Non era stato facile, davvero non lo era stato per niente. Mischiarsi a quei mocciosetti con gli ormoni a briglia sciolta era probabilmente stata una delle cose più difficili che il minore dei Darkwood avesse dovuto fare in tutta la sua vita. Una macchinazione bella contorta, quella che si era tenuta per riportare il giovane Faraday in patria sotto richiesta specifica della madre - una madre che, da quanto Ray aveva potuto capire, era più interessata al ruolo politico che il figlio poteva rivestire per ricattare il padre che altro. La donna era giunta al limitare di Darkwood a primavera inoltrata, chiedendo al vampiro un immenso favore: trovare il modo di riportare Jack a casa senza che nessuno se ne accorgesse. Ma chiaramente, ogni benevolenza che il moro concedeva arrivava con la richiesta di qualcosa in cambio. Vi era un accordo, infatti, tra Faraday senior e il giovane preside di Hogwarts, e quell'accordo consisteva nel portare i ragazzi di Ilvermorny ad Hogwarts nel caso in cui sarebbe stato necessario. La struttura della scuola magica americana sarebbe dunque stata abbandonata, e con essa tutti i secoli di storia che racchiudeva al suo interno; solo una cosa, dunque, chiedeva in cambio Raynard: che ogni oggetto recuperato da quel luogo andasse dritto a Darkwood senza passare sotto il radar di altre istituzioni.
Fortuna aveva voluto che a distanza di poco si tenessero ben due attentati: uno a Ilvermorny (il che aveva reso decisamente più facile giustificare la scomparsa dei suoi tesori, dandoli per distrutti) e uno a King's Cross (a cui qualche vampiro solitario al di fuori di Darkwood potrebbe forse aver contribuito, ma di cui chiaramente Raynard
'non sapeva nulla'). La confusione generale di quest'ultimo aveva favorito la fuoriuscita di molti studenti, e tra questi proprio il buon vecchio Jack Faraday, che era stato imbavagliato, preso di peso, messo su un aereo e riportato in patria..non prima di avergli però strappato qualche capello. Il suo posto era stato preso da Ray sotto incanto della polisucco, e da quel momento aveva dovuto barcamenarsi tra ogni tipo di scusa pur di non esporsi alla diretta luce del sole in quei giorni di campeggio. Tuttavia, a parte ciò, nessuno sembrava essersi reso conto dello scambio, sebbene spesso e volentieri avesse dovuto fingere ubriacature inesistenti pur di coprire la sua ignoranza in materia di determinati argomenti (quali, ad esempio, il gossip spicciolo di Hogwarts, di cui l'originale Jack Faraday sembrava invece dover essere un grande intenditore).
Era quasi ora di cena, e il sole stava lentamente cominciando a calare lungo la linea dell'orizzonte quando due colpi alla porta interruppero la sua pausa di lettura, portandolo ad avvicinarsi all'uscio.
"Sei richiesto da Edmund Kingsley." erano state le secche parole dell'inquisitore che, prontamente, gli aveva messo in mano una chiave e un pezzo di carta.
"Spero che tu abbia imparato a guidare. Nel caso così non fosse, ne hai l'occasione. Segui la mappa allegata alla lettera. Sei aspettato alle 19 in punto nel punto prestabilito. Edmund Kingsley." Da bravo premio oscar per la faccia da culo qual'era, Ray improvvisò la lenta caduta della mascella, sgranando gli occhi prima di seguire assentemente l'uomo verso il punto in cui una lucente macchina sportiva era stata parcheggiata.
"Ehm..grazie?" disse solo, titubante, prima di mettersi comodo e far partire il rombo del motore.
Ah, dovrebbe essere bello nascere come ragazzini viziati.[...]
"Ah eccoti finalmente." "Buonasera signor Kingsley." "Andiamo di là. Ho fatto scaldare la brace per mettere su un paio di hamburger. Ti piacciono vero?" Sorrise, incerto come lo sarebbe un ragazzino di diciannove anni di fronte alla massima autorità che può concepire nel suo ristretto orticello. Il tutto per poi annuire con aria timida.
"Certo. Per me al sangue." Ba-dum pssst. E fatta la battuta, seguì il preside verso il punto in cui aveva disposto l'occorrente per quel piccolo banchetto personale. Carne rossa, ancora cruda, tanto da fargli venire l'acquolina in bocca; non che Ray se ne facesse nulla, essendo comunque un alimento morto, ma le sue papille gustative potevano ancora percepire il sangue che un tempo aveva inzuppato quelle membra.
"Ci pensi tu a quelli?" Si riscosse dai propri pensieri languidi nel giro di pochi secondi, spostando lo sguardo su pane e verdure poste sul tavolo lì accanto. Decisamente meno invitante. Stirò dunque un sorriso, annuendo mentre cominciava a darsi da fare con gli elementi a lui indicati.
"Allora dimmi Jack, che cosa ne pensate tu e i tuoi compagni di questo posto?" Si strinse appena nelle spalle, impegnandosi ad affettare il pomodoro e disporre le salse sui panini.
"Del posto, nulla. O meglio: va alla grande. Ci stanno un sacco di cose da fare, abbiamo modo di vederci ogni giorno senza dover attraversare tutto il paese, e di sicuro non dobbiamo preoccuparci di un possibile attentato." Cazzo, questo posto sta più in culo al mondo di Darkwood! Si interruppe, sebbene il suo tono di voce lasciasse intendere un evidente
'però'.
"Tuttavia, e questo lei lo saprà meglio di me sicuramente, le persone sono creature delicate, sensibili anche alla più piccola delle comodità che gli viene sottratta. Non importa quante altre gliene vengano date in cambio, i loro programmi sono comunque stati scombinati, e l'uomo sa essere un animale terribilmente inflessibile a riguardo. I ragazzi, poi, oltre che inflessibili sono anche capricciosi." Sorrise, senza tuttavia alzare lo sguardo dal pomodoro che stava tagliuzzando. Edmund Kingsley era un uomo intelligente - o almeno questo era ciò che sembrava - e di sicuro non gli sarebbe sfuggito quanto quel discorso stonasse con il quadro di realismo che stavano dipingendo. Non erano parole che si confacevano a un ragazzo di diciannove anni, soprattutto non a uno come Jack Faraday. Lasciavano intravedere troppa meticolosità, e soprattutto anche troppa sfrontatezza nei confronti dell'autorità che Kingsley doveva incarnare ai suoi occhi. Una volta completato il lavoro ripose il coltello, appoggiando un palmo della mano al tavolo per voltarsi a guardare meglio in volto l'uomo.
"Comunque devo ammettere di essere un discreto fan delle sue idee. Solo una cosa, a mio parere, ho trovato di cattivo gusto, ed è la presenza dell'Inquisizione: la trovo un po' soffocante, senza contare che la maggior parte dei presi in causa sembrano non possedere la lungimiranza necessaria a capire che i loro modi scontrosi non fanno altro che avvalorare la tesi di chi si sente prigioniero." Storse le labbra, arricciando il naso
"Stonano incredibilmente con l'ambiente." Ridacchiò tra sé e sé, scuotendo appena la testa prima di prendere un lungo sospiro.
"Va bene, la faccio finita: questo teatrino mi ha già stufato e l'accento americano non è nelle mie corde." Detto ciò, tuffò una mano nella tasca dei pantaloni, estraendone una fiala che andò a stappare e buttare giù tutta di un fiato. Lentamente i suoi arti cominciarono ad allungarsi, riportandogli la sua solita statura e conformazione ossea; i capelli si tinsero di nero, lisciandosi nel taglio sbarazzino a cui era solito, e con essi anche le iridi andarono a iniettarsi del colore scuro che pian piano scacciò il ceruleo degli occhi di Faraday. Nel giro di pochi istanti, il vero Ray se ne stava lì in piedi, di fronte a Kingsley, a sorridere con aria sorniona. Come in segno di discolpa, le sue mani affusolate si alzarono verso l'alto, avanzate ad evitare fraintendimenti.
"Vengo in pace, lo giuro. Il giovane Faraday sta benissimo, lontano da qui, con persone che gli vogliono bene. Nessuno studente è stato ferito in alcun modo e nessuna regola del campus è stata infranta." fece una pausa, puntando gli occhi in quelli di Kingsley
"Sono venuto solo a parlare, per conto della comunità di Darkwood. Sono Raynard Darkwood, e ho come l'impressione che i numerosi gufi che le ho mandato durante l'anno riguardo il rinnovo degli accordi tra le nostre posizioni non le siano pervenuti." E si sa: se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.