A Cesare quel che è di Cesare

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    Ognuno ha i propri talenti, ognuno le proprie peculiari attitudini in cui riesce a dare il meglio di se stesso; Norwena Zabini, nello specifico, era brava in molte cose, ma forse una delle sue più grandi qualità era l'occhio attento a scovare talenti lì dove nessuno sembrava vederli. Sebbene non fossero in pochi a puntare il dito contro quel governo, accusandolo di ogni genere di disparità e ignominia, la Ministra era una donna che altro non faceva se non il suo meglio per salvaguardare i propri cittadini; teneva a ciascuno di loro dal primo all'ultimo, e soprattutto credeva fermamente nel sistema meritocratico secondo cui i migliori talenti dovevano essere giustamente premiati. E in questo ambito, da quando era salita alla massima carica del Ministero, aveva scoccato i propri dardi con un'incredibile cura, mirando a personalità ben più che degne di nota, come Edmund Kinglsey e Alek Marchand. Diversi, sì, tra loro e da tutti gli altri, ma proprio per questo estremamente preziosi. Tuttavia nella lista di persone di suo interesse compariva ancora qualche nome, e uno di questi era proprio colui che aveva convocato quel pomeriggio nel suo ufficio. Nessuna precisazione era stata inserita all'interno della lettera ministeriali che gli aveva fatto recapitare: solo il posto, l'ora e la raccomandazione di portare con sé la pergamena in modo da passare oltre la sicurezza. Come da procedura, l'orario indicato prevedeva un po' di anticipo su quello effettivo, ma non dubitava che un uomo come William Tennant sarebbe arrivato puntuale a una convocazione del genere. D'altronde aveva tenuto d'occhio per mesi, forse anni, il suo negozio a conduzione famigliare; un luogo affascinante che i precedenti governi non erano stati in grado di valorizzare dovutamente, ma soprattutto di vedere il potenziale che albergava in chi lo gestiva.
    Quando l'uomo venne fatto entrare nell'ufficio, Norwena era già in piedi. A dirla tutta non le piaceva particolarmente starsene seduta alla sua poltrona, soprattutto quando aveva ospiti. Così si era diretta verso la finestra, sorseggiando la propria tazza di tè mentre lo sguardo vagava sulle strade svuotate della Londra babbana. Non appena sentì aprirsi la porta, si voltò, rivolgendo un caldo sorriso prima al libraio e in seguito alla propria segretaria, la quale si congedò immediatamente. In poche, lunghe falcate echeggiate dal suono dei suoi tacchi sul marmo, Norwena raggiunse il proprio ospite, porgendogli la mano. "Signor Tennant. E' un piacere incontrarla finalmente di persona." Con un piccolo movimento della bacchetta fece fluttuare fino a lui una seconda tazza di té, facendogli cenno di favorire. "Prego, si metta pure comodo." L'ufficio, in fin dei conti, era così grande da offrire svariate possibilità a riguardo: sedie, poltroncine, un paio di divani. Praticamente era come una seconda casa per la Zabini, la quale nel frattempo raggiunse la propria scrivania, mettendovisi a sedere con un movimento agile. Ripose dunque la propria tazza ormai vuota e accavallò le lunghe gambe, poggiando un gomito sul ginocchio più sporgente e il mento sul palmo della mano. Lo fissò per qualche istante in silenzio, con aria serena, mentre tuttavia scrutava ogni suo più piccolo movimento con incredibile attenzione. "Immagino si sarà chiesto come mai io l'abbia convocato." disse quindi, un'istante prima che quel silenzio diventasse imbarazzante per il suo ospite. Un tono gentile, pacato, contraddistinse quelle parole. "E glielo dirò.." sorrise in quel piccolo intermezzo tra le parole "..presto." E a quel punto mostrò al libraio il proprio indice alzato, come a fargli segno di portare pazienza. "Prima però voglio sapere quale lei crede sia il motivo di questa convocazione così atipica."
     
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  2. william tennant
         
     
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    La carta era sottile, di buona fattura, la calligrafia elegante e il tono formale. William si avvicinò al pergamena al volto, tenendola in sospeso per qualche momento a pochi centimetri dal naso. Odore di carta e di inchiostro, senza segni di polvere. Pergamena nuova, inchiostro fresco e sigillo apparentemente autentico. L'abbassò fino a posarla sul tavolo e la fissò da lì, dall'alto, per qualche momento ancora - Mh - commentò solo, e non per la prima volta. Mh. Non aveva detto altro da quando aveva rotto il sigillo che chiudeva la missiva e l'aveva letta per la prima volta. Mh. E la rileggeva., quasi che potesse cambiarne il significato a suon di ripassarla con gli occhi.
    Il nuovo Ministro della Magia, una donna che sui giornali metteva in mostra una certa avvenenza, lo invitava ad un colloquio privato.
    Con lei.
    Nel suo ufficio.
    - Mh -


    Dire che William aveva evitato il Ministero per tutta la sua vita non sarebbe stato vero, tecnicamente, perché avrebbe significato un'intenzione volontaria. Forse sarebbe stato più corretto dire che lui e qualsiasi forma di politica si erano sempre amichevolmente ignorato, godendo del reciproco disinteresse. A Willim, in genere, non interessava praticamente nulla di quello che accadeva fuori dal suo negozio e da ciò che riguardava i volumi che vi custodiva o, al massimo, i posti in cui si infilava nel ricercali. Aveva delle idee, naturalmente, un po' come tutti, ma erano idee che prosperavano nell'astratto, forti della distanza che l'uomo cui appartenevano metteva fra sé e tutto ciò che lo circondava. Raramente, nella storia, tanto acume si era trasformato in qualcosa di così selettivo.
    - Grazie - William sorrise alla segretaria che gli aveva fatto da scorta fino a lì, impedendogli di perdersi per il labirinto di corridoi da attraversare fino all'ufficio del Ministro. La ragazza era andata a prenderlo direttamente alla biblioteca del Ministero, una piccola stanza piena di testi giuridici e di trattati in cui da buon libraio era corso a rifugiarsi. Quel posto era affascinante, con tutti i secoli di storia che era possibile trovare posati praticamente in ogni angolo - Il piacere è mio, Signora...
    -
    ok, lo sapeva. Era sicuro di saperlo. Doveva averlo letto sull'invito, o sulla porta, o su un giornale. Era qualcosa che iniziava con la S, o forse con la Z. Latino, forse con un suono Italiano. Sabati? Sabatini? - ...mi scusi, ma i Ministri cui sono abituato hanno la barba e sono poco interessati ai libri. Non sono sicuro di quale sia il modo giusto di rivolgermi a lei - tanto più che i giornali, con le loro foto, non le rendevano affatto giustizia. Questa donna era davvero qualcosa di magnifico, una sorta di Dulcinea del Toboso capace di renderlo in pochi attimi più folle dello stesso Don Chisciotte.
    Annuì una volta sola, gettando una lunga occhiata ad una delle librerie che ricoprivano la parete. Testi molto simili uno all'altro, messi insieme più per amore cromatico che per reale attenzione ai contenuti - Atipica? - la domanda gli sfuggì dalle labbra mentre si voltava verso di lei con aria ingenuamente sorpresa - Oh, mi scusi....non avevo capito fosse qualcosa di nuovo, per lei. Nel senso, non ci eravamo ancora incontrati ma a me capita spesso di essere convocato qui o là per...beh, lavoro, immagino - si strinse nelle spalle, mettendosi comodo su una delle poltrone che la donna gli aveva indicato. Le scelte non mancavano ma lui, puntando sul classico, si era accomodato su una delle due di fronte alla scrivania - Di solito vengo chiamato per comprare volumi, per valutare una particolare collezione per ricevere mandato di cercare qualche volume in particolare. O per risolvere problemi con libri magici, ma di solito al Ministero li create questi problemi più che risolvverli e comunque vi piace pagarne da soli le conseguenze. Senza offesa eh - alzò entrambe le mani, in segno di scusa. Dannata boccaccia. Prima o poi sarebbe finito in guai seri - Non credo però che vogliate vendere, quindi o volete avere una valutazione per impegnare qualcosa con la Gringott o per fare dono di un qualche volume ad un capo di Stato o vi serve qualcosa che volete vi trovi. Più la seconda direi -
    Ecco.
     
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    "Atipica? Oh, mi scusi....non avevo capito fosse qualcosa di nuovo, per lei. Nel senso, non ci eravamo ancora incontrati ma a me capita spesso di essere convocato qui o là per...beh, lavoro, immagino." sorrise carinamente, con una gentilezza tanto incredibile da lasciare deliziati, sbattendo le ciglia un paio di volte mentre sorseggiava il suo tè. Allontanò poi la tazzina, continuando a osservarlo curiosamente con il capo appena piegato, mentre questo continuava a riferire "Di solito vengo chiamato per comprare volumi, per valutare una particolare collezione per ricevere mandato di cercare qualche volume in particolare. O per risolvere problemi con libri magici, ma di solito al Ministero li create questi problemi più che risolverli e comunque vi piace pagarne da soli le conseguenze. Senza offesa eh." mosse la mano in un movimento elegante, come a suggerire che non aveva preso le sue parole a mo' di offesa. Hai la lingua lunga, però, Tennant. "Le è capitato spesso anche di essere convocato da me, in questo ultimo anno e mezzo, signor Tennant?" chiese con tono di apparente innocenza, sorridendo serenamente a quella domanda retorica di cui entrambi conoscevano già la risposta. Annuì dunque tra sé e sé, piegando appena il capo "Eccole spiegata l'atipicità della questione. Rispetto ai miei predecessori, la linea che conduco può essere considerata..accentrata. Sorrida, dunque: è al giorno d'oggi l'unico esterno ad essere stato invitato in questa stanza, almeno sotto il mio mandato. Troverà che l'atipicità della richiesta non è generata da essa stessa, ma piuttosto dalla persona che l'ha pronunciata." Sorrise ancora, concedendosi altri sorsi della bevanda calda mentre ascoltava attentamente le parole del proprio interlocutore. "Non credo però che vogliate vendere, quindi o volete avere una valutazione per impegnare qualcosa con la Gringott o per fare dono di un qualche volume ad un capo di Stato o vi serve qualcosa che volete vi trovi. Più la seconda direi." Silenziosamente, dopo essersi accertata che il libraio avesse concluso le proprie supposizioni, scese con un movimento elegantemente fluido dalla postazione che aveva assunto sulla propria scrivania, allacciando le mani dietro la schiena mentre misurava l'ambiente a passi lenti. "In un certo senso." disse, scoccandogli un'occhiata divertita nel passargli accanto, prima di proseguire oltre, verso la finestra alla quale si appoggiò con la schiena. "E' familiare con l'Ufficio Misteri?" Scosse appena il capo, come a correggersi. "Con il nome, quanto meno, dato che le sue occupazioni sono segrete anche a chi lavora qui dentro. D'altronde, c'è un motivo per cui ha quel nome." Con un colpo di bacchetta fece in modo che dalla folta libreria alle spalle di Tennant venisse estratto un libro, il quale andò a fluttuare verso di lei, aprendosi in un turbinio di pagine sotto i suoi occhi prima di fermarsi su quella desiderata. Con delicatezza ripose la stecca al suo posto, poggiando il palmo della mano sulla copertina rigida del tomo, rilasciandolo dall'incantesimo. "E' composto da varie stanze, una delle quali ospita le menti più eccelse del Regno Unito riguardo la filosofia e ogni tipo di scienza umana. A lungo, nella storia del Ministero, il suo compito è stato incredibilmente sminuito e poco potenziato." alzò gli occhi dal volume, scoccando uno squadro eloquente al suo interlocutore "La mia amministrazione non farà lo stesso errore." Il tempo di incurvare appena le labbra e subito le sue iridi scure tornarono al tomo, scorrendo tra le righe di un lungo paragrafo dedicato alla Stanza dei Pensieri, ubicata qualche piano al di sotto dei loro stessi piedi. "Alle mie orecchie sono giunte voci che lei sia un uomo piuttosto istruito e competente, mi sbaglio?" Chiuse il libro con uno schiocco sonoro, portandoselo sotto il braccio mentre avanzava qualche passo per porsi di fronte all'uomo. "Non tutti, nemmeno i miei migliori dipendenti, possono vantare la sua stessa conoscenza in fatto di libri magici. E l'ho convocata qui per chiederle se si ritenesse all'altezza di affiancarli in una particolare stanza dell'Ufficio Misteri, quella in cui credo che il suo talento possa essere incredibilmente valorizzato." Fece una pausa, guardandolo fisso negli occhi per qualche istante di puro silenzio "Potrei mostrarle il luogo, ma.." e qui alzò l'indice "..a una sola condizione. Qualora trovi che il compito non la calzi, dovrò privarla dei ricordi di quella stanza. E sarebbe un vero peccato togliere la conoscenza di un posto così curioso alla persona che più di tutte potrebbe sfruttarlo appieno, capirlo, studiarlo."
     
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  4. william tennant
         
     
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    William annuì serio nel sentirne la risposta, accavallò una gamba sull'altra e mosse una mano, come a voler sottolineare un concetto - Quindi avevo ragione a dire che per lei è molto più insolito convocare qualcuno qui di quanto non lo sia per me essere convocato, no? - sottolineò educatamente, sempre tornando a trovare il modo migliore di dire le cose peggiori. Nel momento peggiore, per giunta. E alla persona peggiore - Così, tanto per dire... - aggiunse in un impeto di improvvisata timidezza, allargando le mani come a volersene scusare. Era sempre più forte di lui, anche se poi solitamente finiva con il pentirsene.
    Quando iniziavano a volare pugni o incantesimi, di solito, o quando finiva in manette.
    Poi però le parole "unico esterno ad essere stato invitato in questa stanza" si misero in ordine nella sua mente caotica, illuminando con un discreto numero di significati possibili quella conversazione. Esistevano nella sola Londra centinaia di "esterni" che avrebbero potuto essere messi in lista da un Ministro della Magia per utilità alla sua causa, e si trovavano tutti in una posizione decisamente più rilevante della sua. C'erano banchieri, pozionisti, avvocati, esperti di economia o politica estera o... beh, dando per scontato che non fosse per la sua bella faccia - che era si bellissima, senza false modestie, ma che restava nulla in confronto a quella di lei - la domanda da farsi era di non secondaria importanza: perché lui? - Sappia che comunque lo considero un onore, sia chiaro, è che ho questo problema e...insomma...facciamo che sto zitto ed è meglio, no? - le sorrise, mentre la sua mente si divideva in due parti ben distinte. Ce n'era una che parlava con lei, ascoltava e rispondeva educato e allegro. La seconda valutava, ma stavolta in silenzio. La terza, più piccola, pregava di non vedere entrare una squadra dell'inquisizione, che non si poteva mai sapere e da lì a trovarsi ad Azkaban era un attimo davvero.
    - Sì, ovvio - annuì ancora una volta, nemmeno fosse la versione bubblehead di se stesso. Il pensiero volò a Isabella, veloce come una scheggia, per poi rimbalzare immediatamente lì. Concentrato, William! - In effetti la sorprenderebbe quanto si può capire dell'Ufficio Misteri osservando con attenzione il contorno del vuoto che si lascia intorno - buttò lì. Si poteva quasi fare un inventario di quello che aveva fatto sparire nel corso dei secoli, osservando con attenzione le cronache dei vari periodi storici, e quindi farsi almeno un'idea di una parte di quello che studiava.
    Chinò appena il capo, incassando con una certa dignitosa modestia i complimenti della donna. Andiamo, che lo controllavano lo sapeva già, lo sapevano tutti, e almeno così faceva un po' più di piacere. Non quanto l'essere dimenticati, probabilmente, ma almeno un poco. Esalò un respiro, si poggiò meglio allo schienale della poltrona e unì le mani di fronte alla faccia, riflettendo. Adesso sì che c'era da riflettere, e con una certa accuratezza - Vede, lei mi mette di fronte ad un bivio a dir poco Amletico. Anzi, Amletico in senso quasi letterale. Essere o non essere - citò, per poi prendersi qualche attimo ancora. Essere o non essere - Lei ha decisamente stuzzicato la mia curiosità, e il mio Essere mi spinge a varcare tutte le porte della conoscenza, a prescindere da quanto siano visibili le trappole che la custodiscono. In effetti avevo fatto qualche lezione, da ragazzo, per entrare negli Indicibili solo che mi stava stretto come reparto, sa, le regole, gli ordini, le limitazioni...è palese che i vostri dipendenti non siano poi così competenti, se impedite loro di spaziare. Sempre senza offesa - ecco, lo stava facendo di nuovo - Ma non posso di sicuro essere certo che quello che mi sta proponendo non sia contrario ai miei valori e principi, e fin lì niente di male, se non fosse che non mi piace nemmeno che si giochi con la mia testa. Vede, ci tengo molto.
    E' una questione di...equilibrio. Lei cancella un ricordo da dove l'ho messo e il resto cade, e un grosso addio a tanta competenza -
    alzò a sua volta l'indice, facendolo ondeggiare un momento - Quindi direi che spetta a lei, non trova? Se anche facciamo finta per un momento che le serve la mia autorizzazione per cancellarmi qualcosa dalla testa, è un'autorizzazione che io non credo le darò mai, ma d'altra parte sappiamo entrambi...lo sa anche lei, visto che ha fatto tanto bene i compiti...che se la stanza è tanto allettante quanto mi dice non mi tirerò mai indietro -
     
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    Ascoltò ciò che Tennant aveva da dire senza proferire alcuna parola, mantenendo sulle labbra un sorriso tanto enigmatico quanto quello della Gioconda, immobile ma al contempo tutto tranne che ingessata. Sembrava naturale, per la Zabini, assumere la forma di una statua di ghiaccia senza far apparire quella sua posa come eccessivamente statica o addirittura indisponente. Un controsenso che probabilmente aveva avuto modo di escogitare e affinare negli anni, perfezionandolo fino a smussarne gli angoli ad arte. Aspettò dunque che l'uomo finisse di parlare prima di prendere nuovamente la parola, allungando il sorriso di qualche millimetro appena percettibile. "Vede, su una cosa ha ragione da vendere: non ho bisogno del suo permesso per cancellarle la memoria qualora mi fosse necessario. E' questa la fregatura, no? Il doversi fidare. Fidare del fatto che una volta vista la stanza, non avrò bisogno di convincerla ulteriormente, o addirittura obliviarla." Ridacchiò tra sé e sé, muovendo qualche passo nella stanza prima di aprire la porta dell'ufficio, affacciandosi con la testa al suo esterno solo per comunicare qualche veloce parola sottovoce alla propria segretaria prima di richiudere l'uscio e tornare con l'attenzione al suo interlocutore. "Da quando sono in carica sono state mosse molte critiche, sia a me che al mio operato. Alcune costruttive, altre frutto di una semplice ignoranza ai meccanismi politici necessari a qualsiasi governo. Far contenti tutti, ahimè, non è possibile, ma cerco di fare del mio meglio per allargare il più possibile la fetta di popolazione che dal mio mandato trae un beneficio. Un beneficio come, ad esempio, un posto di lavoro meritato e la possibilità di scegliere cosa fare con la consapevolezza delle eventuali conseguenze che esso arreca." Si strinse nelle spalle, fluidamente, con eleganza, prima di far cenno all'uomo di alzarsi dal divano. "Come lei ha ben osservato, gli Indicibili sono sempre stati un reparto del Ministero profondamente limitato, spesso addirittura incompetente. E questo è il motivo per cui l'ho convocata qui: per mettere un punto di fine a questa storia e dare a quelle stanze il lustro che meritano. Ovviamente intendo che la sua libreria abbia un posto speciale nel suo cuore, e come tale verrà trattata con ogni riguardo, lasciando a lei stesso il modo e il tempo per gestirla a suo piacere. Tuttavia non nascondo che la vedo sprecato a passare la sua intera vita da semplice negoziante quando il suo avvenire potrebbe essere decisamente più luminoso e le sue conoscenze incredibilmente più vaste." Fece una pausa, scoccandogli un sorriso. "Non è di questo che si tratta, in fin dei conti? Di conoscere? Certo, potremmo chiudere qui il nostro colloquio per non essere giunti a un punto di incontro, ma sappiamo entrambi che una volta uscito da quella porta rimarrà sempre in lei il retrogusto di cosa avrebbe potuto fare, vedere, sapere se avesse accettato. Curiositas: la sete di conoscenza, come elemento per andare oltre alla quotidianità e al nozionismo. Lei è curioso come lo era Ulisse, e per questo motivo la sua botte le starà sempre troppo stretta. Io, dal mio canto, le sto offrendo doghe più larghe di quelle che possiede attualmente, ma sta a lei decidere se il gioco vale la candela." Finì giusto in tempo per vedere il viso della segretaria sporgersi oltre la porta dell'ufficio, mormorando un semplice. "E' tutto pronto." La congedò con un sorriso e un ringraziamento prima di voltarsi ancora verso Tennant. "Nel dubbio ho fatto sgombrare la Stanza dei Pensieri. Mi dica quindi lei, se intende prendere la direzione dell'uscita, o seguirmi nell'Ufficio Indicibili."
     
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  6. william tennant
         
     
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    Quella donna era un racconto di Lovecraft messo in rima da Shakespeare.
    Era bellissima ed elegante, con uno sguardo capace di far fremere la parte più maschile del suo IO , ma nonostante il tripudio di ormoni che sapeva accendergli nel petto vi era in lei una sorta di freddezza, una vena di marmo che traspariva dai suoi gesti e che strideva, suo malgrado, con tutta la gentilezza che tanto pacatamente ostentava. A William, incapace di levarle gli occhi di dosso, venne in mente la mantide religiosa e il destino che spettava ai suoi amanti. Norwena sembrava proprio il tipo di persona capace di staccare la testa al proprio partner dopo un amplesso e di avere comunque una fila di amanti in attesa appena oltre la sua porta. Chissà se era sposata, o se lo era stata.
    - Eppure, filosoficamente parlando, già questa consapevolezza mi toglie ogni scelta, non crede? - le fece notare tuttavia. Era più forte di lui: probabilmente non sarebbe stato capace di rimanere zitto nemmeno se avesse avuto una bacchetta puntata alla tempia - Nel momento in cui io accettassi di vedere la stanza a cui mi sta offrendo accesso non sarei più libero di rifiutarmi, magari solo per paura delle conseguenze. Quindi come farebbe lei a sapere che non sto accettando solo per vigliaccheria? - le domandò, muovendo un dito a mo' di bacchetta.
    Si lasciò sprofondare lentamente nella poltrona, più a fondo, mentre le dita posate sui braccioli tamburellavano leggermente la superficie di legno. Le mani, più che gli occhi, erano il vero specchio della sua anima. Mani curiose, leggere, che amavano imparare con il semplice tocco. Mani gentili, abituate a posarsi su oggetti molto delicati e altrettanto preziosi, eppure veloci, nervose e tremendamente curiose. Non poteva mentire, William, più di quanto mentissero le sue mani - E' un bel discorso, ma non deve convincermi a votarla. Io non voto. L'ho fatto solo una volta, in vita mia, e ho votato Wiston Churchill - un lieve movimento delle spalle, a sottolineare quanto lui per primo cogliesse l'inutilità di votare un uomo morto da più di mezzo secolo - Mi piacevano i suoi discorsi e mi sembrava un buon omaggio, ai tempi. Una cosa fra me e lui - che pure non aveva la minima idea di chi fosse, quel William Tennant che tanto era rimasto affascinato dalla sua oratoria, in gioventù. Il punto in questione, comunque, era un altro - Ma probabilmente se lo facessi voterei comunque per lei. Mi sono piaciuti i suoi manifesti - quanto ai contenuti, invece, gli suonavano tutti un po' remoti. Era un suo problema, dato probabilmente dal vivere per troppo tempo in uno spazio asincrono come quello della letteratura.
    - Ci sto - decise comunque, dopo un lungo attimo di riflessione. Metà del quale passato, diciamolo per dovere di cronaca, a riflettere su quanto comunque quei manifesti non le rendessero giustizia. Si alzò in piedi, dietro di lei, con l'indubbio merito di non aver mai abbassato lo sguardo per guardarle il sedere - Non ho ancora idea di quale sarà il prezzo da pagare per questa conoscenza, ma dubito che me lo dirà quindi è inutile perfino chiederlo. Probabilmente mi mentirebbe, non è vero? In ogni caso sarei comunque troppo curioso per rifiutare, su quello ha senza dubbio ragione lei - e poi, così facendo, avrebbe potuto ritrovare Isabella. Era quello ad aver fatto pendere la bilancia dalla parte giusta, alla fine. La possibilità di abbattere quel muro di segreti che si era alzato fra di loro da quando lavorava al Ministero. Le sorrise - Lasciamo ogne speranza ed entriamo, ordunque -
     
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    Sorrise al modo in cui William giostrò il proprio discorso fino ad arrivare a un "Ci sto." A quelle due parole, la donna scosse appena il capo, divertita dal decorso di quella conversazione. Un uomo di lettere e una donna di legge: non poteva di certo andare in maniera diversa. Lui nei discorsi filosofici ci viveva e sguazzava, era addirittura poetico nel suo modo divertente di approcciarsi a un'autorità a lui superiore. Lei, invece, era una rigiratrice di frittate per professione: le implicazioni, i cavilli e la retorica erano il suo pane quotidiano, nonché i mezzi specifici che l'avevano portata a sedere proprio in quello stesso studio in cui si trovavano in quel preciso momento. Fece dunque cenno col capo di seguirla oltre la porta dell'ufficio, serrandola con un colpo di bacchetta una volta fuori. Non fece nemmeno in tempo ad allontanarsi dalla porta che già una guardia ci si mise di fronte, con lo sguardo fermo di chi non avrebbe lasciato passare nemmeno uno spiraglio d'aria. Sorrise cordiale, congedandosi dallo scimmione con un sorriso cortese. "Non ho ancora idea di quale sarà il prezzo da pagare per questa conoscenza, ma dubito che me lo dirà quindi è inutile perfino chiederlo. Probabilmente mi mentirebbe, non è vero? In ogni caso sarei comunque troppo curioso per rifiutare, su quello ha senza dubbio ragione lei." Lo lasciò parlare per il breve tragitto, scortandolo ai piani inferiori in cui si trovavano le stanze dedicate agli Indicibili. "Lei è un uomo che parla molto, vero?" fu il suo unico commento, sul fiore di un sorriso divertito, prima di fermarsi di fronte alla porta della stanza dei Pensieri. "Lasciamo ogne speranza ed entriamo, ordunque." Annuì, mostrando una piega ironica delle sue labbra. Solo a quel punto aprì l'uscio scuro, richiudendolo alle proprie spalle una volta fatto entrare il proprio ospite.
    Nello spazio silenzioso i tacchi di Norwena rimbombavano cupi, creando una melodia imponente sulla pavimentazione scura e lucida. Le luci erano poche, per lo più fioche e in corrispondenza di piccoli tavoli da lettura. Altre, invece, galleggiavano sul soffitto sotto forma di sfere di luce azzurrognola, pronte ad essere richiamate per illuminare la parte desiderati dei grossi scaffali pieni zeppi di sfere in cui vorticavano nebbie di colori diversi. Ciascuna aveva la sua sfumatura, ciascuna unica nel suo genere. "E' simile alla stanza delle profezie, probabilmente la più nota, grazie al signor Potter." incurvò le labbra in un sorrisino affettato, senza tuttavia lasciare che la sua voce si piegasse a lasciar sottintendere la non particolare devozione che nutriva nei confronti dell'uomo appena citato. Detto ciò appellò a sé una sfera di luce, facendola viaggiare di fronte a sé mentre i suoi occhi guizzavano tra uno scaffale e l'altro a leggerne le indicazioni. Si fermò di colpo quando giunse alla lettera T, facendo scorrere l'indice tra i nomi indicati sotto ogni sfera fino a giungere a quello che cercava. Tennant, William. Con disinvoltura colse il globo dallo scaffale, porgendolo all'uomo. "Immagino questa appartenga a lei." disse, sardonica "E' la sua coscienza." Intrecciò dunque le mani dietro la schiena, muovendo piccoli ma rumorosi passi attorno all'uomo, lasciando tuttavia vagare lo sguardo tra gli scaffali. "Abbiamo la sua, come quella di chiunque altro. Ovviamente esistono molte regole a riguardo, e la privacy di ciascun cittadino viene massimamente rispettata. Infatti è proibito, per chi lavora qui dentro, leggere le coscienze altrui a meno di reati gravissimi o situazioni che oserei dire vadano oltre lo straordinario." Una misura giusta. Per il momento, almeno. Interruppe la sua camminata proprio di fronte a William, fissandolo negli occhi prima di indicare un punto al di là delle proprie spalle. "La vede quella luce lì? In fondo al corridoio?" si voltò per una frazione di secondo, come a indicarla una seconda volta, per poi riprendere "Quella, invece, è la coscienza comune, tutto l'insieme di leggi, norme sociali e annessi che vanno a confluire nella maniera in cui l'individuo pensa all'interno di un gruppo esteso. La società intera, racchiusa in un unico grande cervello. E' quella, principalmente, che studiano i dipendenti di questa stanza." fece una breve pausa, alzando un sopracciglio "Vuole vederla? La avverto: di solito i nuovi svengono quando la vedono per la prima volta."
     
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  8. william tennant
         
     
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    - Lasci stare, è uno dei più grandi problemi della mia vita - ammise mentre percorrevano i corridoi che dall'ufficio del Ministro portavano giù, fino all'Ufficio Misteri. Parlava molto ma questo non significava che fosse davvero tonto come il gran numero di parole che pronunciava poteva lasciare intendere, e perfino sdraiato su quel letto di parole gli era stato impossibile non notare gli sguardi inquieti delle rare persone che avevano incontrato lungo il tragitto. No, si corresse, non erano stati inquieti : erano stati arroganti, in parte, e impauriti per il resto. Impauriti e preoccupati. Gli sguardi di chi si stava chiedendo chi fosse quello strano tizio che vagava per lo zoo in cui si era trasformato il Ministero con la leonessa più cattiva di tutte, per esempio, e che si stesse già chiedendo quale fosse il modo migliore per mangiarlo o per salvarsi dalle sue zanne. Non era abituato a fare paura al prossimo, William, nemmeno di terrore riflesso - Parlo quando sono nervoso, parlo quando sono concentrato, parlo quando mi sento solo - continuò comunque. Non era abituato ad fare paura al prossimo, ma nemmeno ad averne. William Tennant era Re indiscusso del suo piccolo regno da un suddito solo - Ho una cara amica che dice sempre che ho la lingua più veloce del cervello. Certo, a volte lo intende come un complimento, ma ho il sospetto che il più delle volte non lo sia - anche perché in effetti erano più le occasioni in cui parlava troppo che quelle in cui si intratteneva in altre maniere. Era una mera questione di statistica.
    Perfino lui, però, ebbe la decenza di chiudere la bocca di fronte a quello che gli si stava parando davanti in quel momento.
    Si sfilò gli occhiali dalla tasca interna della giacca, facendo un giro su se stesso per ammirare quello che lo circondava. Aveva sempre amato i libri sia come oggetti che a causa delle storie che contenevano, ma gli scaffali che aveva intorno avevano all'interno molti più pensieri di quelli che ciascuno scrittore avesse mai potuto mettere su pagina. Raccolse la sfera che Norwena gli stava porgendo, soppesandola sul palmo aperto della mano. La sua coscienza. La coscienza di ciascun abitante del Mondo Magico. Sentì di odiarla già, un po', e con essa tutte quelle che aveva intorno. Non c'era arte in quello, non c'era elaborazione di pensiero ne scelta di argomenti. Erano la materia grezza, il carbone da cui avrebbe potuto nascere un diamante o che sarebbe potuto servire per dare calore ad una violenta macchina bellica. Le odiava già, ovviamente, e ne era al contempo affascinato come mai. Strinse leggermente fra le dita intorno alla sua sfera e poi alzò lo sguardo, puntandolo dritto negli occhi della donna che aveva di fronte. Così vicina da poterne carpire i dettagli, da poterne sentire il profumo, da poterla baciare. Allungò la mano a posare la sua sfera al posto da cui Norwena l'aveva presa, quasi non avesse alcun interesse per lui, e le passò intorno per continuare lungo il corridoio. Non era importante, sapeva già cosa c'era nella sua di coscienza, mentre invece...sfiorò gli scaffali con la mano, alla ricerca di qualcosa che non doveva essere troppo lontana se erano già alla T. Avanzò leggendo nomi a caso, cercando un ordine che potesse capire, fino a fermarsi con un sorriso vicino ad uno degli scaffali in fondo.
    La Z.
    Zabini, Norwena.
    William la raccolse, tenendola in mano come aveva fatto poco prima con la sua. Aveva un colore diverso, brillante e oscuro al tempo stesso, e vorticava con una decisione che la sua, più caotica, non aveva avuto - E' questa che contiene la sua di coscienza, vero? - le domandò tornando indietro, lo sguardo basso sull'oggetto che teneva in mano. Era difficile staccare gli occhi da quel vortice, dal movimento quasi ipnotico. Era più fredda della sua, si rese conto. La strinse così per qualche attimo, fra l'incantato e il pensieroso, prima di scuotersi e renderla alla sua legittima proprietaria. Le sorrise, in un modo furbo e quasi infantile - Complimenti, ora posso affermare con sicurezza che lei è bellissima anche dentro. Quanto al resto...certo che voglio vederla e non si preoccupi. Di solito per farmi rinvenire bastano due schiaffi ben dati - ammiccò - Così magari si toglie anche la soddisfazione -
     
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