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    You think when you reach a certain age things will start making sense, and you find out that you are just as lost as you were before. I suppose that's what damnation is. The pieces of your life never to come together, just splashed out there.

    Paranoia. Dubbio e incertezza. Erano diventate le armi a doppio taglio per eccellenza della giovane Morgenstern. Sì, perché un tempo avere paura e dubitare erano le cose che le permettevano di meglio ponderare ogni sua mossa, di agire con il favore delle tenebre senza mai dimenticare di essere effettivamente umana e quindi di per sè in grado di fallire oltre che imperfetta in modo impressionante. Ora la paura si sprigionava nel suo cuore in modo diverso, a tal punto dal frenarla dal fare qualunque cosa; era perennemente dubbiosa e non si fidava più nemmeno di se stessa, figuriamoci degli altri. Beatrice non sapeva più cosa fosse un volto amico; in quella loro società chiunque poteva essere comprato.. persino tu Beatrice. Si divertiva. Lei si divertiva sempre nel vederla così apertamente divisa tra cosa fosse lecito, giusto e conveniente. In tripolarismo che Beatrice conosceva ormai bene e che divideva la sua personalitá in sempre più brandelli. Pur essendo lei appena diciassettenne, aveva visto e sperimentato più di quanto dovesse. Nessuna bambina avrebbe dovuto essere messa di fronte a decisioni così difficili, a bivi di così complessa estrinsecazione. Ogni sua mossa sulla scacchiera, sembrava avere innumerevoli conseguenze e nulla sembrava essere effettivamente giusto ed equilibrato. L'equilibrio; un compito che si era presa così a cuore e in cui aveva fallito miseramente. Un compito affidato a lei dagli antichi, in cui sembrava essere tutto tranne che brava. L'equità d'altronde è un infuso difficilmente raggiungibile, il più delle volte ingannevole, e per chi aspira di raggiungerlo, ma privo di ingannevoli tentazioni. Beatrice era stata tentata, sin troppe volte perché potesse effettivamente contarle lucidamente. E ogni qual volta le prove si fossero presentate al suo cospetto, era stata tutto fuorché in grado di comportarsi come doveroso. I legami avevano accecato la sua capacità di giudizio, l'avevano resa debole e vulnerabile, facilmente controllabile. Ora era una leader colma di crepe, di contraddizioni, di paradossi. Così umana eppure così spietata; così protettiva eppure così indifferente. E ne sentiva il peso. Beatrice sentiva il peso di ogni sua scelta bruciarle nel petto e alla base della schiena, là dove il pentacolo bruciava non un giorno di meno. Si era poi accorta, Beatrice, che essere un leader, la stella del mattino non significava unicamente prendere decisioni nei confronti della gilda. Con la situazione politica attuale, gli interessi dei cacciatori si ramificavano molto di più all'esterno di quanto pensasse. Gentile omaggio di Richard prima di tirare le cuoia, era stato quel patto mai suggellato con l'Inquisizione. Una dichiarazione di guerra a cui Beatrice doveva ora supplire, e nei confronti della quale si sentiva nettamente inferiore e incapace. I cacciatori non s'intromettono nelle questioni terrene. Non desiderano averi e tanto meno potere. Così era stato per lungo tempo; finché Richard non li ha avvelenati, finché gli anziani non hanno iniziato a bramare altro. Si sentiva sola, messa con le spalle al muro, ridotta a semplice spettatrice passiva del declino della sua terra, della sua civiltà, della sua gente. E aveva troppe poche leve, troppa poca credibilità, per convincerli che il suo veto fosse effettivamente sensato. Non poteva parlarne con nessuno se non con se stessa. Quella se stessa che per tanto tempo ha pensato di odiare e che ora risultava il suo unico appiglio contro il mondo. Non capisci Beatrice? Ti hanno mandato qui fuori per cambiare le carte in tavola. Ci siamo nascosti troppo a lungo; noi due ci siamo nascoste troppo a lungo. Richard l'ha capito. E' tempo che anche tu lo capisca.

    E' sempre lì eh? Se ne è accorta. Come potrebbe non farlo? Uno spirito osservatore e scrupoloso come quello di Beatrice troverebbe anche un ago nel pagliaio, figuriamoci non accorgersene della sua perenne presenza. E' ovunque; letteralmente ovunque. Si diverte il ragazzo. E anche Lei si diverte nell'osservare quello scontro tra titani. Uno scontro certamente non alla pari, ma nemmeno così squilibrato come si potrebbe pensare. Beatrice è astuta e soprattutto ostinata, è temeraria e non si lasciava facilmente domare e inseguire da nessuno. Un animaletto in gabbia che tuttavia ha i suoi metodi per fare della gabbia un terreno vantaggioso. Hogwarts la conosce come le sue tasche. Ne conosce le scorciatoie e i luoghi più segreti; e ha dalla sua la folla di studenti che tra un cambio e l'altro dell'ora le permettono di seminarlo. Ogni qual volta riuscisse a liberarsi di lui tuttavia, non durava troppo a lungo. E così, aveva capito Beatrice che quello non doveva essere solo uno dei tanti supervisori. Quello era il suo supervisore. Qualcuno che le ricordasse che di passi falsi non poteva farne nemmeno se lo avesse voluto, qualcuno che le ricordasse che la sua era una giurisdizione illusoria e decisamente compromessa finché non avesse deciso di abbandonarsi completamente ai desideri e i bisogni del Ministro della Magia. Lei dal canto suo sembra perennemente intrigata, osserva il tutto con una pazienza millimetrica; non si scompone e non interviene. Forse a volte è presente quando Beatrice sembra desiderare ardentemente di guardarlo in cagnesco e invece ciò che riesce a fare è solo guardarlo con uno sguardo misto tra interesse e curiosità. A Lei piace il suo modo di fare. Le piacciono tutte quelle nuove leve del Ministero. Li trovano una compagnia molto più adatta per la sua protetta; trova che tra loro potrebbe sprigionare finalmente tutto quel fuoco che ha dentro. A modo suo, questa creatura dalle ali nere e l'animo dispettoso, a Tris ci tiene; e la tenta. La tenta di continuo, seminandole ancora più dubbi nell'animo, cercando di continuo di portarla a sentirsi inadeguata e sbagliata. I giochi mentali sono ciò che maggiormente le piacciono, ma solo finché è Lei a proporli. Guai a chi cerchi di toccarla, guai a chi cerchi di controllare qualcosa che di per sé è suo. Beatrice è sua; e per averla ha pagato un prezzo piuttosto alto. Entrambe hanno pagato un prezzo infinitamente alto per appartenersi. E ora erano incastrate l'una con l'altra, e di separarle non c'era più modo, a tal punto che erano ormai la stessa persona. Forse in realtà lo sono sempre state ed è solo Beatrice a immaginarsi che ci sia qualcun altro, solo per giustificare le sue terribili azioni e sollevarsi di un po' di sensi di colpa.
    La stava esasperando. Stava lentamente perdendo ogni briciolo di pazienza. Non c'era posto in cui si sentisse al sicuro, non c'era posto in cui quegli occhi non fossero puntati su di lei. Era diventata facilmente irritabile, parlava sempre di meno ed era sempre più paranoica. Ogni domanda che le venisse posta le sembrava una qualche forma di fregatura messa in atto da lui. Ogni cosa era diventata un giochetto mentale magistralmente architettato. E man mano che lo lasciava vivere a una certa distanza da lei, il mostro cresceva, si faceva più spaventoso, sempre più invincibile. Come i mostri che siamo convinti di avere sotto il letto e nell'armadio da piccoli; finché non si ha il coraggio di guardare per convincersi che non c'è niente lì, quei mostri continuano a farsi più terribili.

    Il sole sta tramontando. Durante l'ultima lezione nelle serre d'erbologia lui è ancora lì. Si muove in massa insieme ai suoi compagni verso le celle, dove si dirige direttamente e a passo spedito verso la sua stanza chiudendolo col catenaccio prima di buttarsi sul letto. Un'ora prima che la cena venga servita. Ha perso l'appetito. Non riesco più a vivere in quella condizione di stress perenne, tartassata, inseguita come la peggiore delle delinquenti, col peso degli immienti MAGO in arrivo e un destino post diploma ancora incerto. E allora togliti almeno uno sfizio. Interessante scelta di parole, quelle che Lei utilizza. Riesce quasi a percepire il suo sorriso allargarsi. Non sei stanca di essere braca? Preda dei più potenti, dei più grandi? Lo è. Così, quando il suo gruppo di amici è pronto per salire in superficie per dirigersi verso la Sala Grande, Beatrice resta leggermente in disparte. Nessuna divisa. Veste tutta di nero; stivaletti bassi e un chiaro sorriso di sfida stampato sul volto, prima di dileguarsi nel freddo buio dei territori scozzesi. Sa che è alle sue spalle. E' lei cammina a passo lento dirigendosi verso la foresta proibita ben consapevole che non la sta perdendo di vista. Verrà un giorno in cui noi saremmo al suo posto e tu non avrai più nulla da temere. E Beatrice ci credeva; ne era convinta. Sapeva che il suo spirito era fatto per braccare, non per essere braccata. Giunta ai confini con la foresta proibita, vi si inoltra, mantenendo il passo altrettanto lento. Il coltellaccio d'argento viene sfoderato dallo stivale; semplice precauzione. La foresta proibita è pur sempre un terreno sconosciuto dove tutto può succedere e dove molte creature dimenticato da ogni santo vi si aggirano. Il buio si fa sempre più fitto; la vegetazione sempre più insidiosa. Sa di lasciare tracce al suo passaggio. Man mano che aumenta il passo ne lascia sempre di più. Un ramo spezzato, orme ben visibili sul terreno leggermente bagnaticcio. Sin troppo poco meticolosa perché si tratti di Beatrice. Finché non prende a correre.
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    E corre, e corre ancora finché non semina le tracce arrampicandosi un albero. A quel punto sarebbe stupido restare ferma. Le tracce lo poterebbero direttamente a quel preciso albero. Con una grazia infinita prende quindi a camminare sui rami meno precari, saltando da un albero all'altro quasi in punta di piedi. Sai che non funzionerà. Ci troverà. E non vede l'ora Beatrice. Non aspetta altro che comprendere se lui è effettivamente all'altezza. Se sa tenere il passo. Ed effettivamente non ci vuole molto prima che i movimenti dell'uomo vengano scorti dalla giovane proprio sotto l'albero su cui si è fermata a osservare tutto ciò che passasse nel suo raggio d'azione. E ora sa che cosa deve fare. Aspetta. Conta fino a tre, prima di incollare la lama dal taglio affilato al cuoio della giacca che indossa. Respira e chiude gli occhi per un secondo, ben attenta a qualunque movimento di vento, a qualunque rumore estraneo all'altro protagonista sulla scena. E' solo; ma lo sapevi già. E così salta giù dal all'albero proprio di fronte a lui. La lama incollata contro il collo mentre lo obbliga a indietreggiare. « E' tempo che noi due ci facciamo una chiacchierata. » Una voce ben calibrata, un tono colmo di odio intrinseco mentre lo obbliga a incollare la schiena contro il tronco dell'albero. « Niente movimenti bruschi o sei morto. » E lo pensava davvero. Entrambe lo pensavano davvero. Gli scrupoli questa Beatrice li ha lasciati nelle celle sotterranee. In ogni caso, più sporca di così non poteva certo sentirsi. « Getta la bacchetta. Adesso. » La lama fa ulteriormente pressione contro il suo collo. Ne ha abbastanza di essere preda.


     
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    Ti mancano le feste, vero? Non proprio. Due palle stare in mezzo a tutti questi mocciosi, eh? In realtà non gliene importava poi molto. Quando finirà questo maledetto anno accademico, finalmente potremo tornare al Ministero. Wow, che gioia. Ogni domanda un granello di sabbia in una lunga spiaggia senza confini, ogni domanda una goccia d'acqua che scivolava svelta e anonima su un vetro. Tic tic tic. Una dietro l'altra, come un lontano eco ovattato di cui poco c'era da curarsi. A Raphael non interessava. Cosa? Nulla. Non gli interessava nulla perché il suo mondo era una vastissima e spaventosa vacuità. Riempiva il tempo, ecco cosa faceva. Gli ideali? Secondari. I legami? Trascurabili. L'impiego? Un modo per passare le giornate. A Raphael non interessava la Squadra di Inquisizione; probabilmente non gli interessava nemmeno il Ministero o qualsiasi cosa il politico di turno stesse progettando per il governo. Dire cosa gli interessasse, tuttavia, è un'impresa ardua persino ai più forti di cuore. Tutto sembrava scivolargli addosso: il tempo, gli stravolgimenti politici, le persone attorno a lui. Un grande e veloce carosello di luci e colori a cui a malapena prestava attenzione. Cosa vuole Raphael? Difficile a dirsi, probabilmente non lo sa nemmeno lui. Raphael faceva cose senza alcun motivo apparente, oppure perché si trovava in condizioni di doverle fare e non aveva nulla di migliore con cui occupare il proprio tempo. E dunque, quando gli avevano detto di tenere d'occhio Beatrice Morgenstern, lui l'aveva fatto con il più apatico e freddo disinteresse che ci fosse. Almeno all'inizio. Con il passare dei giorni, infatti, aveva iniziato a prenderci gusto. Un animo crudele, quello del nostro inquisitore. Amava giocare al gatto e al topo, stuzzicare le proprie prede, inseguirle, dargli spazio per sperare, tornare all'attacco e così via sempre d'accapo. Era un gioco insensato che lo aveva sempre affascinato e divertito più di qualsiasi altra cosa. Adorava sentire le melodie di quei passi sempre più veloci, scorgere il ticchettare frenetico e sospettoso di sguardi, percepire i respiri affannosi e il pulsare agitato di un cuore braccato fino allo sfinimento. Ecco, quello era ciò che lui cercava: lo sfinimento, il sentirsi soffocati, lo sprofondare in acque così scure e profonde da non riuscire più a percepire il calore della luce in superficie sulla propria pelle. Perché sei così crudele? Perché non dovrei? Perché dovrebbe provare pietà o pena per qualcun altro? Empatia? Comunanza? A malapena conosceva il significato di quelle parole. Perché ti ostini a infliggere agli altri le tue stesse pene? Perché non dovrei? Perché non dovrebbe stringere le sue metaforiche dita attorno ai delicati colli altrui, premendo i pollici sulle loro vie respiratorie, sentendo il respiro farsi pian piano più sottile mentre annaspano alla ricerca di aria? Perché dovrebbe augurare a qualcuno un mondo migliore di quello in cui lui vive? E la Morgenstern questo rappresentava, come tanti altri prima di lei: l'ennesimo espediente per punire dei colpevoli che Raphael non poteva raggiungere. Perché se non poteva punire loro, allora avrebbe punito tutti gli altri, l'intero ingrato genere umano in tutta la sua profonda indecenza, perversione e oscenità.

    "Ti mancano le feste, vero?" un eco lontano, una ripetizione di qualcosa che la sua testa aveva già udito sotto forma di sussurro portato dalla marea. A volte trascinava a riva dettagli importanti, altre volte semplici stralci di conversazioni in bilico tra il quotidiano e il banale. Non proprio. Sbuffò il fumo denso della sigaretta reclinando la testa all'indietro, chiudendo appena gli occhi e facendo entrare dentro di sé il cinguettio lontano delle rondini. Li riaprì, osservando il passaggio di uno stormo sul cielo tinto di arancio. "Un po'." disse atono, gettando a terra il mozzicone e abbassando lo sguardo sul proprio piede, sul modo in cui lo calpestò sulla dura pietra del cortile, rigirandolo, lasciano una scia di cenere scura. "Due palle stare in mezzo a tutti questi mocciosi, eh?" In realtà non me ne importa poi molto. Non che fosse tanto diverso dalle feste sopracitate. Aveva sempre ritenuto che la parola moccioso venisse usata in maniera scorretta a indicare una determinata fascia di età, quando invece - per la sua esperienza - avrebbe dovuto piuttosto riferirsi a un atteggiamento molto più psicologico che anagrafico. "Già." Immerse le mani nelle tasche della giacca, rigirandosi la bacchetta tra le dita nel solito immutabile andamento circolare. "Quando finirà questo maledetto anno accademico, finalmente potremo tornare al Ministero." Wow, che gioia. Non rispose, si limitò semplicemente ad alzare lo sguardo sul viso del compagno per un veloce istante, sorridendo appena prima di riabbassarlo sui propri piedi che, lenti, iniziavano a rientrare nel castello. Sospirò tra sé e sé: pausa finita. Spero tu abbia ripreso un po' il fiato, ragazzina. Ti sto passando a prendere.

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    La prima regola di ogni inseguimento, almeno in teoria, sarebbe quella di non lasciar percepire la propria presenza. Tuttavia che a Raphael le regole piacessero poco era più che noto oramai. Lui ne aveva di proprie. D'altronde chi glielo faceva fare? Rimanere nell'ombra avrebbe tolto tutto il piacere da quel compito già di per sé tedioso, e dunque aveva preferito optare per uno stile diverso, per lo sfinimento centellinato. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, secondo dopo secondo. Lei doveva sapere, doveva sentire i suoi occhi puntati come mirini alle sue spalle prima ancora che lui fosse effettivamente lì. E non c'era davvero nulla in quel castello che risultasse più divertente per Raphael di quel gioco sadico che aveva messo in tavola senza chiedere la volontà di chi ne faceva le spese. E lui la sentiva, sentiva l'adrenalina salire ogni giorno, il fiato e i nervi accorciarsi sotto la pelle di lei di ora in ora: un delizioso tormento continuo che provocava un piacere sconfinato ai sensi dell'uomo.
    Anche quella volta la seguì, senza nascondersi troppo, ma abbastanza da non risultare eccessivamente palese e togliere quindi ogni divertimento. Il dubbio - sebbene labile - era d'altronde ciò su cui più si basava quella danza. Beatrice lo aveva capito, era evidente, perché altrimenti non avrebbe imboccato una strada diversa rispetto al resto dei suoi compagni; non sarebbe andata nella foresta proibita. Lei lo voleva condurre lì: nella terra di tutti e di nessuno, lontani da sguardi e orecchie indesiderati. Probabilmente credeva che affrontarlo di petto fosse la scelta migliore, quella che li avrebbe messi sullo stesso gradino. Un sorrisino divertito spuntò sulle labbra di Raphael a quel pensiero, mentre il venticello tiepido della sera primaverile accarezzava i suoi capelli castani, facendoli ondeggiare a ogni passo. Quando varcò il confine della foresta, quel sorriso si allungò di qualche altro millimetro, soffocando una risatina divertita. Non ti hanno mai letto cappuccetto rosso da piccola? Scosse la testa tra sé e sé, estraendo la bacchetta dalla tasca dell'elegante giacca scura. Era una ragazzina, questo era vero, ma era pur sempre una cacciatrice, e Raphael non era tanto stupido da sottovalutare quel tipo di appartenenza. Ne sapeva qualcosa, lui che per tutta la vita era stato sottovalutato. Probabilmente anche lì, in quel momento, lei lo stava facendo; o se non era quello il suo scopo, quanto meno voleva metterlo alla prova. Un invito a nozze, per il tedesco, il quale non rifiutava mai una sfida interessante. Così, non appena le tracce della Grifondoro si persero alle radici di una quercia, Raphael estrasse dalla tasca un piccolo sacchettino scuro all'interno del quale tintinnava un esiguo mucchietto di rune. Se le rigirò in mano per qualche minuto, attendendo il tempo necessario prima di lanciarle in aria. Est? No. Ovest? Risultato indecifrabile. Nord-ovest? Sì. I privilegi dell'essere veggenti: chiunque può usare le rune, ma solo chi possiede quel particolare e raro dono può farlo con la matematica certezza di una buona riuscita. Interessante, l'arte del futuro. Alcuni la definivano così. Non lui, ovviamente. Lui, piuttosto, preferiva chiamarla l'arte della scelta. Infatti se c'era una cosa che aveva potuto appurare in tutti quegli anni era proprio che la divinazione fosse tutto tranne che una solida certezza; non si scrutava un futuro già scritto e impossibile da cambiare, ma piuttosto si gettava il proprio occhio sulle strade di fronte a cui l'uomo veniva posto. Un gioco di probabilità: un determinato tipo caratteriale di persona sarà più portato a imboccarne una piuttosto che un'altra,ma una vera sicurezza non c'è mai. Vi è la scelta. E quella arriva in seguito. Per tale motivo Raphael aveva atteso prima di lanciare le rune: non gli interessavano i dubbi della ragazza, ma le sue scelte. E dopo ogni tot di metri percorsi, Raphael le lanciava di nuovo, seguendola scelta dopo scelta, decisione dopo decisione. E nelle rune non leggeva solo risposte affermative o negative, ma vi scorgeva anche l'indiscutibile scaltrezza di lei, i cambi, i sentieri sconnessi e più difficili da seguire. Di certo un buon modo per passare la serata per uno come lui.Est? No. Ovest? No. Ripose le rune. Lei era lì. Probabilmente sopra la sua stessa testa. Strinse meglio la presa sulla bacchetta, in attesa, portando la mano dietro la schiena. "E' tempo che noi due ci facciamo una chiacchierata." La lama argentata incollata alla giugulare riflette per un istante la luce divertita negli occhi di Raphael, il quale si lascia spingere sempre più indietro fino a incollare la schiena al tronco di un albero. "Niente movimenti bruschi o sei morto. Getta la bacchetta. Adesso." Si trattenne a stento dal ridere a quelle parole, a quell'ordine addirittura. Scosse millimetricamente il capo, quasi con fare arrendevole, prima che un sorriso gli si andasse a delineare sulle labbra, pronunciando un soffuso "I giovani d'oggi.." Detto ciò puntò lo sguardo fermo alle spalle della Morgenstern. Il tempo di un battito di ciglia e plop. Le gioie della materializzazione.
    Bussò con due dita alle sue spalle, sorridendo. Buh. "Expelliarmus." disse semplicemente, seguendo la traiettoria argentata del coltello che, reagendo all'incantesimo, fece un balzo all'indietro, cadendo tra il fogliame lasciato dall'inverno appena dischiuso. Con un sorriso sempre più divertito indietreggiò di qualche passo, andando ad appoggiarsi con la spalla a un tronco d'albero lì accanto. Si rigirò la bacchetta tra le mani, osservando la sua interlocutrice da sotto le ciglia con un che di divertito e vagamente curioso. "Bastava bussare. La mia stanza sta al settimo piano." alzò un sopracciglio, come a interrogare se stesso con aria pensosa "Vicino alla tua sala comune, credo. Pardon, ex sala comune. Errore mio." Una risatina come di iena si andò ad espandere all'interno della mente dell'uomo, senza tuttavia trovare altra espressione al di fuori di quella sottile linea che incurvava le sue labbra. Alzò una spalla, come a sottendere noncuranza. "Anche se ammetto di essere lusingato da questa elaborata caccia al tesoro. A cosa devo l'onore?"




    Edited by Black Lodge - 13/5/2017, 18:35
     
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    Ma i pezzi della nostra vita non si ricongiungono mai; sono solo sparsi là fuori. E Beatrice ne aveva una chiara dimensione di cosa significasse. Forse per questo motivo cercava di rimanere così composta, sempre perfettamente in controllo, quasi come se da un momento all'altro, se solo si lasciasse andare, sarebbe successo un disastro. E in effetti, ogni qual volta la ragazza si lasciasse relegare alla sua dimensione più umana, cose brutte accadevano. Una sua scelta, dettata dal cuore, non era mai pienamente condivisibile, non era mai pienamente giusta. Era forse questa sua ricerca della giustizia suprema a relegarla maggiormente all'eterno ritorno del torto. A forza di voler fare la cosa giusta, finiva per fare sempre quella sbagliata. Era un circolo vizioso dal quale non era in grado di evadere. Non sapeva essere mera spettatrice della vita; odiava attendere, odiava dover essere così infinitamente paziente e anche quando ci riusciva, solitamente quella pazienza, quella attesa, interveniva in modi imprevedibili sulla sua persona. « I giovani d'oggi.. » Un momento è lì, la lama che punta minacciosamente la sua giugulare. Un momento dopo è alle sue spalle. « Expelliarmus. » Ma se qualcuno pensa davvero che con quella mossa Beatrice pensasse di raggiungere davvero una qualche forma di obiettivo, si sbaglia. Sarebbe stato troppo facile. Era un gesto talmente avventato. Meticolosamente avventato. Il coltello vola via dalle sue mani, lasciandola completamente disarmata. Beatrice non ha più un bacchetta e ora non ha più nemmeno un'arma da taglio. Non una visibile quanto meno. « Bastava bussare. La mia stanza sta al settimo piano. » Solleva un sopracciglio, e lo squadra dalla testa ai piedi; uno sguardo apertamente disgustato. « Vicino alla tua sala comune, credo. Pardon, ex sala comune. Errore mio. » Stanno godendo. Tutti quei miserabili stanno apertamente godendo per tutto ciò che sta accadendo. Sono contenti dell'operato di Edmund Kingsley, che stanno appoggiando apertamente senza mettere minimamente in dubbio le sue azioni. Venuti giù dal nulla; tutti quanti. Venuti giù dal nulla come Beatrice. Anche lei era comparsa nel mondo dal giorno alla notte. Molto prima di loro, molto prima che la loro squadra esistesse, molto prima che loro avessero una missione, uno scopo nella vita, qualcosa in cui credere. « Anche se ammetto di essere lusingato da questa elaborata caccia al tesoro. A cosa devo l'onore? » Cosa vuoi Beatrice? Sapere chi cazzo sei.

    Lui più di tutti era piombato nella sua vita molto prima che gli eventi di Hogwarts sconvolgessero le vite di tutti. C'era al funerale di suo padre in compagnia di una biondina dallo sguardo assassino. Erano rimasti in disparte, non si erano avvicinati né per porgere le loro più sentite condoglianze, né tanto meno per fare domande. Un messaggio chiaro e limpido; noi siamo qui e qui resteremmo finché non ci darai ciò che vogliamo. L'avevano fatta sentire una privilegiata, le avevano ridato la spilla e le avevano permesso di tornare a frequentare Hogwarts quasi senza nessuna ripercussione. Le hanno permesso di sostenere i GUFO senza alcuna conseguenza sulla carriera scolastica. Stava solo a lei recuperare, e semmai l'avesse fatto, semmai avesse passato quei maledetti esami, tutto sarebbe tornato come prima. Solo che non è mai più stato come prima. Poco dopo aver sostenuto i GUFO, la sua spilla è caduta rotolando sul pavimento della sala grande e sin da quel momento non ha mai smesso di avere gli occhi puntati addosso. Non quelli dei suoi compagni e tanto meno quello dei professori. Per tutti loro era la stessa di sempre; ligia al dovere, una compagna su cui si potesse sempre contare e una maniacale organizzatrice di qualunque cosa si dovesse organizzare là sotto. Turni delle pulizie, sessioni di studio, gruppi di studio. Beatrice ci aveva messo tutta se stessa per aiutare i meno coraggiosi a superare il trauma iniziale di quella reclusione. Non sapeva essere sempre una figura rassicurante, ma si convinceva che era l'unica cosa che potesse fare per rendersi utile. Perché la verità è che si sentiva inutile e in gabbia; lei che più di tutti amava dormire sotto le stelle, amava la vita all'aria aperta, ora si trovava a fare i conti con un posto privato della luce del sole, della mirifica vista delle stelle sopra il castello; era stata privata dell'aria pulita che si respirava ai piani alti e anche della libertà di potersi comportare anche solo ogni tanto da cacciatrice. Lui è la cosa migliore che ci sia successo. E a dirla tutta Lei non aveva tutti i torti. Quello era un gioco che si portava avanti in due. Era portato avanti da entrambe le parti con altrettanta meticolosità. Il più delle volte la sua presenza la esasperava, ma non per questo se ne sarebbe effettivamente privata. Braccare ed essere braccati; osservare ed essere osservati. Probabilmente entrambi erano consapevole di essere un po' prede e un po' predatori. Forse, vista la sua posizione di netta inferiorità, Beatrice poteva essere considerata decisamente un po' più preda e un po' meno predatrice, ma a dirla tutta, il fatto che lui facesse qualunque cosa stesse facendo, così a viso scoperto la esasperava ma le dava anche modo di osservare il suo avversario con il minor sforzo possibile. E' un coglione. Guarda meglio. E' un buffone. Non essere stupida. Si chiama Raphael. Un suo collega lo ha salutato e lei è riuscita a catturare il suo nome. Un coglione col nome di un arcangelo. E' questa è stata la sua prima vittoria. Un nome è una vittoria; forse non una abbastanza importante, soprattutto se non correlata a un cognome, ma pur sempre qualcosa. Poi c'era il suo modo di camminare; altezzoso ed elegante. Decisamente ricco e pretenzioso. Non sorrideva quasi mai e probabilmente non l'aveva mai visto parlare. Non quando lei lo osservava. Un outsider? Gli avevano affidato Beatrice; su questo non ci sono dubbi. Non sapeva se temporaneamente oppure come incarico permanente. E' uno di fiducia. Ma non è un fedele seguace; troppo poco inserito nel gruppo. Lo trattano con rispetto e riverenza, o non lo trattano affatto. A parte la biondina. E forse qualcun altro. Dopo qualche settimana di osservazione era chiaro fosse scaltro, furbo; traeva un piacere infinito dal tormento che le dava. Non a caso a volte, seminarlo era sin troppo facile. Lo fa apposta. A volte, contrariamente non riusciva a schiodarselo di dosso finché non finiva negli unici posti in cui a lui non era permesso entrare. Camera sua e il bagno delle ragazze. Non le aveva dato poi molte soddisfazioni in quelle settimane. Raphael era ermetico, minuzioso, e altrettanto lo era stata Beatrice. Alla fine si era detta che l'unico modo per sconfiggerli era lasciare che loro abbassassero la guardia; lasciare che loro la vedessero debole, piccola e insignificante. Alla fine, Beatrice si era detta che l'orgoglio non le sarebbe servito a nulla là dove sarebbe andata di lì a poco.

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    Un sorriso si profila sul suo volto mentre incrocia le braccia al petto. « Un grande gesto per un grande uomo. » Si sente di commentare freddamente quanto appena compiuto da lui. Beatrice trova da veri vigliacchi affrontare un avversario nettamente in svantaggio. Lei dal canto suo trova tutto davvero interessante; trova interessante la dinamica, il fatto che nessuno dei due si senta effettivamente minacciato o spaventato dall'altro. Avventata. No. Non lo è Beatrice. E' solo convinta che non le torcerà nemmeno un capello. Non finché gli interessi del Ministero le impediranno di farlo. « Trovo sempre affascinanti le lotte chiaramente in disparità. » D'altronde sulla carta, Raphael era più grande, aveva più esperienza; per giunta Beatrice era stata privata della sua bacchetta, quindi non era in grado di difendersi nemmeno grazie alle sue decisamente inferiori capacità. « Sarei curiosa di vedere cosa sei in grado di fare senza quella. » Una frecciatina? No. Una semplice realtà dei fatti. Si porta una mano alla fronte con fare decisamente drammatico. Lei è lì. Lo sono entrambe. « Errore mio; mi scordo sempre che la vigliaccheria è la prima cosa che v'insegnano lì da dove venite. Prima la vigliaccheria e poi come intimidire i ragazzini. » L'Inquisizione non doveva stare a Hogwarts. Non doveva esistere affatto, ma volendo anche ammettere che la loro esistenza sia tollerata, di certo non dovrebbero essere lì a terrorizzare poveri ragazzini di età comprese tra gli undici e i diciassette anni. Una leggera pausa prima di incrociare la braccia al petto. « Getta la bacchetta, Raphael; getta la bacchetta e ti dirò a cosa devi questo onore. » Distanzia appena le braccia dal corpo stringendosi nelle spalle. « Rendiamo questo incontro equo; voglio solo parlare. » Non stava mentendo; voleva davvero solo parlare, capire perché tutta quella ostinazione nei suoi confronti. « Ci sarà almeno una minuscola parte di te che si è chiesta chi ha davvero seguito nelle ultime settimane. » Un fascicolo o un nome, uno studio per quanto approfondito, per quanto visivamente incisivo e meticoloso, non sarebbe mai stato abbastanza quanto il contatto diretto con la persona interessata. « Se tanto siamo incastrati, rendiamola quanto meno interessante. » Per Lei tutto doveva essere interessante.

     
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    « La gente è superba soltanto quando ha qualcosa da perdere, e umile quando ha qualcosa da guadagnare. » La superbia, o l'eccesso di orgoglio che dir si voglia, è annoverato tra i sette vizi capitali. Erroneamente sono stati definiti peccati, ma non lo sono davvero, sono piuttosto ciò che i peccati li causa, ciò che distrugge l'animo umano dall'interno fino a ridurlo a un nulla. E come l'anima, essi distruggono anche l'uomo agli occhi dei suoi simili. Questo Raphael lo sapeva, e lo sapeva bene perché la sua infanzia era stata una totale immersione nelle sacre scritture; dal suo buio scantinato in cui filtrava solo un fascio di luce, il maggiore dei Gecko aveva visto passare mesi e anni ciascuno uguale all'altro: l'unico libro a lui consentito era la Bibbia e l'unica visita era quella del prete. Nient'altro. Aveva consumato quel volume fino allo sfinimento, fino a impararne a memoria ogni frase e rivomitarla dai propri occhi nauseati e al contempo incapaci di lavarsi via quei precetti dalla pelle. Raphael sapeva tutto sul peccato, sul vizio, sull'anima, sul sacrificio. Sapeva tutto e lo aveva reinterpretato a modo proprio, mantenendosi tutta via all'interno di quelle linee guida da cui era per lui impossibile prescindere. Provate a leggere lo stesso libro ogni giorno della vostra vita, sperimentate cosa vuol dire avere quel libro come unico appiglio a cui aggrapparsi per non sbattere la testa al muro fino ad uccidersi: ecco, a quel punto, e solo a quel punto, potrete realmente capire cosa è Raphael. Quel Raphael che si era macchiato di così tanti vizi e peccati da aver perso ormai il conto. Perché lo aveva fatto? Per essere libero, forse. O forse perché se vogliamo provare un punto dobbiamo cominciare prima di tutto da noi stessi. Raphael voleva provare che l'uomo, e per la precisione il babbano, fosse ciò che di più disgustoso potesse esistere. Eppure, nonostante lui per primo si ritenesse la creatura più fallace e miserabile del creato, ai suoi occhi quella consapevolezza di esserlo e quel domare la propria oscenità a comanda aveva in sé un tocco di divino. Era feccia, ma era anche luce accecante e salvifica, punitore al contempo. Era trino, proprio come il suo Dio. E da bravo Dio, l'orgoglio che sfiora la presunzione era una delle sue principali caratteristiche. Ma non era la sola. Poiché una divinità è tutto e il contrario di tutto, anche Raphael aveva fatto propria questa mellifluità. E quindi il tedesco era stato dotato di un'incredibile capacità: quella di discernere. Più volgarmente, quella di non fare mai il passo più lungo della gamba, ma sempre misurato ad essa. L'orgoglio: la puttana che genera tutti i peccati. C'è chi ne ha troppo e chi ne ha troppo poco. Il moro era passato per entrambe le fasi fino a trovare uno strano e precario equilibrio tra di esse, solo ed unicamente dettato dalla propria scaltrezza luciferina, la stessa che sussurrava al suo orecchio le probabili intenzioni della sua interlocutrice: colpire l'orgoglio per colpire l'uomo. Si sa, d'altronde, che spesso e volentieri è proprio quello il modo migliore per lasciare che una persona si rovini con le proprie stesse mani: insinuargli il dubbio di essere da meno, o piuttosto il bisogno infantile di dimostrare il contrario. Raphael questo bisogno non lo aveva, e non lo aveva per una semplice ragione: perché ai suoi occhi Beatrice Morgenstern contava poco o nulla a parte un incarico lavorativo. Lui sapeva esattamente quali fossero i propri punti di forza, e sapeva abbastanza da poter capire quali fossero quelli di lei. Erano diversi, portati a cose diverse, con menti ed esperienze diverse, ma forse di una pasta sin troppo simile per non dare nell'occhio a uno sguardo attento e meticoloso come quello che entrambi sembravano possedere. Tuttavia in quel caso il vantaggio di Raphael non stava tanto nella bacchetta o nel fatto che lei fosse disarmata, ma piuttosto nel sapere più cose su Beatrice di quante la ragazza ne sapesse su di lui. E la conoscenza, cari miei, è un'arma molto più affilata di qualsiasi coltellaccio luccicante. Vigliaccheria. Sorrise a quella parola, scuotendo appena il capo. Un termine che a suo parere veniva usato con sin troppa facilità e quotidianità, spesso erroneamente, soprattutto in quegli ultimi tempi. Trovava che fosse estremamente facile puntare il dito contro qualcuno e dargli del codardo semplicemente perché aveva abbastanza furbizia da non scagliare la prima pietra. Vigliacco, di quei tempi, voleva dire tutto e non voleva dire nulla, lo si poteva dire di chiunque e di nessuno al contempo. Badate bene, poiché il tedesco tiene in maniera particolarmente meticolosa alle parole, soppesandole e centellinandole in maniera a dir poco maniacale. Le facili retoriche, alle sue orecchie così sensibili al più piccolo dei suoni, sono nient'altro che aria fuggevole al suo intelletto. Opinabile, facilmente invertibile, trascurabile. Facile quanto per Raphael tutto sfoci molto presto nella noia atavica.
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    "Getta la bacchetta, Raphael; getta la bacchetta e ti dirò a cosa devi questo onore. Rendiamo questo incontro equo; voglio solo parlare. Ci sarà almeno una minuscola parte di te che si è chiesta chi ha davvero seguito nelle ultime settimane. Se tanto siamo incastrati, rendiamola quanto meno interessante." Oh cara, piccola Beatrice, sei proprio una degna figlia di Godric: ancora convinta che il mondo sia giusto, che sia equo. Una luce divertita passò come un guizzo nei suoi occhi chiari, veloce come una cometa in picchiata. Avrebbe voluto dirle esattamente ciò che aveva appena pensato, ovvero che se il mondo fosse stato un posto equo, probabilmente nessuno di loro due si sarebbe trovato lì in quel momento. Anzi, c'erano grosse possibilità che non si sarebbero trovati proprio in vita, a respirare, a camminare su quella Terra. Se il mondo fosse stato un posto giusto, se mai avesse anche solo avuto la speranza di esserlo, ne' io ne' te esisteremmo. I nostri antenati non si sarebbero uniti in matrimoni forzati, altri ancora non sarebbero nati come frutto di stupri. Il mondo non è equo, ma è sul suo non esserlo che noi tutti mangiamo, cara piccola Beatrice. Tuttavia erano anche di altra natura i pensieri di Raphael, pensieri che avrebbero richiesto minimo un'ora di soliloquio per essere espressi da capo a fondo con l'importanza e l'attenzione che ciascuno di essi meritava. Si limitò dunque a sospirare, staccando la spalla dall'albero e riponendo la bacchetta in tasca - il massimo che le avrebbe concesso. Cominciò a misurare piccoli passi ovattati tra i fili d'erba, ruotando a distanza attorno alla figura della ragazza. "Non ho alcuna intenzione di gettare la mia bacchetta." disse tranquillo, senza battere ciglio, mantenendo al contempo un tono che tutto sembrava tranne che duro "Per quanto ne so, potresti averne altri mille di quei coltelli; e da ciò che ho capito di te, sono quasi certo che ce ne sia almeno un altro nascosto." Troppo meticolosa, troppo scrupolosa, troppo orgogliosa. Fece una pausa, fermandosi un istante di fronte a lei per scoccarle un'occhiatina eloquente, per certi versi anche divertita. Riprese poi la sua camminata circolare attorno alla Grifondoro. "Al che tu potresti dirmi che la cosa non dovrebbe preoccuparmi, se fossi un vero uomo, se non fossi un vigliacco, se ci fosse qualcosa oltre la punta della mia bacchetta eccetera eccetera." disse quelle parole quasi stancamente, guardando in alto l'incombere delle prime stelle, e muovendo il polso destro in un elegante cenno volto a sottolineare quell'elenco. "Dovrei dimostrarti il contrario, suppongo. Gli uomini fanno questo, no?" sorrise nell'interrogarla sia con le parole che con lo sguardo. Dovrei cadere nella trappola del mio stesso orgoglio, no? Un altro interrogativo, questa volta muto, dipinto solo nei suoi occhi. "E lo fanno anche gli stupidi." E io non sono tra questi. Ritenta. Sospirò ancora una volta, chinandosi a raccogliere il coltello caduto qualche metro più avanti. Se lo rigirò tra le dita, osservandolo con distratto interesse mentre riprendeva la sua orbita a ogni giro sempre più stretta attorno a Beatrice. "Ora invece ti rivelo una mia curiosità." si fermò di fronte a lei, mostrandole la lama luccicante sotto i raggi di una luna ancora acerba. "Io sono curioso di sapere questo: tolta la lotta, tu, Beatrice Morgenstern, cosa sei?" Tolta la guerra, tolte le armi, tolto il combattimento, tolta la sopraffazione. "Tolto il tuo palese bisogno di essere all'altezza o superiore a chi ti sta di fronte, cosa sei?" La fissò dritta negli occhi per un breve istante, appena prima di stringersi nelle spalle e indietreggiare di qualche passo, giocando col coltello che teneva in mano. Il suo tono tornò improvvisamente piatto e annoiato nel pronunciare le successive parole. "Di equità e vigliaccheria si potrebbe parlare se questo fosse uno scontro, cosa che non è, per quanto l'idea possa metterti a disagio." Non sai come vivere senza guerra, eh? Capisco il sentimento. "E soprattutto.." riprese, scoccandole un'occhiata divertita "..non sei esattamente nella posizione di dettare condizioni dato che ti sei inoltrata nella foresta proibita e possiedi delle armi che sono piuttosto sicuro vadano contro qualsiasi regolamento scolastico e del vivere civile." Due infrazioni in uno: bel colpo. Sorrise, sventolando la lama argentata a qualche passo dallo sguardo color nocciola della Grifondoro. "Tu dimmi per quale motivo mi hai fatto fare tutta questa strada e io, in cambio, ti ridarò il tuo giocattolino oltre a portarmi nella tomba queste tue piccole sviste."


     
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    Non mi troveranno. Sono una lama nella folla. La ballerina nel carillon gira, gira vertiginosamente sulle note melanconiche di quella sinfonia; graziosa, eterea come sempre. Non si è mai fermata nemmeno per un attimo. I suoi ingranaggi non si sono mai deteriorati, nonostante sia stata gettata tra le fiamme dell'inferno, nonostante abbiano cercato in tutti i modi possibili e immaginabili di romperla. C'era una parte di Beatrice che non aveva mai smesso di lottare, nonostante le avversità, nonostante la mancanza di affetto, nonostante la mancanza di una vera famiglia e di un'infanzia pressapoco normale. Una parte di lei, la più pura, è sempre rimasta integra e disinvolta, sempre pronta a lottare fino all'ultimo respiro. Potevano schiacciarla, tentarla, corromperla, comprarla, ma lei non avrebbe mai smesso di ribellarsi, di cercare una via d'uscita da quel circolo vizioso attorno al quale roteava la sua vita. Una ballerina nel suo prezioso carillon, fatto apparentemente di eterei sogni e talenti invidiabili, setacciato da troppe difficoltà e una serie infinita di responsabilità. Si era cresciuta da sola, senza fare affidamento in fin dei conti su nessuno. Una lama nella folla; un'arma. Ecco cosa sono. Di questa consapevolezza, Beatrice ne ha sempre fatto tesoro, mettendo sempre il bene altrui prima del suo. Era ciò che l'aveva mantenuta in un certo qual modo integra, dignitosa, ancora capace di alzarsi al mattino e guardarsi allo specchio. Era difficile provare a spiegarlo a chi non portava avanti la sua stessa vita, era difficile riuscire a spianare le differenze con gli altri, ma era ciò che rendeva di Beatrice, Beatrice; e non c'era maledizione, responsabilità o costrizione che potesse rubarle quella sua presa di coscienza. Quel suo annullarsi per elevarsi. Perfettamente inserita nel mondo, eppure sempre estranea. Estremamente affidabile, eppure talmente imprevedibile. Tutto frutto di un sacrificio disumano, che compiva ogni giorno con onestà; questo è il pegno che pago per ciò che mi è stato dato. Questa la mia croce. Questo il mio tormento. Questa la mia più solida armatura. « Non ho alcuna intenzione di gettare la mia bacchetta. » La bacchetta venne risposta nella tasca e lei sorrise di sbieco incrociando le braccia al petto. Ferma, osserva con la coda dell'occhio i suoi movimenti. Non è stupida Beatrice, sa che non sono dalla stessa parte; lei lo sa, e probabilmente lo sa anche lui. Non saranno mai dalla stessa parte; questo si racconta, questo si dice prima di prendere sonno la notte. Non cadrà mai nelle mani di nessuno, non del tutto, perché Beatrice e la sua gente, non erano schiavi di nessuno e non sarebbero bastate tutte le minacce e le pressioni del mondo per convincerla del contrario. Potevano costringerla a fare cose indicibili - ma non sarebbero mai potuti entrarle nel profondo. Perché lì c'è già qualcun altro. Quell'io interiore è già stato aggiudicato. « Per quanto ne so, potresti averne altri mille di quei coltelli; e da ciò che ho capito di te, sono quasi certo che ce ne sia almeno un altro nascosto. Al che tu potresti dirmi che la cosa non dovrebbe preoccuparmi, se fossi un vero uomo, se non fossi un vigliacco, se ci fosse qualcosa oltre la punta della mia bacchetta eccetera eccetera. » Lei alza improvvisamente le mani in alto. Beccata? « ..oltre la punta della tua bacchetta? Te l'hanno davvero detto? » Un leggero inclino prima di mostrarle ancora una volta quello sguardo colmo di fierezza e sfida. « Le mie più sincere scuse. Davvero. Non volevo intendere una cosa così.. scortese. Ho grande rispetto per le autorità e l'ordine. » Mezza verità. Beatrice aveva un grande rispetto per l'ordine, per le autorità; ma per lei, quello non era né ordine, né manifestazione di autorità. Solo un manipolo di ominicchi che si stavano approfittando delle proprie posizioni per portare avanti una serie di politiche tutto fuorché sensate. « Dovrei dimostrarti il contrario, suppongo. Gli uomini fanno questo, no? » E tu non lo farai non è vero? Ti senti troppo superiore. « E lo fanno anche gli stupidi. » In tutta risposta, Beatrice gli mostrò forse per la prima volta un sorriso innocente mentre si abbassava leggermente sulle ginocchia lasciando scorrere le dita all'interno degli stivali. Un coltello, due, e poi un terzo, cadono a terra. Come la cataloghi questa mossa? Ma non ha concluso, le mani s'insinuano sotto la maglietta, lasciando cadere per terra la cintura all'interno del quale vi sono agganciati altre due armi di portata simile. I suoi pugnali preferiti, fatti con l'acciaio dei Goblin più pregiato; il suo regalo per i quattordici anni. E poi ancora, facendo scorrere la zip della giacca, cade qualche altro aggeggio strano. Un bel mucchietto ai suoi piedi, dal quale si allontana indietreggiando di qualche passo, ponendosi di spalle rispetto al piccolo arsenale. « Come ho detto, voglio solo parlare. » Il resto è solo abitudine. Di certo non ci si avventura nella foresta proibita a mani nude. Soprattutto quando non si ha una bacchetta con cui difendersi. « Ah.. dimenticavo. » E dicendo ciò, infila la mano nello scollo della maglietta, tirando fuori l'ultimo coltelletto di dimensioni decisamente più ridotte rispetto agli altri, gettandolo in mezzo al mucchio.
    « Ora invece ti rivelo una mia curiosità. Io sono curioso di sapere questo: tolta la lotta, tu, Beatrice Morgenstern, cosa sei? Tolto il tuo palese bisogno di essere all'altezza o superiore a chi ti sta di fronte, cosa sei? » Sono una lama nella folla. Questo le disse la sua voce interiore. Tuttavia, non poté fare a meno di provare uno spropositato odio interiore nel sentire quelle parole, dette certamente con una punta non indifferente di soddisfazione.
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    Giochetti mentali. E accidenti, non era del tutto ininfluenti. « Di equità e vigliaccheria si potrebbe parlare se questo fosse uno scontro, cosa che non è, per quanto l'idea possa metterti a disagio. E soprattutto.. non sei esattamente nella posizione di dettare condizioni dato che ti sei inoltrata nella foresta proibita e possiedi delle armi che sono piuttosto sicuro vadano contro qualsiasi regolamento scolastico e del vivere civile. Tu dimmi per quale motivo mi hai fatto fare tutta questa strada e io, in cambio, ti ridarò il tuo giocattolino oltre a portarmi nella tomba queste tue piccole sviste. » Restò a fissarlo per qualche istante; tempo in cui sembrò come se potesse vedere le risposte in quegli occhi. Era tutto lì; così evidente ad entrambi. Eppure, mai nulla è evidente finché non si rende effettivamente palese. La ballerina nel carillon gira. Le note della sinfonia si dispiegano con sempre più leggiadria. « La vita è una guerra. Noi siamo in guerra. Sempre. » Lei la guerra ce l'aveva dentro; non avrebbe potuto farne a meno, ma a dirla tutta, la guerra apparteneva a tutti. Era una guerra sopravvivere, arrivare a fine mese, trovare un lavoro, superare gli esami. Ogni cosa è una lotta, un aggrapparsi con le unghie e i denti a ciò che si ha. Lo sguardo si perde alle spalle di Raphael, sognante e colmo di un che di soddisfatto mentre sorride tra se e se. « Per soddisfare la tua curiosità: niente. Sono niente. » Una consapevolezza sussurrata a fior di labbra in tutta onestà e tranquillità. Niente di compromettente. Niente di più vero e sincero. Beatrice era una sorella, un leader, una ragazza, era un'amica e a tratti anche una nemica. Ma nessuna di queste connotazioni le stavano effettivamente addosso, perché in realtà Beatrice al mondo non ci avrebbe mai saputo starci se solo non ci fosse stata una perenne guerra da combattere, qualcosa contro cui schiantarsi. « Come la vedi? » Pietosa? Divertente? Patetica? Non si sarebbe stupita assolutamente di nulla. « Voglio sapere che cosa ci facevi al funerale di mio padre. » Prima cosa rilevante. « E voglio che tu smetta di ficcare il naso nella mia vita. » Alza le mani a mo di arresa. « Ho comunque le mani legate. Sono una prigioniera come tutti gli altri. » Pausa. « Come te. » Una diversa qualità di prigione ma pur sempre una prigione. Fosse stata al posto suo non avrebbe certo apprezzato essere relegato al destino di una ragazzina. « Sto cercando di concludere ciò che ho iniziato qui, e non posso concentrarmi se ho continuamente una guardia carceraria alle calcagna. Odio essere osservata, e lo trovo davvero scortese. Tutta questa sfiducia potrebbe offendermi.. »

     
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    "La vita è una guerra. Noi siamo in guerra. Sempre." No. La vita è una guerra, forse è vero, forse la lotta per la sopravvivenza è in fin dei conti tutto ciò che importa. Ma Raphael la vedeva diversamente. Per lui la vita era una festa. Una grande, chiassosa festa priva di significato, vacua nella sua estrema generalità. Ci si fa compagnia per un breve arco di tempo, fingendo che l'ostentazione di benessere sia reale benessere, ingannandoci l'un l'altro e ingannando noi stessi per primi. Ci copriamo di bei vestiti costosi, di lustrini, di gioielli, alcool e stupefacenti. Ci muoviamo carponi in belle case di lusso, ci buttiamo in piscina e ci illudiamo che tutto ciò sia vero, che sotto i bassi della musica dance si nasconda l'essenza di tutto quanto. La vita è una festa, perché è falsa ed effimera. Perché abbiamo un costante e viscerale bisogno di trovare scuse per essere ciò che vogliamo essere e che in fin dei conti non siamo mai. La vita è tutta un ballo di gruppo: tutti insieme, e ognuno per sé nel proprio incontrollabile e sfrenato egocentrismo. Per questo Raphael dava feste su feste, e per questo motivo a tali feste lui si faceva a malapena vedere: perché il padrone di casa, tu non lo devi vedere. E' nascosto da qualche parte, e fa finire la baldoria quando gli pare e piace; perché nonostante tutto, nonostante il senso di onnipotenza e libertà che un party può facilmente regalare a chi vi partecipa, bisogna sempre ricordare che non si è altro che semplici ospiti in casa di estranei, per un evento che un senso non ce l'ha. E quelli organizzati da Raphael erano di certo i più sfrenati, esagerati e grandiosi di tutta Londra, se non addirittura di tutto il Regno Unito. Nemmeno l'uomo più controllato sarebbe riuscito a trattenersi dal buttarsi in pista o dare spettacolo a una di quelle feste: era semplicemente impossibile, fuori da ogni tipo di controllo e logica, ma avveniva, e Raphael stava lì a guardare con tutto il disprezzo che un cuore potesse provare. Padrone.
    "Per soddisfare la tua curiosità: niente. Sono niente." sorrise soddisfatto. Era esattamente ciò che voleva sentirsi dire. Sono niente. Polvere, una minuscola goccia d'acqua in un temporale, proprio come tutti quanti. Siamo tutti un ammasso di niente che si danno spille e titoli tra di loro per far finta che alcuni valgano più di altri, ma alla fine della festa, tutti marciamo sotto terra alla stessa velocità, e la carcassa di un Ministro non è più appetitosa per un verme rispetto a quella di un operaio. "Come la vedi?" Si strinse nelle spalle, indolente, distaccato. "Risposta esatta." disse solo, con un sorrisino, sebbene ci credesse poco che la Morgenstern fosse convinta di non essere nulla oltre quell'insaziabile bisogno di lotta che la animava. La sua fierezza si distingueva a occhio nudo, e di certo non era sfuggita all'occhio indagatore di Raphael, a cui tanto piace trovare il marcio nel prossimo. Ciò che l'uomo aveva di buono, lui non lo considerava, e se lo faceva, lo metteva sempre in comparazione con i mille altri difetti che lo circondavano. "Voglio sapere che cosa ci facevi al funerale di mio padre. E voglio che tu smetta di ficcare il naso nella mia vita. Ho comunque le mani legate. Sono una prigioniera come tutti gli altri. Come te. Sto cercando di concludere ciò che ho iniziato qui, e non posso concentrarmi se ho continuamente una guardia carceraria alle calcagna. Odio essere osservata, e lo trovo davvero scortese. Tutta questa sfiducia potrebbe offendermi.." Scosse appena il capo a quelle parole, come se stesse negando qualcosa di particolarmente ingenuo e divertente all'interno di una conversazione con se stesso. Mosse dunque qualche passo misurato, rigirandosi il coltello argenteo tra le mani prima di alzarlo con due dita di fronte allo sguardo di lei e poi gettarlo tra tutti gli altri che aveva fatto cadere a terra, in un tintinnio acuto di lame che cozzavano. Che bisogno avrai poi di tutta questa roba dato che il castello è più blindato di Azkaban?! A quel punto tornò nuovamente indietro, lisciandosi il completo scuro sulle cosce prima di mettersi a sedere su un tronco d'albero mozzato a qualche centimetro dalle radici. I suoi cerchi indicavano secoli di vita, secoli e secoli mozzati con un colpo d'ascia nel giro di un secondo: che bella metafora. E soprattutto, che bella postazione su cui mettersi a sedere senza alcuna remora. Frugò nella tasca interna della giacca, estraendone una scatolina argentata su cui erano incise le sue iniziali; aprendola ne estrasse una sigaretta completamente bianca, che poi accese con un colpo di bacchetta, riponendo il tutto al proprio posto subito dopo. Gli uomini, solitamente, tendono a trattenere quel tubolare involucro di nicotina tra pollice e indice, un gesto che denota un certo grado di mascolinità. E anche di rozzezza, a detta del tedesco, il quale usava tenerla in maniera più elegante, tra indice e medio della mano sinistra - essendo mancino. C'era davvero un che di ironico nei gesti eleganti, quelli che fanno intendere la levatura e il lustro di una determinata persona; Raphael ne era pieno, ogni suo movimento denotava una classe e una signorilità a dir poco disumane, piene dell'intrinseco fascino del buongusto. Si tende ad associare la raffinatezza con la bontà di cuore, con la gentilezza. Chi si veste bene fa immediatamente buona impressione, ispira sicuramente più fiducia di un barbone. Chi parla in maniera pacata, senza fare uso di termini volgari, è subito visto come qualcuno di bendisposto. Raphael non era nulla di tutto ciò, ed era convinto che il suo aspetto non ingannasse l'occhio di Beatrice come faceva con tanti altri, ma era comunque divertente indossare quella maschera di alta fattura. Un'abitudine difficile a morire, probabilmente. Sbuffò dunque il primo tiro di quella sigaretta leggera, lasciando che la densa nuvola biancastra si dissolvesse pian piano nell'aria, salendo sempre più verso il cielo. "Fammi una domanda di cui non conosci già la risposta." disse infine, con una certa stanchezza e noia nel tono di voce. Dio solo sapeva quanto Raphael mal soffrisse i discorsi futili, ripetitivi di un qualcosa che già entrambi gli interlocutori conoscevano bene. "Sei già a conoscenza dell'interesse che nutriamo per la vostra gilda. Il che risponde anche al tuo secondo punto." Le lanciò uno sguardo eloquente, riportandosi la sigaretta alle labbra per prenderne un altro tiro. Era chiaro come il sole che non avrebbe smesso di tenerla d'occhio: era il suo compito, e per quanto avrebbe di gran lunga preferito fare altro, non aveva poi questa grande scelta. "Sono comunque certo che darai il tuo meglio ai M.A.G.O. anche con questo irritante inquisitore alle costole." aggiunse, con un sorriso luciferino scoccato da sotto le ciglia e un cenno elegante della mano a sottolineare la frase. Un altro tiro di sigaretta, un altro sbuffo, un'altra pausa. Mi sento magnanimo. "Prendilo come un allenamento per quando uscirai di qui." Perché sappiamo entrambi che le cose non miglioreranno di certo, non per la tua tanto cara libertà. Prima ti abitui e meglio è.
     
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    - Voglio solo essere perfetta.
    - La perfezione non è solo un problema di controllo; è necessario metterci il cuore. Sorprendi te stessa e sorprenderai chi ti guarda.

    « Fammi una domanda di cui non conosci già la risposta. » Loro ti piacciono. Ti intrigano, ti incuriosiscono. E tutto ciò non ha niente a che fare con noi. Questa sei tu. Sei solo tu. Ti convinci di essere buona, di essere pura, ma il tuo animo è marcio. Tu Beatrice sei fatta della stessa sostanza di cui sono fatti gli inganni. Sei una bellissima favola che ti racconti prima di andare a dormire per sopravvivere con te stessa, ma la verità è che cerchi ciò che ti serve là dove non c'è. Ciò che vuoi è il pericolo, la guerra, lo scontro. Ti piace essere controllata, perdere te stessa. Vuoi dimenticare la tua infame fissazione per la perfezione. La perfezione era un obiettivo. L'obiettivo ultimo per lei. L'unica cosa che Beatrice ha sempre desiderato raggiungere. Quel punto di arrivo, quel piedistallo dal quale poter guardare tutti dall'alto verso il basso con la chiara consapevolezza che nessuno avrebbe mai potuto rinfacciarle nulla. Ma nel cercare la perfezione, Beatrice non ci metteva il cuore. Ovunque andasse, qualunque cosa facesse, era solo il raziocinio a dettare legge. Qualunque cosa era misurata nei minimi dettagli. Non c'era spazio per lo sbaglio. E paradossalmente era per questo motivo che non faceva altro che sbagliare. « Sei già a conoscenza dell'interesse che nutriamo per la vostra gilda. Il che risponde anche al tuo secondo punto. » E a te piace. Ti piace l'idea che ti osservino. Ti piace l'idea che ti corteggino, ti piace l'idea di avere un trattamento speciale. Anche quando ti trattano male, tu resti speciale. Ai loro occhi sei intrigante; sei frutto del paradosso di due anime completamente opposte che ti rendono un gioiello. Ti piace bearti nei loro occhi, osservarli, ascoltarli, lasciarti guardare. Oh Signore, se solo sapessi come si fa, ti toccheresti al pensiero che loro ti stiano pensando, si adoperino così tanto per tenerti dalla loro parte. Tu vuoi essere una ribelle, Beatrice Morgenstern, ma la verità è che non pensi come una ribelle, non agisci come una ribelle. Sei il frutto più puro di un mondo conservativo, chiuso, lineare. Imprevedibile, eppure, così dannatamente prevedibile. « Sono comunque certo che darai il tuo meglio ai M.A.G.O. anche con questo irritante inquisitore alle costole. Prendilo come un allenamento per quando uscirai di qui. » Quando e semmai lo realizzerai, sarai la loro stella più brillante. Un composto di passione e dedizione, di furbizia e ambigue intenzioni. Come fai a non vederti? A non vederci? Smettila di negarti al mondo, smettila di nasconderti, smettila di essere ipocrita. In questo modo, continuerai a essere fottutamente insignificante. Come lo sei ora. Prigioniera di un mondo che potrebbe caderti ai piedi. Davvero non lo vedi? Davvero non vedi che siamo la cosa migliore che poteva accaderti? Abbandonarsi è un'azione che Beatrice non conosce. Abbandonarsi è perdere il proprio spirito, è perdere la propria scintilla, il proprio credo. E' lasciarsi alle spalle qualunque cosa in cui abbia mai creduto. « La verità? » Si la verità. Dilla. Non c'è nulla di più subdolo della verità. La verità è disarmante. Forse tu non riesci a vederlo; ma non hai bisogno di mentire. « Il problema è che non è affatto irritante. » Crack. Una crepa. « Non lo siete. Nessuno di voi. E la cosa mi schifa al punto tale da voler vomitare. » Il solo vederlo ti disgusta. Il sentirlo alle tue spalle ti eccita, senti l'adrenalina scorrerti nelle vene, il fascino della sfida, la soddisfazione di averlo fregato. Il sollievo di sapere che non ci ha rinunciato, che viene a darti la caccia ancora. Ti riempie di gioia guardarli negli occhi, di sorridere loro con la tua insolenza adolescenziale. Ti piace trattare coi grandi, ti piace piegarli, ma ancora di più ti piace lasciar loro il potere di piegarti. Senza di loro, non avresti una guerra da combattere. Senza di loro saresti anonima, dispera in un modo che non ti comprende, che non ti combatte, che non ti desidera. Un mondo che non ti apprezza. Che non ti sfida.

    « La sera alla Testa di Porco.. » Sta camminando lungo una linea invisibile di fronte ai suoi occhi in punta di piedi. Nessun interesse nell'andarsene. "Dici di non essere interessata, eppure eccoti qui, ancora ferma su questa sedia. Perciò dimmi, cos'è che vorresti da me, Beatrice?" Per lui ho un debole. Ti ha capita. Sei ancora qui. Ancora una volta. Non puoi dare la colpa a me anche questa volta. Un fruscio leggero di freddo tra i suoi capelli. La luna a illuminarle appena il volto di porcellana. « ..ho fatto un sogno. » Crack. Un'altra crepa. E lei e lì, e gode di quella sua debolezza nei confronti di ciò che conosce molto meglio del mondo che si ostina a fare proprio. Quegli uomini, quei vagabondi, quel loro modo paradossale di condurre gli affari, seppur diverso, era la cosa più vicina al suo modo di pensare. Una politica non condivisa, non compresa, ma necessaria. Tutto il contrario di quella massa di buonisti e ipocriti. Non era d'accordo con le loro prede; ma quanto non erano d'accordo con le prede della gilda? « La storia è più o meno questa: una giovane prigioniera, desidera la libertà, ma solo il vero amore può spezzare le catene. Il suo sogno sembra avverarsi grazie a un angelo. Ma prima che lui si dichiari, l'altra lei, invidiosa, lo inganna e lo seduce. Così l'angelo s'invaghisce della ragazza sbagliata e allora la giovane si uccide, ritrovando nella morte la libertà. » Non lo farai. Il cigno nero e il cigno bianco, cara Beatrice.. sei tu.

    In piedi sullo stesso tronco su cui Raphael è seduto. « Sarebbe così facile farla finita. » Un volo da un torre. Un passo nel vuoto e poi tocca nuovamente terra con un leggero tonfo. Gira attorno alla figura, lasciando vagare lo sguardo verso l'alto. Tra i fitti rami, fino a raggiungere il cielo stellato. Crack. Crepe. Squame. Ecco cosa vede. La sua pelle è ricoperta di squame e lei vorrebbe strapparle via. Si gratta la pelle sulle braccia, vi affonda le unghie come se volesse grattar via quanto di negletto si sia attaccato alle sue giovani carni. Ma questa sensazione è un parassita, è un fungo che corrode, che si ciba di quanto di buono le sia rimasto. E cresce; inaspettatamente cresce e lei non ha gli anticorpi per combatterlo, non sa come si fa. Non lo ha mai saputo.

    « Voglio essere inopportuna. Voglio amare ciò che amo. Voglio scegliere ciò che voglio diventare, scegliere il mio futuro. Voglio scegliere chi poter amare e odiare, voglio che la gente mi stia sul cazzo senza essere dipinta come un mostro. » Un sussurro tra se e se, mentre è erta ferma alle sue spalle. Lo sguardo perso nel vuoto di fronte a sé. Crack. « L'ho detto al mio ragazzo una volta. In un sogno. » Crack. Un'altro sussurro. Altre crepe. « Gliel'ho detto e lui si è innamorato. Ed io ho creduto che sarebbe stato il mio angelo. Lo è. Ma anche lui si è innamorato della ragazza sbagliata. » Si è innamorato di Lei. Tutti vogliono Lei. Nessuno vuole Beatrice. Nessuno potrebbe mai volere un essere rigido, smisuratamente freddo, sin troppo razionale. La gente vuole l'irrazionale, cerca la follia, cerca l'insensato, cerca la spontaneità e un pizzico di pericolo. « C'innamoriamo di sogni, idee, speranze. Mai delle persone. »

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    « ..gli ho detto: non c'è nulla che lei dica o faccia che possa portarla ad avere me. E poi ho capito. » Pausa. Seduta per terra di fronte al suo interlocutore. Crack. Un leggero venticello le scompiglia i capelli, obbligandola a portarseli su una spalla. Pare come presa da una trance. Si trova altrove; perché parli con lui non lo sa. Forse perché a lui non importa niente, forse perché ormai non faccia poi molta differenza se dovesse fare rapporto o meno al suo superiore. E poi fare rapporto su cosa? Sulle evidenti mancanze di spirito di Beatrice? « Lui non può avermi perché è interessato all'altra. Glielo leggi negli occhi; la brama, l'ascolta, la tenta, la provoca. Anche tu sei interessato a lei. Tutti vogliono avere lei. L'altra. In un modo o nell'altro Lei vince sempre. » Non c'è nessuno a parte te. Ci sei tu con i tuoi errori. Ci siete tu e le tue proiezioni mentali, le tue paranoie, le tue paure, i tuoi sensi di colpa. Nel tuo caso, è stata la troppa ragione a generare mostri. Ma lei si ostina a non ascoltare. Non è così. Sa che non è così. Sa che nel momento esatto in cui ha rinunciato a un pezzo di se stessa, ne è irrimediabilmente subentrato un altro. Qualcosa di assolutamente estraneo. Le non è così. Non è quella persona. Davvero? « Eppure ho saputo sin da subito che mi aveva già. » Crack.

    Il sorriso sul volto le si allarga. Crack. « Aiutami a superarli. I M.A.G.O. Se tanto devi starmi col fiato sul collo, renditi quanto meno utile. » Un cambio di cuore repentino. « Tutti palesano l'interesse nei confronti dei talenti della gilda; forse è tempo che io m'interessi a cosa voi avete effettivamente da offrire. » Non devi sentirti per forza una prigioniera. Non lo sei mai stata. Sono qui perché mi affascinano i vostri talenti, è vero. Ma non sono qui in funzione di schiavista o padrone. Simili doni non possono essere ingabbiati e sottomessi al volere di una persona come me. Lo so bene, non sono uno stupido. Io sono qui per proporti un qualcosa di ben diverso. « Eccoti una domanda a cui non ho una risposta: che cosa sono per voi? Un'alleata? Una schiava? Un trofeo? »




     
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    "La verità? Il problema è che non è affatto irritante. Non lo siete. Nessuno di voi. E la cosa mi schifa al punto tale da voler vomitare." Lo sapeva, o forse non lo sapeva, ma lo intuiva. C'è sempre un grande fascino in ciò che al comune appetito risulta aberrante; c'è sempre qualcosa che intriga nell'ingiustizia, nella violenza di qualsivoglia genere. Per quella nuova quanto ipocrita società tollerante che era venuta ad emergere nell'ultimo secolo, la violenza, qualunque tipo di violenza, indipendentemente dalla scala o dal contenuto, era diventata la nuova restrizione filosofica. Tuttavia, in quella repressione interiore, sembrava quasi che qualsiasi forma di prepotenza fosse in grado di produrre tra i due antagonisti una forma di attrazione, forse addirittura un vincolo affettivo. Droga psicologica, ecco di cosa si trattava. Si ha un viscerale bisogno di sopraffare il prossimo e di essere sopraffatti: per alcuni individui è solo una delle due, mentre per altri quella necessità si manifesta in maniera ambivalente. « Gli animali combattono tra loro per una o due ragioni serie: per stabilire il loro predominio in una gerarchia sociale o per affermare i loro diritti territoriali su di una zona particolare. [...] Quello che l'animale vuole è la sconfitta, non l'uccisione; lo scopo dell'aggressività è il predominio, non la distruzione. » Quel mondo altro non era se non il più vasto degli zoo, e sebbene l'uomo cercasse in tutti i modi di convincersi di quell'avvenuta evoluzione, la verità era semplice: cambiavano i mezzi, ma gli istinti e i bisogni rimanevano immutati. Tris, come chiunque altro, ne era la prova: combattuta tra ragione e istinto. La ragione le diceva che le persone come Raphael dovevano essere solo schifate e allontanate; l'istinto, tuttavia, le suggeriva di farsi un passo più vicino, di mischiarsi a loro in una lotta dalla natura più che mai ambigua. Perché in fin dei conti, senza raccontarci balle, sappiamo tutti che non esiste nulla di più eccitante della violenza - che sia essa fisica o verbale -. Vedo già gli occhi scandalizzati. Teneri loro. Ancora a credersi i paladini della giustizia morale. Ma in fin dei conti è proprio questo che siamo: eterni bugiardi. Mentiamo agli altri e mentiamo a noi stessi per convincerci che l'immagine riflessa allo specchio possa essere amata. Chiudiamo gli occhi di fronte alle verità più nascoste dei nostri animi. Facciamo finta che la prepotenza non ci esalti, che la sopraffazione non sia ciò che più ce lo fa alzare o che più ci bagna. Bugiardi, dal primo all'ultimo. Ci proibiamo i piaceri più intensi per pura e semplice paura. Vigliacchi. Raphael, poi, rappresentava quei suoi stessi pensieri in maniera emblematica, poiché la stessa esistenza di essi era celata sotto la più rispettabile e tranquilla delle facciate. Ma lui lo sapeva, lo sapeva e abbracciava quegli istinti sanguinosi con una passione a dir poco folle e incontrollata, senza alcun tipo di mezze misure. Beatrice Morgenstern, invece, si trovava ancora in quella striscia di dubbio, labile come un filo sospeso sullo strapiombo tra due vette: potevi seguire la strada prefissata, oppure potevi abbandonarti alla caduta. A volte era una scelta, a volte invece succedeva e basta. Lei, almeno per il momento, sembrava intenzionata a seguire il tracciato, sebbene fosse evidente la precarietà del suo equilibrio, soprattutto a uno come il tedesco, il quale aveva già compiuto il salto da un pezzo - per forza o per amore. E più lei parlava, più quella titubanza e quella instabilità si facevano evidenti allo sguardo chiaro del moro, che sorrideva sardonicamente a ogni parola. "C'innamoriamo di sogni, idee, speranze. Mai delle persone." scosse appena la testa, come divertito da quelle parole. Non credeva nell'amore, Raphael, non ci aveva mai creduto probabilmente. Riteneva piuttosto che ciò che la gente definiva tale, altro non fosse se non la più alta forma esistente di egoismo ed egocentrismo. "Ci innamoriamo del possesso delle persone, Beatrice; di come le rendiamo più simili a noi." Specialmente in un'epoca in cui il consumismo sfrenato, l'accumulo e il culto dell'oggettistica tocca i suoi massimi storici. Ci circondiamo di cose su cose, oggetti che speriamo ci definiscano agli occhi degli altri, perché più abbiamo e più siamo. Le persone attorno a noi sono solo altri soprammobili, altri accessori da collezione che aumentano il nostro prestigio. Beatrice Morgenstern si scioglieva e sgretolava sotto il suo sguardo asettico, sezionandosi di fronte a lui pezzo per pezzo mentre l'uomo la osservava come un medico silenzioso in sala operatoria. Un vaso di terracotta ancora grezza, solo in attesa delle mani giuste per essere plasmato. Una bambina da crescere. Inclinò appena il capo a quel pensiero, assottigliando impercettibilmente lo sguardo mentre una sfumatura di libidine si dipingeva tra le pieghe enigmatiche del suo sorriso nell'osservarla. "Aiutami a superarli. I M.A.G.O. Se tanto devi starmi col fiato sul collo, renditi quanto meno utile. Tutti palesano l'interesse nei confronti dei talenti della gilda; forse è tempo che io m'interessi a cosa voi avete effettivamente da offrire. Eccoti una domanda a cui non ho una risposta: che cosa sono per voi? Un'alleata? Una schiava? Un trofeo?" Gettò a terra il mozzicone di sigaretta, calpestandolo, trascinandolo, tingendo di nera cenere quei fili d'erba verde sotto i suoi piedi. Lo fissò per qualche istante prima di riportare lo sguardo negli occhi di lei. "Voi.." disse con aria pensierosa e al tempo sorniona "Non so se hai sbagliato termine o persona a cui chiedere." asserì semplicemente, stringendosi appena nelle spalle. "Poiché se per voi intendi l'Inquisizione, stai dando per scontato che la mia percezione si identifichi con quella di un asettico organismo istituzionale." fece una pausa, scoccandole un sorrisino "Mi sono sempre vantato di non essere una persona scontata." Alzò dunque l'indice sinistro, come a puntualizzare quell'affermazione con la mossa seguente. Infilò dunque una mano in una tasca della giacca, estraendone il sacchetto di rune che aveva utilizzato poco prima. A quel punto si mise in piedi, lasciandole l'involucro di velluto blu scuro tra le mani. "Divinazione è una delle materie di studio, se non sbaglio." Una materia che ai tempi, Raphael non aveva apprezzato come avrebbe dovuto. Ma d'altronde i ragazzini fanno tanti errori, e con l'avanzare degli anni il giovane Gecko si era ricreduto, recuperando il passo con ciò che aveva tralasciato, sicuramente avvantaggiato dal suo singolare dono. Incrociò quindi le braccia al petto, appoggiando la schiena contro il tronco di un albero. "So che sei una brava studentessa. Dovresti quindi essere familiare con l'uso delle rune, quanto meno a livello di principiante." Le Rune danno solo tre risposte: sì, no, e indecifrabile. Uno dei tanti motivi per cui l'uso corretto e intelligente di quegli strumenti era a dir poco raro. Non c'erano dubbi: la stava mettendo alla prova. "Ti aiuterò." un'altra pausa, un altro sorriso "Qualora le rune ti dicano che voglio farlo." Il che non è scontato. Così tante variabili entrano in gioco nell'arte della divinazione quando lanci quella manciata di sassolini in aria. Un test. Un test per vedere se effettivamente ne valeva la pena di fare il passo successivo, se lei ne era all'altezza. Poiché di certo, se il discorso di Beatrice non lo aveva convinto fino in fondo, quantomeno aveva destato il suo interesse. Il segreto è solo uno, in fin dei conti: porre la domanda giusta tra milioni di possibili.
     
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    Opportunità. Tutte le abbiamo, e il più delle volte le sprechiamo. Nello specifico Beatrice ne ha avute molte e le ha sprecate cercando di fare la cosa giusta. Intrisa fino al midollo dal fascino della giustizia si è spesso dimenticata che la vita è tutto fuorché giusta. Ciò che ancora non ha imparato è che un leader non sarà mai amato. Non sarà mai pienamente compreso. E questo aveva resto di Richard Morgenstern un grande leader. Nonostante la figlia non avesse mai condiviso i suoi metodi, Richard ha portato la gilda a un punto in cui nessun altro era riuscito a portarla. Da galeotti, a temuti predatori, in grado di competere non solo nel ritmo naturale della scansione degli eventi, ma anche su scala politica. Richard ha creato un'aspettativa, ha fatto emergere i suoi più temuti talenti e li ha fatti sfilare su una passerella. Ha saputo sfruttare al meglio le opportunità che la scena politica gli ha posto di fronte. Mai come sotto suo padre, i cacciatori hanno goduto di un certo timore riverenziale, portandoli a volte ad essere anche facili prede per gli organismi legislativi del Ministero. Molti sono finiti dietro le sbarre, altri ancora hanno iniziato ad occupare cariche all'interno degli stessi organismi. La summa di tutta la sua politica era sua figlia; una figlia che di spontanea volontà ha lasciato libera, a cui non ha insegnato niente. Un rischio che ora appariva più che mai calcolato. Ti ha resa ciò che voleva, pur essendoti tu ribellata, ancora e ancora. « So che sei una brava studentessa. Dovresti quindi essere familiare con l'uso delle rune, quanto meno a livello di principiante. Ti aiuterò. Qualora le rune ti dicano che voglio farlo. »
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    Si lascia cadere nel palmo le rune contenute nel sacchetto, mentre riflette su quell'insolita richiesta. Non ha senso. E' un test. Nessuno più di lei può comprendere quando le persone le stanno chiedendo altro. Il suo intero allenamento e la sua conseguente ascesa al rango di cacciatrice si basava su quegli inganni. Le richieste erano solitamente semplici, ma portarle a termine non era mai altrettanto scontato. La richiesta che gli aveva appena fatto non aveva d'altronde nulla di persona, nulla di compromettente, nulla che potesse in alcun modo danneggiare l'Inquisizione o la sua persona; al contrario, se fosse stata promossa con il massimo dei voti, al massimo sarebbe stato al contrario elogiato. Non rispondere, sottoporla a quella prova doveva avere certamente altri fini. Una trappola? Possibile. Ma se avesse deciso di andarsene e sottrarsi, il suo unico collegamento diretto con l'Inquisizione sarebbe stato sradicato di netto. E lei aveva bisogno di comprendere chi fosse quella gente, aveva bisogno di capire cosa la stava aspettando una volta superati i M.A.G.O., per potersi preparare al meglio. Quelle rune erano particolari; non molti le usavano, un po' perché erano estremamente inaffidabili, un po' perché in pochi credevano davvero all'arte della divinazione. Erano state considerate estremamente instabili e ingannevoli. Tris aveva letto cose al riguardo, ma non le aveva mai viste dal vivo. Potevano essere considerate alquanto rare. Un insolito modo di avere certezze; semplicemente perché quelle erano certezze votate a un estremo atto di fede. « Oggetti alquanto pericolosi da mettere nelle mani di una persona che sta cercando risposte; soprattutto quando non si è disposti a darle. » Non le aveva mai usate, ma doveva ammettere che ne erano sempre stata affascinata. Leggendone la peculiarità, aveva capito che potenzialmente erano in grado di fornire quasi qualunque tipo di risposta, purché ce ne fosse l'intenzione. Giocavano sui desideri, sulle scelte. « Potrei chiedere se vuoi aiutarmi.. » Iniziò rigirandosele tra le dita. « ..oppure.. » S'inginocchiò soppesandole nella mano destra mentre cercava di costruire nella propria mente le domande giuste; quelle che attingono al presente ma le cui risposte possono essere simili anche nel passato prossimo. Nel giro di pochi minuti può cambiare molto. Ma può anche non cambiare niente. « Che cosa proverà quest'uomo nei miei confronti? » Disse di scatto mentre lo sguardo si ergeva su di lui. « Dubbio? » Sì. « Paura? » No. « Indifferenza? » Indecifrabile. Ma non è un no. « Pietà? » No. « Sfida? » Sì. « Curiosità? » Sì. L'ordine non è casuale. E' un crescendo. Il susseguirsi più naturale delle passioni umane. « Come mi vedrà quest'uomo? » Se lui non vuole rispondere, forse sapranno rispondere le rune. Non era nemmeno certa funzionassero effettivamente. Poteva essere un trucco. Poteva essere tutto un'enorme messa in scena. « Come un'alleata? » Indecifrabile. « Come un trofeo? » Indecifrabile. « Come una schiava? » No. Restò lì per un po' in attesa. Poi il sorriso le spuntò sul volto con naturalezza. « C'è una domanda che non ho considerato a quanto pare. »

    « Che cosa vorrà quest'uomo da me? » La più incerta. La meno solida. Quella che già a breve potrebbe cambiare, il cui corso potrebbe mutare non solo per lui ma anche per lei. « Aiuto. » No. « Potere. » Indecifrabile. Non da te. Attraverso te. Attraverso qualunque cosa glielo permetta. « Vuole corrompermi? » Sì. « Vuole ingannarmi? » Indecifrabile. « Vuole quest'uomo insegnarmi qualcosa che non so ancora? » Un ultimo lancio delle rune il cui risultato non guarda. Gli occhi scuri si concentrano sulla figura di fronte a sé. « Sarebbe stato troppo facile, non è così? Beh ecco ne avrei tante altre di domande, ma andrebbero ben oltre la domanda principale. Ecco, è incerta la tua indifferenza, cosa che ostenti pacatamente nei confronti di tutti. » Non sei l'unico che ha fatto un po' di compiti per casa. « Ed è altrettanto incerto se tu mi veda come un'alleata o come un trofeo. Certo è che non mi vedi come una schiava. » E Raphael confermava quanto Alek le aveva già detto. Non sarai mai una schiava. Davvero? Non lo era forse già? « Non è ancora certo se vuoi ingannarmi o meno. Ma una cosa è più che certa: sei curioso, intrigato. E poi c'è questo.. dubbio.. questo non sapere. Una sfida. Secondo le rune dicono: quest'uomo non aspettava altro che una richiesta del genere. Pane per i suoi denti. »




     
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    In ambiente giudiziario esiste un'espressione specifica per definire ciò che faceva Raphael: modus operandi, la reiterazione di mezzi e comportamenti usati per raggiungere un determinato obiettivo all'interno di uno specifico ambito. Spesso viene usata in riferimento ai serial killer, e in fondo sempre di serialità si può parlare in relazione al tedesco. Le vittime sono simili tra loro, il modo di avvicinarle anche, così come tutto ciò che poi porta allo stesso identico risultato che ci si propone di ottenere. Raphael Gecko stava ripetendo se stesso per la seconda volta; una parte di lui ne era cosciente, mentre l'altra era troppo annebbiata dall'ebbrezza che quel modus operandi gli portava. Era tutto un deja vu, tutto un già successo, una riproduzione in termini diversi di una storia che aveva già scritto, quella con Delicious. Forse il tedesco non ne era consapevole, ma a volte i suoi comportamenti si mostravano come una droga psicologica, una lenta e centellinata dipendenza mutuale - chi per un motivo e chi per un altro. La Lestrange era stata il suo paziente zero, il primo tentativo riuscito; alcuni direbbero che Raphael l'aveva rovinata per sempre, altri invece direbbero che la bionda si era rovinata con le sue stesse mani. Fatto sta che un fattore piuttosto consistente di colpa, il Gecko ce lo aveva eccome. Tale e quale al serpente nel giardino dell'Eden, lui l'aveva corrotta lentamente, avvicinandola sempre di più sino a legarla a sé a doppia mandata. Delix aveva fatto tutto ciò che Raphael le aveva chiesto, sempre e comunque. Pendeva un tempo dalle sue labbra come se da esse ne colasse l'oro puro dell'assoluta verità. Raphael, dal canto suo, traeva gioia quasi esclusivamente da ciò, e la sua dipendenza consisteva nella dipendenza che lei aveva per lui. Ci innamoriamo del possesso delle persone, Beatrice; di come le rendiamo più simili a noi. Parole non casuali quelle che l'inquisitore aveva rivolto alla sua giovane interlocutrice; parole che provenivano da un'esperienza reale, dal riconoscimento di ciò che lui stesso aveva fatto in prima persona. E da quando era stato rinchiuso ad Azkaban, Raphael aveva iniziato a percepire dentro di sé il vuoto lasciato dalla mancanza di Delious. O meglio, non di Delicious come persona, ma di Delicious come succube. Non schiava, forse nemmeno trofeo, probabilmente neanche alleata. E' incredibilmente difficile definire il legame che avevano instaurato quei due tra loro: non era una vera e propria sudditanza, poiché a Raphael non piacciono le cose troppo spicciole e scontate, ma era piuttosto un ambiguo miscuglio di soggezione e coalizione. Un terreno i cui confini risultavano troppo sfumati per essere compresi, ma che nella caotica testa di Raphael appariva come ben chiaro e determinato. Lui voleva che la sua protetta - se così si poteva definire - non gli fosse ne' inferiore, ne' superiore, ma nemmeno totalmente alla pari; voleva che prosperasse sotto ogni aspetto come la più importante delle regine, ma allo stesso tempo voleva che tutto ciò fosse riconducibile a lui e condivisibile solo ed esclusivamente con lui. L'esclusività era essenziale, così come la complicità, due cose che dovevano andare direttamente di pari passo. Tuttavia con Delix aveva sbagliato - non del tutto, ma in parte - poiché nonostante la buona riuscita del progetto, l'aveva resa fin troppo dipendente. Era forse e paradossalmente stato proprio quel suo fare tutto ciò che lui le diceva a stonare nel quadro che il giovane aveva ben dipinto in mente; ora che lo aveva sperimentato, però, aveva anche capito di necessitare qualcosa di diverso, di più rarefatto e allo stesso tempo solido: qualcosa che fosse indistruttibile come l'acciaio. Tris era il soggetto perfetto, e lo era proprio per l'altissimo rischio potenziale che costituiva. Lei aveva quel qualcosa che Raphael aveva aspettato anni di trovare in qualcuno, e ora si trovava proprio sotto i sui occhi.
    Corrompere. Un termine particolarmente sfumato, che proprio in virtù della sua sottile ambiguità Raphael adorava. Solitamente viene usato con la seguente accezione: indurre con mezzi illeciti, specialmente con regali e denaro, a fare ciò che non si dovrebbe. Tuttavia vi era anche un altro significato, quello che il moro intendeva più spesso: alterare, depravare, guastare spiritualmente. E quella fu proprio l'accezione che diede alla domanda della Morgenstern a riguardo. Corrompere: un termine così generico da sottoporre alle rune, eppure così specifico nell'intenzione quando esse danno un risultato altrettanto specifico. L'uso delle parole era forse ciò che a Raphael riusciva meglio di qualsiasi altra cosa: tramite esso riusciva a capire molto di chi aveva di fronte. E l'uso di quello specifico termine gli diede esattamente la risposta che cercava. O meglio, a dargli tale risposta furono le rune stesse. Poiché quell'inequivocabile che ne era venuto fuori non solo dava modo a Tris di capire le intenzioni dell'uomo, ma dava anche modo a Raphael di capire il calibro della sua interlocutrice in maniera decisamente più precisa rispetto a tutti i pedinamenti di quelle ultime settimane. Se lei avesse posto quell'interrogativo alle rune intendendo la corruzione materiale, esse le avrebbero dato di certo una risposta indecifrabile, poiché la domanda stessa sarebbe risultata imprecisa. Invece era uscito , e quel sì la diceva lunga su Tris. Significava che lei sapeva esattamente ciò che intendeva. Lei lo aveva capito, forse non del tutto, ma in buona parte, e questo era esattamente ciò che lui stava cercando di capire: se lei fosse all'altezza di stare al suo passo senza inciampare. "Vuole quest'uomo insegnarmi qualcosa che non so ancora?" . "Sarebbe stato troppo facile, non è così? Beh ecco ne avrei tante altre di domande, ma andrebbero ben oltre la domanda principale. Ecco, è incerta la tua indifferenza, cosa che ostenti pacatamente nei confronti di tutti. Ed è altrettanto incerto se tu mi veda come un'alleata o come un trofeo. Certo è che non mi vedi come una schiava. Non è ancora certo se vuoi ingannarmi o meno. Ma una cosa è più che certa: sei curioso, intrigato. E poi c'è questo.. dubbio.. questo non sapere. Una sfida. Secondo le rune dicono: quest'uomo non aspettava altro che una richiesta del genere. Pane per i suoi denti." Ascoltò ogni parola con il più enigmatico dei sorrisi dipinto sul viso, scrociando le braccia prima di raccogliere le rune da terra, senza rivelarle il risultato del lancio che aveva effettuato. D'altronde un po' di dubbio, un po' di mistero, è sempre necessario in queste cose, poiché esse richiedono un atto di fede. La Grifondoro avrebbe dovuto imparare a fidarsi di lui: solo in questa maniera avrebbe visto premiata quella fiducia. Si rigirò quindi i piccoli tasselli sul palmo, seguendo le linee incise con la punta dell'indice. Gli fece fare un paio di piccoli saltelli prima di lanciarle davvero in aria. "Questa ragazza si lascerà aiutare?" Indecifrabile. "La aiuterò lo stesso?" Sì. Sorrise quietamente, come chi quelle risposte già le conosceva, ma voleva solo renderle palesi tra loro. L'onestà, in fin dei conti, era un altro ingrediente fondamentale di quella ricetta. Alzò quindi lo sguardo verso il cielo, osservando i puntini stellati sopra le loro teste prima di riportarlo a lei. "Ci vediamo domani nel mio ufficio dopo pranzo. Puntuale." E detto ciò, rivoltole un sorriso e un elegante cenno di saluto con la mano, si smaterializzò.
     
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