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Jordan & Roxanne

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    ᗷOYᔕ ᗪO ᑕ(ᕼ)ᖇY(ᔕ)

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    Il sole filtrava leggero oltre la chioma dei lunghi ed imponenti alberi. Il vento soffiava tra i rami fischiando nel silenzio. Tutto dopo quella notte sembrava calmo e rilassante. Le ossa le facevano male, ma star sdraiata su cumuli di foglie morte riusciva stranamente a rilassarla. Era divenuta ormai un tutt'uno con la natura stessa. Nonostante il sole, non aprì gli occhi, decidendo di lasciarsi andare a quello strano torpore misto ad angoscia che dopo ogni trasformazione andava ad impadronirsi di lei. Un giorno sarebbe riuscita a sopportare quel fardello che le comprimeva la spina dorsale. Un giorno sarebbe riuscita a controllare la propria trasformazione. Nonostante i consueti incubi ed il terrore delle proprie azioni, quella sera tutto sembrò essere andato per il verso giusto. Allontanandosi nella foresta, accompagnata da leggeri spasmi che la portavano ad incurvare la schiena, aveva portato con se uno zainetto ricolmo di cambi e provviste, che prima del sorgere della luna, aveva saldamente legato ad uno degli alberi più vecchi del posto. Poi fu il buio e ciò che successe non poté ricordarlo. Svegliarsi lì, da sola, senza alcun cadavere a farle compagnia, risultò essere un buon segno. Si portò le mani al volto per strofinarsi gli occhi sporchi di terra. Il viso scuro dal terreno, sembrava assai più rilassato di prima. Era stata una settimana infernale quella, eppure in quel mattino, nonostante la stanchezza, tutto ciò che le portava tensione sembrava essersene andato via. Con fatica, ma una strana felicità rinchiusa nel petto, cercò di tirarsi su facendo presa sulle esili braccia e voltandosi verso lo zainetto in pelle, tirò fuori una confezione di pancake speditole dalla madre. Ne strappò la carta velocemente e fece per portarsene alla bocca uno. Prese a mangiare come se avesse passato giorni di digiuno e fu stranamente tranquilla in quel posto, tanto da dimenticare le brutte esperienze che ad esso l'avevano legata. Volendo o meno, la foresta sarebbe divenuta la sua nuova casa e per quanto il castello potesse offrire confort non indifferenti, sentirsi libera sembrava essere la gioia più grande. Dopo la luna piena, ogni preoccupazione legata alla sua natura o alle condizioni politiche in cui sembrava scivolare il mondo, sembravano essere nulle. Era come un nuovo inizio quello, un inizio che sarebbe stata costretta ad affrontare da sola. Non ricordava quale fosse l'ultima volta che sua madre le aveva mandato una lettera per chiederle come stesse andando. Non ricordava nemmeno cosa successe la prima volta che si trasformò. Tutto ciò che poteva essere legato ai suoi rapporti interpersonali, sembrava sbiadire difronte a quelle nuove certezze. E a quell'età, di conforti e certezze ella ne aveva assolutamente bisogno. Continuò a mangiare senza sosta, quasi smettendo di respirare pur di dedicarsi completamente al proprio ristoro. Tenendo la schiena poggiata contro l'albero, lasciò le gambe seminude coperte dal plaid ricolmo di foglie secche e rimase ad aspettare qualcosa. C'era uno strano silenzio nella foresta: I centauri risiedevano più giù di lì e le altre creature magiche sembravano preferire il sottobosco piuttosto che la vicinanza alla scuola. Tutti sembravano nutrire timore nei confronti dell'individuo umano. Gettò la cartaccia nella busta e tirò fuori dallo zaino un cambio pulito e delle bende: le capitava di ferirsi accidentalmente durante quelle sere, specie poi se la trasformazione avveniva in concomitanza di luoghi ricolmi di fitti alberi. Aprì la bottiglietta d'acqua e fece scivolare il contenuto lungo la ferita superficiale che aveva sul braccio. L'acqua era gelida, tanto da farle sbattere i denti.
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    « Almeno sei stato capace di insegnarmi qualcosa. » Bofonchiò tra se e se riferendosi a suo padre, illustre medico che però aveva deciso di mandare a rotoli la propria famiglia. Era strano come, nonostante il dolore ricevuto e la manifestazione - da parte dell'uomo - di affetti diversi nei confronti dei suoi figli, a Jordan mancasse la sua figura. Non capiva cosa effettivamente andasse necessitando, se di lui o di una qualsivoglia figura paterna in grado di regalarle affetto. Le mancava sedere sulle gambe di suo padre e sentirlo parlare della propria giornata. Le mancava apprendere nozioni sul mondo adulto. Con una piccola pinza per sopracciglia, prese a ricercare nella ferita delle spine. Ne tolse tre, stringendo i denti senza però lamentarsi, poi coprì il tutto con una benda pulita, stringendola saldamente al braccio. Stava bene e con il passar del tempo, stava persino imparando a non distruggersi del tutto. Si denudò dei propri vestiti strappati ed indossò una delle innumerevoli divise scolastiche lasciate pulite nell'armadio: Essere un lupo mannaro comprometteva i propri risparmi. Nell'indossarla, sì sentì finalmente pulita e coccolata da nuove speranze. Gettò lo sguardo sull'orologio babbano da polso e convenne di doversi affrettare, per così finire i compiti ed arrivare puntuale alla lezione di trasfigurazione di quella mattinata. Ma qualcosa attirò la sua attenzione. Nonostante avesse percepito lungo i corridoi odori familiari al proprio, mai in quelle serate si era ritrovata faccia a faccia con altri lupi, tant'è che la propria teoria cadde nel dimenticatoio. Eppure quei passi sulle sterpaglie non avevano di certo il medesimo suono degli zoccoli dei centauri contro il sentiero. Incontrare un dirigente scolastico, specie in quei tempi, era assai più terribile che incontrare creature pericolose. Raccattò tutto il possibile e stringendo lo zaino in spalla, prese a camminare lungo gli alberi, velocemente, ma cercando il modo di fare meno rumore possibile. Usò i grandi tronchi per nascondersi e cercando di respirare piano, cercò di capire da quale punto provenisse quella presenza. Che fosse vicina ad un altro lupo? Che fosse stata scoperta - nuovamente - da qualche insegnante? Non sempre sarebbe riuscita a passarla liscia quel pensiero, in men che non si dica, la fece ricadere nella sua eterna tristezza.
     
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