I can't let you go

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Maghi Adulti
    Posts
    1,256
    Reputation
    +491
    Location
    Wonderland

    Status
    Waiting!
    Sai, a dire la verità ho preso tante decisioni nell'ultimo periodo. La maggior parte di queste sbagliate. Come non seguirti quando te ne sei andato, per esempio. Ma non importa, quel che è fatto è fatto. Se non puoi odiarmi, cosa provi per me, adesso? Dimmi soltanto questo, che non provi nulla. Poi ti lascerò in pace, promesso. « Scommetto che dopo questa te ne sei andato. » Fitzwilliam si stringe nelle spalle prendendo un altro pezzo di cioccolato fondente dalla confezione, ben consapevole che persino quello era un punto su cui chiunque l'avrebbe invidiato. Quel fottutissimo metabolismo messo appunto in maniera quasi chirurgica, in grado di bruciare e metabolizzare alla velocità della luce persino i pranzi di Natale, figuriamoci una tavoletta di cioccolato fondente. Fitziwilliam era all'apparenza la personificazione della perfezione. Mai un comportamento errato, mai un voto basso, mai una parola di troppo. Poi c'erano quelle persone, come Arthuir, che lo rendevano il più grande pezzo di merda che abbia messo piede su questo pianeta. « Ovvio che me ne sono andato. » « Ma PERCHE'! E' ovvio che non ti sta indifferente. » I ragionamenti claustrofobici di Fitziwilliam è meglio non chiederli, è meglio non comprenderli. Affacciarsi su quel mondo è volersi male. « Per come la vedo io abbiamo avuto la nostra occasione. Non è andata. » Comincia quindi pronto a gettarsi in una di quelle orazioni ciceroniane da Corvo Maledetto che tanto gli calzano a pennello. « E poi siamo inaffidabili, impulsivi, irresponsabili. Aggiungici pure il fatto che l'ho lasciato con un messaggio.. » « Grandissima testa di cazzo - a proposito! » « Grazie cara, sempre gentile. Comunque.. » E dicendo ciò si prende un altro po' di cioccolato innaffiandolo con quel ottimo Incendiario che hanno rubato con non poche difficoltà dalle cucine. « E' una cosa kamikaze. Lui mi rinfaccerà di essere uno stronzo ogni qual volta s'incazzi, io lo tratterò come un bambino di tre anni - cosa che a proposito è spesso e volentieri quando parte per la tangente. Morale della favola: siamo tossici. » Pausa. « Lui anche letteralmente. » Un'altra pausa tempo in cui sospira e scuote la testa. Non ce la fa nemmeno a vederlo così. E proprio questo dovrebbe portarlo a farsi due domande. Fitzwilliam sfugge; per la prima volta nella sua vita sfugge. Pur non mandandole a dire, pur sparando a zero sulla persona di Arthur, pur essendo così duro nei suoi confronti, continua a parlarne. L'aria distaccata con cui analizza la situazione è così poco credile. « Non ce la faccio a vederlo in certe condizioni capisci? »

    Fitzwilliam si era convinto che andasse bene così. Tutto. Si convinceva che non era dipendente, che lui non aveva bisogno di nessuno. In parte era così. Stava davvero bene con se stesso, stava davvero bene rintanato nella sua mente, nel suo mondo fatto di tramonti abusivi e colori che non avessero nemmeno un nome. La sua vita era fatta più di una serie infinita di immagini impossibili da riprodurre, piuttosto che di fatti tangibili. La poetica eterea di cui si tingeva e si circondava aveva il sapore di casa, pur trovandosi mille e mille miglia dal posto in cui era nato, il suo elemento naturale. Perchè vivesse così non ci è dato sapere, perchè Fitz non da spiegazione alcuna su ciò che gli succede, su ciò che vuole o sulsu perchè fa determinate cose. Forse perchè nemmeno lui lo sa. Il più delle volte la vita di Fitzwilliam Gauthier pare esser stata strappata da una pellicola, da una fotografia, da un libro di poesie le cui dissonanze sono state da tempo ammassate nel mucchio di cose inutili e superate della memoria collettiva. E forse per questo gli piace vivere così: una vita estemporanea, una vita bohemiene, ha il sapore di qualcosa di proibito, infinitamente squisito e affascinante, insolito e per queste ragione, appagante. Lo si vede quindi, spesso e volentieri passeggiare in solitudine sulle sponde dei laghetti artificiali, lo si sorprende con una macchinetta appesa al collo, tutto intento a strappare pose spontanee ai suoi compagni quando non sono in grado di accorgersene di lui. A volte dipinge con tratti veloci e assimetrici, volti e paesaggi, trame e nature morte. Se c'è una cosa che gli piace di questo campeggio, è soprattutto il tempo, il suo singolare modo di trascorrere. Lento e indolore, quasi come un anestetico potente. Nessuna notizia da fuori traspare in questa oasi, se non quelle ufficiali, e anche quelle, quando arrivano, si è perfettamente in grado di ignorarle voltando il capo dall'altra parte. A ignorare qualunque cosa, Fitz era bravissimo, quasi più bravo che ad alienarsi; le due cose certamente non si escludono: se da una parte il giovane Gauthier rifiuta il mondo quasi come un nemico giurato, dall'altra lo infiocchetta con la sua irrazionale filosofia di vita. Un bambino spocchioso e viziato che si atteggia a uomo di mondo, che pensa di saperne una più del diavolo e che pure, è limitato dalla sua stessa natura adolescenziale. Una natura che odia terribilmente non solo perché limitante, ma anche perché terribilmente irrazionale, difficile da vivere in ogni suo aspetto, irriverente, istintiva. Gli piace prendersi i suoi tempi, gli piace avere sempre il controllo di ogni aspetto di ciò che lo circonda, eppure, spesso e volentieri, la sua età non gli permette di vedere con la razionalità che vorrebbe ciò che ha intorno. Capace di cose terribili, come questa sera. Questa sera Fitz ha deciso di rinnegarsi, di rinnegare ogni sua decisione, ha deciso di rinnegare quanto ha affermato a gran voce negli ultimi mesi nelle conversazioni con se stesso e con i suoi amici. Stasera qualcosa, una forza esterna ed estranea al suo stesso corpo, lo ha portato a prendere tra le dita quella piuma e stendere su un pezzo di pergamena poche semplici frasi che ha affidato a un incantesimo. Accartocciato il pezzo di pergamena a mo di aeroplanino, lo aveva toccato con la sua bacchetta, lasciandolo volare attraverso il campo fino a una delle casette di legno in cui non avrebbe mai messo piede. Quella di lui, la casetta di legno proibita, quella in cui tutti i sogni di gloria di Fitz vanno a morire. Di amanti, prima e dopo di lui ne ha avuti altri. Non molti, ma ne ha avuti. A Fitz piace scegliere, gli piace districarsi nella realtà pescando quanto di più insolito e interessante il mondo ha da offrire, e così, è selettivo nelle sue compagnie, che siano compagni di chiacchiere o di letto - oppure entrambe le cose. Eppure, nei confronti di questo giovane dai toni chiari e la salute cagionevole, Fitz ha un attaccamento particolare. Quanto aveva da darmi, me l'ha già offerto. Della sua anima mi sono già cibato. Non ha più niente da offrirmi. Non ho più nulla da imparare da lui. Questo si diceva Fitz. Eppure la sua non presenza era sempre palpabile. Forse perché in fin dei conti, non tutto nella vita si può imparare, forse perché in fin dei conti, al mondo ci sono delle creature che non sempre si è in grado di svelare. Le si vuole senza pretese, senza un secondo fine, senza avere davvero qualcosa da ottenere. Le si vuole punto e basta, con una dose non indifferente di egoismo e irriverenza, le si vuole pur calpestando il proprio orgoglio e ogni forma di credenza si porti nel cuore. Così eccolo, seduto sul molo di questo artificioso laghetto dai toni scuri, mentre una luna calante si distende all'orizzonte. Cuffie nelle orecchie e un libro tra le dita, illuminato unicamente da una fonte leggiadra proveniente dalla punta della sua bacchetta. "Ti aspetto al laghetto alle 22 in punto. Fitz." Aveva considerato l'idea di non firmarsi. Avrebbe voluto farlo. Sarebbe stato più facile cancellare qualunque forma di prova di un loro incontro, ma alla fine, Fitz non era un bugiardo. Non lo era mai stato. Lui andava dritto per dritto. Chi mi ama, mi segua. E non ci pensava alle conseguenze delle sue azioni, non gli interessava quanto potesse ferire la sua schiettezza o quanto di rimanda, rimbalzando, poteva farne a lui. Perché, quella firma, poteva anche significare che il giovane rampollo non si presentasse all'appuntamento, e ciò, avrebbe certamente ferito non poco questo Corvonero dai toni tenebrosi.
    tumblr_inline_o5qilvMrky1tzk3sq_250
    E così, ora è seduto lì, il libro appoggiato sulle ginocchia, senza trovare nemmeno un briciolo di concentrazione nel portare la lettura avanti. Si mordicchia le unghie come fa ogni qual volta sia nervoso o preoccupato. Le dita della mano destra s'intrecciano a quei suoi boccoli neri come la pece, mentre sbuffa corroso dall'ansia. Non si presenterà, questo pensa, e forse questo è ciò che gli serve per chiudere e andare avanti. A volte un silenzioso punto è più pregnante di mille parole e liti. Se non puoi odiarmi, cosa provi per me, adesso? Dimmi soltanto questo, che non provi nulla. Poi ti lascerò in pace, promesso. Quelle parole si annidano nella sua testa sin da quando gliele ha dette, spiazzandolo completamente. Lui se ne era andato, sbuffando, innervosito come non mai dalla sua stessa ammissione di colpa. Era un silenzio assenso il suo. Assenso di cosa poi? Di non odiarlo? Di non provare nulla per lui? Di voler essere lasciato in pace? Forse tutte e tre, forse nessuna delle tre. Fitz di certo non lo avrebbe ammesso. Non diceva mai bugie, ma questo non significava dicesse sempre la verità. Ci sono molti modi per ignorare la verità, per aggirarla. In questo, lui era bravissimo. E poi eccolo, il rumore dei suoi passi, un po' trascinato, incerto; potrebbe riconoscere il rumore di quei particolari passi tra mille. Hanno una sonorità tutta loro ai suoi occhi; i suoi passi hanno un che di incerto, eppure sono pronunciati, ben posati per terra, tipico di chi alla vita, pur dicendo di non volerlo, ci si aggrappa con le unghie e con i denti. I suoi passi hanno una sonorità unica per Fitz, e così, quando individua la sua figura nella penombra, non si gira. Torna a sfogliare il libro che ha sulle gambe a ritroso e ritrova l'origine del male. Il passaggio che li ha portati qui. « Ho letto questa cosa oggi: La lontananza e l’assenza prolungata danneggiano ogni amicizia, per quanto lo si ammetta così malvolentieri. Gli uomini che non vediamo più, anche nel caso fossero i nostri più cari amici. si disseccano, con il passare degli anni, poco per volta sino a diventare dei concetti. » Nel dire determinate parole, pare quasi che la sua voce diventi più maliziosa, un innaturale sorriso languido si distende spontaneamente sul suo volto. Paradossale questo Fitzwilliam Gauthier. « Si.. insomma. E' Schopenhauer. » L'intramontabile padre della presa a male. « Volevo leggertela.. » Per la prima volta pare sia Fitz quello incerto. L'adolescenza la odia, appunto. Odia tutto questo essere palesemente stupidi e insensati. « ..pare tutto più stupido, ora che l'ho fatto. »

     
    .
  2.     +1    
     
    .
    Avatar

    👿👿
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    357
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Se n'era andato. Aveva deciso di affrontarlo, di metterlo di fronte ad una scelta, e lui se n'era andato. Non aveva reagito, Arthur. Era rimasto fermo lì, lo sguardo vacuo perso in un punto non ben definito di quel bagno. Il cuore aveva perso qualche battito, questo è certo, ma l'aveva ignorato, come ormai era abituato a fare. Fitz se n'era andato ed Arthur aveva deciso di fare lo stesso, affrettandosi per uscire da quella fottuta porta, come se quel bagno fosse la rappresentazione concreta di tutto quel male. Se l'era richiusa alle spalle, con un gesto che sembrava avere del simbolico. Si era guardato intorno prima di avviarsi, e l'aveva visto. Di spalle, il passo veloce, elegante come suo solito. Ma non l'aveva seguito, Arthur. Si era messo le mani in tasca e aveva deciso di girarsi da tutt'altra parte, ignorandolo. Un duro colpo quello, davvero un duro colpo. La storia del giovane Cavendish da quel giorno a questa parte è assai facile da indovinare, ed anche piuttosto insulsa, a dire il vero. Era tornato nella propria camera, richiudendosi con delicatezza la porta dietro le spalle e sedendosi sul proprio letto. Era rimasto fermo per qualche istante, immobile, gli occhi piantati contro il pavimento. Si era acceso una sigaretta poi, con un gesto meccanico, degno di un esperto di droghe come lui. O meglio, di quasi ogni droga. Arthur Cavendish, che si era sempre vantato della sua esperienza in materia, mancava della conoscenza riguardo una delle droghe più comuni, forse la più ricercata di tutte. Quella dell'amore. Gli era sconosciuta, troppo costosa per potersela permettere. L'aveva provata una volta, era quasi riuscito a farla propria. Trovare la giusta dose, capire come andasse trattata e assunta. Era persino riuscito a scendere a patti coi suoi effetti, più forti di qualsiasi altra cosa provata prima. Eppure quando aveva creduto di poterla maneggiare con abilità, così come aveva sempre fatto, era sfumata. Aveva fatto sì che entrasse in una lenta ma letale overdose, per poi farlo risvegliare nel nulla. E questo l'aveva fottuto, questo lo fotteva sempre: il risveglio. « Tutto bene? » Aveva chiesto sua sorella, qualche giorno dopo, seduti di fronte all'enorme tavolata Serpeverde. Arthur si era ridotto a stringersi nelle spalle, senza neanche alzare il capo per guardarla. "Tutto bene un cazzo." « Tutto bene. » Aveva risposto soltanto, voltandosi per rivolgerle un sorriso di dubbia provenienza prima di alzarsi per sfuggire a qualsiasi altra sua domanda. Daveigh lo conosceva bene, forse meglio di quanto facesse lui stesso. Sapeva che se fosse rimasto per qualche altro minuto sotto gli occhi della gemella, lei avrebbe capito che c'era un problema. Ma il problema di Artie è che non aveva un reale problema. Non l'aveva mai avuto perchè Fitz non gli era mai appartenuto. Allora come adesso. Quindi aveva deciso che ignorare la faccenda, rinnegare ciò che era stato, sarebbe stata la cosa più giusta da fare. La cosa più facile, quella che avrebbe fatto meno male. Allora era tornato alla sua vita, se vita poteva esser chiamata quella merda. Era tornato ad alzarsi tardi la mattina ed arrivare in ritardo alle lezioni. A fare schifo nelle verifiche, beccarsi due o tre punizioni al giorno e cacciarsi nei suoi soliti guai. Era tornato a fumare tre o quattro pacchetti di sigarette al giorno, ad essere malato e far finta di non esserlo. Una routine classica quella, che l'aveva accompagnato sin da quando aveva memoria. Che si era spezzata, per qualche tempo, ma che era tornata più forte ed opprimente di prima. Il campo estivo era stata la giusta dose d'innovazione in quell'elenco meccanico. Era stato proprio lì che l'aveva rivisto. L'aveva fatto anche a scuola,da lontano, a lezione o durante i pasti in sala grande, ma aveva sempre fatto finta non si trattasse di lui. Perchè così voleva, così era giusto. Poi però se l'era ritrovato davanti, e come gli era sempre successo, in mezzo a quell'orda di studenti dai visi più o meno conosciuti, Arthur non aveva visto nient'altro che lui. Era rimasto immobile, trattenendo il respiro e stringendo i pugni. Quegli stessi pugni che avrebbero tanto voluto infrangersi contro il suo naso quella volta, ma che non l'avevano fatto e che anzi, districandosi, l'avevano abbracciato. L'avevano stretto a sè in un attimo che era valso una vita intera, un'illusione di pochi istanti che avrebbe voluto durasse per sempre. Ma le cose belle sono sempre le prime a finire, questo gli avevano insegnato. Lui ad esempio non era bello, nel senso platonico del termine, e stava finendo sì, ma lentamente. La sua malattia sembrava essersi acuita negli ultimi tempi, rendendolo ancora più instabile del normale. Ancora più pallido, più malato. Faceva incubi terribili la notte e si risvegliava la mattina con la sensazione che non si fosse trattato soltanto di semplici incubi. Sentiva delle voci, vedeva delle cose che lo rendevano sempre più inquieto, sempre più chiuso, sempre più oscuro. E poi c'erano quegli attimi di luce, quei rari momenti di redenzione, in cui un sorriso sincero si stagliava contro il suo volto corrucciato. Tipo quello che gli aveva disteso le labbra non appena l'aveva visto di nuovo quel giorno. L'aveva guardato da lontano. L'aveva ammirato da una certa distanza di sicurezza, come si fa con le opere d'arte. Aveva provato l'istinto di avvicinarsi, oltrepassare quella riga di demarcazione immaginaria e toccarlo. Percepire il calore della sua pelle sotto i propri polpastrelli, come aveva fatto tante volte in passato. Ma lui se n'era andato. E allora aveva stretto i pugni, Arthur, dileguandosi senza più guardarsi indietro. La casetta che gli avevano affidato non era male. Con ogni probabilità anche se lo fosse stata, non se ne sarebbe accorto più di tanto, viste le condizioni in cui vi rientrava ogni volta. Procurarsi un certo tipo di sfizi lì al campo estivo sembrava molto più semplice. Non sapeva per quanto sarebbe durata ma gli importava ben poco tuttavia. Se ne stava spesso lì seduto sul proprio letto, le gambe incrociate. Ed è seduto anche adesso, lo sguardo fisso sul materasso, laddove sostano indisturbati i suoi sfizi. L'eroina è sempre stata la sua preferita. Lo aiuta a non pensare, e non pensare gli fa bene. "Ti aspetto al laghetto alle 22 in punto. Fitz." Quelle parole trascritte in quell'elegante corsivo gli siedono accanto. La pergamena è lì, al suo fianco. L'aveva letta e non aveva fatto nient'altro che posarla lì, in un angolo. Aveva svolto la sua giornata normalmente, come se non l'avesse mai ricevuta. Perchè Arthur era fatto così. Riusciva ad immunizzarsi al dolore, a lungo andare. Fitz rappresentava una ferita dalla quale era stato difficile guarire. Una ferita vivida, spesso sanguinante, e mai rimarginata nonostante tutto. Eppure c'era riuscito a non pensarci. Era riuscito ad usare la morfina dell'indifferenza contro quella piaga. Ma la verità è che Fitzwilliam non era mai stato una piaga, e questo Arthur nonostante gli facesse male ammetterlo lo sapeva bene. E quindi eccolo, a poco più di cinque minuti mancanti dall'orario prestabilito, ancora seduto lì a rimuginare. "Lo sai che non devi bere. O drogarti." Gli aveva detto quella volta. Non l'aveva ascoltato chiaramente, non prima d'allora quanto meno. La verità è che Arthur non riusciva neanche più a ricordare cosa fosse prima di diventare ciò che era diventato. Tossico. Non ricordava più la sua vita quando ancora era possibile appellarla come tale. " Ti fa male cazzo, non capisco per quale ragione tu non riesca mai a dare retta a nessuno." E allora decide di farlo, per quella volta, dare retta a qualcuno. Balza giù dal letto di scatto, alzando la coperta per nascondere ogni prova di quell'esitazione. Si guarda allo specchio, strofinandosi gli occhi incavati e spostandosi qualche ciuffo dal viso pallido. Non ha un bell'aspetto, ma ormai sembra esserci abituato. Ma c'è qualcosa di diverso questa volta: è pulito. Da qualche ora, per lo meno. Sta decidendo di affrontare la questione, di affrontarlo con lucidità questa volta. Sta decidendo di mostrargli quella parte di sè ormai perduta, quel rovescio della medaglia ormai ossidato da anni ed anni di tossicità.

    tumblr_n1d4tviIjb1rmr774o5_250
    Esce dalla porta, le mani nascoste tra le tasche dei jeans larghi. Ha perso un altro po' di peso, in questo tempo, e ciò non ha fatto altro che rendere il suo volto ancora più scavato, ed il suo aspetto sempre più malato. Giunge al laghetto prima di quanto non si aspetti, ed è allora che lo scorge in lontananza. Riconoscerebbe quel profilo tra mille. Ricorda come fosse ieri tutte quelle volte in cui l'ha ammirato a pochi centimetri di distanza. Quelle volte in cui l'ha tracciato delicatamente, con l'indice, percorrendolo in tutta la sua perfetta interezza. Dapprima la fronte, ornata da quei morbidi riccioli d'ebano in cui ha sempre amato affondare le dita, poi il naso ed infine le labbra, carnose e dal sapore tanto ricercato. Sospira e si avvicina a lunghe falcate. Fitz è seduto lì, un libro poggiato sulle gambe. Non si gira a guardarlo, e ciò dona ad Arthur un po' di vantaggio. E' nervoso. Quel nervosismo artificiale tipico del tossicodipendente che ha bisogno di una dose ma sa di doversela negare. Ed è lì, di fronte alla sua droga preferita, e sa di non poterla avere. « Ho letto questa cosa oggi: La lontananza e l’assenza prolungata danneggiano ogni amicizia, per quanto lo si ammetta così malvolentieri. Gli uomini che non vediamo più, anche nel caso fossero i nostri più cari amici. si disseccano, con il passare degli anni, poco per volta sino a diventare dei concetti. » Inarca un sopracciglio, incrociando le braccia « Si.. insomma. E' Schopenhauer. » Annuisce, un'espressione indecifrabile sul viso pallido. La filosofia non è mai rientrata tra i suoi interessi principali, eppure rimane in silenzio, rimuginando su quelle parole. Chi lo conosce bene sa che Arthur non è mai stato tipo da riflessioni. Ha sempre preferito l'agire al pensare. Chi lo conosce bene si aspetterebbe anche l'esplosione di una sonora risata dal suo petto, ma non è ciò che fa. Non è ciò che vuole fare, non adesso, non con lui. « Volevo leggertela....pare tutto più stupido, ora che l'ho fatto. » Lo scruta attentamente, immerso in quel silenzio dalle note asfissianti. Non ha idea di cosa fare, come reagire. Vorrebbe ignorarlo, andarsene come ha fatto lui, girando i tacchi senza nemmeno dirgli nulla. Vorrebbe sputargli addosso tutto quel veleno che ha conservato per settimane, in attesa di un punto di rottura. Ma non ci riesce. E' stanco, ecco tutto. E' stanco di quella vita di merda, di quell'adolescenza del cazzo. E' stanco di lottare. « Beh, se ti sembra stupido direi che ti si addice, allora.. » Mormora appena, stringendosi nelle spalle. Davvero Artie? Vuoi cominciare di nuovo? Respira a fondo « Perchè volevi leggermela? Lo sai che non me ne intendo di questo tipo di cose. Spiegamela. Sono diventato un concetto per te, è questo che intendi dire? » Ed è in quel momento che compie l'errore di guardarlo. Sino ad ora ha tentato in ogni modo di non mantenere neanche il minimo contatto visivo. Ed ora che lo osserva, ogni scudo sembra spezzarsi. Lo vede lì seduto, con quel libro tra le gambe. Lo vede lì seduto, con quell'espressione dubbiosa. Non sembra nemmeno lui, lo riconosce appena. Fitz è sempre stato deciso, Fitz è sempre stato criptico, intramontabile. Sempre più maturo dei suoi anni, sempre più razionale e riflessivo di qualsiasi altro suo coetaneo. Gli fa strano vederlo così, gli fa male, con quel tono di voce rassegnato e l'espressione incerta. E allora sospira, Arthur, passandosi una mano fra i capelli e tirando su col naso in quel tic classico di quando è in astinenza per qualche ora più del dovuto. Ogni traccia di veleno sembra dissolversi. Almeno per un po'. « Perchè sono quì Fitz? » Già, perchè sei quì Arthur? « Cos'è che vuoi? » Non so più cosa darti.
     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Maghi Adulti
    Posts
    1,256
    Reputation
    +491
    Location
    Wonderland

    Status
    Waiting!
    « Beh, se ti sembra stupido direi che ti si addice, allora.. Perché volevi leggermela? Lo sai che non me ne intendo di questo tipo di cose. Spiegamela. Sono diventato un concetto per te, è questo che intendi dire? » Una volta Artie gli chiese di spiegargli un quadro da lui dipinto. Arte astratta, senza forme definite o soggetti chiaramente individuabili. Ho fatto questi schizzi da solo, gioia, perché non c'eri tu a darmi una mano. Gli aveva spiegato abbracciandolo da dietro, facendogli ben capire cosa intendesse. Il fattore sessuale c'era sempre in ballo con Fitz, ma in quel caso quanto meno, era stata una scusa. Una bella scusa, ma pur sempre una scusa. La verità è che Fitz era bravo a fare le cose, ma non era altrettanto bravo a spiegare perché le facesse. Il più delle volte, il giovane Gauthier, per quanto razionale a calcolato, era guidato da una fonte primordiale di istinto. Quando la gente gli chiedeva spiegazioni arrancava sempre nel trovare di abbastanza valide; era molto più semplice farle le cose, gettare parole al vento del dare loro un senso logico e di senso compiuto. Contrariamente a quanto si possa pensare, sfilettare le faccende non è cosa da Fitz. Ed erano effettivamente più le volte che le persone avessero bisogno di spiegazioni nei riguardi delle sue azioni, di quante ne fossero quelle in cui effettivamente i suoi messaggi arrivavano forti e chiari al destinatario. Essere Fitz era spesso doloroso e frustrante perché per quanto chiaro, il ragazzo conservava una dose non indifferente di mistero nelle sue azioni. « Schopenhauer.. » Inizia dire quindi in pieno delle sue facoltà mentali, con la tipica pacatezza che lo contraddistingue. Per un secondo sembra essere tornati indietro nel tempo quando Artie gli chiedeva di spiegargli questa e quell'altra cosa, di aiutarlo a studiare e fare i compiti. Per un attimo Fitz ha l'illusione di avere ancora il controllo della situazione, di potersi mettere ancora su un gradino superiore rispetto al suo interlocutore, quando non è affatto così. « ..intende dire che la lontananza è nociva e cancella il buono e il cattivo tempo. Diventiamo le ombre delle persone che eravamo. La lontananza rende tutto offuscato.. nel bene e nel male ci idealizziamo.. ci raccontiamo e dipingiamo versioni di noi stessi affatto veritiere. » La memoria è una brutta bestia. Riecheggia sempre con tonalità differenti della realtà dei fatti. Quella che un tempo era la ricetta della felicità diventa tempo dopo averla lasciata morire in un eco di ricordi, una semplice illusione. Così Artie è diventato nella mente frastornata di Fitz un ragazzetto viziato, malaticcio per scelta, irragionevole e immaturo. È diventato insopportabile, anche quando ogni poro del suo corpo gli ricorda che le cose stanno diversamente. Questo lo sa perchè ogni qual volta gli occhi di lui si posano sulla figura di Gauthier, quest'ultimo se li sente addosso. Lo getta su un filo di rasoio, e lui non sa fare altro che cercare di rimanere in equilibrio, come in questo preciso istante.
    tumblr_inline_nvap89Mzl31sjlo8s_400
    « Ho realizzato di aver dipinto una versione di te molto diversa dalla realtà dei fatti sin da quando sono tornato a Montréal. » Scocca la lingua contro il palato nel rendersi conto quanto amare risuonino quelle parole. Fitz non è bravo a raccontare bugie, non mente, mai, a meno che non è costretto a farlo. Se può eludere la verità lo fa, ma il più delle volte è sempre sincero. E la sincerità di questa sera, ha il sapore della sconfitta, dell'orgoglio ferito. Ha il sapore della rabbia e della frustrazione. E' conscio di non saper più cosa vuole. Fitz si è sempre preso ciò che voleva; ha sempre ottenuto ciò che voleva. Ma questo è il paradosso di chi tutto può avere. Alla fine ha tutto e vuole niente. Si sbarazza delle cose che effettivamente vuole e si tiene tutte quelle che gli risultano superflue. Fitz è la personificazione dell'arte barocca; bellissimo, maestoso, raffinato, elegante, eppure vuoto. Così si sente al momento, come un fantasioso artefatto inutile, di dubbia provenienza e con non ben chiare intenzioni. Se sapesse dove vuole andare a parare, tutto sarebbe più facile. Ma la verità è che non lo sa. Ha paura di ammetterlo, perché sa che nel momento esatto in cui dovesse farlo, non lo vorrà più. Vuole Artie, ma lo vuole nella sua forma più astratta, eppure al contempo sa che se avesse solo la sua forma astratta non sarebbe abbastanza. Un arrovellamento unico che si annida in quella testolina apparentemente in perfetto equilibrio eppure così terribilmente squilibrata. La sua Arya, a Montréal gli ha detto più di una volta che se viene attirato così tanto dalle più insolite creature che il mondo abbia partorito, è perché lui è la più insolita delle creature. « Volevo che tu fossi sbagliato. » Un'ammissione che non spesso verrà udita dalle labbra carnose di Fitzwilliam, così geloso dei suoi pensieri più profondi. « Perchè sono quì Fitz? Cos'è che vuoi? » Già, perché lo hai chiamato, Fitz? Che cos'è che vuoi da lui? Ora che hai messo in atto la tua pagliacciata, hai intenzione di dirgli che cosa vuoi? « Non lo so. » Ammette pensieroso e più confuso che mai, prima di tornare a osservare le righe che sembrano confondersi tra loro, illuminate unicamente dalla luce di quella candela. I motivi delle azioni umane sono sempre molto più complessi di quanto si possa spiegare e raramente possono essere descritti in modo corretto. Questo dice un aforisma firmato Fëdor Dostoevskij su una delle tante pagine del libro che ha aperto sulle ginocchia. Significa che tutto ha un senso, che anche le azioni più insensate di Fitzwilliam e Artie, un senso ce l'hanno. Perché dopo averlo lasciato lo ha cercato ancora, abbracciandolo invece di pestarlo a sangue? Perché dopo averlo rifiutato in tutti i modi possibili e immaginabili Artie è ancora qui? E soprattutto perché Fitz continua a cercarlo? Perché continua a pensarlo? Perché lo sogna? Perché ogni poro del suo corpo lo brama? Tutte quelle domande lo urtano, lo spazientiscono a tal punto da fare un gesto tutto fuorché da Fitz. Richiude il libro e lo getta nel lago di fronte a se, scalciando la candela con rabbia. Si alza in piedi e percorre i pochi metri che li dividono fino a trovarsi di fronte al biondo. I suoi occhi sono disarmanti, come sempre, eppure, è il suo aspetto sempre più logorato a distruggerlo. Lo ha sempre fatto, ma mai come questa sera. « Ti ho abituato male, sai? » Gli dice tra i denti. Per un momento lo stato di Fitz appare più instabile di quanto lo sia mai stato quello di Artie. « Ormai pensi che tutto debba avere un perché. Credi che io abbia la risposta a tutto no? » Allarga le mani a mo di arresa. « Il bello è che ce l'ho, ma nessuno dei due vuole sentirsi dire quella cosa. Questa - Arthur - è una verità troppo supponente persino per te. » E dovrebbe dirgliela. Vuole dirgliela, così che possa imparare che a volte è meglio non chiedere. A volte è meglio ignorare bigliettini del cazzo e andare avanti per la propria strada. Perché devi rendere tutto così difficile eh? Hai un compito nella vita: vivere. Perché devi mandare tutto a puttane? Perché non riesci a.. stare al tuo posto? Forse in fin dei conti nessuno dei due era bravo a stare al proprio posto, ammettere la sconfitta di un legame kamikaze. « La vuoi liscia liscia? » Un bulletto di periferia, esattamente come Arthur gli aveva insegnato. Lo afferra per la maglietta, guardandolo dall'alto verso il basso nonostante la loro statura sia quasi equivalente. « Ti ho chiamato perché mi manchi. Ti ho scritto perché ho una voglia matta di fotterti fino a farti urlare come il piccolo indifeso ragazzino quale sei. Sei qui perché resti roba mia.. e odio.. odio.. quando la mia roba inizia a fare di testa sua e svolazza troppo in giro. » Non lo sapeva a dirla tutta. Me è ciò che avrebbe fatto lui. Come ubriaco da una possessività che non pensava potesse appartenergli, gli sputò in faccia quella verità con un tono a tratti malizioso, a tratti maligno, a tratti semplicemente vero. Nessun filtro; Fitz non li ha mai avuto. Nel bene e nel male, quella lama a doppio taglio sembrava sollevarlo verso il cielo, tagliandogli al contempo le gambe. « Contento? » Gli chiese infine, liberando l'indumento dalla presa delle sue dita. Una bestiolina ferita, messa all'angolo. Perché se era sempre lui a mettere all'angolo gli altri, finiva per sentirsi perennemente incastrato? Vivi e lascia vivere. Ma non troppo. Non per un istante. Non quando Fitzwilliam Gauthier si lascia avvolgere dalla pura bellissima follia che conserva in quella testolina così poco equilibrata.

     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    👿👿
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    357
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    « Schopenhauer...intende dire che la lontananza è nociva e cancella il buono e il cattivo tempo. Diventiamo le ombre delle persone che eravamo. La lontananza rende tutto offuscato.. nel bene e nel male ci idealizziamo.. ci raccontiamo e dipingiamo versioni di noi stessi affatto veritiere. » Rimane in silenzio, Arthur, lasciando che quelle parole scivolino tra di loro morbidamente. Si insinuano tra i suoi pensieri, lentamente, espandendosi a macchia d'olio e trasformandosi in dubbio. Come già detto, Artie non è mai stato un tipo riflessivo. Ha sempre preferito l'agire al pensare, in qualsiasi circostanza, nel bene o nel male. E' per questo che la filosofia non l'ha mai colpito più di tanto. Troppo pensata, troppo riflessiva per uno come lui. Eppure eccolo quì, lo sguardo appena assottigliato e la fronte corrugata. Sta pensando, mentre la voce del ragazzo che si trova di fronte rimbomba tra le pareti della sua mente contorta. Ha sempre avuto questo potere Fitz, risvegliarlo da quel sogno d'ignoranza forzata in cui ha sempre cercato di rimanere calato, ben stretto sotto le coperte di un letto fatto con le spine dell'inconsapevolezza. La verità è che Arthur ha sempre cercato l'innovazione, ha sempre cercato il punto di rottura in quel muro di statica quanto retrograda conoscenza, e l'ha trovata il giorno in cui i suoi occhi si erano posati per la prima volta sulla sagoma slanciata del giovane Corvonero. Ricorda ancora tutte quelle volte in cui Gautier l'aveva aiutato a studiare, e anche tutte quelle volte in cui lui aveva fatto finta di non capire qualche concetto soltanto per il piacere di vederlo parlare. Perchè in fondo era anche di questo che si componeva la loro relazione. Un continuo prendersi in giro. Per molto tempo Arthur aveva ricordato tutto, del loro legame. Aveva ricordato il bello ed il brutto. I sorrisi sinceri di Fitz, quelli che gli dedicava ogni qualvolta decidesse di farlo felice evitando di fare lo stronzo come suo solito. Al contrario aveva ricordato anche la violenza che il ragazzo era solito riversargli contro, talvolta a parole, talvolta no, ogni qualvolta il loro tremolante legame vacillasse. Perchè forse aveva ragione Fitz, il tempo abbellisce i ricordi. Il tempo offusca il passato, e la lontananza si unisce per dare il tocco finale. Così Arthur Cavendish aveva immagazzinato, aveva messo da parte in un angolo recondito del suo cervello contorto tutto il brutto di quel legame. Tutto il male di Fitz, il rovescio della medaglia. « Ho realizzato di aver dipinto una versione di te molto diversa dalla realtà dei fatti sin da quando sono tornato a Montréal. » E l'aveva fatto anche lui. Credimi Gautier, l'aveva fatto eccome, raggomitolato nel mezzo di quel letto ormai vuoto. Quel letto dove per molto tempo avevano consumato l'ardore della loro passione. Il calore del loro amore. Si era dipinto un quadro assai ben diverso dalla realtà che era stata. Aveva disegnato Fitzwilliam come l'angelo e sè stesso come il diavolo, colui che aveva finito per esser denigrato e bandito per via del suo essere sbagliato. Aveva dimenticato tutte quelle volte in cui proprio in quella stanza avevano finito per litigare e prendersi a pugni, per poi precipitare sul letto, proprio su quel letto. Per far pace in un atto che in realtà, di pacifico, non aveva proprio nulla. In un atto che era più il prolungamento del loro litigio, uno sfogo fisico che altro. Era la violenza di esser preso con forza dal suo Fitz, quell'angelo dalle ali dipinte di nero. Perchè nonostante fosse sempre stato lui, quello violento della coppia, quello estremo, la verità è che non era il solo. La verità è che mentre Arthur lo dimostrava a viso aperto, Gautier era sempre stato abbastanza abile da nascondere ogni cosa dietro una fittizia parvenza di perfezione. Ma sapeva anche lui come fare, lo sapeva eccome. Sapeva come fargli male, come procurargli un dolore così forte ed intrinseco da desiderarne sempre di più. Perchè in fondo Fitz, il suo Fitz, era un po' angelo e un po' diavolo anche lui. « Quale versione? » Sente la sua voce trapelare incontrollata dalle sue labbra pallide. Continua a fissarlo, le braccia ancora incrociate al petto. « Volevo che tu fossi sbagliato. » Piega la testa di lato, inarcando un sopracciglio. E quì giungiamo alla seconda metà del nostro discorso: la memoria corrotta del nostro piccolo Cavendish. Alla notte, in fondo, segue sempre l'alba prima o poi. Non importa quanto quella sia stata buia, non importa quanto sia durata, prima o poi è destinata a rischiararsi. Ed era di quelle mattine in cui si risvegliavano stretti l'uno contro l'altro, i capelli appiccicati sulla fronte e le lenzuola aggrovigliate attorno alle gambe, che Arthur si ricordava bene. Erano quei momenti di quiete dopo la tempesta, in cui il Corvonero gli rivolgeva un sorriso tranquillo come se niente fosse successo, ad esser stati i colori di quel dipinto mentale che il Serpeverde si era fatto. « Non lo so. » Si morde il labbro inferiore, Arthur, sospirando. « Non sono più sbagliato, quindi? E' quello che mi hai sempre detto, o che mi hai fatto credere. Sei sempre stato bravo a far credere ciò che desideri alle persone, tu. Che siano cose meravigliose o terribili. » Terribili come l'illusione dell'amare ed essere amati, per esempio. Si infila di nuovo le mani nelle tasche dei jeans, tastando qualcosa di familiare. Una sigaretta probabilmente. Non sa neanche a quando risalga e a quale delle sue categorie appartenga, ma sta quasi per cedere alla tentazione di abbandonarsi al fumo, quando un rumore improvviso lo fa sobbalzare. Osserva in silenzio, spettatore impotente di fronte alla furia di quel dio, mentre questi getta il libro nel lago e scaccia via la candela. Si scosta per non calpestarla, dando un'ultima occhiata a quella fiamma morente, poi si volta di nuovo verso di lui, sorpreso. C'è sempre voluto parecchio per sorprendere uno come Arthur, che della vita ha ormai visto molto, forse troppo, nonostante la giovane età. Eppure eccolo quì, l'espressione incerta mentre osserva Fitz, il suo angelo, implodere in un atteggiamento rabbioso che non gli appartiene. Lo vede alzarsi in piedi ed istintivamente indietreggia non appena il Corvonero gli va in contro a grandi falcate. Non vuole avere paura di lui, ma non riesce a rimanere indifferente di fronte ad un atteggiamento del genere da parte sua. Si ritrova il suo viso a pochi centimetri di distanza. Assottiglia lo sguardo, corrucciando entrambe le sopracciglia mentre lo scruta silenziosamente. Non l'ha mai visto così, o forse non ricorda di averlo fatto. Appare più instabile di quanto non lo sia mai stato lui stesso. Fitz il razionale, Fitz il diplomatico, sembra sul punto di mollargli un pugno. Sembra sul punto di esplodere. « Ti ho abituato male, sai? Ormai pensi che tutto debba avere un perché. Credi che io abbia la risposta a tutto no? Il bello è che ce l'ho, ma nessuno dei due vuole sentirsi dire quella cosa. Questa - Arthur - è una verità troppo supponente persino per te. » Sibila tra i denti, il Corvonero, alzando le braccia a mo di resa. La resa dei conti è giunta. Forse per la prima volta dopo settimane, dopo anni, Fitzwilliam gli permetterà di conoscere la verità. Uno sprazzo di quella realtà nascosta che lo compone in tutta la sua imperfezione. Perchè è un guscio quello che nonostante il suo amore, nonostante ci abbia sempre provato, Arthur non è mai riuscito a valicare. L'ha desiderato ardentemente, ha sperato di sbirciare al di là di quella porta rossa piazzata di fronte alla reale essenza di Gauthier, ma non è mai riuscito a vedere oltre. E ora che sembra poterlo fare, ha paura di farlo. « Questo lascia che sia io a deciderlo, no? Smettila di pensare per me. Dammi una cazzo di risposta e smettila con tutta quest- » Lo afferra per la maglia, e le parole gli muoiono in gola, schiacciato da quello sguardo furente. Si sente indifeso di fronte a quegli abissi di tenebra che sembrano riuscire a scrutargli fin dentro l'anima. Ma della sua anima ridotta a brandelli non sa più nemmeno cosa ne sia rimasto, Arthur, quindi ciò gli dà la forza di reagire. Ringhia sotto il suo tocco, come un animale minacciato, e gli posa le mani sulle spalle con l'intento di respingerlo con forza, quando il ragazzo lo distrae.

    « La vuoi liscia liscia? » Un gergo che non gli appartiene quello, e che induce il giovane a sgranare gli occhi « Ti ho chiamato perché mi manchi. Ti ho scritto perché ho una voglia matta di fotterti fino a farti urlare come il piccolo indifeso ragazzino quale sei. Sei qui perché resti roba mia.. e odio.. odio.. quando la mia roba inizia a fare di testa sua e svolazza troppo in giro. » Lo lascia con violenza, liberando la sua maglia dalla presa ferrea delle sue dita, ed Arthur si ritrova a barcollare per qualche attimo, prima di riacquistare l'equilibrio.
    tumblr_inline_oud7avLNb01u2zsxp_400
    « Contento? » Ed è un equilibrio instabile quello che percepisce barcollare in quegli occhi scuri. Lo scruta per qualche altro minuto, ancora in silenzio. La cosa più razionale da fare, con ogni probabilità, è andarsene. Qualcosa gli dice, e non ha bisogno del terzo occhio per intuirlo, che da una situazione come quella non ricaverà mai nulla di buono. Non ricaveranno nulla di buono. Quella parte di Fitz lo spaventa. Quell'instabilità incontrollata lo fa sentire debole, e ciò è il motivo per cui dovrebbe andarsene di lì il prima possibile. Ma il problema è semplice: Arthur Cavendish è un sadico. Un sadico masochista, se proprio vogliamo esser sinceri. Alla prospettiva del dolore, alla prospettiva del male, si risveglia quella parte di sè malamente nascosta. Quella parte oscura, malata più di quanto non lo sia già esternamente. E allora, da bravo irrazionale qual'è, decide di aizzare quel male. Scoppia a ridere all'improvviso, poggiandosi una mano sulla bocca ma senza riuscire a trattenere quella risata dalle dubbie origini. « E dimmi, tesoro, no ti prego dimmi secondo quale dio, secondo quale musa di quella tua testolina di cazzo dovrebbe interessarmi tutto questo? » Rigetta i suoi occhi glaciali su di lui, senza pietà alcuna. « Ti ricordo che sei stato tu ad andartene, per ben due volte.- Gli punta l'indice contro il petto con forza -Sei stato tu a mollarmi lì come un coglione, per ben due volte. » una prima ed una seconda volta, spingendolo verso dietro. Una calma gelida sovrasta ogni sua azione, ogni sua parola. Sembra un serpente in attacco, elegante nel suo essere terribile. « Come ci si sente a desiderare ardentemente qualcosa ma sapere che quel qualcosa non ti appartiene più, mh? » Sibila, l'espressione diabolica. Per un attimo vorrebbe cedere, per un attimo vorrebbe dare ascolto a quell'ultimo brandello d'animo che gli intima di smetterla di rispondere al fuoco col fuoco. Di smetterla con quell'inutile guerra e dirgli la verità. Sputargliela addosso apertamente senza filtro alcuno. Dirgli che è mancato pure a lui, che l'ha sognato tante, troppe volte. Dirgli che ha continuato a pensarlo ogni giorno ed ogni notte. Che ha continuato a volerlo ogni giorno ed ogni notte. « Facciamo così, mh? » Ma non lo fa. Continua imperterrito in quella guerra perchè così è più divertente. Così è più eccitante. Si avvicina a lui, il viso a pochi centimetri dal suo. Sente il suo respiro sulla propria pelle e deve concentrarsi per non precipitare in un baratro di ricordi e sensazioni. « Facciamo che tu ora mi dici quanto e perchè ti fa incazzare tanto che la tua roba svolazzi in giro. » Sibila sulle sue labbra, sfiorandole con le proprie. L'indice con cui ha provato a spingerlo qualche minuto prima vaga lungo il suo busto, percependo la pelle calda al di sotto dei vestiti. « Facciamo che se non hai le palle per dirmelo allora me lo dimostri, cercando magari di essere convincente e, forse, impedirmi di continuare a farlo. » Sorride, sardonico, ed è in quel momento che la sua mano aperta va a schiantarsi contro il cavallo dei suoi pantaloni « Allora, cos'è che dicevi sulla voglia matta di fottermi fino a farmi urlare? » Stringe la presa.
     
    .
  5.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Maghi Adulti
    Posts
    1,256
    Reputation
    +491
    Location
    Wonderland

    Status
    Waiting!
    « Non sono più sbagliato, quindi? E' quello che mi hai sempre detto, o che mi hai fatto credere. Sei sempre stato bravo a far credere ciò che desideri alle persone, tu. Che siano cose meravigliose o terribili. » Quell'unica affermazione, lo mette di fronte a una scomoda verità che si è sempre negato. Fitz ha sempre saputo di avere una qualche forma di potere sulle persone; ha sempre capito di poterle manipolare, di poterle plasmare tra le mani come pezzi di pongo. Le persone sono flessibili, tendono ad adattarsi a ciò che hanno di fronte. Il più delle volte è solo una pattina. Non appena si scava più affondo, si capiscono le contraddizioni, le crepe che si annidano attorno alle apparenze, all'idea che si vuole dare di sé. Questo Fitz lo ha capito, e forse, per questo motivo non ha mai mentito a nessuno. Non ha mai tentato di essere qualcosa che non era, non ha mai promesso niente, non si è mai sbilanciato. La sua vita, vissuta per inerzia, gli ha sempre permesso di cadere in piedi, come un gatto dalle nove vite. Le persone sono deboli poi e non riuscendo a mantenere le apparenze dei primi tempi, ritornano al loro naturale stato, si riprendono tutto quello di cui si sono spogliati per raggiungere i loro obiettivi. Non Fitz; Fitz ha sempre detto questo sono io - prendere o lasciare. Sarete sorpresi di scoprire come reagisce la maggior parte delle persone di fronte a una scelta così drastica. Non un proverò a cambiare, non un troveremo una soluzione. Fitz era la persona più conservatrice che ci fosse. Viveva perennemente in uno stato dell'eterno uguale, di bilanciamenti e controbilanciamenti. Avrebbe voluto essere qualcun altro, celarsi alla luce del sole, comprendere come mascherare quel suo essere meschino. Fitz è cattivo, dentro di sé una vocina fastidiosa gliel'ha sempre ripetuto. Gli ha predetto che non avrebbe mai capito come fosse fatta la felicità. Quella era una sensazione che non avrebbe mai sfiorato, che non avrebbe mai compreso; la felicità Fitz non l'avrebbe mai dipinta, perché quella era un'emozione in aperto contrasto col flusso creativo stesso. Eppure, nell'osservare i lineamenti delicati di quel volto trafitto dalla malattia, il giovane Gauthier riusciva quanto meno a scorgere il ricordo di uno sprazzo di felicità. Quegli occhi erano male, erano un male la sua bocca, la sua voce suadente. Un demone venuto giù dal nulla. Era diverso. Diverso da come se lo ricordasse, più confidente, più pieno di sé. Era come se Arthur fosse stato pervaso da una forza esterna che lo divorava dentro spingendolo contemporaneamente ad andare avanti, provocando reazioni che Fitz non conosceva e non aveva mai contemplato. « E dimmi, tesoro, no ti prego dimmi secondo quale dio, secondo quale musa di quella tua testolina di cazzo dovrebbe interessarmi tutto questo? Ti ricordo che sei stato tu ad andartene, per ben due volte. Sei stato tu a mollarmi lì come un coglione, per ben due volte. » Ogni parola è una saetta nel suo cuore tormentato e Arthur ci mette il carico da mille, spingendolo. Lo provoca, e Fitz di rimando, stringe i pugni e serra la mascella, ben consapevole che non può cedere a scatti di ira di quel tipo. Ma è questo il problema; quando taci troppo a lungo, finisci per scoppiare. Quando non parli mai, quando preferisci rinchiuderti, quando piuttosto che esternare ti taglieresti un braccio, arriva quel momento in cui improvvisamente non può farne a meno.. e non è mai bello.. non è mai gentile.. non è mai nel modo giusto. « Come ci si sente a desiderare ardentemente qualcosa ma sapere che quel qualcosa non ti appartiene più, mh? » C'è una parte di sé che resta semplicemente inebriata dalla creatura che ha di fronte, un'altra ne ha paura, una terza la odia profondamente. Questa creatura è un'incognita per Fitz, è qualcosa che non sa controllare, che gli sfugge di mano. Non ha avuto modo di contemplarla per sapere come manipolarla, non ha avuto il modo di girargli intorno come un predatore in attesa che la preda abbocchi. Eppure non reagisce. Non fa niente, Fitz, se ne resta lì sorbirsi ogni parola di queste bellissima creatura, come prosciugato da ogni forma di sentimento umano. E questo ciò che fai? E questo ciò che sei ora? Seppur adirato a dismisura, lascia che il restante della guerra si consumi nella sua mente, nel suo cuore. « Facciamo così, mh? Facciamo che tu ora mi dici quanto e perchè ti fa incazzare tanto che la tua roba svolazzi in giro. » Lui lo tocca e le loro labbra si sfiorano, e al tatto sono delicate come se le ricordava. Qualcosa di assolutamente sublime, strappato alle muse dei boschi e al contempo alle arpie dei sentieri solitari. La mano del giovane Gauthier si stringe istintivamente attorno all'esile collo di lui, spingendosi nella sua direzione, lasciandosi coinvolgere da quel bacio non compiuto. Il desiderio gli monta in petto con più impeto. Sta sfidando qualcosa che poco ha di umano, ma gli piace perché umano non lo è mai stato nemmeno lui. « Facciamo che se non hai le palle per dirmelo allora me lo dimostri, cercando magari di essere convincente e, forse, impedirmi di continuare a farlo. Allora, cos'è che dicevi sulla voglia matta di fottermi fino a farmi urlare? » Non rifiuta quel gesto. Lo accoglie, spingendosi nella sua direzione con più decisione mentre le dita si stringono contro la pelle diafana di lui. La bocca di Fitz ingloba quella di Arthur con foga estrema. L'hai chiesto tu. L'hanno chiesto entrambi. Gli dischiude le labbra alla ricerca di quella danza perfettamente coesa delle loro lingue. Un morso affatto delicato del labbro inferiore, mentre gli occhi scuri del canadese cercano quegli del biondo. Sono sempre funzionati. Più a gesti che a parole. Due animali diversi, Fitz e Artie, eppure fatti per compenetrarsi, incastrarsi. Erano imperfetti, c'erano così tante crepe tra loro, crepe che non sarebbero mai combaciate. Eppure a giocare quel gioco erano fottutamente bravi a giocare. Ne conoscevano le regole, sapevano come provocarsi. Sapevano quali corde toccare. E così si tuffa nuovamente sulle sue labbra esplorandone la cavità orale come se non l'avesse mai fatto, mentre la mano scivola dalla gola verso la sua nuca, intrecciando le dita ai suoi capelli d'oro, strappati a un sole freddo e irriverente. Li tira appena mentre si spinge ulteriormente verso di lui. La mano rimasta lungo il fianco sbottona i jeans, infilandosi nella biancheria di lui. Dita fredde, meticolose. Buongiorno. Ed è lì che scoppia a ridere sulle sue labbra. Una risata maligna, magnifica nella sua imperfezione. Lo prenderebbe lì all'istante. Vorrebbe farlo, ma si trattiene, perchè in questo gioco, sono bravi, ma Fitz è più bravo. « Spallami pure merda addosso, stronzetto. Qui c'è qualcuno che non è d'accordo. » Le tue labbra si muovono, ma la tua mente è altrove. Estrae la mano dalla biancheria del demonietto, spingendolo appena, mentre indietreggia.
    tumblr_inline_o5qiwmWq7S1tzk3sq_250
    Indietreggia, si dirige verso l'estremità del molo. Lo sguardo ferreo, erto sul volto etereo di lui, mentre si sfila la maglietta. Ti darò ciò che vuoi. Toccarsi e fuggire non era più un'alternativa, non adesso, non tra loro due. Per un momento, Fitz non provò compassione nei confronti di Artie, non provò pietà, né compassione. Non si curò di quanto potesse essere fragile o indifeso. Non vide il malato terminale. Guidato da un desiderio che non sembrava nemmeno attinenti al suo essere, si concentrò su quel desiderio, ardente, come scaturito dal più cado dei gironi dell'inferno. Sorride languido mentre la zip dei jeans scende. Movimenti lenti che si concludono col permettere al giovane Cavendish di osservare il corpo nudo di quello che fu il suo compagno. Prima i jeans e poi i boxer neri. E' lì, sotto una luna calante, erto al limitare del molo e fissa il suo antagonista. Sfida il diavolo a venire a prenderlo. Un'ultimo sguardo prima di tuffarsi. Sei roba mia e non voli da nessuna parte. Dimostramelo. Le acque gelide del laghetto non gli offrono sollievo. Non c'è fine a questo tormento. Nuota in profondità, cercando di schiarirsi le idee, cercando di appannare quanto di bollente si annidi nel suo spirito, cerca di trovare una spiegazione logica, una scorciatoia, una scappatoia dal suo stesso essere umano, adolescente, imperfetto. Ma quando riemerge, la figura di Arthur gli appare altrettanto eterea, tirato fuori direttamente da un quadro rinascimentale, nei colori spenti della notte. Qualcosa a cui non riesce a resistere, a cui non vuole resistere. E' roba sua, anche se non sa come tenersela con sé. E' roba sua e sa possederla, ma non sa effettivamente come contenerla.
     
    .
  6.      
     
    .
    Avatar

    👿👿
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    357
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Tallulah gli aveva chiesto un giorno di qualche tempo fa se avesse mai sentito degli effetti collaterali. Ma Arthur, l'espressione poco sveglia come suo solito, si era limitato a rispondere con una sonora quanto sguaiata risata, affermando che no, non aveva sentito nulla, se non ciò che sentiva ogni giorno. Una bugia immensa quella, ma che a dirla tutta il giovane Serpeverde non reputava nemmeno tale. Lui di effetti non ne aveva mai effettivamente percepiti. Ma la verità è che era sempre troppo fumato, per capirli a pieno. Sempre troppo fatto per comprendere la natura di ciò che, di giorno in giorno, continuava a crescere dentro di lui, logorandolo dall'interno. Di dimostrazioni ne aveva avute eccome, ma il piccolo Cavendish era un tipo assai poco impressionabile, e, al tempo stesso, difficile da accontentare. E questo suo carattere, da molti percepito come un grosso difetto, l'aveva aiutato a rallentare la lenta decadenza nella quale, inevitabilmente, era precipitato. Rallentare, ma non frenare. Su di Tallulah le conseguenze del loro strano esperimento le aveva viste. I suoi capelli più rossi del normale, tanto da sembrare quasi bollenti al tatto alle volte, la sua maggiore sicurezza in tutto ciò che faceva. Lui dal canto suo invece era rimasto il solito Arthur Cavendish di sempre, un coglione che puzzava d'alcool ed erba, niente di più niente di meno. Almeno da ciò che si sforzava di credere. La realtà era tutt'altra e ben diversa, ciò nonostante. La realtà era che man mano che i giorni passavano, quella cosa continuava a crescere sempre di più, cibandosi di ciò che ne rimaneva della sua anima a brandelli e del suo corpo consumato dalla malattia. Così Arthur aveva pensato, che se davvero per come diceva la piccola Weasley albergasse qualcosa di strano ormai dentro di lui, quella era stata la cagata più cagata di sempre. Non uno straccio di super potere, non un minimo di giramento di testa a trecentosessanta gradi come aveva visto fare nei film dell'orrore. Solo voci, voci su voci. Come se non gli bastassero già quelle che sentiva ogni qualvolta esagerasse troppo con l'eroina. O la maria, o la cocaina. O l'erba allegra quando gli andava di restare sul leggero. Sì insomma esagerava un po' con tutto. Ad ogni modo, col passare del tempo quelle voci avevano imparato a farsi sempre più insistenti, ad esser sempre più presenti, tanto che alla fine, il Serpeverde vi si era abituato così tanto da non sentirle nemmeno più. C'erano momenti in cui erano più forti, e momenti in cui riusciva a controllarle. Momenti in cui lui si incazzava perchè Arthur non lo ascoltava, pressando contro la sua mente e costringendolo a dargli retta. Una volta l'aveva persino incontrato. O forse sognato, non saprebbe dirlo. Dentro allo specchio, simile al suo riflesso ma con due grossi occhi gialli a fissarlo nel buio. E cos'aveva fatto? Si era cagato sotto, a dirla tutta. Aveva rotto il vetro con un pugno e riso di fronte alla sua mano completamente insanguinata, buttandosi per terra e rimanendoci per il resto della giornata, fino alla notte. Ed eccolo uno degli effetti collaterali peggiori, la pazzia. Stava impazzendo Arthur, e lo stava facendo in un processo lento e doloroso che avrebbe danneggiato sè stesso e chi gli stava attorno. Sua madre era stata la prima ad assaggiare la potenza di quel degrado, caduta sotto quell'innumerevole numero di coltellate, sino all'ultima, quella fatale inflitta alla gola, così profonda da sfiorare la decapitazione. E dopo quel giorno, c'erano stati dei momenti in cui aveva davvero avuto paura. Dei momenti in cui aveva sentito quella voce, aveva conosciuto quel demone spingere contro i suoi pensieri e pulsare nelle sue vene. Aveva capito quanto fosse reale e che sì, forse degli effetti collaterali li aveva sentiti, dopotutto. Ma ricordate? Arthur Cavendish è un coglione ed un coglione rimarrà. Ed in quanto tale, aveva deciso di continuare con la sua vita del cazzo, decidendo di ignorare la faccenda. Imbottendosi di roba più di prima, per reprimere ogni istinto, riuscendoci quasi. Così era diventato apatico, vuoto, nonostante fosse pieno zeppo di merda. Ma qualcosa era cambiato comunque. Lo vedeva ogni giorno quando si guardava allo specchio e quel ragazzo dal volto ancora più scavato del normale e lo sguardo spiritato ricambiava il suo sguardo. Lo vedeva dal modo in cui nulla riusciva più a soddisfarlo. La droga, la violenza, persino il sesso. Quello per Arthur era sempre stata un'ottima distrazione. Una valvola di sfogo di cui aveva sempre usufruito nei momenti più opportuni. Eppure col tempo non vi aveva trovato più alcuna soddisfazione. Un mantra del cazzo che ormai sembrava aver imparato a memoria. Qualche moina, una frase ambigua detta qua e là, due o tre sguardi tattici e, con un pizzico di fortuna il gioco era più che fatto. E così finiva a letto, sotto o sopra qualcuno di cui il giorno dopo non avrebbe ricordato nemmeno il nome. Finiva per svuotarsi in mezzo alle gambe di quel nessuno, per poi rialzarsi con estrema indifferenza ed insoddisfazione, quel desiderio travolgente sfumato in pochi attimi. Poi, però, c'erano momenti come quello. Attimi in cui bramava qualcosa, qualcuno, così tanto da sentire il fuoco bruciargli dentro. Espandersi attraverso ogni tessuto, in una corsa repentina e dolorosa. Un dolore sadico, soddisfacente. Un dolore tanto avvolgente da spingerlo a desiderarne di più, sempre di più fino a riversarlo interamente sulle sue vittime designate. Farle partecipare a quella danza di fuoco, in un connubio proibito di lingue intrecciate e corpi avviluppati. Fitz lo sta baciando ed Arthur assapora il suo gusto. Gli è mancato, cazzo quanto gli è mancato. Per tutto quel tempo si era convinto di aver dimenticato il sapore delle sue labbra. Si era convinto di aver trovato di meglio, sicuramente sostituibile. Ed invece no. Ed invece eccolo quì, a pensare di doversi staccare da quel legame e decidere di non volerlo fare. La lingua del Corvonero scava nella sua bocca, intrecciandosi con la sua in una danza calda ed umida. Sente le sue dita stringersi contro il suo collo, e non v'è traccia di delicatezza alcuna nei suoi movimenti. L'ha provocato, quel diavolo tentatore. Ed adesso lui gli sta dando ciò che vuole, con forza e con violenza, risponde al fuoco col fuoco. Gli manca il respiro e per qualche istante dimentica quasi chi sia la vittima in quel gioco e chi il carnefice. Chi sia la pedina e chi il burattinaio. Fitz è sempre stato bravo ad invertire i ruoli. Persino adesso, persino di fronte al diavolo stesso, Fitzwilliam Gauthier è capace di alzarsi in piedi, sfoggiare il medio e sfidarlo di persona. Quel bacio che poco ha di umano sembra spezzare ogni barriera del suo autocontrollo. Quella droga chiamata desiderio gli circola nelle vene risvegliandolo. Perchè in fondo, se Arthur è diventato il diavolo, Fitz lo è sempre stato. Forse è per questo che l'ha voluto, lo vuole e non ha mai smesso di volerlo. L'ha visto, lo sa, nonostante abbia sempre fatto finta di non saperlo. Lo capisce dal modo in cui strega le persone, dalla sua capacità di modellare le menti altrui come argilla. Dai suoi sorrisi che rendono dipendenti, i suoi baci che fanno male, i suoi sguardi che ti fanno perdere completamente la percezione della realtà. Perchè Fitz è fatto così, ti prende la testa, te la svuota e te la riempie con altro. E quest'altro è bello, sicuramente incomprensibile, così come Gauthier stesso. E allora tu, impotente, ti ritrovi vittima di quel fascino. Un fascino elegante e mai privo di stile, che ti avvolge completamente sino all'ultimo lembo di pelle. E allora è questo il punto. Arthur e Fitzwilliam si completano. Due anime dannate che si intrecciano nel loro inferno personale.

    tumblr_inline_oud78vUZMw1u2zsxp_400
    Si spinge in avanti dunque, accogliendo il calore del corpo di lui stretto al proprio. Percepisce il suo respiro lievemente affannato sulla pelle e ciò che riesce a pensare è soltanto a quanto vorrebbe avere di più, lì, in quel preciso momento. « Spallami pure merda addosso, stronzetto. Qui c'è qualcuno che non è d'accordo. » E quel diavoletto lo sa. Gli infila la mano nei pantaloni, sin sotto la biancheria. Fregato. Lui ride ed Arthur si morde il labbro inferiore, tradito dal suo stesso corpo. Per qualche istante sembra riacquistare lucidità, mentre Fitz lo spinge, indietreggiando. Si passa una mano tra i capelli, osservandolo mentre riprende fiato. Il cuore pulsa così forte da far male, mentre batte numerose volte le palpebre, riacquistando il controllo del suo corpo. E della sua mente. Ma dura ben poco, giusto il tempo di passarsi la lingua sulle labbra e sentirlo di nuovo. Alza lo sguardo per cercarlo e lo trova. Lì, di fronte a sè, illuminato soltanto dal flebile bagliore lunare. Gli sorride languidamente ed Arthur deglutisce, seguendo ogni suo movimento con lo sguardo. Nudo, completamente nudo di fronte ai suoi occhi. Quella visione gli riporta alla mente una vagonata di ricordi e sensazioni che lo costringono a mordersi il labbro inferiore con una certa foga, serrando la mascella e stringendo i pugni. Lo sta provocando. Lo sta provocando con la sua bellezza, con la sua sfrontatezza. Non conosce questa parte di lui, non ricorda di averlo mai visto così estremo, così pronto ad oltrepassare ogni limite. Lo spaventa e lo esalta al tempo stesso. Sa di volerlo e non volerlo nello stesso momento. Sa il piacere ed il dolore che gli causerà ciò che sta per fare: avvicinarsi. Fa qualche passo avanti e Fitz gli lancia un'ultimo sguardo prima di scomparire in acqua. A quel punto non pensa, Arthur. Non ha tempo per pensare, ormai. Si spoglia velocemente esitando giusto qualche istante prima di immergersi. L'acqua, là dove tutto ha avuto inizio. "Per prima cosa devi purificarti" aveva detto Tallulah. Ma non v'è più nulla di salvabile dentro di lui, solo dannazione eterna. E sono dannati, lo sono entrambi. Lo sono sempre stati. L'acqua sembra bruciare sulla sua pelle, mentre Fitz riemerge, a poca distanza da lui. Rimane a guardarlo per qualche istante, passandosi la lingua sulle labbra. Cedere o andar via. Assolvere o condannare, queste sono le opzioni. Il corpo di lui è perfetto per come lo ricordava. La pelle priva di imperfezioni, costernata da tutte quelle piccole goccioline che la attraversano sinuosamente. Il petto si muove per riprendere respiro, mentre tutti i muscoli si contraggono, guizzanti. I capelli scuri e bagnati gli ricadono sul viso,in un perfetto connubio. Un dio, un demone, non sa come definirlo. Condanna. Ecco cosa sceglie mentre si spinge in avanti e le sue mani si stringono contro un suo braccio, sgusciandogli accanto per immobilizzarglielo dietro la schiena. Lo costringe in avanti, schiacciandolo con violenza contro una piccola barca attraccata lì vicino. Gli si avvicina all'orecchio, passandogli la lingua sopra per poi morderlo. « Ti lascio andare se mi prometti di fare il bravo. » Parole rubate quelle, parole rubate in un contesto assai differente. Si stringe contro di lui, aderendo al suo corpo col proprio. Potrebbe prenderlo lì, all'istante, prima che lui reagisca. Ma Arthur è un sadico. E come tale vuole fare oltrepassare il limite, quel limite alle persone e saggiarne il pericolo sulla sua stessa pelle. Quindi gli si pressa contro ancora di più, mentre con la bocca continua a giocare con il suo orecchio. Il petto che aderisce alla schiena di lui, assieme ad altro. Lo vuole e tutto il suo corpo lo dimostra, mentre si struscia contro la sua parte più vulnerabile. Per qualche istante spinge fin troppo, sgusciando laddove non dovrebbe, ma si sforza per non andare oltre. Rimane fermo lì, alle porte di quel piacere, in bilico. « Allora, esattamente, com'è che vuoi giocare? Chi detta le regole e chi le subisce? » In bilico tra la brama di fargli male ed il desiderio di farsi far male. « Forza, tesoro, gioca con me. »
     
    .
  7.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Maghi Adulti
    Posts
    1,256
    Reputation
    +491
    Location
    Wonderland

    Status
    Waiting!
    I suoi capelli sono sempre stati grano. Gli ricordano i pomeriggi passati alla casa in campagna a camminare in mezzo ai campi coltivati, a passare i palmi sopra ai fili maturi di grano. Era un bambino così chiuso, insolito, sembrava conservare in quegli occhi scuri una consapevolezza che andava ben oltre le conoscenze umane. Sua madre lo guardava con quegli occhi sognanti di una donna innamorata del proprio pargolo. Per la donna che l'ha dato alla luce, Fitz non ha mai nutrito particolare simpatia, d'altronde non nutriva simpatia per nessuno, eppure l'amava, l'amava intensamente quella donna, seppur non lo capisse e lui non capisse lei. A volte penso che ti hanno tolto tutta l'umanità e ti hanno restituito tutto in termini di bellezza. Gli diceva sempre lei, come stregata. Gli accarezzava i capelli riccioluti con ammirazione prima di stampargli un bacio sulla fronte, che Fitz accettava malgrado pur di farle un piacere. Sempre sfuggente persino ai suoi stessi famigliari, Fitz non ricorda un solo momento in cui abbia davvero voluto una cosa intensamente, così tanto da desiderare di lasciarci la pelle. E' sempre vissuto per inerzia, disincantato di quel mondo che vedeva interpretava sempre in sfumature diverse. Lontano dalla dimensione terrena, eppure così fisico nel suo approcciarsi a quest'ultimo. Lo fissa; un'apparizione eterea, venuta giù da altrove. Lo trova bello, non in un modo convenzionale. Non lo ha mai visto così. Ne è attratto. E' attratto da questa situazione, si sente le budella arrovellarsi su loro stesse all'idea di averlo fatto arrabbiare, all'idea di essere a sua volta arrabbiato. Quella rabbia è venuta giù dal nulla, qualcosa che non ha saputo controllare. Lui, maestro del controllo per eccellenza, piegato al volere di sentimenti così contrastanti. Non si è mai sbilanciato, mai sul serio. Eppure, poco prima dell'arrivo al campo estivo, qualcosa nell'animo di quel Fitzwilliam Gauthier è cambiato, come se improvvisamente una forza a lui esteriore avesse iniziato a spintonarlo da una parte all'altra, scaraventandolo in situazioni disparate. Da predatore a preda, da cacciatore ad agnellino indifeso. E l'aveva contrastata, l'aveva contrastata con tutto se stesso, finché non ce l'aveva fatta più. Ed eccolo, stretto nella morsa di uno dei suoi peggiori incubi, mentre il petto si scontra contro la barchetta consumata dal tempo. « Ti lascio andare se mi prometti di fare il bravo. »
    tumblr_inline_ocz1fnTgNB1usmayz_250
    Le riconosce quelle parole, è una cosa molto da Fitzwilliam, e Arthur gli somministra la sua stessa medicina non senza una dose intrinseca di cattiveria. Ma non sembra esserne infastidito, anzi scoppia a ridere con una parvenza di malignità intrinseca. Gli piace questa dimensione in cui è capitato, quella in cui è lui a perdere il controllo, in cui è lui a lasciarsi andare come se un domani non esistesse, come se l'intero mondo potesse esplodere in quel preciso istante senza che lui se ne accorga. Il disincanto del mondo smette di esistere, smette di esistere qualunque cosa li circonda. C'è solo Fitz che si concentra sul respiro di Arthur, controllato eppure colmo di un desiderio cieco, come cieca è la rabbia che lo assale. Lo ha lasciato e adesso vuole fargliela pagare. Lo ha lasciato e adesso si sfoga. Dopo tutti quei mesi reagisce; reagisce esattamente come Fitzwilliam avrebbe voluto che reagisse sin dal principio. Perché è sul quel territorio che gioca il giovane Gauthier, quello in cui porta le persone al limite della sopportazione finché non possono fare altro se non abbandonarsi ai loro istinti più reconditi. E' quella la bellezza del mondo, quello l'incantesimo per eccellenza. Un pizzico di follia che sotto l'attento intervento di luci e ombre, dipinge una realtà che vale la pena di essere esplorata e vissuta fino all'ultimo respiro. Voglio di più sembra dire il suo corpo che si spinge contro quello del ragazzo mentre abbandona la testa sulla spalla di lui, lasciandosi guidare da quel respiro affannato, mentre gli sorride con un che di prettamente malizioso. C'è il diavolo negli occhi di Fitzwilliam, pur non essendoci nessun diavolo lì. Gauthier è posseduto dalla follia, dalla sua stessa dipendenza di spontaneità; è posseduto da una forza irrefrenabile che lo spinge a premere il piede sull'acceleratore di continuo, come se lui non potesse mai farsi del male, come un essere immortale che vive nutrendosi della linfa vitale altrui, della loro felicità, della loro soddisfazione. « Allora, esattamente, com'è che vuoi giocare? Chi detta le regole e chi le subisce? » E accelera Fitzwilliam; senza preavviso gli dà tutto se stesso mentre una voce proveniente da lontano sembra richiamarlo a sé. « Forza, tesoro, gioca con me. » E lui gioca, all in. Come forse non lo ha mai fatto con Arthur, come non ha mai desiderato farlo. Si lascia travolgere da quel senso di inettitudine, dall'impossibilità di sfuggirgli. Lo lascia muoversi liberamente, mentre il braccio rimasto libero si aggrappa al suo collo costringendolo a far aderire completamente i loro corpo. Un gioco di respiri, di luci e ombre, di anime tristi e vuote che si incontrano nell'unica danza che conoscono, l'unica forma umana di sapiente piacere che si sono mai davvero concessi. E sembrano passare ore, quando in realtà sono solo minuti. Sembrano passare anni, quando in realtà erano solo istanti. Il corpo del giovane si inarca, chiede e brama, famelico di non averne mai abbastanza. Ha raggiunto una forma di perfezione che raramente ha conosciuto, ha raggiunto una forma di collisione con il suo piccolo pupazzetto di pezza che non ha mai nemmeno immaginato fosse possibile. Lo vede finalmente per quello che è. Un suo pari; non un infimo schiavetto, non un figlioletto da curare, non un caso umano da proteggere. Arthur è per la prima volta il suo amante, degno del suo interesse, degno delle sue attenzioni, dei suoi gemiti e dei pugni che si stringono in attesa del momento ultimo, quello in cui il piacere arriverà al suo culmine. Si è lasciato non per chiedergli scusa, non certo per farlo sentire più uomo; non lo ha fatto per pietà e tanto meno per bisogno di lavarsi la coscienza. Fitz, della coscienza non se ne fa niente, non le è mai piaciuto considerarla come sinonimo di moralità. Lo fa perché non ha scelta, e al contempo di scelte ne ha sin troppe. L'unica che riconosce è quella. Abbandonarsi fino a non capire più niente. Finché i loro corpi sono in una tale sintonia da non poter fare a meno di esplodere, lasciar venire fuori tutta quella folle foga che lo ha assalito tutto ad un tratto. Poi il buio, mentre il respiro ancora pesante limita le sue capacità motorie.

    When I wake up I’m afraid, somebody else might take my place, somebody else might end up being me

    tumblr_n4kflav9OW1qan0hfo7_250
    Ossa di vetro. E' così piccola che sembra venire inglobbata da quelle braccia. Ansia e per un secondo le loro coscienze si amalgamate, come fossero la stessa. Due in uno. Si gira di scatto, premendo le labbra contro quelle di lui. Gli occhi ancora chiusi cercano con bramosia quelle labbra che ricorda morbide e gentili. Spietato. E' la nuova parola che attraversa la sua mente come una saetta, mentre quella coscienza frastornata, confusa, buia, ormai lontana, si prosciuga lentamente da lei. La mano dalle dita affusolate, si precipita verso il volto di lui, accarezzandogli il leggero accenno di barbetta. E poi è sola. Per la prima volta, lei è. Semplicemente esiste. E non c'è più niente e nessuno che le ricorda perché e come è arrivata lì. Ha i ricordi di lui, ma è come se la creatura che ha di fronte non la riconoscesse, è come se non le appartenesse, come se tutto quel mondo fosse venuto giù dal nulla. Ed è allora che apre gli occhi e capisce. Nuda in uno specchio d'acqua illuminato dai pallidi raggi lunari. Si guarda attorno come se avesse appena scoperto qualcosa di altro. E' sempre stata lì; ha sempre vissuto tutto ciò che ha vissuto lui, ma al buio. Non sapeva dare un nome agli oggetti, alle azioni da lui compiute. E adesso eccola; quelli sono alberi, quello è un molo, quella è una barca. I suoi capelli sono corvini, gli occhi scuri come quelli dell'altro. Ma nei suoi occhi c'è qualcosa di diverso, nelle sue movenze lente, macchinose, confusionarie c'è qualcos'altro. Com'è finita lì? Come ha fatto a raggiungere il mondo, a vederlo di persona? Se lo è sempre immaginato, attraverso la mente di lui, lo ha sempre bramato. Ha sempre bramato sentire le labbra di sua madre sfiorarle la fronte, sentire i fili di grano solleticarle i palmi. Ha sempre voluto prendere in mano un pennello e strofinarlo su una tela bianca. Perché in fin dei conti, lei è lui, eppure non lo è affatto. Le piacciono le stesse cose, ama le stesse cose, eppure è come se le evitasse come la peste. Perché lei lo conosce. Sa com'è fatto e non le è mai piaciuto. Si sente sperduta, e allora come per istinto cerca conferme negli occhi del biondo. Arthur, si chiama Arthur. Come il leggendario Pendragon. Inclina la testa appena di lato, e poi, le iridi chiare di lui incontrano quelle di lei. D'istinto il battito cardiaco di lei aumenta, aumenta vertiginosamente. « Forza, tesoro, gioca con me. » E' stato lui. Quegli occhi. Sono stati quegli occhi. Non hanno niente di umano, non per lei. Scuote la testa e lo spinge via impanicata, come se avesse appena visto il diavolo in persona. E' l'incubo, il suo peggiore incubo. Quello che ha visto così spesso nel buio, là dove non c'era né luce, né ombra. Ma c'era lui, sempre a chiamarla, sempre a chiederle di venire fuori a giocare. Si aggrappa alla barchetta cercando di salirci per tornare sulla terra ferma. Le basterebbe solo riuscire a salire per poi aggrapparsi al molo e scappare lontana nel buio tra gli alberi. Ma non ci riesce. Non riesce a salire su quella dannata barca. La forza nelle braccia sembra abbandonarla. Scivola mentre cerca di tenersi lontana dal mostro. E' così quando si viene al mondo per la prima volta. Si piange, si urla. La troppa luce dà fastidio, l'improvviso rumore spaventa, la presenza di qualcuno o qualcosa oltre al nulla, è terrificante. Questa creatura è vissuta nel buio da sempre, in incubazione nella mente brillante di un giovane, nell'ombra del quale si è beata. Ora è fuori, invocata dall'incubo, disturbata con irriverenza dal suo personale oltretomba sulla terra. Ci stava bene lì dentro. C'erano volte in cui avrebbe voluto vedere ciò che lui vedeva, ciò di cui lui tanto si meravigliava, ma il più delle volte, non ne sentiva la mancanza. Il mondo è un posto brutto. Privo di speranza, è crudele e cattivo e gli esseri che lo popolano non sono né belli abbastanza da restarne incantati, né buoni abbastanza da bramarne la purezza, e dall'altro canto, non sono nemmeno l'opposto di tutto quello. Nascere è cadere nella mediocrità, è ammettere di invecchiare. Nascere è morire, e tutto ciò che vi accade nel mentre, altro non è che una dolce agonia di cui si può fare volentieri a meno. Lei ne farebbe volentieri a meno. Lei vuole il suo buio, il suo pezzo di paradiso fatto di vuoto e nulla. Urla spaventata, mentre si aggrappa alla barca. Lo sguardo si volta solo per un'istante nella direzione dell'altro, prima di tornare a celare gli occhi di carbone contro la superficie di legno grezzo, quasi come se quel oggetto fisico potesse inglobarla, come Fitzwilliam Gauthier l'ha inglobata quasi diciotto anni fa. Che cosa le ha fatto? Perché lo ha fatto? E ora come torna a casa sua?

    You’re too mean, I don’t like you, fuck you anyway
    You make me wanna scream at the top of my lungs
    It hurts but I won’t fight you; You suck anyway
    You make me wanna die, right when I


     
    .
  8.     +1    
     
    .
    Avatar

    👿👿
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    357
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Le volte in cui l'aveva sentito non erano state tante. A dirla tutta anzi, erano state ben poche, e la maggior parte delle volte fraintese. Arthur non era ancora stato in grado di capire cosa gli fosse successo, quella notte di circa un anno fa, quando la cera color sangue di quelle candele si era insinuata sotto i suoi vestiti, salendogli sinuosamente attraverso il corpo per insinuarsi attraverso ogni suo tessuto. Aveva fatto male, aveva bruciato, lo aveva annientato. Un dolore inconcepibile, impossibile da descrivere a parole. Una sofferenza inumana, diabolica e spregevole. Lo aveva distrutto, l'aveva costretto ad inginocchiarsi per terra, gemere sotto quella disperazione, sino a sperare di morire. E l'aveva pensato, l'aveva pensato sul serio di esser morto. Quando le tenebre si erano impossessate di lui, inducendolo a chiudere gli occhi e lasciarsi andare, inerme, su quella porzione di terra dalla quale nulla avrebbe mai più germogliato, aveva pensato di esser morto. Per qualche momento aveva smesso di essere. Era precipitato in un abisso d'oscurità, caldo, opprimente e fin troppo stretto. Aveva provato a muoversi, ad urlare e scappare, ma era stato inutile. Ed aveva avuto paura, una fottuta paura. E quando aveva avuto paura, una risata riecheggiante l'aveva risvegliato. Una risata metallica, a dir poco agghiacciante, antica come il peccato stesso. Aveva riaperto gli occhi, che per qualche istante erano stati completamente neri, per poi tornare al loro colore di base. Un azzurro glaciale, fin troppo chiaro, senza parvenza di calore alcuno. Senza parvenza d'umanità alcuna. Era rinato, Arthur, dalle sue stesse ceneri. Era rinato e l'aveva fatto come altro. Mi senti? Quella voce, da quel giorno, l'avrebbe accompagnato quotidianamente. Ma non vi aveva fatto poi tanto caso, perchè in fondo, lui di psicopatie ne aveva sempre avute tante. Fin quando un giorno non l'aveva rivisto, e qualcosa aveva tremato dentro di lui. Qualcosa si era risvegliato, spezzando quelle barriere narcotizzate che il biondo era stato tanto bravo ad instaurare, seppur in maniera del tutto involontaria. « E' lui? » Aveva chiesto, ed Arthur aveva scosso la testa. In quelle situazioni non sapeva mai cosa fare. Quando il suo Incubo decideva di farsi sentire, Arthur non sapeva mai cosa fare. Si palesava nei momenti meno opportuni, la maggior parte delle volte riemergendo da allucinazioni dovute alla droga, tanto da confonderlo con gli effetti di quest'ultima. « Oh certo che è lui » Lui, lui chi? Colui che amava. Colui che era riuscito ad entrare nel suo cuore e mettervi radici. L'Incubo lo sapeva, l'aveva visto. L'Incubo sapeva tutto, di lui. Sapeva del loro primo incontro, delle giornate trascorse assieme, dei baci, delle risate, del dolore. « Dovresti restituirgli il favore, farlo soffrire come lui ha fatto con te » No. Aveva digrignato i denti, Arthur, poggiandosi le mani sulla testa e tirandosi con forza i capelli. No, no, no. Lui non voleva fargli male. Fitz era roba sua, e quel fottuto demone non avrebbe dovuto intromettersi. Fitz era roba sua e quella merda non avrebbe dovuto contagiarlo. [...] « Non volevi contagiarlo, mh? » Ad oggi, eccolo di nuovo. Eccola quella voce, a spingere contro le pareti del suo autocontrollo. Pulsa, pulsa così tanto da fargli male. Più tenta di non ascoltarla, più è forte. Più tenta di ignorarla, più cresce. Il corpo di Fitz è vicino, tremendamente vicino. L'ha desiderato per così tanto tempo, l'ha bramato per così tanto tempo, che adesso sembra quasi non credere di averlo lì, a portata di mano. Non crede alle sue mani che vagano lungo il suo petto e le sue braccia, percorrendo quei tatuaggi che lo rendono un'opera d'arte più di quanto non lo sia già. Non crede ai loro sospiri che si infrangono, a quei sorrisi taglienti che si scambiano, alla sua lingua che vaga lungo il collo di lui assaporandone il gusto proibito. Non crede a tutte queste cose, eppure sono lì, reali. Fitzwilliam è reale, ciò che stanno facendo è reale. E lui vuole di più, loro vogliono di più. Per qualche tempo Arthur si era convinto che avrebbe potuto sostituirlo, Fitz. Che avrebbe potuto dimenticare quel desiderio che provava ogni volta che lo vedeva, quell'eccitazione tanto travolgente da fargli male. Il suo respiro caldo sulla pelle, la sua risata, il suo braccio stretto attorno il suo collo e le sue dita impresse nella carne. Se lo vuoi così tanto, perchè non vai a riprendertelo con la forza? Gli aveva chiesto una volta, ed Arthur l'aveva ignorato. Sei forte, siamo forti. Imbattibili. Faglielo assaggiare sulla sua stessa pelle. Fagli smettere di crederti un ragazzino del cazzo. Lo ignorava sempre quando parlava di Fitz. Era geloso di lui, era una parte di sè che non avrebbe mai voluto mostrargli. Troppo importante per essere contaminata. Ma eccolo oggi, al contrario di tutto, mentre si lascia guidare dai movimenti di lui, aderendo completamente a quel corpo perfetto. Il respiro affannato, le mani che continuano a vagare lungo il suo petto per poi affondare tra i suoi capelli, stringendo i riccioli umidi tra le dita. Ha sempre amato quei riccioli di mogano, così diversi dai suoi, di capelli, simili a fili di grano maturo. Fitzwilliam ed Arthur sono sempre stati diversi. Uno l'opposto dell'altro, eppure oggi sono uguali. Oggi le loro menti sono collegate in un richiamo antico, profondo, ben più grande di loro, ben più grande di qualsiasi altra cosa. Lo vede sorridergli, scorgendo i suoi occhi scuri nella penombra. Quella malizia lo accende ancora di più, distruggendo qualsiasi sprazzo di lucidità. Si lascia andare al desiderio, Arthur, abbandonando ogni remora, ogni dubbio. Quella voce continua a scuoterlo da dentro, ma ignora persino lei. Sono solo loro due, solo le loro anime mortalmente tossiche, avviluppate tra loro in un legame necessario. Ed infine, anche i loro corpi si uniscono. Quel desiderio tanto anelato finalmente gli si concede, ed Arthur lo prende, senza pensarci due volte. Anche se volesse, non riuscirebbe a pensare. E' lì, il petto completamente aderente alla schiena di lui, le labbra che cercano le sue. Gli è mancato, gli è mancato così tanto. La prima spinta è rabbia. La seconda è vendetta. La terza è desiderio. La quarta è dipendenza, la quinta ha una parvenza d'amore, finchè non perde il conto. E passano i secondi, che si trasformano in minuti, ma non se ne accorge nemmeno. Il tempo sembra essersi fermato per lasciar spazio ai loro demoni di liberarsi. Quei due abissi d'oscurità li vede, mentre continua a stringerlo tra le braccia, e ci si perde dentro, ci si perde dentro come un tempo, ma ciò non lo ferma comunque. Sono in sintonia, forse come non lo sono mai stati prima d'allora. Siamo imbattibili, ed Arthur si sente forte. Si sente di essere e non essere allo stesso tempo. E Fitzwilliam è il suo punto di forza. E' il centro del suo mondo, il culmine del suo desiderare. Desiderare costantemente qualcosa che ha sempre avuto lì a portata di mano ma non ha mai avuto il coraggio di riprendersi. Ma ora lo sta facendo. Adesso è lui a dettare le regole, e ogni suo movimento, ogni suo affondo, sembra voler dire sei mio, non scappi. E Fitzwilliam appartiene ad Arthur tanto quanto Arthur appartiene a Fitzwilliam. E sono entrambi burattini e burattinai in quel gioco di passioni violente, perchè se sono arrivati a quel punto è solo perchè lui gliel'ha permesso. E' solo perchè Fitz ha finalmente deciso di credere in lui, considerandolo un suo pari, burattinaio e burattino al tempo stesso. Ed infine, passioni violente hanno violenta fine. Stringe le dita contro il collo di lui, percependo il battito del suo cuore attraverso la carotide. Quel cuore batte, all'impazzata, e lo fa per lui. Ed esplodono infine, svuotandosi di tutti quei desideri nascosti e quella foga per anni celata. Ed è sfinito, Arthur, ma completo.

    « E lei chi è? » Buio, buio completo. Stava camminando, da ore ormai, ma non sentiva alcun sintomo di stanchezza. Le braccia a penzolare lungo i fianchi, lo sguardo fisso verso l'orizzonte. Ed era lì che l'aveva vista. Bianca, candida, pura. I capelli scuri le ricadevano lungo le spalle, la pelle diafana traspariva attraverso quel velo trasparente che la ricopriva. Era bella, aveva pensato, di una bellezza rara, ricercata, che non aveva mai visto prima. « Lei è il mio giocattolino. » Aveva risposto quella voce metallica. Arthur si era girato e l'aveva visto. Nei suoi sogni lo vedeva sempre: gli somigliava tremendamente. Viso scavato, occhi incavati nelle orbite, eppure gialli, inumanamente gialli. In quello sguardo, il male del mondo. Il peccato originario. La mela di Adamo ed Eva. « Come può una creatura così pura essere il tuo giocattolino? » Aveva chiesto Arthur, l'espressione scettica, mentre continuava a camminare verso di lei. L'Incubo aveva riso, scuotendo l'atmosfera e rendendola sempre più cupa. Ma lei, nonostante tutto, rimaneva lì. Lei, nonostante il buio di quel posto, rimaneva luce. « Ho deciso di chiamarla Guenievre, è di origine celtica, 'l'incantatrice bianca'. Tu di certo non puoi capire un tale accostamento. » Questa volta, era stato Arthur a ridere, staccando finalmente lo sguardo dalla creatura per insinuarlo sul demone, il suo demone. « Non ci credo, ti inventi un nome diverso per tutte le tue scopate? » L'Incubo aveva scosso la testa, stringendosi nelle spalle. Incredibile quanto gli somigliasse, e al tempo stesso fosse così tanto diverso da lui. « Oh ma lei è di più, lei è molto di più, te ne accorgerai. »


    Darling don't be so shy,
    I'll see you at midnight and when I close my eyes.
    I said it three times, I said it three times,
    You make my world spin, placebo feelings.
    And in the morning I'll wait to see you again.

    « Eccoti, finalmente » Spalanca gli occhi Arthur, il respiro ancora affannato mentre si perde in quell'ultimo bacio. Le sue mani gli accarezzano il viso, e lui ricambia con le proprie, che vagano attraverso la sua schiena mentre la stringe a sè. Quel fantasma bianco aveva popolato i suoi sogni per tanto tempo. L'aveva vista tante di quelle volte, che ormai vi aveva fatto persino l'abitudine. Non ci aveva fatto poi tanto caso, in fin dei conti, perchè di droga ne assumeva tanta, e sognare cose del genere era all'ordine del giorno per uno come lui. Eppure lei continuava ad esserci, e lui nei sogni continuava a chiamarla. Ma ogni volta che riusciva a raggiungerla, oltrepassando quell'opprimente buio che li separava,quel fantasma si dissolveva nel nulla. Quel legame si spezza all'improvviso, e la vede, forse per la prima volta riesce a vederla. Pelle candida, occhi di mogano e capelli scuri. Gli somiglia così tanto e così poco al tempo stesso. E' nuda, completamente nuda immersa con solo metà del corpo nello specchio d'acqua. Ed è bella, bella come la Guenievre del suo sonno. La Guenievre del suo Incubo. Ma non la riconosce in un primo momento, quindi indietreggia non appena le dita affusolate di lei si pressano contro il suo petto per spingerlo via, e per poco non inciampa. Gli manca ancora il respiro, e le sue capacità motorie non sono ancora delle migliori. « E tu chi cazzo sei? » Asserisce dunque, confuso e scettico al tempo stesso. Ma lei non lo ascolta, si gira per scappare da lui e tenta di aggrapparsi alla piccola barca malconcia che galleggia vicino a loro. « Non farla scappare » Si morde il labbro inferiore con forza, fin quando non sente il gusto del proprio sangue inondargli la bocca. Silenzio, voglio silenzio. Quando si fa male, l'incubo si fa male, come un parassita, e quindi quello è l'unico modo per controllarlo. Un urlo spaventato squarcia il silenzio, mentre la ragazza si aggrappa alla barca. Ma Arthur si spinge in avanti, ormai riacquistato un minimo di lucidità, e la tira per le spalle, costringendola a girarsi verso di lui. La fissa, una scintilla di follia a brillare in quello sguardo di ghiaccio. « Dov'è lui, che hai fatto? » Ruggisce, mentre la strattona contro il legno e le dita affondano con violenza nella sua carne tenera. Lui dov'è, ridammelo, non puoi portarmelo via proprio adesso. Lo vuole, lo rivuole indietro. Fitz, il suo Fitz. « Dimmi dov'è, altrimenti.. »
    tumblr_n17eb4q8IX1ql5hv8o4_r1_250
    Sussurra di nuovo, a denti stretti. Potrebbe farle male, potrebbe metterle le mani al collo e stringere fino a toglierle la vita. L'ha già fatto in passato, decidere a chi dare morte. E quell'istinto rimonta dentro di lui, l'assassino prevale sul debole adolescente. La presa sulle sue braccia si fa più forte, sempre pi forte, fin quando..Uno scatto. Allenta la presa e cala lo sguardo, fin ora fisso nei suoi occhi spaventati. « Dimmi dov'è, ti prego.. » Sospira, il tono di voce implorante. Arthur ritorna, l'assassino svanisce. Ed è in quel momento che la riconosce. Alza la testa di scatto « Gwen...Guenievre. » Sei stato tu. Una risata gli esplode dentro, così forte da fargli male ai timpani. L'ha ingannato. « Non fare il melodrammatico, ti ho lasciato divertire, ora è il mio turno. » Allenta la presa, indietreggiando. « No, no, no, non ti permettere a scappare, o renderò la tua vita un inferno. » Lo è già. « Chi, o meglio, cosa sei? » Era bella, aveva pensato, di una bellezza rara, ricercata, che non aveva mai visto prima. Sospira, confuso. L'acqua accompagna i suoi movimenti mentre le si avvicina di nuovo, coprendolo fino ai fianchi. « So che vuoi scappare, ma non puoi. Non so perchè, non so chi tu sia, ma in qualche modo hai attirato le attenzioni della.. » « Non dire persona, sei ridicolo » « Del demone sbagliato. Ed io, che tu ci creda o no, sono l'unico che può tenertelo lontano. » « Non lo farai... » Cristo, è terrorizzata! « Pensi che possa fregarmene qualcosa? » « Quindi..Collaboriamo. » Le stringe le braccia contro i fianchi, per aiutarla a sedersi sul bordo della barca. « Tu prima di scappare mi dici che fine ha fatto Fitz, ed io cercherò di darti qualche minuto di tregua almeno per nasconderti. Altrimenti..Fidati, sono l'ultima persona che ti conviene farti nemica in una situazione del genere. » Ma lei, nonostante tutto, rimaneva lì. Lei, nonostante il buio di quel posto, rimaneva luce. « Che stronzo » Ho imparato dal migliore.
     
    .
  9.     +1    
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Maghi Adulti
    Posts
    1,256
    Reputation
    +491
    Location
    Wonderland

    Status
    Waiting!
    « Dov'è lui, che hai fatto? Dimmi dov'è, altrimenti.. » Le dita di lui si stringono attorno alle braccia di lei. Le fa male, ma è come se non lo sentisse. Si specchia in quelli occhi di ghiaccio colmi di emergenza, ancora bramosi di amore, e come per miracolo, la paura si prosciuga via da lei. L'urlo le muore in gola, la paura si disintegra dalle sue membra con la stessa velocità con cui è arrivata. È lì, esiste, intenta a capire cosa il ragazzo le stia chiedendo, ma tutto ciò che individua, oltre quelle parole dure, è il dolore. Un dolore lacerante che sembra divorarlo da dentro. Dietro quelle pupille si cela l'origine stessa della sofferenza, così potente da spezzarle il cuore. Vorrebbe piangere per quanto stia vedendo, per quanto sta osservando. Ispira per la prima volta consapevolmente. Questa è aria, questo è il cielo, questa è acqua. Acqua che circonda i nostri corpi nudi. Non riconosce la vergogna come un suo tratto distintivo; se esiste, Gwen non l'ha ancora provata e non la prova con il giovane che si ritrova di fronte. È come se non provasse nulla, ed è come se al contempo provasse tutto. Tutto insieme, un tripudio di sentimenti che le esplode nel petto. Un arcobaleno di colori così vivido che impressionerebbe anche gli occhi dell'essere più disincantato. E' una scatola vuota, si sente come tale, eppure già il fatto che riesca a definirsi come qualcosa, non la rende del tutto vuota. E' come se non avesse mai sperimentato tutto e al contempo è come se avesse visto molto più dei suoi coetanei. E' nata, ed è caduta nel tempo, ha cominciato a invecchiare, eppure è come se da un certo punto di vista si senta come estemporanea, intoccabile, inalienabile. Lei c'era prima di questo ragazzo, c'era prima di qualunque altra ragazza o ragazzo abbia amato il suo ospite, c'era prima che sua madre potesse toccarlo per la prima volta. Lei, c'era anche quando nessun altro c'era per lui. Hanno condiviso la stessa sacca amniotica, si sono stretti in quell'abbraccio interminabile, quasi come se non dovessero mai separasi. Lei c'era, e per salvarlo ha compiuto il sacrificio ultimo. Lo ha lasciato vivere, attraverso di lei. E lei c'era; c'era quando tutto era buio, e per lei, è rimasto tutto buio anche dopo. Ora lo ricorda. Ricorda quel buio, la sensazione di caldo e di ovattato. Vivere le esperienze sempre attraverso di lui. Esistere, senza esistere mai. Ed è proprio questo concetto a suscitarle quell'amore incondizionato nei suoi confronti. Fratello, noi ci siamo stati sempre. Prima ancora di esistere, noi c'eravamo già. L'uno per l'altro ci siamo sempre stati. Ma poi tu mi hai dimenticato. Ed io sono vissuta nella tua ombra. E ti ho amato, e ti amo. Ma amo anche tutto ciò che tu non sarai mai in grado di amare. E per questo, ti odio anche. Amore e odio. I sentimenti primordiali. Sono i primi a comparire. Poi arriva l'alienazione, lo scarso equilibrio mentale, la confusione, il terrore dell'ignoto. L'incubo a occhi aperti. « Dimmi dov'è, ti prego.. » Tu non hai mai pregato. Non hai mai bramato niente a tal punto da pregare. Non hai mai pianto per nessuno. Non hai pianto nemmeno per me. E per questo, ti amo, e ti odio anche, Fratello. « Gwen...Guenievre. »
    tumblr_mzvneygkxg1qbu376o2_250
    E così che mi chiamo? Le piace. Non sa perché ma immagina quella sensazione sia compiacimento. Ha una sonorità molto delicata. Sa di qualcosa di molto elegante. E lei, quasi a cercare di fargli capire che sì, è lei, gli rivolge uno sguardo intenso, colmo di una sincerità lampante, innocente. Mentre lui si allontana, lei dischiude appena le labbra, quasi dispiaciuta di farne a meno di quel contatto. Quelle mani sulla sua pelle bruciano ancora, anche nella loro assenza, come se fossero destinate a essere lì. Come se ogni lembo di carne gli appartenesse. Appartenenza. Ed è un'altra sensazione, nuova, contorta, da una parte positiva, dall'altra, in un certo qual modo negativa. Fitzwilliam direbbe che le persone dovrebbero appartenere unicamente a loro stesse. Indipendenza, la definirebbe. Eppure, lei, questa indipendenza la trova strana, precaria, difficile da raggiungere. Impossibile. « Arthur » Io so chi sei. Io ti conosco. Un sussurro, un nome, che sembra valere più di mille spiegazioni, più di mille parole, che non saprebbe in ogni caso esprimere. Non ancora. « Chi, o meglio, cosa sei? » Non sa cosa rispondergli a quella domanda. E si sente in colpa, quindi scuote appena la testa. Ed eccola, la vergogna. La vergogna di non essere all'altezza di sapere. E insieme alla vergogna arriva la confusione, il desiderio di sparire, arriva l'agitazione che le monta forzatamente nel petto. Si guarda di scatto attorno più scossa di prima, quasi come se di scatto tutte quelle domande che non sa porgere, le esplodessero a loro volta in testa insieme alle emozioni. Chi sono? Da dove vengo? Perché mi hai chiamata? Stava bene Gwen. Nel suo buio, Gwen, stava bene. Non aveva bisogno di quel mondo, perché quando non si conosce qualcosa, non si ha bisogna di quel qualcosa. Eppure ora si sente diversa. Ora brama di conoscere questo nuovo mondo in cui si trova, vuole tastarlo, comprenderlo, ammirarlo. Vuole.. dipingerlo. Vuole dipingere i suoi occhi, tracciarli su una tela e specchiarcisi dentro ogni qual volta ne abbia voglia. Voglia. Desiderio. Scelta. Cose nuove, sensazioni nuove. « So che vuoi scappare, ma non puoi. Non so perchè, non so chi tu sia, ma in qualche modo hai attirato le attenzioni della.. del demone sbagliato. Ed io, che tu ci creda o no, sono l'unico che può tenertelo lontano. » Demone. Quella paura la fa tremare e così, indietreggia appena. Ma quegli occhi la incatenano e la incantano. E ciò che Gwen vede, non sono gli occhi del demone, non è la loro malignità. Sotto uno strato di oscuri segreti si cela lui. Arthur. E lei lo vede, nel suo tripudio di dolore e insicurezza, in una debolezza che riconosce come sua. Parassita come me. Solo che un altro tipo di parassita. « Quindi..Collaboriamo. Tu prima di scappare mi dici che fine ha fatto Fitz, ed io cercherò di darti qualche minuto di tregua almeno per nasconderti. Altrimenti..Fidati, sono l'ultima persona che ti conviene farti nemica in una situazione del genere. » Le mani sui fianchi, la sollevano con facilità, dandole la possibilità di sedersi a bordo della piccola imbarcazione. Si porta le ginocchia al petto mentre continua a fissarlo. Non sa se quel tremore sia dovuto al freddo, al terrore, o a qualcos'altro. Certo è che è tutto strano. Non percepisce la pericolosità delle sue parole. Tu non mi fai paura. Non puoi farlo. Tu e lui siete la stessa cosa, ma tu sei più forte. Lo diventerai. E allora la sofferenza si prosciugherà via da te. Lo sguardo si dirige in tutte le direzioni, come se volesse catturare il più possibile di quel mondo che non ha mai visto e che in cuor suo ha sempre bramato. E' questo ciò che vedevi? Questo mondo, questa vita; è tutto così perfetto. E poi c'è lui. Perché lo hai fatto soffrire? Perché fai soffrire sempre tutti? Un colpo di vento le scompiglia i capelli e allora lei chiude gli occhi e si lascia trasportare da quella bellissima sensazione che l'avvolge in tutta la sua perfezione. La pelle diafana appena solleticata dalla freschezza delle notti d'estate. Infine, gli occhi scuri di lei si dirigono verso l'avambraccio di lui, là dove l'albero perde foglie di continuo. E per un secondo, lo afferra con delicatezza da lì dov'è aggrappato alla barchetta. L'indice ne segue le nette linee, fino a toccare al centro del suo palmo. E allora, per un secondo, solo un secondo, le foglie scompaiono e al loro posto piccoli fiori rosei fioriscono. Con un solo tocco. E lei accenna un sorriso mentre osserva quella meraviglia diradarsi di fronte ai suoi occhi non appena il contatto svanisce. La senti anche tu? La vita. La rinascita. « Tu non vuoi farmi del male. » Un sussurro friabile, mentre quegli occhi, così diversi, all'opposto, si scontrano nuovamente. Ed è come se fossero stati fatti per unirsi in una danza di luci e ombre, di colori all'opposto, in aperto contrasto senza mai farsi la guerra. « Tornerà.. » Dice infine con voce riflessiva, mentre inclina leggermente di lato il viso. Gli occhi come persi in quelli di lui. Non riesce a capire per quale motivo lo vorrebbe, perché lo rivuole. Non riesce a capire per quale motivo il suo ospite non vuole questo Arthur. Perché Fitzwilliam? Perché non vuoi mai nessuno? Che cosa ti ha fatto questo mondo? Cosa ti ha reso così.. crudele. « Non è stato lui » Afferma infine, volgendo lo sguardo verso il cielo. Quella è la Luna. Così bella. Io sono la Luna, lui è il Sole. Sa chi l'ha chiamata, sa chi l'ha riportata al mondo. Ma raccontarsi la storia di una nascita venuta su dall'odio, dal più profondo delle viscere della terra, è qualcosa che questa creatura non riesce a concepire. E così alza appena le dita affusolate portandole in direzione del suo petto, puntando con l'indice il cuore, mentre gli occhi si perdono nel vuoto alle spalle del biondo. « E' stato il dolore » Dolore. Quella parola pronunciata per la prima volta dalle sue labbra, ha una tale enfasi che riesce a esprimere tutto il significato più profondo della parola. « Il tuo » E ora non devi più soffrire. Non voglio che tu soffra. E così dicendo, si avvicina appena al bordo della barchetta, sporgendosi in avanti. Le labbra si poggiano delicatamente sulla sua fronte, ignorando a tutti i costi quanto di viscido attanagli quel suo animo tormentato. « Ha bussato alla porta sbagliata. » La Loggia sbagliata. E dicendo ciò si erge in piedi, ben attenta a mantenere l'equilibrio. Con non molta difficoltà, salta dalla barchetta sul molo. Da qualche parte non molto lontano da lei, un cumulo di vestiti, e un'altro ancora. E lei non se ne cura. Si erge sotto la luce lunare in tutta la sua bellezza, prima di compiere un primo passo. Il suo primo passo. E poi un altro e un altro ancora, mentre i dettagli più vividi si dispiegano di fronte ai suoi occhi. Sa che è una breve gioia violenta che si concluderà col buio. Lei non può rubargli la vita. A quella ha rinunciato molto tempo fa, quando ancora loro due non c'erano proprio. Ma è lieta di vedersi viva anche solo per poco. Anche solo per un istante di pura, immensa bellezza. E così, si spinge sempre più lontana. Tra gli alberi e le fronde di quell'isolotto, accarezzando ogni dettaglio nuovo, prima con gli occhi, poi con le mani, per sentirne la consistenza. E poi, dopo chissà quanto tempo, Gwen è di nuovo nel buio. Mi chiamo Gwen, ho diciassette anni, e oggi ho visto il mondo per la prima volta.
     
    .
8 replies since 9/8/2017, 22:52   224 views
  Share  
.