Paradise Lost

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    « Ci vediamo domani nel mio ufficio dopo pranzo. Puntuale. » Non era riuscita a ottenere altro, ma era già più di quanto si prospettasse. Era andata a quell'incontro con il chiaro intento di affrontarlo, e in cambio aveva ottenuto più di quanto si prospettasse. Aveva compreso Beatrice che quel Raphael era un osso duro e che non le avrebbe fornito nessuna delle risposte che pretendeva a meno che non fosse lei a cercare si estorcergliele. La sua mente funzionava in modo insolito. Non gli piaceva rispondere, ma al contempo aveva un modo tutto suo per fornire una via di uscita ai propri interlocutori, se solo fossero stati abbastanza scaltri da comprendere i suoi giochi mentali. Non le erano certo sfuggite di mente nemmeno tutte le risposte che le rune le avevano dato la sera precedente. Ma un po' per necessità, un po' per curiosità, alla fine aveva deciso di ignorarle. Di una cosa era certa; doveva essere molto attenta, cauta, nei confronti di quell'uomo. Era ormai evidente agli occhi di entrambi, che ognuno cercava di estorcere qualcosa all'altro. Eppure, entrambi avevano acconsentito di guardarsi negli occhi e affrontarsi.. confrontarsi. A dirla tutta, a Beatrice una mano serviva davvero. Pur avendo recuperato egregiamente le materie del sesto anno, era ancora in alto mare con parte delle conoscenze più avanzate impartite al settimo. Di certo superare i M.A.G.O. con votazioni mediocre, non era un obiettivo a cui aspirava, pur anticipando la laurea di un anno. Nessuno l'avrebbe biasimata se solo non avesse dato il massimo, ma a lei, l'idea di sentirsi dire hai fatto del tuo meglio, pur non avendo dato il massimo, la rendeva piuttosto irrequieta. Sembra la solita ossessione; raggiungere una perfezione eterea, a volte intoccabile e inimmaginabile. Beatrice voleva essere ineffabile, come la sua controparte letteraria che ha ispirato i capolavori danteschi. « Allora biblioteca? Solita ora? » Di tutti i giorni, Dean Moses doveva uscirsene con la voglia di studiare proprio oggi. E' proprio vero che l'anno sta finendo. « Scusa, oggi non posso. » « Ma dai! Ci siamo organizzati! Con Sam e Reina. E mi sa che vengono anche quelli là che che hanno preso Troll allo scorso compito di pozioni. » Lei lo squadra con uno sguardo sinceramente dispiaciuto. Non riesce nemmeno a trovare una buona scusa per abbandonare i suoi compagni i difficoltà. Crack. Altra crepa. « E' che.. ho delle cose extra da dover consegnare per quel corso di cui ti avevo parlato, e sono davvero indietro. » « Quale corso? » « Quello lì del.. » Si ferma. Non riesce a mentire. Non a lui. Ma questa volta non può nemmeno dirgli la verità. Sa che semmai dovesse dirglielo, Dean capirebbe, o quanto meno non la giudicherebbe. Ma questo è troppo persino per lei. « ..senti non posso. Ma.. prendi i miei appunti. » E dicendo ciò, prese a tirare fuori dalla tracolla tutti i suoi appunti di pozioni. E' roba vecchia. Tutte quelle lezioni le ha già studiate e ripetute un migliaio di volte. « Ma che ti vedi col ragazzetto? » Il solito sorriso sbruffone gli compare sulla faccia, mentre il volto della Morgenstern si fa sempre più serio. E' come se avesse una nuvoletta grigiastra sopra la testa che sta mandando saette a destra e manca. « Ahhhhh si ti vedi con un ragazzetto. Ebbrava la Morgenstern. » Si trattiene dal dargli uno schiaffo solo perché in realtà c'è una parte di sé che trova tutto ciò divertente. Basta davvero quella scusa per Dean? « Forse.. » Magari. « ..ma anche se fosse non sono affari tuoi. » « Senti Tris, stai tranquilla. Non c'è nulla di male. Quando vuoi vederti con un ragazzetto, basta dirmelo e io lo capisco. Con tutte le volte che io non mi presento perché mi vedo con qualcuna, figurati se ti faccio la ramanzina. Dai che vado. Divertiti eh. » Fa per andarsene, portandosi appresso gli appunti che la ragazza gli ha lasciato, ma poi pare ripensarci e torna indietro. « Dimenticavo! Nel caso in cui l'eroe dovesse essere sprovvisto. » E dicendo ciò le ficca in tasca una bustina quadrata di dimensioni ridotte. Prima che possa capire di cosa si tratta se ne è già andato, lasciandola lì pietrificata con quello che lui chiama guanto tra le dita.

    In capo alle scale del salone d'ingresso due membri della squadra d'inquisizione stanno sorvegliando il passaggio. Venerdì dopo pranzo non ci sono più lezioni, e così il castello diventa off limits per chiunque non abbia i permessi. Purosangue esclusi quindi, possono accedervi solo i professori e chiunque abbia un lasciapassare di qualunque tipo. I due la squadrano dalla testa ai piedi e lei dal canto suo li guarda in cagnesco. Non riesce nemmeno a fingersi cordiale nei loro confronti. Quegli idioti hanno invaso casa sua, l'hanno spogliata delle sue responsabilità e l'hanno costretta a una vita di merda in cui pur di capire cosa diavolo deve fare della propria vita, deve mentire al suo migliore amico fingendo di avere appuntamenti galanti. Questa è solo l'ultima delle infinite umiliazioni che Beatrice si sente addosso. Forse la più infima, ma non per questo meno fastidiosa. « Beatrice Morgenstern. Devo arrivare al settimo piano. » Uno dei due le fa un cenno con la testa e così si ritrova ad essere scortata su per le scale mobili. Ha dimenticato da quanto tempo non è più libera di salire e scendere a proprio piacimento, negli orari più disparati, quando il castello e vuoto e privo di qualunque conglomerato di suoi coetanei. L'uomo che evidentemente sa dove condurla, non parla. Non dice niente. Ultimamente pare proprio che essere scortata è diventato una qualche forma di passatempo per Beatrice. Lei che più di tutti amava l'indipendenza, amava la libertà, si ritrovava sempre più spesso a essere scaraventata di qua e di là in compagnia di qualcuno. L'uomo si ferma di fronte al ritratto della signora grassa e le fa cenno di accedere alla sua ex sala comune. « Credevo dovessimo andare nel suo ufficio. » « Beatrice Morgenstern! Guarda come sei sciupata. » Per la Signora Grassa, Beatrice sarebbe sempre stata sciupata. « Lei invece è in forma smagliante come sempre. » Risponde la giovane ex Caposcuola improvvisamente come presa da una gioia improvvisa. Il ritratto della Signora Grassa fa parte di una vita passata, quella che le è sempre piaciuta, che ha sempre amato e che non ha mai apprezzato fino in fondo. « Insomma, cara ragazza. Qui è tutto così vuoto. Non ci sono più studenti. Mi sento così sola. » « Torneremmo.. vedrà. » Non ne era certa, ma voleva essere il più rassicurante possibile. Non doveva essere facile per la Signora Grassa; la sala comune dei Grifondoro doveva essere ormai quasi completamente deserta. Rendendosi conto dello spazientirsi della sua guardia, Beatrice fece per ripetere la solita parola d'ordine che tanto conosceva. « Per oggi è cambiata, ragazza mia. Stai attenta. C'è il diavolo lì dentro. » Sempre drammatica la cicciona, non credi? « Homo homini deus, est; » Inizio l'inquisitore. Uno scherzo. Un altro dei suoi. Un messaggio? Una provocazione? Un avvertimento? Un consiglio? « ..si suum officium sciat. »
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    Il quadro si aprì lasciandole libero il passaggio verso una sala comune completamente vuota. Per un secondo il sorriso le si allargò nel rivederla in tutta la sua bellezza e maestosità. Lì sopra nulla era cambiato. E lei ne era lieta. « L'uomo è un dio per gli altri uomini, qualora conosca il proprio dovere. » Iniziò quindi mentre lasciava che i polpastrelli tastassero ogni superficie possibile della sua vecchia casa. La tracolla venne abbandonata sul tavolino di fronte al caminetto. « Un po' plateale e pomposo, se me lo stai chiedendo. » Non te lo sta chiedendo, ma tu non puoi farne a meno in ogni caso. « Siamo passati dal ci vediamo nel mio ufficio dopo pranzo al ti faccio vedere com'era bella la tua vita prima che io iniziassi a romperti le palle? » Nessun filtro. Nessuna mezza parola. « Se ti stai chiedendo anche questo.. era davvero fantastica. » Prende a guardarsi attorno con sempre più curiosità. Sposta qualche pezzo sulla scacchiera nell'angolo della sana, prima di lasciarsi cadere pesantemente sul suo adorato divano. « Sai cosa amo di Hogwarts? Non cambia mai. Non importa chi la presiede, chi la custodisce, chi la.. protegge. Questo posto resta sempre uguale; non c'è nulla che possa scalfirlo. » Un leggero sorriso prima di portarsi le ginocchia al petto. « Andiamo Raphael, so che sei un tipo molto timido, ma non è divertente parlare da sola. Palesati, sei in ritardo. » E dicendo ciò lasciò cadere accanto alla tracolla il libro che ha avuto sotto braccio fino a quel momento. La sua ultima interessante lettura, scelta appositamente per il periodo. Paradise Lost di Milton.

    “The mind is its own place, and in itself can make a heaven of hell, a hell of heaven..”



     
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    "Parola d'ordine?" Alzò un sopracciglio di fronte alla richiesta della Signora Grassa, come se le stesse chiedendo se faceva sul serio. Silenziosamente, dunque, le mostrò il badge dell'Inquisizione. "L'accesso alla sala comune Grifondoro è possibile solo tramite la parola d'ordine." Un sospiro, ben più eloquente di mille parole, si tramutò presto in un sorrisino circostanziale. Nessuno lì al castello aveva ancora accettato la presenza della Squadra di Inquisizione, men che meno i quadri. Vi era forse solo qualche esiguo capannello di studenti a capire il motivo di quella intromissione, e tra questi era ancora minore il numero di coloro che la trovava in un certo senso giusta. Gli arazzi sembravano osservarli chi con sospetto e chi addirittura con disprezzo, ammutolendosi al loro passaggio nemmeno fossero l'incarnazione della morte. Alcuni inquisitori sembravano non gradire molto questo trattamento, trovandosi spesso a esordire in attacchi di rabbia o addirittura a spiccare tali quadri dal muro. Raphael, dal canto suo, non ne veniva affatto toccato, e di certo non si sarebbe mai azzardato a toccare un'opera d'arte. Forse per questo motivo i quadri si fidavano di lui meno che di tutti, guardandolo come fosse il diavolo in persona e una sua parola o sguardo potesse ridurli istantaneamente in cenere. Si sa: c'è più timore nel non detto che nell'effettiva tangibilità di un determinato comportamento; temiamo sempre ciò che non conosciamo o che non ci è accessibile. "Homo homini deus, est; si suum officium sciat." scandì lentamente, fissando gli occhi dipinti della donna. "Non è questa la parola d'ordine." Un altro sorriso condiscendente, un'altra frase pacata. "Lo è per oggi." "E perché dovrei riconoscerlo?" "Perché lo dico io." Il tono della più totale innocenza in connubio con un'ordine irremovibile a cui la Signora Grassa sapeva di non poter disubbidire, non se aveva intenzione di rimanere a guardia della sala comune Grifondoro. D'altronde lei non aveva la più pallida idea del profondo rispetto che l'inquisitore nutriva per l'arte; non poteva sapere che un suo dito mai si sarebbe alzato a spiccare una cornice. E nel non sapere, l'autorità di Raphael aveva sempre prosperato in ogni ambito. Dopo qualche secondo di titubanza, gli occhi della donna dipinta si abbassarono sotto il giogo dello sguardo del tedesco, lasciandolo passare silenziosamente oltre il passaggio che nascondeva. "Fino a che non esco, nessuno potrà entrare qui dentro senza questa parola d'ordine." asserì quindi secco, mentre la sua voce arrivava alla Signora Grassa come un eco dall'interno della torre Grifondoro.
    Spostare il luogo dell'appuntamento non era stata una scelta totalmente casuale. Da un lato voleva mettere la sua interlocutrice in un ambiente precisamente a metà tra il famigliare e l'ormai ostile; dall'altro, poi, voleva osservare il luogo che l'aveva ospitata per tutti quegli anni. "La stanza di Beatrice Morgenstern, prego." disse a uno degli elfi domestici che si occupavano di riordinare le sale comuni mentre gli studenti non c'erano. "Temo che la signorina Morgenstern sia stata trasferita nei nuovi alloggi." disse quello con fare lamentoso, guardando da ogni parte come se temesse di essere cruciato sul posto. In tutta risposta Raphael alzò gli occhi al cielo, specificando. "Lo so che è stata trasferita, ma prima di trasferirsi dovrà pur aver avuto una qualche sistemazione, o sbaglio? Dove la tenevate? In soffitta?" concluse ironicamente, palesando una certa dose di sdegno e impazienza nei confronti della creatura. "No, no, no mio signore. Mi perdoni, mi perdoni. Lo accompagno subito." E detto ciò, l'elfo scortò l'inquisitore fino alla stanza in cui un tempo aveva alloggiato la mora. "Puoi andare." disse quindi, dileguandolo con un cenno della mano mentre questo se ne usciva camminando a ritroso e prestandosi in profondi e veloci inchini. A quel punto Raphael iniziò a misurare la stanza a lenti e moderati passi, osservando le pareti spoglie. Non vi era rimasto praticamente nulla: le ragazze si erano portate via tutto. "Verdimillious." rimase in attesa per qualche istante, guardandosi intorno in cerca di cambiamenti. Nulla. "Revelio." tentò diversamente, per sicurezza. Ancora nulla. La Morgenstern aveva ripulito tutto, ma in fin dei conti non si aspettava niente di meno. Si chinò dunque ad esaminare lo spazio sotto i letti, poi le insenature tra una pietra e l'altra, in seguito i cassetti della scrivania, il bagno. Aprì gli armadi, bussando sulle pareti e sulle assi della base. Niente. Un lavoro meticoloso, non c'era che dire. A quel punto, rimesso tutto esattamente come si trovava, si pose al centro della stanza, alzando meglio la bacchetta per lanciare l'incantesimo sensore segreto: chiunque fosse entrato lì dentro, non lo avrebbe fatto senza che Raphael ne venisse a conoscenza. Non si è mai troppo cauti. Con un sorriso soddisfatto uscì dunque dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle per scendere le scale verso la sala comune. "L'uomo è un dio per gli altri uomini, qualora conosca il proprio dovere. Un po' plateale e pomposo, se me lo stai chiedendo." sentì la sua voce prima ancora di compiere il passo sull'ultimo gradino, ritrovandosi a sorridere tra sé e sé. "Siamo passati dal ci vediamo nel mio ufficio dopo pranzo al ti faccio vedere com'era bella la tua vita prima che io iniziassi a romperti le palle? Se ti stai chiedendo anche questo.. era davvero fantastica. Sai cosa amo di Hogwarts? Non cambia mai. Non importa chi la presiede, chi la custodisce, chi la.. protegge. Questo posto resta sempre uguale; non c'è nulla che possa scalfirlo." Il sorriso si accentuò. Era vero: quel posto andava avanti da secoli senza mai mutare realmente. Si succedevano studenti, insegnanti, presidi, eventi e regole, ma tutto tornava sempre al proprio posto iniziale. Le persone, tuttavia, erano un altro paio di maniche: quelle cambiavano eccome al suo interno. E in fin dei conti un luogo non è forse definito da chi vi abita? Altrimenti sarebbe solo un ammasso di sassi. "Andiamo Raphael, so che sei un tipo molto timido, ma non è divertente parlare da sola. Palesati, sei in ritardo." A quelle parole, lentamente, lasciò trapelare la propria figura da dietro l'angolo che collegava la sala comune alle scalette dei dormitori. Si avvicinò a passi misurati, prendendo posto sul divano che fronteggiava il punto in cui si era seduta la Grifondoro. "E dimmi un po', Beatrice, tu lo conosci il tuo dovere?" chiese serenamente, quasi la stesse interrogando sugli ultimi aggiornamenti meteo. Lasciò spazio al silenzio prima di schioccare le dita, evocando con un colpo di bacchetta un leggiadro stormo di libri di testo, uno dei quali andò ad aprirsi sotto i suoi occhi, fluttuando nell'aria di fronte a lui. Ne lesse sveltamente alcune righe prima di chiuderlo con un altro colpo di bacchetta, lasciandolo adagiare sul basso tavolino ligneo insieme agli altri. A quel punto si appoggiò meglio allo schienale del divano, stendendo entrambe le braccia sul bordo di esso prima di indicare col mento un baule serrato in un angolo della stanza. "Finché hai la bacchetta direi di usarla." asserì inizialmente "Le basi, innanzitutto. Lì dentro ci sta un molliccio. Suppongo tu sappia già bene di cosa si tratta." Con una mano le fece cenno di alzarsi, rimanendo lui seduto elegantemente al proprio posto. Ruotò appena il busto per voltarsi verso il punto in cui si trovava il baule, puntandogli contro la bacchetta. "Cistem Aperio." E vediamo di cosa hai veramente paura.

     
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    « E dimmi un po', Beatrice, tu lo conosci il tuo dovere? » Lo conosceva? Certo che lo conosceva. Purtroppo spesso e volentieri non pensava di esserne all'altezza. Spesso e volentieri era certa che non sarebbe mai stata abbastanza forte, abbastanza sveglia, abbastanza spigliata. Tutta quella situazione ora le sembrava l'entrare direttamente nella gabbia del leone senza essere minimamente corsa ai ripari. Si siede di fronte a lei, Raphael, e con un colpo di bacchetta fa comparire sul tavolino che li divide, una pila di libri di ogni sorta. « E tu? Conosci il tuo dovere Raphael? » Rispondere a una domanda con un'altra domanda. Tipico di chi non aveva la minima intenzione di lasciarsi troppo abbindolare. Purtroppo sapeva che Raphael era a conoscenza di molte più cose sul suo conto; molte più di quante ne conoscesse lei sul conto di lui. Lei dal canto suo lo aveva studiato affondo, e se certo non poteva coadiuvarsi di ricerche concrete, il linguaggio del corpo è in grado di dire su una persona molto più di quanto fosse in grado di fare una qualunque scartoffia. Era solo questione di tempo prima di arrivare all'osso. Stai buona. Per ora devi solo stare buona. Lasciagli il controllo. Una cosa alquanto complicata per Beatrice. Una cosa che non le risultava affatto facile. Piegarsi al volere di qualcuno che non fosse la sua volontà le risultava sempre difficile, umiliante e oltremondo pietoso. La furbizia della Morgenstern veniva esternata in modo ottimale solo quando la ragazza si sentiva prettamente a suo agio. E doveva ammettere che Raphael non la metteva a suo agio. Non era solo paranoia, non era solo paura dell'uomo nero; c'era anche qualcos'altro. Un fascino ingannatore che se da una parte la obbligava ad allontanarsi, dall'altra la costringeva quasi maniacalmente ad avvicinarsi. E lei gode di quella debolezza della Morgenstern. Gode nel vederla così desiderosa di farsi valere di fronte ai più grande, di confrontarcisi con il chiaro intendo di risultare all'altezza. Un complesso che chiunque al posto suo, investita delle responsabilità di cui era investita la ragazza, avrebbe avuto. « Finché hai la bacchetta direi di usarla. Le basi, innanzitutto. Lì dentro ci sta un molliccio. Suppongo tu sappia già bene di cosa si tratta. » La prima fregatura. Crack. Sa che cosa sta cercando di ottenere. Sta giocando d'ingegno; di scatto gli occhi scuri di lei si palesano con odio e frustrazione in quelli di lui. Dovrebbe sottrarsi. Dovrebbe davvero farlo. E mentre deglutisce e quasi pronta a farlo. Si alza in piedi dirigendosi verso il baule osservandone la natura. « Non essere ridicolo, è programma del terzo. Non lo chiederanno mai ai M.A.G.O. » E' vero. Non lo chiederanno mai ai M.A.G.O. ma quale altro modo per scoprire i tuoi scheletri nell'armadio? Forse è tempo che io e Raphael Gecko ci conosciamo di persona. Figlia di puttana. In teoria sono te. Dovrai farci i conti prima o poi. « Cistem Aperio. » Bastardo.

    Beatrice non è nemmeno lontanamente bella quanto lei. Lei è elegante, raffinata; i suoi capelli sono più lunghi, più lucenti, si annidano in perfetti riccioli che cadono morbidamente lungo le larghe spalle. Gli occhi sono più scuri e fanno da contrasto con una pelle ancor più chiara di quella della sua naturale antagonista. Lei sorride; sorride sempre. E' come se il mondo fosse fatto a sua immagine e somiglianza e di quest'ultimo si bea come se le appartenesse in tutto e per tutto. « Sempre in queste situazioni ci incontriamo noi due eh? » Non è reale, non è reale. Quella è solo una proiezione della sua testa. E' la cosa di cui maggiormente ha paura.
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    « Prima Watson, ora lui. Certo che hai un vero talento nel metterti a nudo di fronte ai cattivi ragazzi. » Sorride mentre le si avvicina. Lo sguardo si incolla per un secondo sulla figura dell'uomo che la liberata dal so baule. « Ottimi gusti, Beatrice. Non c'è che dire, dal vivo è ancora meglio. » Zitta strega. « Beh ecco, è sempre un grande piacere vederti dal vivo, sai. Io e te dovremmo incontrarci più spesso. Stare lì dentro affogata tra tutte quelle pippe mentali è asfissiante. Dio mio ragazza, tu proprio non sai prendere alla leggera nulla. » Lei è disinvolta, ha una capacità comunicativa che in parte sta già trasmettendo alla sua giovane protetta. Siamo la stessa persona, Beatrice. Smettila di ingannarti. « Guardati sei cresciuta. Sei più magra, più alta. Tutta quella caccia ti ha fatto bene. » Le si avvicina fino a sfiorarle il lobo dell'orecchio. La Grifondoro stringe i pugni, pietrificata. Zitta. Sembra quasi di essersi scordata di trovarsi di fronte a un molliccio. Non appena era comparsa, era come se tutto il resto fosse scomparso, come se quello fosse uno scontro vero. « Lasciati dare un consiglio: c'è dell'altro che ti farebbe un sacco bene. » Disgusto, rabbia, frustrazione e paura. Una paura che non riesce a riconoscere ma non riesce nemmeno ad affrontare. « E' solo questione di tempo, lo sai vero? » Zitta. « Prima che tu capisca. » Zitta. « Prima che tu accetti. » Zitta. « Prima che tu ammetta quello che hai fatto. » Zitta, zitta, zitta. « SVEGLIATI BEATRICE! » Sono già sveglia. Ma non lo è affatto. E' semplicemente paralizzata. « Sono io ad appartenere a te, non il contrario. » Lo sguardo torna sul terzo sulla scena. « E a breve entrambe apparterremmo a qualcos'altro. Io ti mostrerò la strada. » Certo che ci so fare. Cioè, ci sappiamo fare. Dio mio, perché non sei un po' più come lei. Vaffanculo. « Riddikulus! » La ragazza di fronte a sé sembra dire altro per qualche istante; solo allora, messa di fronte a quell'immagine con una certa lucidità si rende conto che il suo è un volto leggermente più adulto. Ed è affascinante. Piena di spirito. E' magnetica e intrigante. E' tutto ciò che Beatrice ha sempre pensato di non essere. Così identica a lei, eppure così diversa. Poi il suo etereo volto si trasforma. Naso e bocca prendono le sembianze del becco di un'oca; improvvisamente la sua affascinate voce diventa un metallico quaquaraquà. Presa dal panico, Lei si ritira e Beatrice si avvicina pronta a richiudere il baule facendo scattare la serratura.
    Un momento di respiro. Uno solo. Uno in cui evita qualunque contatto visivo. Si rende conto di quanto essere messa di fronte alla sua più grande paura possa essere estenuante. Ha avuto i muscoli tesi fino a quel momento. Si sente la mascella rigida e le tempie doloranti. E a quel punto, togliendosi i capelli dal volto si gira verso Raphael puntandogli la bacchetta contro. « Vaffanculo! Non erano questi i termini dell'accordo. » Matura. Non cerca nemmeno di ascoltarla. Ha ascoltato anche troppo per un solo giorno. Era rimasta buona e brava per sin troppo tempo. Aveva cercato di passare inosservata, di non farsi notare, di bere dal fottuto calice in onore di Edmund Kingsley e di tenere lo sguardo basso. Ma ne aveva abbastanza. « Si presuppone che tu debba aiutarmi con gli esami, e invece non fai altro che continuare con i tuoi fottuti giochetti del cazzo. » E anche elegante. Uguale alla tua controparte insomma. « Come e quando dovrebbe mai essermi utile affrontare un molliccio? E' roba già vista, già studiata. Già chiesta ai G.U.F.O. » Indietreggia di poco. Volevi fidarti non è così? Ho sempre avuto ragione. Volevi fidarti. Deglutisce tenendo ben salda in mano la bacchetta. Un chiaro messaggio del stammi lontano o giuro che.. Cosa? Niente. « Non c'è da fidarsi di quelli come te. » E adesso gli dirai anche che lo odi e non vuoi più giocare a nascondino con lui. Tirati su, Beatrice. Stavi andando bene. Ma lei è arrabbiata e ancora particolarmente scossa da quello che ha visto, da quello che ha sentito, e non vuole sentire ragione. Datele un branco di lupi da affrontare e non batterà ciglio; mettetela di fronte a una lei migliore e darà di matto come poche persone al mondo. « Vuoi fregarmi a tutti i costi. Altroché M.A.G.O.; più timbri il cartellino, più cose scopri, più ti aumentano la paga no? O forse c'è dell'altro? Si riduce tutto a quello, al contentino, all'applusetto del cazzo. » Eccotelo. E dicendo ciò batté le mani con freddezza e ironia.




    Edited by « chaos calmo » - 16/5/2017, 15:12
     
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