but the green is turning brown

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    Ministero della Magia
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    Per quanto possa apparire strano e particolarmente insolito per uno come lui, Nate Douglas passa molto tempo a pensare al destino. È un argomento che non può che affascinare un amante della filosofia quale è lui, e allora eccolo, negli istanti più insoliti, quelli in cui mai lo diresti immerso in pensieri tanto profondi e labirintici, a ripercorre tutti i momenti della sua esistenza, e a immaginarsi tutti gli eventi che l'hanno portato a dove si trova ora. A chiedersi come. Sembra strano che lo faccia, uno così, che ha sempre ricevuto tutto da tutti, che ha vissuto fin da piccolo con tutti gli agi e nel lusso più sfrenato, che si soffermi nel suo quotidiano e si chieda il motivo delle cose. Di rado capita che i coetanei che hanno avuto una vita simile alla sua si fermino a riflettere, a chiedersi il perché del sentiero che hanno preso i loro passi. Nate invece ci pensa, pensa a come il filo rosso della sua vita fino ad ora si è legato indissolubilmente con quello di altre, incrociandone altre ancora in modo rapido e irrisorio, o a come abbia tessuto trame diventate ormai fittissime, e alla facilità con cui, talvolta, si sia spezzato. E tutto nasce sempre dal fluire rapido e incontrollabile degli eventi. Pensa alla sorte, lui, alla tyche greca che governa tutto, quel principio che muove il mondo, e che altro non è che il caso e destino assieme, un lancio fortuito di dadi e al contempo uno schema già organizzato. Si chiede se davvero è tutto scritto, o se oppure esista in qualche modo un margine di arbitrarietà che è affidato all'uomo, o se, ancora, al mondo tutti gli individui siano portati inconsciamente a scegliere un'alternativa piuttosto che un'altra, dai più disparati elementi di condizionamento, per raggiungere alla fine il punto conclusivo che è la sorte.
    Tutte le volte che il pensiero del giovane Serpeverde s'inerpica in questi viottoli tortuosi, non raggiunge mai una vera e propria valutazione: piuttosto sospende il giudizio, certo che in futuro troverà nuovi elementi che gli permetteranno di capire meglio come funzionano le cose, da che parte guardare per trovare un segno di un qualcosa che è già scritto. Quel che però è certo, almeno dal suo punto di vista, è che le coincidenze non esistono, che il caso, nel suo significato più puro, non regola l'universo nella misura in cui si crede. Ci deve essere qualcos'altro, si dice, dietro a questo fluire apparentemente confuso di idee e immagini, e di giorni e parole, un principio da cui parte tutto. Qualcosa che non sa descrivere nemmeno lui.
    Lo cerca sempre però, in ogni sua azione, in ogni elemento accidentale che il giorno gli regala, in ogni incontro casuale di cui è protagonista. Se lo chiede anche mentre fa il suo ingresso nella Serra numero tre, in questo pomeriggio particolarmente assolato d'inizio Giugno, se è stato il destino a portarlo proprio qui, proprio in questo istante, proprio in tempo per godere della presenza di niente meno che Olympia Potter. Non è difficile riconoscere la sua chioma rosso fuoco, anche se di spalle. E poi, anche se non riesce a vederla in viso, quel fondoschiena è inconfondibile. Un lieve sorriso si forma sulle labbra del ragazzo, mentre si concede una lunga occhiata, in silenzio, beandosi dell'ignoranza di lei.
    Non si annuncia, Nathan, e sfrutta piuttosto il fruscio di un paio di mandragole per avanzare a passo lento, attento a non renderla partecipe della sua presenza fino all'ultimo. Abbassa lo sguardo mentre procede, una smorfia disgustata che si fa largo sul suo viso, quando si accorge di dover passare in mezzo ad un paio di piante basse dall'aria parecchio sporca. Lancia un'occhiata rapida alle sue scarpe di vernice e per un istante considera l'idea di voltarsi e andarsene, perché non ne vale davvero la pena, ma questo pensiero dura poco. Poi si stringe nelle spalle, ripromettendosi di riparare i danni alle sue calzature non appena avrà sotto mano la sua bacchetta, e s'inoltra tra le piante.
    «Ci siamo date al giardinaggio?» parla tutto d'un fiato, solo quando è abbastanza vicino. Una volta alle spalle della ragazza, si è allungato quanto bastava per osservare il lavoro di lei, e constatare, suo malgrado, di non avere la più pallida idea di cosa stia facendo. Per quanto Nate sia uno tra gli studenti più brillanti del Castello, Erbologia è una di quelle materie in cui non ha proprio voglia di applicarsi; con la memoria fotografica che si ritrova, gli basterebbe sfogliare il libro un paio di volte per imparare per filo e per segno ogni dettaglio di ogni pianta magica esistente, ma, semplicemente, non è interessato. Ciò che gli dà più noia è l'idea di doversi sporcare le mani, e in generale di dover usare le mani, come i magonò. Come la Potter.
    Quando la rossa si volta nella sua direzione le sorride, affabile, e si sposta sulla destra, una mano appoggiata al bancone sul quale lei sta lavorando. «Non ti volevo spaventare» aggiunge, il sorriso di scherno che si prende gioco dell'espressione sorpresa di lei. «Ero qui di passaggio. Un po' d'aria mi mancava» aggiunge, accompagnando le parole con un'altra stretta innocente di spalle. La osserva muoversi, Nate, in un silenzio che per qualche istante diventa quasi religioso, e segue ogni sua mossa con sfacciata attenzione. I suoi occhi verdi perlustrano con precisione clinica ogni angolo della figura di lei, come se fossero alla ricerca di qualcosa: le palpebre, contornate dalle ciglia lunghe, le guance piene, le labbra carnose. E ancora il collo lungo, i seni prosperosi, la vita stretta e le gambe slanciate. Non perde un dettaglio. Sono lenti, i suoi occhi, a risalire dalle caviglie in su, fino ad incrociare le pupille di lei, che pare tutt'altro che gradire questo incontro. Le regala uno dei suoi sorrisi impudenti. «Io e te non ci siamo mai fatti una bella chiacchierata, Potter. Mi rincresce questa cosa. Penso sia ora di rimediare» la guarda, un sopracciglio sollevato, come a voler dire: Non credi anche tu? Ma resta in silenzio, in attesa, perché se c'è una cosa che è certa, al di là di tutto, è che un Douglas non deve chiedere mai.
     
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    Ci sono delle mattine in cui Olympia Lynx Potter si sveglia con le palle più girate del solito. E quella mattina si è svegliata con la luna particolarmente girata, al contrario proprio. Ultimamente le capita davvero spesso. Forse perché si dimentica di prendere le sue due pilloline anche per giorni interi o forse perché tutto lo stress che si sta accumulando in lei è davvero troppo per essere retto da una persona sana di testa, figuriamoci da una che ha un disordine borderline della psiche. Non riesce a spiegarsi lucidamente il perché di tutto quel malumore, eppure sa che c'è soltanto un rimedio alla nuvola nera che sembra essersi posata su di lei da giorni, facendo piovere giorno e notte. L'Erbologia. Ma ha la giornata piena di lezioni, sia prima che dopo pranzo e, ovviamente, non ha quella materia. Non quel giorno. Così passa la mattina saltando di aula in aula, facendo fin poco caso ai discorsi di Malia e Scout che risultano sommessi alle sue orecchie. Non riesce nemmeno ad inventarsi una buona scusa quando viene interpellata personalmente. Rimane a boccheggiare come un pesce fuor d'acqua, guardandosi intorno, come a cercare un suggerimento divino, per poi dare la colpa a quel periodo del mese. Dopo pranzo, il tempo sembra non passare, letteralmente, mai. Sono più le volte che getta un occhio sulle lancette dell'orologio, senza vederle mai muoversi di un centimetro, che quelle in cui riesce francamente a rimanere concentrata sulle soporifere lezioni di Pozioni e Aritmanzia. Dopo essersi beccata una ramanzina dal pubblica dal professore, facendola sprofondare ancora di più nel baratro del suo umore già buio, e dopo qualche altri minuti di angoscia, anche l'ultima delle lezioni del pomeriggio per il sesto finiscono. Saluta con un cenno frettoloso della mano Malia, farfugliando qualcosa di incomprensibile, prima di scappare di corsa fuori dal portone principale. A lunghe falcate, per quanto le sue gambe corte glielo permettono, si avvia verso la Serra Tre. La serra che è diventata scrigno dell'erba di cui si riesce a rifornire di tanto in tanto. La serra dove ha conosciuto Dean. La serra che ormai è diventato il suo rifugio sicuro quando ha giornate come quella. Insomma, un posto veramente importante per la sua anima e per il suo spirito. Si chiude la porta alla spalle, inoltrandosi tra la vegetazione lussureggiante che vi è al suo interno. Con il sole che sembra essere sempre meno timido quei giorni, l'aria all'interno della serra è ancora più afosa e umida. Ma, in quel momento, di morire dal caldo non le dispiace perché una tiepida sensazione si sta impossessando delle sue membra e non deve ringraziare la temperatura alta per questo, ma semplicemente la natura che la circonda. Appoggia la tracolla ad uno dei lunghi tavoli dove solitamente fanno lezione, per poi guardarsi intorno, per capire dove voler andare a parare per tenere costante quel suo buon umore ritrovato. Si raccoglie i capelli ramati in uno chignon scomposto, per poi legarli con una fascia che non glieli lasci finire davanti agli occhi. Decide infine di buttarsi sullo svasamento di qualche pianta di Puffagiolo, che sembravano avere tutta l'aria di star per seccarsi da un momento all'altra. Si sbottona leggermente la camicetta, prima di tirar fuori una radiolina babbana che le ha regalato Nonno Arthur, a Natale. E' parecchio vecchia, gialla e blu, una di quelle che legge anche le cassette che andavano di moda negli anni 80/90. E suo nonno, con l'aiuto di qualche cugino più giovane, gliene ha pure fatta trovare una al suo interno, con una playlist speciale, soltanto per lei. L'accende e mentre la musica comincia a diffondersi per la serra, prende un paio di guanti, un grembiule e si mette all'opera. Comincia con il portare il vaso della pianta sopra il bancone che sta appoggiato al muro. Tira fuori tutta la pianta con delicatezza e comincia a pulire le radici, con l'aiuto di uno spruzzino contenente acqua. Non avendo più il permesso di usare una bacchetta, per dirla carinamente, tutti sono stati costretti ad abituarsi a fare le cose alla vecchia maniera, alla maniera dei babbani. Lei dal canto suo, per quanto siano ormai due anni che fa parte integrante della comunità magica, non ha alcun problema a sporcarsi le mani, letteralmente. Probabilmente il ritiro delle bacchette è la parte che meno la tocca di quell'assurda politica proibizionista. Cerca di scacciare quei pensieri dalla testa, sapendo di non poterli lasciar vincere, non nel suo momento perfetto, non nella sua bolla di sapone assolutamente magica e inattaccabile da nulla. Passa una mano sopra le foglie del Puffagiolo e queste si schiudono in un attimo. Sorride quando la canzone cambia e una musica leggera la raggiunge. Suo nonno è sempre stato amante di quella parte di lei, la parte della violinista, della ragazza che aveva fatto della musica classica la sua vita. A volte, quando si fermava a ripensare a quanto aveva sacrificato per tentare di arrivare dove non era mai arrivata, si diceva che era stata una sciocca. Se solo non avesse speso tutto quel tempo per inseguire un sogno, lo avrebbe avuto per fare altro. Per avere più minuti, più ore e più giorni con Willem, per dirne una. Accompagna con la testa quel piccolo concerto privato, quando lo stomaco le si attorciglia leggermente. Riconosce ormai bene quella sensazione e non presagisce nulla di buono. Mai. «Ci siamo date al giardinaggio?» E infatti.. Sobbalza appena nel sentire quella voce provenire da dietro le sue spalle. La segue con gli occhi, ritrovandosi di fronte Nathan Douglas. Il trucchetto delle premonizioni non l'aveva mai padroneggiato al meglio, eppure ci azzeccava sempre. E un Serpeverde porta sempre disgrazie, soprattutto se fa di cognome Douglas. Tende gli angoli delle labbra in un sorriso di circostanza, prima di voltarsi nuovamente «E' terapeutico.» Non aggiunge altro, facendo spallucce. Finge che non sia lì, seppur si sia appoggiato al bancone, con l'aria di uno che ha tutta l'intenzione di rimanere a conversare. Lo ignora, riprendendo a concentrarsi solo e unicamente sul terriccio da aggiungere al vaso più grande nel quale metterà la pianta. «Non ti volevo spaventare. Ero qui di passaggio. Un po' d'aria mi mancava» Stringe appena le labbra notando il suo sorrisetto derisorio, annuendo alle sue parole. «Oh quindi sei venuto nell'unico posto dove, con questi caldi, si sta peggio che dentro ad una sauna.» Alza un sopracciglio, accennando un sorrisetto di scherno a sua volta. «Mi sembra molto logico. Qui c'è un sacco di aria infatti.» Dopotutto è un Serpeverde, che ti aspettavi, eh? Sa di essere sgradevole quando fa l'altezzosa a quel modo. Ma già è difficile tenere a freno la propria lingua nelle giornate buone, figuriamoci in quelle buie. Senza aggiungere il suo evidente sentimento di riluttanza a pelle per tutti i Serpeverde come lui. Nate è un bel ragazzo, non può negarlo. Il capello scuro e l'occhio chiaro son sempre stati il suo punto debole, soprattutto se addizionato al buon gusto nel vestire, cosa che Nate lo ha di certo. Ma è ricco, ha la puzza sotto il naso, in così grande quantità che probabilmente non vede nemmeno dove mette i piedi, tanto lo tiene in alto ed è il classico che si venderebbe l'anima pur di ottenere ciò che vuole. «Io e te non ci siamo mai fatti una bella chiacchierata, Potter. Mi rincresce questa cosa. Penso sia ora di rimediare» Per questo motivo questa sua esternazione sembra non toccarla più di tanto. C'era d'aspettarselo. Vuole qualcosa da lei, non sa cosa, ma la vuole. Lascia andare sul bancone il piccolo trapiantatore a lama larga che ha tra le mani e si gira verso di lui, appoggiando una mano alla superficie. Lo guarda, squadrandolo per ricambiare la sua lastra a raggi infrarossi di pochi secondi prima. Dall'alto in basso, per poi tornare agli occhi. Verde contro verde. «E di cosa dovremmo parlare, Douglas?» Di quanto cominci a fare caldo? Di quanto siano ormai alle porte le vacanze estive? O magari di quanto sia meraviglioso dormire in gattabuia e studiare Incantesimi senza avere una bacchetta con la quale metterli in pratica? Sono tanti gli spunti di conversazione che le vengono in mente, eppure decide di non fare la stronza totale. «Tutto sommato, tempismo perfetto.» Si avvia verso l'armadietto di cui dispongono tutte le serre. Cerca un paio di guanti che pensa possa stargli e torna indietro. Glieli lascia penzolare sotto gli occhi, con un sorrisetto serafico dipinto sul volto. La natura + un po' di musica classica + un Serpeverde da martoriare è l'equazione perfetta per l'umore raggiante della rossa, a quanto pare. «In assenza di bacchette, avevo giusto bisogno di aiuto con quel vaso laggiù» lo indica con un cenno del mento. E' a terra, è enorme ed ha un'aria assolutamente pesante. Non crede le possa servire veramente, ma sarebbe divertente vederlo faticare per una cosa inutile. «Poi si sa, si conversa meglio mentre si lavora, no?» Gli scocca un'occhiata innocente, mentre si avvia verso il vaso. Lo prende da entrambi i lati con le mani e poi si volta a guardarlo. «Davvero lasceresti una donzella al suo triste e prevedibile destino di spaccarsi la schiena, con conseguenti quattro o cinque ernie al disco, come minimo Butta giù un po' di quelle nozioni mediche spicciole che, per un'ipocondriaca come lei che ha studiato tutto il manuale di anatomia umana, sono decisamente un nulla. Si sposta all'indietro una ciocca di capelli sfuggita alla fascia, facendo attenzione a non sporcarsi con i guanti e lo fissa ancora una volta. Allora? Che deciderai di fare, Douglas?
     
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