuriamoci, con ogni probabilità non le importava nemmeno dei propri - ma glieli diceva comunque, forse proprio perché non voleva discuterne con qualcuno che se li sarebbe davvero preso a cuore. Il motivo, quello gli era ignoto, ma d'altronde Percy aveva ormai fatto pace con l'idea che non sarebbe mai riuscito a capirsi fino in fondo. Aveva bisogno di cose che la gente normale non poteva dargli, e quelle che invece erano disposte a dargli, lui non le voleva. Scansava l'interessamento, circondandosi piuttosto di persone che non avrebbero mai potuto o voluto far parte della sua vita, non in maniera attiva, non in maniera reale. Una solitudine scelta consapevolmente, forse per più di un motivo, forse anche stupidamente, ma pur sempre di una scelta si trattava, e come tale doveva essere rispettata. "Ma certo! Ci sono almeno una ventina di settimanali che si contendono l'esclusiva della storia del mio diploma. Passerò l'estate a far sognare le ragazzine sulle copertine." Sorrise appena, nella sua solita maniera macchinosa, mentre dava un altro tiro di sigaretta, lasciando che lo sguardo ceruleo vagasse in luoghi di gran lunga distanti da quel bagno nebbioso. Guardava avanti, come al suo solito, perdendosi spesso i dettagli di un presente a cui non aveva mai voluto partecipare. Era il suo modo di vivere da sempre. Da bambino sognava il momento in cui sarebbe evaso dalle grinfie di quei diabolici genitori che si era ritrovato. Una volta affidato alla nuova famiglia, aveva cominciato a sognare l'ingresso a Hogwarts. Arrivato a Hogwarts, i G.U.F.O. Dopo quelli, i M.A.G.O. e le prospettive lavorative. Probabilmente anche quando avrebbe avuto un lavoro il suo pensiero avrebbe cominciato ad estendersi già alla pensione. Alcuni colgono l'attimo, altri lo pianificano maniacalmente. Percy faceva parte della seconda categoria, ovvio. "Ah! E se non sbaglio il figlio del principe di Monaco ha rinnovato la sua promessa di matrimonio. Ma a dirla tutta non ne sono sicura; l'ultima volta che l'ho visto era senza alcun dubbio gay. Quanto meno tra un paio d'anni avrò un avvocato abbastanza brillante da spellarlo vivo." Non c'era una cosa nella vita di Percy che fosse andata anche solo leggermente fuori dai piani. Non dopo essere stato adottato, almeno. O forse sì. Sì, in fin dei conti vi era stata l'espulsione dalla scuola finlandese, e anche il decadimento della sua carica. Pochi momenti nell'arco di anni interi; momenti in cui il giovane Watson aveva dovuto fare di necessità virtù e sfruttare la situazione a proprio favore. C'era da rendergliene atto: in una maniera o nell'altra, quel ragazzo cadeva sempre in piedi. E questo era il motivo per cui aveva accettato l'idea di non comprendere Charlie, la persona che più al mondo viveva alla giornata, senza alcuna certezza di svegliarsi viva al mattino seguente. E forse proprio perché lo aveva accettato, era una delle persone ad averla capita più di chiunque altro. "Secondo me dovresti sposarlo." disse sovrappensiero, succhiando un altro tiro di sigaretta. Rispondeva come se si trovasse a miglia di distanza, a intrattenere tutt'altra conversazione che solo per mera coincidenza sembrava avere un filo logico con quella intrapresa da Charlie. "Se è gay - e lo è - sarebbe solo un beneficio: fai felice la famiglia, ti arricchisci ulteriormente, ed entrambi potete fare quello che vi pare fuori dagli eventi pubblici." Semplice e veloce. D'altronde lo stesso Percy contava di sposarsi un giorno, e di certo tra i suoi pensieri vi era tutto tranne che l'amore. Come avrebbe potuto, uno come lui, creare un legame basato sulla fiducia e l'onestà? Impossibile. L'unico tipo di legame che il Serpeverde conosceva - fatta eccezione per quello con la sorella - era il rapporto di interesse, il do ut des. Sua moglie, un giorno, sarebbe stata solo l'ennesimo caso di sfruttamento vicendevole. "Siete la famiglia reale, queste cose le fate da secoli e funzionano alla grande: non vedo perché non dovresti." Si voltò appena, alzando un sopracciglio con fare ironico. "Guardando a i pro e i contro, sicuramente sarebbe meglio di sposarsi con lo spacciatorino di Tassorosso. Anche se sono sicuro che lui il vero amore te lo possa offrire." aggiunse, sciogliendosi in un piccolo ghigno sotto i baffi prima dell'ennesimo tiro di sigaretta. "Altrimenti c'è sempre Scamander." Ironia portami via parte due, la vendetta. Incredibile come la persona più menefreghista del mondo, quale Percy, fosse sempre aggiornato su tutti i cazzi di tutti. D'altronde, si sa: è ciò che non conosci ad ammazzarti, e al nostro Watson sembrava esserci davvero poco in grado di farlo fuori.
     
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    « Secondo me dovresti sposarlo. » A dirla tutta, da Watson non mi aspetterei nulla di diverso. Se mi avesse risposto qualcosa del tipo segui il cuore o fai come ti pare non sarebbe certo stato lui. « Se è gay - e lo è - sarebbe solo un beneficio: fai felice la famiglia, ti arricchisci ulteriormente, ed entrambi potete fare quello che vi pare fuori dagli eventi pubblici. Siete la famiglia reale, queste cose le fate da secoli e funzionano alla grande: non vedo perché non dovresti. » Non per i miei. Per i miei non ha funzionato. Si sono separati quando avevo quattro anni. Ho capito che le cose non sono destinate quando avevo quattro anni. Mentre vedevo mio padre fare i bagagli avevo già capito che le cose erano fatte per durare una stagione. Dovevamo essere una famigliola da favola, e invece siamo finiti per essere la famiglia disfunzionale più famosa d'Inghilterra. Ho assistito alle loro liti, alle loro urla, al loro gridarsi cose terribili. E sin da allora credo di aver desiderato qualcosa di diverso. Amore. E più l'ho inseguito. Più non l'ho trovato. « Guardando a i pro e i contro, sicuramente sarebbe meglio di sposarsi con lo spacciatorino di Tassorosso. Anche se sono sicuro che lui il vero amore te lo possa offrire. » Scoppio a ridere. Quel delinquente. Un vero sognatore. Per un po' ho persino pensato che potesse essere un diversivo. Jack era diverso; uno di quei tipi che dopo una canna ti decanta poesie di antichi scrittori di cui nemmeno si ricorda i nomi. Jack ti fa ridere, ti coinvolge nei suoi trip da quattro soldi. Ma Jack non è.. « Altrimenti c'è sempre Scamander. »
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    Il sorriso muore esattamente come è arrivato. Si trasforma. Trasmuta e si decanta. Passa in secondo piano lasciando spazio alla tenera, disperata amarezza. Quella di tempi antichi, di ricordi felici, di vividi intensi momenti tra una danza cubana e uno spinello di troppo sulle strade di Bangkok. Jack non è Samuel. Jack non è Mikael. E tutti e tre sono ciò che voglio, ma non ciò di cui ho bisogno. « Sei un vero testa di cazzo. » Gli dico scuotendo la testa mentre il fumo fuoriesce dalle mie labbra formando graziosi cerchietti. Resto così a decantare quei ricordi in silenzio, ben consapevole del fatto che forse Watson non aspetti altro che io abbocchi l'amo. Io e lui, non siamo poi così diversi. Due provocatori innati; aspettiamo le vittime dietro l'angolo e ci cibiamo delle loro debolezze quando meno ce lo si aspetta. « Ha avuto la sua occasione, e contrariamente a ciò che si dice, con me ne hai solo una. » Quelle parole hanno un retrogusto amaro. Forse perché in fin dei conti Sam non è stato uno dei tanti. Era uno squarcio su un mondo che non conoscevo, un universo così diverso al mio. Un sogno ad occhi aperti che si è dimostrato una lama a doppio taglio. « So bene cosa dice in giro sul mio conto. » Lo sguardo segue i lineamenti perfetti del volto di lui. Un angelo dalle ali più oscure di quelle del demonio. « Mi piace quello che dicono. » Sorrido impercettibilmente all'idea. Se parlano ancora così di me, vuol dire che il mio lavoro non è completamente inutile. Dicono che io sia superficiale, che un cuore non ce l'abbia. Dicono che mi prendo tutto ciò che mi piace e pare e che non ho alcuna considerazione verso il prossimo. E per molti versi è vero. Ma non sono stupida, non sono come dicono loro. Non del tutto quanto meno. « Scamander si ama come una cosa preziosa che non ti appartiene. Qualcosa che devi essere pronto a lasciar andare in qualunque momento. » Mi stringo nelle spalle. « Ma con me, se sprechi la tua occasione, sei niente. Se te ne vai, sei niente. » Una confessione così profonda, distorta da un sorriso amaro e un nodo in gola che sembra togliere il respiro. Delusioni, delusioni e ancora delusioni. Il motore cardine della mia esistenza. Mi dirigo verso la porta del bagno e la chiudo a chiave. Quelle confessioni hanno bisogno di una dose di illegalità superiore. Non si può vivere di sigarette dentro la scuola. Non quando manca così poco al diploma. Così, con la stessa noncuranza e disinvoltura con cui ho parlato fino ad ora mi piego leggermente sulla mia tracolla e tiro fuori una piccola bustina dal contenuto bianco. Non è nemmeno la prima volta. So che non è una cosa che lo scandalizza. La sventolo per qualche istante di fronte ai suoi occhi prima di versarne un po' del contenuto sulla superficie in marmo scuro accanto al lavandino. Una banconota da cinquanta e la lima per separarne varie striscioline. Senza aspettare di sapere se avrebbe acconsentito al banchetto, tiro su la prima striscia. La botta la sento andare in circolo quasi subito. Scrollo le spalle e mi passo una mano tra i capelli. « Mi sorprende questa tua predisposizione al matrimonio. Ti facevo più scapolo fino alla morte. » Un sorriso malizioso mentre gli do una leggera gomitata. « Tu e la Dagerman mi state riservando qualche sorpresa a breve termine? Guardate che è da pezzenti far sapere le cose all'ultimo a una principessa. » Ironia e un chiaro finto tono da ragazza superficiale - così adatto alla sua compagna di stanza. Così tanta ironia. L'unica cosa che ci unisce forse più dell'odio verso il mondo. Resto per un po' in silenzio, prima di andare con la seconda striscia. E questa me la sento esplodere nel cervello. Mi costringe a sgranare gli occhi mentre la pressione mi va tutta nel cervello. Il caos. Ecco cosa ci vuole quando al mondo non ci vuoi più stare. Quando il mondo ti sta stretto. Quando non trovi un tuo posto, una tua dimensione.« No; non te ne frega un cazzo. » Inizio sorridendo sinceramente divertita e compiaciuta di lui. « Non di quello che ti sto dicendo, o della Dagerman, o di chiunque altro al mondo. L'unica persona che conta.. » E dicendo ciò gli punto il dito contro il petto. « ..sei tu. » Pausa. Una pausa di riflessione alquanto lunga. Qualcosa da metabolizzare. Un puzzle da mettere insieme sotto gli effetti degli stupefacenti. « Insegnami. » E non è uno dei soliti sbeffeggiamenti, non una domanda retorica o un modo per elogiarlo. E' una richiesta. Molto sera.


     
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    "Sei un vero testa di cazzo." Poteva darle torto? Assolutamente no. Percy era consapevole di essere una persona difficile da digerire, e a sua discolpa non si poteva nemmeno dire che ogni mattina si alzasse dal letto col proposito di cambiare questa sua natura. Il Serpeverde era convinto di una cosa, una legge immutabile a cui nessuno poteva sfuggire: nella vita non si può avere tutto, e i confini di ciò che possediamo vengono delineati dai sacrifici che facciamo per ottenerlo. Più si hanno le idee chiare sui propri obiettivi, e più è semplice tracciarli, quei confini. Quando non sappiamo il nostro scopo nella vita, o quanto meno non ci prefiggiamo di averne uno, finisce sempre che non si conclude nulla di effettivo. Percy, nel suo piccolo, delle mire le aveva avute fin da quando era uno sbarbatello con un accenno di acne, e dunque aveva condotto la sua vita in condizione e in vista di esse. Nello specifico, il giovane Watson aveva scelto di innalzare un muro che lo dividesse da chiunque altro, che gli permettesse di non essere scalfito da un altro essere umano; tuttavia, anche quella misura aveva comportato un sacrificio, poiché se da una parte non poteva essere ferito, dall'altra non poteva nemmeno capire cosa significasse provare quel tipo di felicità che solo il contatto con una persona può darti: il contatto vero, quello che prevedere per forza di cosa l'abbassamento delle proprie difese. Questo lui lo sapeva, e vi aveva rinunciato coscientemente. Perché? Perché evidentemente le sue priorità erano altre, e per vederle compiute, doveva per forza abbandonare qualcosa per strada. Senza dar voce a quei pensieri, sbuffò verso il soffitto una nuvoletta di fumo, guardandola disintegrarsi lentamente nell'ambiente fino a creare una leggera patina di nebbiolina sopra le loro teste. "Ha avuto la sua occasione, e contrariamente a ciò che si dice, con me ne hai solo una. So bene cosa dice in giro sul mio conto. Mi piace quello che dicono. Scamander si ama come una cosa preziosa che non ti appartiene. Qualcosa che devi essere pronto a lasciar andare in qualunque momento. Ma con me, se sprechi la tua occasione, sei niente. Se te ne vai, sei niente." Non si aspettava nulla di meno. Percy sapeva benissimo che nel nominare Scamander, avrebbe sicuramente fatto scattare un sistema esplosivo all'interno di Charlie, e il semplice fatto che le sue previsioni si fossero avverate sottolineava la differenza tra loro due: che Charlie, alla propria felicità - anche soltanto alla labile speranza di poterla un giorno trovare - non ci aveva mai davvero rinunciato. Forse perché non aveva sufficienti motivi a farlo, o forse perché non voleva: qualsiasi spiegazione sarebbe stata valida, trattandosi di una scelta così tanto personale. Erano diversi, e quella ne era la prova. Diversi, e basta. Nessuno dei due era migliore o peggiore dell'altro, semplicemente vedevano la propria vita tramite lenti differenti, e questo non era affatto un peccato punibile per nessuna delle due voci. Percy, dal canto suo, non poteva sapere quanto i propositi della ragazza rispecchiassero effettivamente la realtà, ma di certo non poteva dire che le sue parole lo avessero convinto fino in fondo; a Charlie, di Sam, importava..e il problema era proprio quello. Quando ti importa di qualcuno, in un modo o nell'altro finisci sempre per mettere un po' da parte te stesso, a ragione o a torto, nel bene e nel male. Secondo Watson, dunque, non si trattava tanto di un se Charlie sarebbe mai vacillata nelle proprie promesse a se stessa, ma piuttosto di un quando. Ecco, il quando non lo sapeva, ma era piuttosto convinto che prima o poi sarebbe successo. Tuttavia non commentò, limitandosi semplicemente ad alzare le spalle e sbuffare un altro tiro di fumo. A Percy non interessa mai davvero il contenuto delle piccole chiacchiere di circostanza, ma piuttosto il modo in cui vengono portate avanti; dietro la scelta delle parole e la gestualità inconscia, vi è un cervello, vi è una sfera emotiva, vi è una persona..e a lui interessa capire quella, non essere aggiornato sui drammi sentimentali dei suoi compagni.
    Ancora in silenzio, abbassò dunque lo sguardo a seguire i movimenti di Charlie, la quale nel frattempo aveva disteso qualche striscia di cocaina sul lavandino di marmo, invitandolo a favorire. Scosse appena la testa, dileguando il tutto con un cenno della mano che doveva sottolineare un muto ringraziamento ma pur sempre un diniego. Non gli piaceva farne uso durante l'orario scolastico, e in generale cercava di consumarne il meno possibile e nella maniera più saltuaria esistente. Una dipendenza era qualcosa che non poteva permettersi. "Mi sorprende questa tua predisposizione al matrimonio. Ti facevo più scapolo fino alla morte. Tu e la Dagerman mi state riservando qualche sorpresa a breve termine? Guardate che è da pezzenti far sapere le cose all'ultimo a una principessa." Rise a quelle parole, genuinamente divertito dall'ipotesi di lui e Bekah che convolavano a nozze. Un'ipotesi a dir poco surreale, di un'ironia che però sembrò farlo sorridere sul serio nel suo essere incontemplabile. Alzò dunque le mani, come a intendere colpevolezza, mentre si abbandonava ad un sospiro. "Volevamo fare una sorpresa mandando gli inviti, ma sei troppo furba: non ti si può nascondere nulla, Windsor." Scapolo fino alla morte. L'idea non gli dispiaceva; anche se avesse trovato la persona giusta, Percy non l'avrebbe mai davvero amata, perché non ne era in grado, era semplicemente oltre le sue possibilità. Ancora una volta a prova del fatto che dalla vita non si può avere tutto. Comunque non era spaventato dall'idea del matrimonio, non come i suoi altri coetanei, perché per lui non avrebbe imposto le stesse limitazioni che stavano tanto a cuore a tutti gli altri: sarebbe semplicemente stato un di più, un ulteriore legame fruttuoso da programmare in maniera strategica e in vista di un obiettivo, nient'altro. "No; non te ne frega un cazzo. Non di quello che ti sto dicendo, o della Dagerman, o di chiunque altro al mondo. L'unica persona che conta..sei tu." Diede un ultimo tiro, stringendosi indifferentemente nelle spalle a quelle parole. "Beccato." disse solo, con un sorrisino che oscillava tra il sereno e il compiaciuto. Percy non aveva mai nascosto il suo disinteresse verso chiunque non fosse se stesso: non lo sbandierava in giro, ma nemmeno lo occultava, poiché era semplicemente una parte fondante del suo essere, del suo modo di interagire con il mondo. E per quanti difetti potesse avere quello stile di vita, a lui stava dannatamente bene così. Il primo passo è sempre capire cosa vuoi, cosa è necessario fare per ottenerlo e cosa, di questo, tu sia disposto effettivamente a fare. Una volta capito ciò, non basta che accettarlo: poiché esso, in sintesi, è il paradigma di ciò che sei veramente come persona. "Insegnami." Sospirò appena, aprendo il rubinetto per spegnere il mozzicone di sigaretta e gettarlo subito dopo nel cestino più prossimo, avvolto in un bozzolo di carta asciugamani. A quel punto incrociò le braccia al petto, voltandosi completamente verso Charlie e appoggiandosi al muro con una spalla. "Per quanto il ruolo di guida e mentore mi abbia sempre intrigato, mi stai chiedendo una cosa che va al di fuori di ogni mio potere, Windsor. Se non ci sei ancora arrivata a quel punto, vuol dire che non fa per te, e non c'è modo di impararlo." fece una pausa, scoccando un'occhiata alla cocaina rimasta sul lavandino e alzando un sopracciglio, per poi riportare subito lo sguardo alla compagna. "A te degli altri, di alcuni almeno, importa. Ti importa più di te stessa, ma questo cambia poco le carte in tavola. Non sto qui a dirti che fai male: ognuno vive la propria vita come preferisce, rinunciando a ciò che può e puntando a ciò che vuole. Vuoi fregartene? Perfetto. Allora devi tagliare tutto: sia le possibilità di lasciarti ferire, sia però quelle di lasciare che qualcuno ti renda felice." Una rinuncia stupida, agli occhi dei più, poiché l'uomo è un animale sociale e non può prescindere da coloro che gli stanno intorno. Eppure non lo è, non è veramente così stupida, poiché il libero arbitrio ce l'abbiamo, anche se è una vera e propria fregatura. Possiamo dunque scegliere cosa fare e con chi, come comportarci, come agire. Possiamo scegliere di non sentire, ma se lo scegliamo, dobbiamo anche accettare che quel non sentire comprende davvero tutto, e non solo la parte che vorremmo anestetizzare; altrimenti sarebbe troppo facile, no? Diede voce a quei pensieri semplicemente tramite una stretta di spalle. "Tu evidentemente ancora, nel profondo, ci speri..nella gente. Non te ne faccio una colpa. Ma la speranza, anche la più piccola, comporta le sue croci, che sono diverse da quelle che ti prendi quando non ce l'hai." Fece un'altra pausa, mordendosi il labbro inferiore mentre sul suo volto si andava a formare un'espressione di serena accettazione. Lo sguardo si perse per un istante nel vuoto, prima di scuotersi e tornare agli occhi di lei, puntandovisi dentro. "Qual'è la tua priorità, Charlie?"
     
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    « Per quanto il ruolo di guida e mentore mi abbia sempre intrigato, mi stai chiedendo una cosa che va al di fuori di ogni mio potere, Windsor. Se non ci sei ancora arrivata a quel punto, vuol dire che non fa per te, e non c'è modo di impararlo. A te degli altri, di alcuni almeno, importa. Ti importa più di te stessa, ma questo cambia poco le carte in tavola. Non sto qui a dirti che fai male: ognuno vive la propria vita come preferisce, rinunciando a ciò che può e puntando a ciò che vuole. Vuoi fregartene? Perfetto. Allora devi tagliare tutto: sia le possibilità di lasciarti ferire, sia però quelle di lasciare che qualcuno ti renda felice. » In cuor mio so che non avrei dovuto chiederglielo. Percival Watson non lascerebbe nulla al caso, non certo la risposta a una domanda di quel calibro. Sempre perfetto in ogni occasione, in ogni circostanza, sempre attento a non lasciarsi sfuggire nemmeno un briciolo di umanità. L'ho sempre invidiato. Ho sempre invidiato il suo modo di prendere tutto, di affrontare le situazioni. Si era reso incredibilmente irraggiungibile, di pietra; si era lentamente costruito attorno un'armatura fatta di acciaio inossidabile. Quel lato di lui l'ho sempre osservato con vivido interesse, cercando di coglierne le sfumature. Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di infinitamente finto, fittizio, in quel suo modo di fare, un po' come fittizi lo erano i miei. I prescelti, ricchi, e incredibilmente irraggiungibili, eppure, con più danni e disagio di chiunque altri. So per certo che Percy non è poi tanto diverso, so per certo che quel suo sguardo freddo e calcolatore, intento a snocciolare la dimensione in cui vive con un approccio scientifico, non sia frutto di una personalità nata così. Nessuno nasce così. Nessuno nasce buono o cattivo. All'inizio siamo neutri, poi siamo innocenti, ingenui, poi, improvvisamente di fronte ai nostri occhi si dispiegano una serie infinita di strade, mattoni che assemblano la nostra vita e la nostra personalità fino a renderci questo. « Tu evidentemente ancora, nel profondo, ci speri..nella gente. Non te ne faccio una colpa. Ma la speranza, anche la più piccola, comporta le sue croci, che sono diverse da quelle che ti prendi quando non ce l'hai. » Mi stringo nelle spalle. Per molto tempo mi sono lasciata andare. L'ho fatto con la consapevolezza che non ci fosse più nulla. Me ne sono strafregata delle persone, della mia reputazione, del pensiero altrui. E poi, tutto ad un tratto, ho scoperto che non è mai stato così, che della speranza non puoi farne a meno, e non puoi fare a meno nelle delle persone. Persino i più crudeli esseri umano hanno sempre bisogno di qualcuno, e chi non riesce a trovarlo, sfoga la sua incapacità altrove, si costruisce mostri sacri, parla da solo, si ritrova a nidificare una fitta rete di voci e personalità nella propria testa. « Bisogna pur credere in qualcosa. » Gli dico impassibile, puntando lo sguardo di fronte a me, lasciandolo vagare negli antri più oscuri e luridi di quel bagno. Appoggio la testa al muro alle mie spalle lasciando che l'effetto delle droghe facciano il loro corso. Il punto è che ad un certo punto arrivi alla fatidica linea di rottura, un livello prettamente inconsistente
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    « Qual è la tua priorità, Charlie? » Quella domanda mi giunge nuova. Non credo che qualcuno mi abbia mai chiesto quali siano le mie priorità, forse perché tutti pensano di intuire quali siano le mie. Non ne ha; la Windsor non ha priorità, chi ha bisogno di priorità quando ha i soldi e la fama che ha lei? « Non ho priorità. » Bugia; una bugia che non mi impegno nemmeno di nascondere, detta con quel solito tono riservato alla maggior parte delle persone, non quello più basso, più riflessivo, più cupo e freddo, riservato a questi incontri che durante gli ultimi anni si sono sempre più intensificate. Non parlavamo quasi di nulla io e Percy quando ci trovavamo nello stesso spazio vitale, eppure, parlavamo di tante cose. Con frasi lasciate a metà, affermazioni fredde e distaccate, silenzi importanti; alla fine a forza di non parlare, ci eravamo detti più cose noi di quante se ne dicano grandi amici che vantano legami costruiti in anni ed anni di fiducia e onestà. Io e Percy non eravamo né onesti e tanto meno fiduciosi l'uno nell'altro. A tratti penso che non gli piacessi nemmeno come persona. Credo solo mi tolleri più di quanto tolleri altri. A me dal canto mio, l'ho sempre trovato interessante, mai troppo invasivo, sempre sulle sue; caustico e puntiglioso, eppure decisamente discreto. « Ora, tornando al discorso di prima, mi conosci; sai che non sono la tipa che ti dirà mai ommioddio Percy Watson non dire così, tutti hanno bisogno della speranza e di qualcuno al proprio fianco e bla bla bla, quaquaraqua, eccetera eccetera.. » I discorsi da bambine sognatrici li lascerò a qualcun altro. A qualcuno che riesca ancora a crederci nella stronza dell'amore eterno, del amore alla Cenerentola e il Principe Azzurro e via così. A quelle stronzate non ci ho mai creduto, perché io i principi e le principesse le conosco, e nessuno è davvero come descritto dalle favole. Personalmente la scarpetta di cristallo poi, la trovo infinitamente scomoda, quindi perché mai qualcuno vorrebbe una cazzo di scarpetta di cristallo? « Non puoi dirmi che il segreto sia slegarsi da qualunque forma di speranza, altrimenti non puoi davvero aspettarti che io ti prenda sul serio. » Scuoto la testa sorridendo appena. « Andiamo Watson, non prendiamoci per il culo. Queste stronzate vendile alle bambine con cui non vuoi uscire e a cui sbatti la porta in faccia dopo il primo giro; ma non a me. » Mi stringo nelle spalle appoggiando la tempia contro il muro, girandomi appena per poter corrispondere quel suo sguardo meglio. Guardiamoci nelle palle degli occhi, Watson. Chi vuoi prendere per il culo? « Matrimonio, non matrimonio; speranze o meno; felicità, miseria o impassibilità che siano, siamo esseri fottutamente scontati. » Lo dico come un atto di sconfitta. E' una sconfitta. Le cazzo di endorfine le abbiamo tutte. Non è religione, è scienza. « Tutti abbiamo bisogno di un confidente, una metà, qualcuno su cui contare nel bene e nel male. Qualcuno con cui sfogarci quando alla fine della giornata ci sentiamo morire dentro. Anche tu ti senti morire dentro a volte.. non sei di ferro. Ne sono certa. Per esperienza personale, ti dico di non contrastarla troppo; quando arriva lasciati andare, sii felice, fatti ferire.. altrimenti ti assicuro che non farà che peggiorare. » Percy mi aveva conosciuto ben poco nei giorni in cui vivevo delle sue stesse condizioni; mi prendevo ciò che volevo, sbattevo porte in faccia a chiunque cercasse di farsi leggermente più vicino. Forse caratterialmente, a livello intellettuale, non eravamo per niente simili, lui era certamente più sveglio, più preparato, più ambizioso; eppure, a livello emotivo, quei discorsi mi ricordavano tanto qualcosa che ho già vissuto. « Forse non è ancora arrivata; ma prima o poi ci fotte tutti. Questo te lo posso assicurare. » Scoppio a ridere di punto in bianco. Discorsi sconnessi a cui probabilmente non darà quattro soldi. « Me ne parlerai.. quanto arriverà. » Non è una richiesta e nemmeno un'ipotesi. Se non lo farà lui, lo faranno i suoi occhi. Per quanto risultino inespressivi, quegli occhi sanno comunicare più di quanto lui vorrebbe. A quel punto resto per un po' in silenzio a pensare alla sua domanda. Le mie priorità credo siano sempre state lì da qualche parte; solo che non ho mai voluto accettarle, non ho mai voluto credere che ci fossero, semplicemente perchè avrebbero cozzato troppo con l'immagine che volevo dare di me. I sogni, le aspirazioni, sono sempre stati un complesso che non ho mai potuto concedermi. E sembra paradossale quando fondamentalmente hai il potere di fare qualunque cosa tu voglia, quando tutto è lecito e nulla è prettamente proibito. « Vuoi davvero sapere qual è la mia priorità? » Forse una delle poche domande sincere, che mostra interesse. Tra due persone che non hanno mai mostrato interesse nell'ascoltarsi a vicenda, è lecita e doverosa. Forse per la prima volta m'interessa sapere se la sua è una domanda tanto per o meno. « Arrivare al punto in cui guardandomi allo specchio mi piacerà ciò che vedrò. » Pura sincerità, gettata lì sul piatto senza pretese. « Sparire, per rinascere diversa. Non raccomandata, non capricciosa, non famosa. » Pausa. « Fare qualcosa che appartenga solo ed esclusivamente a me. Qualcosa che conti e che la gente veda al di là della persona che l'ha compiuta. Se potessi, la mia priorità sarebbe essere qualcun altro. Davvero stupido.. lo so. » Ma nessuno poteva davvero capire. Non finché non ci si trovava nella stessa situazione. Dovevo nascere stupida per apprezzare questo mondo. Dovevo nascere superficiale, superflua, irrilevante. Dovevo nascere come le mie amiche di croce, quelle che come me sono nobili e traggono un piacere infinito dall'esserlo. Non è stato così e questa è la mia croce. Non il provare qualcosa o il non provare assolutamente nulla.

     
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    "Bisogna pur credere in qualcosa." Qualcosa è sempre meglio di qualcuno. Qualcosa è affidabile, non cambia idea, sai sempre cosa aspettarti da qualcosa. Delle persone, invece, non si può dire lo stesso. E magari Percy si sbagliava, magari la sua paranoia maniacale lo portava a vedere ombre nemiche persino dove non vi era alcun pericolo, ma la sua mente funzionava così. Un folle, diranno i più, ma in fin dei conti la sua era la reazione più naturale e forte di fronte a ciò che aveva passato nei primi dieci anni della sua vita, quelli più delicati e preziosi. Si dice che l'infanzia sia il periodo più felice, e che tutto ciò che la segue sia solo un crescendo di problemi che ce la fa rimpiangere; ecco, per lui non era stato così, per lui quei dieci anni erano stati segnati da un incubo continuo che non sembrava svanire nel momento in cui apriva gli occhi al mattino, ma solo acuirsi. Percy della gente non si fidava, perché come mai avrebbe potuto? Come avrebbe potuto, quando aveva visto suo fratello minore morirgli davanti sotto le percosse delle due persone che al mondo avrebbero dovuto amarlo più di chiunque altro? Come avrebbe potuto, quando quelle stesse persone erano state coloro che avevano riempito il suo stesso corpo di lividi ed escoriazioni, punendo ogni suo piccolo sbaglio - anche quelli totalmente involontari - con dosi eccessive di violenze fisiche e verbali? No, non si fidava. E chi potrebbe mai dargli torto? Percy, dunque, in qualcosa ci credeva: credeva nel fatto che l'uomo fosse capace di cose terribili anche nei confronti delle persone che più amava sulla faccia della Terra, figuriamoci quando nemmeno l'amore c'era di mezzo a fare da filtro. E in fin dei conti, sono sempre coloro che più ti stanno a cuore a ferirti più profondamente; dunque, più persone ami e più sei debole. E' tutta una questione di ridurre al minimo le probabilità. Lui, dal canto suo, le aveva ridotte a una sola altra persona al di fuori di se stesso: sua sorella gemella. Lui e lei, da sempre e per sempre gli unici: avevano condiviso il ventre materno, galleggiando e crescendo insieme per nove mesi, cellula dopo cellula. E tutto ciò sarebbe stato probabilmente molto facile e illuminante da spiegare a Charlie, ma sappiamo tutti che Percy Watson, quello che conosciamo, non lo avrebbe mai fatto. A che pro? Per provare il proprio punto? Certo, era orgoglioso, ma il suo orgoglio si arrestava ai confini della salvaguardia personale, e fino a prova contraria, Charlie non era sua sorella gemella, dunque non aveva alcun diritto ne' dovere di venire messa a conoscenza dei motivi per cui lui la pensava in un certo modo. Si sa: una volta data la chiave di lettura, decifrare l'intero testo è un gioco da ragazzi; e lui quella chiave se l'era sempre tenuta ben stretta, con nessuna intenzione di passarla a qualcun altro.
    "Non ho priorità. Ora, tornando al discorso di prima, mi conosci; sai che non sono la tipa che ti dirà mai ommioddio Percy Watson non dire così, tutti hanno bisogno della speranza e di qualcuno al proprio fianco e bla bla bla, quaquaraqua, eccetera eccetera..Non puoi dirmi che il segreto sia slegarsi da qualunque forma di speranza, altrimenti non puoi davvero aspettarti che io ti prenda sul serio. Andiamo Watson, non prendiamoci per il culo. Queste stronzate vendile alle bambine con cui non vuoi uscire e a cui sbatti la porta in faccia dopo il primo giro; ma non a me. Matrimonio, non matrimonio; speranze o meno; felicità, miseria o impassibilità che siano, siamo esseri fottutamente scontati." Vero, ma nella nostra scontatezza, siamo incredibilmente imprevedibili quando ci va. "Tutti abbiamo bisogno di un confidente, una metà, qualcuno su cui contare nel bene e nel male. Qualcuno con cui sfogarci quando alla fine della giornata ci sentiamo morire dentro. Anche tu ti senti morire dentro a volte.. non sei di ferro. Ne sono certa. Per esperienza personale, ti dico di non contrastarla troppo; quando arriva lasciati andare, sii felice, fatti ferire.. altrimenti ti assicuro che non farà che peggiorare. Forse non è ancora arrivata; ma prima o poi ci fotte tutti. Questo te lo posso assicurare. Me ne parlerai.. quanto arriverà." Si strinse nelle spalle, osservandola con una certa serenità. In ogni caso, qualsiasi cosa avesse detto, lei sarebbe rimasta sulle sue convinzioni e lui sulle proprie. Non voleva venderle niente, non voleva cercare in tutti i modi di convertirla al suo stesso credo, poiché sapeva benissimo quanto impossibile fosse senza delle ragioni più che valide a darti la spinta oltre il limitare del burrone. "Io per tutte queste cose ho mia sorella. Non ho bisogno di desiderarla fisicamente per avere tutto il resto." Semplice e lineare, ecco come appariva Percy dall'esterno, quando in realtà dentro di sé era tutto il contrario: contorto e complesso come un cubo di rubik con mille facce. "Comunque, se mai qualcun altro dovesse arrivare, sarai la prima a saperlo." Sorrise tra sé e sé, lasciando la frase a quel punto, sebbene quel postulato ammettesse fin troppe condizioni ai suoi occhi. Percy sapeva che, semmai quella tanto decantata anima gemella fosse arrivata anche per lui, non sarebbe stato semplice, proprio perché dalla vita non si può avere tutto. Era dunque troppo sveglio per illudersi che quella persona sarebbe stata l'esatta traduzione dei suoi bisogni. Con ogni probabilità, piuttosto, sarebbe stata una persona scomoda per le sue mire e i suoi obiettivi: per questo motivo si allenava da tutta la vita ad avere la freddezza necessaria a lasciarla indietro quando sarebbe giunto il momento.
    "Vuoi davvero sapere qual è la mia priorità?" annuì serio, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni. "Arrivare al punto in cui guardandomi allo specchio mi piacerà ciò che vedrò. Sparire, per rinascere diversa. Non raccomandata, non capricciosa, non famosa. Fare qualcosa che appartenga solo ed esclusivamente a me. Qualcosa che conti e che la gente veda al di là della persona che l'ha compiuta. Se potessi, la mia priorità sarebbe essere qualcun altro. Davvero stupido.. lo so." No, non era una cosa stupida. Era utopica, ma non stupida. Certo, Percy non era il tipo di persona che ti dava una pacca sulla spalla e ti diceva che i tuoi sogni più spinti si sarebbero prima o poi realizzati. No, lui le stronzate non le diceva, non quando non aveva alcun motivo per farlo. Chiamatelo pure brutale, ma è sempre meglio che essere un venditore di menzognine confezionate al solo scopo di far sentire infondatamente meglio chi abbiamo intorno. In ogni caso la Windsor lo avrebbe visto da sola, prima o poi, che si può far tutto tranne che cancellare il passato. "Puoi farlo.." iniziò dunque, quasi sovrappensiero "..agli occhi degli altri, almeno. Con i dovuti accorgimenti. Ma ai tuoi occhi?" Le scoccò un'occhiata, storcendo appena le labbra e scuotendo la testa "Puoi ingannare tutti tranne te stessa; è questa la grande fregatura." Tirò un profondo sospiro, stringendosi nelle spalle come se nulla fosse. "Hai detto che bisogna pur credere in qualcosa." pausa "Ecco. Comincia col credere in quello che tu puoi fare per aiutare te stessa. Gli altri..quelli oggi ci stanno e domani non si sa. L'unica persona con cui sei davvero certa che rimarrai fino alla fine, sei solo tu, ed è meglio che cominci a fartela piacere, perché è la sola a cui interessi sul serio qualcosa delle tue priorità. Come dice il proverbio: ricorda, se hai bisogno di una mano, la troverai alla fine del tuo braccio."
     
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    « Io per tutte queste cose ho mia sorella. Non ho bisogno di desiderarla fisicamente per avere tutto il resto. » Quell'unica affermazione mi riporta a George. Lui, forse l'unica persona che ho sempre amato incondizionatamente, al quale potrei perdonare tutto. George non è mai stato sbagliato ai miei occhi; è sempre stato perfetto nella sua interezza, pur con i suoi mille limiti e i suoi difetti, comuni a qualunque essere umano, ai miei occhi George non ha mai sbagliato un colpo e per lui non sono mai stata sbagliata, pur avendo agito in passato nei peggiori modi possibili. George ha sempre trovato un migliaio di scuse nella mia mente, e io ne ho trovate altrettante nella sua. Uno spalleggiarsi talmente forte da risultare quasi indissolubile. Eppure, in cuor mio ho sempre saputo che prima o poi il nostro rapporto si sarebbe affievolito. Pur restando sempre uniti, prima o poi, le priorità personali, ci avrebbero divisi, allontanati. Avrò sempre una persona di fiducia in George, l'unica di cui possa fidarmi fino in fondo, ma lui non potrà essere sempre lì. Perché, a meno che non ci si trovi lungo lo stesso sentiero, le nostre priorità non coincideranno sempre, e non potremmo nemmeno mai avere la pretesa di tuffarci l'uno nella vita dell'altro per aggiustare quanto di rotto ci sia. Io e Percy conoscevamo l'intensità dello stesso rapporto; una condivisione talmente profonda e talmente lunga, talmente a contatto da essere insuperabile. « Non è la stessa cosa, sai cosa intendo. Conosco bene il legame che tiene strette due persone che hanno condiviso lo stesso spazio per nove mesi prima della nascita. Sette e mezzo nel nostro caso, ma il tempo non cambia poi molto. » Due rompicoglioni sin dalla nascita; due spine nel fianco, così desiderosi di uscire da non riuscire nemmeno a rispettare i tempi stabiliti convenzionalmente dalla natura. D'altronde, io e George siamo sempre stati tutto fuorché convenzionali. « Comunque, se mai qualcun altro dovesse arrivare, sarai la prima a saperlo. » « Oooh, che premuroso. Lo sai che non c'è nulla di più dilettevole per me di uno scoop. » Falsa come una banconota da tre sterline. D'altronde di certo quel nostro momento a cuore aperto non avrebbe certo rovinato lo stile abituale delle nostre chiacchierate. Non del tutto quanto meno. Il punto è che siamo così; mai troppo, mai troppo poco, mai pienamente fuori da quelle conversazioni, mai del tutto dentro. Il punto è che a modo nostro, sia io che lui, siamo sin troppo svegli. Averci l'un l'altro vicino, non contro, ci fa comodo, a prescindere da quel che la comune opinione possa pensare, ma al contempo, non avremmo mai il fegato di fidarci del tutto completamente l'uno dell'altro. Dovrei essere una stupida a farlo; Percy Watson avrà sempre il mio voto di fiducia davanti a tutti gli altri, ma nel profondo sarei una sciocca se mi fidassi di ogni cosa che esce da quelle labbra. « Puoi farlo.. agli occhi degli altri, almeno. Con i dovuti accorgimenti. Ma ai tuoi occhi? Puoi ingannare tutti tranne te stessa; è questa la grande fregatura. Hai detto che bisogna pur credere in qualcosa. Ecco. Comincia col credere in quello che tu puoi fare per aiutare te stessa. Gli altri..quelli oggi ci stanno e domani non si sa. L'unica persona con cui sei davvero certa che rimarrai fino alla fine, sei solo tu, ed è meglio che cominci a fartela piacere, perché è la sola a cui interessi sul serio qualcosa delle tue priorità. Come dice il proverbio: ricorda, se hai bisogno di una mano, la troverai alla fine del tuo braccio. » Scoppio a ridere e salto giù dalla superficie di marmo su cui sono rimasta seduta fino a quel momento. Con una semplice manata ripulisco la superficie del restante di polverina bianca non utilizzata. Uno spreco? Potrei permettermi chili di quella roba. Come minimo posso non utilizzare la roba rimasta contaminata dai bagni pubblici per un tempo superiore ai cinque minuti. Mi ripulisco le mani prima voltarmi nuovamente nella sua direzione. « Cazzo, sei peggio di Laurence come strizzacervelli. Te lo ricordi Laurence vero? » E' così che ci siamo conosciuti. Ogni settimana finivano dallo stesso folle con manie di protagonismo con più problemi psicologici di noi. Quanta roba abbiamo scroccato da quel deficiente. Io di certo ne ho scroccata davvero tanto. Potrei anche avergli rubato qualche fogliettino dal ricettario, ma ehi, eravamo giovani; due anni fa eravamo davvero giovani. « Almeno lui dopo ogni paternale ti firmava una ricetta piena di meraviglie colorate. » Ne era passata di acqua sotto i ponti da quei tempi. Alla fine Laurence era stato licenziato per inadeguatezza e inadempimento; gli hanno ritirato la licenza ed è probabilmente finito sotto un ponte. Solo una delle numerose vittime di questo sistema contorto. Prima lo hanno abilitato pur essendo un totale incompetente, poi lo hanno buttato giù a calci nel sedere. Un momento sei alle stesse, piccolo Laurence, il momento dopo percorri la discesa negli inferi. « Ho trovato. » Dico improvvisamente con uno sguardo enigmatico sulle labbra mentre mi avvicino alla borsa sistemandola sulla spalla. « Ho il regalo perfetto per il tuo diploma. E anche per la tua ammissione. » Continuo mentre mi infilo in uno dei separé, cercando all'interno della borsa con un sorriso malizioso stampato sulle labbra. « Ovviamente te ne avrei fatto uno. Ma ero davvero indecisa. Voglio dire, che cosa potresti mai regalare a Percy Watson senza risultare scontato e prevedibile? E' più difficile di quanto sembri. Sei un tipo pretenzioso e con gusti molto particolari. Ma ora che ci penso ho la cosa perfetta. » Poco dopo sono di nuovo fuori dalla cabina; lascio cadere la borsa nuovamente per terra e mi avvicino a lui. « Abbracciami. » Gli dico di scatto con un sorriso divertito sul volto. « Avanti non fare il timido. Mostrami un po' di tenerezza Watson. Tra poche settimane ti mancherà la mia rottura di coglioni settimanale. » Oppure no. Mi avvicino avvolgendogli un braccio attorno al collo mentre appoggio il mento sulla sua spalla. Mi tocca alzarmi in punta di piedi per raggiungerlo. Il braccio rimasto libero conduce il suo braccio lungo il fianco avvicinandolo sempre di più al fondo schiena. Ed è allora che scoppio a ridere mentre guido la sua mano in un punto specifico sotto la camicia, là dove le sue dita avrebbero incontrato qualcosa di decisamente estraneo al tatto. Un legnetto sottile di troppo, uno stecchino che si stende lungo la spinta dorsale. Stringo le mie dita assieme alle sue attorno al manico della bacchetta, lasciando che lo sguardo fintamente sorpreso si estenda sul mio volto, mentre si posa nel suo. « Uuuuh, ma che cosa abbiamo mai qui? Magggggia. » Gli dico mentre la sfilo da sotto la maglietta porgendogliela. Alla base del manico, una sola iniziale. W. La mia vecchia 11". L'avevo data per dispersa, poi, maggggggia l'ho ritrovata sul fondo di uno dei bauli poco dopo che Kingsley ci ha chiesto di riconsegnare le nostre bacchette. Quella non l'ho mai riconsegnata. Ma a dirla tutta non l'ho nemmeno mai usata, se non per mettere apposto la stanza o accendermi le sigarette. « Ciliegio, corda di cuore di drago, 11 pollici; non sarà l'ideale, ma sono certa che nelle prossime settimane può risultare più utile a te che a me. »
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    Watson chiudeva persino la porta della sua stanza con l'ausilio della bacchetta. Non si scomodava nemmeno di andare a prendersi i quaderni da solo. No lui richiamava tutto; lui faceva tutto ciò che avessi avuto modo di vederlo fare con la magia. Era il tipico mago in tutto e per tutto. Zero tecnologie babbane, persino poche conoscenze, se non quelle contenute sui libri forse, riguardanti il mondo babbano. « Consideralo un investimento a lungo termine. Sono certa che usciti da qui dentro ci rivedremo ancora. » Mi allontano di un passo appoggiandomi allo stesso muro contro il quale si tiene in equilibrio lui. « Ora guardami negli occhi e facci una fotografia mentale. Ricordateli attentamente; un giorno potrebbero essere l'unica chiave che ti dia accesso ad altri privilegi di questo tipo. Ricordateli come se ne andasse della tua vita, come se fosse importante riconoscerli tanto quanto ricordare tutte le date dei M.A.G.O. di Storia della Magia. » Pausa. « Ce l'hai? Ora mi raccomando, non scordarli. E ricorda: dietro un grande uomo c'è sempre una donna con le mani sporche di sangue. »



     
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    Percy non aveva mai avuto una fidanzata, non nel senso più tradizionale del termine. Non era un Casanova, non aveva alcun problema con l'idea di impegnarsi, ne' era mai stato il tipo di ragazzo a cui il correre dietro a una gonnella svolazzante era mai interessato particolarmente. Alcuni lo consideravano asessuato, altri bisbigliavano tra loro che in realtà fosse omosessuale. La verità, come è ben noto, è sempre quello strato di lieve sabbiolina che si sedimenta sotto l'inutile chiacchiericcio mondano. A Percy Watson piacevano le donne, e non era poi questo gran mistero: non lo nascondeva ne' lo sbandierava, poiché ai suoi occhi la sessualità era solo una parte complementare della vita che non aveva mai avuto una priorità per lui. Non aveva bisogno di ostentare interesse per provarlo, non aveva nemmeno necessità si farlo per sentirsi più in linea con i propri coetanei. Parlare di tette e culi, come la maggior parte degli adolescenti, era sempre apparsa ai suoi occhi come inutile compensazione che poteva nascere dalla mancanza di ulteriori argomenti o anche semplicemente dalla difesa di una mascolinità che si avvertiva come continuamente minacciata. Percy Watson era elegante, si vestiva bene, curava il proprio aspetto con una precisione maniacale, e allo stesso tempo manteneva nei propri spazi un ordine invidiabile; amava il taglio sobrio di un completo scuro, amava il delicato ed equilibrato tocco della propria acqua di colonia, amava la maniera in cui la camicia stirata e candida di bucato fresco ricadeva sul suo corpo con pieghe delicate e non grinze di trascuratezza, amava quella barbetta leggera che non era mai troppo ne' troppo poco. Amava svegliarsi a orari allucinanti per andare a correre anche nel gelo mattutino dell'inverno inglese, così come amava anche moderare la propria alimentazione e regolarla sui giusti cibi. Amava se stesso, a livello fisico, perché a se stesso teneva, e per quanto fosse la persona a cui meno di tutti il castello dimostrava simpatia, Percy Watson era forse uno dei ragazzi più reali e fedeli a se stessi lì dentro. Si era accettato, con pregi e difetti, lavorando sulle proprie potenzialità in maniera da trarne sempre il massimo. E allora perché non aveva mai avuto la tanto decantata fidanzatina? Semplice: perché non era una sua priorità. Aveva avuto storielle, sì, poiché ogni persona nelle cui vene scorre un minimo di sangue ha i propri istinti, ma il distacco emotivo con quelle ragazze era sempre stato un limite che il giovane non aveva mai tardato a tracciare sin dal primo momento. Eppure, si sa, l'essere umano è imperfetto e incredibilmente fallace, tendente alla contraddizione in termini. Lui, nel suo piccolo, aveva dimostrato sempre una forza di carattere e un polso ragguardevoli in tali situazioni: metteva in chiaro il tipo di rapporto che avrebbe mantenuto, e quello era, senza scherzi o giochetti di prestigio che riteneva inutili perdite di tempo. Se ci stavi bene, altrimenti finiva lì senza tirarla avanti. Ahimè, caro Percy, non tutti possono pensare e agire alla stessa maniera, e non tutti riescono a tracciare i confini di un rapporto prima ancora di intraprenderlo. Una di queste persone era stata Layla, una Corvonero che aveva conosciuto pochi mesi dopo il proprio trasferimento ad Hogwarts: con lei era stato chiaro fin dall'inizio, e la figlia di Priscilla aveva accettato le condizioni del Serpeverde apparentemente senza troppi problemi. Le cose non erano andate però come da accordi. Lei non si era mai comportata da pazza gelosa o da disperata con bisogno di attenzioni, eppure più la cosa andava avanti e più negli occhi di Layla, giorno dopo giorno, Percy aveva iniziato a leggere una montante frustrazione e infelicità che solo da un sentimento poteva scaturire. Ah, l'amore non corrisposto: ci si scontrano tutti prima o poi, e non è mai piacevole. Percy lo sentiva il suo sguardo a lezione o durante i pasti, sentiva l'enorme differenza di elettricità tra le carezze di Layla e quelle di Rebekah, notava come le labbra di lei si distendessero involontariamente ogni volta che le parlava, e soprattutto notava quanto il coinvolgimento della ragazza fosse incredibilmente diverso dal suo durante i momenti di intimità. Alla fine lui aveva troncato, distaccandosi lentamente fino ad arrivare al punto in cui la loro massima interazione era il saluto; lei non aveva detto nulla, fino a che l'anno dopo non aveva annunciato il proprio trasferimento in Francia con la famiglia - e dunque la continuazione degli studi a Beauxbatons. Con i bagagli in mano lo aveva fermato nel cortile di pietra, sicura che in ogni caso lo avrebbe trovato solo, e gli aveva fatto una semplice domanda "Perché?". Non aveva bisogno di aggiungere altro, poiché amava Percy abbastanza da conoscerlo e da sapere che avrebbe compreso esattamente il punto della questione senza girarci intorno. "Perché non so farlo." era stata la sua sciolta e sincera risposta, l'unica vera che potesse darle. Probabilmente lei lo sapeva già, ma voleva solo sentirselo dire, e quindi non aggiunse altro: annuì mestamente, con contegno e dignità, prima di rovistare nella borsa a tracolla, estraendone una piccola pagina strappata da un libro e piegata in due. "Tieni. So che non ti piacciono i regali, ma volevo lasciarti qualcosa. Qualcosa che fosse più tuo che mio: perché è così che si dovrebbero fare i regali." Lei, proprio lei che a Percy aveva dato sin troppo senza mai ricevere nulla in cambio. "Io non ti ho fatto nessun regalo però." fu la risposta secca e vagamente confusa del Serpeverde, mentre allungava una mano per accettare quel foglio giallognolo. In tutta risposta Layla si limitò a sorridere, scuotendo appena la testa mentre si allontanava. "Non te ne sei reso conto, ma lo hai fatto. Per il momento, Percy: grazie. Un giorno, se mai ci rivedremo, forse mi dirai che hai capito." Il Serpeverde rimase semplicemente lì a guardarla andarsene, senza dire nulla, confuso. Per la prima volta in vita sua si sentì di non aver compreso qualcosa, di essere lontano dalla conoscenza che aveva sempre distinto. Aprì dunque il foglio, sperando che la risposta si trovasse impressa su quella pagina, ma l'unica cosa che vi trovò fu l'estratto di un libro di poesie. Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto. I più belli dei nostri giorni non li abbiamo ancora vissuti. E quello che vorrei dirti di più bello non te l’ho ancora detto.

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    "Ho trovato. Ho il regalo perfetto per il tuo diploma. E anche per la tua ammissione." I regali, una cosa che a Percy non era mai davvero piaciuta. Non era una repulsione particolare, semplicemente non era nel suo modo di pensare: era difficile, per lui, concepire l'idea di donare qualcosa senza chiedere nulla in cambio, convinto com'era che anche la più piccola sciocchezza avesse un prezzo. Aggrottò dunque la fronte, tornando per un istante col ricordo al momento in cui lui e Layla si erano salutati, all'ultima volta in cui l'aveva sentita. "Ovviamente te ne avrei fatto uno. Ma ero davvero indecisa. Voglio dire, che cosa potresti mai regalare a Percy Watson senza risultare scontato e prevedibile? E' più difficile di quanto sembri. Sei un tipo pretenzioso e con gusti molto particolari. Ma ora che ci penso ho la cosa perfetta." Lui, dal canto suo, non era mai stato bravo con i regali. Non riusciva a concentrarsi sul dare senza pretese un qualcosa che avesse un significato per la persona a cui la donava. I regali che faceva, quei pochi, erano più un dovere che una vera espressione della sua considerazione dell'altro. Erano belli, ovviamente, poiché il giovane aveva un gran buon gusto, ma erano solo quello: belli e basta. Belli da guardare, forse utili, ma sempre e comunque asettici e privi di sentimento. "Abbracciami." alzò le sopracciglia con un'aria tra lo scettico e l'incredulo, fissandola con una certa nota di ironia negli occhi. "Avanti non fare il timido. Mostrami un po' di tenerezza Watson. Tra poche settimane ti mancherà la mia rottura di coglioni settimanale." Abbracci..un'altra delle tante cose che Percy davvero mal sopportava. Non fu dunque strana l'espressione riluttante che prese il suo viso nell'allargare appena le braccia, suo malgrado, accogliendo la stretta della ragazza. Tutto decisamente strano. Non meno strano fu sentirsi portare il braccio sempre più in basso, un'azione al quale rispose con un automatico irrigidimento dei muscoli, una sorta di meccanismo inconscio e consequenziale ai contatti fisici inaspettati che scatenò una leggera risata da parte di Charlie. Tuttavia la leggera aria di gravità nel suo sguardo non trovò riscontro, trasformandosi piuttosto in un fare sorpreso nell'incontrare un corpo rigido e legnoso alla base della schiena di lei. "Uuuuh, ma che cosa abbiamo mai qui? Magggggia." disse, anticipando la lecita domanda di lui e sfoderando una bacchetta magica. "Ciliegio, corda di cuore di drago, 11 pollici; non sarà l'ideale, ma sono certa che nelle prossime settimane può risultare più utile a te che a me. Consideralo un investimento a lungo termine. Sono certa che usciti da qui dentro ci rivedremo ancora." Prese la stecca tra le mani, osservandola guardingo, rigirandosela tra le mani, ponderando i suoi parametri di flessibilità e bilanciamento in pochi gesti. Non era la stessa bacchetta che le aveva visto utilizzare a lezione, e non era nemmeno sicuro di voler sapere come mai la possedesse; in certi casi, d'altronde, meno si sa e meglio è. Alla fine alzò di scatto lo sguardo negli occhi di lei, facendo roteare fluidamente la stecca fino a infilarla sotto la camicia, contro il fianco, in maniera che non si vedesse. L'avrebbe testata più tardi in camera propria, iniziando da qualche incantesimo di base per assicurarsi che il passaggio di proprietà non gli avrebbe giocato brutti scherzi - cosa che in teoria non era propria del legno di ciliegio ne' tanto meno delle corde di cuore di drago, ma non si sa mai. "Grazie." disse solo, con una certa diffidenza nella voce, come se si aspettasse una richiesta di bilanciamento. "Ora guardami negli occhi e facci una fotografia mentale. Ricordateli attentamente; un giorno potrebbero essere l'unica chiave che ti dia accesso ad altri privilegi di questo tipo. Ricordateli come se ne andasse della tua vita, come se fosse importante riconoscerli tanto quanto ricordare tutte le date dei M.A.G.O. di Storia della Magia. Ce l'hai? Ora mi raccomando, non scordarli. E ricorda: dietro un grande uomo c'è sempre una donna con le mani sporche di sangue." Per un istante sembrò tutto reagire a catena come un effetto domino, rimettendo a posto tasselli di cui Percy nemmeno aveva sospettato inizialmente l'esistenza. Un turbinio di tasselli che si dispiegò sotto il suo sguardo ceruleo fino a creare una figura compatta, chiara, leggibile. Layla lo aveva ripagato con l'unica cosa che Percy potesse comprendere e che lei invece non conosceva tanto bene quanto lui: l'aspettativa di un futuro, quella a cui ogni azione del ragazzo sembrava indirizzarsi con amore spassionato. Lui, invece, senza nemmeno rendersene conto le aveva dato - pur se solo a metà e in maniera fragilmente diroccata - un presente in cui sentire, provare, esistere, essere, vivere. Non importava quanto poi quel presente si fosse rivelato inadeguato al futuro, non importava il finale, non per lei: importava che ci fosse stato, anche nei momenti in cui avrebbe preferito evitarlo. Uno scambio equo, per quanto contorto e danneggiato dalla parte di ciò che lui aveva messo sul piatto. E il futuro che lei gli aveva regalato, non era dissimile nelle modalità da quello che Charlie gli stava mettendo di fronte in quel momento: un dopo, che non si sapeva se sarebbe arrivato o come, che cosa avrebbe portato con sé oltre una muta promessa. Un qualcosa che ci sarebbe stato, nel momento in cui entrambi ne avrebbero sentito la necessità. "Lo farò." disse quindi, seriamente, con un cenno di assenso, mentre teneva gli occhi fortemente puntati nei suoi come a suggellare quella promessa senza bisogno di arricchirla con ulteriori parole che sarebbero risultate superflue. Immediatamente l'espressione seria si trasformò in un sorriso enigmatico, mentre la propria mano andava a tuffarsi nella tasca dei pantaloni. "A dirla tutta anche io ho un regalo per te." disse sul fiore di un sorriso, stringendo le dita attorno all'oggetto che andò a trovare, chiudendolo all'interno del proprio pugno. "Per me ha ormai esaurito la sua utilità, o almeno quella che mi ero prefissato." Con un movimento secco aprì la mano di fronte agli occhi di Charlie, lasciando che la Giratempo in essa contenuta prendesse la sua caduta, arrestandosi solo quando la catenina dorata, avvolta attorno al dito medio di Percy, si fu del tutto dispiegata. L'oggetto gli era stato concesso dal Ministero all'inizio dello scorso anno, quando il giovane ne aveva fatto richiesta formale all'interno del bando scolastico dedicato agli studenti più meritevoli. Ovviamente era rientrato tra i vincitori, riuscendo in questa maniera a frequentare più corsi. Alcuni la ritenevano un ottimo metodo per correggere il passato; Percy, dal canto suo, la riteneva più un modo per vivere molteplici presenti. "Consideralo un investimento a lungo termine." disse, ricalcando le sue parole di poco prima. "Magari un giorno, nei tuoi occhi, vedrò che ti è servita per realizzare il tuo obiettivo: essere qualcun altro. In fin dei conti: non siamo niente più e niente meno di ciò che scegliamo di rivelare."
     
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