The more it heals the worse it hurts

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    what would david bowie do?
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    « We thought we could just roll and tumble, live from song to song, kiss to kiss. » Pensavano tante cose, forse, qualche tempo fa, lui e Fawn. Con ogni probabilità pensavano cose nettamente diverse, sebbene entrambe riconducibili alla stessa matrice. Il problema, in fondo, non è sempre quello? Quell'incomunicabilità inespugnabile che permea ogni rapporto umano? Jack lo aveva sperimentato in ogni sua forma, dalla più infima alla più plateale e alienante. In primis con suo padre, con il quale sembrava impossibile instaurare un dialogo a lieto fine. In seguito aveva rivissuto quel tracciato all'interno di ogni sua relazione, sentimentale o no che fosse. Non era uno stupido, ed era dunque venuto naturale domandarsi il perché di ciò, un perché a cui ancora non aveva trovato risposta. Con Fawn, probabilmente, il punto di rottura era stato particolarmente evidente. Lei non aveva capito lui, lui non aveva capito lei, e da quell'incomprensione Jack ne aveva tratto un truffaldino giovamento. D'altronde è facile far finta di nulla, raccontarsi che le cose siano andate in un certo modo per cause di forza maggiore: in questa maniera non si pone il problema di fare i conti con una coscienza sporca. Ma Jack, dentro di sé, la coscienza sporca ce l'aveva eccome, e per fin troppe cose. Fingere con se stesso era dunque diventata una seconda natura, come accumulare una scusante dietro all'altra per il proprio comportamento, o il tenersi sempre nascosto dietro un'aura di indecifrabilità per paura che qualcuno possa leggere un'ipotetica inconsistenza dietro la facciata elaboratamente costruita. Non è forse la paura di tutti? Quella di essere ritenuti vuoti da chi ci sta di fronte? Scontati? Una paura immotivata, per uno come il giovane Faraday, il quale era tutto tranne che un tipo qualsiasi. Eppure c'era, era nutrita come in chiunque dalla perenne tensione all'essere diversi e contemporaneamente all'essere accettati. E dunque cosa era successo con Fawn? La verità? Non lo so. Credo sia stata paura. Paura di impegnarsi, paura di fare il passo successivo, paura di aprirsi realmente a qualcuno e dargli il potere di scalfirlo e giudicarlo per come era veramente. Paura di tante cose, coniugata a un interesse emotivo che forse si era reso conto troppo tardi essere insufficiente a fargli superare quei timori. Ah, l'avventatezza giovanile: fare le cose e pensarci solo in seguito, una volta fatta la frittata. Chiedere scusa, o quanto meno ammettere le proprie colpe, poi, sembrava essere un concetto completamente estraneo al Serpeverde. Ma facciamo un passo indietro, tornando alle ragioni per cui questi ricordi e questo strisciante senso di colpa si sono insinuati a scoppio ritardato sotto la pelle del ragazzo. In fin dei conti, era ormai da mesi che si era abituato alla presenza della biondina nella nuova scuola in cui si era trasferito; la vedeva tutti i giorni, la incontrava sempre lungo i corridoi, percepiva ogni volta l'irrigidimento dei loro umori nel vedersi. Tuttavia l'aveva sempre ignorata, o alle brutte si era abbandonato a qualche espressione sbruffona se la giornata o il momento gli dettavano quei particolari exploit. Mai aveva avuto modo o intenzione di parlarci..fino a quel momento. Fino a quando il professore di Cura delle Creature Magiche non aveva avuto la geniale intuizione di affiancare gli studenti del sesto a quelli del quinto per una ricerca sui Thestral, dando loro l'ambito permesso di inoltrarsi nella foresta proibita (in pieno giorno soltanto) per svolgerla. E a chi era stata affidata Fawn? Ma a Jack, ovviamente. Inutile dire che per lui la notizia fu un po' come un colpo allo stomaco. Un durissimo colpo che sembrava volergli dire 'così impari a fare i conti senza l'oste'. E quindi, suo malgrado, il Serpeverde si era presentato all'orario stabilito sul limitare della foresta, appoggiandosi con la spalla al tronco di un albero in attesa dell'arrivo della bionda. Probabilmente furono i cinque minuti più lunghi della sua vita. « We thought we could just roll and tumble, live from song to song, kiss to kiss. » Quante cose avevano pensato, erroneamente, quei due. E di tutte quelle cose, Jack sapeva solo la propria versione dei fatti, tanto incompleta quanto mera giustificazione di un comportamento che di per sé una giustificazione non l'aveva. Cosa avrebbe potuto mai dire in propria discolpa? Aveva fatto la testa di cazzo, punto. E in cuor suo, sebbene non lo accettasse, lo sapeva benissimo. Lo sapeva perché la Vanderbilt era solo l'ennesimo granello di sabbia all'interno di quell'enorme clessidra di cose e persone che il biondino mandava in malora al primo tocco. Forse una parte di lui ci aveva anche creduto, per un periodo, che con lei potesse essere diverso. La purezza, quella dell'animo, quel fattore incontaminato di chi non ha ancora succhiato come lui tutto il veleno di una società putrida, era ciò che il giovane sembrava ricercare senza tregua. Eppure, ogni qualvolta la cosa gli venisse offerta su un piatto d'argento, il dorso della sua mano si infrangeva su di essa a rifiutare il pasto, facendo capitolare portata e vassoio in un sol colpo. Frustrante, l'essere sempre artefici della propria sventura. E per quanto Jack fosse consapevole che quel sentimento, più che amore, fosse stato infatuazione passeggera, non poteva scansare la colpa di essersene approfittato, dicendo di essersene accorto troppo tardi.
    Tuttavia, quando il visino angelico della Corvonero fece capolino di fronte a lui, il ragazzo non si fece scrupolo di coscienza dal mostrarle un sorrisino sornione, staccandosi dal tronco d'albero per muovere un paio di passi. "Potevi semplicemente chiedermi un appuntamento, Vanderbilt. Non avrei rifiutato." disse sardonicamente, sebbene una parte di lui volesse prendersi a pugni in faccia da solo per il semplice fatto di aver aperto bocca. Brutta cosa l'orgoglio, soprattutto quando mischiato a una certa inclinazione verso la strafottenza. "Spero che almeno tu li sappia vedere questi Thestral, perché io non so da dove cominciare." Bugia. A metà. Non poteva vederli, ma sapeva esattamente come stanarli. Orgoglio maledetto parte due, la vendetta: non voler dare soddisfazione a suo padre con una buona pagella, ma studiare comunque perché un giorno tornerà utile.
     
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    Fawn Vanderbilt non aveva mai avuto nulla da invidiare a nessuno, eccetto per quella volta. Essere affiancata ad uno studente del sesto anno le era sembrata un'ottima idea per interagire con chi in quella scuola aveva passato certamente più tempo di lei. Le era sembrata una splendida idea perché le avrebbe permesso di fare amicizia con qualcuno al di fuori della ristrettissima cerchia di amici che era riuscita a costruirsi in quei pochi mesi, tutt'altro che tranquilli, fra le mura del castello. Le era piaciuta davvero davvero tanto, fino a quando non aveva letto il nome del suo compagno. « Professoressa Hubert» aveva chiesto al termine della lezione trattenendosi nel parco dove era appena terminata. « Potrei parlarle un minuto?» Aveva sperato nella buona riuscita di quel colloquio, ma nonostante avesse chiesto alla giovane donna il motivo di quell'affiancamento, non era riuscita ad evitare che le cose andassero così. "Vanderbilt, mi dispiace ma il sorteggio è stato casuale" erano state le uniche parole della professoressa. Una magrissima consolazione per la corvonero che avrebbe preferito prendere parte al progetto da sola piuttosto che lavorare, o fare qualsiasi altra cosa, con Faraday. Singolarmente divertente il destino, pensò mentre riponeva le sue cose nella borsa e si lasciava alle spalle la tenuta del castello. Ma era uno humor che non le era piaciuto per niente. Fawn non odiava quel ragazzo, piuttosto la sua tolleranza nei confronti di quell'individuo era decresciuta a dismisura, e lei non aveva tutti i torti per non sopportarlo. L'aveva fatta soffrire, aveva offeso il suo orgoglio e per una rara volta nella sua giovane vita Fawn si era sentita rifiutata. Era stato un colpo forte alla sua alta autostima, di questo ne era tristemente consapevole. Venire sedotta e abbandonata l'aveva fatta sentire incredibilmente vulnerabile al punto che Fawn aveva iniziato a dubitare di se stessa.
    Odiare era una parolone che non era mai stata in grado di utilizzare. Un termine troppo forte per definire cosa si prova nei confronti di qualcosa, o di qualcuno. Eppure una parola così piccola, così vuota da non poter coprire l'enorme spettro di emozioni che avrebbe dovuto suscitare. Non era odio il suo, non lo era mai stato. Piuttosto delusione, franca e devastante, una tristezza carica di malinconia, di quei giorni che le erano sembrati tutti e in realtà non erano stati niente. Forse un po' l'aveva detestato, per averla ferita come nessuno aveva fatto mai, per aver scalfito il suo cuore gentile, per averlo fatto tremare e sanguinare appena, costringendola a guardare in faccia la realtà che nessuno è immune all'amore. Era stato forse perché con quell'esperienza aveva fermamente creduto nell'amore romantico, di quello che viene raccontato nei romanzi drammatici, quel sentimento intenso, scaturito da un solo sguardo. Si era sentita ingannata da quello, quell'idealizzazione di un sentimento che in realtà non era stata in grado di comprendere pienamente. Era il brutto di essere giovani, di dover fare quel genere di esperienze, perché sono parte integrante del pacchetto, non si può fare finta di niente ed evitarle, per sempre. Ma era quello che Fawn aveva provato a fare durante tutti quei mesi, evitare gli occhi cristallini del giovane serpeverde, con cui malauguratamente si era ritrovata a dover condividere anche la sua nuova casa. Cercare di passare inosservata, per una come Fawn, era stato complicato, estremamente complicato. Era stato come rinunciare per un po' alla propria natura, pur di non essere notata da quegli occhi che erano tutti fuorché desiderati. Paradossale come erano cambiate le cose, come prima Fawn avrebbe fatto carte false per farsi notare da qualcuno che tutto sommato ora non trovata nemmeno così interessante. Irritante, ecco l'unico aggettivo che le veniva in mente nel pensare ai lineamenti affilati del giovanissimo Faraday. Aveva cambiato strada ogni volta che le era stato possibile, tenuto lo sguardo basso nella speranza di non essere notata, ma qualche volta aveva ostentato una sicurezza assolutamente fasulla e aveva affrontato lo sguardo spavaldo del ragazzo con decisione. Quelle rare volte aveva provato addirittura a sorridergli, per mettere bene in chiaro che nessuno è mai stato tanto importante da impedire ad una Vanderbilt di essere allegra. Ma Fawn aveva mentito a se stessa tutte quelle volte, perché in realtà quel ragazzo era riuscito a renderla insicura come nessuno aveva fatto mai. Fragile, disperata. La corvonero si era sentita talmente tradita da iniziare a dubitare di quel sentimento che credeva poterla aver accomunato a lui. E ora era costretta ad affrontarlo faccia a faccia, perché il destino, l'aveva posta davanti a quella situazione. Era stata tentata dal non presentarsi, ma perché dargli l'opportunità di accrescere quel potere che già esercitava, seppur involontariamente, nonostante il rifiuto mentale di Fawn, su di lei? Quello che c'era stato, era storia passata. Capitolo chiuso, cerco di autoconvincersi mentre raggiungeva il suo compagno di studio. Si era vestita di una certa vanità, quel pomeriggio, camminando a testa alta, con fare fiero. Ma nell'intravedere la sagoma del serpeverde aveva sentito le ginocchia farsi appena più molli e il sorriso si era improvvisamente trasformato in inquietudine. I suoi occhi chiari avevano perso quella brillantezza che li aveva caratterizzati l'intera mattinata e si erano rannuvolati, diventando stranamente bui per essere tanto chiari. Jack Faraday se ne stava tutto sicuro contro il tronco di un albero. Gli cascasse un ramo in testa. «Potevi semplicemente chiedermi un appuntamento, Vanderbilt. Non avrei rifiutato» le sue parole risuonarono nell'aria fresca mentre la ragazza gli si avvicinava. Il vento mosse la chioma bionda scompigliandola leggermente. « Non ci sarebbe stato l'effetto sorpresa » Ad una cosa però, Jack era stato utile, lo sviluppo di un pungente sarcasmo di cui ormai Fawn faceva uso ogni volta che apriva bocca per parlare. Era diventata la sua forma di difesa migliore, ma talvolta anche un modo assolutamente divertente per prendere in giro gli altri, passatempo che le occupava parecchi pomeriggi. Il suo sorriso sardonico però, la infastidiva come un'allergia in piena primavera. «Spero che almeno tu li sappia vedere questi Thestral, perché io non so da dove cominciare.» Lo superò di qualche passo dandogli le spalle. Lei di Thestral aveva letto qualsiasi cosa era riuscita a trovare. Si voltò appena, scoccandogli un'occhiata indispettita. « Ahimé no, ma se vuoi possiamo trovare il modo di vederli. Vuoi sacrificarti per la mia istruzione?» Sarebbe un modo carino per farti perdonare.

    Edited by conundrüm - 4/9/2017, 22:57
     
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