Are we not wise enough?

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    a curse of asphalt

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    Bellamy Hubert era il tipo di persona che poche volte in vita sua aveva avuto modo di sperimentare cosa davvero significasse la parola tentazione. E di certo, ora che la provava, si rendesse conto di quanto malvagiamente seducente essa fosse. Il desiderio di fare qualcosa che è proibito è forse una delle cose peggiori che possa albergare nel cuore di un uomo, e lui di queste materie se ne intendeva bene, dato che del loro studio ne aveva fatto la propria occupazione a tempo pieno. Bellamy vedeva ogni giorno come gli aneliti proibiti corrompessero l'animo umano fino ad ingrigirlo sempre di più, indurendolo, contaminandolo un pezzo alla volta. Ogni mattina che Dio mandava in terra, il francese entrava in quella stanza riservata solo a chi possedeva il badge di Indicibile, e ogni mattina, fino alla fine della giornata, studiava attentamente la coscienza umana, il suo evolversi, l'espandersi nell'arco della storia e del susseguirsi delle società. Vi era un amore incondizionato nel modo in cui divorava quei libri, nel fervore che metteva all'interno della propria ricerca, eppure vi era anche un certo spavento. Quando vedi certe cose non puoi semplicemente cancellarle, e il sapere, a volte, è forse ancora peggiore dell'ignoranza; vieni tormentato dalla sola idea di tutte le eventualità che potrebbero verificarsi, dal modo in cui il pensiero di un singolo possa contaminare quello della pluralità con la stessa velocità di un'epidemia di peste. Il lavoro di Bellamy era sicuramente terrificante, e forse questo era uno dei tanti motivi per cui gli Indicibili si potevano contare sulle dita di una mano. Tuttavia, a volte, anche nell'essere coscienti di ogni ripercussione possibile e immaginabile, non riusciamo a svincolarci dalle pulsioni che in fin dei conti ci rendono umani. La pulsione di Bellamy, quella che aveva provato sin dal primo giorno in cui la relazione tra lui e Selyse era finita, era stata quella che lo spingeva verso la conoscenza. Vi era una sola regola nel suo ufficio: non utilizzarlo per scopi personali. Una regola che per anni aveva davvero dato per scontata, come se a uno come lui non ci fosse la minima possibilità che si verificasse una cosa del genere. Eppure era successo, perché nonostante il francese si sentisse costantemente fuori da ogni tipo di gruppo, era pur sempre un uomo, e come tale era formato per una grossa percentuale da egoismo contro il quale doveva combattere. Lo stesso egoismo che sussurrava seducentemente al suo orecchio ogni qualvolta timbrasse il proprio cartellino. Lì dentro, in quella misteriosa stanza più vasta di quanto potesse immaginare, erano chiuse le coscienze di ogni singola persona sul pianeta, e al centro di tutte vi era quella collettiva. Quest'ultima era il loro interesse principale, nell'ultimo anno più del solito, ma anche le altre spesso potevano tornare utili per scopi più statistici che altro. Tuttavia non era consentito consultare la coscienza di un singolo per motivi personali; figuriamoci, già era pressoché impossibile avere i permessi necessari a consultarle per un indagine del QGA o dell'Inquisizione! E Bell lo aveva sempre trovato giusto: i pensieri sono ciò che di più privato possediamo, e come tali devono rimanere. Persino lui, studiandoli con tutto il rispetto e il distacco del mondo, spesso non poteva fare a meno di sentirsi un intruso in casa d'altri, un ladro, a volte addirittura uno stupratore se il compito si necessitava approfondito. Eppure quella privacy non aveva mai desiderato infrangerla, almeno fino a quando non aveva sperimentato cosa significasse davvero farsi spezzare il cuore. Aveva letto tante cose a riguardo, era una materia vastissima da studiare nel suo ambito, ma prima di Selyse non aveva mai avuto modo di capire sul serio cosa implicasse e quanto potesse cambiare una persona. Bellamy era inevitabilmente cambiato, poco, ma una parte di lui si era comunque smossa, mutata. Si sentiva meno razionale, più istintivo, più tentato da ciò che prima non aveva nemmeno mai sfiorato i suoi pensieri. E la tentazione, in quel caso, era verso la sfera di vetro in cui era racchiuso il fumo azzurrognolo della coscienza di Selyse. Ci passava davanti più spesso di quanto fosse realmente necessario, guardandola, fermandosi alle volte a fissarla come se lo stesse chiamando sottovoce. Cose strane succedevano in quelle stanze misteriose nei sotterranei del Ministero, cose strane e inspiegabili che parevano arrivare dal subconscio più profondo che esistesse. Voci, alle volte, riempivano quegli ambienti di bisbigli appena udibili, da far venire i brividi. La voce di chi ci sta a cuore, però, è sempre più forte rispetto a tutte le altre, e giunge alle nostre orecchie come una melodia ben distinta che Bellamy avrebbe paragonato al canto di una sirena. La voce di Selyse, proveniente da quella piccola sfera, gli faceva questo: lo chiamava a infrangere il giuramento prestato, mentre lui come un moderno Ulisse si legava metaforicamente all'albero della propria nave anche a costo di impazzire. Quella sera, però, chiuso in ufficio col naso immerso tra le pagine dei suoi amati libri antichi come il mondo, la voce sembrò prevalere più del solito tra le altre, probabilmente complice della stanchezza dovuta agli orari folli che stava facendo. Si sfilò gli occhiali di corno, passandosi una mano sul viso prima di alzarsi a sgranchire un po' le gambe. Lo faceva sempre, quando passava tante ore seduto, ma ultimamente quelle piccole passeggiate lo portavano sempre allo stesso punto: lì davanti. Avvicinati. Prendimi. Aprimi. Assuefatto da quella voce soave, le dita lentigginose dell'uomo si protesero febbrilmente in avanti, sempre più vicine alla sfera, arrivando a sfiorarla fino a quando "Hubert!" Di colpo ritrasse l'arto, allontanandosi dallo scaffale per sporgere la testa oltre il suo limitare. "Sì?" "Hai finito l'ultima consegna?" "Quasi, mi mancano solo poche righe." L'impatto di eventi catastrofici limitati sull'opinione pubblica e il senso di comunità. Chissà a cosa serviva, poi? Probabilmente per gli attentati babbani dell'ultimo anno. "Perfetto. Quando hai fatto devi portarla al Quartier Generale dell'Inquisizione." Annuì con fervore, attraversando la stanza a veloci falcate per tornare al tavolo di consultazione che aveva sommerso di materiale. "Mi ci rimetto subito."

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    Nemmeno una mezz'ora e il lungo fascicolo dettagliatissimo venne finalmente completato dopo giorni e giorni di duro lavoro. Come ogni incarico, era stato interessante immergersi nelle ricerche necessarie a dargli corpo e sostanza, e il francese sembrava andare piuttosto fiero del risultato che aveva magistralmente redatto. Indici, note a pie' di pagina, grafici, statistiche, interpretazioni di vari studiosi e agganci all'evoluzione storica e sociale brulicavano con perizia chirurgica e limpida tra quelle pagine scritte nella sua impeccabile calligrafia e proprietà di linguaggio. Aveva dunque chiuso a chiave la stanza - compito di chiunque uscisse per ultimo - e, messo sotto braccio il pesante plico, si era diretto a passi svelti lungo i corridoi del Ministero fino ad arrivare alle porte del Quartier Generale. Non era mai entrato in quel luogo, e a dirla tutta era piuttosto atipico che dovesse consegnare un lavoro a chiunque non fosse il Ministro o il Viceministro in persona. Tuttavia nell'ultimo anno erano cambiate molte cose, e la Squadra di Inquisizione sembrava occuparsi non solo di ciò che un tempo apparteneva agli Auror, ma anche di molti altri compiti indipendenti. In ogni caso, fino a che tra le mani di Bellamy sarebbero giunti permessi firmati dal Ministro e sottoscritti dal Capo degli Indicibili, avrebbe fatto il proprio lavoro senza storie.
    Una volta lì dentro, sistemati meglio gli occhiali sul naso, cominciò a guardarsi intorno con la genuina curiosità che lo aveva sempre connotato, posando lo sguardo blu su ogni angolo del grande ambiente in cui si trovava. Un bel posto, non c'era che dire. "E' permesso?" chiese infine, bussando con le nocche sull'unico uscio dischiuso da cui usciva un filo di luce. Lo aprì di qualche altro centimetro con una leggera pressione della mano, facendolo cigolare e sporgendosi con la testa oltre il suo limitare. "Ho porta-.." Ecco, così ci si sente a prendere un bel pugno dritto in faccia. O un calcio sui testicoli. Perché questa era più o meno la cosa più vicina alla sensazione che provò nel momento in cui vide il viso della Deveraux. "..ho portato il lavoro richiesto." terminò la frase a voce più bassa, certamente meno allegra, prima di portare anche il resto del corpo nella stanza, andando a poggiare il pesante plico sulla scrivania che li divideva. "C'è tutto. Anche più di tutto. Nel caso in cui qualcosa non fosse chiaro o servissero ulteriori informazioni.." e ne dubito fortemente "..sai dove trovare" me "l'ufficio Indicibili aperto al pubblico." Detto ciò, rivoltole un cenno del capo, si voltò fece per andarsene. I suoi passi, tuttavia, sembrarono bloccarsi tanto arbitrariamente quanto repentinamente sulla porta, proprio mentre la sua mano rimaneva aggrappata allo stipite dell'uscio. Rimase in silenzio un paio di istanti, prima di ruotare il proprio busto a metà strada, in perpendicolare a lei. "Per curiosità..a cosa vi serve? Non capita spesso di ricevere ordini da autorità che non siano quella del Ministro in persona." Che poi quell'ordine fosse comunque firmato dal Ministro, era secondario: sempre peculiare rimaneva come avvenimento.
     
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    « Partiamo. »
    « Partiamo? E dove? Non possiamo mica lasciare il lavoro così. »
    « Il lavoro sarà ancora qui tra qualche settimana. »
    « E' importante. Questo, ciò che facciamo, ciò per cui stiamo lavorando.. è importante. Qui hanno bisogno di noi. Il mondo sta andando alla deriva e tu vuoi partire? »
    « Noi siamo importanti. E poi se la caveranno. Solo per qualche giorno. »
    « Ti odio.. »
    « No. Non è vero, non mi odi. Non puoi. Vorresti, ma non puoi. »
    « Ci sto pensando seriamente, tigre. »
    E alla fine erano partiti. Pochi giorni come avevano stabilito. Niente di troppo impegnativo. Solo qualche attimo nella campagna francese; il giusto contatto con le origini per ricaricarsi. Lei ne aveva bisogno, e anche lui ne aveva bisogno. Quel mondo era diventato decisamente troppo stressante anche per chi il carico delle proprie responsabilità sapeva sorreggerlo con una certa decisione e forza di spirito. E le aveva fatto bene. Tutto ciò che riguardava Bellamy le faceva bene. Vincolarsi a un uomo le era sembrato impossibile all'inizio; anche allora mentre salivano sul primo aereo come due piccioncini innamorati, le sembrava impossibile che avesse davvero trovato il coraggio di prostrasi verso qualcun altro. Selyse, degli uomini non si fidava più, non se ne era mai fidata a dirla tutta. Bellamy tuttavia era stato particolarmente paziente e al contempo temerario. Lei dal canto suo all'inizio aveva preso tutta quella situazione sul ridere, lo prendeva in giro con Raphael tra una pausa e l'altra e si faceva le beffe di tutte le sue innumerevoli attenzioni. Era certa che avrebbe fatto un passo falso, che prima o poi avrebbe sbagliato e le avrebbe dato l'occasione di rompergli l'osso del collo a mani nude. Perché, nonostante lui fosse l'omone e lei la principessa dolce e grazziosetta, tra i due quella spietata, quella in grado di qualunque cosa, era lei, e non avrebbe esitato nel trafiggerlo con un pugnale alle spalle nel sonno, se solo gliene avesse dato ragione di farlo. A volte pregava quasi che lo facesse. Dimmi qualcosa che non vorrei sentire. Andiamo, non prolungare questa sofferenza ancora. Ma non accadeva. Selyse e Bellamy stavano bene. Si divertivano, ridevano, scherzavano e tenevano la loro vita privata ben lontana dalla malelingue e da occhi indiscreti. Non che ne avessero effettivamente ragione, ma Selyse amava custodire le piccole cose preziose della sua vita tutte per sé. Lui era diventato una cosa preziosa, qualcosa da nascondere, come una perla nella conchiglia di un'ostrica. E le perle vanno indossate, altrimenti muoiono. E lei, la giovane Lady Stoneheart se ne prendeva cura, lo proteggeva, lo consigliava, lo teneva lontano dai guai. Le era amica, confidente, amante. E non si pentiva mai di nessuno di quei ruoli che si era affibbiata da sola. E così che lo si scopre - l'amore. Un giorno ti svegli e tutte quelle cose che pensavi fossero sdolcinate, improvvisamente non lo sono più. Vuoi averlo accanto, parlarci, ascoltarlo. E non è chiaro quando sia accaduto, quando lui sia entrato di diritto nella tua vita; ma sai che ormai è lì e che per quanto si cerchi di tornare indietro per individuare il momento esatto per raderlo al suolo, tutto si è ormai confuso in quella matassa di buona disposizione, risate e sciocchezze. La quotidianità di un rapporto poi, l'ha sempre temuta. Temeva che fare sul serio avrebbe ucciso qualunque dose di spontaneità. C'era qualcosa di assolutamente crudele, pensava, nel doversi svegliare sempre accanto alla stessa persona, sopportare anche i suoi difetti, oltre ad apprezzarne i pregi. Quando si vive a contatto con una persona così a lungo, alla fine i difetti arrivano, e per Selyse, solitamente diventano sempre più lampanti a tal punto da scavalcare qualunque cosa in primo luogo l'ha portata ad avvicinarsi. Non è successo nemmeno questo. Lui era lampante, magnetico, riusciva ad adattarsi a lei come una guaina, e mentre Selyse pensava di tenere d'occhio lui, Bellamy faceva lo stesso con lei. C'era una complicità unica, un gioco di sguardi di una chimica impressionante. A volte sentiva che si fossero da sempre appartenuti, come se fossero nati sotto la stessa buona e cattiva sorte. « Stai facendo sul serio eh? » Solo con Raphael Gecko si era confidata; non aveva certo parlato di tutte le sue emozioni. Non si erano fatti le treccine di fronte al loro solito caffé al bar nell'atrio del Ministero, ma lei glielo aveva detto. Stiamo insieme. Tutto qua. Un legame. Un rapporto, serio, che significava anche lasciare lo spazzolino l'uno a casa dell'altro, dormire abbracciati, svegliarsi nel cuore della notte per dirsi l'ennesima stronzata che avevano sognato pochi minuti prima. « Non vorrai mica dirmi che se si dovesse inginocchiare davanti a te, gli diresti di sì. » Quell'evenienza l'aveva considerata. Bellamy era un uomo con cui imbarcarsi in una relazione significava una cosa sola; si andava in una direzione sola. Non il giorno seguente, forse non la settimana dopo o il mese successivo, ma era solo questione di tempo. « Potrei pensarci. » Un'affermazione così fredda, per un discorso così poco impersonale. « Tutti hanno bisogno di una persona; dovresti pensarci qualche volta. » Raphael e Selyse erano esseri solitari. Persone che pensavano di stare meglio per conto proprio. La Deveraux dal canto suo era certa di distruggere qualunque cosa toccasse. Era convinta che qualunque legame fosse una debolezza, un puro atto di egoismo per avere qualcuno sulla cui spalla piangere nei momenti di sconforto. Non c'era assolutamente nulla di altruistico nel legarsi a qualcun altro. Lo si faceva solamente per paura. Così pensava. Finché le sue dita non avevano toccato le giovani carni di lei. Finché il respiro caldo di lui non aveva sfiorato la sua bocca. Lo aveva pensato finché non gli si era presentata al cospetto nuda, perfettamente a suo agio, tremante dal desiderio di andare oltre qualunque cosa le avessero fatto in un passato non molto lontano. Bellamy era stato medicina, cura per la sua anima. Finché non erano partiti per quella dannata vacanza. Lo aveva scoperto per sbaglio; rimetteva in ordine appunti del padre, liberando quell'antica casa da tutte le scartoffie inutili, per ridarle un antico splendore che nel tempo aveva perso. Più che una casa, quel posto era diventato nel tempo un vero e proprio mausoleo. Non ci sarebbe mai tornata se non ci fosse stato Bellamy al suo fianco. Lui, era in grado di portarla ad affrontare tutte le sue paure; voleva che conoscesse la sua vita, ciò che era stata e perché era diventata così. Della prigionia non gli aveva detto nulla, ma tutto il resto lo stava man mano snocciolando assieme a lui, aprendogli uno squarcio sempre più significativo da cui poter guardare il suo mondo, la sua vita, se stessa. In una delle buste rimaste chiude sul fondo della sua scrivania, una lettera indirizzata all'avvocato di famiglia; parlava di un bimbo, divenuto ormai grande. Sapeva, Selyse, che Louis avesse iniziato negli ultimi anni a cercare i suoi figli, sparsi per il mondo, quasi come se, sentendo la morsa della morte stringersi attorno al suo collo come un cappio, avesse avuto un cambio di cuore, sensi di colpa per tutti quei pargoli abbandonati per il mondo, rimasti a loro stessi solo perché il padre non aveva mai voluto prendersi responsabilità alcuna nei loro confronti. Selyse dal canto suo quel peso non lo aveva mai provato; non aveva mai pensato che il suo privilegio di crescere accanto al padre, fosse immeritato. Al più, al contrario, considerava tutti quei bambini, suoi fratellastri, fortunati. Avevano avuto una seconda possibilità lontani da quell'uomo, che come la sua prediletta, distruggeva qualunque cosa toccasse. Leggere quelle poche righe era stato difficile, complicato. Ricostruire i pezzi, non lo era stato altrettanto. Si chiamava Bellamy, ed era entrato nelle schiere della squadra d'Inquisizione a Londra. Adottato da una bella famiglia, ha una bella vita. Questo diceva il loro legale. Bellamy Mathieu Humbert, figlio di Louis Deveraux, fratellastro di Selyse Anastasia Deveraux; amante, fratello, amico, confidente. Tutto e ormai niente. [...] « Devi andartene. » Non c'era stata cosa più difficile da fare in tutta la sua vita. In un secondo tutto era svanito nel nulla. Lo sapeva; in qualche modo avrebbe rovinato tutto. I legami non sono mai cosa buona e lecita, e ora Selyse ne sperimentava la doppia valenza in tutta la loro crudeltà. Leggere quelle righe non le aveva fatto l'effetto convenzionalmente accettabile. Non si sentiva sporca, disgustata; lei quell'uomo lo amava. Lo aveva amato. « Sparisci. » Alterata a dismisura, controllare il tono di voce era quasi impossibile. Mai in vita sua si è sentita il cuore così schiacciato. Mai si è sentita così oppressa, così combattuta, così dannatamente furiosa di fronte al crudele corso del destino. « Cosa stiamo facendo noi due Bellamy? Spiegami! Questa è una stupidaggine. Noi due apparteniamo a due mondi completamente diversi. Tu non sei come me. Sei debole e stupido, e insegui gli unicorni volanti ed io non posso più starti dietro. Questo viaggio è stato un errore. » Scuote la testa prima di buttare tutti i suoi vestiti dentro la valigia gettandogliela ai piedi. « Sei una distrazione, una disgrazia. Non posso più sopportare averti attorno. Ora me ne andrò su in città. Hai un'ora per lasciare questa casa e per non cercarmi mai più. » Chirurgica, minuziosa, spietata. Selyse sapeva essere un'incantatrice di anime. Le piaceva possederle, giocarci, stuzzicarle; con Bellamy era stato un incanto reciproco. Ma sapeva anche distruggerle, schiacciarle, danneggiarle definitivamente. Non ha avuto il coraggio di dargli alcuna spiegazione. Lui non l'avrebbe sopportato. Era troppo genuino, troppo buono, troppo dolce; un simile colpo basso non se lo meritava neanche. E così, quella croce aveva deciso di portarla da sola. In ogni caso, la sua anima era fatta di schegge, di crepe, di peccati indicibili. Uno in più non avrebbe certo fatto poi tanta differenza. Un sacrificio; è questo ciò che si fa per le persone che si amano. E' finita così. E lei si era resa indisponibile a qualunque forma di dialogo e riappacificazione. Per molto tempo lo aveva evitato; non aveva risposto alle sue chiamate o alle sue lettere. Cercava di evitare qualunque spazio comune in cui potessero trovarsi finché non era passato abbastanza tempo perché potessero tornare a essere colleghi di diversi dipartimenti. Non l'ha mai dimenticato. Si tende ad apprezzare ciò che si ha solo quando lo si è perso. Per Selyse, questo concetto è stato più significativo che per altri. Quando stavano insieme tendeva a prenderlo in giro, a torturarlo con dolcezza, gli dava il tormento, provava a trattarlo con indifferenza e con una certa dose di freddezza. Lo provocava di continuo, cercava di spingerlo oltre ogni suo limite. A ripercorrere tutta la loro storia, si è spesso chiesta per quale ragione avesse deciso di restare assieme a lei. Non gli ha mai dato nulla, dal suo punto di vista. Nulla che potesse giustificare la sua premura e il suo buon cuore. Non era mai stata del tutto dentro il loro rapporto, ma non era mai stata nemmeno del tutto fuori da quest'ultimo. Nemmeno dopo tutti quei mesi di separazione. Alla fine il lavoro l'aveva salvata. Il lavoro l'ha sempre salvata: da se stessa, dagli altri, dalle sue manie e dalle sue paure. Alla fine è tornata all'attacco in prima linea, più forte e spietata che mai, ma con un non indifferente vuoto nell'anima. Bellamy era stato miele, un dolce intermezzo che aveva smussato i suoi angoli più appuntiti. Ora che non c'era più, Lady Stoneheart era tornata in tutta la sua crudele quanto letale presenza.

    Il lavoro era sempre troppo. Ci si era buttata completamente negli ultimi mesi, forse più del solito. Non mancava nessuna chiamata, si fermava fino a tarda ora in ufficio, e non si lasciava sfuggire nessuna opportunità per riempire fino all'eccesso il suo tempo libero. Selyse Deveraux aveva sposato il lavoro, aveva spalancato le porte al dovere, lasciandosi qualunque sorta di piacere alle spalle. Si era lanciata in una specie di missione suicida del tutto personale e ora, per quanto la sua bellezza devastante riuscisse a tenere il passo, era decisamente più sciupata, senza il costoso trucco, lasciava intravvedere grosse occhiaie e una carnagione ancor più pallida del normale. « Voglio un rapporto completo su Matthews vs Greyson. Gli atti e i pareri, la relazione dei giudice nella preudienza. Fatti fare una coppia anche di tutte le scartoffie deposte come prove. » Sembrava parlasse da sola, mentre camminava in lungo e in largo nel suo ufficio. Sulla sua scrivania, un piccolo citofono, direttamente comunicante con il piano superiore, là dove a un'altra scrivania giaceva una delle reclude del Quartier Generale dell'Inquisizione. Mandava il povero Billie Erikson a correre in lungo e in largo per il Ministero, ma non si sentiva minimamente in colpa. Gli dava la possibilità di imparare effettivamente qualcosa. Lo metteva in croce, obbligandolo a trattare con gente decisamente più potente di lui. Chiedi. Osa. Non esitare. Ecco cosa cercava di insegnargli. Se non era in grado di cavarsela dentro le mura ministeriali, come pensava, il giovane Erikson di cavarsela fuori? « Poi chiama Greyson. Voglio vederlo prima dell'ora di pranzo per discutere le strategie di confronto. » « Devo avvisare il suo legale? » « No, non avvisarlo. Voglio capire se effettivamente è colpevole o meno. » Greyson era uno dei loro; era stato accusato da Jason Matthews di aver usato metodi coercitivi illegali per interrogarlo riguardo un attentato dei babbani avvenuto a Liverpool a febbraio di quello stesso anno. Che l'Inquisizione eludesse la legge non era una novità; tutti lo sapevano o lo intuivano, ma non per questo potevano permettersi uno scandalo pubblico. Sulle questioni legali, non c'era persona che potesse metterci bocca più di Selyse. Aveva le mani in pasta un po' da per tutto. Lei possedeva parte dei giudici. Sapeva cose su di loro che li rendeva facilmente ricattabili, sempre se ci fosse bisogno di ricattarli. Molti in realtà rispondevano alle sue chiamate semplicemente perché appoggiavano l'Inquisizione. Alcuni invece, erano più difficili da domare. E allora entrava in azione lei. « Mi devo mettere in contatto anche col giudice Philips? » Uno degli indomabili. Sapeva gli paicessero le ragazzine. Non quelle legalmente accettabili. No, a Carl Philips piacevano quelle davvero giovani. Tendergli una trappola e farlo finire a letto con una quindicenne non era stato affatto complicato. Quell'uomo non sapeva proprio tenerselo nei pantaloni. Le dispiaceva di aver fatto prostituire una quindicenne? Si. Le fregava davvero qualcosa? No. Assolutamente no. Il fine giustifica i mezzi. « E' permesso? » Non vedeva l'ora di sbattergli in faccia quelle magnifiche fotografie. « A Philips ci penso io. Fai quello che ti ho chiesto. Ora devo andare. Voglio tutto entro domani mattina sulla mia scrivania. Non più tardi delle undici. » Una voce autoritaria, prima di spegnere il citofono che permetteva loro la comunicazione. « Ho porta-.. ho portato il lavoro richiesto. » Era felice del suo lavoro. Felice di cosa stesse facendo, di come lo svolgeva. Lui non ci voleva. Eppure quando fece irruzione del suo ufficio, fu come una secchiata d'acqua fredda. Tutta insieme. Tutta d'un fiato. Deglutì appena incrociando le braccia al petto, fissando con insistenza il plico rimasto lì sulla scrivania. La relazione degli Indicibili. Gecko, spero vivamente che ti prenda un cancro ai testicoli e ti cadano. Entrambi. Insieme al pene. « C'è tutto. Anche più di tutto. Nel caso in cui qualcosa non fosse chiaro o servissero ulteriori informazioni.. sai dove trovare l'ufficio Indicibili aperto al pubblico. » Doveva occuparsene lui, ma poi all'ultimo si è inventato la solita storiella del devo badare alla squinzia e poi se ne è andato. Selyse aveva accettato di prelevare la questione senza troppi indugi. D'altronde sarebbe comunque dovuta restare fino a tardi in ufficio per la faccenda Matthews vs Greyson. « Grazie. » Un tono di voce alquanto glaciale; non riesce nemmeno a guardarlo in faccia. Ora vattene. E sembra che il giovane Humbert sia quasi sul punto di accontentarla e di far passare quel momento di estremo sconforto con naturalezza, quando si ferma. Bellamy, non riesci davvero a rendere le cose facili eh?
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    « Per curiosità..a cosa vi serve? Non capita spesso di ricevere ordini da autorità che non siano quella del Ministro in persona. » Afferra il plico e lo supera; scarta l'enorme dossier e inizia a sfogliarlo con emergenza. Non è un'operazione così urgente, ma decide che comunque sia più che urgente in quel preciso istante. Così si precipita nell'atrio e da lì nella sala conferenze principale, lasciando la porta aperta. Riesce a vederlo molto bene attraverso le pareti vetrate. Si sente messa a nudo. Poggia il fascicolo sul enorme tavolo e con un colpo di bacchetta i foglio prendono a moltiplicarsi. Un coppia per ognuno dei pezzi grossi del loro ufficio. « Beh, dovrete abituarvi a tante novità. Le cose stanno cambiando. Ed io non sono autorizzata a parlarne con colleghi di altri dipartimenti. » Io non voglio parlare. Non voglio parlarti, vederti, averti vicino. Non riesci a capirlo? « Tuttavia.. » Un cambio di cuore. Non riesce a trattarlo male. Per quanto ci provi, le risulta quasi impossibile. « ..ti ringrazio. Sono certa che gli Inquisitori apprezzeranno il tuo lavoro e lo valorizzeranno al meglio. » Molto cordiale. Molto educata. « Non è facile fare il nostro dovere quando si hanno tutti contro. Proteggere persone che non vogliono essere protette è un lavoro davvero complicato. » Dicendo ciò si avvicinò abbastanza da poter allungare la mano nella sua direzione. « Ti farò sapere se ho bisogno d'altro. » Ora vattene.

     
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