This is not a bluff

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    La notizia non gli era arrivata inaspettatamente. L'esistenza di quel campo ne era la prova. Hogwarts aveva bisogno di ingenti ristrutturazioni, gli animi dei suoi studenti andavano rassicurati, pur continuando a tenerli in uni stato di semiprigionia e tutti quanti, lui per primo, avevano bisogno di una piccola vacanza da qualunque cosa stesse succedendo lì fuori. Pur vivendo lì, a stretto contatto con tutti loro, Edmund Kingsley aveva evitato qualunque contatto con i giovani, lasciando loro l'autonomia di passare la maggior parte delle giornate come meglio credessero. Sotto la lontana sorveglianza dell'Inquisizione, le loro sarebbero state quanto meno in parte vacanze serene e trascorse all'insegna dello svago. Poco gli importavano le proteste di alcuni nell'insistere di vedere le proprie famiglie, manifestando il desiderio di tornare a casa; poco gli importava che alcuni avevano ben pensato di usare una scorciatoia nel tornare comunque a casa. Quell'attacco non l'aveva previsto e pur avendo ferito il suo previdente orgoglio, Edmund aveva imparato ben presto a convivere con l'idea che non tutto poteva essere controllato. Certo, non avrebbe lasciato perdere la faccenda, ma al giovane preside piaceva l'idea di colpire quando meno se lo aspettassero. Avrebbe trovato il modo per riscattare il suo orgoglio ferito.. fregato da un paio di stupidi ragazzini viziati; lo avrebbe fatto lentamente e in modo doloroso. In tanto aveva cose più importanti di cui occuparsi, come ad esempio la situazione americana, che un po' per opportunità personale, un po' per amicizie di lunga data e un po' per amore verso la propria causa, gli premevano molto di più. Ogni giorno studiava le piantine della scuola che i migliori architetti appartenenti al loro mondo magico gli mandavano per supervisionare. Edmund, grande amante dell'arte e rispettoso delle opere create prima ancora che lui anche solo sognasse l'idea di mettere piede a Hogwarts, s'impuntava affinché nulla venisse alterato; voleva che la sua Hogwarts non venisse deturpata dal suo carattere. Esigeva che gli affreschi rimasti lì da secoli e secoli rimanessero dove erano, che i particolari colonnati che il castello sfoggiava, non venissero demoliti e che le aule, per quanto necessitassero di un ampliamento, non modificassero nulla di prezioso. Piuttosto avrebbe radoppiato le lezioni, ammassato quei viziatelli uno sopra all'altro, ma di certo non avrebbe distrutto qualcosa che esisteva e sarebbe esistito per molto ancora dopo la loro breve insulsa esistenza.

    Edmund non era una figura paterna. Non nel vero senso della parola. Sapeva di non risultare affatto rassicurante agli occhi dei suoi studenti. Troppo giovane, troppo poco convenzionale, troppo freddo e distaccato e soprattutto troppo indifferente ai loro destini, tutti punti che andavano a sfavore del nuovo Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Ma Edmund era stato scelto proprio per questo motivo, esattamente come a guida di tutti vertici vi erano personalità altrettanto giovani. Erano stati scelti per il loro particolare approccio. Erano stati scelti perché erano in grado di sorreggere il peso della responsabilità con più insolenza. Loro, la nuova generazione della classe dirigente, avevano in pugno con una dose non indifferente di irriverenza un potere che sapevano gestirsi solo in parte, e che pure sapevano gestirsi con molta più dinamicità dei loro predecessori. Quelli come Edmund, pur restando ben attaccati alle proprie poltrone, scendevano in campo in prima persona. Non vivevano in un mondo avulso dalla realtà; sapevano disquisire tanto con i veterani quanto con i più giovani. Erano flessibili, dinamici, pieni di voglia di fare e di brillanti intuizioni. Così, pur non essendo più un ragazzo da molto tempo, Edmund ricordava come erano quei tempi. Poche preoccupazioni, una cosa sola in testa, a prescindere dal grado di ambizione che si avesse, e tanto menefreghismo per il mondo intero. Dare la notizia del suo nuovo triste destino del giovane Faraday, compito infame che era toccato a Edmund, sarebbe stato piuttosto facile, perché tutto sommato lui faceva parte di quella generazione flessibile, che sapeva tanto farsi una grossa risata, quanto uccidere con un'occhiata storta. Aveva chiesto a una delle Reclute dell'Inquisizione di fargli avere il suo messaggio assieme alle chiavi di un fuoristrada, che Edmund personalmente adorava. Non potendo usare la magia ed essendo proibito l'uso delle scope, se non all'interno del Campo di Quidditch che era ben protetto da incantesimi avanzatissimi atti a far sì che nessun furbetto pensasse di scappare, Kingsley aveva pensato che a Jack sarebbe effettivamente piaciuto potersi fare un giretto su un mezzo che doveva risultargli piuttosto famigliare. "Spero che tu abbia imparato a guidare. Nel caso così non fosse, ne hai l'occasione. Segui la mappa allegata alla lettera. Sei aspettato alle 19 in punto nel punto prestabilito. Edmund Kingsley. Nessuna particolare convenzione sociale dettata dal suo ruolo. Quella sera Edmund non sarebbe certamente stato il Preside di Hogwarts. Sarebbe stato persino strano.
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    Quando fu quasi il momento dell'incontro, Edmund scese in quella magnifica veranda che si anteponeva alla bella villa in cui si era stabilito. Una struttura immersa all'interno della foresta, posta su una collinetta in un angolo piuttosto appartato dell'isola. Disposta su due piani, conteneva abbastanza stanze e comodità da poter da sola rendere il campo estivo una specie di oasi. Gli studenti non godevano di comodità da meno; spazi sicuramente più ridotti dei suoi, ma tutto sommato, quei mocciosi avevano un'isola intera a disposizione, mentre lui dal canto suo, restava rintanato in quel suo ettaro privato, immerso nella propria biblioteca, oziando a bordo della sua piscia personale eccetera eccetera. « Ah eccoti finalmente. » Disse richiudendo l'antico libro di Alchimia che aveva iniziato a sfogliare in attesa che il suo pupillo arrivasse. Lavorare sulla puntualità sarebbe stato uno dei vari punti in programma. Faraday Senior era un padre di merda; Edmund gliel'aveva sempre detto. Non c'era poi molte convenzioni durante le loro conversazioni informali. Di Jack non aveva sentito molto; il padre ne parlava a tratti con una punta di delusione, a tratti con una luce di speranza mal nutrita negli occhi. « Andiamo di là. Ho fatto scaldare la brace per mettere su un paio di hamburger. » Niente ragazzini arrostiti stasera. « Ti piacciono vero? » Gli chiede quindi con una voce rilassata, quasi menefreghista mentre lo invita ad attraversare il grande salone di un bianco abbagliante, arredato in stile classico, oltrepassando la porta finestra che da sul giardino interno. Si apre di fronte a loro uno spazio con una piscina dall'acqua cristallina, da una parte un grande tavolo di cristallo con annesso la griglia, qualche sdraio più in là e ancora oltre la piscina un'immensa distesa di alberi. Si appresta a tirare fuori il plateau di carne rossa dal frigo presente accanto alla griglia, facendo cenno al biondino di fare un pensierino su quanto rimasto disposto sul tavolo. Pane, pomodoro, insalata e salse. « Ci pensi tu a quelli? » E senza aspettare una risposta, Edmund si appresta a iniziare a meticolosa cottura a prova d'artista del famigerato piatto americano. Eh si, anche i Presidi indossano maglioncini hipster e jeans, e mangiano hamburger. « Allora dimmi Jack, che cosa ne pensate tu e i tuoi compagni di questo posto? » Un tentativo come un altro di iniziare a far parlare il ragazzo, mentre gli allunga una birra, portando la propria alle labbra. No, non gliene frega un cazzo di cosa pensano. E oddio! Ha pensato cazzo!

     
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    Non era stato facile, davvero non lo era stato per niente. Mischiarsi a quei mocciosetti con gli ormoni a briglia sciolta era probabilmente stata una delle cose più difficili che il minore dei Darkwood avesse dovuto fare in tutta la sua vita. Una macchinazione bella contorta, quella che si era tenuta per riportare il giovane Faraday in patria sotto richiesta specifica della madre - una madre che, da quanto Ray aveva potuto capire, era più interessata al ruolo politico che il figlio poteva rivestire per ricattare il padre che altro. La donna era giunta al limitare di Darkwood a primavera inoltrata, chiedendo al vampiro un immenso favore: trovare il modo di riportare Jack a casa senza che nessuno se ne accorgesse. Ma chiaramente, ogni benevolenza che il moro concedeva arrivava con la richiesta di qualcosa in cambio. Vi era un accordo, infatti, tra Faraday senior e il giovane preside di Hogwarts, e quell'accordo consisteva nel portare i ragazzi di Ilvermorny ad Hogwarts nel caso in cui sarebbe stato necessario. La struttura della scuola magica americana sarebbe dunque stata abbandonata, e con essa tutti i secoli di storia che racchiudeva al suo interno; solo una cosa, dunque, chiedeva in cambio Raynard: che ogni oggetto recuperato da quel luogo andasse dritto a Darkwood senza passare sotto il radar di altre istituzioni. Fortuna aveva voluto che a distanza di poco si tenessero ben due attentati: uno a Ilvermorny (il che aveva reso decisamente più facile giustificare la scomparsa dei suoi tesori, dandoli per distrutti) e uno a King's Cross (a cui qualche vampiro solitario al di fuori di Darkwood potrebbe forse aver contribuito, ma di cui chiaramente Raynard 'non sapeva nulla'). La confusione generale di quest'ultimo aveva favorito la fuoriuscita di molti studenti, e tra questi proprio il buon vecchio Jack Faraday, che era stato imbavagliato, preso di peso, messo su un aereo e riportato in patria..non prima di avergli però strappato qualche capello. Il suo posto era stato preso da Ray sotto incanto della polisucco, e da quel momento aveva dovuto barcamenarsi tra ogni tipo di scusa pur di non esporsi alla diretta luce del sole in quei giorni di campeggio. Tuttavia, a parte ciò, nessuno sembrava essersi reso conto dello scambio, sebbene spesso e volentieri avesse dovuto fingere ubriacature inesistenti pur di coprire la sua ignoranza in materia di determinati argomenti (quali, ad esempio, il gossip spicciolo di Hogwarts, di cui l'originale Jack Faraday sembrava invece dover essere un grande intenditore).
    Era quasi ora di cena, e il sole stava lentamente cominciando a calare lungo la linea dell'orizzonte quando due colpi alla porta interruppero la sua pausa di lettura, portandolo ad avvicinarsi all'uscio. "Sei richiesto da Edmund Kingsley." erano state le secche parole dell'inquisitore che, prontamente, gli aveva messo in mano una chiave e un pezzo di carta. "Spero che tu abbia imparato a guidare. Nel caso così non fosse, ne hai l'occasione. Segui la mappa allegata alla lettera. Sei aspettato alle 19 in punto nel punto prestabilito. Edmund Kingsley." Da bravo premio oscar per la faccia da culo qual'era, Ray improvvisò la lenta caduta della mascella, sgranando gli occhi prima di seguire assentemente l'uomo verso il punto in cui una lucente macchina sportiva era stata parcheggiata. "Ehm..grazie?" disse solo, titubante, prima di mettersi comodo e far partire il rombo del motore. Ah, dovrebbe essere bello nascere come ragazzini viziati.
    [...]
    "Ah eccoti finalmente." "Buonasera signor Kingsley." "Andiamo di là. Ho fatto scaldare la brace per mettere su un paio di hamburger. Ti piacciono vero?" Sorrise, incerto come lo sarebbe un ragazzino di diciannove anni di fronte alla massima autorità che può concepire nel suo ristretto orticello. Il tutto per poi annuire con aria timida. "Certo. Per me al sangue." Ba-dum pssst. E fatta la battuta, seguì il preside verso il punto in cui aveva disposto l'occorrente per quel piccolo banchetto personale. Carne rossa, ancora cruda, tanto da fargli venire l'acquolina in bocca; non che Ray se ne facesse nulla, essendo comunque un alimento morto, ma le sue papille gustative potevano ancora percepire il sangue che un tempo aveva inzuppato quelle membra. "Ci pensi tu a quelli?" Si riscosse dai propri pensieri languidi nel giro di pochi secondi, spostando lo sguardo su pane e verdure poste sul tavolo lì accanto. Decisamente meno invitante. Stirò dunque un sorriso, annuendo mentre cominciava a darsi da fare con gli elementi a lui indicati. "Allora dimmi Jack, che cosa ne pensate tu e i tuoi compagni di questo posto?" Si strinse appena nelle spalle, impegnandosi ad affettare il pomodoro e disporre le salse sui panini. "Del posto, nulla. O meglio: va alla grande. Ci stanno un sacco di cose da fare, abbiamo modo di vederci ogni giorno senza dover attraversare tutto il paese, e di sicuro non dobbiamo preoccuparci di un possibile attentato." Cazzo, questo posto sta più in culo al mondo di Darkwood! Si interruppe, sebbene il suo tono di voce lasciasse intendere un evidente 'però'. "Tuttavia, e questo lei lo saprà meglio di me sicuramente, le persone sono creature delicate, sensibili anche alla più piccola delle comodità che gli viene sottratta. Non importa quante altre gliene vengano date in cambio, i loro programmi sono comunque stati scombinati, e l'uomo sa essere un animale terribilmente inflessibile a riguardo. I ragazzi, poi, oltre che inflessibili sono anche capricciosi." Sorrise, senza tuttavia alzare lo sguardo dal pomodoro che stava tagliuzzando. Edmund Kingsley era un uomo intelligente - o almeno questo era ciò che sembrava - e di sicuro non gli sarebbe sfuggito quanto quel discorso stonasse con il quadro di realismo che stavano dipingendo. Non erano parole che si confacevano a un ragazzo di diciannove anni, soprattutto non a uno come Jack Faraday. Lasciavano intravedere troppa meticolosità, e soprattutto anche troppa sfrontatezza nei confronti dell'autorità che Kingsley doveva incarnare ai suoi occhi. Una volta completato il lavoro ripose il coltello, appoggiando un palmo della mano al tavolo per voltarsi a guardare meglio in volto l'uomo. "Comunque devo ammettere di essere un discreto fan delle sue idee. Solo una cosa, a mio parere, ho trovato di cattivo gusto, ed è la presenza dell'Inquisizione: la trovo un po' soffocante, senza contare che la maggior parte dei presi in causa sembrano non possedere la lungimiranza necessaria a capire che i loro modi scontrosi non fanno altro che avvalorare la tesi di chi si sente prigioniero." Storse le labbra, arricciando il naso "Stonano incredibilmente con l'ambiente." Ridacchiò tra sé e sé, scuotendo appena la testa prima di prendere un lungo sospiro.
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    "Va bene, la faccio finita: questo teatrino mi ha già stufato e l'accento americano non è nelle mie corde." Detto ciò, tuffò una mano nella tasca dei pantaloni, estraendone una fiala che andò a stappare e buttare giù tutta di un fiato. Lentamente i suoi arti cominciarono ad allungarsi, riportandogli la sua solita statura e conformazione ossea; i capelli si tinsero di nero, lisciandosi nel taglio sbarazzino a cui era solito, e con essi anche le iridi andarono a iniettarsi del colore scuro che pian piano scacciò il ceruleo degli occhi di Faraday. Nel giro di pochi istanti, il vero Ray se ne stava lì in piedi, di fronte a Kingsley, a sorridere con aria sorniona. Come in segno di discolpa, le sue mani affusolate si alzarono verso l'alto, avanzate ad evitare fraintendimenti. "Vengo in pace, lo giuro. Il giovane Faraday sta benissimo, lontano da qui, con persone che gli vogliono bene. Nessuno studente è stato ferito in alcun modo e nessuna regola del campus è stata infranta." fece una pausa, puntando gli occhi in quelli di Kingsley "Sono venuto solo a parlare, per conto della comunità di Darkwood. Sono Raynard Darkwood, e ho come l'impressione che i numerosi gufi che le ho mandato durante l'anno riguardo il rinnovo degli accordi tra le nostre posizioni non le siano pervenuti." E si sa: se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.
     
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