Just the wind

privata.

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  1. Ivy;
         
     
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    Volevo fermamente credere in qualcosa, specialmente in quel giorno di pioggia in cui gran parte del castello si era ritirato nei propri angoli bui per dedicarsi allo studio, ed io, invece, cercavo qualcosa in cui gettarmi a braccia aperte, qualcosa in cui immergere tutta me stessa per poter pensare ad altro. Odiavo il fatto di essere stata rinchiusa in questa scuola, specialmente dopo l’esperienza a Durmstrang, eppure, mio padre, aveva ben pensato di insistere con me, usando come incentivo, mia sorella minore Hell. Per lei sarebbe stato il primo anno in assoluto in una scuola di magia e di certo, abituata a studiare in casa come tutto il resto della banda, era fin troppo emozionata di poter varcare le mura domestiche, mentre io, invece, volevo solo ripartire, lontano da Londra, per riprendere il viaggio che la famiglia si era ripromessa di compiere. Purtroppo per me, gli affari alla Corte (il quartiere gitano Londinese), andavano stranamente bene tra mio padre ed Alek e questo significava molto guadagno con la metà della fatica.
    Sospirai prendendo babushka e decidendo di portarla con me a fare un giro. Dasha, la gattina bianca che tiene imprigionata l’anima della mia buona e cara bis-nonna, non apprezzò particolarmente la pioggia battente che, incessante, bagnava la verde radura intorno al castello, ma se ne stette comunque al calduccio dentro il mio maglione, fino a che non raggiunsi le stalle dei Thestral. Ero sempre stata piuttosto felice che solo una parte ristretta della popolazione fosse capace di vederli. Non tutti sarebbero riusciti a comprendere la loro fragile natura ed apprezzarne la bellezza infinita. Portai con me, oltre a babushka per compagnia, anche qualche avanzo di pollo rubato al banchetto ed infilato, grondante d’unto in dei fazzoletti di stoffa posti poi nella tasca della mia toga di seconda mano. L’idea, infatti, era quella di osservarli mangiare, avvicinarli e, perché no, magari riuscire a disegnarne uno in tutta la quiete di questo mondo, coccolata e cullata dalla pioggia battente.
    La prima volta che questa creatura fece capolino nella mia vita fu proprio dopo la morte di nonna Dasha, la micia che adesso se ne stava sdraiata a terra, allungandosi senza pudore per poi finire a far le fusa vicino alla punta della mia scarpa. Sospirai e sorrisi vedendola lì, così felice nel suo nuovo corpo agile e scattante, nonostante ci avesse messo ben dieci anni per sceglierlo. Che ne dici? Ho fatto bene o no a portarti qua con me? Le domandai dolcemente, abbassandomi a terra e grattandole il pancino con fare premuroso Mi dispiace per la giornata, so che ti rendono uggiosa, ma non sarà così per sempre. Conclusi parlandole come lo si farebbe ad un bambino capace di intendere e di volere. Continuò a passare la testa sotto la mia mano aperta e messa a coppa, così che potesse strusciarsi quanto voleva e come voleva, fino a che non si mise sull’attenti, drizzando le orecchie e muovendo qualche passo oltre me.
    Aggrottai la fronte e, confusa, mi alzai di nuovo in piedi per guardarmi intorno. Chi c’è? Domandai sentendomi quasi stupida: lì, in piedi, dando retta ad una gatta e chiedendo al vento chi fosse. La porta aveva sbattuto appena, ma nessuno si era palesato, per cui fu inutile, almeno per me, ripetere la domanda, mi voltai di nuovo ed andai a cercare la grande panca in legno che mi permetteva una seduta comoda, poggiandomi proprio sotto il recinto di una delle creaturine che, col suo olfatto fino, aveva già capito che sarebbe stato tempo di merenda di lì a poco. D’altronde, anche babushka era rimasta molto interessata alle mie tasche, anche se ha sempre preferito il pesce ad altro. Sssh, sii paziente. Sussurrai al muso scheletrico che aveva già preso confidenza con me e con la micia, ma stavolta, a farmi sussultare, non fu il vento e ne tanto meno la pioggia che cambiava ancora una volta intensità. Un tonfo più cupo mi fece irrigidire e mettere subito sulla difensiva, tirando fuori la bacchetta e preparandomi ad affrontare chiunque fosse lì per infastidire la mia giornata.
     
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