{CHAPTER FOUR} Believers

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    Incredibile ma vero: ce l'avevano fatta. Semplice non era stato di certo, ma d'altronde Byron non si era mai aspettato che lo fosse. Anzi, con ogni probabilità ancora la parte peggiore non era arrivata, e tutto ciò che stavano facendo era finalizzato ad affrontarla, ad essere pronti quando sarebbe arrivata..e sarebbe arrivata, lo sentiva. Negli ultimi due mesi aveva fatto varie ricognizioni del luogo; inizialmente insieme a Renton, poi con la squadra che si era scelto durante la prima riunione, e in seguito aveva lasciato che chiunque fosse disposto a dare una mano mettesse del proprio nel consolidare le fondamenta di ciò che stavano costruendo: una casa. Ci era voluto tempo, ci era voluto tanto lavoro e tanto sudore, tante ore passate a studiare planimetrie e posizioni strategiche. Byron aveva seguito il progetto passo dopo passo, dedicandovi anima e corpo oltre a rendersi disponibile in qualsiasi momento, anche a tarda notte. L'assenza di sonno si leggeva benissimo sul suo viso stravolto, contornato da occhiaie profonde e guance leggermente scavate, ma alla fine tutti gli sforzi erano stati ripagati.
    Loch Ness, una lunga striscia lacustre nelle Highlands scozzesi con un solo immissario - Oich - e un solo emissario - Ness - che lo congiunge al mare. Un'unica isola sorge tra le acque del lago, Cherry Island, un luogo dimenticato dal tempo e dalla stirpe babbana. Un tempo vi sorgeva una roccaforte quattrocentesca ad occupare la quasi totalità della terra emersa, un castello dato per perso. La verità? Sì, lo era..agli occhi dei babbani, almeno. Chiunque avesse studiato in maniera discreta Storia della Magia sapeva quanto in realtà quel posto fosse ingannevolmente intriso di magia. Se la civiltà babbana aveva spiegato la scomparsa del castello e di gran parte dell'isola con l'innalzamento delle acque di Loch Ness, quella magica sapeva cosa fosse successo in realtà. Il castello era infatti stato usato per molti secoli come avamposto di studio e osservazione per coloro che dedicavano la propria vita alla ricerca della fauna acquatica magica - in particolar modo per quelli che credevano nell'esistenza del mostro Nessie, di cui tuttavia nessuno sembrava poter testimoniare le tracce. Alla fine era stato abbandonato per assenza di finanziamenti: col tempo i maghi che si dedicavano a quella causa erano diminuiti drasticamente, portando il Ministero a tagliare i fondi necessari al mantenimento dell'avamposto e al suo rango di istituzione magica. Era ormai da quasi due secoli che nessuno vi metteva più piede. Almeno fino ad ora. Di certo non era stato semplice riprendere le redini del tutto: gli incantesimi di dissimulazione si erano affievoliti notevolmente, il che aveva reso facile solo ed esclusivamente il compito di fortificarli. Il primo passo, infatti, era stato proprio quello di proteggere il luogo con ogni tipo di incantesimi, in tutto e per tutto simili a quelli di Hogwarts, con in più la piccola precauzione di lasciare nascosta allo sguardo la figura del castello. Gran parte del lavoro era stato tuttavia devoluto a rimettere in ordine la fortezza infestata da erbacce e segnata dal tempo. Il passo successivo era arrivato con il riordino dei crannóg, i piccoli isolotti artificiali limitrofi a Cherry Island, riadattati a posti di guardia. Gli unici sistemi di mobilità erano delle piccole scialuppe e la sola maniera per accedervi era da Fort Augustus, un piccolo avamposto babbano sull'estremità sud del lago. Pur se piuttosto macchinoso, erano anche riusciti a trovare un modo per rendere sicuro quel passaggio e alla fine erano giunti al momento in cui davvero non c'era più nulla da fare per quel posto se non viverlo.

    vymVBdK
    Un'inaugurazione. Come per l'apertura di un nuovo ristorante o una cellula ministeriale. In fin dei conti aveva pensato che, sebbene la serietà del loro compito fosse trainata principalmente da un senso di scontento, rivalsa e rabbia, anche loro avessero bisogno di un momento per prendere fiato e ricordare con un sorriso quel primo grandissimo traguardo. Alcuni, come lui, avevano già iniziato a trasferire lì i propri effetti personali, mentre altri avrebbero continuato a vivere nelle proprie case fino a quando gli sarebbe stato possibile - il che si sperava fosse il più a lungo possibile. Tuttavia quella sera la presenza era richiesta in maniera particolare; magari il cibo non era all'altezza dei banchetti di Hogwarts, o le bevande non potevano essere paragonate a quelle delle feste ministeriali, ma ognuno ci aveva messo del suo ed era proprio ciò a renderlo speciale. Byron, di suo, ci aveva messa principalmente la grigliata (dato che la carne sembrava essere l'unico alimento da lui cucinabile). Aveva tuttavia un'altra sorpresa per loro, coperta da un pesante drappo scuro nel bel mezzo del salone di ingresso. Aspettò che fossero tutti arrivati e che si fossero messi a proprio agio prima di avvicinarsi alla massa informe, facendo tintinnare una forchetta contro il proprio bicchiere di vino rosso per attirare l'attenzione dei presenti.
    "Lo giuro, lo giuro, questa volta cercherò di essere breve." fu la prima cosa che disse sul fiore di un sorriso, alzando il palmo di una mano a preventiva discolpa. "Per prima cosa voglio ringraziarvi tutti, nessuno escluso, per ciò che avete fatto, per il vostro impegno, ma soprattutto per aver creduto che una strada diversa fosse possibile. Grazie, davvero. Ve lo dico col cuore in mano." Fece una piccola pausa, guardandoli uno a uno in viso, con gli occhi imbevuti di una stima e di una riconoscenza a lui sconosciute fino a qualche tempo addietro. "Se qualche mese fa qualcuno mi avesse detto che avrei trovato delle persone come voi, che avremmo costruito questo posto..probabilmente gli avrei dato un pugno in faccia, non lo nego: l'avrei assolutamente vista come una presa per il culo. Eppure eccoci qua. Abbiamo realizzato l'impossibile quando nessuno ci avrebbe dato un soldo di fiducia." Allargò le braccia, come a includere tutto l'ambiente, per poi farle ricadere lungo i fianchi con un sospiro, mordendo per un istante l'interno del suo labbro inferiore prima di riprendere. "Che dire? Siamo quei pazzi che ci credono che un mondo migliore, un'alternativa, sia ancora possibile. E non vi illudete: come pazzi verremo etichettati. Non farà che peggiorare." Li guardò uno a uno negli occhi, in silenzio, frapponendo tra loro una pausa decisamente lunga prima di riprendere parola, questa volta con tono più sicuro e sguardo deciso. "Ma noi non vogliamo mentire, non vogliamo raccontare falsità. Ho rifiutato il pensiero di presentarmi davanti a questa assemblea e fare delle promesse da quattro soldi. Non c'è nessuno qui che possa venire davanti a me e insinuare che io abbia detto che la riunificazione del Mondo Magico richiederà solo pochi giorni. In noi, però, risiede quel futuro..sempre se noi vogliamo risollevare questa società e dimostrare che attraverso il duro lavoro, la determinazione, l'audacia e la persistenza, saremo di nuovo in grado di risorgere proprio come fecero i nostri antenati, i nostri genitori, i nostri fratelli. La giustizia, l'eguaglianza, non gli furono date..la crearono loro stessi. E questo è il segreto del cambiamento, come disse Socrate: non tanto canalizzare ogni energia nel combattere il vecchio, quanto piuttosto nel costruire qualcosa di nuovo." Inclinò appena il capo, come a sottolineare quelle parole, mentre il suo tono di voce si faceva man mano più potente e veloce. "Per via della mia fiducia completa in questa organizzazione, ho l'assoluta convinzione che arriverà l'ora in cui i milioni di persone che oggi ci disprezzano, staranno dietro di noi e capiranno ciò per cui insieme abbiamo lottato e che abbiamo creato con difficoltà: la resistenza, la ribellione. Che abbiamo creato con la forza, il sudore e la giustizia. Amen." Con quell'ultima parola, come a chiusura di una preghiera collettiva, alzò il proprio bicchiere intimando un brindisi, per poi berne un lungo sorso insieme ai propri compagni. Solo a quel punto, quando tutti ebbero finito, tirò il drappo che copriva il suo regalo ai compagni, mostrandone la natura: un grosso pensatoio di pietra dalle acque ancora intonse e cristalline; sul suo bordo vi era incisa la frase The ultimate measure of a man is not where he stands in moments of comfort and convenience, but where he stands at times of challenge and controversy. (Martin Luther King, Jr.). Senza dire una parola estrasse la propria bacchetta, puntandosela alla tempia e chiudendo gli occhi mentre si concentrava sul far riaffiorare alla propria memoria i ricordi di quella terribile notte in cui la sua vita andò in cenere. Un piccolo filamento argenteo cominciò dunque a pendere dalla punta della stecca, fino a cadere nelle acque del pensatoio, facendovi riflettere il bagliore delle fiamme. Distolse immediatamente lo sguardo, riportandolo agli altri "La memoria storica.." riprese, accarezzando il bordo di pietra "..è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre." Asserì un'ultima volta, annuendo con decisione stremata e la fronte imperlata di sudore estatico prima di far spazio ai compagni verso il pensatoio.

    Riassunto veloce:
    - nella prima parte trovate una descrizione sommaria dello scenario (per info maggiori QUI ) e un riassunto generale di ciò che è successo dalla prima quest fino ad ora. Praticamente i ribelli hanno riassestato questo vecchio castello rendendolo vivibile e innalzando barriere di protezione simili a quelle di Hogwarts (ovviamente si dà per scontato che almeno i pg presenti alla prima quest abbiano collaborato e che ognuno abbia fatto la propria parte);
    - sempre nel link sopracitato trovate le modalità di accesso al Quartier Generale. La parola d'ordine di questo mese, per usare le scialuppe, è Ad Maiora;
    - si tratta di un'inaugurazione, dunque è come se fosse una festa. Ognuno ha portato qualcosa da mangiare e/o bere a mo' di rinfresco nella sala principale;
    - Byron come al solito ha fatto il suo discorso perché ormai c'ha preso gusto, ma questa volta lo ha accompagnato con un piccolo regalo: un pensatoio messo al centro della sala di ingresso;
    - ciò che dovete fare, in questo post, è partecipare a questa iniziativa collettiva per molti versi simile al rito della comunione in chiesa, solo che invece di prendere ostia e vino dovete lasciare nel pensatoio il vostro ricordo (bello o brutto che sia) che maggiormente incarna ciò che vi sprona a combattere per cambiare il sistema.

    Per questo primo giro avete tempo fino al 17 Luglio dopodiché farò un brevissimo (questa volta davvero) post "conclusivo" e lascerò aperta la role per continuare liberamente a fare baldoria e creare un'opportunità di fraternizzazione con lo scopo di stringere un po' i legami tra questo gruppo di debosciati. Non è escluso che vi inserisca qualche sorpresina <3




    Edited by {LAST HORCRUX} - 21/2/2021, 12:01
     
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    Frank, per quanto la sua vita sia sempre stata un profondo pozzo senza fine di sfighe e dolori, è un uomo che crede. Che ha speranza. Che riesce ancora a guardare al domani con occhi pieni di foga, con le mani che prudono e con nel cuore la voglia di rimboccarsi le maniche per dare una mano, per spostare anche un solo centimetro di quella montagna che gli si pone davanti. Proprio per questo si è unito a quella causa, quella pazza e disperata missione suicida che, statisticamente parlando, ha pochissime possibilità di lieto fine, di vedere una luce diversa da quella bianca che si incontra, se abbastanza fortunati, quando il respiro abbandona i polmoni. Ha partecipato alla prima riunione degli alcolisti anonimi - perché l'affluenza era stata più o meno quella - giusto per capire se si trattasse di una fregatura o meno. Proprio per questo non ne aveva mai fatto parola con Lily. Aveva preferito tastare prima il terreno, capire se effettivamente vi fossero le basi per qualcosa di nuovo o vero, prima di avere anche soltanto l'idea di parlarne alla sorella. Non voleva di certo coinvolgerla nell'ennesima sua cazzata, quella che avrebbe potuto fargli sentire per l'ennesima volta "Ti sei cacciato nei guai, di nuovo. E da quei guai ti devo tirare fuori io, di nuovo." Sua sorella è sempre stata tanto buona, quanto fin troppo protettiva e apprensiva nei suoi confronti. E Frank non l'ha mai ringraziata abbastanza per avergli salvato la vita ogni qual volta ce ne fosse stato bisogno. Forse è per questo che ha aspettato a dirle che c'è, esiste quella resistenza di cui l'ha sentita farneticare un paio di volte, durante quei pranzi domenicali, a Belfast. Ha atteso la più ferma e decisa sicurezza perché sa quanto Lily sia idealista quanto lui, sa quanto crede nella libertà e, forse, inconsciamente, non voleva deludere le sue aspettative, in partenza. Ma ha passato i giorni successivi alla prima riunione con Byron, Renton - quella che è sicuro più di una semplice amica per Byron - e Thomas, un altro disperato come lui. Un'allegra combriccola di simpaticoni che vagava alla ricerca del posto perfetto. Ci sono state volte che, insieme a quei tre pieni di vita, Frank aveva desiderato avere una lametta per tagliarsi non solo le vene dei polsi, ma anche quelle delle cavaglie, la giugulare e pure quelle del retro del ginocchio, per esser certo di morire all'istante, di una morte immediata, sicuramente più piacevole del continuare a buttare là battute per riempire quell'imbarazzante silenzio, calcando anche un po il proprio accento che fa sempre simpatia, per essere ripagato con un sorriso di circostanza e una scrollata di spalle. Al massimo. E Frank sa benissimo di essere un mattacchione di prima categoria, che farebbe ridere chiunque, perciò erano loro ad avere la stessa voglia di vivere di un bradipo morto. Ma al di là delle particolari dinamiche relazionali con il resto della ciurma, Frank ha fatto anche tesoro di quei giorni. Non è mai stato un uomo silenzioso, che si sofferma a guardare il particolare, no, decisamente no, ma per forza di cose, in quei giorni ha imparato a farlo. E così ha scoperto l'importanza di valutare le cose, in tranquillità, come fa di solito Byron. Ha imparato ad apprezzare il crudo realismo di Renton, un punto che sicuramente hanno in comune. E ha capito che anche dietro al viso più pulito vi è un dolore forte, pulsante, che costringe a chiudersi in se stessi, come fa Thomas. E più imparava a scorgere le piccolezze nei suoi compagni, in silenzio, più passavano i giorni ed infine sono riusciti a trovarla, la loro terra promessa, in cui scorre il latte e il miele. Un'isola che sembrava non avere nulla di speciale, se non l'ubicazione mistica, galleggiante com'era tra le acque di Loch Ness. Ma in breve tempo, dopo svariate azioni di bonifica e di rinforzo, era diventato quel posto che ognuno di quei ribelli sperava diventasse in cuor suo. Una casa.
    «Ve la volete da' na mossa, sì o no?» Incalza Lily e l'altro energumeno che spicca dietro di lei. Rocket, il suo miglior amico dai tempi in cui lui aveva i primi denti e Rocky inzuppava ancora il letto. Se l'era portato dietro per un semplice motivo: aveva sentito i suoi discorsi, l'aveva sentito lamentarsi di come la sua bocca doveva essere cucita, per via del contratto che aveva firmato con i Falcons. Ma non gli andava bene come stavano le cose, specialmente dopo tutto il casotto successo con Donovan, durante la rassegna stampa post vittoria del campionato. Ritrovare la piccola caverna a Fort Augustus ormai è diventato un gioco da ragazzi per lui, avendolo fatto fin troppe volte durante quegli ultimi tempi.Picchietta il muro tre volte e di fronte a loro si apre la visuale sulla piccola baia che accoglie le scialuppe. «Bello daje, va' avanti» dà una piccola carezza d'incoraggiamento a Spartaco, il suo fidato cane, che risponde subito con entusiasmo, buttandosi in avanti per andare a bagnarsi tutte le zampe. Allora Frank si gira a guardare la sorella e l'amico, con il velo di un sorriso beffardo a distorcergli le labbra. «Eh?» Apre le braccia, oscillando in qua e in là, con le sopracciglia che sciabolano ripetutamente verso l'alto. «N'avemo pensata una più der diavolo, no?» E' entusiasta, lo si può appurare da ogni minimo movimento del suo corpo. Come un bambino che ha appena ricevuto il regalo che ha sempre ricevuto, con la differenza che lui sembra aver ricevuto qualcosa di ben più grande e significativo: un nuovo scopo di vita. Si avvicina alla barchetta più vicina, mentre aspetta che gli altri due vi salgano sopra, con Spartaco subito dietro, per poi seguirli con un balzo ben poco aggraziato. Prende posto dietro Lily, sistemandosi contro i piedi la busta di plastica che si è portato dietro, attento che il cane non vi ficchi il naso dentro. «Ad maiora» scandisce, mentre il piccolo mezzo di trasporto sembra prendere vita sotto i loro sederi. «Sì, sì, lo so. Fa tutto molto figo, società segreta e quelle cazzate così. E' r'giorno migliore de la vita vostra. Prego. Potete ringraziamme dopo.»
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    Si ritrovano tutti nella sala principale di quell'enorme castello. E sono decisamente più i visi che vede quella sera, perciò quella non è più una semplice riunione al circoletto arci di turno. Aveva ragione pochi istanti prima, ha tutto molto l'aria di essere una società segreta, che cresce tra la foschia che risalgono dalle acque di Loch Ness. Si guarda intorno, sorridendo, mentre posiziona sopra il tavolo le cinque casse di legno che tenuto fino a quel momento dentro la busta di plastica - busta preventivamente incantata, ovviamente, per avere il fondo espandibile -. Ne apre una ad uno e vi tira fuori dieci bottiglie di vino rosso, più una selezione scelta di formaggi e mozzarelle. «Tutta roba de casa de nonna Emilia. Me raccomando, nun fate complimenti! Altrimenti se lo viene a scoprì nonna, altro che l'Inquisizione, so uccelli pe' diabetici.» Dice a chiunque si avvicina, con un certo orgoglio, mentre ripensa alla voglia della nonna di partecipare anche in minima parte a quel loro raduno. Prepara due ciotole per Spartaco, posizionate contro il muro, con un po' di acqua fresca e qualche pezzetto di carne, prima che il ticchettare della forchetta di Byron contro il bicchiere richiami l'attenzione di tutti. "Lo giuro, lo giuro, questa volta cercherò di essere breve." Una risata roca riecheggia nella cassa toracica dell'uomo. Come no, a By', chi te crede? L'uomo continua a parlare, con la completa e totale attenzione dell'intera sala. "Che dire? Siamo quei pazzi che ci credono che un mondo migliore, un'alternativa, sia ancora possibile. E non vi illudete: come pazzi verremo etichettati. Non farà che peggiorare." Annuisce, Frank, a quelle parole. Si guarda intorno, guardando uno ad uno i visi dei pazzi sognatori che diventano in quel momento i suoi compagni di battaglia. Li unisce tutti quella cieca devozione in una causa ben più grossa di loro, che li rende folli, che li rende fuori di testa, ma che li rende liberi. "[...] E questo è il segreto del cambiamento, come disse Socrate: non tanto canalizzare ogni energia nel combattere il vecchio, quanto piuttosto nel costruire qualcosa di nuovo." Guarda l'amico e questa volta scuote la testa. Se fosse all'Olimpico, in curva Sud, starebbe già fischiando perché oltre a durare troppo, quel discorso è farcito pure con frasi filosofiche. Ma sa che è anche per quelle frasi culturali messe là, al momento giusto, che tutti, in quella sala, seguirebbero Byron fino alla morte, senza tirarsi indietro. E' anche perché è così tanto logorroico che Byron Cooper è il loro leader. "Per via della mia fiducia completa in questa organizzazione, ho l'assoluta convinzione che arriverà l'ora in cui i milioni di persone che oggi ci disprezzano, staranno dietro di noi e capiranno ciò per cui insieme abbiamo lottato e che abbiamo creato con difficoltà: la resistenza, la ribellione. Che abbiamo creato con la forza, il sudore e la giustizia. Amen." Segue il gesto di Byron con un pugno serrato in aria e nell'altra mano il bicchiere di vino. «Daje! Siam pronti alla morte..» comincia a brindare, cantando - malamente - il famoso verso dell'Inno nazionale italiano, non sapendo bene come continuare, per attuarla al contesto. «Siam pronti alla morte, libertà chiamò, sì!» Conclude, prima di tracannare giù tutto quel graffiante liquido che ha il sapore rugginoso di campagna che tanto gli ricorda sua nonna. Poi Byron scopre quello che sembra essere a tutti gli effetti un pensatoio. Inclina la testa di lato, Frank, cercando di capire dove l'uomo vuole andare a parare con quell'ennesima strampalata idea. "La memoria storica...è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre." Abbassa la testa nell'ascoltare quelle parole, sentendo un nodo cominciare a stringergli la gola. Si morde l'interno del labbro inferiore, mentre si costringe a ricacciare indietro anche soltanto quel desiderio che gli pizzica gli occhi. Perché si trova lì a combattere contro un sistema corrotto? Perché quel sistema gli ha portato via la sua ragione di vita, costringendolo a trovarsene un altro, per onorare la sua memoria. Quando Byron butta il suo ricordo nel liquido argentato, Frank si fa avanti con la bacchetta priva di qualsiasi ornamento, stretta tra le dita. Appoggia l'altra mano al bordo dell'oggetto di marmo, mentre socchiude appena le palpebre, mentre davanti ai suoi occhi compare immediatamente il volto di Kate, sorridente. Il suo ultimo sorriso, quello che le ha incurvato le labbra, mentre gli stringeva la mano, al di fuori del Ministero. Quello che era scomparso definitivamente dal suo volto, pochi istanti dopo. Stringe forte, la presa contro il pensatoio si fa più energica, mentre il filamento trasparente fuoriesce definitivamente dalla sua tempia. Lo butta nel liquido e per un istante rivede quegli occhi, prima che vengano assorbiti definitivamente. E spera vivamente che quel suo dolore gli ricordi sempre il perché si trova lì. Per lei.


    Credo di aver scritto un post assolutamente sgrammaticato, ma oh, Frank mi contagia alla fine.
    Interagito con Lily e Rocky e con chiunque si avvicinerà al tavolo dove ha posato le bottiglie di vino e i formaggi fatti dalle mani di nonna Emilia. Mi raccomando, rendetegli giustizia, sennò la nonna si arrabbia.
    Citati nella prima parte I tre allegri ragazzi morti ovvero Byron, Renton e Thomas. Belli de mamma <3


    Edited by er tritolo. - 20/7/2017, 19:59
     
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  3. rock n roll angel
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    Esistevano. Era tutto vero. Non si trattava di voci messe in giro per fomentare il dissidio sociale o stanare chiunque la pensasse diversamente. Un'alternativa esisteva, ed era lì, a portato di mano, a pochissimi centimetri dalle dita affusolate di Lily. Frank, il suo fratello non di sangue ma sicuramente di affetto, lo sapeva da ben prima di lei, e aveva addirittura partecipato alla primissima riunione di questa gente. Inutile dire che la McCormick si era incazzata come una biscia non appena lui glielo aveva comunicato, accusandolo di averla tenuta all'oscuro, lasciandola a chiedersi se quella in cui vivevano non fosse davvero l'unica realtà possibile. Tuttavia, si sa, tra i due è sempre bastata una teglia di parmigiana e una partita di calcio alla tv per appianare qualsiasi divergenza, e così la ragazza lo aveva perdonato - seppur continuasse a fargli notare la cosa ogni volta che si presentava l'occasione. Insomma, tra una cosa e un'altra Lily si ritrova ad affacciarsi per la prima volta a questa gente proprio a lavoro finito: con un quartier generale già bello pronto, una cosa che la faceva sentire come il classico tipo che si imbuca a una festa di compleanno senza aver messo nemmeno mezzo centesimo per il regalo di gruppo. Bella figura del cazzo. Quanto meno, però, un bel vassoio di donuts l'aveva portato: il massimo che era riuscita a racimolare dopo la giornata di lavoro.
    "Ve la volete da' na mossa, sì o no?" sbuffò pesantemente, cercando di allungare l'andatura per stare al passo con quei due giganti di Frank e Rocket senza rovesciare il vassoio che teneva in bilico tra le mani. "Tanto mica ci chiudono fuori. Che c'è? Ti sei trovato la fidanzatina che vuoi essere puntuale tutto d'improvviso?" disse sull'orlo di un sorriso sarcastico, scoccando un'occhiata divertita al fratello da sopra le lenti degli occhiali da sole, prima di concludere con una linguaccia. Tuttavia, sotto tutto quel sarcasmo, non poteva nascondere poi molto bene una certa trepidazione non dissimile a quella del primo giorno di scuola. Nella sua mente si affacciava la classica domanda di chi si spinge in un nuovo contesto: cosa e chi troverò? Come cambierà la mia vita tutto ciò?
    Si fece guidare da Frank lungo la macchinosa via d'accesso, lanciando poi un piccolo fischio non appena una baia si schiuse di fronte ai loro occhi. "Oh, organizzatissimi comunque. Peggio della Carboneria." "Eh? N'avemo pensata una più der diavolo, no?" A quelle parole storse la bocca con fare di apprezzamento, annuendo, per poi voltarsi verso Rocket. "Hai capito? Non li inculi mica a questi."

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    E proprio come il primo giorno di scuola, Lily se ne stava impalata in un angolino, seguendo i suoi unici punti di riferimento - Frank e Rocket - come un fantasma, ovunque andassero, mentre riempiva compulsivamente un piattino di carta con tonnellate di cibo. Si guardava intorno in continuazione, lanciando occhiate all'ambiente e alla gente al suo interno, portandosi grosse forchettate di qualsiasi cosa alla bocca e annuendo di tanto in tanto alle parole di chiunque parlasse con i suoi due accompagnatori. Ogni volta che poteva stringeva qualche mano, presentandosi, pronunciando qualche parola e più in generale cercando di coprire l'imbarazzo montante di non conoscere nessuno dei presenti. Imbarazzo che, tuttavia, venne spezzate con il tintinnio di una forchetta su un bicchiere, richiamando tutta l'attenzione verso un uomo barbuto al centro della sala. "Lo giuro, lo giuro, questa volta cercherò di essere breve." ..non fu breve. Non lo fu affatto, ma allo stesso tempo, quel lungo discorso sembrò scorrere per Lily liscio come l'acqua piovana, adatto alla situazione in cui si trovavano. Ne aveva ascoltati, lei, di discorsi. Al Ministero chiunque avesse un ufficio tutto proprio si sentiva in diritto di fare lunghe filippiche a chi invece l'ufficio in suo non ce l'aveva. Discorsi per lo più asettici, mirati a farli lavorare come somari o ad ostentare una supremazia basata sul fumo e la polvere. Quello, però, era un discorso diverso, vicino, celebrativo di ognuno dei presenti. "Che dire? Siamo quei pazzi che ci credono che un mondo migliore, un'alternativa, sia ancora possibile. E non vi illudete: come pazzi verremo etichettati. Non farà che peggiorare." Sorrise tra sé e sé, scoccando un'occhiata a Frank senza lasciarsi vedere. Due gocce d'acqua, loro due, due pazzi che ci credono ancora che un mondo migliore sia possibile. E anche quella volta, ci avrebbero creduto insieme, come sempre. "La memoria storica..è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre." Il primo a farsi avanti, ovviamente, fu Frank, che con la bacchetta alla mano si avvicinò al pensatoio, lasciandovi un ricordo che - glielo lesse in faccia - doveva provocargli certamente dolore. Fu per questo che lei fu la seconda ad andare, dando una piccola pacca sulla spalla del fratello nel passargli accanto, rivelandogli un piccolo sorriso di vicinanza prima di mettersi a sua volta di fronte alle acque argentate della fonte. Prese un lungo respiro, estraendo la bacchetta e puntandosela alla fronte con le palpebre abbassate. In pochi istanti la sua memoria riportò a galla alcuni brevi sprazzi di vita: la notizia della morte di suo fratello, la divisione che tutti loro avevano dovuto subire insieme ad essa, i volti della sua famiglia e la prima volta che la spilla di Auror le era stata appuntata al petto provocandole un moto invincibile di orgoglio. Quelli erano stati i momenti in cui più di tutti, nel bene o nel male, Lily si era sentita parte di qualcosa, motivata a stringere i denti e combattere per un avvenire, di qualsiasi natura esso fosse. E quelli erano dunque i ricordi che avrebbe lasciato lì, ai posteri, agli altri, ma soprattutto a se stessa. Con gli occhi appena lucidi li abbandonò nel pensatoio, lanciando un veloce sguardo all'uomo che aveva dato inizio a quell'insolito rito prima di voltargli le spalle e tornare da Frank e Rocket. Con la punta dell'indice andò a pulirsi l'angolo dell'occhio da quel po' di umidità che ne era fuoriuscita, scuotendo poi una mano in direzione del fratello come a fargli segno di non commentare. "Mi è tornato oggi il ciclo, sono emotiva. Problemi?"
    Interagito con Frank e Rocket

     
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    Eric era arrivato tra quella gente nell'ultimo periodo, quando ormai un posto da rimettere in sesto lo avevano già trovato e gran parte del lavoro era stato fatto; tuttavia non si era tirato indietro dal dare una mano quotidianamente, un po' perché aveva bisogno di sentirsi utile e impiegare la testa in qualcosa di costruttivo, e un po' perché ormai non è che potesse fare molto altro e dunque le sue uniche occupazioni nella vita erano diventate i dissidenti e lo studio per diventare animagus - di certo non facilitato dall'assenza di una bacchetta magica. Aveva cercato quella gente con la stessa disperazione con cui un disperso cerca acqua nel deserto, solo per poi essere lui quello che loro avevano trovato: subito dopo la notizia di tutto ciò che era successo, uno di loro era andato a cercarlo di persona, offrendogli la possibilità che tanto agognava. E così Eric si sentiva di dovergli tutto, compresa la vita, perché probabilmente se ciò non fosse avvenuto non avrebbe potuto escludere che qualcuno di meno amichevole lo avrebbe trovato. Senza contare che ormai, per lui, ogni punto di riferimento pregresso sembrava essersi dissolto nel nulla, lasciando un vuoto scavato nella sua anima, una solitudine che non sapeva più come riempire e che per lui era una sensazione tutta nuova. Ecco cosa gli avevano offerto i dissidenti: la possibilità di colmarla, di essere accettato all'interno di un mondo che ormai non aveva più un posto a lui riservato, e di ciò non poteva che essergliene grato.
    Negli ultimi giorni si era rintanato al limitare di Fort Augustus, in una capanna andata in malora che sembrava non vedere traccia umana da più anni di quanti Eric potesse contare sulla sua pelle. In previsione dell'inaugurazione aveva pensato che quello fosse il luogo migliore in cui appoggiarsi fino a quando non si sarebbe ufficialmente trasferito nel Quartier Generale. Ecco, quel giorno era finalmente arrivato. Aveva imparato a memoria tutta la trafila per accedere al Quartiere dalla piccola baia che avevano nascosto sotto una serie di incantesimi, tuttavia per metterla effettivamente in pratica aveva dovuto aspettare l'arrivo di qualche invitato, dato che l'assenza di una bacchetta non gli permetteva di schiudere la baia. Così, non appena vide il primo volto noto in lontananza, alzò una mano a mo' di saluto, aggregandosi ad esso nel breve tragitto in barca fino all'arrivo a destinazione.

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    "Rocket?" chiese perplesso, sporgendosi in direzione dell'entrata non appena vide Frank varcare la soglia insieme ad altri due. Tra questi, proprio il suo ex compagno di squadra. Con non poca sorpresa si avvicinò ai tre, assestando una pacca sulla spalla dell'amico. Era strano rivederlo, forse perché il biondo apparteneva a una vita che ormai sembrava distante anni luce dalla strada che Eric aveva imboccato. Il suo viso riportava alla memoria di Donovan tutti i giorni passati insieme, gli allenamenti, le ubriacature, le trasferte, i racconti condivisi: cose che avvenivano di continuo fino a non più tardi di un paio di mesi prima, ma che ora sembravano ricordi sbiaditi come quelli della prima infanzia. I ricordi di qualcun'altro. "Non mi aspettavo di vederti qui..così presto." Aggiunse quelle due parole, consapevole di quanto cambiassero il significato della frase. Eric sapeva come la pensasse Rocket riguardo tutto ciò che aveva portato il moro a proferire quelle parole in rassegna stampa, ma non sapeva nulla di ciò che era passato nella sua testa in seguito ad essa e una parte di lui si sentiva in colpa per le conseguenze che i suoi compagni di squadra avrebbero potuto subire per colpa sua. Tuttavia di una cosa era sempre stato certo: che se i dissidenti avrebbero avuto un futuro, quel futuro contemplava anche Rocket. "Sono contento, davvero." disse quindi, stirando un sorriso decisamente più spento rispetto a quelli a cui il compagno era abituato a ricevere da parte sua "Pensi di trasferirti qui?"
    Quando il tintinnio di una forchetta richiamò l'attenzione generale, Eric si voltò subito verso Byron, preparandosi mentalmente a un altro dei suoi lunghi discorsi. "Lo giuro, lo giuro, questa volta cercherò di essere breve." ridacchiò appena sotto i baffi, conscio del fatto che Byron non avesse vie di mezzo: o proferiva due parole strozzate, oppure parlava per ore..non esisteva una misura tra le due cose. Tuttavia ascoltò di buon grado ciò che aveva da dire, ritrovandosi a sorridere alle sue parole, mentre un moto di orgoglio cominciava a montare in lui. In quell'istante si rese conto che quelle persone erano tutto ciò che lui aveva: nient'altro bene era in suo possesso se non quella gente. Ognuno con i propri crucci, i propri desideri, i propri pensieri, ma tutti sotto quello stesso tetto, desiderosi di un avvenire più umano, di un ci sarà. "La memoria storica..è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre." Mentre i primi cominciavano a farsi avanti verso il pensatoio, Eric si guardò intorno alla ricerca di qualcuno a cui chiedere una mano, sporgendosi poi verso la persona a lui più vicina per sussurrare un veloce "Scusa, potresti prestarmi la bacchetta?" In fin dei conti non si trattava nemmeno di fare incantesimi particolari: era solo un veicolo per l'estrazione dei pensieri. Così, non appena gli venne data la stecca in mano, anche lui andò a passo spedito verso il centro della sala. Sapeva perfettamente quale ricordo estrarre, probabilmente perché era così vicino che ancora bruciava la sua pelle. Lasciò quindi che la memoria di quella sera, del volto di sua madre, scivolassero dalla sua tempia in un lungo filo argentato, andando poi a cadere nelle acque del pensatoio. 'The ultimate measure of a man is not where he stands in moments of comfort and convenience, but where he stands at times of challenge and controversy. (Martin Luther King, Jr.)' lesse dentro di sé, lasciando che le sue labbra si incurvassero in una piega amara prima di tornare indietro, restituendo la bacchetta a chi gliel'aveva prestata e mormorando un veloce "Grazie mille."
    - Interagito con Rocket
    - Ho nominato gente a caso: qualcuno che abbia fatto l'accesso con lui alla baia e quindi anche il tragitto in macchina, e poi qualcuno che gli abbia prestato la bacchetta per lasciare il ricordo nel pensatoio. Ergo, dateme sta gente de cuore <3

     
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    Teddy era stata completamente assorta dal lavoro in quel periodo. Un orecchio teso a qualunque soffiata potesse arrivare sul conto del Ministero, l'altro teso a capire quali tra i suoi colleghi potessero essere degni compagni dell'impresa che si stava accingendo a raggiungere. La redazione. Non una qualunque redazione. La redazione della causa a cui si era volente o nolente dedicata. Chiamatela storia o tradizione, chiamatela parzialità giornalistica, chiamatela un po' come vi pare; certo è che Teddy Lupin ha deciso di gettare al chiodo il tesserino della Gazzetta per seguire una strada più nobile, quella che i suoi genitori hanno seguito prima di lei. Un percorso tempestato da rinunce e compromessi, come ad esempio stare lontana da Lizzie. Era da tempo che ormai la bambina non viveva più a Grimmauld Place. L'aveva mandata dai Potter, là dove certamente sarebbe stata più al sicuro, quanto meno finché il Quartier Generale non si fosse sistemato. Dell'organizzazione del posto non si era occupata. Si era piuttosto curata di appostarsi tutti i giorni nell'atrio del Ministero alla caccia di soffiate di ogni tipo, sperando di non sentire nulla sul conto dei diretti interessati implicati nel progetto. Massima attenzione sui nomi di Byron, Renton, Frank e Thomas, i quali avevano personalmente sistemato il luogo affinché accogliessero i nuovi coinquilini. Ora che il Quatier Generale era pronto ad accogliere i civili, Lizzie sarebbe vissuta là. Ma non Teddy. Teddy sarebbe rimasta nell'occhio del ciclone, là dove serviva, là dove era il suo posto. Da quando la bambina era stata mandata via, Grimmauld Place era diventato un vero e proprio campo di battaglia. Solo le stanze all'ultimo piano erano rimaste non toccate tornado Teddy Weasley. Tutto il resto era stato ritrasformato; ogni spazio era stato riorganizzato affinché fungesse da redazione per il giornale e la radio che avrebbero di lì a poco distribuito in tutto il Regno Unito. Tutto pronto. Quasi. Lei e gli altri avevano lavorato giorno e notte, soprattutto a strumenti di sicurezza sempre più avanzati. Passavano notti intere su libri per cercare di mettere su le migliori barriere protettive possibili, affinché potessero stabilirsi il più a lungo possibile in quella che un tempo era la sede dell'Ordine della Fenice. Dormiva poco e non era da stupirsi. In fin dei conti, pur avendo gente di fiducia dalla sua, tutte le responsabilità cadevano sulle sue spalle. In primis, l'idea di aver dato origine a quella redazione; sulle sue spalle pesava la sicurezza di tutti loro. Chiunque si fosse fatto del male, sarebbe ricaduto direttamente sulla sua coscienza. Era stata lei a convincerli, lei a reclutarli, lei a portarli là svelando loro il segreto dei Ribelli. E così era più paranoica del solito, piuttosto scontrosa e anche poco incline alla socializzazione. L'unico motivo per cui aveva deciso di partecipare all'inaugurazione era perché quel momento andava documentato. Prima o poi la storia di come i Ribelli sono nati sarebbe uscita, e qualcuno doveva rendergli giustizia. Così eccola lì col taccuino in mano pronta a catturare ogni impressione riguardo il luogo che prima o poi sarebbe diventato anche casa sua. Forse quando sarebbe diventata troppo stanca per lottare ancora. O forse non lo sarebbe mai diventato perché prima che accadesse loro avrebbero vinto. O forse non lo sarebbe mai stato, perché quella vittoria non l'avrebbe mai vista di persona. Il chiacchiericcio di fondo è un'ottima distrazione da qualunque pensiero le passi per la testa. Osserva gli svariati volti che la circondano; c'è entusiasmo e speranza nell'aria. Almeno oggi.« Tutta roba de casa de nonna Emilia. Me raccomando, nun fate complimenti! Altrimenti se lo viene a scoprì nonna, altro che l'Inquisizione, so uccelli pe' diabetici. » Se solo non fosse intollerante al lattosio. Afferra comunque un bicchiere dal tavolo alzandolo in direzione degli altri. « Complimenti a nonna Emilia. E falle sapere che ce ne servirà molto altro.. per festeggiare.. » E annegare i dispiaceri.
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    Depressione nera quella di Teddy, forse perché in fin dei conti la sua mente volava altrove. Al modo migliore per veicolare il giornale e la radio. Ci avevano pensato a come tutelarsi; ottenere le storie era una questione che si faceva alla vecchia maniera seppur con i dovuti accorgimenti. Ora arrivava la parte più complicata; guadagnare consenso, tutelarsi attraverso l'opinione pubblica, guadarsi il rispetto, l'amore e l'ammirazione dei propri lettori. Se a tutto questo normalmente ci pensavano i sindacati, i rappresentati legali dei giornali e l'ufficio relazioni col pubblico, lì dentro doveva pensare a tutto un gruppo che si contava sulle dita di una mano. E doveva restare così. Tutto. Non poteva trasferirsi lì e non potevano nemmeno richiedere risorse inesistenti a Byron. Dovevano solo tenere duro; tenere duro finché il Quartier Generale sarebbe stato in grado di camminare coi propri piedi, offrendo supporto all'esterno. Per ora avrebbero semplicemente tenuto un profilo basso. Molto basso. L'atmosfera cambiò quando Byron prese la parola. Col suo bicchiere di vino rosso in mano, il taccuino e la piume autoscriventi fluttuanti alla sua destra, e una chiara espressione di ammirazione, la Lupin rimase in silenzio a sentire il discorso di Cooper, ben consapevole che pur non considerandosi tale, il giovane era un leader nato. Il suo istinto, tipico dei giornalisti, lo annoverava facilmente nella categoria delle persone carismatiche. Lui sa conquistare il suo pubblico. Pur non volendolo, Byron sa vendersi.
    E' una delle prime ad avvicinarsi al pensatoio. Le dita solleticano la superficie in marmo mentre gli occhi di ghiaccio ne scrutano le acque profonde. Non vi ho mai conosciuti.
    Non so che cosa vi piacesse effettivamente fare; non so che tipo di genitori sareste stati durante i miei anni più difficili - e credetemi ce ne sono stati alcuni davvero complicati. Non ho mai sentito il suono delle vostre voci, non so qual è la sensazione della vostra stretta di mano sulla mia o dei vostri abbracci; eppure i racconti vi hanno tenuti ben saldi nella mia mente. Siete diventati più di un sogno, più del frutto della mia immaginazione. Più di un ricordo. Siete la cosa più tangibile che la mia mente possa aver prodotto, la cosa più consistente che io abbia visto nelle altrui memorie. Così lontani eppure così vicini. Questa lotta la dedico alla vostra memoria, perché io non dimentico, io vi ricorderò sempre. E il vostro sacrificio per un mondo migliore non sarà mai vanno. Non finché ci sarà ancora qualcuno a dar voce ai vostri sogni.
    La strisciolina contenente ricordi di racconti, di altri ricordi di loro visti nei pensatoi sparsi tra i suoi parenti acquisiti, cadde nelle acque tumultuose del pensatoio. Teddy non aveva sperimentato cose traumatizzanti nel suo passato prossimo. Certo, la chiusura della stampa non era abbastanza; ma l'idea che qualcuno minasse libertà per cui i suoi genitori avevano lottato, ottenendola con il prezzo del proprio sangue, la imbestialiva. Lei era orfana perché altri Purosangue prima di questi avevano portato avanti politiche simili. Lei era orfana perché l'egoismo intrinseco dell'animo umano non permette di vivere secondo il libero arbitrio, non ora né mai. « Scusa, potresti prestarmi la bacchetta? » Trasalì quando poco dopo venne interpellata da un volto che non le risultava affatto nuovo. Eric Donovan, sempre stato famoso anche tra i non addetti ai lavori. Che poi lei, volente o nolente, ad un certo punto è stata anche addetta ai lavori, quando moriva di fame e doveva necessariamente vendere qualcosa alla stampa. « A una condizione: semmai dovessi chiederti un'intervista.. di nuovo.. non mi snobberai. » Era successo un secolo fa a dirla tutta. Era appena entrata nelle schiere della Gazzetta; le avevano affidato la partita dei Falcons e Donovan aveva fatto una performance straordinaria durante quella partita. Non le ha mai concesso la risposta nemmeno a mezza domanda. E a lei avevano tolto la rubrica sportiva. La giungla del giornalismo, signori e signore. « Grazie mille. » Riprese la propria arma infine, sorridendogli cordialmente, prima di portarsi nuovamente il bicchiere alle labbra. « Figurati. Ricordati che siamo dalla stessa parte ora. »

    -Interagito con Frank & Eric

     
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    Dall'esatto momento in cui aveva partecipato a quella prima riunione segreta la sua vita era cambiata drasticamente, Alexis viveva infatti nel terrore che qualcuno la scoprisse e decidesse di usare il suo bambino contro di lei; mai come in questo momento sentiva la mancanza di suo marito. Odiava separarsi da Matty, ma allo stesso tempo sapeva che non poteva assentarsi dal lavoro, doveva continuare a svolgere i suoi compiti nella stessa impeccabile maniera che l'aveva sempre contraddistinta. Con l'aiuto di Holden aveva preparato diverse vie di fuga, voleva assicurarsi che in qualsiasi momento sarebbe potuta scappare in tutta sicurezza con suo figlio. Non affidava più il bimbo alle cure della sua amorevole vicina, troppo ovvio, ma soprattutto non voleva mettere la cara signora in pericolo. Quando non era al lavoro invece non si separava mai da lui, ovunque si recasse Matty era sempre con lei e proprio per questo motivo era con lei anche quella sera. «Mammina andiamo?» Matty si dondolava avanti e indietro sui talloni, stringendo al petto un esemplare giocattolo di triceratopo; ogni volta che lo guardava Alexis si diceva che faceva tutto ciò per lui, affinché potesse crescere in un mondo più libero che non l'avrebbe discriminato per il suo sangue o la sua provenienza. Si accucciò di fronte a lui e gli sistemò il giubbino di jeans, era estate ma le Highland scozzesi erano spesso imprevedibili. «Stiamo andando a visitare il lago di Lochness, un lago famoso dove si nasconde un grandissimo plesiosauro...» Gli occhi di suo figlio si spalancarono per lo stupore e prima che potesse finire di allacciargli il giubbino corse goffamente nella sua cameretta e tornò con in mano un modellino di plesiosauro, probabilmente il triceratopo giaceva abbandonato sul pavimento della cameretta. Impaziente di andare prese la bacchetta di Alexis dal tavolo e gliela mise in mano con foga, sorridendo la donna assicurò la bacchetta all'interno della manica e cercò con lo sguardo un piccolo soprammobile a forma di elefante. Per essere pronta alla fuga aveva collocato diverse passaporte in luoghi diversi, quasi tutte l'avrebbero condotta nei pressi della grotta naturale; unica via d'accesso per il castello. Prese suo figlio in braccio e senza esitare accarezzò la piccola proboscide in vetro. Con Matty stretto al suo collo vennero catapultati direttamente nelle Highland scozzesi, individuò subito la grotta e senza separarsi dal figlio raggiunse l'apertura e picchiò tre colpi sulla parete. Non appena apparse il passaggio Matty sussultò e sgranò gli occhi affascinato. All'interno una piccola baia dall'acqua cristallina cullava con il suo moto delle piccole imbarcazioni. Posò il figlio all'interno dell'imbarcazione e una volta salita a bordo lo strinse nuovamente a sé. «Ad maiora.» Non appena ebbe pronunciato le parole magiche la piccola imbarcazione iniziò a navigare verso il rifugio. Suo figlio non faceva altro che emettere squittii emozionati e incurante dei pericoli cercava di sporgersi oltre il bordo; forse alla ricerca del misterioso mostro di Loch Ness. Il tragitto non era molto lungo e quando sbarcarono dovette fare conto con la delusione di Matty, molto probabilmente avrebbe preferito un viaggio in barca più lungo; Alexis ripromise a sé stessa che quando le
    ArIcVWS
    cose sarebbero migliorate lei e il figlio si sarebbero presi una bella vacanza, magari proprio a bordo di una grande nave. «Sai che ci sarà anche lo zio Frank? E proprio oggi mi ha detto che avrebbe portato anche Spartaco.» Nel sentire il nome del grosso cucciolone Matty indicò impaziente il grande castello alle loro spalle, esaltato all'idea di poter giocare con il suo amico a quattro zampe. Quando entrarono nel salone vennero accolti da sorrisi, volti conosciuti e amichevoli, ma anche da volti nuovi. Lasciò Matty libero di andare e prima che potesse svestirlo scappò via verso l'imponente figura di Frank. «Zio, ziooo...» Si lanciò sulle gambe dell'uomo abbracciandolo e prima ancora che quest'ultimo potesse salutarlo gli mise sotto il naso il suo dinosauro giocattolo. Alexis si tolse il golfino e salutò con calma tutti i presenti, per la prima volta in vita sua sentiva di non dover tener sempre sotto controllo suo figlio. «Come stai Frank?» Strinse l'amico in un abbraccio, grata della sua presenza dei ribelli; dopo la scomparsa di suo marito era stato fondamentale per lei, l'aveva spronata a non lasciarsi abbattere e a continuare a lottare sia per lei che per suo figlio. Poco distante da loro Matty accarezzava con gioia Spartaco, badando bene a tenere lontano dalla sua presa il giocattolo a cui era tanto affezionato. Prima di sedersi tirò fuori dalla sua borsa incantata due teglie con arrosto e patate mettendole al centro del tavolo a disposizione di tutti. «Tutta roba de casa de nonna Emilia. Me raccomando, nun fate complimenti! Altrimenti se lo viene a scoprì nonna, altro che l'Inquisizione, so uccelli pe' diabetici.» Frank sfoderò una quantità di cibo industriale e conoscendo bene la fama di nonna Emilia non si vergognò di riempire il proprio piatto di quelle golosità. Si versò un bicchiere di vino e sospirò soddisfatta mentre Byron, quello che ormai era il loro leader, prese la parola. «Lo giuro, lo giuro, questa volta cercherò di essere breve.» Quando lo vide sorridere dovette strabuzzare gli occhi per essere sicura di aver visto bene,le sembrava impossibile che quell'uomo sapesse come sorridere. «[...]La memoria storica è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre.» Uno ad uno si avvicinarono tutti al pensatoio lasciando fluire al suo interno ciò che avevano di più caro al mondo, ciò per cui erano disposti a sacrificarsi. Unirsi ai ribelli non era stata una scelta facile, ma restare a guardare le era sembrato sbagliato, un insulto verso tutti coloro che erano disposti a mettere la loro in vita in gioco per parenti, amici e perfetti sconosciuti. Saremmo rimasti nell'ombra, demonizzati, etichettati come ribelli e nemici del mondo magico, preso o tardi ci avrebbero dato la caccia e forse ci avrebbero messo con le spalle al muro; ma ognuno di noi era pronto a lottare con le unghie e con i denti per difendere quell'idea di mondo libero senza pregiudizi e prevaricazioni. Quando toccò a lei andare al pensatoio si prese un attimo per dire due parole, parole a cui aveva pensato per settimane e giorni. «Penso che sia chiaro a tutti quale sia il motivo che mi spinge ad essere qui, lui è forse la cosa più cara che è al mondo e proprio a lui voglio donare un mondo migliore. Allo stesso tempo devo essere realista e accettare l'idea che la strada sarà lunga, tortuosa e lastricata di pericoli. Chiedo dunque a voi, se mai mi capitasse qualcosa, di prendervi cura della parte migliore di me...sapere che ci saranno persone pronte a proteggerlo renderebbe tutto più facile.» Commossa e con le lacrime agli occhi puntò la bacchetta sulla tempia e lasciò fluire una serie di immagini di Matty, il suo sorriso quando si svegliava al mattino, il bacio che le dava sulla fronte prima di abbracciare il suo pupazzo per dormire e la sua tenera vocina che che la chiamava mammina. Dal momento esatto in cui aveva saputo di essere incinta Matty era diventato il primo dei suoi pensieri e sarebbe stato così fino al giorno in cui si sarebbe addormentata per sempre.


    Interagito con Frank e citato Byron
     
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    Non più lontano di due mesi fa eravamo chiusi in cima a quel faro a perderci senza mai ritrovarci davvero. Stavamo cercando la libertà all'interno della gabbia, cercavamo il nostro sprazzo di luce, la nostra personale felicità, all'interno di una dimensione tempestata di demoni di ogni sorta. I mostri ci facevano paura; a dirla tutta credo ci facesse paura qualunque cosa si fosse trovato al di fuori della camera ovale in cui alloggiavamo. Non avevamo niente altro che le nostre paure. Io avevo paura dei suoi mostri e lui aveva paura dei miei. Io avevo paura del suo passato e del suo presente, lui ne aveva altrettanto, aveva paura di me, della mia età, della mio controverso modo di essere, e altrettanto ne avevo io, pur non ammettendolo. Per un po' forse ci siamo illusi; so di essermi raccontata più di una volta che qualunque cosa stessimo vivendo si sarebbe consumato come una candela. Prima o poi - più prima che poi - la luce di quell'incantesimo fatto di speranza e illusione avrebbe dovuto consumarsi, riportando alla realtà. Ognuno per la propria strada, ognuno sarebbe tornato a combattere i propri mostri. Due mesi sono sufficienti perchè uno cambi prospettiva. Con noi è accaduto così, di colpo, e prima che ce ne rendessimo conto stavamo facendo progetti che a volte non si arrivano a fare nemmeno dopo anni. Casa, futuro, lavoro, vita. Cose che ho sempre pensato non avrei sfiorato nemmeno lontanamente con il pensiero. Ora lo guardo tenendomi a debita distanza nella sala. Tenendomi a debita distanza un po' da tutti. Resto pur sempre la più lontana personificazione della festaiola, anche in mezzo a persone che so bene, hanno ben poco da festeggiare, ma lo fanno comunque, perchè un piccolo barlume di speranza è nato. Io la speranza non la frequento, nemmeno quando penso di farlo. Troppo pessimista. Troppo poco incline a pensare che le cose potrebbero effettivamente migliorare. Gli scruto tutti, uno ad uno, cerco di comprenderli, di visitare le loro intenzioni e i loro stati d'animo. I luoghi affollati non mi sono mai piaciuti. I colori delle persone tendono a confondersi, a unirsi; è incredibile come riusciamo a influenzarci l'un l'altro. « Lo giuro, lo giuro, questa volta cercherò di essere breve. » Scoppio in una leggera risata prima di accendermi una canna. Non ci credi nemmeno tu. Man mano che procede, mi rendo conto di quanto la qualità dello stato d'animo di Byron sia cambiato negli ultimi mesi. Quando l'ho conosciuto Byron era grigio. Non nero, né bianco; solo grigio. Il suo animo non suonava melodia alcuna; solo un indistinto fruscio fatto di lamenti e disperazione. Si stava lasciando morire. Ora ha qualcosa in cui credere, un obiettivo, qualcosa che ha fatto proprio, che prescinde ormai dalla Loggia, da quanto gli hanno chiesto di fare. Le Logge si stanno popolando troppo in fretta. L'ho sentito così spesso sussurrare là nel buio. All'inizio sono certa che lui volesse servire semplicemente la Loggia, in quanto suddito e paradossalmente padrone in questo mondo. Eppure col tempo qualcosa è cambiato. Un cambio di cuore. Byron sta ormai servendo questa gente, la sua gente. Ogni sua parola lascia trasparire quanto si senta legato a questa causa, non per fattori esterni, ma perché ci crede. Per tutto il tempo del discorso, resto lontana dal resto del gruppo, un bicchiere di vino in mano e una canna nell'altra. Ormai fanno poco effetto maledizione. E non è una cosa positiva. Significa che il momento in cui non avrò alcun modo per stordirli sta arrivando. E poi? Cosa succederà? « La memoria storica.. è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre. » Con quelle ultime parole il suo discorso si conclude, e mentre ognuno si dedica a gettare i propri ricordi nel gigantesco pensatoio, io me ne resto lontana, osservandolo da lontano.

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    Non ho partecipato. E' stata una scelta ben precisa. Ci sono cose che devo sistemare prima di gettare la mia personale memoria storica all'interno del pensatoio. Non è una mancanza di desiderio di impegno; nel momento in cui ho scelto questo uomo, ho scelto anche tutto ciò che lo riguardasse. Ho accettato tutto, il bello e il marcio - e di marcio ce ne è parecchio. Così adesso, mentre gli ultimi partecipanti gettano le proprie memorie nella bacinella mi avvicino. « Sono fiera di te. » Alzo la coppa e bevo, prima di gettare un occhio verso l'allegra compagnia radunatasi attorno al tavolo su cui Frank ha gettato ogni ben di dio che la sua cultura possa aver creato per mandare in estasi i palati di chiunque sappia distinguere i sapori. E a quel punto, l'attenzione dei più venne attirata dalla voce melodiosa di Alexis Harker. « Penso che sia chiaro a tutti quale sia il motivo che mi spinge ad essere qui, lui è forse la cosa più cara che è al mondo e proprio a lui voglio donare un mondo migliore. Allo stesso tempo devo essere realista e accettare l'idea che la strada sarà lunga, tortuosa e lastricata di pericoli. Chiedo dunque a voi, se mai mi capitasse qualcosa, di prendervi cura della parte migliore di me...sapere che ci saranno persone pronte a proteggerlo renderebbe tutto più facile. » Il nanetto al suo fianco ha un volto spaesato; quell'espressione tipica di chi non sa esattamente dove si trovi, ma è pronto ad adattarsi a qualunque cosa. I bambini sono così.. si adattano. Forse non è il mondo ideale in cui nascere e crescere, piccolo. Ma saprai adattarti. Saprai farlo. Un sorriso e un leggero cenno della testa in direzione di Alexis, quasi una promessa silenziosa che quanto ha chiesto verrà rispettato vada come vada. Perché di questo si tratta in fin dei conti: prendersi cura l'uno dell'altro, spalleggiarsi, scendere in campo come un tutt'uno. Lo sguardo si erge poi nuovamente su Byron. « Avremo un bel po' da fare.. » E nel dire ciò lo sguardo si erge nuovamente sul bambino. « ..per i nuovi.. » I piccoli. Le nuove generazioni. Quel che verrà.

    - Interagito con Byron;
    - Nominata Alexis;


     
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    C'è una domanda di fondo che le ristagna pressante tra i pensieri da qualche giorno: "Perché sto facendo ciò che sto facendo?" Una domanda semplice, anche piuttosto cretina, secondo il suo giudizio, eppure continua a porsela, soprattutto quando le viene detto che verrà portata da una parte all'altra, senza sapere bene il perché. Gli ultimi giorni l'ha passati in balia degli eventi. Prima l'attentato, poi Melysandre che le dice di fidarsi e seguirla, il ritorno veloce a casa, per poi starsene rintanata nella casa di quella donna di cui conosceva soltanto il nome e la fama che la precedeva nelle parole piene di lode di suo padre. E ora è lì, che segue la mora, in un paesino che dà sull'acqua e che sembra essere completamente disabitata. «Non vorrei passare per la rompipalle che effettivamente sono, ma c'è ancora tanta strada da fare?» Domanda alla donna, piuttosto infastidita da quelle poche informazioni che le sono state date. Sa che Melysandre è il suo passe-partout per la roccaforte dei Ribelli. Ribelli di cui non aveva mai sentito parlare prima di quel giorno a King's Cross. Edmund Kingsley si era ben visto dal far circolare quell'informazione ai piani inferiori. La notizia che, al di fuori delle mure di quel castello, vi erano delle persone che si stanno organizzando per combattere il governo non poteva di certo giovare alla causa "Cari sangue misto, dovreste ringraziarmi perché vi ho sistemato nei confortevoli Sotterranei." Si guarda intorno, leggermente disorientata, quando vede una mano alzarsi in lontananza, abbastanza riparata da non farsi vedere subito, abbastanza scoperta da essere però vista. Lo riconosce quasi subito. Non ci ha mai parlato effettivamente a scuola, se non qualche saluto di circostanza al tavolo Grifondoro e quell'imbarazzantissima lezione di educazione sessuale. «Donovan» lo saluta a sua volta con un cenno di mano, leggermente stupita dal vederlo nei pressi di quello che dovrebbe essere il quartiere generale dei Ribelli, anche se effettivamente lì non c'è nulla, se non un ammasso di rocce ed una caverna. Ed è proprio in essa che li conduce Melysandre. «Non seguo il Quidditch, ma Malia mi ha parlato del tuo discorso alla partita. Il discorso che ti è costato la carriera. E' significato molto per noi che ci ricordassi nella tua denuncia pubblica. Grazie Se inizialmente non le era chiaro il perché lui si trovasse lì, ora lo capisce. E' lì perché si è alzato, prendendo le parti dei più deboli e per questo è stato bandito e ricercato come il peggiore dei criminali. Un punto per te, Donovan. Alza gli occhi e guarda le pareti intorno a sé, con la punta della bacchetta illuminata da un Lumos e dopo qualche istante la parete di fondo sembra farsi da parte, rivelando una piccola baia e delle barchette per la traversata del lago. Fa una smorfia stupita, Olympia, mentre segue Eric in una di esse. Quando tutti e tre sono ormai saliti, la barba prende il largo e la rossa osserva la foschia che risale dall'acqua. «Di certo avete scelto la location più adatta. Sembra di stare in uno di quei film horror dal basso budget per gli effetti speciali. Piuttosto calzante.»

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    E si sbaglia. Ha peccato di saccenteria nel giudicare quella banda di criminali ancor prima di aver effettivamente visto la loro base operativa. O i loro volti. Entra assieme ai suoi due compagni di viaggio nella sala principale di quell'imponente castello e rimane a bocca aperta nel constatare che non sono quattro gatti come si sarebbe aspettata. Non sono molti, ma non sono nemmeno pochi. Hanno visi sconosciuti ed è per questo che rimane vicina a Melysandre. Se solo potesse, si mimetizzerebbe con la parete di pietra più vicina, tanto si sente fuori luogo in un posto del genere. Lì dove vi sono persone adulte, con esperienza mille volte maggiore della sua, con veri problemi con i quali fronteggiarsi al di fuori del micro mondo in cui si entra una volta varcata l'entrata di Hogwarts. Lei è soltanto una ragazzina che sembra voler giocare al tavolo dei grandi, senza aver ancora capito le regole. Mentalmente, maledice il giorno in cui ha deciso di dar retta a suo padre, di aver accettato di mettersi al sicuro per lui, seguendo una donna, che per quanto gentile e buona, è pur sempre una sconosciuta. Senza guardare in faccia nessuno, prende si versa un po' di acqua nel bicchiere, per poi tornare diligentemente al suo posto, nel momento che un uomo prende la parola. "Che dire? Siamo quei pazzi che ci credono che un mondo migliore, un'alternativa, sia ancora possibile. E non vi illudete: come pazzi verremo etichettati. Non farà che peggiorare." E' soltanto quando sente queste parole che comincia seriamente ad ascoltare il suo discorso. Solleva il capo, incrociando le braccia sotto il petto. E' bravo a parlare, usa le parole giuste, ma probabilmente non lo fa nemmeno volontariamente. E' un discorso che probabilmente non è nemmeno stato preparato giorni prima, su di un foglio, nero su bianco. Sembra essere un discorso che viene dal cuore ed è per questo che Olympia riesce ad apprezzarlo così tanto. Perché quell'uomo riesce ad inspirare in lei fiducia, ancor prima di averlo conosciuto effettivamente. Ed è una cosa più unica che rara, per una ragazza con le sue problematiche. Solleva leggermente il suo triste bicchiere pieno d'acqua al brindisi che si innalza appena finisce di parlare. Poi l'uomo tira via il drappo che ricopre qualcosa sopra un tavolino, proprio vicino a lui. Olympia si sporge, mettendosi in punta di piedi ed è in quel momento che scorge il pensatoio. Oggetto di cui ha soltanto letto nei libri di scuola, non avendone mai visto una dal vivo. "La memoria storica...è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre." Lo vede avvicinarsi all'oggetto e dopo di lui altri. Un brivido freddo le percorre la schiena quando si accorge di avere nuovamente quella domanda a serpeggiarle in testa. Una domanda a cui non ha mai trovato risposta fino a questo momento, ma al quale ora è chiamata a trovarla. Di fronte a tutti. In quel momento più che mai vorrebbe scomparire. O scavarsi una fossa per poi buttarvisi dentro. «Ehm..Melysandre.» Il nome della donna le esce dalle labbra in un sussurro appena udibile e assolutamente indeciso. «Io non so come si estraggono i ricordi.» Se prima si sentiva una ragazzina che vuole giocare a fare la grande, ora si sente una stupida ragazzina dall'esperienza magica fin troppo limitata. La donna, come suo solito, tenta di rassicurarla, con un caldo sorriso sulle labbra e un ripasso veloce di quello che deve fare. Sembra tutto abbastanza facile. Fin troppo ma annuisce comunque, mentre estrae la bacchetta dalla tasca posteriore dei jeans. Si avvia titubante verso il Pensatoio e si ferma soltanto quando la mano sinistra serra la presa sul bordo di esso. "Perché sto facendo ciò che sto facendo?" Di nuovo quella domanda. Chiude gli occhi e si fa un esame di coscienza. Torna indietro di qualche giorno e si chiede se effettivamente ciò che ha fatto l'ha fatto per propria convinzione personale o perché soltanto qualcuno dall'alto gliel'ha suggerito. In un attimo, i volti dei suoi famigliari compaiono tra i suoi pensieri, come piccole bolle di sapone. L'ultima cena di Natale. Anche la prima di Rudy nella loro allargata, in lungo e in largo, ma pur sempre gioiosa famiglia. Capisce che è per loro che è lì. Per suo padre, per sua madre, per i suoi fratelli, per i suoi nonni, per i suoi zii e per tutti i suoi cugini. E anche per Rudy, per quanto le costi fatica ammetterlo. Lei è lì per la sua famiglia. Non è sicura di quale possa essere il suo ruolo all'interno di quella società dove lei, fondamentalmente, non serve a molto. Non è sicura di cosa può dare in cambio di quella libertà che le stanno offrendo. Ma è certa di volere quella libertà per ognuno dei membri della famiglia, così come per ogni uomo o donna o bambino in quella stanza. E per tutti coloro che hanno paura e si sentono soli, ma che in realtà non lo sono affatto. Vorrebbe voltarsi a guardare Eric, perché in fondo quelle sono parole che ha rivolto lui al resto della nazione e che sembrano calzare a pennello. Non lo fa, non si volta, ma si punta la bacchetta alla tempia e inaspettatamente, stupendosi non poco, riesce a tirar fuori quel ricordo, gettandolo poi nel liquido argentato sotto i suoi occhi. Fa un lieve sorriso all'uomo che ha tenuto il discorso e alla donna al suo fianco, voltandosi poi per tornare da Melysandre, quando incontra gli occhi azzurri di Teddy. Come se fosse tornata al suo primo giorno di scuola, si sente sollevata dal vedere sua cugina lì ed è per questo che le si avvicina a passo spedito, sorridendo prima a lei e poi ad Eric che le si trova vicino. «Sia lodato il cielo» Per una come me è rassicurante vedere un volto familiare tra tutti questi sconosciuti. «E' bello vederti qui» si limita a dire, sorridendole. Abbassa gli occhi sul taccuino che ha per le mani. Ha sempre silenziosamente ammirato il lavoro di Teddy. La ricerca della verità, a discapito della pura e semplice bella apparenza. «Ti appunti tutto per quando arriverà il momento per loro di uscire allo scoperto?»

    Interagito con Melysandre, Eric e Teddy.
    Citati Byron e Renton.

     
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    'sono stati gli zinghiri'
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    «Ve la volete da' na mossa, sì o no?» Li incalza Frank, girandosi per poterli guardare. Sta annaspando da diversi minuti dietro l'amico, a fianco di Lily, sua sorella. E' sempre stato un tipo atletico Rocket, ma tutta quella lontananza da Shanti lo rende più debole e lento del normale. Si trovano in un posto in culo al mondo che, stranamente, non ha mai visitato in nessuna delle sue spedizioni. Un'isoletta piuttosto desolata, dal clima non particolarmente simpatico. « Tanto mica ci chiudono fuori. Che c'è? Ti sei trovato la fidanzatina che vuoi essere puntuale tutto d'improvviso? » Ride alle parole di Lily, prima di sgusciare in avanti per mollare molto delicatamente un braccio sulle spalle dell'amico. « E non ce l'hai detto prima? A saperlo te portavo na scorta de palloncini magici. Che taglia prendi, una xs? » Si scosta, continuando comunque a seguirlo per farsi guidare nel luogo prestabilito. La baia si staglia all'improvviso di fronte ai loro occhi, e Rocket è veloce a prendere posto in una delle barche più vicine. Sente Frank pronunciare la parolina magica che li condurrà dall'altro lato del lago, e si sporge leggermente in avanti per osservare lo specchio d'acqua sotto di loro. « C'avete ragione, troppo sul pezzo sti ribelli. » Mormora, con una leggera nota d'eccitazione nel tono di voce. Non sa cosa lo aspetterà al di là dell'ingresso di quello strano castello, eppure di una cosa è certo: qualcosa di nuovo, non necessariamente sicuro, sta per avere inizio e ciò che bisogna fare è affrontarlo con maturità. « Ma ce regge tutti sì? Se cado e sto mostriciattolo me ne magna 'e chiappe poi fa brutto. » ...Come non detto. [...] La sala grande del castello è piena di visi più o meno sconosciuti. Rocket si è sempre vantato della sua vasta scelta d'amici e conoscenti, ma per la prima volta si sente abbastanza spaesato. Ma non solo. «Tutta roba de casa de nonna Emilia. Me raccomando, nun fate complimenti! Altrimenti se lo viene a scoprì nonna, altro che l'Inquisizione, so uccelli pe' diabetici.» Si gira sorridendo verso l'amico, smollando un braccio questa volta attraverso le spalle di Lily, intenta a riempirsi silenziosamente il piattino con le meraviglia di nonna Emilia. Cazzo, quanto ama quella donna. « Magna, brava, che me stai a scomparì » La incita, prima che una voce familiare lo costringa a girarsi. « Rocket?» Una pacca sulla spalla, un'espressione sorpresa: Eric Donovan si staglia dinnanzi ai suoi occhi. Inutile specificare che sia un sorriso sincero ciò che esplode sul volto del biondo. Non lo vede da quando è successa tutta quella merdata a seguito della vittoria della squadra, e se vogliamo dirla tutta gli è mancato parecchio. E' proprio per questo che si getta in avanti in un abbraccio spacca ossa. Tipo che se non t'hanno ammazzato i visi pallidi, Donovan, ce penso io. « A stronzetto sai quanto t'abbiamo cercato? » Si scosta, mentre una risata spontanea gli scuote il petto. « Non mi aspettavo di vederti qui..così presto » Si stringe nelle spalle, con espressione innocente. « C'hai messo nei guai un po' a tutti con quel colpo de capoccia che hai dato. La situazione s'è fatta davvero di merda in squadra. Ma...hai fatto bene. Hai avuto le palle ragazzì. » Gli poggia una mano sulla spalla, sinceramente convinto delle sue parole. L'ha ammirato per ciò che ha fatto, e se solo ne avesse avuto l'occasione l'avrebbe appoggiato e difeso a spada tratta. « Sono contento, davvero.Pensi di trasferirti qui? » Gli sorride amaramente, e ciò non fa altro che aprire ancora di più quella crepa dettata dal fatto di non aver potuto far niente per aiutarlo nel cuore buono del gigante. Scuote la testa « Non credo. Non per adesso, almeno.. Devo fà un po' de doppio gioco ancora per un po'. Sai per non destare sospetti e ste stronzate qua. E poi ho degli animaletti a cui badare a casa... » Pensa a quante gliene darebbe Shanti se sapesse come l'ha appena chiamata « Ma sono contento che tu sia quì, serio. La prossima volta prima di cacciarti in sti guai chiamami. Non sei solo, okkè? » Stringe un po' la presa sulla sua spalla, sforzandosi di dedicargli uno dei suoi sorrisi più rassicuranti. E' già la seconda volta che un suo amico viene annientato senza che lui possa far niente. « Adesso magna qualcosa che stai scomparendo. E non dire no che m'incazzo » Lo lascia andare, girandosi a sua volta verso il tavolo e riempiendosi la bocca di roba. E' proprio in quel momento che il tizio chiamato Byron inizia a parlare. « E' lui er capo? » Sputacchia a bocca piena, accanto a Frank. Un pezzo di mozzarella gli va di traverso e una sonora tosse fa interferenza col discorso dell'uomo per qualche istante. Ascolta poi in religioso silenzio le sue parole, una volta ripresosi. Forse è l'unico lì dentro che non ha poi così tanta ragion d'essere, eppure riesce comunque ad immedesimarsi alla perfezione nel discorso di Cooper, tanto che alla fine fa per battere le mani. Un applauso solitario che muore abbastanza velocemente, il suo, mentre -schiarendosi la gola tentando di sembrare serio e professionale- si appresta a riempirsi un bicchiere di vino per partecipare al brindisi.

    "La memoria storica.." Riprende Byron, mostrando loro ciò che ha l'aria d'essere un vero e proprio pensatoio "..è ciò che di più caro abbiamo affinché non si ripetano gli errori del passato. Questo è dunque il mio regalo e questo è ciò che vi chiedo: di lasciare qui il vostro ricordo peggiore, o quello migliore..ciò che vi sprona a credere e ad agire, a lottare per essere differenti. In questo modo, ogni volta che sorgerà in voi il dubbio, o l'obiettivo inizierà a sfuggirvi, potrete tornare qui e capire, ripercorrere il vostro viaggio e quello di chi vi sta accanto. Uniti, sempre." Assottiglia appena lo sguardo, guardando i suoi due amici apprestarsi in quella particolare impresa. Non è certo di indovinare alla perfezione ciò che stanno pensando, ma sa di poterlo immaginare. E, per una delle rarissime volte in vita sua, la sua espressione si fa seria, mentre sospira poggiando una mano sulla spalla di Frank una volta ritornato al proprio posto. « Tutto bene? » Gli chiede, il tono di voce di chi sa. Di chi c'è passato di persona..O quasi per lo meno. Quando anche Lily torna al suo posto il gigante aspetta il suo turno per poter agire a sua volta. Non è poi così sicuro di come si faccia, un po'' perchè con gli incantesimi ha sempre fatto abbastanza cagare, un po' perchè non ha idea di quale ricordo potrebbe dedicare a quella nuova causa. Eppure non si lascia scoraggiare, sfoderando con decisione la bacchetta dalla tasca dei pantaloni. Socchiude appena gli occhi, concentrandosi. Forza Rochè, niente donne nude per una buona volta. Stranamente il suo cervello sembra obbedirgli ed ecco che le prime immagini cominciano a materializzarsi. Lo vede, Frank, seduto di fronte a sè al tavolo squadrato di quella locanda da quattro soldi nella quale erano sempre soliti andare. Hanno bevuto così tante birre che ricorda ancora quanto la testa gli girasse e la sua vista fosse appannata; eppure il volto dell'amico è chiaro, nitido nei meandri dei suoi pensieri. Gli poggia una mano sulla spalla, un'espressione seria stampata sul volto leggermente paonazzo per via dell'alcool. Gli chiede se è pronto, Rocket, senza specificare null'altro. E' sicuro che Frank sappia a cosa si riferisca e, infatti, l'amico annuisce prontamente, ricambiando con una sonora pacca sulla spalla. Mancavano pochi giorni dal suo matrimonio con Kate, e quel giorno di tanto tempo fa, i due ragazzi non erano altro se non due spensierati amici intenti a bere birra per festeggiare un avvenimento tanto atteso. Perchè sì, nonostante Kate non gli fosse mai andata particolarmente a genio, gli stava simpatica ed aspettava quel matrimonio quasi come se dovesse essere lui a sposarsi. Piaceva a Frank, lo rendeva felice, e questo gli bastava per farsela piacere almeno un po'. Lo scenario cambia, lasciando spazio ad una stanza buia, illuminata soltanto dalla luce fioca di alcune candele. Sembra la cripta di una chiesa ma non ne è tanto sicuro, l'unica cosa che riesce a distinguere bene è la figura accovacciata di un uomo. Lo chiama, e l'uomo si gira. Frank lo fissa, lo sguardo vitreo di chi sta provando un dolore così grande da non riuscire neanche a piangere. Quegli occhi non li dimenticherà mai, non scorderà mai quanto si sia sentito impotente quel giorno in cui il suo migliore amico, suo fratello aveva perso la donna della sua vita e l'unica cosa che lui era riuscito a fare era stata poggiargli una mano sulle spalle, rispettando il suo silenzio. Di traumi particolarmente gravi Rocket non ne ha mai avuti nella sua vita, ma sa cos'è il dolore. L'ha provato talvolta indirettamente, talvolta personalmente, ed è per questo che vuole combattere. E' perchè conosce troppo bene cosa significa perdere, seppur abbia sempre voluto vincere, che vuole evitarlo. Pensa ad Eric, al suo sorriso amaro di qualche minuto prima, pensa a Lily, alla lacrima che le ha rigato il volto, pensa alla sua famiglia, sin troppo lontana eppure sempre così vicina. Ed è in quell'attimo che pensa a lei. Al primo giorno in cui ha sentito la sua voce tra i propri pensieri ed al primo istinto di sbattere la testa contro il muro per farla smettere di parlare. Ricorda il primo giorno in cui l'ha vista, finalmente, con quell'espressione spaesata, così diversa da lui eppure così simile. I suoi insulti, le sue frecciatine, ma anche i suoi sorrisi a mezza bocca, quelli di quando è palesemente preoccupata per lui -cacciatosi in chissà quale guaio- ed è felice di rivederlo sano e salvo ma non vuole dargliela vinta. Ricorda ogni cosa di lei, nel bene e nel male, ed è nel bene e nel male che il suo pensiero fisso lo fa sentire completo. Gli manca così tanto, ma sa che c'è. Ha vissuto il dolore di Frank, la silenziosa disperazione per aver perso qualcosa di troppo importante nella propria esistenza, sa cosa significa ,almeno in parte, ed è per questo che non vuole caderci di nuovo. Non con lei, perchè se dovesse perderla non se lo perdonerebbe mai. Perchè Shanti c'è, e lui non saprebbe immaginare una vita senza di lei. [...] Osserva il suo ricordo argenteo volteggiare assieme agli altri, scorgendo quasi l'ultimo sorriso traslucido della ragazza svanire attraverso la nebbia di quei pensieri. Sospira dunque, voltandosi verso i suoi amici e proferendo uno dei suoi soliti sorrisi. « Oh ma che so sti musi lunghi? » Ed eccolo il solito Rocket di sempre, pronto a mettere da parte ogni turbamento per non dispiacere gli altri. Da una pacca sulle spalle sia a Lily che a Frank « Magnate qualcosa che ve passa tutto. » Dice prima di calarsi verso il bambino entrato in scena durante la sua assenza, si inginocchia per terra accarezzando Spartaco a sua volta. « Se gli tocchi la pancia in questo punto guarda cosa fa con la zampa! » Gli sorride, scompigliandogli i capelli e rialzandosi, con un sonoro battito di mani per attirare l'attenzione. « E mò che se fa? A sapello che ce stava il lago me portavo un bikini e ce facevamo un bel bagno tutti! » Urla a gran voce, annuendo convinto. Come farsi riconoscere by Rocket capitolo 430esimo. Si ricompone appena, adocchiando una ragazza al di là della sala che spicca per la giovane età, l'espressione spaesata e la lunga chioma rosso fuoco. Dovrebbe conoscerla bene, ma è troppo idiota per pensarci. « Tu, tu! Quando finiamo te posso fà du treccine? » .....Eeeeee come rassicurare male le persone by Rocket capitolo 395esimo.

    Interagito con Frank, Lily, Eric, Spartaco e il piccolo nan0 di Alexis
    Citato Byron e tossito come una ballerina delicata all'inizio del discorso
    Esortati tutti sul finale con molta discrezione + molestata Olympia


    Edited by haemolacria. - 25/7/2017, 19:45
     
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    "Sono fiera di te." Si voltò verso Renton, sorridendole appena prima di aggrottare di poco la fronte, fissandola dritta negli occhi. "Non hai partecipato." Un'asserzione che al suo interno conteneva una domanda. Una domanda che forse non avrebbe trovato risposta, o che magari l'avrebbe trovata in un secondo momento. Era quasi certo che lì, su due piedi, lei non gli avrebbe spiegato il perché di quella scelta, ma di certo era un qualcosa che non si sarebbe dimenticato di ritirare fuori alla prima occasione. Venne infatti distratto dalle parole di Alexis riguardo il figlio. Nel sentirle, una smorfia di dolore si fece strada sulle labbra di Byron, rovesciando il suo sorriso. Un figlio è ciò che di più caro si possa avere al mondo: si sarebbe disposti a dare la vita per lui, e il solo pensiero di perderlo è così schiacciante da poter distruggere per sempre il cuore di una persona. Lui questo lo sapeva, e lo sapeva meglio di chiunque altro. "Chiedo dunque a voi, se mai mi capitasse qualcosa, di prendervi cura della parte migliore di me...sapere che ci saranno persone pronte a proteggerlo renderebbe tutto più facile." annuì semplicemente, senza aggiungere altro. Non ve ne era bisogno. Da quando si era imbarcato in quella storia, Byron aveva preso su di sé tutte le responsabilità che avrebbe portato, e quella di certo non faceva eccezione. "Avremo un bel po' da fare..per i nuovi.." Sospirò, mandando giù un altro lungo sorso prima di riportare lo sguardo a Renton. Per un istante si sentì come portato a metterle un braccio attorno alle spalle, o darle una carezza, oppure anche un bacio, ma si trattenne da ogni forma di contatto; non avrebbe nemmeno saputo dire il perché di quel freno, forse per via di tutta la gente a cui si trovavano di fronte, ma anche quella poteva risultare una scusa piuttosto blanda. Si trattenne e basta, limitandosi a stendere le labbra in un sorriso accennato. "Avrò bisogno del tuo aiuto. Devono essere pronti, ma non voglio nemmeno fare con loro gli stessi errori che ha fatto la Cerchia nel crescerci..così." così spietati, così soli, così individualisti, così animaleschi "Siamo in guerra..ma questo non deve diventare l'unica cosa che siamo." Per Byron era stato così: nella guerra ci era nato e ci era sempre vissuto, non sapeva starne senza, non sapeva nemmeno chi fosse al di fuori di essa. Forse era per questo che la loro causa sembrava calzargli a pennello, come il senso ultimo della sua esistenza: perché era stato educato a portarsi la guerra dentro ovunque andasse, a vivere per uno scopo maggiore più che per se stesso.

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    "Grazie a tutti." concluse infine, quando ciascuno di loro ebbe lasciato un pezzo di sé all'interno del pensatoio. "Vi chiederò un'ultima cosa prima di tornare alla baldoria." fece una pausa, guardando il liquido residuo nel suo bicchiere per poi riportare lo sguardo ai presenti. "Per ora possiamo godere di una certa - seppur limitata - libertà: la nostra esistenza è pressoché ignota, o comunque spazzata sotto al tappeto per non creare allarmismi. Non lo sarà per sempre, questo mi pare chiaro. Arriverà il momento in cui ci sguinzaglieranno dietro ogni forza a loro disposizione, e dobbiamo essere pronti a fronteggiarle tutte." pausa "Guardatevi." altra pausa, questa volta più lunga "Possiamo tutti dire di fidarci del nostro vicino, chi per un motivo e chi per un altro. Ma se in questo momento dovesse bussare alla nostra porta un estraneo, chiedendoci asilo, potremmo dire lo stesso?" Lasciò aleggiare per qualche istante quella domanda all'interno della sala, stringendosi poi nelle spalle. "Vi è un simbolo molto caro alla mitologia della gente da cui provengo." Estrasse la bacchetta, tracciando alcune linee a mezz'aria fino a lasciare di fronte agli occhi di tutti il segno di cui parlava. "Nella nostra comunità, riceverlo sulla propria pelle veniva visto come un immenso onore. Succedeva spesso solo ai più anziani, coloro i quali avevano acquisito un livello tale di conoscenze da non potersi permettere il rischio di essere catturati dal nemico. Avevano bisogno di una protezione, di richiamare l'attenzione degli spiriti in cui credevano affinché li aiutassero a non far cadere i segreti della comunità nelle mani sbagliate." Senza dire nulla, Byron puntò la bacchetta sul proprio polso, tracciando quelle stesse linee. "Da ora in poi, al di fuori di queste mura, per me sarà impossibile parlare di ciò che vi succede o di come accedervi con qualcuno che non abbia un suo gemello. Potrei però disattivarlo in caso di necessità, conoscendone l'incantesimo. E lo conosco, perché ho avuto modo di studiarlo tempo addietro. Non potrà però, ad esempio, essere riprodotto da un inquisitore o chi per lui: fa parte di miti che solo la mia gente conosce, e che anche tra loro sembrano ormai quasi del tutto obsoleti." Si arrestò, abbassando il braccio. "Non obbligherò nessuno a fare lo stesso. Vi invito solo a pensarci, e a rivolgervi a me ora o nei prossimi giorni qualora decidiate di unirvi. Non tiratevi indietro nemmeno dal muovermi i vostri dubbi o le vostre domande, poiché è proprio il mettere in discussione ciò che ci viene posto davanti a renderci diversi." Detto ciò, alzò di qualche centimetro il bicchiere, come in un accenno di brindisi. "E ora vi lascio tornare ai festeggiamenti. Buon divertimento, compagni." Con un colpo di bacchetta fece partire dal grammofono nell'angolo una musica di intrattenimento.

    Dopo aver messo in pace il proprio stomaco, Byron cominciò finalmente a guardarsi meglio intorno, congedandosi per qualche minuto da Renton fino a raggiungere Teddy e la ragazza con cui stava conversando. Si accostò a loro con fare curioso, sorridendo a entrambe. "Volevo fare ad hoc un piccolo badge per la stampa da farti indossare, ma alla fine mi sono trovato con i tempi stretti e ho dovuto scegliere tra quello e la grigliata. Vedrò di organizzarmi per la prossima volta." disse scherzosamente alla bionda, stringendosi nelle spalle con fare ironico. "Tu sei un'altra nostra giornalista in erba?" chiese poi, rivolgendosi alla giovane ragazza accanto a Teddy, guardandola con aria curiosa. "Fa sempre piacere vedere facce nuove. Io sono Byron Cooper, piacere."
    In generale trovate tutto quanto all'interno del paragrafo intermedio. Comunque, in pillole, Byron ha messo sul tavolo la questione di farsi un tatuaggio che mantenga la segretezza delle informazioni ribelli; potete farlo ora andando da lui oppure in un secondo momento, nei giorni a venire (se volete ruolarlo, ben venga, sono più che felice di fare role private con ciascuno di voi *__*). Per il resto ha dato inizio alla festa e da ora in poi siete elfi liberi e senza scadenze <3 Vi prego solo di non far morire la role çç

    - Interagito con Renton, Teddy e Olympia
    - Citato Alexis & Son

     
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    « Sia lodato il cielo. E' bello vederti qui. » La giovane Lupin trasalisce per un secondo, sorpresa di sentire quella voce a lei così tanto famigliare. Olympia; con quella piccola meraviglia ci è cresciuta. Più di una cugina, più di una sorella. Una delle creature per cui avrebbe ben volentieri dato la vita. Quando le cose si erano complicate e non aveva più ricevuto risposta alcuna alle sue lettere, Teddy aveva iniziato a pensare al peggio. Erano stati i Potter a rassicurarla sul punto; Kingsley non avrebbe fatto loro del male - né a lei, né ai suoi fratelli. Stava solo bluffando, cercava di metterli alle strette, la loro famiglia quanto tutte quelle che avessero un figlio tra le mura del castello. « Grazie al cielo, è così bello vederti qui. » Esclama afferrandola per un avambraccio e stringendola forte a sé. Affonda il volto tra i capelli di lei, ben sollevata di vederla sana e salva. In quel mondo era sempre complicato riuscire a capire chi sarebbe stata in grado di vedere nuovamente e chi invece non avrebbe mai più rivisto. Lei più di tutte, che sul territorio ci stava ogni giorno, osservando i continui cambi dell'ordine costituito, capiva quanto le regole del gioco fossero diventate pericolose e complicate. Si stacca infine da lei, accarezzandole per qualche istante i capelli con fare affettuoso. Tra i Potter è sempre stata la sorella più grande; pur non avendo sempre dato il buon esempio, quella responsabilità se la sentiva dentro, ogni giorno un po' di più. « Ti appunti tutto per quando arriverà il momento per loro di uscire allo scoperto? » Sorride stringendosi nelle spalle prima di afferrare il taccuino e la piuma fluttuanti, rimettendole in borsa. Il discorso di Byron era stato riprodotto dalla piuma parola per parola. « E' più di questo; io.. » Non trova le parole per spiegarsi, forse perché in fin dei conti tutto quanto è accaduto così in fretta da non riuscire a realizzarlo nemmeno lei. « Non sono più una giornalista a tutti gli effetti.. non come quelli che scrivono sui giornali che abbiamo letto da sempre. » Pausa. « In pratica sono io che devo farci uscire allo scoperto. » Quel noi e non loro, le diede la dimensione di quanto si sentisse già parte di tutto. « E a proposito tu come sei arrivata qui? Dopo l'attacco a King's Cross, so che Kingsley ha aumentato la sicurezza a livelli maniacali. Hogwarts e.. l'altro posto.. quello a Isle of Portland hanno livelli di sicurezza che rasentano il ridicolo. » Si interrompe per sentire ancora le parole di Cooper. E mentre parla un sorriso si distende sulle sue labbra. Proprio ciò di cui aveva bisogno. Un'assicurazione, una tutela. Un modo per assicurarsi che anche chi come lei si trovasse all'esterno del Quartier Generale per la maggior parte del tempo non dovesse aver paura di camminare per strada terrorizzato dall'idea di divulgare informazioni sensibili. « Geniale! » Afferma soddisfatta sotto voce in modo tale che solo la rossa accanto a sé possa sentirla.

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    « Volevo fare ad hoc un piccolo badge per la stampa da farti indossare, ma alla fine mi sono trovato con i tempi stretti e ho dovuto scegliere tra quello e la grigliata. Vedrò di organizzarmi per la prossima volta. » Il sorriso sulle labbra della bionda si distende nuovamente mentre porta il proprio bicchiere alle labbra. Pur sentendosi piuttosto tesa, quel luogo, quelle persone e la presenza di Olympia, riescono facilmente a metterla di buon umore, obbligandola a rilassarsi. « Un giornalista è sempre pronto a subire tagli di qualunque tipo. Quando bisogna tagliare su qualcosa, si taglia sempre sulla stampa. Lo capisco. » Dice a sua volta scherzosamente. « Tu sei un'altra nostra giornalista in erba? Fa sempre piacere vedere facce nuove. Io sono Byron Cooper, piacere. » Protettiva fino al midollo, la sola idea di vedere Olympia lì fuori a una così fragile età, correre i rischi che lei e i suoi colleghi correvano, la fece rabbrividire. Posò un braccio attorno alle spalle della giovane accanto a sé sorridendo e scuotendo la testa. « Byron, ti presento Olympia Potter.. lei è.. una sorella.. insomma siamo cresciute insieme. » Si interrompe per qualche secondo non sapendo più come chiamare a dirla tutta Olympia. Chiamarla amica è riduttivo, chiamarla cugina non esprime pienamente il legame che c'è tra loro. « No.. » Continua poi stringendola più forte a sé. « Non c'entra con la redazione. » E finché le cose resteranno così precarie non succederà, pur sapendo Teddy che per temerarietà, Olympia sarebbe potuta essere persino un ottimo elemento nella cerchia. « Starai qui, non è così? » Le chiede infine, ben consapevole di non aver ancora ben capito le dinamiche che avevano portato la giovane Potter lì dentro. « C'è qualcun altro tra i tuoi compagni, qui o lì fuori? Qualcuno che abbia bisogno di supporto o aiuto di qualunque tipo? » Scosse la testa. Troppe paranoie. Troppa voglia di fare. Teddy è la mania del controllo erano un tutt'uno, un complesso unico e universale. Senza indugiare ulteriormente allungò la mano nella direzione di Byron, invitandolo ad apportare il simbolo di cui aveva parlato a tutti loro poco prima. Non aveva bisogno di pensarci. Lei e tutti quelli della redazione ne avevano bisogno. « Manderò uno ad uno anche gli altri, nei prossimi giorni. Mi dispiace che oggi non siano qui, ma come avrai capito Grimmauld Place non può più rimanere incustodita. Appena avrete modo, dovete vederla. Ne abbiamo fatti di cambiamenti lì dentro. »

    -Interagito con Byron e Olympia.

     
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    La sala è piena di volti che non ha mai visto prima di quel momento, eppure il viso del ragazzo che saluta Rocky lo conosce bene e non solo perché aveva fatto un'uscita col botto dalle scene del Quidditch, no. Eric era diventato un compagno in quelle ultime settimane di sistemazione. Aveva trovato rifugio in quelle quattro mura e aveva dato un'importante mano nel gestire le ultime cose. Per questo motivo, oltre al fatto che poteva essere uno dei suoi fratelli minori, vista l'età, Frank l'aveva preso a ben volere, tanto da metterlo in mezzo alle sue battute quante più volte gli era possibile. «Anvedi oh che bell'amico! Nun se salutano prima i compagni de guera?» Gli assesta una delicata pacca sulla nuca, prima di scoppiare a ridere e lasciarlo andare a quella che ha tutta l'aria di essere una reunion sentita. Si avvia tutto tronfio verso il tavolo del da mangiare, cominciando a riempirsi il piatto di mozzarella fresca e pecorino dall'odore talmente forte da lasciarlo quasi stordito. « Complimenti a nonna Emilia. E falle sapere che ce ne servirà molto altro.. per festeggiare.. » Inclina la testa di lato, mentre di fronte a sé si palesa la figura di una ragazza mai vista prima di quel momento. Mazza che bona, registra subito il suo cervello. Le sorride, bonaccione come è solito fare, prima di accorgersi che il suo piatto è tristemente vuoto. «Epperò signorì, così nun se fa. I complimenti li sta a fa' lei, se nun me prende almeno un pezzetto de formaggio eh! Poi come faccio a coinvolge mi nonna n'artra volta se lei nun favorisce almeno un po'?» Le fa l'occhiolino, prima di buttare giù una sorsata di vino che riesce a grattargli la gola, per quanto è caldo e forte. «Frank, McCormick. E' la prima volta che te vedo qua. Sei è una de i novi?» Le domanda, allungando la mano, mentre passa dall'essere vagamente elegante e galantuomo dandole del lei, alla forma più colloquiale e quella che gli riesce sempre meglio, in certi casi. In quell'istante qualcosa si infrange contro le sue gambe. Per un attimo ha il dubbio che sia Spartaco, ma il suo pastore maremmano è un vero vitello, in confronto a quel nano di Matty. «Ma guarda tu chi se vede. Il mio ometto» si piega sulle ginocchia, mentre il bambino gli fa subito vedere il suo nuovo giocattolo. Un dinosauro di quelli assolutamente realistici. Pure Frank da piccolo aveva la fissa con i dinosauri, perciò è sempre un piacere poter rimettere le mani sopra quei giocattolini. «Ma sai dopo che facciamo? Senza che ci vede la mamma - abbassa la voce, pur avendo visto benissimo che Alexis è dietro di lui - zio Frank te porta a vede' un dinosauro, di quelli grossi, che dicono vive proprio dentro sta pozzanghera d'acqua. Che dici?» Il bambino ridacchia tutto felice, prima di captare Spartaco poco più in là e buttarcisi addosso, neanche fosse un peluche. Fortuna che a Spartaco mio glie piacciono i piccoli umani si ritrova a pensare, mentre si rialza per salutare Alexis, baciandola sulla guancia e stringendola un po' a sé. Non la vede dalla prima sera in cui quella massa di delinquenti si è riunita. «Nun me lamento. Meglio di prima, sicuramente..» lascia a metà la frase, sapendo che l'amica capirà da sola a quale prima si riferisca. «E tu invece? Con Matty? Hai bisogno di qualcosa? Lo sai, io so sempre a 'n colpo de telefono eh!» Un angolo delle labbra si alza verso l'alto. «C'hai pensato alla possibilità de lasciallo qua? O magari de trasferivve entrambi? Sareste tutt'e due più al sicuro.» Non vuole di certo dirle come vivere la loro vita, eppure sa quanto sarebbe più al sicuro entrambi se decidessero di vivere lì, insieme a loro, lontani dalla guerra che prenderà piede al di fuori di quelle mura.
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    « Tutto bene? » Gettare un ricordo nel pensatoio sembra aver toccato molti di loro, lui per primo. Annuisce a Rocky, senza aggiungere altro, grato che ci sia sempre stato lui a parargli le spalle e a stargli vicino, anche in momenti come quello. Ma lui non è capace ad esprimere a parole certe cose, perciò gli basta un'occhiata, un'occhiata per dirgli grazie ed è certo che Rocky abbia capito. "Mi è tornato oggi il ciclo, sono emotiva. Problemi?" Alza le mani in segno di resa, tradendo un sorriso beffardo sotto quei baffi rossicci. «Ma chi t'ha detto niente, coda de paglia Pensa per un attimo di abbracciarla, ma già sa che non sarebbe una grande idea, perciò le dà una veloce spallata, così, giusto per farle capire che lui c'è e le sta vicino, sempre. "Vi è un simbolo molto caro alla mitologia della gente da cui provengo." Byron riprende a parlare, richiamando l'attenzione di tutti. "Non obbligherò nessuno a fare lo stesso. Vi invito solo a pensarci, e a rivolgervi a me ora o nei prossimi giorni qualora decidiate di unirvi. Non tiratevi indietro nemmeno dal muovermi i vostri dubbi o le vostre domande, poiché è proprio il mettere in discussione ciò che ci viene posto davanti a renderci diversi." Farsi un altro simbolo addosso non gli fa né caldo né freddo, anzi se c'è una cosa che gli piace fare è farsi tatuaggi, a maggior ragione se hanno un'importanza come quello che sta proponendo loro l'uomo. Il problema sta nel trovare un posto libero lungo le braccia, che sono probabilmente le più tatuate del suo intero corpo. Se le esamina, centimetro dopo centimetro, fin quando trova un pezzetto di pelle disponibile, abbastanza grande da poter ospitare quel simbolo. Individua Byron tra la gente, intento a parlare con la bionda di pochi istanti prima e una ragazzina dai capelli rossi. «Scusate signorine, ve lo rubo soltanto du secondi. Faccio subito e ve lo rimando, promesso!» Il suo viso si stende in un'espressione vivace, mentre invita l'uomo a spostarsi di lato, in un posto leggermente più appartato, seppur la musica di sottofondo isoli già abbastanza i discorsi dei vari ospiti. «A By', tu 'a sai la storia mia. Se me beccano n'artra volta, io nun parlerei manco sotto tortura.» Comincia, abbassando il tono di voce e con esso, anche gli occhi. Non è facile parlare di quel pezzo della sua storia. Non lo è mai, ma in quel momento sembra essere ancora peggio. «Ma me va più che bene avere n'tatuaggio che me tenga la lingua legata. E' na bella pensata e mo' penserai pure che so gay, tra parentesi, nun lo sono, però sì, insomma, famo sta cosa e basta.» E così dicendo si sfila la manica sinistra, facendo uscire allo scoperto il braccio. Si indica l'interno dell'arto superiore, lì dove la carne aderisce al petto. Dalla parte del cuore. «Spero vada bene 'o stesso, nun c'ho artra pelle disponibile da datte.»


    Interagito con Eric, Teddy, Alexis e Matty, Lily e Byron.
    Menzionato Rocky.
     
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    Anche Ness si trovava al castello insieme agli altri, e aveva addirittura portato da mangiare: una delle sue famose cheescake, stavolta al cioccolato per festeggiare la nascita di quel nuovo "quartier generale". L'aveva posata su quel lunghissimo tavolo che fungeva da buffet in fondo alla sala e poi aveva preso un bicchiere per brindare durante il discorso di Byron. {Cosa c'è dentro?} aveva chiesto infatti a chiunque intorno a sè, più specificamente a Juliette visto che era lì vicino, visibilmente in disparte rispetto al resto della gente e che quindi poteva darle più attenzione. Si giró a destra e a manca in attesa di risposta, poi rimase semplicemente un po' più avanti alla ragazza, a braccia conserte ad udire le parole di Byron. Indossava una camicia rossa (della serie che voleva fare pant-dant coi capelli), una gonna beige aderente che le arrivava all' altezza del ginocchio e selle ballerine scure. Anche la giacchetta che portava aperta addosso era dello stesso beige. Stavolta non si era truccata molto, solo un po' gli occhi con una passata generosa di mascara e matita. Sospiró, ancora con quel bicchiere intatto fra le dita, rimanendo in silenzio per tutta la durata del discorso. Alla fine sorrise alzando il calice {A noi!} a mo' di brindisi, e lo portò alle labbra senza però bere per davvero. La canzone di Frank la fece ridacchiare divertita, per voltarsi in sua direzione e domandare, con le sopracciglia alzate sulla fronte {Dove l' ho già sentita?} proprio non le tornava in mente si trattava dell' inno italiano... Lei era irlandese! Del resto si notava anche dal suo accento. Byron mostrò la sua sorpresa: un pensatorio. Sbuffó fra sè e sè, e quando fu il suo turno sfiló la sua bacchetta di ciliegio dal solito fodero della cintura per estrarre un ricordo adatto. Nulla poteva essere più efficace di quando aveva visto i suoi genitori, entrambi babbani, rischiare la vita in quella guerra civile. Aveva dovuto salvarli... E da allora si era ripromessa che avrebbe fatto qualsiasi cosa per far sì che quell' evento non si fosse ripetuto mai più. Si fece un attimo triste nel trasferire il ricordo, poi una volta fatto tornó dritta sulla schiena e l' espressione si distese, come improvvisamente più serena, per tornare verso dove aveva sostato prima. Incroció ancora Juliette e scrolló le spalle, nel notare che era praticamente stata l' unica a non utilizzare il pensatorio. L' affiancó cordiale, {Non ti senti ancora pronta?} col tono di una madre preoccupata per la figlia. Eppure doveva essere più grande di lei di appena qualche anno. Vide Olympia in difficoltà con il pensatoio, ma poi la ragazza fu aiutata e si limitó a osservare la scena tranquilla. Certo che era un' ottima osservatrice! Lei era entrata nel "gruppo" da un po', non era proprio una delle prime ma nemmeno delle ultime, ma fin da quando Byron l' aveva introdotta ne era stata entusiasta. Quella ragazzina, anch' ella dai capelli rossi le pareva una new entry; quindi non appena Olympia ebbe finito col pensatorio le si avvicinò con un sorriso rassicurante {Ciao! Mi sa che non ci conosciamo ancora. Sono Nessa Holland} le allungó la destra passando alle presentazioni, poi si guardò intorno {Sei una delle più giovani qui, eh? Vai ancora a scuola?} genuinamente curiosa, ritirando la mano. Gli altri intorno a lei, tra cui Eric e Teddy li conosceva già, almeno di vista, e li aveva salutati con un cenno del capo quando era arrivata al castello. La sua attenzione fu poi catturata da tutta quella gente che andava verso Byron, probabilmente per complimentarsi, o scambiare due parole. Decise di fare lo stesso e quando fu il suo turno gli si paró davanti entusiasta {Byron!} esclamó, per poi fare una cosa inusuale per lei: "rompette le righe" e lo abbracciò, niente di troppo intimo o stretto, del resto non si conoscevano chissà quanto e avevano in comune solo ideali e provenienza, ma si era sentita di farlo {Grazie...}, battendogli due pacche leggerissime sulla schiena, a voce più bassa, per poi staccarsi. Sorrise ancora sgranando gli occhi {Oggi sono doppiamente contenta, ho saputo che sono stata assunta ad Hogwarts} lo informó con un cenno del capo, eloquente, senza timore che qualcuno accanto a lei potesse sentirla: era un' ottima notizia! {In effetti dovrei brindare. Per quel che riguarda il tatuaggio l' idea mi piace. Penso di potermelo far fare} commento' quasi fra sè e sè, iniziando a tornare verso il tavolo. Da quanto tempo non era così di buon umore?

    Interagito con Juliette, Byron, Olympia e Frank.
    Nominati Eric e Teddy.



    Edited by *julienne* - 10/8/2017, 08:04
     
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    {Ciao! Mi sa che non ci conosciamo ancora. Sono Nessa Holland} Sorride alla ragazza con la quale condivide il colore fiammeggiante di capelli. Abbassa poi lo sguardo ad incontrare la sua mano tesa verso di lei e dopo un vortice estenuante di dubbi, domande e remore, allunga la propria per stringerla. Un movimento brusco, abbastanza lungo da non risultare scortese, ma abbastanza fulmineo da non farle partire un attacco di panico nel bel mezzo della sala. In fondo, a lei il contatto fisico non l'è mai piaciuto. «Olympia» risponde soltanto, senza aggiungere quel cognome con il quale non vuole essere identificata lì dentro. Non vuole essere quella che tutti additano con "Oh guarda, è la figlia di Potter. Quel Potter." Non vuole esserlo lì, in mezzo a quelle persone che credono di poter cambiare le vite. Lì dove lei potrebbe cambiare la propria, cominciando a raccontare finalmente la storia della sua vita, senza pregiudizi o anticipazioni date dal peso del cognome che porta. {Sei una delle più giovani qui, eh? Vai ancora a scuola?} Accenna un sorriso, che si tinge di sfumature imbarazzate, andando ad imporporarle le guance. Si sente fuori luogo, ancora una volta. Anche se deve ammettere che l'uso dell'aggettivo giovani rispetto al più solito piccoli le fa piacere. «C'è qualcuno che mi ha tolto il primato di più giovane» prova a scherzare, accennando con il mento al bambinetto che scorrazza dietro al cane dell'italiano. «E sì, mi mancano ancora gli ultimi due anni, per forza di cose» comincia a rispondere, stringendo le dita intorno al bicchiere che contiene della semplice acqua. «Non so se però verrò riammessa a Settembre, a dire il vero.» Si fa improvvisamente pensierosa a quell'idea che le ha sfiorato la mente più volte nell'ultimo periodo, ma che non ha mai voluto affrontare, per la troppa paura di darsi un'effettiva risposta. «Dovrei essere al campus scolastico con tutti gli altri, in questo momento.» Rende quella ragazza partecipe della cosa, come se parlare con lei fosse la cosa più naturale del mondo. «A questo punto, chissà, potrei essere stata messa alla gogna pubblica, senza nemmeno saperlo.» Dichiarata una fuorilegge, proprio come Eric. Si stringe appena nelle spalle, guardando altrove, mentre si porta alle labbra il bicchiere, per cercare di camuffare lo sconforto che la sta prendendo. «E tu invece?» Chiede infine, spezzando quel silenzio imbarazzante, una volta finita di bere tutta l'acqua. «Sei appena uscita da Hogwarts? Non credo di averti mai vista.» Eppure l'accento marcatamente irlandese le dice che deve per forza aver frequentato la sua stessa scuola.
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    « Grazie al cielo, è così bello vederti qui. » Quel contatto non le fa più paura, ma tra le sue braccia riesce a percepire il senso di casa anche in quel posto che continua ad esserle assolutamente sconosciuto. Stringe le dita intorno alla sua camicetta, per quel breve istante di familiarità. « E' più di questo; io..Non sono più una giornalista a tutti gli effetti.. non come quelli che scrivono sui giornali che abbiamo letto da sempre. In pratica sono io che devo farci uscire allo scoperto. » Non le sfugge quel noi che Teddy sottintende nelle sue parole. Come a volerla far sentire parte integrante di quel tutto che si va costruendo intorno a lei. Aggrotta appena le sopracciglia, mentre rivaluta ognuna delle sue parole. Capisce in quel momento che ciò che deve fare Teddy è qualcosa di grosso. Un qualcosa di importante, per cui ha deciso di mettere a rischio persino la sua carriera. E ancora una volta si ritrova ad ammirarla, come ha sempre fatto durante gli anni. «E' una cosa davvero speciale. Sono davvero orgogliosa di te» riesce infine a dire, fissando i propri occhi smeraldini in quelli azzurrini di lei. « E a proposito tu come sei arrivata qui? Dopo l'attacco a King's Cross, so che Kingsley ha aumentato la sicurezza a livelli maniacali. Hogwarts e.. l'altro posto.. quello a Isle of Portland hanno livelli di sicurezza che rasentano il ridicolo. » Scuote la testa nel sentire quelle news sulla sicurezza del campus e della scuola. «Papà ha avuto una soffiata, che ha condiviso con Melysandre» indica a Teddy la mora che si trova poco più lontano. «E' grazie a lei se sono qui. Mi ha salvata dal marasma che si è andato a creare dopo l'attacco. Sono stata a casa sua fino ad ora.» Si schiarisce la voce, rigirandosi il bicchiere tra le dita, quando sente qualcuno parlare nella sua direzione. Volta di scatto il capo, per incontrare lo sguardo di uomo grande e grosso, a cui lei arriva a malapena a metà braccio. « Tu, tu! Quando finiamo te posso fà du treccine? » Sgrana gli occhi, evidentemente presa alla sprovvista. Si guarda indietro, per poi capire subito che sta parlando proprio con lei. Quando finiamo cosa? E per quale motivo dovresti fare due treccine proprio a me? Si trattiene, per non fare subito brutta figura, passando per la mestruata di turno che non si fida di nessuno. Così abbozza un sorriso di circostanza, mentre il suo sguardo saetta verso Teddy un paio di volte. «Ehm, sì, dopo, quando finiamo di fare..cose, vediamo..» risponde, giusto per temporeggiare un po' e non essere del tutto maleducata, come il suo istinto invece le dice di essere. E in quel momento gli si affianca il padrone di casa. Il leader di quel gruppo di speranzosi sognatori. Si estrania per qualche minuto, mentre lui comincia a parlare con Teddy. La sua mente comincia a vagare in lungo e in largo, tanto da non capire all'istante che Byron le sta porgendo una domanda. Teddy però decide di introdurla, salvandola in calcio d'angolo, mentre scrolla il capo per riacquistare la giusta lucidità. « Byron, ti presento Olympia Potter.. lei è.. una sorella.. insomma siamo cresciute insieme. No.. Non c'entra con la redazione.» Sorride, leggermente imbarazzata, mentre guarda di sottecchi l'uomo che ha di fronte. Non fare la scema e dì qualcosa. «Sì, insomma, Teddy ha fatto un riassunto esaustivo di chi sono. Piacere.» Pensa che forse dovrebbe ringraziarlo per l'ospitalità, ma Teddy la precede, facendole una domanda. « Starai qui, non è così? » Non ci aveva mai pensato, prima di quel momento. Non lo sa cosa c'era nei piani di suo padre e quelli di Melysandre. Si passa una mano sulla nuca, mentre pensa. E decide. «Sì, perlomeno fin quando non sarà ora di tornare ad Hogwarts.» Se mi permetteranno di farlo aggiunge mentalmente. « C'è qualcun altro tra i tuoi compagni, qui o lì fuori? Qualcuno che abbia bisogno di supporto o aiuto di qualunque tipo? » Ed è in quel momento che pensa che sì, non è l'unica ad essere sfuggita e che forse l'informazione potrebbe tornare loro utile. «C'era talmente tanta confusione, che non so dirvi per certo quanti sono riusciti a scappare. Ma so che la mia miglior amica l'ha fatto. Non so di preciso dove sia al momento. L'ultima volta che l'ho sentita era a casa sua, a Londra, con suo padre. Credo stia bene, ma ammetto di essere preoccupata. Kingsley ha dalla sua le forze dell'intero Ministero. Malia ha solo un padre babbano a proteggerla.» Si incupisce, mentre lo dice. Mentre ammette di non sapere effettivamente come aiutarla. Mentre ammette ad alta voce di essere essenzialmente fallibile. Poi si ricorda anche di lui, e allora si gira a guardare Teddy, stringendo le labbra. «Anche Rudy è riuscito a scappare. Non so come, ma quando ho lasciato Godric's Hollow, lui era lì.» Scuote la testa, non sapendo come proseguire, perché non sa se può chiedere a Byron di dar loro protezione. Perché, effettivamente non sa nulla di loro, dei Ribelli. Di come sono organizzati, di cosa vogliono fare di effettivo e di come intendono raggiungere i loro obiettivi. Non sa nemmeno se dispongono di personale adibito alla sicurezza, in generale. Allora, una volta che ha finito con il tatuaggio di Teddy, si volta a guardarlo, valutandone il volto. Cercando di trovare in quegli occhi chiari la motivazione che le serve. «Io mi sento impotente. Costantemente. Non ho finito gli studi, anzi sono pure indietro di un anno. Sono stata mandata qui per paura e non so fare probabilmente la metà degli incanti che tutti voi, in questa sala, sapete padroneggiare.» Ottima presentazione, Olympia. Tu sì che sai come venderti. «Ma voglio dare una mano. Se potessi anche salvare uno solo di loro..» scuote la testa. Non vuole fare la differenza, lei. Non ne ha nemmeno le capacità per farlo. Vuole semplicemente smetterla di sentirsi inerme. E dare una mano. «Cosa posso fare?»

    Interagito con Nessa, Teddy, Rocky e Byron
    Citato Matty.

     
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    "Byron, ti presento Olympia Potter.. lei è.. una sorella.. insomma siamo cresciute insieme. No..Non c'entra con la redazione." Le sopracciglia di Byron si sollevarono lievemente nel sentire quel nome. Potter. In realtà non avrebbe dovuto sorprenderlo così tanto: fin dal momento in cui Teddy si era unita alla loro causa il minore dei Cooper aveva saputo - o quantomeno immaginato - che prima o poi anche il resto della sua famiglia sarebbe venuto a ruota. Non si aspettava, però, che la cosa sarebbe avvenuta così presto, ne' di trovarsi di fronte addirittura la figlia adolescente dello stesso Harry Potter. Poteva sembrare poco, ma era davvero una cosa enorme: un segnale forte. Tuttavia fece appena a tempo a stringere la mano della ragazza prima che il discorso venisse momentaneamente interrotto da una voce a lui ben più nota e sicuramente inconfondibile. "Scusate signorine, ve lo rubo soltanto du secondi. Faccio subito e ve lo rimando, promesso!" sorrise cordialmente alle due, congedandosi per qualche istante nel seguire Frank pochi passi più in là "A By', tu 'a sai la storia mia. Se me beccano n'artra volta, io nun parlerei manco sotto tortura. Ma me va più che bene avere n'tatuaggio che me tenga la lingua legata. E' na bella pensata e mo' penserai pure che so gay, tra parentesi, nun lo sono, però sì, insomma, famo sta cosa e basta. Spero vada bene 'o stesso, nun c'ho artra pelle disponibile da datte." Byron, quello col muso lungo perenne, non poté fare a meno di ridacchiare sotto i baffi alle parole di Frank, alzando le mani alle insinuazioni di omosessualità come a dire 'l'hai detto tu, non l'ho detto io'. Senza troppe ironie, comunque, estrasse la bacchetta, mormorando a mezza voce alcune frasi in una lingua sconosciuta, mentre aggrottava la fronte per la concentrazione di disegnare il simbolo preciso sulla pelle del compagno. "Et voilà, fanno cinque sterline." soggiunse alla fine, con una vena ironica sulla piega delle labbra, per poi tornare più serio. "Grazie Frank, per tutto quello che hai fatto e per la fiducia. Ora sarai tu a pensare che sono gay, ma ci tenevo a dirtelo di persona." Gli assestò una pacca sulla spalla, annuendo tra sé e sé "Adesso devo fare un paio di cose, ma più tardi ti riprendo, che dobbiamo organizzarci per i prossimi giorni e mi servirà una mano..magari anche dall'amico che hai portato con te." Detto ciò gli fece segno di rimandare la discussione a più tardi, voltandosi per tornare da Teddy e Olympia. Si scusò con un cenno del capo, immergendosi nella conversazione tra le due, che sembrava essere giunta all'argomento dell'attentato a King's Cross. "C'era talmente tanta confusione, che non so dirvi per certo quanti sono riusciti a scappare. Ma so che la mia miglior amica l'ha fatto. Non so di preciso dove sia al momento. L'ultima volta che l'ho sentita era a casa sua, a Londra, con suo padre. Credo stia bene, ma ammetto di essere preoccupata. Kingsley ha dalla sua le forze dell'intero Ministero. Malia ha solo un padre babbano a proteggerla. Anche Rudy è riuscito a scappare. Non so come, ma quando ho lasciato Godric's Hollow, lui era lì." Le sopracciglia di Byron si aggrottarono con aria grave e pensierosa nell'ascoltare quelle parole. Si trattava di ragazzini, giovani a cui avevano tolto ogni possibilità di scelta o reazione. "La tua amica non è al sicuro. Non se è tornata direttamente a casa sua, per giunta da un padre babbano: sarà il primo posto in cui la cercheranno. Manderò qualcuno da lei, stanotte." E sapeva già esattamente chi fosse la persona perfetta per quel compito. "Per quanto riguarda il tuo amico..se si trova a Godric's Hollow probabilmente lo avranno messo al sicuro." con aria incerta rivolse lo sguardo a Teddy "Ti dispiace controllare nei prossimi giorni? Per te è più semplice passare inosservata, soprattutto in prossimità di luoghi del genere." Riportò poi lo sguardo alla rossa, sorridendole con aria rassicurante. "Non devi preoccuparti. Nessuno verrà lasciato indietro, non qui." "Io mi sento impotente. Costantemente. Non ho finito gli studi, anzi sono pure indietro di un anno. Sono stata mandata qui per paura e non so fare probabilmente la metà degli incanti che tutti voi, in questa sala, sapete padroneggiare. Ma voglio dare una mano. Se potessi anche salvare uno solo di loro..Cosa posso fare?" Le parole della ragazza colpirono Byron come un fulmine a ciel sereno. Olympia era solo il primo presagio di pioggia, ma presto o tardi ne sarebbero arrivati altri come lei: ragazzi che non avevano avuto modo di finire i propri studi come meritavano, ragazzi senza bacchetta, persone che in un mondo di maghi si sarebbero inevitabilmente sentite impotenti, o addirittura un peso per coloro a cui si sarebbero affiancati. Byron conosceva quel tipo di sensazione, magari non la stessa, ma una molto simile; sapeva cosa significasse non avere alcun potere sul proprio destino, doversi nascondere come un cane mentre dentro di sé stava solo affogando nell'incapacità di proteggere se stesso e chi gli stava accanto. "Vedi.." cominciò, con la fronte appena aggrotta come a riordinare i mille pensieri nella sua testa "..per secoli ci hanno fatto credere che tutto ciò che siamo iniziasse e finisse con l'estensione della nostra bacchetta, che senza quella fossimo impotenti." riecheggiò la sua ultima parola, alzando appena le sopracciglia, per poi puntare meglio lo sguardo negli occhi di Olympia "Non è vero, e questo te lo posso assicurare. Se non vuoi credere alla mia parola, credi anche semplicemente al fatto che attualmente, la guerra contro i babbani a cui tanto inneggia il Ministero, la stiamo perdendo." Si strinse nelle spalle, come a constatare quell'amara verità che ancora in pochi sembravano aver accettato "In fondo è più semplice, no? E' più semplice tenere le pecore dentro al recinto se gli fai credere che quell'ammasso di legno sia la loro unica e sola protezione contro il lupo cattivo che sta al di fuori." Accennò un sorriso nel calzare quella metafora sempre attuale. Homo homini lupus. Ormai chi fosse lupo e chi pecora era diventato impossibile da dire, siccome la situazione frammentaria aveva infranto la realtà in tanti pezzi di specchio, ciascuno riflettente la propria verità. "Ma posso aiutarti..ad aiutare." soggiunse infine, come se quelle parole bilanciassero la situazione, ponendo un nuovo elemento sulla bilancia a due braccia del discorso intrapreso. "Magari non sarò la persona più adatta a insegnarti tutti gli incantesimi che ti mancano, ma ho altre conoscenze da offrirti..sempre che tu voglia." Nel dire quelle parole, per un istante, gli occhi di Byron guizzarono veloci verso Teddy, come a interrogarla silenziosamente su cosa ne pensasse a riguardo. Teddy non sapeva troppe cose di lui, ma era piuttosto certo che molte le immaginasse, o quantomeno che vi fosse vicina.


    "Byron!" Si era appena congedato da Olympia e Teddy quando venne colpito da un'esclamazione gioiosa seguita da un abbraccio inaspettato, a cui sulle prime Byron sembrò reagire con l'immobilità degli arti, per poi sciogliersi gradualmente, sorridendo e stringendo più amichevolmente la presa di Ness. "Grazie..." "Figurati, lo sai." rispose, con il suo stesso tono di voce, prima di scostarsi. "Oggi sono doppiamente contenta, ho saputo che sono stata assunta ad Hogwarts. In effetti dovrei brindare. Per quel che riguarda il tatuaggio l' idea mi piace. Penso di potermelo far fare." Schiuse appena le labbra a formare una O, stupito dalla notizia della ragazza. "Ad Hogwarts?! Ma è fantastico. Devi assolutamente festeggiare." asserì, stendendo le labbra in un sorriso prima di estrarre la bacchetta. "Ci togliamo velocemente l'impiccio del tatuaggio così torniamo a questo discorso." Puntò dunque la stecca di legno sul braccio della compagna, disegnando con precisione il simbolo indicato e impregnandolo dell'incantesimo necessario. Una volta fatto ripose la bacchetta nella fondina al fianco, allungandosi poi a prendere un paio di bicchieri di birra, porgendone uno alla sua interlocutrice. "Beh, un brindisi a te, al nuovo lavoro e a tutto quanto. Sono sicuro che farai un ottimo lavoro con i ragazzi." disse, con un sorriso, prima di mandare giù un sorso generoso di liquido ambrato.
    Interagito con Teddy, Olympia, Frank e Ness

     
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