lasciate ogne speranza voi ch'entrate;

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    Responsabile Intelligence e Sicurezza Nazionale. Un bel da fare, una promozione. Selyse Deveraux si era ancora una volta fatta strada nei meandri della vita politica del Ministero della Magia. Non erano mancate le dicerie da parte dei più chiusi di mente sul conto dell'assegnazione di Azkaban nelle sue mani, ma a dirla tutta, a Selyse tutto ciò non faceva né caldo né freddo. Ad Azkaban ci era vissuta per sin troppo tempo; quella era la sua casa più di quanto lo sarebbe stata la casa di chiunque altri. Ne conosceva i segreti, sapeva trattare con le guardie e sapeva gestirla come il suo precedente proprietario. Il suo maestro, l'uomo che in fin dei conti l'ha salvata.
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    Da lui prendeva le mosse per muoversi in quel ambiente, che trattava con una certa religiosità, trasformandolo nel suo santuario. I Dissenatori, suoi guardiani e al contempo i suoi più acerrimi nemici, si aggirano attorno ai piani disposti più in basso, quelle delle celle. Lei scruta il paesaggio lugubre del mare grigio, dalla finestra dell'appartamento posto in cima alla torre, quello che un tempo apparteneva a Kostia Preud, e che ora occupava lei. Le dita si muovo con eleganza nel precipitarsi verso la sua piuma preferita. Con calligrafia tondeggiante, compone quelle poche parole che affida alla sua magnifica aquila. Non ha mai amato i gufi come postini; li ha sempre trovato troppo convenzionali, deboli e a tratti inaffidabili. Un'aquila, se ben addestrata, è un animale possente e farà di tutto pur di portare a termine il proprio compito. Le parole riportare erano poche e fredde, tipiche della giovane; nessun conveniente. Gentile Signor Aldrich, l'aspetto nella mia nella mia umile dimora stasera alle 21. Ho qualcosa che penso le possa interessare. Selyse A. Deveraux.
    E così eccola attendere negli appartamenti ai piani più alti, il suo ospite di questa sera. Alle nove in punto le guardie lo scortano di sopra dove la bionda lo attende con il solito misto di freddura e impassibilità. L'invito è chiaramente dovuto a un piccolo aiuto che può fornirgli per la missione affidatogli dal loro capo, ed è anche curiosità e desiderio di conoscere meglio i suoi colleghi. Non possono vincere contro nemici che si oppongono da ogni dove, se non creano tra loro un rapporto di fiducia, se non si conoscono e non si affidano l'un l'altro. Selyse non lo ha mai fatto con molti, ma si rende conto che non può più permettersi di essere un lupo solitario. « Signor Aldrich, sono contenta che abbia deciso di accettare il mio invito. » Un leggero sorriso prima di portare alle labbra la coppa di vino rosso che si è versata per sé nell'attesa. « Benvenuto ad Azkaban. » Nella parte più accogliente della prigione quanto meno. L'ambiente, seppur freddo e asettico, era elegante, decorato a immagine e somiglianza della sua nuova padrona. Minimalista, gode tuttavia di una serie di dettagli a cui un'amante dell'arte e del bello come Selyse, non rinuncerebbe mai. Qualche dipinto di immenso valore, piccoli oggetti finemente decorati, tende bianche dai tessuti estremamente pregiati. L'ambiente in cui si trovano è un grande salone, antistante alle sue personali stanze, il posto in cui gli elfi le servono ogni sera la cena, e dove si ferma per dilettarsi con qualche buon libro e un bicchiere di vino rosso. Lo invita a sedersi con un cenno della mano prima di poggiare gli occhi magnetici sulla figura dell'uomo. « Posso offrirle qualcosa da bere? »

     
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    L’aquila in questione non si era limitata ad abbandonare la lettere a domicilio ma aveva preferito prendere nota personalmente del destinatario, un’idea o abitudine, che era costata al rapace un’ala spezzata in circostanze non meglio specificate nella dinamica d’una sparatoria nata all’interno d’un locale sospetto e da tempo presidiato.
    Adesso la povera bestia giace sotto il suo avambraccio ad ali tarpate e con un pezzo di stoffa nera slabbrata come cappuccio, sommariamente soddisfatta di quel passaggio neanche troppo spiacevole fra dita semi-umane sporche di sangue, terriccio e polvere da sparo di fattura babbana e non.

    Le nove sono scoccate da appena un paio di secondi quando le guardie, disposte attorno a lui in formazione, ovvero una per lato più aprifila e chiudifila, vanno ad introdurlo negli appartamenti superiori lasciandolo libero una volta varcata la soglia.
    L’ambiente spartano e asettico, colorato da qualche sprazzo d’arte ricercata e macchia immacolata, cozza terribilmente contro la sua divisa nera del Ministero del Nord, bucata all’altezza del braccio destro da un foro di proiettile e sporca lì dove la camicia bianca ha incontrato fluidi umani o di propri simili. Non ha avuto il tempo di cambiarsi a quanto pare, preferendo l’apparenza vagamente macabra al ritardo verso un invito femminile.
    Entrato che è negli alloggi, e chiusovi dentro dalle guardie, volge lo sguardo alle pareti incontrando i piccoli dipinti inequivocabilmente originali e quelle tende bianche che lui al sol guardarle avrebbe potuto macchiare o tirare giù con un abituale passo maldestro; al centro di tutto questo Selyse troneggia nel proprio ambiente richiamando l’attenzione dell’aquila che, aprendo il rostro poderoso, andrà a lanciare un urlo acuto verso la padrona.
    -Credo sia sua questa.-
    La bestiola non si dimena limitandosi a cacciare fuori dal becco la piccola lingua assetata.

    Nel naso ha ancora l’odore degli inneschi, della carne d’uomo, del cibo buttato ed è forse un bene che almeno la bocca e il mento abbia avuto la decenza di detergerseli assieme alla mano opposta al braccio ferito, altrimenti adesso la donna avrebbe a guardare la versione umana d’un lupo interrotto nel pieno della cena.
    -Ho avuto l’impressione che non avrebbe accettato un rifiuto.-
    La donna, bicchiere di vino in mano, estrae uno di quei sorrisi che fanno venir voglia da mettere mano all’arma, un gesto che soffoca andando a liberare il rapace dalla propria stretta.
    L’aquila, accecata dalla benda, cade giù e tocca terra con gli artigli sbatacchiando le ali fino a riprendere l’equilibrio: quella spezzata è stata steccata alla meno peggio con una forchetta e un pezzo di nastro isolante verde. Anche lui ha le sue forme d’arte. Non belle, non di moda: creative.
    -Ho sempre sognato entrare in una prigione.-
    Sarcasmo. Fredda dote senza inflessioni che la sgamino.
    La mano di Selyse lo invita e le sue labbra completano la cortesia.
    -Non posso accettare.-
    L’alcolico? Il sedersi?
    Le pupille sono ancora vagamente dilatate da quel piacere estatico che da sempre lo pervade quando può liberamente mandare a quel paese le convenzioni e suggere linfa direttamente alla sorgente. Non il vino ma l’odore della pelle della donna in quanto appetibile sarebbe ‘desiderabile', una cortesia non galante da domandare quella di farsi sbranare.
    -E dunque, di cosa desiderava parlarmi?-



    Edited by Amok - 30/7/2017, 22:23
     
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    « Ho avuto l’impressione che non avrebbe accettato un rifiuto. » Ciò che a Selyse piace più di ogni altra cosa sono le reazioni delle persone, il loro naturale modo di esprimere i concetti, i loro gesti. Le cose più semplici tendono a rivelare delle persone molto più di quanto potrebbe fare ad esempio un'interessante conversazione di alti livelli. Alla Deveraux piace osservare le persone, le piace metterle a disagio, attirarle fuori dal proprio elemento naturale, fuori dalla confort zone, e non le interessa quanto lei in primis può risultare sciocca agli occhi degli altri nel farlo. Non le interessa apparire intelligente, o acculturata. Dell'opinione altrui non si è mai interessata, e questa consapevolezza l'ha raggiunta accentando di poter stare da sola, di poter convivere se necessario anche solo ed esclusivamente con se stessa. Un po' come accadeva in fin dei conti tra quelle mura. Pur essendo circondata da guardie, pur essendo i piani inferiori così come i livelli sotterranei della torre colmi zeppi di carcerati, creature immonde e uomini spietati messi lì a mo di carcerieri, Selyse era sola, voleva essere sola e nulla le dava maggiore gioia. « Che cosa le ha fatto pensare una simile cosa? » Chiede quindi di fronte a quella affermazione con un'espressione apertamente intrisa di innocenza. Finta ingenuità, pur di mettere in atto il gioco che maggiormente le piaceva; conoscere, capire e snocciolare le persone.
    « Ho sempre sognato entrare in una prigione. » La bionda sorrise leggermente prima di avvicinarsi appena a una delle larghe finestre della stanza, affacciata su quel mare grigio e perennemente tumultuoso. Friedrich le sta simpatico. Non le manda a dire. Un leggero sguardo alla sua cara aquila malconcia rimasta ferita evidentemente nello stesso scontro che ha ridotto il giovane Aldrich in quel modo. Certamente non stava arrivando nella sua umile dimora direttamente da un gran ballo.
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    « Non giudichi un libro dalla copertina. Questo posto è molto più di una prigione. » Azkaban era la sua anima; l'ultimo luogo in cui ci aveva lasciato un pezzo. Era appartenuta in passato a uno degli unici uomini che siano riusciti a penetrare in quel suo cuore fatto d'ottone e ghiaccio. Era lì che Selyse aveva imparato ad essere Selyse. « Non posso accettare. » « Che cosa di preciso? » Chiede quindi di rimando mentre si avvicina alla corpo sfranto del suo povero animaletto. Qualcun altro proverebbe pietà nei confronti della leale bestiolina. In fin dei conti c'è una parte in quel animo glaciale che vorrebbe salvarla. Ma nei suoi occhi vede il terrore di quanto ha visto quella sera in compagnia di Aldrich. E' un animale compromesso; non sarà mai più come nuovo. Mai più come prima. Così estraendo la propria bacchetta la punta contro l'animale sussurrando a fior di labbra nella sua direzione l'Anatema che Uccide lasciandola esanime sul pavimento, prima di tornare dal suo ospite. « E dunque, di cosa desiderava parlarmi? » A quel punto, con la coppa ancora tra le mani, la Deveraux torna ad appoggiarsi contro la fredda finestra, buttando un occhio all'esterno. Un Dissennatore fluttua per qualche secondo sotto i loro occhi, prima di volare oltre. Quelle creature di cui tutti hanno paura, sono paradossalmente diventati i suoi animaletti speciali più di ogni altro animale domestico. Irriverenti e decisamente fuori controllo, ma pur sempre suoi. « Come sta andando la sua missione? » Si riferisce ovviamente a quel incontro tenuto in segreto da Alek non più lontano di qualche settimana prima. « Mi lasci spiegare: non le sto certo chiedendo un rapporto, non ne ho l'autorità e nemmeno l'interesse. Tuttavia, alla luce delle mie nuove responsabilità, mi piacerebbe capire a che punto si trova, per mettere a sua disposizione quanto mi è stato lasciato per le mani. »

     
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    - Non che ci voglia uno scienziato…-
    Il braccio ferito, nonostante piccole stille di rosso cremini insistano ad inzuppargli con evidenza la manica della camicia bianca, riesce a muoversi con discreta agilità nel merito, neanche troppo nascosto, d’un qualche anestetico locale sicché, mentre la mano opposta scosta una falda della giacca della divisa, rivelando la fondina da spalla contenete la bacchetta e il calcio della pistola incantata, assicurato al fianco poco più in basso, l’arto compromesso andrà a prelevare un foglio piegato in quattro ben riposto in una tasca interna. Parte del risultato della ferita deve averlo raggiunto perché gli angoli saranno macchiati e ancora umidi. Lo apre e, allontanandolo un poco dal volto andrà a leggere:
    -Gentile Signor Aldrich, l'aspetto nella mia umile dimora stasera alle 21. Ho qualcosa che penso le possa interessare. Selyse A. Deveraux.-
    La sbricia da sopra la carta così come si sbircerebbe qualcuno da sopra degli occhiali a mezzaluna.
    -Non ha usato il condizionale e sono non più d’una riga e mezza.-
    A conti fatti si trattava di nulla di meno che di un ordine.
    -E per di più lei è donna.-
    Un’aggravante senza fallo ai suoi occhi, un’aggravante in fatto di pazienza.
    La fede nunziale e il dito artificiale mandano il loro bagliore metallico quando va a depositare il foglio sul primo ripiano a portata di braccio.

    La donna sorride, quindi s’allontana dirigendosi ad una delle vetrate regalandogli una piacevole vista in prima fila delle sue curve posteriori. Oh bèh, a lui di certo non sono i dissennatori ad interessare in quella stanza e a dir la verità, se solo fosse completamente umano forse si rimprovererebbe quello slancio d’istinto che trattiene sotto le spoglie dell’animale razionale ben inquadrato in ferrei limiti. Ma lui non è umano e non si rimprovera d’apprezzare visivamente e testosteronicamente quella doppia ‘S’ che l’altra gli regala. Di contro non si muove né accenna a gesti compromettenti, nessuna lingua a sgusciare dalle labbra, nessuna parola d’apprezzamento estetico, nessun gesto nervoso delle dita.
    « Non giudichi un libro dalla copertina. Questo posto è molto più di una prigione. »
    -Parla oggettivamente o sentimentalmente, signorina Deveraux?-
    Ma la donna ha quella capacità peculiare tutta degli umani e dei felini di raccogliere ogni possibile senso alternativo e rigirarlo, rivoltarlo saltando da un discorso all’altro.
    « Che cosa di preciso? »
    -Il suo odore.-
    L’aquila assetata zampetta verso la propria padrona, la piccola lingua penzolante dal rostro socchiuso, l’avanzare frastornato e traballante poggiato alla stecca di fortuna sbatacchiante. La donna ricambia lo sforzo ma ciò che lui scorge negli occhi della bionda non è nè l’affetto dovuto ad un animale fedele, né la cura per uno strumento fino a quel momento efficiente ed ora, per uno scherzo del destino, rotto ma ancora riparabile. Ciò che vede riesce a farlo rabbrividire e quando la donna estrae la bacchetta e stronca la vita della bestia senza nemmeno accelerare le proprie pulsazioni, trattiene il respiro nei polmoni in una breve ed intensa apnea.
    L’animale che s’era fidato ed affidato alla donna, cade scompostamente esanime con i piccoli occhi ancora lucenti aperti nel nulla.
    Anche lui, per molti, per quelli come lei, non è molto più che un animale e da animale, seppure di uomini ne ha ammazzati molti, con i propri simili la musica non può che cambiare.
    L’odore di Selyse che così tanto lo aveva incantata fino a quel momento gli diventa improvvisamente inviso.
    « Mi lasci spiegare: non le sto certo chiedendo un rapporto, non ne ho l'autorità e nemmeno l'interesse. Tuttavia, alla luce delle mie nuove responsabilità, mi piacerebbe capire a che punto si trova, per mettere a sua disposizione quanto mi è stato lasciato per le mani. »
    -Allora parli. Lei ha avuto ciò che aveva chiesto, io e mia moglie faremo rapporto a chi di competenza.-
    Il tono non ha subito mutazioni, solo le pupille hanno finito per restringersi raggiungendo la forma completamente umana.
     
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    « Parla oggettivamente o sentimentalmente, signorina Deveraux? » Non c'era un modo giusto per rispondere a quella domanda e decise di non farlo subito. Avrebbe lasciato che vedesse con i propri occhi quanto Azkaban avesse una personalità propria. Un padrone non poteva stabilirsi tra le sue mura, senza che il castello ne accettasse la natura; era così che molti prima di lei e il suo maestro erano stati rigettati. Un po' lo aveva fatto il freddo, un po' lo avevano fatto i Dissennatori e la loro aria sinistra, un po' erano state le urla dei prigionieri ai piani inferiori e un po' erano state le guardie stesse, che difficilmente prestavano fedeltà a qualcuno. Avendoci vissuto a lungo e avendo conquistato la piena fiducia del precedente degno possessore della prigione, Selyse era facilitata. Ma nonostante ciò, non era stato facile. Vivere tra loro, allenarsi con loro, era stato duro e complicato all'inizio. Non l'avevano accettata subito e le avevano reso la vita a tratti impossibile. Quelli erano anni in cui Selyse era ancora acerba, in cui aveva ancora la parvenza di una qualche innocenza. Perché in fin dei conti, anche i diavoli peggiori sono partiti da un qualche punto. E poi c'era i Dissennatori; forse le creature più difficili da controllare in assoluto. Non c'era un modo effettivo per domarli; venivano attirati attorno alla prigione dalle sue stesse interiora - muri intrisi di dolore - e attorno alla roccaforte si radunavano in insoliti stormi che di disperazione ne portavano altra. Quell'ambiente non poteva essere casa di molti; bisogna possedere un animo particolare per possedere Azkaban, oppure non possederlo affatto.
    « Allora parli. Lei ha avuto ciò che aveva chiesto, io e mia moglie faremo rapporto a chi di competenza. » Odiava la presunzione, e l'uomo che aveva di fronte peccava di presunzione. Questo le pareva. A caval donato non si guarda in bocca. Sorrise leggermente senza scomporsi, invitandolo ad attraversare assieme a lei il salone d'ingresso del proprio appartamento, dirigendosi verso quella che era la sala da pranzo, anche essa arredata secondo lo stile elegante, classico eppure minimalista di Selyse. « Sa, devo necessariamente essere sincera. Qui stiamo cercando di collaborare. Lei non è di queste parti, da quello che mi hanno detto, ma le devo ricordare che apparteniamo alla stessa squadra. Forse le nostre prerogative sono diverse, ma lavoriamo tutti per uno stesso obiettivo. La sicurezza del Mondo Magico. Questo significa che oltre ai rapporti ai superiori, dovremmo cercare di fidarci minimamente l'uno dell'altro. Si chiama Squadra d'Inquisizione per un motivo. » Disse quindi incrociando le braccia al petto. Infine decise di cambiare registro; il sorriso cordiale le morì in gola, lasciando spazio a un'espressione ben più seria e risoluta. « Non sono un tuo nemico, Aldrich. La posizione che ho mi permette di raggiungere le informazioni prima di altri. L'Intelligence è questo: avere spie al proprio servizio. Uccellini che cantano. Il mio compito è metterli all'altrui disposizione. Quindi quando ti chiedo a che punto ti trovi con quanto ti è stato assegnato, lo faccio perché vorrei sapere cosa chiedere ai miei uccellini. Entrambi abbiamo un compito: il mio è facilitare il tuo e quello di chiunque all'interno del Ministero della Maglia. »

     
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    La risposta non giunge alla propria domanda e lui, peccando forse in eleganza, non ricalca sul proprio quesito.
    Sulla mano il liquido viscoso del proprio sangue che cola dal foro di proiettile tamponato con delle bende, legate strette come risultato d’un incanto, inizia a coagularsi sulla punta delle dita intorpidite.
    Un cenno della donna, e arricciando appena il naso sopra la barba, va a seguirla scavalcando con una stretta alla stomaco il cadavere dell’aquila riversa con l’ala spezzata e steccata, le zampe scomposte, il rostro schiuso e i grandi occhi espressivi spalancati nel vuoto.

    Il salone non stona con il luogo appena lasciato. E’ in tinta, secondo lo stile e la mancanza di orpelli e su tutto quella donna binda riprende parola stavolta con più vivacità.
    « Sa, devo necessariamente essere sincera. Qui stiamo cercando di collaborare. Lei non è di queste parti, da quello che mi hanno detto, ma le devo ricordare che apparteniamo alla stessa squadra. […] Questo significa che oltre ai rapporti ai superiori, dovremmo cercare di fidarci minimamente l'uno dell'altro. Si chiama Squadra d'Inquisizione per un motivo. »
    Resta nei pressi della soglia. Ben ritto, tranquillamente propenso a farla parlare perché, se c’è una cosa che ha imparato egregiamente durante la vita militare è ascoltare.
    -Chi glielo ha detto?-
    Ascoltare e tramite la memoria incamerare per snocciolare ad una ad una le frasi come composti di pensieri.
    “Questo significa che oltre ai rapporti ai superiori, dovremmo cercare di fidarci minimamente l'uno dell'altro…”
    -Non sono tenuto a fidarmi di lei o di uno solo degli egregi signori seduti a quel tavolo, signorina Deveraux, non mi pagano per la fiducia.-
    La voce del lycan non si altera nel rammentare lei quella riunione, l’unica in cui per la prima volta potè vederli tutti, né tantomeno le pieghe sul volto, ancora giovane seppure segnato da anni in trincea, si accentuano.
    -Sono tenuto a portare a termine il compito a me assegnato, nel migliore e più pulito dei modi, da un diretto superiore, e non mi risulta lei incarni tale figura.-
    La donna incrocia le braccia, eleganti, morbide, ad un petto prosperoso che non passerebbe inosservato neanche ad un fanciullo, quindi la sua maschera cambia e al posto del sorriso compare altro ed anche il tono prende ad alterarsi.
    « Non sono un tuo nemico, Aldrich»
    -E io non sono suo amico, Devaraux e gradirei evitasse di accaparrarsi confidenze che non le competono.-
    Ma la donna scalcia nell’animo imperioso:
    «L'Intelligence è questo: avere spie al proprio servizio[…] Quindi quando ti chiedo a che punto ti trovi con quanto ti è stato assegnato, lo faccio perché vorrei sapere cosa chiedere ai miei uccellini.»
    -Sinceramente non è mio interesse sapere dove, quanti, quali e dove intenda far volare gli uccelli delle sue grazie.-
    Le sopracciglia si piegano appena marcando l’ambiguità di quello scambio di frasi.
    -Mi ha fatto venire qui offrendomi “qualcosa che pensava mi potesse interessare” e di cui era già in possesso. Ha disturbato un’operazione e adesso mi offre uccelli?-
    La domanda ha un tono retorico, quasi canzonatorio.
    -E senza nulla nel becco per di più.-

    « Entrambi abbiamo un compito: il mio è facilitare il tuo e quello di chiunque all'interno del Ministero della Maglia.»
    -Il suo è prendersi cura di questa prigione e ciò che ne passa, il mio non deve interessarle fin quando io o chi di dovere non dirà che le interessa.-
    E qui anche lui cambia registro: il timbro si fa più duro, il corpo riassume in pieno la posa marziale abbandonando il cosiddetto ‘riposo’ e la donna, qualora dovesse essere particolarmente attenta ai particolari, potrebbe anche notare nell’articolare, un vago mostrare di zanne.
    -Dunque sono io a domandarle, Signorina Deveraux: Ha qualcosa per me, qui ed ora, o mi sta solamente facendo perdere tempo parlando di pennuti canterini?-
     
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    « Chi glielo ha detto? » Alza un sopracciglio, non sapendo nemmeno come rispondere. Non è certo un segreto cosa Selyse sia chiamata a fare all'interno del Ministero per conto di Norwena Zabini. Lady Stoneheart, come viene spesso soprannominata tutt'ora all'interno cupolone esecutivo è gli occhi e le orecchie del paese. Lo è sempre stata, sin da quando lavorava al fianco del suo maestro ad Azkaban. La prigione non è stata altro che una casa, per lei. Da sempre. Una specie di appoggio fisico in cui si sentiva al sicuro. La fortezza rispondeva alle sue esigenze e si plasmava sulla sua personalità, esattamente come la giovane si plasmava su quella della prigione. Non c'era nessuno, da quando Kostia Preud aveva lasciato Azkaban, che la conoscesse meglio di lei, che comprendesse la profonda natura dei Dissennatori e che riuscisse a domare gli animi impetuosi delle guardie tanto quanto lei. Sette anni passati alla mercé di quel posto, aveva fatto sì che la bionda si fosse guadagnata il rispetto delle guardie, il timore riverenziale dei prigionieri e un degno numero di abilità per sfruttare i Dissennatori agli scoppi della fortezza stessa. Si chiese dunque dove fosse vissuto Aldrich per tutta la sua permanenza a Londra. « Non sono tenuto a fidarmi di lei o di uno solo degli egregi signori seduti a quel tavolo, signorina Deveraux, non mi pagano per la fiducia. Sono tenuto a portare a termine il compito a me assegnato, nel migliore e più pulito dei modi, da un diretto superiore, e non mi risulta lei incarni tale figura. »
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    Lei sorrise, annuendo, pur essendo in netto contrasto con quanto avesse sentito. Sapeva che ci fossero uomini che non leggevano i contratti; leggere i contratti è una cosa da legali, per lo più, ma non pensava che ci fossero davvero persone nella sua stessa Squadra che non avessero la minima cognizione di cosa stessero facendo. « No, lei è pagato dal Ministero della Magia Inglese per far parte di una Squadra, quella dell'Inquisizione per l'appunto. Non è un soldato solitario, una qualche specie di eroe della patria che marcia verso il tramonto da solo. » Fa una leggera pausa. « Una squadra è un gruppo organico di persone con compiti e funzioni comuni, di conseguenza la sua missione è anche la mia, e la mia, è anche la sua; le regalerò un dizionario nel caso in cui non dovesse fidarsi della mia definizione. Oppure, può sempre controllare il significato etimologico della parola in qualche dizionario nella biblioteca del Ministero. » Basterebbe chiedere a un dodicenne.

    « Io non sono suo amico, Devaraux e gradirei evitasse di accaparrarsi confidenze che non le competono. [...] Sinceramente non è mio interesse sapere dove, quanti, quali e dove intenda far volare gli uccelli delle sue grazie. Mi ha fatto venire qui offrendomi “qualcosa che pensava mi potesse interessare” e di cui era già in possesso. Ha disturbato un’operazione e adesso mi offre uccelli? E senza nulla nel becco per di più. » Alek e Norwena non le rendevano per niente la vita facile, se volevano che portasse avanti il suo lavoro con persone chiaramente non intente a volerla ascoltare. Pensava sarebbe stato più facile; in fin dei conti, all'interno del Ministero tutti desideravano la propria fetta, emergere. Poi c'erano coloro che, come Selyse, nella causa ci credevano davvero, e anche questa seconda categoria non aspettava altro che un segno, qualcosa che li aiutasse a svolgere il loro obiettivo. La bionda vide come un'aperta mancanza di rispetto quel discorso dell'uomo. Abbasso quindi lo sguardo, sinceramente rammaricata, ma non disse niente.

    Entrambi avevano un compito, ma evidentemente Fred aveva inteso erratamente il suo. « Il suo è prendersi cura di questa prigione e ciò che ne passa, il mio non deve interessarle fin quando io o chi di dovere non dirà che le interessa. Dunque sono io a domandarle, Signorina Deveraux: Ha qualcosa per me, qui ed ora, o mi sta solamente facendo perdere tempo parlando di pennuti canterini? » Lei sorrise, affatto impressionata dal gonfiarsi e farsi grande dell'uomo che ha di fronte. « No, signor Aldrich.. » Il tono pacato e affatto alterato. Sarebbe una sciocca se perdesse le staffe per così poco. Ha trattato con uomini ben più orribili di lui, con uomini che le hanno mancato di rispetto in modo ben più peggiore. « ..lei si sbaglia. Non conosce il suo di compito quindi non pretenda di capire il mio. Una cosa è chiara: non sono la sguattera di Azkaban, di questo posso assicurarla. » Fece una leggera pausa tempo in cui si inumidì le labbra col vino rosso che si era versata e che l'uomo non aveva gradito accettare. « Rispetto il suo modo di portare avanti i suoi affari, motivo per cui spero che anche lei possa rispettare i miei. L'ho chiamata qui offrendole risorse.. informazioni e in cambio le ho solo fatto una domanda, una tra l'altro attinente a quanto le stessi offrendo. Non le ho chiesto di fare alcunché, non le ho chiesto niente in cambio; ho rispettato quando il nostro comune datore di lavoro mi ha chiesto di fare. » Altra pausa, tempo in cui si spostò nuovamente verso la finestra a guardare fuori. Il paesaggio di fuori dalla fortezza la rilassa, con il suo perenne grigiume turbolento. « Se pensa che ho disturbato lei e la sua operazione può portare le sue rimostranze di fronte alla Ministra stessa, anche se mi lasci chiederle: se era così importante, per quale ragione l'ha interrotta - questa sua operazione - di fronte alla chiamata di una persona di cui evidentemente non si fida e che non rispetta? Io non sono nessuno in fin dei conti; non sono un suo superiore. Non era costretto a presentarsi qui secondo i patti stabiliti nella mia lettera. Avrebbe potuto farlo in qualunque altro momento, con un motivo anche piuttosto serio direi: era in missione. » Si strinse nelle spalle con noncuranza. Una domanda a cui non si aspettava una risposta. « Non importa. Come le ho già detto, può richiedere un richiamo ai nostri superiori nei miei confronti, se lo reputa opportuno. Mi prenderò le responsabilità delle mie azioni. Magari con l'occasione le spiegheranno anche le nostre rispettive mansioni. Fino ad allora, la strada per uscire la trova da solo. Nel caso in cui così non fosse, posso chiamare qualcuno che gliela mostri. » E dicendo ciò gli indicò la strada verso l'uscita dalle sue stanze, senza degnarlo di uno sguardo.

     
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    « No, lei è pagato dal Ministero della Magia Inglese per far parte di una Squadra, quella dell'Inquisizione per l'appunto. Non è un soldato solitario, una qualche specie di eroe della patria che marcia verso il tramonto da solo. »
    Burocrati. Ne aveva sentito parlare ma doveva averne avanti uno, seppure sotto la scorza della donna pratica.
    -Non è il Ministero Inglese a pagarmi, signorina Devaraux.-
    Lasciando correre l’allegra evocazione del soldato solitario, del tramonto, della patria e del milite ignoto.
    « Una squadra è un gruppo organico di persone con compiti e funzioni comuni, di conseguenza la sua missione è anche la mia, e la mia, è anche la sua; le regalerò un dizionario nel caso in cui non dovesse fidarsi della mia definizione. Oppure, può sempre controllare il significato etimologico della parola in qualche dizionario nella biblioteca del Ministero. »
    E qui deve ingoiare per non sputarle addosso improperi nella propria rasposa e adattissima lingua madre, invece resta immoto, mantenendo un volto che se è tirato resta comunque quanto più neutro possibile.
    -Questa è la definizione d’una squadra di comuni impiegati così come lei deve reputarsi. Quanto a me, mi permetta di dissentire. Sono qui per un patto internazionale e non intendo sottostare alla lezione di lingua di mia presunta pari.-
    E che la donna si rammarichi, si scaldi, o dia ancora fiato alle corde vocali, quei muri non lo sentiranno alzare la voce più del necessario per farsi udire chiaramente. E non essendo grosso non accenna neanche ad ingrossarsi perché nelle spoglie umane non ha zanne, né artigli con cui dilaniare, bensì solo un ricordo che in certe occasioni può riaffiorare come poco prima per l’appunto.
    «..lei si sbaglia. Non conosce il suo di compito quindi non pretenda di capire il mio. Una cosa è chiara: non sono la sguattera di Azkaban, di questo posso assicurarla. »
    -Il mio compito lo conosco benissimo, Signorina e se voleva metterci bocca poteva farlo avanti a quel tavolo.-
    « Rispetto il suo modo di portare avanti i suoi affari […]L'ho chiamata qui offrendole risorse.. informazioni e in cambio le ho solo fatto una domanda […] ho rispettato quando il nostro comune datore di lavoro mi ha chiesto di fare. »
    -Dovrebbe fare pace con le sue affermazioni. Mi ha fatto venire qui per una c.o.s.a. che diceva di avere e invece è ancora solo aria, ha detto che era qualcosa che l.e.i. voleva offrimi e invece ora dice che si trattava di una richiesta da parte del Capo, adesso cosa mi dirà? Che nella prigione ci abita ma paga l’affitto?-
    « Se pensa che ho disturbato lei e la sua operazione può portare le sue rimostranze di fronte alla Ministra stessa, anche se mi lasci chiederle: se era così importante, per quale ragione l'ha interrotta - questa sua operazione - di fronte alla chiamata di una persona di cui evidentemente non si fida e che non rispetta? Io non sono nessuno in fin dei conti; non sono un suo superiore […]»
    Le braccia, fino ad ora irrigidite come tutto il corpo cadono rilassandosi ai lati del petto.
    -Mi auguro lei non conduca così un interrogatorio: Ho detto ‘disturbato’ non ‘interrotto’. Non interromperei mai una missione se non per voce di chi me l’ha assegnata.-
    « Non importa. […]Nel caso in cui così non fosse, posso chiamare qualcuno che gliela mostri. »
    Annuisce.
    -Sarò in grado di trovarla da solo. Arrivederci Signorina Devaraux.-
    Con tanto di inchino a mezzo busto con la mano destra portata al petto e se ella non dovesse fermarlo, lei o qualcuna delle guardie, si adopererebbe ad uscire esattamente da dove è entrato, ben attento ad avere sempre la bacchetta a tiro di dita.
     
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