The bear and the maiden fair

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    Si sentiva più a suo agio quando il sole cominciava a calare. Questo era un dato di fatto, o almeno lo era diventato da un anno a quella parte. Non che la sua pelle diafana avesse mai amato i raggi del sole: tendeva a ustionarsi troppo facilmente, e la calura estiva le risultava insopportabile. Tuttavia quell'intolleranza sembrava essersi acuita da quando aveva combinato il più grande casino della sua vita insieme ad Artie, cercando di mettergli le pezze nel peggiore dei modi possibili: contagiandosi lei stessa con quella malattia che aveva calato addosso all'amico. C'era però da dire che il lato positivo della situazione era che i suoi capelli già naturalmente rossi avevano preso da quel momento una sfumatura ancora più profonda e lucente, dello stesso color bordò del sangue fresco appena sgorgato. Erano più belli, molto più belli..soprattutto quando faceva ciò che doveva fare.
    Una volta calato totalmente il sole oltre la linea dell'orizzonte, Tallulah si addentrò verso il centro del villaggio estivo, lì dove per la serata era stata allestita una piccola festicciola a tema rinascimentale. Ognuno sembrava dover fare qualcosa, ciò che voleva, bastava solo che fosse qualcosa. Ci stavano quelli che si divertivano a mostrare babbaneggianti trucchi di magia come gli antichi giullari di corte, poi ci stava chi intrecciava corone di fiori da donare alle ragazze, chi organizzava duelli di magia secondo le antiche regole, chi suonava vecchie canzoni popolari tramandate nel tempo e anche chi le ballava. C'era di tutto e di più, cosa che nonostante tutto, Tallulah sembrò apprezzare, incurvando le labbra vermiglie in un sorriso quando una compagna le porse un cerchietto di fiori da mettere sul capo. "Tieni, si abbinano benissimo ai tuoi capelli e al tuo vestito." le disse con tono squillante, mentre le posava tra le pieghe dell'elaborata acconciatura quella coroncina adorna di rose rosse in miniatura. "Sono la varietà Grand Chateau." Ok, adesso però ci stiamo allargando. "Grazie." disse dunque, stirando un ultimo sorriso, questa volta più affettato, prima di allontanarsi, facendosi più vicina al punto in cui un gruppo di ragazzi si cimentava in riproduzioni fedeli delle ballate popolari, con tanto di strumenti fatti ad hoc per l'epoca storica che andavano a ricalcare. Nel mentre la rossa tirò a sé una sedia vuota, avvicinandola al tavolo che le era stato riservato per il suo intrattenimento della serata. Si mise quindi a sedere a gambe accavallate, estraendo dalla borsa il mazzo di tarocchi che aveva portato con sé e dispiegandolo sul tavolo in attesa dell'arrivo di qualche simpaticone che voleva farsi leggere il futuro da una fattucchiera. Che poi Tallulah i tarocchi li sapesse leggere sul serio, questo era un dettaglio secondario che non vedeva il motivo di rivelare: sarebbe piuttosto stato molto più divertente veder sghignazzare i propri clienti, i quali solo nel futuro a venire avrebbero capito che quello della rossa non era stato un gioco ne' tanto meno un divertimento. In pochi, d'altronde, credono nella divinazione, e il modo migliore di farli ricredere era proprio quello di assecondarli, lasciandogli pensare che lei stessa fosse lì per sbeffeggiare la tecnica. In caso contrario non si sarebbero mai messi a sedere sul posto di fronte al suo.
    "Oh, sweet she was, and pure and fair, the maid with honey in her hair, the maid with honey in her hair! The bear smelled the scent on the summer air. The bear! The bear! All black and brown and covered with hair! He smelled the scent on the summer air, he sniffed and roared and smelled it there. Honey on the summer air! Oh I'm a maid, I'm pure and fair, I'll never dance with a hairy bear, I'll never dance with a hairy bear." Nella pausa tra un cliente e l'altro lanciò un'occhiata veloce al ragazzo che cantava lì accanto, sorridendogli in maniera lievemente maliziosa e ricevendo come risposta un occhiolino. Fatto ciò si voltò verso il suo nuovo interlocutore, incurvando le labbra in un sorriso silenziosa alla vista dell'amico di esperimenti. Edric Sanders, probabilmente una delle poche persone al castello che capisse il suo approccio alla magia, e che la incoraggiasse a portarlo avanti, proprio come faceva lei con lui. "Giusto in tempo per una lettura di tarocchi prima che mi brucino sul rogo, Sanders." disse ironicamente, nel suo tono mellifluo, scoccandogli un'occhiata da sotto le ciglia mentre mescolava il mazzo di carte. D'altronde una fattucchiera mancina dai capelli rossi era sarebbe decisamente stata un soggetto a rischio nell'epoca scelta per il tema di quella fiera. "Mischiale un paio di volte." lo intimò dunque, non appena posò le carte sul tavolo. Normale prassi: doveva passare la propria energia alle carte. "Da cosa vuoi iniziare? Amore, lavoro o fortuna?" chiese infine, sul fiore di un sorrisino sardonico "Cosa interessa Edric Sanders?"


    Edited by nocturnal animal - 29/8/2017, 22:23
     
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    « E così, la scuola è finita. Dimmi Edric, cosa farai durante le vacanze? » Il tono di voce del dottor Renfield era calmo, pacato, irritante. Era così buono, così dannatamente buono da far pensare che nascondesse qualcosa di abominevole. Ma quel qualcosa non saltava mai fuori, lasciando Edric in un dilagante stato di frustrazione e noia. Mai aveva avvertito in lui qualcosa che non fosse stucchevole. Perfino quelle sedute di psicoterapia a cui era obbligato a partecipare avevano preso ad infastidirlo più per dovuto. Secondo lo psichiatra che ormai lo aveva in cura da diversi anni, a nulla sarebbero valse le terapie senza un buon percorso di analisi. Cazzate. La domanda non trovò risposta, Edric rimase a fissare il medico con un'espressione stanca, accentuata da grandi aloni neri sotto gli occhi. Fece spallucce, il massimo che concesse al suo interlocutore.
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    Una voce arrivò dalle spalle del ragazzo e purtroppo, una volta tanto, non si trattava di un'allucinazione. « La scuola ha organizzato un campo estivo. Andrà lì. » Artemisia Sanders se ne stava seduta, composta e elegantissima, su una poltrona in disparte, ma pur sempre presente. Era bellissima e, come il figlio, terribilmente annoiata. Da quando Edric aveva iniziato a saltare le sedute con il dottor Renfield, sorprendendo tutti aveva deciso di accompagnare personalmente il figlio e non delegare a nessun altro questo compito. Secondo Edric, ciò che pareva affetto materno celava in realtà il sadico intento di vedere il proprio figlio soffrire. Edric si voltò di scatto, rivolgendole uno sguardo d'odio che non sortì alcun effetto sul volto della donna. « Ho detto che non me ne frega un cazzo di quel campo estivo. Spero muoiano tutti, te compresa. » Artemisia si limitò a rivolgere al dottor Renfield un debole sorriso. Visto dottore, cosa devo sopportare? dicevano i suoi occhi. L'uomo sembrò aver recepito il messaggio e, con esso, la gravità del rapporto che correva tra madre e figlio. Incrociò le dita e le posò sulla scrivania, sporgendosi in avanti. « E' una bellissima occasione! Potresti cambiare aria, socializzare un po'. Sono certo che sarebbe terapeutico per te. » Il ragazzo rimase per una manciata di secondi con la mascella serrata, guardando il medico dall'altra parte della scrivania che li divideva. Sei stupido o cosa? dicevano questa volta i suoi occhi. « Non ci andrò. » La sua era una presa di posizione, non gli importava veramente di andare o non andare a quella stupida gita in mezzo al nulla, si sarebbe amputato un braccio pur di fare esattamente il contrario di ciò che diceva quella donna. Ma se Edric Sanders era un bambino cresciuto che batteva i piedi e si impuntava contro il volere materno, Artemisia era una donna cresciuta e forte abbastanza da ottenere tutto ciò che voleva. Perfino togliersi dai piedi il suo primogenito schizzato per un'intera estate. Le bastarono due semplici parole, pronunciate col più serafico dei toni: « Ci andrà. »

    La stronza aveva vinto. E su tutti i fronti. Edric non ebbe neppure bisogno di fare i bagagli, furono gli elfi domestici a farli per lui su ordine della madre. Tutto sarebbe dovuto essere pronto e senza intoppi per la partenza, in quel viaggio che avrebbe portato Sanders nel bel mezzo del nulla, insieme ad un mucchio di persone che odiava con sentimento reciproco. I giorni passavano e con essi aumentava il torpore nel constatare di non essere adatto alla società civile. Venivano organizzate attività ed ognuna era per l'animo di Edric più deleteria e nociva della precedente. L'ultima? Una notte nel Quattrocento. I ragazzi si sarebbero dovuti calare nei panni di un tipico personaggio rinascimentale, permettendo così ai più estrosi di far sfoggio delle loro abilità. I preparativi furono rapidi e la notte della festa il villaggio che ospitava la comitiva si riempì di musica e colori, cose per cui Edric credeva di essere allergico. Ovunque si voltasse, non vedeva altro che dame e cavalieri, giullari e cortigiane. Tutti volevano far colpo, gareggiando a chi avesse il costume migliore o più caratteristico, a chi sapesse suonare meglio il liuto, a chi sapesse maneggiare meglio la spada. Quanto a Edric, la folle corsa al vestito più raffinato non lo sfiorò minimamente. Non sentiva il bisogno di ostentare alcunché, men che meno un divertimento che non provava. Ecco perché, all'insegna del più silenzioso anticonformismo, decise di vestirsi quasi di stracci. Si arruffò i capelli di rame, che già solitamente non brillavano per ordine, li arricchì con un po' di paglia e si sporcò volutamente il viso di terriccio. Ignorava chiunque gli chiedesse che diavolo di travestimento fosse, cosicché le malelingue della piazza iniziarono ad additarlo come lo Scemo del villaggio. Neppure provò a difendersi, a che pro?
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    Fregiato del nuovo titolo scelto dal plebiscito, Edric camminava come un'anima in pena per il villaggio, evitando accuratamente lo strambo gruppetto che stava impersonando un ordine monacale intento ad evangelizzare il popolo. Superò il grande falò al centro e, lasciandosi trasportare dai piedi e da sensazioni primordiali, arrivò quasi per caso al banco di una fattucchiera. Edric Sanders non aveva amici al castello - Edric Sanders non aveva amici e basta - se non per poche anime selezionate, affini a lui per qualche strano scherzo del fato o della psichiatria. Tallulah Weasley era una di queste. Era bellissima nel suo ruolo di chiaroveggente, i capelli di fuoco le ricadevano sul viso rendendola attraente come il Diavolo in persona. Era molto simile a Audrey, forse per questo gli piaceva tanto. « Giusto in tempo per una lettura di tarocchi prima che mi brucino sul rogo, Sanders. » Il serpeverde ghignò, doveva aver trovato divertente l'immagine dell'amica al rogo. Sicuramente la trovò appropriata. « Dio mi perdoni se commetterò suicidio gettandomi nel fuoco con te. Tutto, per far concludere questo strazio. » Con Tallulah non aveva granché bisogno di fingere che la gente gli piacesse; la Weasley conosceva da anni Edric, aveva imparato a conoscerne anche le diverse sfumature e comunque non era scappata via. Prese dalle mani dell'amica d'infanzia il grande mazzo di carte e iniziò a mischiarle, ancora e ancora, finché la strega non lo fece fermare. « Da cosa vuoi iniziare? Amore, lavoro o fortuna? » Quel ruolo le si addiceva particolarmente. Le loro menti si unirono, permettendo a Edric di gustare il divertimento che Tallulah stava provando. Riuscì perfino a sorridere. « Il lavoro non mi interessa granché e la fortuna.. beh, non sono un tipo fortunato, lo sai. Perché non l'amore? » e la fissò con lo sguardo più eloquente che avesse a disposizione. Con gli occhi le disse tutto ciò che le parole non dissero. C'è amore per me? C'è amore per noi? Era certo che la strega avrebbe capito.


    Edited by Soffio di Fiamme Danzanti - 11/8/2017, 22:24
     
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    "Il lavoro non mi interessa granché e la fortuna.. beh, non sono un tipo fortunato, lo sai. Perché non l'amore?" Sorrise a quelle parole, quasi in una sfumatura mefistofelica di quelle labbra color carminio, tuffando lo sguardo in quello dell'amico come a risucchiarne ogni interrogativo inespresso. L'amore, ah l'amore, il dono e la maledizione dell'umanità. A tutti, nessuno escluso, interessava sapere cosa quel sentimento avesse in serbo per loro, se gioie o dispiaceri o entrambe le cose intrecciate tra loro. Di solito si verificava la terza ipotesi, poiché l'amore, di per sé, è l'emozione del sangue, e viene sempre a braccetto con i propri demoni: la gelosia, il sospetto, la possessività, il tradimento. Da che se ne avesse memoria, era più alto il numero di crimini commessi per passione piuttosto che per altre ragioni. Niente risultava altrettanto forte quanto quella spinta, nemmeno l'odio, nemmeno l'avidità. Creature voluttuose, gli esseri umani, e ancora di più chi portava sulle proprie spalle la stessa croce di Tallulah.
    Una volta riprese le carte, dunque, le dispose secondo l'ordine prestabilito: cinque carte in totale, una fila orizzontale di tre che si intersecava nella carta centrale a una fila verticale dello stesso numero. Alzò per un istante lo sguardo sull'amico, lasciando un breve momento di silenzio affinché l'energia si sedimentasse e l'attenzione di Edric si focalizzasse sul gioco. Solo quando ne fu certa, iniziò la propria messa divinatoria. "La prima carta rappresenta il passato." e dicendo ciò, sollevò il pezzo imputato, rivelandone la faccia sul tavolo. "L'appeso. Il tuo trascorso è simboleggiato da situazioni sfavorevoli a cui hai dovuto sottostare contro il tuo volere. Ma tali situazioni sono temporanee..se vi è una volontà di sacrificio. Agendo in maniera sbagliata rischia di trasformarsi in una situazione permanente; sono quindi richieste rinunce e sforzi, una svolta personale." fece una pausa, annuendo tra sé e rivolgendo un'occhiata eloquente all'amico prima di voltare la seconda carta. "Il presente. Cinque di bastoni. Instabilità, rottura dell'equilibrio. Ciò che è stato ha subito una scossa, forse piccola, forse ancora trascurabile, ma che avrà sicuramente ripercussioni." Le bianche dita affusolate della rosa si spostarono verso la carta più in basso, questa volta sull'asse verticale. "Gli ostacoli." in un colpo secco scoprì l'arcano sotto gli occhi di Edric "L'eremita, rovesciato. Sei il peggior nemico di te stesso. La carta simboleggia l'eccesso di isolamento, troppa riflessione e scarso agire. Non conosci bene la natura della tua situazione, o in quale luogo ti trovi, ne' sai di chi poterti fidare tra chi ti circonda." Alzò un sopracciglio, piegando appena il capo di lato mentre scuoteva i capelli rossi come il fuoco per farli spostare dal viso, lasciandoli ricadere lungo la schiena. A quel punto si diresse con la mano verso la carta più in alta, quella più vicina ad Edric, voltandola con uno schiocco. "Le potenzialità. Il diavolo, rovesciato." aggrottò la fronte: non esisteva carta più negativa nel mazzo, soprattutto se rovesciata. Molti dilettanti tendevano a pensare che una brutta carta, se al rovescio, fosse automaticamente positiva. Non era così, non per tutto, non per il diavolo in persona. "Il male puro. Vi sono due interpretazioni per questo arcano in verso contrario: può portare una passione sfrenata, spesso immorale, oppure una situazione di forte pericolo. In ogni caso, ciò che ti suggerisce in questa posizione, e riguardo questo argomento, è che dentro di te risiede la potenzialità per un'attrazione fatale che potrebbe consumarti fino allo strenuo delle forze. E' possibile che tu già conosca la persona in questione, e che abbia giocato un ruolo - attivo o meno - nella rottura del tuo equilibrio anche solo per il semplice fatto di aver incrociato uno sguardo. Devi prestare attenzione a chi ti sta intorno." Alzò lo sguardo, sorridendo sornionamente, mentre lasciava che la suspance strisciasse tra di loro prima di scoprire l'ultima carta, quella che portava sempre con sé il compito più interessante, il carico magico maggiore rispetto a tutte le altre messe insieme. Quella carta, l'avvenire, che dava un senso alla storia. "Il futuro." disse quindi, melliflua, senza distogliere gli occhi da quelli di Edric, mentre voltava lentamente l'ultimo arcano. "Dieci di denari, rovesciato." Questa volta sorrise con aria più divertita, animando il proprio sguardo come se una fiamma vi fosse appena guizzata all'interno. "Interessante in questa posizione. E' la carta dei tarocchi che più di tutte trovo affascinante nel suo gusto agrodolce. Rappresenta un ammonimento: più in alto si sale, maggiore è l’altezza da cui è possibile cadere." Si sciolse in una breve risata prima di ridare uno sguardo complessivo alle carte, come a voler sintetizzare il tutto. "Insomma: le tue attuali sofferenze giungeranno a un termine se sarei disposto a porglielo, scavalcando l'inerzia e la diffidenza. Troverai l'amore, c'è, è previsto, è sarà migliore di ciò che immagini..se il tuo sguardo si rivolgerà dalla parte giusta, altrimenti cadrai vittima delle tue stesse passioni sfrenate, in una relazione ossessiva, tossica." E questo è quanto, sembrò dire il suo sguardo, mentre congiungeva le mani come a indicare la fine della sessione. "Ora, però, ho bisogno di un drink."

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    Il campeggio, in fin dei conti, non era poi così male. Era un po' come trasportare le uscite serali ad Hogsmeade in un contesto estivo e prolungato a tutta la durata delle ventiquattro ore giornaliere. L'alcool non era proibito, e veniva tranquillamente venduto agli studenti degli anni superiori, sebbene venisse strettamente monitorato che nessuno di loro ne prendesse più di un paio di bicchieri. Inutile dire che non erano in pochi ad aggirare la questione, eleggendo un amico sobrio per la serata che fornisse la propria quota a qualcun altro. Non era, tuttavia, il caso di Tallulah ed Edric. "Un Bloody Mary." disse distrattamente al barista, tamburellando le dita sul bancone di legno fino a quando non le venne servito il proprio bicchiere. Rosso, come tutto ciò che la riguardava. Quel colore l'aveva sempre seguita dalla nascita, e nell'ultimo anno sembrava essere diventato l'unica sfumatura ad avvolgere la sua figura. I suoi capelli erano più rossi del fuoco stesso, quasi innaturali nella loro sfumatura profonda; i suoi vestiti, rossi la stragrande maggioranza delle volte; le sue labbra pigmentate della stessa tinta, sbucando prepotenti sulla pelle diafana. Avvicinò il bordo del bicchiere ad esse, sorseggiandone il liquido mentre in silenzio osservava l'amico da sotto le ciglia, come se stesse cercando di decifrarne i pensieri reconditi tra i lineamenti del suo viso. Aveva sempre trovato interessante il profilo di Edric: innocente, ma al contempo pieno di linee dure e spigolose che ne tradivano l'indole instabile. Era una bellezza contrastata, piena di luci ed ombre che non tutti gli occhi potevano apprezzare appieno.
    Una volta staccate le labbra dal vetro del calice, vi passò la lingua attraverso, catturandone i residui di alcool rimasti sulla superficie prima di schioccare la lingua sul palato, puntellando un gomito sul bancone e accavallando comodamente le gambe tra lo spacco del vestito. Inclinò appena il capo, squadrandolo meglio sulla punta di un sorriso enigmatico. "Hai l'espressione di uno straniero in una strana terra." disse semplicemente, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lo sei, Edric. Lo siamo. Viandanti in un territorio che non ci appartiene, non del tutto, con uno scopo che non ci è chiaro. Siamo spaccati. Sorrise, questa volta quasi con una nota in bilico tra il dolce e l'amaro, nascosta lungo la curva delle labbra. "Sei per caso turbato dalle possibilità che il futuro ha in serbo per te?" Lo avrebbe capito. Lei stessa era spaventata da ciò che ogni giorno leggeva tra quelle carte per se stessa: ombra, la possibilità di scacciarla, ma anche quella di non avere la volontà di farlo.


    Edited by nocturnal animal - 29/8/2017, 22:24
     
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    Edric Sanders era un ragazzo sospettoso e diffidente, per natura. Al limite del paranoico, un limite che spesso e volentieri superava a piè pari. Non era né sarebbe mai stato un uomo di fede, quello spettro invisibile che tiene saldi i cuori della gente e permette loro di sopportare le avversità: Edric, nella sua lucida instabilità, sguazzando nel delirio, continuava ad essere più razionale di quanto non ci si aspettasse. Avrebbe quindi considerato i tarocchi come un giochetto di carte qualunque, senza alcun potere divinatorio. Uno specchio per le allodole, un trucco per polli. Ma Tallulah gli aveva dimostrato che l'impossibile, talvolta, può diventare possibile.. e lo aveva fatto nel più tragico e duro dei modi, sulla sua pelle. Non credeva a nessuno ma a lei sì, lei che aveva fatto diventare il purgatorio nella testa di Edric un inferno. Ma è l'inferno la dimora del Diavolo: la strega non aveva fatto altro che fornire una sistemazione migliore ai demoni di Edric. In un'altra vita si sarebbe seduto di fronte a lei, l'avrebbe ascoltata farneticare le sue sciocchezze da fattucchiera e le avrebbe riso in faccia di gusto. In questa vita, però, Edric sarebbe rimasto in un silenzio composto, entrambe le mani posate sul tavolo, gli occhi che passavano ossessivamente da lei alle carte, senza fermarsi. Perché aveva scelto proprio l'amore? Lo odiava, in fondo. Anche il più forte degli uomini, anche il più potente e incrollabile rimane indifeso di fronte alle lusinghe e agli orrori dell'amore, qualcosa di talmente glorioso e invincibile da trascendere la sua stessa apatia. Non lo voleva, ma ne aveva un bisogno disperato. Eppure neanche sapeva cosa fosse, l'amore. L'aveva scelto per gioco, per ridere un po' insieme alla sua compagna di esperimenti, eppure in un remoto angolo del suo essere qualcosa gli diceva di volerne sapere di più, realmente di più. Edric Sanders era un uomo spezzato, ma pur sempre un uomo. In religioso silenzio la osservò quindi disporre le carte in una croce, scoprendole una ad una con fare solenne: tipico di lei, darsi un tono. « La prima carta rappresenta il passato. L'appeso. Il tuo trascorso è simboleggiato da situazioni sfavorevoli a cui hai dovuto sottostare contro il tuo volere. Ma tali situazioni sono temporanee..se vi è una volontà di sacrificio. » Il ragazzo sorrise mesto, quasi rassegnato di fronte all'amara verità che perfino Tallulah conosceva, a prescindere da ciò che dicevano le carte. Aveva descritto quasi tutte le sue relazioni interpersonali ma, allo stesso tempo, tutta la sua vita: sognava ancora con orrore i periodi di isolamento al reparto psichiatrico della clinica Craven, sedato e legato al letto da cinghie di cuoio. « Il presente. Cinque di bastoni. Instabilità, rottura dell'equilibrio. » Un eufemismo, a dir poco. Edric aveva mai avuto un equilibrio da rompere? Non che ricordasse. In amore, poi, ancora meno: era ossessivo, possessivo, un incubo. « Gli ostacoli. L'eremita, rovesciato. Sei il peggior nemico di te stesso. La carta simboleggia l'eccesso di isolamento, troppa riflessione e scarso agire. » Rimase pietrificato a ricambiare il suo sguardo. Lo conosceva a tal punto da saper mettere su un teatrino capace di sfruttare la fiducia che riponeva in lei o realmente le carte le stavano dicendo qualcosa? E non informazioni qualunque. « Le potenzialità. Il diavolo, rovesciato. Il male puro. » Il male puro. Non stentava a crederci, in ogni senso possibile. Sapeva di avere qualcosa dentro di sé, nel cuore e nella mente; qualcosa di profondamente oscuro, qualcosa che lo accompagnava qualunque cosa facesse, ovunque andasse. Gli sussurrava all'orecchio blasfemie terribili, gli consigliava di attuare le peggiori atrocità. In amore, questo veniva amplificato ai massimi termini. Un'attrazione fatale che potrebbe consumarti fino allo strenuo delle forze. Non sapeva come decifrare le parole della strega. « Il futuro. Dieci di denari, rovesciato. Rappresenta un ammonimento: più in alto si sale, maggiore è l’altezza da cui è possibile cadere. » Una consapevolezza che l'aveva sempre accompagnato ma di cui non si era mai guardato, ancor meno nei sentimenti. « Insomma: le tue attuali sofferenze giungeranno a un termine se sarei disposto a porglielo, scavalcando l'inerzia e la diffidenza. Troverai l'amore, c'è, è previsto, è sarà migliore di ciò che immagini..se il tuo sguardo si rivolgerà dalla parte giusta, altrimenti cadrai vittima delle tue stesse passioni sfrenate, in una relazione ossessiva, tossica. » Le parole sulle labbra di Tallulah avevano tutto il sapore di una profezia, che però Edric non sapeva interpretare; semplicemente, non ne aveva gli strumenti. Come poteva uno come lui, che a stento riusciva a sentire qualcosa, discernere l'amore da un'infatuazione o, peggio ancora, da una mera ossessione? Avrebbe dovuto sbattere contro ogni muro, ogni porta, ogni persona che gli facesse sentire qualcosa? Era pericoloso, dannazione. Pericoloso per loro.

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    La seguì senza battere ciglio, muto e chiuso in una bolla di pensieri. Non era semplice decifrare i silenzi di Edric, che rappresentavano la quasi totalità della sua vita: era pensieroso, arrabbiato o semplicemente stanco di pensare? Si potevano contare sulle dita di una mano le persone capaci di capirlo, probabilmente Tallulah Weasley era una di queste. Dopotutto, lei aveva avuto le carte per amplificare quel silenzio, lei sarebbe stata capace di dirimerlo. La affiancò accompagnandola al bar che, per l'occasione, aveva assunto l'aspetto di una taverna. All'ordine dell'amica, Edric tacque, indeciso se accompagnare le proprie medicine ad un po' di alcol potenzialmente dannoso o se fregarsene. Come aveva detto, la rossa? Troppa riflessione e scarso agire. Smise di pensare alle avvertenze di Redfield sul non associare mai alcolici e medicine e, con la scusa di non aver ancora buttato giù le sue benzodiazepine, ordinò una birra rossa. Aveva sempre apprezzato un minimo di coerenza. Seduto con un braccio sul bancone, si perse con lo sguardo nei balli poco lontani. Ma gli occhi di Tallulah lo stavano accarezzando, li sentiva come un tocco sulla pelle. « Hai l'espressione di uno straniero in una strana terra. » Voltò il viso nella sua direzione e le sorrise sghembo, con una punta di freddezza. Dimmi qualcosa che non sappiamo entrambi. Lo era. Lo erano, ma Tallulah era sempre stata molto più brava di lui nel sopportare le stranezze. O probabilmente, fingeva meglio. « Sono io l'alieno o sono loro? » mormorò, tornando ad osservare il fiume umano di ragazze e ragazze, intenti a replicare le particolari danze rinascimentali. Dovevano essersi impegnati molto per studiare le usanze dell'epoca: perché spendere così tante energie in qualcosa di così effimero e inutile? Non era solo divertimento. Un più profondo sentimento di inclusione? Tallulah gliel'aveva detto, peccava fin troppo di solitudine. Non avrebbe mai potuto capire. « Sei per caso turbato dalle possibilità che il futuro ha in serbo per te? » Sarebbe stato plausibile, specie dopo tutti gli spunti di riflessione che l'amica gli aveva dato. Buttò giù un generoso sorso di birra. « Mi turba non esserne turbato.. ha senso? » Non era necessario ne avesse. Raramente il senso aveva avuto importanza. Lasciò perdere le danze e si voltò completamente verso Tallulah, tenendo il grande boccale sul grembo. Con la coda dell'occhio aspettò che il barista si facesse da parte, odiava dover condividere troppo con troppa gente e se anche i baristi sono i preti confessori del nuovo millennio, neanche a loro avrebbe aperto uno spiraglio di sé stesso. « Ci credi davvero, alle cose che mi hai detto, o erano cazzate? Puoi dirmelo. » Non che fosse un credulone, non che avesse preso per oro colato le sentenze divinatorie della strega. In un certo senso, gli interessava l'opinione personale che Tallulah aveva di quell'esperienza. « Credo poco all'amore, ma forse vorrei. Vorrei credere a tante cose che non esistono. Allo stesso tempo, ho iniziato a credere a cose che non credevo esistessero. » Grazie a te. « A volte ci penso. Vorrei provarlo.. così, per curiosità, per sapere che si sente. » Ne parlava come fosse un oggetto, la nuova droga diventata moda del momento. Un tiro e giù per terra, sballato da star male. Era così l'amore? Uno schifo in circolo, creato per far male con l'illusione di far bene? Scrutò il proprio riflesso nel fondo del bicchiere, per poi rialzare gli occhi cerulei verso lei. « Altre volte, vorrei solo prender tutti con la forza e.. far tacere le voci. » La verità di Edric stava nel mezzo, a metà tra il corpo e l'anima, tra la violenza e il sentimento. Sapeva che avrebbe fatto del male a qualcuno se gli si fosse avvicinato e molte parti di sé lo desideravano ardentemente. Tallulah non l'avrebbe giudicato. Tallulah avrebbe capito.


    Edited by Soffio di Fiamme Danzanti - 11/8/2017, 22:26
     
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    "Sono io l'alieno o sono loro?" Bella domanda. La domanda da un milione di galeoni, quella che chiunque sulla faccia della Terra si è posto almeno una volta nella propria vita. Chi siamo? Perché siamo qui? Da dove veniamo? Tutti grandi interrogativi irrisolvibili, tutti rivolti con lo sguardo al cielo, verso un'entità maggiore che non mostra mai il proprio volto, ne' concede risposta ai propri figli bastardi che si sbranano le carni a vicenda nel breve tempo a loro fornito. Poi c'era quella domanda. Sono io l'alieno o sono loro? E lì le cose si complicavano, perché non era in poteri superiori che si andava a cercare risposta, ma in se stessi e nel prossimo: qualcuno che abbiamo sempre davanti, ma che in ogni caso ci è alieno. Homo homini lupus. Quella era forse la risposta che più si era avvicinata a toccare l'essenza della verità in tutti i millenni di storia umana. O almeno era quella che Tallulah aveva scelto di prendere come buona. Lei, quella piccola ragazzina rossa dai tratti angelici che solo a un fiore dei più delicati sembrava poter essere paragonata. Eppure in lei era germogliato un seme crudele, da cui sgorgavano fitti rampicanti capaci di stritolare chiunque fosse abbastanza temerario da allungare troppo le dita in direzione di quella luce seducente con cui la rossa attirava i suoi spuntini. Era come se oltre gli occhi della Corvonero si annidasse una forma di conoscenza ultima, un tassello che sembrava sempre essere quello mancante al suo interlocutore, tanto da insidiarlo a cercare di estrarne sempre di più; in una sola maniera andava a finire, di solito: con l'annegamento della persona in questione all'interno di quel mare profondo. Come il canto di una sirena: bello, invitante, ma profondamente distruttivo. Quella verità che si nascondeva lì sotto, forse sedimentata nel subconscio della rossa, rimaneva muta, proprio come l'entità superiore a cui rivolgiamo le nostre rimostranze. Qualcuno disse un tempo che ogni uomo ha dentro di sé un tassello di divinità, e quello che aveva Tallulah era di certo il tassello che ne racchiudeva il sadismo.
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    "Mi turba non esserne turbato.. ha senso?" non fece altro che annuire, stirando le labbra carminio in un lieve sorriso, prima di avvicinarle nuovamente al bordo del bicchiere e risucchiarne un sorso composto. "Ci credi davvero, alle cose che mi hai detto, o erano cazzate? Puoi dirmelo. Credo poco all'amore, ma forse vorrei. Vorrei credere a tante cose che non esistono. Allo stesso tempo, ho iniziato a credere a cose che non credevo esistessero. A volte ci penso. Vorrei provarlo.. così, per curiosità, per sapere che si sente. Altre volte, vorrei solo prender tutti con la forza e.. far tacere le voci." Il sorriso della Corvonero si tramutò in un'espressione più docile, come quella di una madre che ascolta i turbamenti del proprio bambino, interiorizzandoli, facendoli propri e al tempo stesso cercando di essergli da guida. Sotto una determinata luce, Tallulah era così che vedeva Edric e Artie, come creature a cui aveva dato vita. O meglio: aveva dato vita a una parte di loro, più turbolenta, più animalesca, più instabile. Era come se si sentisse in dovere di tendere loro una mano e guidarli nelle terre pericolose in cui si erano avventurati. Amici, amanti, figli: racchiudevano in sé tutte e tre quelle definizioni, tanto da rendere incomprensibile a chiunque altro il loro strano legame. 'Oh, Edric' parevano dire i suoi occhi, simili alle parole di una madre che guarda il proprio bambino attraversare un momento difficile, senza tuttavia porsi mai al di sopra di lui o sottovalutarlo. "Io credo che siamo dei passeggeri, in questo mondo." disse, criptica come al suo solito, dopo lunghi istanti di silenzio. "E credo anche che quello in cui viviamo, quello che i nostri sensi percepiscono, non sia che un frammento di realtà." Bevve un altro sorso di Bloody Mary, fissando l'amico da sotto le ciglia, appena sopra il bordo del bicchiere, solo per poi scostarne le labbra e giocare con il contenitore di vetro, facendovi roteare il ghiaccio all'interno in un movimento ipnotico. "Sai cosa ha fatto scrivere Keats sulla propria lapide?" chiese quindi, mantenendo lo sguardo sui movimenti del ghiaccio "Qui giace uno il cui nome è stato scritto nell'acqua." Sorrise tra sé e sé, spostando lentamente le iridi in quelle di Edric e alzando un sopracciglio con aria eloquente. "La sua filosofia era che questa realtà fosse un valle forgiatrice di anime, in cui esse vengono addestrate in un mondo di dolori e ostacoli." Non poi così difficile da credere, insomma. "Personalmente mi trovo d'accordo. E penso che ci sia molto altro a noi ancora nascosto..un altrove, o più di uno, intrecciato alla realtà in cui ci troviamo, e con cui alcuni individui in determinate circostanze possono comunicare." Sciorinò quelle parole come se stesse parlando della calura estiva in quell'isoletta del sud su cui si trovavano a passare l'estate, solo per poi stringersi nelle spalle e buttare giù ciò che rimaneva del drink, sorridendo ad Edric una volta esaurito il liquido. "Passato, presente, futuro..cosa sono se non semplici convenzioni nate per calzare la ristrettezza della comprensione umana? Mentre parlo le mie parole sono già passato e al contempo presente, e quelle che so di starti per dire sono futuro in procinto di avvenire. Se posso pensarlo, perché non posso credere che ciò possa estendersi anche ad altro?" Alzò un sopracciglio, in perfetta sincronia con la spalla del suo stesso lato, come ha dire 'vedila sotto questa ottica'. Solo a quel punto il suo sorriso divenne più dolce, tornando ancora una volta a tratti quasi materni nell'affiancarsi al modo in cui le dita di Tallulah sfiorarono lievemente quelle dell'amico, come in un gesto rassicurante. "Dopo tutto ciò che hai visto, ti risulta davvero così difficile da credere? A tutto, intendo. In questo mondo siamo destinati a morire, e lo sappiamo già: forse la fede in qualcosa sarà solo un mezzo come un altro per sentirci meno inutili nel cammino, o forse è l'unico modo per capire che in fin dei conti, le risposte alle domande che cerchiamo non risiedo in questa realtà, o in questo momento." pausa "Noi, Edric, vediamo cose che gli altri non reputano che follie. Saremo sempre degli alieni. Ma non lasciartelo portare via..o vuoi che il tuo nome sia solo uno dei tanti scritti nell'acqua?"


    Edited by nocturnal animal - 29/8/2017, 22:27
     
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    - Ho un nuovo amico
    - Vero o immaginario?
    - Immaginario


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    Tallulah era criptica sapendo di essere criptica, e lo adorava. Le era sempre piaciuto circondarsi di mistero e non dire mai a nessuno ciò che sapeva, mai completamente. Questo l'aveva resa negli anni l'amica perfetta, la confidente per eccellenza, sebbene perfino a lei che più di tutti poteva essere considerata una vera amica Edric non si sarebbe mai sentito a suo agio ad aprirsi completamente. Sciocchezze, poi: lei sola conosceva la portata della croce che Edric portava, eppure una parte di sé aveva paura di sguinzagliare ciò che aveva dentro. C'era una cosa che Artemisia Sanders gli ripeteva ogni volta che battibeccavano: "Sei cattivo, lo sei sempre stato. Sei marcio." Non come Audrey, un faro nella notte. No, Edric non era nato per illuminare il mondo intorno a sé. Era questa parte di sé, innata e buia, a spaventarlo. Il suo Passeggero esisteva da ben prima che Tallulah giocasse con forze più grandi di lei ed era il più terribile dei demoni: l'umana natura nella sua veste più sporca e oscura. La Corvonero non aveva fatto altro che renderlo ancora più contorto e reale. Se si fosse completamente aperto a lei, mettendola faccia a faccia con la verità, temeva che avrebbe potuto farle male e non nel piacevole senso che entrambi avevano sperimentato. Male puro, quello che lascia il segno per sempre.

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    « Ok, erano cazzate. » sentenziò Edric, rivolgendo alla ragazza un sorriso lungo e affilato. Malizioso nella sua semplicità. Stava scherzando, ma a onor del vero non era mai stato bravo con gli scherzi né aveva mai dimostrato di avere senso dell'umorismo: serve sensibilità per quelle cose, serve comprensione degli altri per farli ridere e Edric non aveva la più pallida idea di come si facesse. Talvolta quando la sua mente si legava a quella altrui gli era più semplice, percepiva il loro divertimento e continuava su quella strada. Freddo, asettico, meccanico. « E poi sarei io il pazzo. » Quel lato di sé Tallulah lo conosceva bene. Nel corso degli anni, non erano state rare le volte in cui Edric Sanders era misteriosamente sparito per poi ritornare come se nulla fosse e nessuno si era mai fatto troppe domande. Sarà stato male, forse: non c'era quella brutta epidemia di Spruzzolosi nello Yorkshire? Macché, sicuramente l'avranno rinchiuso ad Azkaban e buttato via la chiave, finalmente! E' fuori di testa quello. E lo era veramente. Ciclicamente, il suo disturbo psicotico rompeva le briglie dei farmaci che puntualmente iniziavano a funzionare meno o male o a non venir assunti affatto, in un eccesso di ribellione adolescenziale, e il cerchio si chiudeva là dove si era aperto: le voci tornavano, l'agitazione aumentava, Edric faceva qualcosa che non avrebbe mai dovuto fare e la ben poca pazienza di Artemisia Sanders faceva il resto: via, chiuso nell'ala psichiatrica della clinica privata Craven, fino a che la terapia non fosse stata ricalibrata. Fino a che le voci non fossero cessate di nuovo. Tallulah aveva scoperto questa realtà, perché ben poche cose al vaglio della sua attenzione potevano rimanere segrete tanto a lungo, e accadde qualcosa di miracoloso: non scappò. Quella fu solo la prima delle tante meraviglie che Tallulah Weasley gli avrebbe mostrato: no, grazie a lei non faticava più a credere niente. Il limite era solo la carenza di immaginazione. « Noi, Edric, vediamo cose che gli altri non reputano che follie. Saremo sempre degli alieni. Ma non lasciartelo portare via..o vuoi che il tuo nome sia solo uno dei tanti scritti nell'acqua? » Alzò le spalle. Lo voleva? Era difficile capire cosa realmente volesse Edric. Era probabilmente il serpeverde meno ambizioso che la casata avesse visto da secoli, smistato nei sotterranei solo per il nero che il Cappello Parlante aveva visto in lui. Discriminatorio, ma vero. « Quale sarebbe l'alternativa, scriverlo nella pietra? Non mi interessa diventare immortale. Probabilmente non farò mai nulla per cui essere ricordato.. » ..se non cose spregevoli. Lo sapevano entrambi. Ma se mai avesse dovuto scrivere il proprio nome da qualche parte, l'avrebbe inciso nel fuoco per ardere e scacciare, almeno nell'atto finale, le ombre. O alimentarle, perché laddove vi è la luce più grande ci sono le tenebre più profonde. Era stata proprio Tallulah a dirglielo, tanto tempo prima, cercando di convincerlo che i suoi giochetti non fossero perversi come il resto delle persone avrebbe potuto pensare. Ma loro erano alieni, Edric non aveva bisogno di spiegazioni. Le dita della rossa toccarono le sue e Edric le strinse appena, fissandole. Morbide al tatto, caldissime. Quand'era la prima volta che le aveva toccate? « Credo.. » ma le parole si bloccarono sulle sue labbra, come se avesse ancora bisogno di qualche secondo per rifletterci su. Ancora un poco. « ..sì, credo che la cosa più vicina all'amore che ho sei tu. » Non c'era romanticismo in quelle parole, non c'era il benché minimo trasporto in un senso che potesse davvero portare all'amore. Era una mera constatazione, che certo non era scevra da sentimenti. Ne provava anche Edric talvolta senza dover ricorrere alle proprie facoltà, in un modo abbozzato. Aborti di emozione. Non aveva bisogno di cercare altrove per capire, con fredda lucidità, di essere legato a Tallulah. Sentiva distintamente la vicinanza, un'affinità d'animo e di spirito. Non era quello, forse, l'amore? Da quando poi erano divenuti ciò che erano, perfino le barriere fisiche erano state infrante. Ricordava distintamente l'inizio di tutto: l'esperimento di Tallulah aveva spezzato l'equilibrio precario di Edric, facendolo scivolare in una fase di scompenso che richiese il ricovero forzato. Era più agitato delle altre volte, più sensibile agli stimoli e stranamente, esageratamente, continuamente eccitato. Capitava a diversi pazienti nelle sue condizioni, motivo per cui il dottor Renfield non si era preoccupato più del dovuto. Perché avrebbe dovuto? Immaginare la verità sarebbe stato impossibile e Edric avrebbe tenuto per sé, sino alla tomba, ciò che era accaduto. Così fu e quando la ragazza andò a visitarlo nella lunga degenza in psichiatria, nella follia del luogo e del momento, si trovarono. Fu l'inizio di tutto. Sollevò la mano della rossa, portandola alle labbra per posarvi un bacio e, sulla pelle, soffocare una risata. « Ho conosciuto Artie. » disse infine, dal nulla, come un fulmine a ciel sereno. Sprofondò negli occhi di Tallulah e attese qualche secondo in silenzio. « Volevi nascondermelo? » Era serio, ma non del tutto. Era geloso? Un po', solo un po'. Avrebbe probabilmente dato di matto, se quell'Arthur non gli fosse piaciuto così disperatamente. Lui sapeva che lei sapeva dei legami reciproci che avevano, eppure erano stati sempre separati. Gemelli lontani. Edric era possessivo oltre la razionale comprensione ma con Artie sarebbe stato diverso. Tallulah aveva abbastanza amore per entrambi.
     
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