we're just strangers

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    We're not lovers, we're just strangers with the same damn hunger, to be touched, to be loved, to feel anything at all.

    Un nuovo inizio. E' quello che sta per avere. Samuel Scamander che finalmente si diploma. Samuel Scamander che finalmente riesce ad arrivare al settimo anno, senza troppi intoppi, senza troppi casini. Fila tutto perfettamente liscio, così come deve andare. Suo padre è felice, sua nonna ancora di più, sua zia e suo zio nemmeno a dirlo. Probabilmente lui è l'unico a non esserlo. Non fino in fondo, a quanto pare. C'è qualcosa che non gli torna, qualcosa di irrisolto con la quale sente il bisogno di scendere a patti. Un qualcosa che, per forza di cose, gli è sfuggito tra le mani e non è riuscito più a riprenderlo. Malia Stone è probabilmente il motivo per il quale Sam sente di non essere completamente felice di andarsene da quelle quattro mura, tra una manciata di giorni. Perché con lei è andato tutto
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    bene, fin quando non sono più riusciti a capirsi, buttando al vento mesi di amicizia e, senza alcun dubbio, ben altro. Le parole sembravano essersi fatte pesanti tra di loro, a volte persino inutili. Gli sguardi sempre più sfuggenti, sempre più da evitare, scemati in un sentimento degno di due totali estranei. Sam si è spesso domandato il perché di quella lenta e strana separazione, senza mai trovare una risposta definitiva a quel quesito. Non c'è un perché Sam e Malia si sono allontanati, giorno dopo giorno, passo dopo passo. E' semplicemente successo, anche se il ragazzo sa bene qual'è stato il vero e proprio punto d'inizio. Il la che ha dato il via a quell'amara sinfonia dalle note lente e fastidiose. Note stridenti per le orecchie di Sam. Proprio per questo sente di non poter andare avanti, senza prima aver aggiustato quel tassello del puzzle, lasciandolo combaciare con il resto della sua vita. Per ogni nuovo inizio, vi sono dei buoni propositi, dopotutto. E cercare di ricucire il rapporto con Malia, dopo quello che c'è stato tra di loro, è di massima importanza per lui, collocandosi al primo posto sulla sua personale lista. Ancor prima di sfondarsi di alcol ed erba per festeggiare gli esami. E anche prima di passare un'estate da ricordare per sempre. Seppur sia difficile da accettare, sta crescendo, volente o nolente. L'anno passato, dopo la trasformazione, è stato sicuramente l'inizio di quella nuova vita, più matura e cosciente per alcuni versi. E nel provare a a trovare la giusta toppa da cucire sopra la frattura che li ha tenuti divisi, fino a quel momento, gli sembra una mossa piuttosto adulta. Da ragazzo responsabile, che ha a cuore i sentimenti altrui. Non che pensi veramente che Malia provi ancora qualcosa per lui, dopo un anno e mezzo, ormai. Ma spera che vi sia rimasto in lei quella scintilla di curiosità che l'ha mossa verso di lui. La stessa che, a conti fatti, ha fatto altrettanto con lui, spingendolo verso di lei senza alcuna esitazione. Nemmeno quando vi era di mezzo un ragazzo ad ostacolare quelle sensazioni immature si era lasciato scoraggiare. Nemmeno quando Charlie andava e veniva, trasformando la sua mente in un inferno personale. Poi, come tutte le cose belle, l'aveva lasciata andare, convinto che fosse meglio non averla accanto in quel periodo buio. Convinto che fosse meglio così, tutto sommato. Per entrambi. Lei sarebbe stata al sicuro da quella sua nuova natura irascibile, lui non avrebbe vissuto con la costante paura di saperla in pericolo, per mano sua. Hanno vinto entrambi, è questo ciò che si racconta, giustificando a se stesso un allontanamento che non aveva nulla di razionale. Si dice che, se venisse fuori il discorso, anche lei si direbbe d'accordo su quanto è successo, trovando assolutamente consone le precauzioni prese. Si racconta una marea di frottole, mentre sgattaiola dentro le cucine per rubare una bottiglia di Ogden Stravecchio da sotto il naso degli elfi. Gli sembra un'ottima offerta di pace, in mancanza di altro. E quel regime totalitario include il proibizionismo, che non gli permette di ricevere erba di prima qualità da Dean, nemmeno via posta. E' a secco ormai da giorni, se non fosse per l'intervento divino di Artie di qualche sera prima, che l'aveva fatto rinascere grazie alla scorta privata che teneva nascosta nel baule delle sue cose. E' anche da parecchio che non beve, per questo sente una strana sensazione insinuarsi sul fondo del suo stomaco. E' forse ansia? Agitazione nel dover affrontare Malia? Scrollando la testa, decide di non pensarci e così rientra di soppiatto nei loro regali alloggi, sfruttando la poca luce che getta i corridoi dei sotterranei in una penombra davvero sinistra. Si abitua abbastanza velocemente all'oscurità in cui i due dormitori sono inghiottiti anche grazie ai suoi nuovi deliziosi poteri da super lupo mannaro. Si muove velocemente tra i letti, individuando quello di Malia abbastanza facilmente. Si ferma a guardarla, mentre dorme. E' una cosa abbastanza creepy, ne è cosciente, eppure continua a farlo ancora qualche secondo, prima di sedersi sul fondo del suo letto. Allunga la mano libera sopra la sua gamba, coperta dal lenzuola, scuotendola appena, con delicatezza. Sale su fino alla coscia, senza nemmeno pensarci, mentre l'accarezza. «Forza Stone, svegliati che il sole è già bello alto nel cielo. E' ora di alzarsi.» Le sventola sotto il naso la bottiglia di alcol che ha stretta tra le dita della mano destra. La lascia oscillare, affinché la possa vedere, seppur sia ancora mezza addormentata. «Riesco a percepire che hai un disperato bisogno di alcol. Perciò ti sto offrendo la possibilità di dare sfogo alle tue frustrazioni, per una sera.» Le fa l'occhiolino. «Allora che dici? Ti va di seguirmi?»
     
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    Non può fare niente. Si guarda intorno, spaesata, cerca di scorgere oltre le alte fiamme che la circondano ma vede solo del fumo e la Foresta Proibita in lontananza. Percepisce delle urla indistinguibili e nessuna di queste le pare familiare. Allora comincia a urlare anche lei, forte, i nomi di Tris e di Olympia, ma nessuno la sente, e perfino lei non riesce a percepire il suono della sua stessa voce. Non ricorda nemmeno come è cominciato, però sa che è stato Kingsley, è stato lui di sicuro, è tutta colpa sua se adesso lei ed i suoi amici moriranno. E lei non ha nemmeno una bacchetta per provare a difendersi. Cerca di muoversi, ma il fuoco la circonda da tutte le parti, bloccandola contro la parete dell'edificio. Vede la torre di Grifondoro crollare completamente al suolo, anch'essa avvolta dalle fiamme dell'Ardemonio. Sono sempre più vicine, e l'assalgono, la ustionano, sempre di più...
    Sussulta. Ha gli occhi spalancati fissi verso il tetto polveroso della stanza e il respiro accelerato. Cerca di calmarsi: prende un bel respiro e fa per voltarsi su un fianco, quando si accorge che c'è qualcuno accanto al suo letto, che la guarda. Che la sta toccando. Scatta a sedere, una mano che per riflesso cerca sul comodino una bacchetta che non c'è. Sta per alzarsi e cercare la via di fuga più vicina possibile, quando distingue dei lineamenti familiari nell'oscurità. Il ragazzo le sta dicendo qualcosa ma lei avverte solo il rumore del battito accelerato che le rimbomba nelle orecchie.
    È diventata paranoica, Malia. Si addormenta ormai con estreme difficoltà, un occhio sempre attento verso l'entrata del loro dormitorio, come se da un momento all'altro dovesse fare irruzione qualcuno. Non sa perché è diventato tutto così difficile all'improvviso: le altre ragazze non si fanno problemi e vivono con serenità questa nuova condizione, ma lei non ci riesce, e piuttosto sta sempre sul chi va là, pronta a difendersi da un eventuale attacco; per questo motivo, quando scorge il Serpeverde, tira quasi un sospiro di sollievo.
    « Mi hai spaventata » mugugna, con la voce ancora impastata di sonno. Poi torna a posare la testa sul cuscino e chiude gli occhi di nuovo. « Il letto di Eris è quello là, idiota » borbotta piccata, indicando un punto alla sua sinistra, prima di tirarsi le coperte fin sopra alla testa. Non ha fatto caso alle sue parole, confusa com'è. Ha semplicemente presunto, per abitudine, che il ragazzo sia qui per la Corvonero. Spera che decidano di andare da qualche altra parte. O che, per lo meno, non facciano troppo rumore, considerata l'ora.
    Si sistema meglio sul letto, nell'attesa che l'abbraccio di Morfeo torni a cullarla, e soprattutto che la presenza di Sam svanisca mentre lei torna ad infilarsi nei suoi sogni. La disturba ancora però, e pare ce l'abbia sul serio con lei, perché quando apre nuovamente gli occhi si ritrova con una bottiglia di qualcosa che le viene sventolata sotto il naso. Sbadiglia. « Ma che ora è? » chiede guardandosi intorno, ancora troppo assonnata per elaborare per bene tutte le informazioni che riceve.
    Per adesso, ha compreso solo che Sam è nella sua camera, ed è lì per lei; e questo è parecchio strano, perché ha perso il conto delle settimane che sono passate dall'ultima volta che hanno parlato, loro due. Se non si conta la volta in cui, qualche sera fa, lei gli ha chiesto se aveva da accendere.
    Forse non c'è un motivo preciso che spieghi questo loro allontanamento. Tutto dev'essere cominciato quando lui è diventato all'improvviso più freddo e distaccato, e Malia, semplicemente, l'ha lasciato fare. Lei, che nell'abbandono ci annega da una vita, si è arresa troppo presto a qualcosa che credeva inevitabile. Perché, per un motivo o per un altro, a lei sembra sempre di finire così. Non riesce a sopportare l'indifferenza, perché le cose sono bianche oppure nere, non possono esserci margini d'incertezza. Piuttosto si è sforzata, negli ultimi tempi, di non pensarci più a Sam, nonostante la tentazione sempre forte, nonostante l'impulso ancora vivo di prenderlo per le braccia, scuoterlo e chiedergli, chiaro e tondo, Ma che ti ha preso? Ha smesso di pensarci, a lui, perché c'è stata quella stranissima lezione di Divinazione che vuole solo dimenticare, e poi tutti quei pensieri strambi e i film mentali che si è fatta successivamente, e poi Kingsley, il trasferimento nei sotterranei, e c'è stata Tris... Aveva bisogno di chiarirsi le idee per un po', e l'ha fatto disfacendosi di quella persona che aveva già deciso di disfarsi di lei.
    « Ho sonno » mugugna con la voce roca, in un lamento che deve risultare veramente poco credibile, perché pronunciato mentre è già seduta sul bordo del letto a infilarsi un paio di calzini, giusto per non camminare completamente scalza per i sotterranei. Non pensa effettivamente a quello che sta facendo. Non pensa alle volte in cui gliene ha dette di tutti i colori alle spalle, con Olympia come testimone, non pensa a quando entrambi per i corridoi preferivano spostare lo sguardo piuttosto che salutarsi; lui le chiede di seguirlo e lei, come tutte le volte, pende dalle sue labbra.
    Senza fare troppo rumore si mette all'impiedi, e lo segue fuori dalla stanza, per poi chiudere la porta di questa accuratamente, così da non svegliare Eris e le altre. Una volta nei corridoi stretti e angusti dei sotterranei, lascia che sia lui a guidarla, e rimane alle sue spalle, procedendo a passo lento e assonnato, mentre con una mano cerca di dare una riordinata ai lunghi capelli ancora arruffati. La camminata e la luce che c'è fuori dai dormitori la risvegliano un poco, e all'improvviso si sente immersa in un altro momento, riesce quasi a sentire in lontananza la musica assordante della discoteca, avverte addosso le luci calde e soffuse, e si accorge che anche a distanza di un anno e mezzo la scena non è cambiata. Lei che segue Sam, a prescindere dalla destinazione. A prescindere da tutto.
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    Svoltano l'angolo, e quando si ritrovano nella piccola e angusta Sala Comune che Kingsley ha allestito per loro reietti di Hogwarts, Malia pianta i piedi per terra. Lo lascia proseguire per qualche metro, verso un altro corridoio, fino a quando non lo vede voltarsi per controllare che ci sia ancora. Non dice niente, semplicemente occupa un posto in una poltroncina piccola e cigolante. Probabilmente era da buttare. Non c'è nessuno in giro, a quest'ora, e la cosa un po' la infastidisce. È come se anche il suo respiro fosse troppo rumoroso. Porta le ginocchia al petto e si rannicchia contro la poltrona, come una bambina stanca dopo una giornata piena di giochi, e aspetta che sia Sam ad avvicinarsi a lei, per poi tendere la mano verso di lui perché le porga la bottiglia. Ne studia l'etichetta per qualche istante, per poi sollevare lo sguardo sul Serpeverde. « Lo so che da ubriaca sono molto più divertente e di compagnia » che magari per questa sera tutte le altre erano occupate e all'ultimo ti sei ricordato di quella sciocca Grifondoro che puoi manipolare come vuoi, che ti basta un sorriso ed è fatta. Che abbiamo sempre fatto così, noi due, basta una bottiglia e ci si dimentica di tutto. « Però per questa volta mi sa che devi accontentarti della versione sobria e noiosa. » Perché non è così che si risolvono le cose. Sempre che tu abbia davvero voglia di risolvere qualcosa.
    Stringe il collo della bottiglia tra le mani, come se fosse una specie di antistress. Forse non era un'idea tremenda quella di Sam, bere e basta, probabilmente se avesse cominciato a mandare giù un po' d'alcol adesso non si sentirebbe così... in trappola. Non può più tornare nella sua stanza, e non può nemmeno far finta di nulla. Ubriacarsi è la scelta facile. Prende un grosso sospiro. « Perché sei qui? » Diretta e concisa, come è sempre stata. Non le è mai piaciuto girare a lungo intorno alle questioni, e d'altronde le domande scomode e fin troppo dirette sono sempre state la sua cifra. Non ha assolutamente voglia di indugiare in silenzi imbarazzati e non ha intenzione di aspettare che sia finita la bottiglia per dire quello che pensa.
    « Non si fa così, Sam. Non puoi ignorarmi per un anno intero e poi pretendere che una bottiglia di Ogden a caso lavori da sé. Stai cercando un modo per sentirti meno in colpa? Per poter dire a te stesso "Ehi, io almeno ci ho provato"? Perché se è così non c'è problema, sai. Se vuoi la faccio io la parte della stronza, quella a cui non è fregato niente e che ha preferito chiunque altro a te. Così puoi sentirti meglio, e ce ne torniamo a letto tutti e due » Sbatte le palpebre. Una, due volte. Si rende conto da sola di aver esagerato. Di avergli vomitato addosso tutto il veleno che ha dentro senza neanche dargli l'opportunità di parlare. Semplicemente perché è stato tutto così fastidioso che, se ne accorge solo adesso, di fronte a lui non sarà in grado di trattenere nulla. Di essere quanto meno diplomatica. Si strofina una mano su un lato della faccia, portandola poi ad aggiustare i capelli disordinati. « Scusa. Scusa, è che sono stanca » mormora a bassa voce, scuotendo la testa.
    La sfera di cristallo non mente mai, ha detto la prof, quel giorno, a Divinazione. C'era una luna piena inconfondibile e un grosso lupo che la fissava, dall'altra parte del vetro, con i suoi occhi sanguigni. Non le ha creduto nemmeno per un istante, perché quello che aveva visto non poteva essere possibile. E non ci crede nemmeno adesso. Però le sue parole continuano a riecheggiarle ripetutamente nella testa...
     
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    « Mi hai spaventata » Ritrae immediatamente la mano, dipingendo le proprie labbra con un sorriso tranquillo. « Il letto di Eris è quello là, idiota » Un sorriso che muore pochi istanti dopo aver sentito questa semplice e fragile costatazione. Non è consapevole di quanto Malia sappia di lui ed Eris, probabilmente abbastanza per dire una cosa del genere. Lascia scorrere lo sguardo sui letti intorno, individuando anche la Corvonero, poco più in là. Fa una smorfia con le labbra, tornando a Malia. «Per chi mi hai preso, Stone?» Probabilmente per il pezzo di merda che sei. In fondo, ti conosce meglio di quanto tu possa credere. E' vero, lo sa bene. Conosce alla perfezione ogni sfaccettatura del vecchio Samuel Scamander. Ma del nuovo? Che può dire? «Non ho sbagliato letto» si affretta ad aggiungere, che nel gergo contorto di Sam significa una cosa soltanto: nessuno sbaglio, cercavo proprio te. « Ma che ora è? » Alza il polso, per far finire sotto la fioca luce delle torce il quadrante lucente dell'orologio. Le una e mezza. Un'ora decisamente ragionevole per scambiare due chiacchiere con la persona con cui non si parla da mesi e mesi, se non per le semplici, banalissime frasi di circostanza. Come va? Il prof di Pozioni diventa sempre più noioso, non trovi? Hai da accendere? Ha una cartina? Hai sentito che caldo fa? Ehi hai visto Tris per caso? Tutte frase cretine, che non avevano il sapore di quello che erano stati un tempo l'una per l'altro e viceversa. Parole vuote, messe lì a caso, per provare a riempire l'imbarazzante silenzio che pian piano era andato scendendo tra di loro. Non erano altro che questo ormai: frasi inutili e sguardi carichi di disagio. «Abbastanza presto da domandarmi il perché una ragazza vivace come te è già a letto.» Risponde infine, scoccandole un'occhiata veloce, quasi avesse paura di soffermarsi su di lei troppo a lungo. Sicuramente la punta di stizza con la quale aveva puntualizzato la questione Eris poteva dirla lunga su quanto lei ce l'avesse con lui. Rimane ad aspettarla, alzandosi in piedi. La osserva, mentre sembra essere intenta a decidere su cosa fare. Seguirmi? Io probabilmente non lo farei. « Ho sonno » Sospira, evidentemente sollevato, quando la vede scegliere di andare con lui. La sente dietro le spalle, la sente respirare mentre si muovono furtivi al di fuori dei dormitori. Riesce a percepire il lieve acceleramento del suo battito cardiaco, grazie ai suoi nuovi sensi da stramboide. Scuote la testa, cercando di non mettersi in ascolto, di darle i suoi spazi, senza invaderli. Appoggia la mano al muro in pietra che costeggiano, lasciandola a seguirne il perimetro, fin quando non arrivano alla piccola Sala Comune che Kingsley ha allestito soltanto per loro. Ha un'aria talmente triste e misera da non essere mai riuscita a stuzzicare il palato del Serpeverde tanto da farcelo rimanere. Così prosegue oltre, senza quasi pensarci. E' soltanto quando sta per svoltare l'angolo, che non la percepisce più direttamente dietro di lui. Si volta e la vede prendere posto in una di quelle poltroncine malconce che sembra essere uscita direttamente dal mercatino dell'usato aperto ogni sabato, dietro casa di nonna Lucy. Ripercorre i propri passi al contrario, avvicinandosi a lei. Storce appena le labbra constatando quanto in effetti faccia schifo quel posto. Si siede sulla poltroncina affianco alla sua, mentre lascia andare la bottiglia tra le dita di lei. « Lo so che da ubriaca sono molto più divertente e di compagnia » La guarda senza dire una parola. La osserva nel minimo dettaglio. Non vi è molta luce nella stanza, ma lui può comunque vedere quanto le siano cresciuti i capelli, quanto sia stanca e quanto si siano induriti i suoi lineamenti quando si rivolge a lui. Non più come un tempo. Non più come sotto quelli luci rossastre, lì dove i sorrisi erano tutto, dove gli occhi sapevano parlare da soli, dove le labbra si chiamavano senza vergogna. Lì dove poteva sembrare tutto finto, frutto dei fumi dell'alcol che erano fluiti tra di loro. Ma lì dove avrebbe dato tutto per lei, se solo glielo avesse chiesto. « Però per questa volta mi sa che devi accontentarti della versione sobria e noiosa. » Alza un sopracciglio, leggermente stupito da quella constatazione che sapeva di amaro. Divertente e di compagnia. Sobria e noiosa. Malia dice quelle cose e per un attimo Sam si domanda se effettivamente crede che quello sia il suo pensiero su di lei. Perché no, non è assolutamente così. Non l'ha mai pensato perché non si può pensare una cosa del genere di Malia Stone. La vitalità e l'allegria fatta persona. « Perché sei qui? » La domanda arriva come Sam si aspettava. E' sempre stata così lei, decisa, diretta, dritta al punto, senza tergiversare. Forse è per questo che gli è sempre piaciuta tanto. Perché ha sempre saputo tenergli testa, con una propria linea di pensiero, una propria opinione da difendere, senza lasciarsi calpestare da quelle altrui. Apre la bocca per provare a dire qualcosa, quando viene investito, letteralmente, dal suo attacco verbale. « Non si fa così, Sam. Non puoi ignorarmi per un anno intero e poi pretendere che una bottiglia di Ogden a caso lavori da sé. Stai cercando un modo per sentirti meno in colpa? Per poter dire a te stesso "Ehi, io almeno ci ho provato"? Perché se è così non c'è problema, sai. Se vuoi la faccio io la parte della stronza, quella a cui non è fregato niente e che ha preferito chiunque altro a te. Così puoi sentirti meglio, e ce ne torniamo a letto tutti e due » Sbatte le palpebre, leggermente confuso. Non è un mistero che Sam sia tanto bravo nell'azione, quanto sia un disastro nel rispondere a parole. Non è abituato a farlo, solitamente lascia parlare per sé il proprio corpo, i propri gesti, i propri sguardi, le proprie mani. Ma è preso in contropiede da quelle parole. Se le aspettava, decisamente, eppure ne rimane comunque sorpreso. E così rimane a guardarla, in silenzio, mentre si allunga a strapparle dalle mani la bottiglia. Lei non avrà bisogno di bere, ma lui sicuramente sì. Ne ha un fottutissimo bisogno. La stappa velocemente e ne butta giù qualche sorso, mentre le sue scuse arrivano chiare e tonde alle sue orecchie. Ma le ignora, perché non è le sue scuse che vuole. Stacca la bottiglia dalle labbra e assottiglia gli occhi, mentre si accomoda con le spalle alla poltrona. «Credi sia questo il motivo per cui sono qui? Per cui ti ho cercato?» Abbozza un mezzo sorriso. «Per pulirmi la coscienza, lasciandoti passare per la stronza della situazione? So bene chi è lo stronzo qui, in questa stanzetta, e di certo non sei tu.» Si lascia catturare dall'ondeggiare ipnotizzante del liquido chiaro che si muove all'interno del recipiente che ha stretto tra le dita. «Mi conosco bene. So che sono un'emerita testa di cazzo e non sono riuscito a risparmiare nemmeno te» nel meraviglioso processo di me che distruggo ogni cosa che mi circonda. «Una bottiglia di Ogden non potrà parlare per me, con ogni probabilità - la alza a mezz'aria con un sorriso - ma mi era sembrato un buon punto di partenza. Un mattoncino per cominciare a ricostruire il ponte che è crollato tra di noi.» Si ferma qualche secondo, prima di aggiungere velocemente «Per colpa mia, sì, lo so bene.» Si riporta il vetro freddo alle labbra, lasciandolo cozzare contro il piercing, prima di umidificarlo con il Whisky caldo. «Sono qui per chiederti scusa, sai, per come mi sono comportato. Perché quando ho qualcosa di veramente bello tra le mani, la mia testa comincia a non ragionare più e scappo. E' una regola. Non voglio nascondermi dietro una giustificazione del cazzo, ma è così.» E' sempre stato così, dopotutto. Questo gli è stato insegnato da Coraline. La sua eredità di merda. Tale madre, tale figlio, no? «O perlomeno lo era.» Sì, perché a dispetto di tutti e tutto, lui è cambiato. Può dire di aver fatto qualche passo avanti. Magari non perfetto, ma ci sta provando, con la sua cadenza lenta e misurata. «Tra qualche settimana sono fuori da Hogwarts, se Merlino vuole, e non potevo lasciare questo conto in sospeso, perché volevo finire come ho cominciato.» Un sorriso si apre timido sulle sue labbra, mentre la mente, senza volerlo, va alla ricerca del ricordo di quella mattinata passata dietro una statua a mangiare muffin e a punzecchiarsi. Al giorno in cui si erano conosciuti, poco dopo il suo arrivo al castello. Perché, fondamentalmente, Malia è un pezzo basilare della sua avventura in quella scuola. La sua prima amica, la sua prima confidente, la sua prima "siamo amici, eppure entrambi vorremmo di più". La sua prima volta al Dark Angel. Il suo primo bacio che sapeva di Liquid Luxury. La prima volta in cui si era sentito davvero felice, dopo tanto tempo. «Cosa ti racconterai domani, Stone?» «Domani è domani. Pensi che dovremmo ricordarcene, domani mattina?» Di certo lui l'aveva ricordata, come promesso. «Sono un coglione lo so. Ci ho messo un sacco a fare questo dannatissimo passo e mi dispiace davvero per tutto questo tempo perso inutilmente.»

     
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    « Sono qui per chiederti scusa, sai, per come mi sono comportato. Perché quando ho qualcosa di veramente bello tra le mani, la mia testa comincia a non ragionare più e scappo. E' una regola. Non voglio nascondermi dietro una giustificazione del cazzo, ma è così. » Scuote la testa Malia, ripetutamente e con fare concitato, a queste parole. L'ha ascoltato tutto il tempo, in un silenzio quasi religioso, con il palmo della mano che le sorreggeva il mento e il battito un po' accelerato per la piega che il discorso stava prendendo. Non si aspettava delle scuse; non così presto, per lo meno. Pensava che avrebbero cominciato a litigare ininterrottamente e a dirsi parolacce, e che sarebbe stata una discussione inutile la loro; e invece eccolo lì il nuovo Samuel Scamander, che si dà dello stronzo da solo e si prende la colpa, senza troppe remore. E Malia vorrebbe farselo bastare. Quanto vorrebbe che queste sue parole bastassero ad aggiustare tutto, che si potesse risolvere ogni cosa in un abbraccio e in un'ultima sbronza. Forse un paio di anni fa avrebbe potuto essere così: ma sono cresciuti ora, lei è cresciuta ed è diventato tutto all'improvviso più complicato. Anche le cose che fino a poco tempo fa sembravano semplici e lineari appaiono ora come tortuose e contorte, come annebbiate da una coltre di fumo grigiastro.
    Malia vorrebbe crederci, alle cose che dice Sam, con tutto il cuore, vorrebbe tornare ad essere quattordicenne e in preda alla sua prima cotta, quando illudersi era così facile e fidarsi delle parole dette quasi naturale. Vorrebbe dirgli che accetta le sue scuse, che chi se ne frega, capita a tutti, ma a lei, quando lo sente parlare, viene solo da ridere perché si ritrova a pensare a quanto deve essere veramente bella come cosa, visto che non è la prima volta che la gente scappa da lei. Le viene da ridere perché Sam si è trovato davvero un modo carino per spiegarle perché l'ha scaricata in questo modo. È divertente come, nonostante tutto, riesca ad essere sempre il solito, pronto a dispensare complimenti in giro. E se fino a qualche mese fa gli sarebbe bastata una semplice occhiata per farla sentire a posto con se stessa, una cosa troppo bella, adesso Malia non sa proprio come fare a credergli. Sono successe troppe cose negli ultimi mesi, è stato tutto quanto troppo deludente perché continuasse a mantenere quella scintilla di positività e gioia che l'ha sempre contraddistinta.
    « Tra qualche settimana sono fuori da Hogwarts, se Merlino vuole, e non potevo lasciare questo conto in sospeso, perché volevo finire come ho cominciato. Sono un coglione lo so. Ci ho messo un sacco a fare questo dannatissimo passo e mi dispiace davvero per tutto questo tempo perso inutilmente. »
    Si stringe nelle spalle, con fare impotente, mentre lo guarda sorseggiare il Whiskey dalla bottiglia, che ormai è tutta per lui. L'ha capito, che quello non è più lo stesso Sam di una volta. È cambiato fisicamente, certo, è più muscoloso e sembra quasi più alto rispetto ad un anno fa, e ogni tanto, mentre parlava, la Grifondoro è riuscita a notare espressioni nuove sul suo volto. Sospira. Che cosa dovrei dirti adesso, Sam? Le mani sul grembo torturano l'orlo della sua canotta, mentre le labbra si stringono l'una contro l'altra e cercano le parole giuste.
    « Mi sei mancato tanto » abbassa lo sguardo, continuando a guardare le sue mani, quasi vergognandosi di questa affermazione. Perché, dopo tutta quella indifferenza, dovrebbe essere in grado di dirgli qualcosa come Non me ne frega più niente di te, sei uno stronzo, vattene a quel paese. Ma il problema è che Sam è sempre Sam, e lei a dire le bugie non è mai stata tanto brava, così le parole vengono fuori in quella piccola stanzetta angusta esattamente come sono nella sua mente. « Io non lo so cosa ti è successo quest'ultimo anno, o forse... » o forse sì? Solleva lo sguardo su quegli occhi verde chiaro e per un attimo se li immagina rossi come il sangue, come le sue ferite di quella notte, come quelli che l'hanno fissata a lungo prima di attaccarla... Scuote la testa velocemente, serrando gli occhi, e scaccia via il pensiero. La Branwell dice solo cazzate, e la Divinazione non è una materia esatta. Potrebbe aver visto chiunque, in quella palla di cristallo, al posto di Sam. Potrebbe essere tutto un grande errore. Spera ardentemente che sia così. « Lo so che le cose cambiano. Che probabilmente sei cambiato tu e che non si è di certo è obbligati a rimanere amici per sempre. È solo che... me l'avevi promesso » Di starmi vicino. Di scrivermi. Di non lasciarmi andare come avevano fatto tutti quanti. La voce le si spezza un poco, nel ricordare frammenti di quelle che sembrano essere vite passate. Parole lontane, ricordi ormai quasi sbiaditi di uno dei momenti più duri della sua vita, di una malattia che la stava consumando e di una solitudine devastante. Sam, in quel frangente, era stato uno dei pochi a rimanere. E a prometterle di esserci. E accidenti a lei, non sa essere come lui, che forse ha già dimenticato tutto, lei certe cose ce le ha impresse dentro come calchi millenari.
    « Comunque... scuse accettate » sussurra poi, in un tono quasi impercettibile, perfino nel silenzio tombale della piccola Sala Comune. E adesso che vuoi fare? Come hai intenzione di ricostruirlo questo ponticello crollato? « Ciò non toglie che sei in ritardo, Sam. Se davvero ci tieni a me - se davvero ci tenevi - avresti potuto fare qualcosa prima, forse. » Sarebbe bastato uno sguardo. Un sorriso. Qualunque cosa per capire che quel rapporto c'era ancora, che non era morto e sepolto sotto a tutti quei silenzi. « Tu dici di avere l'abitudine di scappare di fronte alle cose belle, e io non ti so dire perché succede. So che a me capita sempre di trovarmi dall'altra parte, di essere quella che viene lasciata perdere, e non c'è bisogno che ti dica come ci si sente. Mi dispiace solo di esserci stata così male, e di averti pensato più del dovuto quando è ovvio che io non fossi minimamente tra i tuoi primi pensieri. Ma va bene così, lo capisco ed è giusto » si stringe nelle spalle, un sorriso debole e triste che distende le sue labbra. Si conosce, dopo tutto, e sa che non avrebbe potuto comportarsi altrimenti, né con Sam né con nessun altro che ritiene abbastanza importante. Perché è fin troppo testarda, e dà sempre il centodieci percento di sé, in ogni cosa: Malia è esattamente come quegli insetti piccoli e abbagliati che la sera, d'estate, vanno a sbattere contro la luce, di continuo, e non si arrendono mai, continuano a volare contro di essa e a sbatterci sempre più forte ogni volta, perché ne sono irrimediabilmente attratti, anche se finiscono per farsi male o uccidersi alla fine, loro comunque perseverano. E così anche la giovane Grifondoro non riesce a capire quando troppo affetto le fa del male, quando è ora di lasciar perdere e basta.
    Tira la testa all'indietro, appoggia la nuca alla poltrona dietro di sé. « Non lo so, io posso anche dirti che va tutto bene tra noi, che non c'è problema, perché davvero, lo sai che non mi piace portare rancore. E io ci credo che magari hai tutte le più buone intenzioni del mondo, ma onestamente le tue parole mi sembrano solo retorica. Sii sincero, cosa pensi di ricostruire se tra un paio di giorni te ne vai? » Pensi che vorrai vedermi d'estate? Pensi sul serio che non avrai niente di meglio da fare? Si ritrova a ridacchiare amaramente anche solo all'idea. È tutto così assurdo e paradossale che non riesce a rimanere del tutto seria. « Sono Malia, Sam. Sono sempre io. E non so se te lo ricordi, ma a me non piace per niente essere presa in giro così. Sono sempre la stessa. Tu forse nel frattempo sarai cambiato, che ne so, forse è pure vero che sei un lupo mannaro, ma io sono rimasta uguale. » Si lascia andare ad una risata leggera, come se avesse appena detto una battuta a caso, qualcosa di incredibilmente buffo e fuori contesto. Eppure ruota piano il capo, spostando lo sguardo con fare casuale su di lui. È la prova del nove. Non ha voglia di credere davvero a quello che ha appena detto, ma qualcosa dentro di lei la spinge in ogni caso a controllare la sua reazione, nella speranza di scorgere un'espressione confusa, di chi non ha capito di che cosa si stia parlando, oppure il nascere di una risata perplessa. Giusto per essere sicura.
     
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    Se c'è una cosa che Sam capisce velocemente, in quel frangente, è che vorrebbe essere completamente sbronzo. Essere ubriaco fradicio sarebbe la soluzione migliore perché il discorso si sta lentamente gettando in un dirupo di cui Sam non aveva minimamente previsto l'esistenza. Cosa ti aspettavi? Sembra dirgli la voce nella sua testa e lui non sa cosa rispondere, se non Non lo so, ma non questo. Perché le parole di Malia scivolano velocemente nel personale. « Mi sei mancato tanto » Anche tu, tanto ma non lo dice ad alta voce, perché dovrebbe? Cosa cambierebbe? Nulla. Se c'è una cosa che ha imparato di Malia è che è un libro aperto quando si tratta di decifrare il suo volto e in quel momento è pieno di rassegnazione, un sentimento che Sam non è mai riuscito a valicare, a sopportare. E' un sentimento che ha visto spesso negli occhi di suo padre e sapere di essere stato una tale delusione anche per Malia è probabilmente uno dei rammarichi più grandi della sua vita. Malia è un rimorso, un senso di colpa continuo per lui e ormai, per quanto voglia provare a metterci una pezza, una toppa per coprirsi gli occhi, sa che la polvere buttata sotto il tappeto torna sempre ad infastidire, prima o poi. « Io non lo so cosa ti è successo quest'ultimo anno, o forse... Lo so che le cose cambiano. Che probabilmente sei cambiato tu e che non si è di certo è obbligati a rimanere amici per sempre. È solo che... me l'avevi promesso» Annuisce, mentre si rituffa nel Whisky. Ne prende delle sorsate copiose, buttandole giù come niente fosse. Non gli bruciano nemmeno più gli occhi, tanta è l'abitudine e la familiarità che ha preso con sostanze tanto forti. Ancora una volta si ritrova a pensare che sarebbe dovuto andare da lei completamente fuori. Avrebbe potuto fare un salto in camera di Artie per rollarsi una canna veloce e farsi come una pigna. E' più facile quando a scioglierti la lingua è una sostanza stupefacente. Lui è tanto bravo con i fatti, quanto è incapace ad esternare a parole ciò che prova. Perché lui è un ragazzo, perché lui non può fare certe cose e in realtà non si tratta nemmeno più del potere o meno farle. La verità è che non riesce a farlo. Se fosse possibile, il lupo che cova all'interno del suo corpo lo rende ancora più deficiente quando si tratta di emozioni e sentimenti. «L'avevo promesso, è vero» borbotta, prima di coprirsi nuovamente la bocca con la bottiglia. Non sa come spiegarle che se si è allontanato, l'ha fatto anche per lei. Non c'è un modo semplice per farlo, non c'è un giusto modo per farlo. «Non vuole essere una povera giustificazione, ma avevo i miei motivi. Li ho tuttora, ma..- non potevo chiudere questo capitolo senza provare a salutarti, un'ultima volta - sì insomma, torniamo sempre al punto di partenza e mi sembra abbastanza inutile continuare a girarci intorno.» Gliel'aveva promesso, era vero. In uno dei periodi più brutti della sua vita, probabilmente. C'era stato in quel momento, c'era stato come meglio aveva potuto, e poi aveva semplicemente smesso di esserci. « Comunque... scuse accettate. Ciò non toglie che sei in ritardo, Sam. Se davvero ci tieni a me - se davvero ci tenevi - avresti potuto fare qualcosa prima, forse. » Annuisce, abbozzando un sorrisetto di circostanza, così lontano dai suoi soliti sorrisi, di quelli che arrivano ad illuminare perfino gli occhi. «Con te non vale proprio il motto "Meglio tardi che mai", eh?»
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    Il tono di voce quasi cantilenante, mentre ne ricerca lo sguardo per qualche istante, nella penombra di quella che ha tutta l'aria di essere una saletta d'attesa, piuttosto malconcia. «Ma è giusto, fa parte dei termini di resa. Continua pure.» Alza le mani, in segno di resa, cercando di sdrammatizzare un po', prima che arrivi la sua versione dei fatti. « Tu dici di avere l'abitudine di scappare di fronte alle cose belle, e io non ti so dire perché succede. So che a me capita sempre di trovarmi dall'altra parte, di essere quella che viene lasciata perdere, e non c'è bisogno che ti dica come ci si sente. Mi dispiace solo di esserci stata così male, e di averti pensato più del dovuto quando è ovvio che io non fossi minimamente tra i tuoi primi pensieri. Ma va bene così, lo capisco ed è giusto » Per la prima volta nella storia delle litigate che ha intrapreso negli anni, Sam si accorge che Malia non si sta vittimizzando. Solitamente gli capita spesso che la persona che ha di fronte lo faccia, ma non Malia. Anzi, sembra quasi capire il suo farsi indietro e questo riesce a lasciarlo quasi senza parole. Fa una smorfia, mentre ripensa a quelle parole. Sa come ci si sente dall'altra parte, in fin dei conti è quello che sua madre ha fatto con lui. Lasciarlo perdere. E mai una volta aveva pensato a come Malia avrebbe potuto registrare quel passo indietro. Mai una volta aveva pensato che la sensazione che lui provava pensando a sua madre era la sensazione che aveva provato lei, pensando a lui. Stupido coglione pensa, mentre stringe le labbra e allunga una mano verso di lei, senza saper bene cosa fare. Posa le dita sopra la mano di lei, sperando che lei non si ritragga, ma sapendo che è una possibilità più che ovvia, stando così la situazione. Ancora una volta non sa come spiegarle il casino che ha combinato, solo per non metterla in pericolo. «Se ho fatto quello che ho fatto è perché ho pensato a te, più spesso di quanto avrei dovuto probabilmente.» Guarda altrove, mentre continua a calarsi in quella fossa in cui si sente tutt'altro che a suo agio. Affrontare certi argomenti lo mettono in crisi, forse perché è la sua più grande paura quella di mettersi a nudo per poi vedersi rifiutato. « Non lo so, io posso anche dirti che va tutto bene tra noi, che non c'è problema, perché davvero, lo sai che non mi piace portare rancore. E io ci credo che magari hai tutte le più buone intenzioni del mondo, ma onestamente le tue parole mi sembrano solo retorica. Sii sincero, cosa pensi di ricostruire se tra un paio di giorni te ne vai? » La sua risata riesce ad infastidirlo, mentre scorge note amare nel suo tono di voce. Arriccia il naso, tirandosi indietro, richiudendosi nuovamente in se stesso e in quella bottiglia. Forse ha ragione lei. Era meglio se me ne stavo a dormire e tante care cose. «Stando così le cose, probabilmente nulla Commenta piano, mentre continua a bere. Malia è testarda, lo è sempre stata e lui si sente un coglione per aver pensato di poter salvare il salvabile in calcio d'angolo. L'orgoglio ti fotte l'anima. E sembra farlo seriamente, con entrambi, perché mentre la sente parlare, Sam combatte contro il desiderio ruggente che lo vuole far alzare, darle le spalle e andarsene via. Sarebbe sicuramente più facile che stare a farsi tartassare per avere delle spiegazioni che non può darle. Ma non lo fa. E' un'altra cosa che ha imparato a fare. Combattere se stesso e combattere il proprio orgoglio, la parte più considerevole del suo essere. Porta la testa all'indietro, poggiandola contro lo schienale e chiude gli occhi, provando a trovare una via di fuga da quel momento di impasse. « Sono Malia, Sam. Sono sempre io. E non so se te lo ricordi, ma a me non piace per niente essere presa in giro così. Sono sempre la stessa. Tu forse nel frattempo sarai cambiato, che ne so, forse è pure vero che sei un lupo mannaro, ma io sono rimasta uguale. » Sam è cambiato in molte cose, è vero. E' diventato più bravo anche nell'arte del simulare, ma ha ancora delle falle in quella del dissimulare. E nel sentire quelle parole non riesce a nascondere ogni emozione. Alcune sembrano sfuggirgli per strada, mentre spalanca gli occhi di scatto e le unghie delle dita della mano destra affondano nel bracciolo della poltroncina. Sente il tessuto squarciarsi sotto di esse perché non capisce dove la ragazza voglia andare a parare, con quell'accenno, buttato lì, quasi per caso. Un amo a cui lui ha abboccato come il coglione che è. «Ma che- comincia a dire, scrollando la testa, mentre abbozza una mezza risata che muore sul nascere. Smettila di fare il cazzone. Smettila di proteggerla da un qualcosa che non sa. Non avrai mai occasione migliore di questa per parlare. Così prende un grande respiro, mentre allenta la presa sulla poltrona, muovendo a mezz'aria le dita indolenzite e la guarda negli occhi. Fisso, imperterrito, forse per la prima volta quella sera. «Ok, basta cazzate.» Venire allo scoperto, prendersi le proprie responsabilità e mettersi a nudo. Decide di prendere questa strada, in pieno, senza ritrarsi in alcun modo, senza evitare alcuna verità. «Non voglio nemmeno sapere perché hai messo in mezzo questa cosa, dandola per certa. Non voglio sapere come hai fatto a saperla riprende, facendo una scaletta mentale delle cose che le vuole dire, scoprendo soltanto in un secondo momento che in realtà, non sa proprio come dirgliele. «Ti ricordi quando l'anno scorso, a Gennaio, sono tornato al castello con il bastone?» Domanda. Sente il battito accelerare e sa il perché. Non è tanto per quello che sta cercando di rivelarle ma per quella che sarà la sua reazione. Conosce Malia e sa com'è fatta ed è per quello che non aveva voluto toccare quell'argomento nemmeno in quell'occasione. Perché il toccarlo avrebbe rovinato tutto, definitivamente. E in maniera permanente, con tutta probabilità. «Beh non sono caduto dalle scale, seppur fosse veramente la gamba a farmi male.» Lo sguardo serio, le labbre bloccate in un'inverosimile linea piatta. Senza pensarci troppo, tira su l'orlo dei pantaloni della gamba destra, lì dove vi è ancora la cicatrice, pallida e non più trasfigurata dagli incantesimi di suo padre. Se ne sta lì, fiera, ad adornare la sua caviglia come un bottino di guerra, senza alcuna vergogna. «E' per colpa di questa che non riuscivo a camminare, a starti vicino senza perdere le staffe, a far finta che fosse tutto normale. E' per colpa di questa che non sono più io.»
     
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    Malia sta odiando Sam. Normalmente una bottiglia di Whiskey rubata direttamente dalle cucine del castello sarebbe una sorpresa più che gradita per lei, ma in questo momento non vorrebbe fare altro che togliergliela dalle mani e scaraventarla da un'altra parte. È fatta così, detesta non essere nemmeno guardata mentre parla, in special modo adesso che sta riversando alla luce tutti i suoi sentimenti dell'ultimo anno. E lui invece se ne sta lì a fissare un punto indecifrato nella stanza e a sorseggiare il suo Whiskey, e forse queste non sono le sue intenzioni, ma la fa sentire come l'ultima ruota del carro, del tutto ignorata, poco importante. Che poi le risponda di tanto in tanto, in modo coerente e puntuale con il suo discorso, dimostrando così di essere attento ad ogni sua parola, per lei poco importa. Ha bisogno di attenzione, quella vera, che non sia solo mentale ma anche fisica. Vuole guardarlo in quegli occhi chiari sempre capaci di farla rabbrividire e sputargli le cose in faccia, non ha voglia di recitare una parte parlando al suo profilo che continua a tracannare da una bottiglia.
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    Stringe le mani in due pugni dunque, per mascherare la sua irritazione, perché non vuole essere troppo dura anche in questo aspetto, ha già storto le labbra in una smorfia poco convinta nel sentirlo parlare del fatto di aver avuto i suoi motivi per allontanarsi da lei, o nell'udire le vane speranze di un "meglio tardi che mai" che no, Sam dovrebbe saperlo bene questo, con lei non può funzionare. Come potrebbe essere? Per lei le cose sono bianche oppure nere, non esistono vie di mezzo; ed è capace di perdonare, per carità, l'ha fatto così tante volte nella sua vita, ma solo quando si ritrovava di fronte a qualcuno che riteneva essere davvero sincero. E forse adesso Sam lo è, ma è difficile esserne certi, e non fa che ripetersi che tutta questa discussione non ha il minimo senso - perché se anche risolvessero qualcosa oggi, non cambierebbe nulla. Lui andrebbe via dal castello, certo, magari con la coscienza pulita, e loro due, sorte permettendo, si incontrerebbero di nuovo un giorno, forse tra vent'anni ad una rimpatriata degli ex alunni di Hogwarts o in un negozio a caso a Diagon Alley, e forse farebbero pure fatica a riconoscersi. E allora Malia, più ci pensa, a questa cosa, e più difficile le risulta trovare un'utilità a tutto quanto.
    « Se ho fatto quello che ho fatto è perché ho pensato a te, più spesso di quanto avrei dovuto probabilmente »
    A queste parole non può fare a meno che lasciarsi andare ad una sonora e amara risata, che riecheggia roca nella stanzetta angusta. Questa sì che è divertente. S'irrigidisce d'istinto, tirando via la mano dalla stretta di lui, quasi nauseata. « Ti prego Sam, ma ce la fai? Hai voglia di smetterla di raccontarmi stronzate oppure no? Non hai neanche il coraggio di guardarmi in faccia! » sospira profondamente e appoggia la schiena contro il bracciolo della poltrona, come a volersi distanziare il più possibile da lui anche da ferma in quella posizione. Le viene difficile da credere, che quello che le sta di fronte in questo momento è proprio Sam, quel Sam con cui le discussioni vertevano sempre su argomenti allegri, mai troppo seri, lo stesso che aveva sempre la battuta pronta e un modo per sdrammatizzare. Quello dallo sguardo sincero. Adesso non è del tutto certa di chi le si ritrovi davanti, ma sicuramente non si tratta della stessa persona. Questo pensiero in particolare la riempie di tristezza e nostalgia, tanto da essere costretta per qualche istante a voltarsi da un'altra parte e coprirsi il viso con una mano, mentre sbatte più volte le palpebre nel tentativo di asciugare gli occhi già lucidi.
    Non ha voglia di sentirsi dire da lui che è particolarmente importante, o che l'ha pensata in questi mesi, fare la primadonna non è stata mai una delle sue cifre; le piace pensare di essere capace di compiere un passo indietro con le persone, quando necessario, si è convinta di aver fatto bene con Sam, lasciandolo perdere quest'ultimo anno, come lui le stava tacitamente chiedendo, e solo adesso si accorge di quanto quei silenzi e quelle parole non dette le abbiano fatto male. E di quanto, nonostante tutte le buone intenzioni, possa essere avvelenata dalla situazione, tanto da avere la malizia per lanciare la sua ultima frecciatina. Lo fa per essere sicura, accertarsi che le sue paranoie non siano reali, in fin dei conti non c'è niente di male, si dice mentre parla, eppure si ritrova presto a cambiare idea e a pentirsi delle proprie parole nell'osservare la reazione del ragazzo.
    Aveva pregato con tutta sé stessa di vederlo sorpreso e confuso, di sentirlo ridere prima di chiederle che cosa c'entrassero i lupi mannari con loro due, aveva desiderato ardentemente qualsiasi segnale che potesse confermarle che Sam non aveva la più pallida idea della cosa a cui lei stesse alludendo; e invece riceve in cambio un paio di occhi spalancati - potrebbe indicare qualunque cosa - le dita della sua mano che si stringono intorno al bracciolo della poltrona - devo preoccuparmi? - una mezza risata che la fa rilassare per un istante e poi un sospiro profondo. Quest'ultimo la inquieta non poco, e resta sull'attenti, come se il movimento millimetrico di anche solo un dito di lui potesse darle la risposta che cerca. Non sa come sia possibile, eppure è come se le sue parole, così all'improvviso, avessero spezzato un muro invisibile di cui non conosceva nemmeno l'esistenza.
    « Non voglio nemmeno sapere perché hai messo in mezzo questa cosa, dandola per certa. Non voglio sapere come hai fatto a saperla. »
    « Allora è tutto vero! » È scattata all'impiedi Malia, senza nemmeno rendersene conto. Se ne sta esattamente di fronte a lui e lo guarda fisso, l'espressione amareggiata e delusa. Lei lo sapeva. Aveva ragione la Branwell e aveva ragione la sfera, avrebbe dovuto capirlo subito. Senza neanche capire come, si ritrova col respiro corto.
    « Ti ricordi quando l'anno scorso, a Gennaio, sono tornato al castello con il bastone? Beh non sono caduto dalle scale, seppur fosse veramente la gamba a farmi male. » Incrocia i suoi occhi chiari, che forse per la prima volta questa sera si degnano di guardarla, e sente qualcosa dentro lo stomaco. E non sono farfalle, è un vero e proprio ciclone, che le impedisce di fare altro se non annuire silenziosamente alle parole del ragazzo. Eccome se se lo ricorda, quel periodo. Era stato proprio durante quei mesi che Sam aveva cominciato ad essere strano, freddo, scostante... e spesso facilmente irritabile. « E' per colpa di questa che non riuscivo a camminare, a starti vicino senza perdere le staffe, a far finta che fosse tutto normale. E' per colpa di questa che non sono più io. »
    Come paralizzata, la mora resta ferma a guardare la cicatrice chiara sulla caviglia di Sam e istintivamente porta una mano sul proprio braccio, a sfiorare le tre piccole cicatrici a forma di artiglio ancora ben visibili sulla sua pelle, anche dopo anni di distanza. Cerca subito di dissimulare il gesto, incrociando le braccia al petto, gli occhi che ancora restano fissi sulla gamba di Sam. Ricorda ancora come se fosse ieri il dolore degli artigli di quel lupo mannaro conficcati nella carne. Non sa cosa dire, né in che modo dirlo.
    « Sam, io... » mi dispiace? Non te lo meritavi? Ti compatisco? Che tatto ha la presunzione di mostrare dopo la frecciatina insensibile che gli ha lanciato qualche istante fa, costringendolo a confessarle tutto? Prende un grosso respiro, per riordinare le idee e per acquistare del tempo. Solleva lo sguardo fino a incrociare gli occhi del ragazzo, che ora vestono un'espressione nuova e che lei non sa decifrare. Si ritrova a pensare, quasi per caso, all'ironia della cosa: in questo momento ha di fronte a sé al contempo uno dei suoi terrori più grandi, di fronte al quale sarebbe capace di scappare a gambe levate, e una delle persone la cui assenza nella sua vita è più dolorosa. Un altro sospiro. « Perché non mi hai detto niente? » lo guarda, triste. Il suo viso ha perso l'amarezza, la rabbia e la delusione: adesso è solo profondamente malinconica. « Perché hai sentito il bisogno di fingere che fosse tutto normale con me? Perché non mi hai semplicemente detto come stavano le cose e... non lo so, perché non ti sei confidato? » si avvicina a lui di qualche passo, e riesce quasi a specchiarsi in quelle iridi verde chiaro. Si ritrova a domandarsi se mantengano il proprio bel colore durante la trasformazione, o se anche quelle di Sam diventino rosse cremisi come quelle di chi l'ha assalita, quella notte di Natale anni prima. « Pensavi che non sarei riuscita a mantenere il segreto? O che non ce l'avrei fatta a sopportarlo? » domanda ancora, e non ha bisogno di ricevere una risposta, perché il ricordo della sé stessa di un anno prima le è sufficiente a capire tante cose. Ricorda bene quanto fosse avvelenata quel Gennaio, perché appena guarita da una malattia che sembrava inguaribile, ce l'aveva con il mondo intero. Ma è passato un anno. Dodici mesi in cui avrebbe potuto dirle qualcosa, qualunque cosa, e invece ha scelto di non farlo. Si passa una mano tra i capelli, confusa e sopraffatta da tutto quanto, incapace nemmeno di nascondere il velo di lacrime che ora le appanna la vista. « Devi spiegarmelo adesso. Perché hai deciso di tagliarmi fuori così arbitrariamente. Perché non ti sei fidato. Io avrei... avrei... fanculo Sam, ci avrei provato, a farti stare meglio, a consolarti! E magari avrei fatto schifo, ma non ti avrei mai voltato le spalle. Perché non mi hai nemmeno dato questa opportunità? Perché mi hai voluto fuori dalla tua vita in questo modo? »
     
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    Incassa il colpo, senza dir nulla. Continua a non fermarsi con gli occhi nei suoi, come lei ha espressamente puntualizzato. Non lo fa per vergogna o imbarazzo. Lo fa perché non gli va di vedere in quegli occhi oscuri la delusione che è certo vi vedrebbe in risposta ad ogni parola pronunciata da lui. Ha paura di leggervi la derisione, la stessa che avverte in quella risata amara e in ognuna delle parole affilate che gli rivolge. O nel suo ritrarre la mano, perché non vuole avere nemmeno più un minimo contatto con lui. Serra la mascella, continuando a buttare giù l'alcol in solitaria. Continuando a fingere che sia tutto okay, che se non gli vuole credere, che faccia pure, peggio per lei, non è importante. A lui non importa. Eppure quando la vede voltarsi, coprendosi il viso, capisce immediatamente che sta cercando di nascondere le lacrime impietose che le hanno riempito gli occhi. Fa una smorfia di disappunto, vorrebbe dirle di non piangere, vorrebbe dirle tante cose, ma non se c'è una cosa che non vuole assolutamente è essere preso a pesci in faccia, come ha fatto pochi istanti prima, noncuranti dei suoi possibili sentimenti. Perché lei crede che lui non ne abbia affatto, che lui non sia fatto altro che di pietra e marmo, incrollabile. Uno stronzo di prima regola.
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    « Sam, io... » Poi però sembra cambiar idea, quando le racconta la sua storia. Quando le racconta il perché, i suoi motivi. La gente sembra capire solamente la tristezza, il dolore. Tutto il resto si può anche lasciare correre, ma le persone non riescono a rimanere impassibili di fronte alla tristezza e questa, Sam, è una cosa che odia. Perché non vuole essere compatito, non vuole essere oggetto della compassione di nessuno. Specialmente di quella di Malia. Così scrolla la mano, come a volerla fermare, come a voler bloccare quel fiume di parole di dispiacere sul nascere. « Perché non mi hai detto niente? » Incrocia il suo sguardo e anche esso è cambiato. Di pari passi con il tono di voce, si è fatto più triste e malinconico, senza più alcuna traccia di ironia e scherno. «Non volevo la tua pietà ai tempi, come non la voglio ora.» Risposta deficiente ed è così che si sente in effetti, ma non trova di meglio da dire per giustificare quel comportamento da..deficiente. « Perché hai sentito il bisogno di fingere che fosse tutto normale con me? Perché non mi hai semplicemente detto come stavano le cose e... non lo so, perché non ti sei confidato? Pensavi che non sarei riuscita a mantenere il segreto? O che non ce l'avrei fatta a sopportarlo? » Fa per annuire ma si blocca subito, perché preferisce farla proseguire, farla sfogare fino in fondo, così da riuscire a riordinare anche le proprie idee per darle la risposta che merita. Per dirle tutta la verità che si merita di sentire, dopotutto. « Devi spiegarmelo adesso. Perché hai deciso di tagliarmi fuori così arbitrariamente. Perché non ti sei fidato. Io avrei... avrei... fanculo Sam, ci avrei provato, a farti stare meglio, a consolarti! E magari avrei fatto schifo, ma non ti avrei mai voltato le spalle. Perché non mi hai nemmeno dato questa opportunità? Perché mi hai voluto fuori dalla tua vita in questo modo? » Scrolla la testa e a quel punto è la sua la risata amara a rompere il silenzio che si è andato formando sopra di loro. Come deve esserselo ricordato lei, Sam non ha mai scordato il giusto e giustificato accanimento di Malia contro i lupi mannari. Per colpa di quella che è diventata la sua razza, a Malia è stato portato via così tanto. Pezzi di pelle, tempo, sonno, felicità. E stupidamente, Sam aveva creduto di fare un favore ad entrambi non aprendo bocca, non dicendole quell'orribile verità di cui, ai tempi, si vergognava quasi si fosse macchiato della colpa più orribile. «Sai cosa? Essenzialmente puoi credere che io ti abbia tagliato fuori deliberatamente perché mi ero stufato di te, perché di te non me ne facevo più nulla. Perché in fondo è così che tutti mi vedono, forse lo sono anche in realtà, penso di non esserlo fino in fondo, ma sì insomma, mi sta bene, davvero. Non mi sto lamentando e non è un discorso da vittima o qualsiasi altro intento tu ci possa vedere dietro.» Parla con un'innaturale calma, quasi avesse perso le speranze, una volta per tutte. Forse perché era stanco di provare a fare del bene, pur sbagliando qualsiasi cosa. Forse perché aveva creduto di star facendo la cosa migliore, un po' per tutti. Forse perché la strada per l'inferno è lastricata di buone intenzioni e lui ci aveva anche un po' creduto che, un giorno, quando le avrebbe rivelato la verità, lei si sarebbe fatta semplicemente una risata, capendo la sua posizione senza pensare ad altro. «Ma io me lo ricordo cosa ti hanno fatto i lupi mannari. Cosa ti ha fatto la mia razza La fissa, inclinando il viso verso l'alto. «Credi che fosse facile per me, appena trasformato, con i miei continui sbalzi d'umore, i miei continui attacchi d'ira, starti vicino?» E' una domanda a cui lei non potrebbe comunque dare una risposta, dato la sua scarsa fiducia nei confronti delle sue parole, la maggior parte delle volte. «Non avrei sopportato che tu mi vedessi come il mostro che ti ha attaccato a Natale. Che ha trasformato un tuo amico, che ha ucciso un innocente. Come coloro che ti hanno costretta a letto per un'intera estate, tra tagli profondi, sangue sgorgante e allucinazioni.» Ora riesce a sentire come la voce abbia cambiato tonalità, come si sia fatta più concitata e infervorata. «Forse sì, mi avresti capito. Probabilmente non subito e io in quel momento non potevo rischiare di perdere completamente le staffe. Perché sì, se te lo stai domandando, un tuo rifiuto aperto, uno schiaffo sordo in piena faccia, anche fosse stata questione di uno, due o tre giorni, me le avrebbe fatte perdere, immediatamente Alza un sopracciglio, piegando le labbra in un sorrisetto indecifrabile. Come a volerle dire "Ti sfido a contraddirmi, ora. Fallo, provaci pure." «Avevo due problemi: la tua reazione e la mia reazione. Ho avuto paura, sono andato in panico. Ho problemi di fiducia, sai tutti i fantasmi del mio passato che mi fanno luccicare gli occhi, tutte quelle cose così. Probabilmente è per questo che non sono stato smistato a Grifondoro come te.» Triste forse, ma essenzialmente vero. La paura, per colpe proprie e di terzi, in determinati casi non l'avrebbe mai abbandonato. La spada di Damocle che era per lui l'abbandono l'avrebbe sempre seguito, come una fedele compagna. Che poi gli altri non fossero tutti delle merde come sua madre questo poco importava nell'equazione generale che si andava formando nella sua testa confusa. Lui sarebbe stato sempre quello svogliato, ma ambizioso. Ma raramente temerario quando si trattava di lasciarsi andare all'indietro, sapendo che qualcuno era lì per lui, pronto a prenderlo. «Ho pensato che fosse più facile per tutti che tu mi vedessi per lo stronzo che sono, invece che per quello in cui mi hanno trasformato.» Un altro sorriso, questa volta più sincero, che raggiunge persino gli occhi, illuminandogli per qualche secondo. «Suppongo che possiamo aggiungere alla lista di scuse perpetue anche questa cazzata. Conto di imparare a rimediare.» Si morde il labbro inferiore, producendo un rumore metallico, sbattendo contro l'anellino. «Prima o poi.»

     
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    Checché se ne possa dire in giro, a Malia litigare non è mai davvero piaciuto. Forse c'è in qualche modo portata, il suo tipico fervore e la risposta pronta la avvantaggiano sempre in questi casi, tanto che in tutta la sua vita le discussioni che non l'hanno vista come trionfante possono davvero essere contate sulle dita di una mano; eppure, a discapito di questa sua grande abilità, i contrasti non sono mai stati una cosa di suo gradimento. Per quanto possa essere testarda e ferma nelle sue convinzioni, anche adesso avrebbe soltanto voglia di fermare tutto quanto, sedersi accanto a Sam, magari sul bracciolo della sua poltrona, e cominciare anche lei a sorseggiare da quella bottiglia insieme a lui, senza proferire più parola: e così chiudere la serata. Forse sarebbe davvero la conclusione perfetta, perché se già discutere è una cosa assai fastidiosa, farlo con gli amici e con le persone che in generale sono per lei importanti, è decisamente uno strazio. Al contempo, però, è determinata ad avere ragione o, quanto meno, a far valere le sue condizioni: e si ritrova quindi in questo limbo dal quale non sa uscire, vorrebbe avere l'umiltà di deporre le armi e riconoscere che ci sono cose più importanti della vittoria, ma non ci riesce, nemmeno con Sam. L'aria si è fatta improvvisamente più pesante intorno a loro, e ogni singola parola adesso pare densa e pregna di significati ancor più di prima: come se la rivelazione del ragazzo avesse d'improvviso spalancato le porte a nuovi campi ancora inesplorati, come se tutti i discorsi fatti fino ad ora non fossero altro che la punta di un iceberg immenso tutto da scoprire.
    Le fa quasi male avvertire la tranquillità con cui il ragazzo ha cominciato a parlare, come se di colpo tutte le emozioni fossero state risucchiate via dalla sua voce, proprio adesso quando dovrebbero essere proprio il pathos ed i turbamenti d'animo a guidare i suoi discorsi. Le fa male perché sente di averlo ferito, anche se inavvertitamente, ma non è capace di scusarsi o rimangiarsi quello che ha detto: perché l'ha fatto con convinzione, e di punti di vista ce ne sono sempre due in una storia, e lei, ora come ora, non avendo modo di verificare quello di lui, deve andare avanti con ciò che ricorda di questi mesi, con quello che lei ha sentito addosso di questa distanza.
    « Ma io me lo ricordo cosa ti hanno fatto i lupi mannari. Cosa ti ha fatto la mia razza. Credi che fosse facile per me, appena trasformato, con i miei continui sbalzi d'umore, i miei continui attacchi d'ira, starti vicino? »
    Le sue parole la fanno sussultare. Sente un nodo allo stomaco, stringe più forte le braccia al petto e prende un respiro: sta per dirgli che non è vero, che quella non è la sua razza, che lui è un'altra cosa, ma quando fa per parlare resta a bocca aperta senza dire nulla. Si accorge che avrebbe detto qualcosa di inesatto, che Sam adesso è, di fatto, un lupo mannaro - rabbrividisce: scuote leggermente la testa per mascherare la reazione e per scacciare via il pensiero il più velocemente possibile - e che probabilmente lui stesso, dopo un anno e mezzo, non ha più difficoltà a riconoscersi come tale. È solo lei ad essere impressionata dalla cosa, perché è un concetto nuovo e per quanto possa averci rimuginato sopra durante le ultime settimane, immaginandolo come una mera possibilità, ritrovarsi di fronte alla realtà nuda e cruda è tutta un'altra cosa. Si morde il labbro inferiore, con forza, quasi a voler sentire il sapore del sangue sulla lingua, perché è tutto quello che riesce a fare ora: lui l'ha lasciata senza parole, completamente presa in contropiede da un evolversi degli eventi che non poteva immaginare prima. Quindi tiene i pugni stretti lungo i fianchi e si tortura le labbra con i denti mentre lo guarda parlare, a qualche passo da lui.
    « Non avrei sopportato che tu mi vedessi come il mostro che ti ha attaccato a Natale. Che ha trasformato un tuo amico, che ha ucciso un innocente. Come coloro che ti hanno costretta a letto per un'intera estate, tra tagli profondi, sangue sgorgante e allucinazioni. »
    Chiude gli occhi, istintivamente. Strizza le palpebre forte, e scuote la testa velocemente, come se questi gesti riuscissero da soli a cancellare dalla sua memoria le immagini che Sam sta riportando a galla. Che non può sopportare. « Smettila! Non avrei mai potuto- non sei stato tu a fare quelle cose » si affretta a dire, senza però avere la certezza di quale tra i due sia la persona a cui vuole ricordare questa cosa. Continua ad accarezzarsi il braccio, proprio sulla cicatrice, come se all'improvviso avesse cominciato ad avvertire un freddo incredibile lì nei sotterranei. I brividi, lei, li sente in ogni caso. L'ha sorpresa sentire quanto bene Sam ricordi certi dettagli della sua vita, dall'attacco di quel Natale ai sintomi orribili di quella malattia atroce, che lui stesso aveva avuto modo di visionare. Ed è bravo, lui, a dimostrare la sua causa, perché dopo queste parole Malia non potrebbe di certo riportare in tavola la discussione dell'essere stata troppo trascurata.
    « Forse sì, mi avresti capito. Probabilmente non subito e io in quel momento non potevo rischiare di perdere completamente le staffe. Perché sì, se te lo stai domandando, un tuo rifiuto aperto, uno schiaffo sordo in piena faccia, anche fosse stata questione di uno, due o tre giorni, me le avrebbe fatte perdere, immediatamente. »
    Serra le labbra, mentre lo ascolta in silenzio religioso, per poi sospirare profondamente. È in procinto di rispondergli anche stavolta, vorrebbe dire che lei non l'avrebbe mai rifiutato, che avrebbe capito sin da subito la situazione, ma poi non va avanti: perché capisce che non sarebbe stato esattamente così, e che Sam ha ragione, perché una rivelazione del genere ha bisogno di tempo per essere assimilata e lei, molto probabilmente, visto lo stato mentale in cui si trovava al tempo, e la sua avversione nei confronti della razza che così tanto le aveva tolto in quegli anni, gliel'avrebbe richiesto. Si ritrova a pensare anche allo stato di fragilità in cui si era dovuto ritrovare lui nei primi tempi, e comincia a capirlo un po' di più. Mettersi nelle scarpe degli altri fa male, lo dice sempre, lei, perché si finisce per dimenticare la propria causa: e ora come ora lei non riesce a pensare a niente di più stupido di alcune delle cose che è riuscita a dire questa sera.
    « Avevo due problemi: la tua reazione e la mia reazione. Ho avuto paura, sono andato in panico. Ho problemi di fiducia, sai tutti i fantasmi del mio passato che mi fanno luccicare gli occhi, tutte quelle cose così. Probabilmente è per questo che non sono stato smistato a Grifondoro come te. Ho pensato che fosse più facile per tutti che tu mi vedessi per lo stronzo che sono, invece che per quello in cui mi hanno trasformato. Suppongo che possiamo aggiungere alla lista di scuse perpetue anche questa cazzata. Conto di imparare a rimediare. Prima o poi. »
    Lo lascia parlare, dandogli spazio per esporre ogni suo pensiero, mentre resta ferma e in silenzio al suo posto. Si pente quasi di essersi alzata in piedi, così di scatto, perché ora sta sovrastando Sam e lo guarda dall'alto verso il basso, come se fosse pronta a processarlo, e così è tutto più strano. Ma è persa nelle sue parole e non ha voglia di distrarlo tornandosi a sedere sulla poltrona, nonostante l'imbarazzo.
    Quando capisce che Sam non ha più nient'altro da aggiungere, prende un grosso respiro. Come cominciare? Non sa esattamente cosa vuole dirgli, non ha capito da sola quali sono le cose a cui vuole dare priorità in tutto questo casino. « Forse hai ragione » dice, abbassando lo sguardo e concentrandosi sui propri calzini scuri. « Guardando indietro ad un anno fa, forse non sarei stata subito comprensiva. Non dopo tutto quello che era successo » si ritrova ad ammettere, un po' sconfitta. Ma su questo Sam non può che avere ragione, è inutile anche solo provare a negarlo. « Ma devi smetterla di parlare come se le mie disavventure fossero colpa tua. Lo sai che io sono capace di discernere e che non c'entra assolutamente niente. Tu sei... sei stato solo sfortunato, tremendamente sfortunato, Sam. Ma non riuscirei mai a riversare l'odio che ho per quelle persone su di te. Sono due cose distinte e separate. Non sei quello che ti è capitato - resti sempre Sam, nonostante tutto quanto. I mostri sono altri. » Sospira, con calma, mentre cerca di riordinare le idee, nella speranza che quello che ha appena detto sia stato recepito nel modo giusto dal Serpeverde. La parola che ha usato, poi, mostro, l'ha fatta rabbrividire come non mai. E l'idea che possa essere stata davvero la paura, a bloccarlo, la sorprende non poco. Ma in fin dei conti nessuno è mai davvero senza paura, nemmeno una Grifondoro come lei, sempre tenace e pronta ad affrontare di petto qualsiasi difficoltà. La paura, lei, se la ricorda bene: le ha riempito i polmoni e l'ha fatta gridare forte quella sera alla Stamberga Strillante, le ha causato allucinazioni e incubi tremendi ancora ricorrenti. Nonostante tutto, sa bene che cosa vuol dire essere completamente paralizzati dal terrore, e non riuscire nemmeno a raccogliere le forze per urlare. Si ricorda le nottate insonni in preda al panico al San Mungo e il tremore perenne, di tutto il corpo. Ricorda il sorriso di Sam e le sue lettere di quell'estate, le parole gentili e le battute che riuscivano a farla ridere anche quando tutto faceva male. Solo questo avrebbe voluto: avere l'opportunità di fare lo stesso per lui, di essere lei un'ancora in un momento di difficoltà. Inventarsi battute stupide per sdrammatizzare e ascoltarlo in silenzio sfogarsi. Non essere un peso. « E niente, la mia tanto temuta reazione è questa: non mi interessa. Avrei preferito essere più plateale o avere qualcosa di più originale da dire, ma la verità è che sapere questa cosa di te non cambia minimamente quello che provo- cioè, sì, quello che penso di te. Forse sei un po' meno stronzo di prima nella mia testa. » E nello stesso istante un breve sorriso, il primo da un tempo che sembra infinito, si allarga sulle sua labbra, rivolto principalmente a Sam. « Io e te siamo sempre gli stessi, e le cazzate che facciamo non ce le risparmia nessuno. Sono stata una prepotente, mi dispiace averti praticamente costretto a condividere questa cosa con me anche se non volevi » sospira, abbassando un po' lo sguardo, leggermente imbarazzata. Ammettere i propri errori è una delle cose che le risulta più difficili, ma si sforza di farlo, perché, dopo questa sua confessione, sente di doverglielo come minimo.
    Incrocia il suo sguardo di nuovo, specchiandosi a lungo in quegli occhi verdi. Fa qualche passo in avanti, come a voler testare il terreno, nella speranza che lui non sia troppo arrabbiato da ritrarsi come ha fatto lei poco prima. Una volta avvicinatasi, si mette a sedere per terra a gambe incrociate, ai piedi della sua poltrona, proprio accanto alla sua caviglia ancora scoperta. Ne traccia i contorni con un dito, delicatamente, spiando attenta la sua reazione dal basso. Non vorrebbe fare niente di troppo fastidioso o inappropriato, eppure sente quasi il bisogno di entrare in contatto, in qualche modo, con quella parte di lui. Conoscerla. Il pensiero che l'abbia tenuta all'oscuro di una cosa del genere per un anno intero le fa ancora male. « Avrei solo voluto poter essere d'aiuto. Quest'ultimo anno... mi sono convinta di aver fatto qualcosa di sbagliato io, o semplicemente di averti stancato, non saprei dirti. Ho fatto un sacco di pensieri. Vorrei che capissi che non è stato assolutamente meglio così. Specie considerato il bene che ti voglio. Che visualizzarti come il solito stronzo di turno non è stato né più facile né più piacevole, almeno per me - e non credo tu ci abbia guadagnato qualcosa. Quindi per la prossima volta, per favore, non fare l'idiota - parlami. »

     
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    Sam prende consapevolezza in quel momento. Si accorge che la sua vita è un continuo chiedere scusa, per qualsiasi cosa. E' diventata questo: continuare a mettere una toppa lì dove ha fallito miseramente, lì dove pur pensando di far del bene, ha fatto peggio. Succede con tutti ultimamente. Con Eris, con suo padre e ora persino con Malia. E' un continuo chiedere scusa il suo, senza precedenti e pur sapendo che è la cosa giusta da fare, comincia a stargli stretta questa vita. Vorrebbe cominciare semplicemente a fare la cosa giusta, invece che abbassare poi la testa, nel tentativo di scusarsi con il mondo intero. Scrolla la testa, portandosi nuovamente la bottiglia alle labbra. Butta giù tre sorsi pieni, con la speranza di poterci annegare un po' in quel mare di alcol. Ma non gli fa più niente, ormai e non perché sia diventato ormai immune, ma perché il morso gli ha tolto anche la parte più genuina che c'è dietro il bere fino a dimenticarsi perfino il proprio nome. E' più resistente, regge meglio qualsiasi cosa, persino quello. Ed è snervante, perché lo ha privato di una parte così importante per lui, lanciandolo nell'abisso di un turbinio di emozioni contrastanti, che ora riesce a controllare, a malapena, ma continua ad infastidirlo non poco. Tutto amplificato: i colori, i suoni, i profumi, la rabbia, il dolore e sì, anche la gioia. « Smettila! Non avrei mai potuto- non sei stato tu a fare quelle cose » Alza lo sguardo, per incontrare il suo, di scatto. L'animale dentro di lui ha un leggero sussulto. Non se l'aspettavano, nessuno dei due. Né il ragazzo, né il suo animale. E non per una questione di sfiducia nei confronti di Malia e della sua possibile reazione fuori dal comune, no. Si aspettavano un tono di voce elevato, una qualche imprecazione delle sue, un continuare a rigirare il coltello nella piaga. Ma non di certo una giustificazione alle sue assurde paure. "Non sei stato tu a fare quelle cose." Fa una smorfia, leggermente imbarazzato nell'essere messo di fronte alla realtà dei fatti. L'animale scalpita e lui si abbandona a lui. Non siamo stati noi a fare quelle cose. Non siamo stati noi. Ed è così che sembrano trovare pace entrambi, mentre osservano gli occhi scuri di Malia dal basso, che non hanno mai avuto così tante sfumature, come le hanno ora. Non sono più soltanto neri, talmente scuri da non riuscire a distinguere nemmeno la pupilla. Sono diversi, sono di un marrone più caldo, vi sono delle tonalità diverse a rendere così ombrosi quelle iridi. Questa volta continua a tenerle testa. Non abbassa lo sguardo per paura di scorgere nel suo nient'altro che disapprovazione e tristezza. Non lo lascia scivolare altrove se non in quello di lei perché è lì che ha bisogno di rimanere, mentre lei scende a patti con la nuova natura di lui. Mentre lei si abitua all'idea di non avere più soltanto Sam di fronte, ma un lupo mannaro. Non più soltanto un essere umano, ma un animale che si nasconde nei meandri della sua anima, fondendosi con ogni sua cellula, diventando tutt'uno con ogni suo respiro, con ogni suo battito, con ogni suo sguardo affilato. Rimane lì a guardarla, mentre gli occhi di lei fanno lo stesso, dall'alto, da una posizione privilegiata. Si guardano, si scrutano, alla ricerca di qualche appiglio, che faccia tornare a galla le persone che erano state al Dark Angel, durante le lezioni, al ballo del Ceppo, dietro quella statua nel corridoio. « Forse hai ragione. Guardando indietro ad un anno fa, forse non sarei stata subito comprensiva. Non dopo tutto quello che era successo. Ma devi smetterla di parlare come se le mie disavventure fossero colpa tua. Lo sai che io sono capace di discernere e che non c'entra assolutamente niente. Tu sei... sei stato solo sfortunato, tremendamente sfortunato, Sam. Ma non riuscirei mai a riversare l'odio che ho per quelle persone su di te. Sono due cose distinte e separate. Non sei quello che ti è capitato - resti sempre Sam, nonostante tutto quanto. I mostri sono altri. » E lui la
    tumblr_nh9r4pOxJj1s710zro6_250
    ritrova immediatamente lì la sua Malia. La ritrova in quelle parole inaspettate che gli strappano un sorriso amaro. Tremendamente sfortunati, entrambi nel loro trovarsi in posti sbagliati nei momenti sbagliati. Così dannatamente vero. La vede strofinarsi il braccio, lì dove anche lei porta i segni che un lupo mannaro ha deciso di lasciargli, in consegna. I mostri sono altri, non noi dice più all'anima di quel lupo che si muove imbizzarrita sul fondo del suo stomaco, felice come un cucciolo quando il proprio padrone torna a casa la sera dopo una giornata di lavoro. « E niente, la mia tanto temuta reazione è questa: non mi interessa. Avrei preferito essere più plateale o avere qualcosa di più originale da dire, ma la verità è che sapere questa cosa di te non cambia minimamente quello che provo- cioè, sì, quello che penso di te. Forse sei un po' meno stronzo di prima nella mia testa. » "Quello che provo." Lei si corregge velocemente, ma a lui non sfugge. Non gli sfuggono più tante cose ultimamente. Crede sia l'istinto animale . «Oh, saresti la prima a pensarlo. Una consolazione.» Non rimarca sul punto che lei ha sapientemente evitato, quasi come una mina sotterrata sul campo di battaglia. Sorride, appoggiandosi alla poltrona con le spalle. E' esausto, quasi avesse corso tutta la notte nella foresta. E' probabilmente l'effetto combinato della pozione Antilupo e di quella discussione. « Io e te siamo sempre gli stessi, e le cazzate che facciamo non ce le risparmia nessuno. Sono stata una prepotente, mi dispiace averti praticamente costretto a condividere questa cosa con me anche se non volevi » Fa un gesto veloce della mano, come a dirle di lasciar perdere. «Non voglio le tue scuse. Non devi scusarti di nulla tu Scrolla il capo, accennando un mezzo sorriso, mentre le sue dita giocano con l'inizio della bottiglia. Ne seguono il profilo, quasi ipnotizzate dalle incanalature di quel vetro freddo. Ma ben presto i suoi occhi vengono catturati dai movimenti di lei. Si alzano a guardare quelli di lei mentre gli si fa vicina con lentezza, quasi a voler valutare la reazione di Sam di fronte a quel passo avanti. Rimane immobile, osservandola senza dire una parola, mentre si accascia ai suoi piedi. E diventa immediatamente tutto così dannatamente intimo quando lei appoggia un dito sulla cicatrice che gli adorna la caviglia. Socchiude gli occhi, mentre muove la testa di lato, in un gesto lento, che serve a prendere confidenza con quel tocco delicato. Non si aspettava una reazione del genere, ma in fondo se lo sarebbe dovuto un po' immaginare: Malia Stone è una sorpresa continua. Gliel'ha sempre detto, ha sempre tenuto a precisarglielo, eppure nel momento più buio, proprio lui si è dimenticato quelle parole. Malia è sorpresa, la sorpresa inaspettata che riesce a farlo sorridere nel pensare all'indomani. Il bisogno di lei di conoscere quella nuova parte di lui lo fa sentire strano, ma nel senso bello della parola. Lo fa sentire piacevolmente bene e non non nel significato più letterale da dare al termine. Ma in quello più profondo, quello che riesce a far calmare l'animale dentro di sé, con una semplice carezza. « Avrei solo voluto poter essere d'aiuto. Quest'ultimo anno... mi sono convinta di aver fatto qualcosa di sbagliato io, o semplicemente di averti stancato, non saprei dirti. Ho fatto un sacco di pensieri. Vorrei che capissi che non è stato assolutamente meglio così. Specie considerato il bene che ti voglio. Che visualizzarti come il solito stronzo di turno non è stato né più facile né più piacevole, almeno per me - e non credo tu ci abbia guadagnato qualcosa. Quindi per la prossima volta, per favore, non fare l'idiota - parlami. » La sua voce sembra arrivare da lontano, mentre lui continua a godersi quel momento privato. Un momento che capisce di non aver mai condiviso con nessuno, nell'ultimo periodo. Dean, Tris, Eris sono a conoscenza del suo segreto, ma Sam non hai mai avuto il coraggio di confessarlo a nessun'altro. E lei ora lì, a tracciare le linee di quel morso che l'avevano trasformato in altro, che l'avevano reso un'altra persona che doveva ancora conoscere, una persona alla quale non era abituata del tutto. Apre gli occhi velocemente e attento a non spaventarla, si protrae in avanti verso di lei. Allunga una mano, questa volta con decisione e la porta sotto il suo viso, così da costringerla ad alzarlo, verso di lui, per poterla guardare. Le sorride, ad appena qualche centimetro di distanza dal suo viso, scuotendo la testa, mentre quel sorriso appare triste e malinconico allo stesso tempo. «Non mi sono mai stancato di te. Voglio che tu lo capisca. E sì, lo so che è stupido dirtelo a cose fatte, ma è così Non può permettersi di andarsene da Hogwarts con Malia che pensa certe cose. Lui non si è mai stufato di lei, sarebbe corso da lei un giorno sì e anche quello successivo, se solo avesse creduto di fare del bene ad entrambi, così facendo. Stupido, sì è sempre comportato da tale, in fondo. «E prometto di venire a parlarti, in futuro, smettendola di fare l'idiota.» Le accarezza il viso con il palmo della mano, questa volta sorridendo veramente. «Perché sì, ho intenzione di mantenere la mia promessa questa volta. Il fatto che mi diplomo non cambia niente tra me e te. Il mio indirizzo e il mio numero li sai, io so i tuoi e so dove posso scriverti, così come lo sai te. Non durerà tanto questa storia, in fondo se riesco a diplomarmi io, ce la puoi benissimo fare tu.» Questa è la volta buona che la smetto di essere un deficiente, te lo prometto. Riesce quasi a scorgere il riflesso di se stesso nei suoi occhi e ciò che vede, finalmente, riesce a piacergli. Perché prima di quel momento non aveva potuto più guardarsi attraverso gli occhi di Malia, lei che l'ha sempre filtrato meglio di chiunque altro, riuscendo a fargli piacere l'immagine che aveva di lui. E in quel momento ci riesce nuovamente, pur senza aggiungere altro a quel momento talmente inclusivo da togliere il fiato. «E' una promessa, Stone.» Sperando che per te valga ancora qualcosa.

     
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    C'è un che di insolito in quello scambio di sguardi. Le iridi chiare di Sam non si muovono da quelle di Malia, e forse per la prima volta in questa serata la giovane riesce a leggervi la determinazione d'un tempo, che fino a poco fa pareva essere eclissata da una frustrazione e da una tristezza che così poco si addicevano al suo carattere. Lui è sempre stato quello allegro, positivo nonostante tutto, pronto a far ridere i compagni e a sdrammatizzare ogni situazione. Da quel che si ricorda, Malia non ha mai visto un Samuel Scamander abbattuto o arreso, e notare quel nuovo spiraglio nel suo sguardo, forse un barlume di speranza dopo le sue stesse parole, la rincuora come poche cose.
    Cerca di immaginarselo, sotto la luna piena, mentre le sue anatomie di ragazzo mutano in quelle di un animale selvaggio, mentre si trasforma esattamente in quella bestia che per anni ha popolato i suoi incubi più terrificanti. Qualche istante dopo si accorge che in realtà non ha bisogno di usare la fantasia, non deve immaginare proprio nulla perché l'ha già visto: ha osservato con gli occhi pieni di orrore la figura del Serpeverde mutare forma all'improvviso, attraverso una sfera di cristallo, l'ha visto assumere gli stessi artigli che l'hanno ferita e ringhiare con le stesse zanne che l'hanno minacciata; l'ha visto diventare a tutti gli effetti tutte le sue più grandi paure, e solo adesso, che
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    si rende conto del fatto che quella visione fosse reale sente tutto il peso di questa rivelazione crollarle addosso come un'incudine, e avverte per la prima volta un brivido agghiacciante lungo la schiena. Percepisce la cicatrice di Sam ruvida sotto i polpastrelli, e ogni tocco le ricorda un secondo in più di quella notte che ha cercato con tutta se stessa di dimenticare, negli ultimi anni. L'indice segue lento i contorni rosacei, centimetro per centimetro, e gli occhi rossi di quel mannaro le invadono di nuovo la mente. Ci è andata così vicina, lei, ad essere trasformata. A morire come quel ragazzo.
    Solleva lo sguardo per guardare Sam. Vorrebbe chiedergli che aspetto assume, una volta trasformato: di che colore è il suo pelo, se è davvero una bestiacosì terrificante come dice. Vorrebbe chiedergli cosa prova, quando è in quel corpo così diverso dal suo, se riesce a mantenere la propria identità o se l'animale è capace di prendere il sopravvento anche su quello. Sono troppe le cose che vorrebbe sapere, ma si costringe a frenare la propria curiosità, per adesso. Non è certa di quale sia il sentimento di lui al riguardo, e l'ultima cosa che vuole fare è metterlo a disagio e costringerlo a parlare di qualcosa a cui non ha voglia di dedicarsi - non di nuovo, per lo meno. Capisce di averlo già preso in contropiede con i suoi movimenti, forse troppo invadenti, e adesso non è il caso di trascinarlo anche in una conversazione poco piacevole sulle abitudini di un lupo mannaro. Lui però non si scosta dal suo tocco, e lei continua a delineare le forme di quella cicatrice a mezzaluna, quasi ne fosse in qualche modo ipnotizzata. Pensa a quanto poco tempo ci voglia - si tratta di attimi, niente di più, così irrisori da non capirci nulla - affinché la tua vita cambi del tutto. Basta un morso. È sufficiente abbassare la guardia un secondo, e sei fottuto.
    Anche lei adesso ha abbassato la guardia, gli occhi fissi sulla caviglia di lui ma persi da qualche altra parte, in un altro tempo. Per poco non sussulta quando lui si fa più vicino e porta una mano sotto al suo mento, costringendola a guardarlo negli occhi, ad una distanza irrisoria. « Non mi sono mai stancato di te. Voglio che tu lo capisca. E sì, lo so che è stupido dirtelo a cose fatte, ma è così. » Deglutisce, senza mai distogliere lo sguardo dalle iridi verdi di lui, e dalle sue pupille che sembrano perlustrarla a quella distanza. Vorrebbe rispondere, dirgli qualcosa che possa consolarlo, in qualche modo, ma si ritrova a corto di parole. Forse certe ferite hanno semplicemente bisogno di più tempo per rimarginarsi. Sposta l'attenzione sulle sue labbra piene, incurvate in un sorriso quasi amaro, e per un istante pensa di poterci leggere dentro tutti i rimpianti, tutta la frustrazione, tutto il senso di colpa e il dolore che deve aver provato nell'ultimo anno: lì, su quelle labbra piegate a metà vede la cicatrice più brutta di tutte, uno di quei segni che appare di rado ma che col tempo non se ne va e forse non guarisce. È difficile per lei immaginare concretamente gli eventi che devono averlo spezzato, all'interno, ma per qualche istante soltanto, non di più, pensa di poterne percepire l'intensità attraverso quello sguardo. Viene sopraffatta da un senso di impotenza, che la costringe a sospirare, impercettibilmente. Non posso aiutarlo. « Perché sì, ho intenzione di mantenere la mia promessa questa volta. Il fatto che mi diplomo non cambia niente tra me e te. Il mio indirizzo e il mio numero li sai, io so i tuoi e so dove posso scriverti, così come lo sai te. Non durerà tanto questa storia, in fondo se riesco a diplomarmi io, ce la puoi benissimo fare tu. È una promessa, Stone. »
    Risponde al suo sorriso, lei, con uno a labbra chiuse, un po' più tirato. Una mano raggiunge quella di lui, ferma sulla sua guancia, e la prende, per poi incrociare le dita con le sue. Resta in silenzio qualche istante, per poi scuotere la testa, piano. « Lascia perdere: ho deciso che non mi piacciono più tanto le promesse. Tanto non funzionano mai » si stringe nelle spalle, con semplicità. E non si tratta più solo di lui. Se la giovane potesse avere un galeone per ogni promessa non mantenuta che ha ricevuto, si ritrova a pensare, probabilmente adesso sarebbe ricca. Resto con te, ti guardo le spalle, non ti abbandono. Un mucchio di stronzate senza fine, le verrebbe da pensare, ma sa che non è così. Sa che tutte le persone che le hanno promesso qualcosa, incluso Sam, l'hanno fatto credendoci. Ma forse la vita è troppo imprevedibile e sorprendente per potersi davvero appigliare alla parola data. Forse si dovrebbe semplicemente fare quello che si vuole quando si vuole, e fanculo a tutto il resto. Non resterà a ad aspettare una lettera di Sam solo perché glielo ha promesso. « Onestamente, puoi fare quello che ti pare. Non mi aspetterò niente da te. Se avrai voglia, mi verrai a trovare, o mi manderai un gufo, e io farò lo stesso con te. Tanto adesso la scusa del lupo mannaro non puoi più usarla » scherza, sollevando un angolo delle labbra all'insù. « È inutile sforzarsi di legarci in questo modo da promesse che non siamo certi di poter mantenere, in futuro. Facciamo solo le cose che abbiamo davvero voglia di fare » conclude, decisa, mentre solleva lo sguardo a incrociare quello del ragazzo. Non le piace l'idea di essere un peso, di diventare a un certo punto qualcosa che va fatta perché imposta dall'alto. Se un giorno, tra qualche anno, Sam dovesse annoiarsi all'idea di scriverle, o di vederla, vuole semplicemente che smetta di farlo, nel modo più sincero e autentico possibile. E lei ha intenzione di fare lo stesso, di vivere per ciò che vuole davvero e non farsi scappare nulla, perché ormai ha capito che tutto cambia, che un giorno sei in un modo e quello dopo diventi un'altra persona, con nuovi desideri e nuovi bisogni; che basta un attimo ad abbassare la guardia e il tuo mondo può capovolgersi. Allora le promesse, e le parole, quelle servono davvero a poco, se non a riempire degli spazi vuoti di nient'altro che aria. Malia, i suoi spazi, vuole vederli ricolmi di oggetti, di sorrisi, di ricordi, di abbracci, di tutte quelle cose che puoi sentire davvero sotto le punte delle dita e che avranno sempre lo stesso significato, nonostante il tempo. Non vuole perdere niente di tutto questo, a discapito di un mucchio di parole che un giorno vorranno dire qualcos'altro.
    Forse sono proprio queste ultime riflessioni, o forse è lo sguardo di Sam, fermo su di lei, a spingerla a fare una di quelle cose di cui probabilmente il giorno dopo si pentirà; un classico gesto avventato tipico di Malia, tutto pancia e niente cervello, di quelli che basta solo narrarli per descrivere tutta la sua natura. Si solleva un poco dalla sua posizione, gli occhi fissi in quelli di Sam, una mano che raggiunge l'orlo della sua maglietta, all'altezza del petto, e lo attira di più a sé, tanto da sfiorare le labbra con le sue. Dura un secondo, niente di più: un bacio veloce, leggero e delicato come una carezza. Fa in tempo a percepire la morbidezza delle labbra di lui, che si è già allontanata, lentamente. Non si muove con fare precipitoso, come se all'improvviso si fosse pentita del proprio gesto: semplicemente, vuole che duri così poco, il tempo di una scarica elettrica ed è tornata a guardarlo da una certa distanza. « Scusa » dice, a voce più bassa, ma non si sta davvero scusando per quello che ha fatto, quanto più per l'averlo colto forse di sorpresa. « È che tra un paio di giorni te ne vai » e allora poi chi lo sa che cosa diventeremo davvero, l'uno per l'altra? « Mi mancava » si stringe nelle spalle, nel modo più naturale possibile. Si alza di nuovo in piedi, sistemandosi meglio l'orlo della maglietta del pigiama, poi gli rivolge un breve sorriso, pronta a fare ritorno nella sua stanza. « Buonanotte, Sam. »


    Edited by chärlie - 1/9/2017, 15:40
     
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    Si chiede in quell'istante come abbia fatto ad avere paura del giudizio di Malia. La guarda mentre continua ad entrare in confidenza con quella sua bruttura, la sente seguire il segmento frastagliato di quella cicatrice che non lo abbandonerà mai e si rilassa sotto il suo tocco. E' gentile, non ha paura, è delicata, senza titubanze. Sta facendo un qualcosa che Sam non si sarebbe mai aspettato da lei, pur facendo esattamente la cosa più nel suo stile possibile: accettarlo, senza remissioni, senza colpe, senza celarsi dietro una maschera bella solo all'apparenza. Lo sta accettando come solo lei può farlo, come lui avrebbe dovuto prevedere. Ma forse, proprio quel suo non vedere possibilità di dialogo riguardo quel discorso, gli fa apprezzare tanto quel momento. Il pensare di non avere chance è forse il moto propulsore di quel sentimento strano che gli contorce lo stomaco. Un qualcosa di agrodolce, che si muove, che accarezza dolcemente l'animale e incuriosisce il ragazzo. Strana sensazione come strana è quella situazione. Quasi surreale. Mai si sarebbe immaginato di affrontare una discussione del genere, mai avrebbe pensato di essere lui quello ad avere un sorriso tirato sulle labbra, un sorriso che di vero ha poco, di falso fin troppo.
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    « Lascia perdere: ho deciso che non mi piacciono più tanto le promesse. Tanto non funzionano mai » La rassegnazione che legge nelle parole di lei gli fa male? Forse, smuove qualcosa, quel senso di colpa che ha cercato di tenere a bada, giustificando a se stesso le sue decisioni con il semplice "bene superiore." Quel bene al quale si era appellato fin troppe volte, quando aveva pensato a lei. Perché è per il suo bene che mi sono allontanato si diceva appena svoltava l'ennesimo corridoio per ritrovarsela davanti, bella e fiera come sempre, forse con uno sguardo più spento del solito nell'incontrare quello di lui, ma pur sempre viva, pur sempre con la stessa solita opinione su di lui. Uno stronzo. Perché è questo che è sempre stato e forse questo quello che si è abituato ad essere, senza tirarsi indietro, per comodo, per quella piacevole abitudine che si è creata nel tempo. Ma ora quel senso di colpa ritorna prepotente nel guardarla negli occhi, che appaiono ancora una volta triste. L'accettazione che vi legge dentro lo ferisce. Sa che non ne ha alcun diritto, ma lo fa lo stesso, inconsciamente. Perché sa di averlo creato lui quel problema, quell'amara e disincantata consapevolezza del mondo. E se non ne è il responsabile in toto, lo è in minima parte. Sapeva che sarebbe andata a finire così. Alla delusione negli occhi di chi lo guarda è ormai è abituato, ma non alla sua. Quella è la prima volta che la nota e questo lo costringe a mordersi l'interno del labbro per non dire altre stronzate. « Onestamente, puoi fare quello che ti pare. Non mi aspetterò niente da te. Se avrai voglia, mi verrai a trovare, o mi manderai un gufo, e io farò lo stesso con te. Tanto adesso la scusa del lupo mannaro non puoi più usarla. È inutile sforzarsi di legarci in questo modo da promesse che non siamo certi di poter mantenere, in futuro. Facciamo solo le cose che abbiamo davvero voglia di fare » Annuisce, con un vago sorriso a tirargli su gli angoli delle labbra. Capisce finalmente il suo punto di vista, più maturo e consapevole. Malia è cambiata in quell'anno. Sam non ha assistito a quella crescita ma l'ha fatto. E non solo esteriormente, ma piuttosto internamente. E' cresciuta, è diventata più responsabile, più attenta al dettaglio, più affilata nei modi di fare. Non sembra avere più i sogni tipici di ogni ragazzina. Il principe azzurro che la cercherà sempre, il cavallo bianco, la favola di amore infinita. Forse non li ha nemmeno mai avuti quei sogni, Sam non lo sa. Ma sa quanta importanza dava alle promesse e ora capisce che Malia ha deciso di non fare più affidamento sulle parole altrui. Ha deciso di non aspettarsi più niente, forse per proteggersi, forse perché stanca di essere lasciata indietro. La capisce, quindi, alla fine. Capisce ogni punto del suo ragionamento, ma decide di stemperare un po' l'atmosfera che si è fatta fin troppo pesante. In fondo, per quanto cambiato, quel lato di Samuel Scamander, quello cazzaro, quello giullaresco è ancora lì, ben presente e ancorato alla sua anima. «Oh, Stone, perché non l'hai detto prima? Questo discorso menefreghista e piuttosto disfattista fa di te la fidanzata ideale numero 1 nella mia testa.» Piega un angolo delle labbra in un sorrisetto sornione, uno di quelli che aveva fatto per lei in moltissime altre occasioni. Continua a muovere il pollice su e giù dalla sua guancia, quando la sente muovere, alzarsi e protrarsi verso di lui. Gli occhi continuano a fissarsi, nero profondo su verde reso scuro dalla penombra. Capisce all'istante dove vuole andare a parare e seppur nella sua testa una vocina fastidiosa gli urla di allontanarsi, lui rimane fermo, immobile, aspettando il momento in cui le labbra di Malia si infrangono contro le sue. Dura un secondo, forse due, al massimo tre. Un qualcosa di destabilizzante, che non si aspettava, ma che si ritrova a desiderare, appena lei si stacca, con la stessa velocità in cui si è avvicinata. « Scusa ». Non scusarti, non farlo. Non voglio le tue scuse. « È che tra un paio di giorni te ne vai » Non aveva nemmeno pensato a quell'eventualità quando aveva preso abbastanza coraggio da riuscire a parlarle. Non aveva pensato che sarebbe finita con Malia che lo baciava. Ma forse, si ritrova a pensare, è la giusta quadratura al cerchio che è stato per lui l'esperienza ad Hogwarts. Cominciare e finire con lei. Ma lei si tira indietro e la mano che fino a quel momento ha trovato il giusto incastro con il suo viso ricade contro la sua gamba. Alza gli occhi, stringendoli appena, mentre la osserva, senza dire nulla. « Buonanotte, Sam. » Stringe le labbra e si ritrova a scuotere la testa, piuttosto deciso. Allunga la mano, senza nemmeno pensarci, e la stringe intorno al suo polso. «Non te ne andare.» E' una supplica? Un ordine? No, è una richiesta che le fa con il più sincero degli intenti, ora che è finalmente svuotato di qualsiasi bugia, omissione di fronte ai suoi occhi neri. Ora che non ha più niente da nasconderle, ma tutto da guadagnare nel poterla guardare negli occhi nuovamente, senza vergogna, senza sensi di colpa. Si alza in piedi, lasciando che la bottiglia di Whisky scivoli di lato e la raggiunge, colmando quei pochi passi di distanza che li divide. La guarda negli occhi, prima di scivolare a guardarle le labbra, per appena qualche secondi, poi torna su. «E' che tra un paio di giorni me ne vado...» Sorride, sghembo e questa volta è di nuovo lui, quel Sam del Dark Angel che guarda Malia sotto le luci rosse, la musica che li avvolge, le persone che si stringono intorno a loro, ballando come se fosse l'ultima notte sulla faccia della terra. Le dita si stringono sopra quelle di lei, prima di risalirle lente il braccio nudo, fino ad arrivare all'incavo del collo. Facciamo solo le cose che abbiamo davvero voglia di fare. E niente gli sembra più appropriato di questo. Perché è questo ciò che vuole davvero fare. Nient'altro. Si avvolgono intorno al suo viso mentre chiude le labbra sopra quelle di lei. Ma questa volta non dura un attimo, il tempo di un battito di ciglia prima di riaprire gli occhi per non ritrovarsi di fronte nulla. No. La lingua si insinua dolcemente a riappropriarsi del sapore di lei che sembra risvegliargli ogni centimetro del corpo. Dio come gli è mancato quel sapore. Si stacca un attimo, per allontanarsi quei centimetri che gli permettono di guardarla negli occhi. «Rimani.» Come se questa fosse l'ultima notte sulla faccia della terra.
     
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    «Oh, Stone, perché non l'hai detto prima? Questo discorso menefreghista e piuttosto disfattista fa di te la fidanzata ideale numero 1 nella mia testa.»
    Nel ripensare a quelle parole, le labbra di Malia quasi si distendono in un sorriso amaro. È quello il Sam che tanto le mancava: ironico, con una battuta sempre sulla punta della lingua e lo sguardo irriverente. Ed è questo un buon momento per andarsene, si dice, dopo averlo ritrovato così come lo aveva perso, dopo aver chiuso definitivamente quel disegno aperto intorno a loro due, nel modo che più si addice a loro, in fin dei conti: una risata. Abbassa lo sguardo, nel tentativo di specchiarsi in quegli occhi verdi un'ultima volta, ma a questa distanza non riesce più a trovarsi nelle iridi di lui, ora rese scure dalla penombra della saletta, e lontane dai passi che lei stessa ha compiuto. Si dice che è meglio così, però, che il loro incontro sia rapido e breve, proprio come una scarica elettrica. Così ci saranno meno ricordi di cui avere nostalgia.
    Un ultimo sorriso, gentile, sincero, e fa per voltarsi verso l'uscita, ma le dita di lui sono più veloci, e senza che se ne accorga si stringono saldamente intorno al suo polso. « Non te ne andare » lo sente dire, e quella voce le pare quasi distante. Resta ferma, concentrata su tutti i movimenti di lui, i battiti che accelerano visibilmente nel vederlo avvicinarsi. Non cerca di divincolarsi dalla sua presa. Il braccio resta teso verso di lui, il polso ancora chiuso fra le sue dita grandi, il corpo immobile, come se volesse invitarlo a ballare. E all'improvviso è in piedi, di fronte a lei, di nuovo vicino, così tanto da potersi di nuovo riconoscere nei suoi occhi. Trattiene il respiro, mentre lentamente, con lo sguardo, perlustra ogni centimetro del suo viso. « E' che tra un paio di giorni me ne vado... » utilizza le sue stesse parole e Malia, sul momento, si ritrova a pensare a quanto questa sia un'enorme cattiveria; a quanto poco lui consideri la dignità di lei, perché quelle parole, pronunciate a quella distanza tanto irrisoria, non possono che farle emettere un sospiro quasi imbarazzante, carico di attesa e di desiderio. Avverte le dita di lui spostarsi dal polso fino al suo collo, in una carezza così delicata da mozzarle il fiato. Istante dopo istante, segue i suoi movimenti come uno studioso analizza le fasi di un esperimento: meticolosamente, con cautela, i suoi occhi scuri e curiosi viaggiano dalla sua mano, alle sue scarpe a terra, così vicine ai suoi piedi scalzi, alle sue braccia grandi fino ai suoi occhi chiari, per poi posarsi nuovamente su quelle labbra. Appena qualche istante prima che siano loro a poggiarsi sulle sue, questa volta con più determinazione e fermezza, mentre una mano le accarezza il viso. E lei resta lì, col cuore che picchia forte nella cassa toracica e lo stomaco che si annoda, lasciando che sia lui a guidarla in questa danza lenta e tormentata. Le è mancato così tanto, il suo sapore. E se ne accorge solo adesso, che lo percepisce di nuovo, dopo... quanto? Quanto tempo è trascorso dall'ultima volta che quelle labbra si sono posate sulle sue? Forse quasi due anni, ma il tempo ultimamente sembra essersi disteso, e a lei pare di non sfiorarlo da secoli. Quel sapore sulla lingua è una reminiscenza lontana, come appartenente ad una vita passata, una in cui la loro preoccupazione peggiore era la scelta del drink perfetto, in discoteca, in cui era bastato un invito a ballare, alla festa di Natale, per farla sentire la più fortunata di tutte. Una vita che ora le sembra quasi idilliaca.
    Incontra di nuovo quel verde chiaro, mentre riprende fiato, e non sa cosa dire. « Rimani. » chiede lui, e Malia sospira. Questa è esattamente la reazione che temeva, e anche quella che desiderava. La desiderava perché di lui non ne ha mai avuto abbastanza; perché quando si parla di Sam lei ci è sempre stata dentro fino al collo, forse anche in un modo malsano e poco salutare, e non avrebbe sopportato un addio così rapido. Perché, a conti fatti, tutto ciò che ha sempre voluto è sentirsi desiderata, sentirsi dire Resta, e da Sam più che da chiunque altro. La temeva perché si conosce, e sa già quale sarà la sua risposta. Perché a rimanere lei ci guadagna e ci perde anche, perché è consapevole del fatto che dopo questa sera sarà impossibile liberarsi di lui, qualunque cosa faccia. Sa bene che Sam s'insinuerà sotto la sua pelle, e forse anche fin dentro alle ossa, e a quel punto sarà irremovibile. Egoisticamente, conosce già la risposta perfetta a quella richiesta.
    « Io... » soffia, in un tono di voce quasi impercettibile, a qualche centimetro di distanza dalle sue labbra. Avverte il suo respiro caldo infrangervisi e confondersi con il suo, la punta del naso sottile che sfiora la sua guancia. « Non dovrei... È tardi » farfuglia, visibilmente confusa, alla ricerca (forse non così poi disperata) di una scusa plausibile. Alla ricerca di uno slancio di forza che le serva per allontanarsi da lui, ma fallisce, e resta lì ferma, a pochi centimetri dalle sue labbra, attratta inevitabilmente da esse. Un altro sospiro leggero, ma carico dell'intensità del desiderio, lascia le sue. « Domani... » e prova a concludere la sua frase in un modo plausibile, immaginandosi tutte le cose che dovranno fare entrambi domani mattina, presto, tutti gli impegni, pensa a tutti i motivi per cui sarebbe del tutto sconsiderato rimanere ancora qui e non tornarenei propri letti, a riposare. Ma la verità è che Malia con le parole non è mai stata troppo brava, e nemmeno con le finte giustificazioni. E al momento l'unico completamento di quella frase che le viene in mente è Domani non saremo insieme, e non può che ricongiungere le loro labbra.
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    Rimango, glielo dice con le mani che gli accarezzano il viso e salgono fino alla nuca, a giocare coi suoi capelli corti. Lo dice con i piedi che avanzano di qualche passo, costringendolo ad arretrare fino al vecchio divano alle sue spalle, senza mai interrompere quel bacio. Lascia che si sieda, per poi sistemarsi a cavalcioni sulle sue gambe. Fa tutto quello che, in un altro momento, consiglierebbe a se stessa di evitare, lascia che sia il suo stesso corpo a guidarla e trascura completamente quello che le suggerisce il cervello. E d'improvviso il corpo le fa sentire il bisogno di sentirlo vicino, Sam, più di quanto non sia mai stato. Che non sia saggio, in fin dei conti, ormai lo sa fin troppo bene: il punto è che non le interessa davvero. Dopo tutto quando mai lo è stata, lei, saggia? Forse un giorno lo diventerà, ma non a partire da questa sera.
    Lo bacia di nuovo, avida, come se fosse questa l'ultima occasione. Perché evidentemente lo è; sa che una volta sorto il sole, domani, torneranno a essere Sam e Malia, quegli amici una volta indivisibili, ora costretti a separare le loro strade. Lo bacia con tutta la passione che ha in corpo, con le mani aggrappate saldamente alle sue spalle, come se da un momento all'altro lui dovesse scivolare via da qualche parte.
    « Sam... » sussurra piano, staccandosi da lui, all'improvviso un velo d'incertezza che maschera quella singola sillaba pronunciata così a bassa voce. Non sa come continuare quella sua richiesta impacciata, perciò spera che siano le sue azioni a parlare per lei. Le mani, ancora ferme sulla sua nuca, scendono con estrema lentezza, fino all'orlo della maglietta, per poi insinuarvisi sotto. Gli sfiora la vita, delicatamente, traccia con le dita il profilo scolpito dell'addome e sale su, fino al petto, trascinando inevitabilmente con sé anche l'indumento. Poi gli occhi, che fin'ora hanno evitato il suo viso, tornano nuovamente a incontrare i suoi, prima che le sue mani lo aiutino a liberarsi definitivamente della maglietta, per poi lasciarla cadere con delicatezza poco più in là, senza mai interrompere il contatto visivo. Nero nel verde, per la prima volta gli occhi della ragazza appaiono tanto pieni di desiderio quanto incerti. Improvvisamente Malia è timida, insicura dei propri movimenti, quasi confusa da un sentimento tanto travolgente. E allora se ne resta lì, ferma a guardarlo negli occhi, a carezzargli il petto con delicatezza, nell'attesa che sia lui a stabilire la prossima mossa.


    Edited by chärlie - 5/9/2017, 15:42
     
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    « Io...Non dovrei... È tardi » Rimane a guardarla, mentre le carezza il braccio con una delicatezza inaudita. Non sa esattamente che cosa vuole che gli dica. Vorrebbe che rimanesse, certo, vorrebbe sentirla dire che vuole rimanere, eppure vuole che sia una sua scelta. Non dettata da quel piccolo particolare che è diventata la corsa contro il tempo che li porterà ad essere lontani, chissà per quanti mesi. Quindi non fa nulla per forzarla a fermarsi lì con lui, in quella salottino che potrebbe benissimo essere scambiata per la sala d'aspetto di un medico dei bassifondi di Londra, tanto sono malconce le poltroncine e i divanetti messi a disposizione. « Domani... » Il domani sembra sempre essere il punto primario nella lista delle priorità di Malia. Ancora una volta, come la sera al Dark Angel. La guarda e fa un sorrisetto, lasciando cadere la mano lungo il suo fianco e facendo un passo all'indietro, come a volerle lasciare il suo spazio. «Domani è domani.» La cita, le sue stesse parole di quella sera. «Tra qualche giorno me ne andrò, è vero, ma non voglio farti pietà. Non voglio che rimani perché senti di doverlo fare, dopo quello che ti ho detto.» E' schietto, mentre la guarda con uno sguardo che trabocca di una sincerità disarmante, come poche volte ha fatto in vita sua. Si morde il labbro inferiore e si porta una mano alla nuca. «Voglio che se rimani, è perché vuoi farlo.» Non farlo per me. «E domani, me ne ricorderò. Come ho sempre fatto.» Un sorriso sghembo si palesa ad incurvargli gli angoli della bocca, mentre cerca di capire cosa vuole fare. Quali sono le sue vere intenzioni. Intenzioni che gli sono immediatamente chiare quando le sue labbra si uniscono nuovamente a quelle di lui. Il tocco gentile delle sue dita sul suo viso, la leggera pressione del corpo di lei contro il suo che lo costringono ad indietreggiare, fin quando non sente il divano battergli contro le gambe. Allora si siede e attende che lei faccia lo stesso sopra di lui. Le labbra si fanno più insistenti contro quelli di lui, quasi bramose nell'appropriarsi di ciò che vogliono. Ed è così che Malia rimane con lui, in quel bacio che vuol dire più di quanto saranno mai capaci di dirsi a parole, più di quanto potrebbero mai confessarsi o esprimersi in altre forme. Rimane nell'avidità di quella connessione voluta e desiderato per tanto tempo. Le mani di Sam corrono lungo la sua schiena, intrecciandosi ai capelli di lei, quando arrivano alla nuca. La stringe a sé, come fosse l'ultima possibilità di averla per sé, qualche minuto.
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    Malia tenta di staccarsi e lui la insegue con le labbra, fino a rimanere bloccato a mezz'aria. « Sam... » Apre gli occhi e la guarda, fisso. Ancora una volta, il suo viso appare come un libro aperto per lui. Vi legge sopra la confusione, la titubanza nel chiamarlo e rimanere ferma, quasi si aspettasse la sua di mossa. E allora capisce dove vuole arrivare a parare. Capisce che quella sera Malia vuole di più. Vuole che sia indimenticabile per entrambi quella sera, così da ricordarsela per sempre. Non solo domani. E per un attimo è lui a bloccarsi, quando sente le dita di lei insinuarsi al di sotto della sua maglia, ne sente i polpastrelli sulla propria pelle e le sensazioni si intensificano, mentre l'animale si muove imbizzarrito tra le corde della sua anima. Anche lui, come Sam, la vuole. La vuole, la desidera con così tanto ardore de rimanerne quasi destabilizzato. Alza le braccia per aiutarla a togliergli la maglia e non stacca per un solo attimo i suoi occhi da quelli di lei. La maglia cade poco lontano da loro e lui le sorride, notando la timidezza di cui si tinge lo sguardo di lei. Non sa se per lei è una prima volta quella. Non è mai uscito quel discorso tra di loro, eppure capisce quanta importanza Malia stia dando alla cosa. Lo capisce nella misuratezza che mette nel compiere ogni gesto, nell'esplorare ogni centimetro in più di pelle. Stacca le spalle dal divano e lascia combaciare il proprio petto nudo contro quello vestito di lei. Le porta all'indietro una ciocca di capelli e la osserva, sorridendo, mentre l'altra mano scivola lungo il suo fianco. «Sei sicura?» le soffia sul viso, prima di accarezzare le sue labbra con le proprie, per poi scendere a seguire il profilo della mandibola, giù, fino al collo. Vi deposita baci su baci, schiudendo appena le labbra per farne fuoriuscire il respiro caldo. Le dita scivolano sotto la sua maglia, febbricitanti contro la sua pelle calda. Risalgono i fianchi con delicatezza, fin quando la maglia del pigiama non passa oltre la sua testa. La lancia verso dove crede sia caduta anche la propria e non può fare a meno di guardarla. Di contemplarla mentre si lascia abbandonare a lui, fragile tra le sue braccia, come non è mai stata. E si sente in dovere di prendersi cura di lei. Sente di volerlo fare, con ogni fibra del proprio corpo, mentre l'animale scalpita, infuocato. La stringe a sé e le sue labbra tornano a baciarla. La lingua tratteggia il profilo delle sue labbra, lasciandovi sopra una scia calda che brucia al contatto con la propria bocca. C'è dolcezza in ogni momento di quello che sembra avere tutta l'aria di un addio. Non di un arrivederci, ma di un saluto definitivo a quello che sono stati l'uno per l'altra fino a quel momento. Salutano l'idea di Sam e Malia, amici senza vincoli, ma pur sempre inseparabili, fino a qualche tempo prima. Salutano Sam e Malia, gli amici che sono sempre stati più che amici. Salutano Sam e Malia che non si sono parlati per più di un anno. Salutano Sam e Malia che ridono e si divertono dopo una canna e qualche giro di troppo di Whisky. Come una sorta di rito di passaggio, salutano quello che sono stati fino a quel momento, dentro quelle mura. E allora le dita, con lentezza, liberano i due ganci del reggiseno, lasciando a lei il modo per lasciarselo scivolare via dalle braccia. Con i suoi tempi, con i suoi spazi, mentre riprende a baciarle il collo, per poi scendere lungo le spalle, lì dove c'è ben visibile il segno delle spalline. Vi deposita un bacio sopra e un altro ancora, per poi riprendere nella sua discesa. Una mano si apre al centro della sua schiena, mentre l'altra, con delicatezza, si ferma a carezzarle un seno. Ne disegna il profilo superiore, con la punta delle dita, prima di sostituirle con le labbra. Segue la linea già tracciata dai polpastrelli, posandovi sopra le labbra. Le apre quel tanto che basta per fare uscire la lingua, che riprende quei movimenti circolatori. E le sensazioni esplodono in lui. Il suo profumo gli inebria i sensi, così come il sapore della sua pelle si fa spazio dentro di lui, facendogli ribollire il sangue nelle vene. Con uno scatto repentino, inverte le parti, lasciando che la sua schiena aderisca al divano, fino a quando non si sdraia, ritrovandosi con il corpo tra le sue gambe. E riprende a baciarle ogni centimetro del corpo con avidità, con un desiderio che gli annebbia la mente, fin quando non si ritrova al limitare dei pantaloni del pigiama. La lingua ne segue il labile confine, mentre le mani si intrufolano al di sotto di essi, all'altezza dei fianchi. Alza lo sguardo e incontra quello di Malia. Sembra volerle fare così tante domande, e alla fine, quell'occhiata sembra rivolgergliene soltanto una. Le chiede il permesso per andare oltre. Per valicare quella barriera che non è mai stata oltrepassata da lui. Oltre quella barriera dove vorrebbe spingersi. L'ha desiderato per fin troppo tempo. Oltre la quale non sa se sarà in grado di fermarsi, se lei lo lascerà andare. Se gli darà il permesso di amarla nell'unico modo che conosce davvero.

    And I hear your ship is comin' in
    Your tears a sea for me to swim
    And I hear a storm is comin' in
    My dear, is it all we've ever been?


     
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    Ci sono cose che sono difficili da esprimere a voce. Malia le parole le ha sempre un po' snobbate, preferendo anche un semplice gesto per dimostrare ciò che pensa: che sia un pugno, un bacio, una carezza o un sorriso. I gesti sono facili, immediati e arrivano sempre dritti al punto. Ci sono volte però in cui non bastano nemmeno quelli, in cui la complessità delle emozioni che una persona prova è tanta da necessitare una spiegazione, o per lo meno una qualche perifrasi che aiuti chi si ha di fronte a capire meglio quello che sta succedendo. A Malia piacerebbe spiegarsi, in questo momento, dire a Sam tutto quello che pensa e che ha provato in questi anni, aiutarlo a comprendere a pieno ciò che lui ha significato e significa ancora per lei. Le piacerebbe con tutta se stessa descrivere con precisione analitica tutte le sensazioni che prova, nell'avvertire le mani di lui vagare sulla sua figura, le labbra a lambire le sue e i loro corpi così vicini, come mai sono stati prima d'ora; vorrebbe davvero avere nella testa una spiegazione esaustiva e chiara di quello che sta accadendo ma le parole mancano, anche per spiegarsi con se stessa, e c'è solo fuoco, da tutte le parti, sulle guance arrossate, sulla lingua, sulla punta delle dita e alla base dello stomaco. Continua a baciarlo con foga, gode del suo sapore sulle labbra, della pelle bollente sotto i polpastrelli che delineano quasi con scrupolo il profilo delle sue braccia muscolose. Sembrano diversi questa volta, Sam e Malia. Non indugiano, non perdono tempo con le loro battutine maliziose, quelle quasi infantili che si scambiavano solitamente quando non erano, come si suol dire, né carne né pesce: quando era tutto un po' strano fra loro, ed anche un semplice sguardo aveva la possibilità di essere frainteso in mille modi o male interpretato. Quando era intrigante anche solo sfiorarsi per caso, a una lezione, o sorridersi più a lungo del dovuto. Non sono i Sam e Malia che si prendono il loro tempo per completare un muffin nascosti in corridoio, non sono quelli che si guardano tristi, separati da un vetro al San Mungo, e non sono nemmeno quelli del Dark Angel, presi dalla voglia di divertimento e dalle nuove scoperte. Sono una versione più nuova, chissà, forse non migliore, di loro stessi: quelli che hanno capito che il tempo è agli sgoccioli, che non temporeggiano più ma dicono quello che avrebbero dovuto dirsi, e si spingono a fare ciò che forse avrebbero voluto già altre volte.
    La richiesta tacita di lei viene accolta da un sorriso sicuro, esperto, quello di chi ha bisogno solo di uno sguardo per capire già tutto; e da un abbraccio caldo, una carezza così leggera che pare un soffio, e i suoi occhi fermi in quelli di lei. Si perde per qualche istante, in quello sguardo profondo e verde come il petrolio nella penombra in cui sono immersi. Riesce a distinguerli bene però, i tratti del suo viso, mentre ne delinea il profilo con la punta delle dita, quasi a volersi assicurare di poterne memorizzare ogni centimetro: la mandibola definita, la barba corta, gli zigomi alti e le sopracciglia folte. Nella sua carezza delicata traccia con cura ogni punto, come se da un momento all'altro lui dovesse sparire da quel punto di fronte a lei. E poi due parole, sussurrate a bassa voce e con una dolcezza inaudita, a pochi centimetri dalle sue stesse labbra. « Sei sicura? » le soffia addosso, e lei stringe la presa sulla sua nuca, come a volergli impedire di allontanarsi da lei in alcun modo. Sospira, abbassando lo sguardo sulle labbra di lui e annuendo in modo quasi impercettibile, ma abbastanza da rendere chiara la propria risposta. Ha passato così tanto tempo a pensarci, a questo momento, a chiedersi come sarebbe stato e a immaginarsi, di volta in volta, con il ragazzo di turno, finendo per sbagliarsi sempre. E alla fine si ritrova qui, e le viene quasi da ridere; se avesse l'opportunità di guardarsi allo specchio in questo momento si prenderebbe in giro da sola, perché era così ovvio, lo è sempre stato dal primo momento, e forse una parte di lei l'ha sempre saputo, che sarebbe stato Sam. Niente a che vedere con profezie, col destino o l'essere l'uno l'anima gemella dell'altro - quelli non sono loro, e in fondo lei non ci ha mai davvero creduto. Si tratta, piuttosto, di lei, solo e solamente di lei. Si tratta del fatto che non è mai stata determinata come adesso. Del fatto che è sempre bastato un solo sguardo di Sam per eclissare in un attimo chiunque altro nella sua vita, che una sua carezza poteva valere mille dei baci di alcuni. Che è sempre stato in grado di farla arrossire con le parole giuste, ridere con le battute più semplici e a volte piangere con le stronzate più colossali. E si ritrova a pensare, mentre lui scende con lentezza a baciarle il collo e comincia a sfilarle la maglietta, una scia di brividi che le percorre la spina dorsale a quel tocco, che probabilmente su questo ambito lei non ha mai davvero avuto un margine di scelta.
    E allora lascia che le cose vadano proprio come dovevano, e lascia che lui la baci, abbandonandosi completamente alla guida esperta delle sue labbra, le braccia strette intorno al suo corpo che lo stringono di più a sé, come se quel tocco ancora non fosse abbastanza. Lo lascia cercare il gancio del reggiseno, alle sue spalle, mentre le sue mani continuano ad accarezzargli la schiena nuda, lentamente, le labbra che depositano qualche bacio delicato sulla spalla di lui. E poi si libera dell'indumento, lasciandolo cadere con una mano ai piedi del divanetto, senza farci troppo caso, le labbra intente a cercare le sue, le quali però rivolgono più attenzione al suo collo. Tira un po' la testa all'indietro e socchiude leggermente gli occhi mentre le mani di lui l'accarezzano sapientemente, e il suo viso scende sempre di più lungo la sua figura. Stringe tra le dita i suoi capelli corti e dischiude leggermente le labbra, nell'avvertire quelle di lui sfiorarle il corpo, e si ritrova ad emettere un leggero sospiro, il cuore che batte forte contro la cassa toracica, probabilmente tanto da essere udibile alle orecchie di Sam.
    Con un suo scatto rapido si ritrova sdraiata sul piccolo divano e riprende a baciarlo, avidamente, per poi lasciare che si sposti oltre, a depositare una scia rovente di baci sul suo corpo. Adesso ha il respiro accelerato, Malia, mentre ogni centimetro in più percorso dalle labbra di lui le offusca di più la mente e i pensieri. C'è fuoco, da tutte le parti, sulle mani di lui e sulle sue labbra, e lei si ritrova a sospirare, piano, quando porta il fuoco ancora più in basso, fermandosi all'improvviso per cogliere il suo sguardo, per chiederle il permesso di proseguire. E forse è in questo momento, più di tutti, quando incontra gli occhi verdi di lui, che sente qualcosa come sciogliersi dentro. Lo osserva, per un tempo che pare quasi infinito, e in modo automatico si ritrova a sollevare un angolo delle labbra in un sorriso lieve, ad addolcire lo sguardo, come intenerita da quella accortezza di cui forse non lo riteneva capace. Ed è grata, glielo può leggere negli occhi, di trovarsi lì, in quel momento, proprio con lui. Lo lascia proseguire e presto si ritrova senza più vestiti addosso, vulnerabile come mai è stata prima. Eppure si sente stranamente tranquilla, a proprio agio sotto il suo sguardo che si ritrova a cercare, mentre una mano scende ad accarezzargli il viso e gli chiede di risalire.
    Quando è di nuovo di fronte a lei si riserva qualche secondo per guardarlo negli occhi, l'indice che gli carezza con fare delicato la barba ispida, il senso di attesa ormai palpabile in quei pochi centimentri che ci sono a dividerli. In quell'occhiata riversa tutte le sensazioni che la stanno travolgendo, tutte le parole che non saprà mai dirgli, gli istanti che l'ha desiderato con sé. E poi torna a dare attenzioni alle sue labbra, lambendole con le proprie mentre intreccia le dita sulla sua nuca e incrocia le gambe intorno ai suoi fianchi, come a volerlo sentire ancora più vicino. E poi succede tutto rapidamente, il cervello troppo confuso e annebbiato per conferire alle proprie azioni una scansione naturale. Avverte solo la pelle del suo collo sotto le labbra, il respiro accelerato, le mani che gli carezzano la schiena, i fianchi, che scendono piano, fin dentro ai pantaloni di lui e vi sostano; e poi lo aiutano a liberarsi rapidamente anche di quelli, senza far troppo caso al luogo in cui vengono depositati. Sfiora ed esplora attenta ogni centimetro del suo corpo, scoprendone i segreti, le dita bollenti che lo stringono sempre di più a sé, le percezioni che s'intensificano ogni istante di più. « Sam... » sussurra piano nuovamente, ad un tratto, al suo orecchio, le labbra che lo sfiorano leggermente. Ma poi sospira piano, perché scopre di non avere davvero nulla da dirgli. Sente semplicemente il desiderio di pronunciare il suo nome, apparentemente senza motivo. E, sebbene i pensieri siano qualcosa che in questo momento la colpisce in modo un po' fulmineo, solo di tanto in tanto, le sue azioni sempre dettate da ciò che il corpo desidera e sente, c'è un momento in cui un pensiero le balena in mente un po' all'improvviso, mentre con le mani è intenta ad accarezzargli la schiena. Adesso non hai più scampo, Samuel Scamander. Ora non ci sarà modo di cancellarti da sotto la mia pelle.
     
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