Hymne à la beauté

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    (Mi senti?)
    Le dita di Edric si fermarono. Il viso si sollevò piano, le pupille si dilatarono poco a poco come sotto l'effetto di una qualche droga allucinogena. Ma non c'era nulla nel sangue del Serpeverde, no, nessun farmaco: era piacere. Forse proprio per l'assenza di farmaci, finalmente era accaduto ciò che segretamente Sanders aspettava da settimane. Finché era rimasto al castello, preda di una qualche forma di bizzarra diligenza, aveva buttato giù con cura la propria terapia, giorno dopo giorno, sera dopo sera. Paroxetina per l'umore, Carbonato di Litio per contrastare quella punta di mania che spesso il ragazzo tendeva a mostrare, Risperidone per i sintomi psicotici. Le allucinazioni. Erano tra le cose che avevano preoccupato maggiormente il dottor Renfield nel corso degli anni, insieme allo spettro del rischio suicidario che di tanto in tanto gli adolescenti schizofrenici mostrano. Il campo estivo aveva cambiato ogni cosa. Quella puttana l'aveva obbligato a partecipare, come sempre aveva fatto nella sua intera vita; obblighi su obblighi, costrizioni su costrizioni. Il primo giorno, nel bagno della propria sistemazione, aveva buttato una ad una nel cesso le pillole che gli sarebbero dovute bastare per un mese intero, ad eccezione delle benzodiazepine. Amava la sensazione di torpore che il Lorazepam sapeva dargli, quando l'insonnia colpiva; non che gli dispiacesse rimanere sveglio, di tanto in tanto però sentiva l'esigenza di staccare il cervello nel più brusco dei modi.
    (So che mi senti)
    Ci era voluto del tempo. Sì, lo sentiva. Lo sentiva di nuovo e non sarebbe dovuto essere un buon segno. Ogni volta che Lui si riaffacciava di nuovo alle orecchie e alla coscienza di Edric, significava che la terapia non veniva seguita adeguatamente o che, ancor peggio, si era arrivati ad un punto di stallo. Lo psichiatra l'aveva annunciato così tante volte: "Signora, la terapia di Edric sembra essere arrivata ancora una volta ad uno stadio di tolleranza. Dobbiamo aumentare la dose o introdurre un nuovo farmaco. Questo comporterà dei rischi. " I medici avevano paura che il suo fegato crollasse, che i reni cedessero, che si manifestasse neurotossicità; Edric aveva soltanto paura che la terapia funzionasse, per ritrovarsi solo in un mondo che non l'avrebbe mai accettato. Non sapeva esattamente perché avesse buttato le medicine: era il silenzio assordante nelle orecchie, tanto profondo da fargli male, o voleva solo indisporre ancora una volta la madre? Quanto la odiava.

    Accadde per caso. Era la mattina qualunque di un giorno qualunque e il serpeverde era impegnato in una di quelle attività a scelta a cui tutti dovevano sottostare, pena dei lunghi sermoni su quanto sia importante stare a contatto con gli altri e sfruttare il tempo in momenti di qualità. Odiava gli sport e non si sarebbe certo sprecato in stupide attività canore. Scelse il meno peggio, uno stranissimo corso di origami: insieme a lui, c'erano solo tre ragazze di tassorosso convinte che quei lavoretti manuali fossero la più alta forma d'arte e un corvonero asiatico. Tipico. Quanto a Edric, aveva iniziato il corso solo per zittire i piani alti del Campo ma in breve tempo aveva scoperto di essere niente male coi lavori manuali ma, soprattutto, il restare concentrato piegando e ripiegando un foglio di carta riusciva a tenerlo concentrato abbastanza da mettere in secondo piano il silenzio che nelle orecchie diveniva rumore. Ma il rumore tacque e, mentre stava piegando un foglio a righe bianche e nere dandogli una forma geometrica e squadrata, il silenzio svanì. Il suo Oscuro Passeggero era tornato, non sarebbe stato più solo. Molte persone che aveva incrociato nelle lunghe attese alla psichiatria del Craven sentivano mille voci in testa, confuse e caotiche, e così erano loro intendi a scalciare e dimenarsi per non ricevere la loro dose di tranquillante; Edric non aveva mai avuto quel tipo di problema e la sua algida compostezza lo dimostrava. Non era mai stato solo. Una sola voce lo accompagnava fin da quando era piccolo, gli sussurrava dolcemente all'orecchio, lo aiutava a capire il mondo, gli consigliava come comportarsi. Era Lui che gli aveva suggerito, all'età di soli undici anni, di nascondere nella manica della giacca un bisturi trovato nella medicheria del reparto; sempre Lui gli aveva suggerito di usarlo per aprire la pancia del dottor Fenichel, suo precedente psichiatra, e scoprire se fosse la bella persona che dicevano tutti. Fortunatamente non lo fece mai, riservando il bisturi ai gatti che gironzolavano intorno alla tenuta dei Sanders. Difficile dire se Edric fosse sempre stato un ragazzo cattivo, se sia nato così o lo sia diventato, se un seme di oscurità abbia solo atteso piogge sicure per germogliare. Aveva così tanto casino in testa da far paura e, nel marasma, Lui rise.
    (Interessante)
    Fissò il vuoto, corrucciando la fronte.
    (Hai dei nuovi amichetti)
    Deglutì, come qualcuno scoperto in flagranza di tradimento. Al suo Passeggero non era mai piaciuta particolarmente Tallulah, era geloso della fiducia che Sanders riponeva in lei. E ora che Artie era entrato nella sua vita, le cose non sarebbero andate bene. Ma c'era dell'altro e questo Lo stava divertendo enormemente; rideva sguaiatamente. Era certo che trovasse divertente la nuova fissa di Edric, una di quelle cose che nelle situazioni di normale equilibrio qualcuno avrebbe potuto chiamare cottarella estiva e che, nel suo caso, sarebbe stato più giusto classificare come nuova ossessione. Fitzwilliam. Edric conosceva Fitz da tempo, anche se se solo di vista: l'aveva visto camminare per i corridoi con la sua bella divisa blu, l'aveva visto assorto studiare in biblioteca, l'aveva visto mangiare in Sala Grande da solo o in compagnia. L'aveva visto, e spesso. Lo trovava bello e, come tutte le cose belle, Edric sarebbe rimasto un tempo infinito a scrutarlo dall'ombra senza tuttavia tendere la mano a prenderlo. Perfino nei fugaci frammenti di ricordo che aveva scorto collegandosi alla mente di Artie, l'aveva visto: era parte del suo passato, probabilmente del suo presente perfino. Conosceva le storie e i pettegolezzi, sapeva e non gli importava. Fitz era uno di quei pensieri che di tanto in tanto tornavano a galla, suscitavano un'emozione poco definita per poi nuovamente riaffondare. Tutto cambiò e l'equilibrio, già instabile, crollò su sé stesso quando una congiunzione nefasta colpì Edric: Fitzwilliam e Tallulah. Al primo bastò semplicemente palesarsi al Campo estivo: Edric lo vide per la prima volta la prima sera, intento a bere qualcosa di fronte ad un falò, assorto mentre le fiamme gli danzavano colorate sul viso di perla. La seconda riservò al serpeverde parole che lo fecero riflettere, la sera in cui gli lesse i tarocchi e gli suggerì di agire piuttosto che rimanere a rimuginare all'infinito. Probabilmente, in presa all'apatia, anche per quell'estate sarebbe rimasto ad osservare il corvonero da lontano, senza nessun desiderio particolare che non fosse ammirarlo come si fa con un'opera d'arte; ma quell'estate l'agire avrebbe preso il sopravvento. Una persona qualunque, presa la decisione che avrebbe svoltato l'intera stagione, si sarebbe semplicemente avvicinato a lui, gli avrebbe offerto qualcosa da bere e si sarebbe giocato le sue carte; Edric non era una persona qualunque, non poteva né voleva fingere di esserlo. Iniziò dunque, sera dopo sera, a mostrargli interesse in una maniera molto particolare: complice il corso di origami e una profonda insonnia, ogni notte Edric strappava una pagina da un libro di poesie che aveva trovato nella piccola bibilioteca allestita nel campo e iniziava a maneggiare il foglio, piegandolo in due, tre, quattro fino ad ottenere forme diverse, ogni sera più articolate e difficili.
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    Aveva esordito la prima volta con un uccello, che avrebbe dovuto con un po' di fantasia ricordare le fattezze del corvo appuntato al petto della divisa di Fitz, passando poi a orsi e gatti. Ogni sera, quando nel campo regnava un silenzio da far gelare il sangue e gli unici movimenti erano le ronde di sorveglianza o, chiusi in qualche alloggio, studenti intendi a far baldoria, Edric si muoveva silenziosamente nel buio e arrivava alla stanza di Fitz. Vi entrava furtivamente, combattendo contro l'oscurità, e si limitava a posare il proprio lavoro sul comodino. Gli era capitato alcune volte di trovare il corvonero addormentato e Edric era rimasto là accanto per un tempo indefinito, semplicemente osservandolo dormire.

    Così fece quella sera. Le ore notturne passavano e le dita di Edric si muovevano lentamente, ripiegando la carta che aveva strappato dal libro di poesie. Era una raccolta di autori vari, di varie epoche e nazionalità, racchiuse in quella raccolta con un criterio che tutto sommato non aveva capito né ricercato. Gli era sembrato di leggere di sfuggita Baudelaire, non era importante. Aveva già dedicato a Fitz sonetti di fine umanesimo, haiku giapponesi, brevi poemetti. Ma quella sera, tutto era diverso. Quella sera non era solo.
    (Credi che lo conquisterai, così?)
    Non credeva nulla, tutto quello non faceva parte di un piano ben congegnato per entrare nelle grazie del ragazzo. Niente di tutto quello. Sentiva semplicemente di doverlo e volerlo fare, rischiando infinite punizioni nell'infrangere infinite regole. Solo per vederlo notte dopo notte riverso sul materasso, a respirare più forte per combattere la calura dell'estate. Stava facendo in fondo quello che aveva sempre fatto, ammirarlo. Solo, un po' più da vicino. Scosse forte la testa, passandosi una mano tra i capelli di rame che ne uscirono ancora più scompigliati. « Zitto. » Zitto. Zitto! E Lui rise ancora. Il lavoro era terminato, tra le dita esili di Edric c'era l'origami di una civetta. Non restava altro che compiere l'ultima parte del rito. Si lasciò la propria stanza alle spalle e prese a camminare per i corridoi e oltre, fermandosi ogni qualvolta un rumore lo sorprendesse, immergendosi nelle ombre se una presenza si affacciasse all'orizzonte. Dovevano essere le quattro del mattino o forse anche più tardi, anche quella notte avrebbe dormito solo due ore o poco più. Ma aveva troppa voglia di continuare a far apparire il misterioso origami nella camera di Gauthier per concedersi del sonno. Cosa pensava il corvonero? Era curioso o annoiato, eccitato o inquieto? Arrivato alla sua porta, come sempre faceva rimase in ascolto per captare alcun segno di vita oltre il legno ma, come sempre, niente: fino a quel momento, Fitz o era fuori o era già addormentato. Girò lento la maniglia e si immerse tra le ombre, come un'ombra. Gli sarebbero serviti dai dieci ai trenta secondi per abituarsi all'oscurità. Dieci o trenta secondi di vacillante incertezza, l'ignoto sotto i suoi piedi, il pericolo che andava oltre la banale quotidianità.

    Résigne-toi, mon coeur; dors ton sommeil de brute.

    Esprit vaincu, fourbu! Pour toi, vieux maraudeur,
    L'amour n'a plus de goût, non plus que la dispute;
    Adieu donc, chants du cuivre et soupirs de la flûte!
    Plaisirs, ne tentez plus un coeur sombre et boudeur!





    Edited by Soffio di Fiamme Danzanti - 11/8/2017, 22:16
     
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    Fitzwilliam è nato tra i libri; quasi letteralmente. Quando sua madre è entrata in travaglio si trovava a una fiera dell'editoria organizzata dal padre in onore dei cent'anni di attività della loro azienda. I diciassette anni di vita di Gauthier Junior sono bastati perchè assistesse a una era di quell'impero mediatico che pare sarebbe ricaduto nelle sue mani non appena sarebbe stato pronto. Tuttavia, per quanto Gauthier Senior ci abbia provato, la mela non poteva cadere più lontana dall'albero. Si trovavano in disappunto su tutto. Per il padre, un libro altro non era che il potenziale di guadagni che ne avrebbe ricavato, una foto su un giornale era solo una forza evocativa delle parole e non aveva un valore intrinseco, un quadro era un patrimonio quantificabile in dollari canadesi e via così. Padre e figlio, seppur circondati dall'arte sin dai primordi della loro infanzia, vedevano l'espressione dell'animo umano in maniere diverse. Caratteri simili, estrinsecati nei più opposti dei modi. Più cresci, più vedo tuo padre in te. Questo gli diceva sua madre ogni qual volta il suo unico pargoletto tornasse a casa. Sempre più somigliante al padre; un giovinetto affascinante dai riccioli scuri, il carattere freddo e introverso, analitico a livelli maniacali. Ma cosa temprava il carattere del giovane rampollo si discostava non poco da ciò che aveva temprato il carattere del padre prima di lui. Fitz si modellava attraverso il dissimile, attraverso quanto di più insolito il mondo abbia partorito. Gli piacevano le persone particolari, le forme d'arte insolite, le attività comunemente ascrivibili dai suoi coetanei nella categoria delle cose strane. A Fitzwilliam piaceva essere diverso, e non si sforzava affatto per apparirlo. Non gli interessava cosa la gente pensasse di lui, non gli interessava quanto la società potesse giudicarlo e non si sforzava né per far pensare male di sé, né per farsi giudicare. Vivi e lascia vivere, questo uno dei mantra più pregnanti della sua esistenza. Un mantra che spesso lo annoverava nella categoria delle persone irriverenti e terribilmente scortesi, a tratti fredde. Fitz sei uno stronzo era la cosa che si sentiva dire più spesso, soprattutto da quella selvatica creatura dai capelli d'oro a cui lui si era volente o nolente affiancato. Lyanna non aveva peli sulla lingua nel dirgli cosa pensasse, e forse, questo più di tutto apprezzava nella meravigliosa creatura dalle forme eteree che gli svolazzava sempre attorno, quasi come un astro venuto giù dal cielo. Un angelo dalla lingua biforcuta; così gli piaceva definirla nella sua mente. Non glielo diceva, non glielo avrebbe mai detto. Apprezzava la sua sincerità, così come apprezzava la sua schiettezza nel non risparmiargli parole poco gentili. In questo si assomigliavano più di quanto volesse ammetterlo. A questo Gauthier, le bugie e le mezze misure non piacevano. Diceva ciò che pensava, quando lo pensava, senza riserve alcune. Senza preoccuparsi di chi avrebbe potuto ferire o di quanto sarebbe potuto apparire, appunto, stronzo. Tornando all'ipotesi di partenza, per il padre, un libro è solo un libro. A volte succedeva che gli dicesse addirittura che non gli interessava cosa la gente facesse dei volumi da lui pubblicati; possono anche usarli come carta igienica; se lo fanno, significa che lo hanno comprato. Questo Fitz lo trovava inammissibile. Lui che i libri li trattava con i guanti, lui che piuttosto che piegare l'angolo della pagina di un volume, si sarebbe strozzato. Un libro è un santuario; è l'altare di un poeta maledetto o di un romanziere ubriacone. Ogni libro è un sacrificio; stamparlo è un sacrificio. Per farlo, bisogna sempre distruggere un ecosistema, deturpare la natura di un pezzo di sè. Ogni giorno suo padre e altri come lui, privano la natura di un pezzo di polmone per rifornire gli scaffali delle librerie di tutto il mondo. Quando si compra un libro non si può fare altro che onorarlo e rispettarlo con una consapevolezza quasi religiosa. Ho per le mani il frutto di un sacrificio che la Terra ha subito per darmi la possibilità di conoscere, emozionarmi e meravigliarmi di quanto non sapevo. Per tutta questa serie di motivi, l'iniziativa di cui era vittima era partita come una cosa estremamente snervante. Vigliacca, oltretutto, perché messa in atto da un anonimo. Aveva pensato potessero essere Lyanna o Artie, forse quelli che più di tutti erano a conoscenza di quanto il giovane Gauthier sclerasse nel assistere al maltrattamento dei volumi sparsi in giro per la scuola. Betty era stata cassata dalla lista di possibili giocolieri di prestigio; quella ragazza era troppo buona per far del male anche solo a una mosca. E attraverso quello scherzo, Fitz soffriva, soffriva davvero. Sperava che prima o poi lo scherzo cessasse, se solo avesse avuto la forza di ignorarlo per abbastanza tempo. Eppure, man mano che il tempo passava, ogni qual volta si svegliasse, sul suo comodino trovava una nuova pagina mutilata. Ogni qual volta tornasse nella sua stanza tardi, l'origami di turno compariva lì, accanto alla sveglia, tra la pila di libri che doveva finire di leggere e gli occhiali da vista lasciati lì alla bell'e meglio. Non li leggeva mai, non si soffermava nemmeno a capire di chi stessero mutilando per fargli un dispetto - probabilmente i suoi autori preferiti, giusto per farlo sclerare ulteriormente. Non faceva altro che buttare le forme orientaleggianti nel primo cassetto del comodino, buttandosi sul letto con una chiara aria di sfida. Vediamo chi cede per primo. La cosa era tuttavia andata avanti più del previsto e per quanto Fitz avesse provato a tendere l'orecchio alle conversazioni dei suoi compagni nella speranza di cogliere in flagrante l'artefice di quella bravata, aveva perso ben presto interesse persino nel fare quello. Le conversazioni di molti erano noiose e terribilmente superficiali, e poi, non poteva davvero farsi sfuggire i panorami mozzafiato da immortalare, solo per cercare di risolvere uno stupido mistero. Vivi e lascia vivere, si ripeteva; anche quando c'è qualcuno che non lascia vivere intero, intatto e inviolato un povero libro che non gli ha fatto nulla di male.

    Le cose non erano cambiate. Non per molto tempo. Aveva persino corrotto il suo compagno di cottage affinché tenesse gli occhi aperti. Non si sarebbe stupito se fosse stato quello stronzo a fargli lo scherzo. Fitz non gli stava affatto simpatico, perché continuava a obbligarlo a pulire il bagno quando lo avesse sporcato e mettere in ordine le cose all'interno degli spazi comuni che condividevano nella piccola casetta di legno. Della tua stanza non me ne frega un cazzo, ma il salotto lo tieni ordinato, altrimenti giuro su quello che ho più caro che tu qui dentro non ci metti più piede. Quella lite era andava avanti per più del previsto e le argomentazioni del compagno erano state talmente stupide che alla fine il giovane Gauthier era giunto alla conclusione che uno scherzo tanto ingegnoso non potesse essere messo in atto da uno come quello. D'altronde, oltre alla meticolosità del lavoro, c'era anche il dover tenere la bocca chiusa, e William sapeva tenere la bocca chiusa solo quando era occupato a limonarsi qualche squizietta o quando dovesse farle altro. Quella lite era riuscito a far saltare i nervi persino a uno così calmo e indifferente come Fitz; perché in fin dei conti, tutto va bene, tutto può essere accettato, ma non il disordine e la sporcizia. Un ambiente sporco è un ambiente per antonomasia fatto per distrarre. Non puoi leggere in un ambiente sporco, non puoi studiare, non puoi nemmeno scopare in mezzo a mucchi di mutande sporche e cartacce di schifezze. Come cazzo fai William! COME! Alla fine si era sbattuto la porta della propria stanza alle spalle chiudendo a chiave, nel caso in cui il giovane avesse deciso di seguirlo per esporgli ancora una volta la sua teoria secondo cui il tempo per pulire era sempre troppo poco. E poi comunque che senso ha, Fitz! Si sporcherebbe comunque di nuovo. Capite che c'è un girone a parte per questa gente all'inferno, ed è fatto di mucchi di merda adibiti al soffocare anime come quella di William. Una volta chiusasi la porta alle spalle, fu come se la rabbia nel cuore del giovane Gauthier si fosse prosciugata. E tutto ciò che rimase fu il tormento di aver ancora una volta inveito contro un esserino tutto sommato indifeso e superficialotto come Will. Fitz e il senso di colpa; soli all'interno di questo ambiente zen, perfettamente ordinato, arredato secondo la personalità cupa e incompresa del proprio padrone. Un ordine cronico, che seppur disordinato nella sua totalità, dava l'impressione in chi avesse occhi per guardare di esplorare un animo tetro, fatto di schizzi in bianco e nero, dipinti di mostri che alloggiano solo ed esclusivamente nei sogni e oggetti dalla dubbia provenienza e utilità. Ed eccolo. Un cigno. Fitzwilliam non ha mai provato una curiosità simile a quella di quella sera. A tal punto che per la prima volta, decide di afferrarlo e dispiegarlo, leggendone il contenuto. Prevert. Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte | Il primo per vederti tutto il viso | Il secondo per vederti gli occhi | L’ultimo per vedere la tua bocca | E tutto il buio per ricordarmi queste cose | Mentre ti stringo fra le braccia. Ed è qui che per la prima volta Fitzwilliam capisce di non essere frutto dell'ennesimo scherzo dei suoi simpatici amici. Questo non è un gesto dettato dall'animo insolente di un giovane goliardico, non è il gesto raccapricciante di un blasfemo dei libri. Questo è l'insolito gesto di un animo nobile, delicato, etereo. Così lo dipinge quasi d'istinto Fitzwilliam. Riesce a immaginare le tonalità di quest'anima ed è fatta di colori accesi, spesso stridenti, eppure meravigliosamente assemblati in una composizione mozzafiato. D'istinto il cassetto in cui ha ammucchiato tutti quegli origami viene rovesciato sul parquet. Da quella sera, nessun'altra poesia venne ignorata.

    La caccia era di nuovo aperta e di chiunque si trattasse, Fitzwilliam l'avrebbe trovata. Quell'anima doveva vederla negli occhi. Doveva conoscerne la natura, doveva assaggiarne le sfumature. Doveva cibarsi di quella linfa vita, scoprirla, osservarla, analizzarla. Non importava di chi si trattasse - e nella sua esperienza erano sempre le persone più insospettabili - lui questa persona doveva conoscerla. Poteva essere qualcuno con cui ha già parlato migliaia di volte, ma chiunque fosse stato, Fitz quegli occhi non li ha mai guardati sotto quella sfumatura e adesso, voleva percepirne l'essenza. Come un artista in attesa del tramonto perfetto, quella sera sedette nel silenzio della sua stanza al buio in attesa che la misteriosa creatura si palesasse al suo cospetto. Si costrinse a non farsi alcun tipo di aspettativa sul tipo di persona che avrebbe visto scivolare nella sua stanza, ma era davvero difficile non immaginare, non sperare. L'arte per molto tempo ci ha insegnato che il bello e il buono andassero sempre di pari passo, che l'arte fosse necessariamente espressione di beltà e bontà e che chiunque sapesse comprenderla, chiunque ne avesse una qualunque collisione profonda, appartenesse al culto della comune beltà. Fitzwilliam il bello lo aveva trovato là dove molti non lo vedeva, e aveva trovato altrettante cose comunemente considerate belle come insipide, poco interessanti e a tratti persino brutte. E non ha mai abbassato le sue aspettative, per quanto il mondo si sforzasse a renderglielo difficile. Lui continuava a essere un estimatore preciso, un cacciatore di anime insolite, inconvertibili alla normalità. Questo gli piaceva e questo voleva.
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    Le dita hanno preso dimestichezza nel piegare pezzi di pergamena ingiallita dal tempo negli scorsi giorni. Gli era risultato quanto mai naturale destreggiarsi in quell'arte a lui sconosciuta fino a quel momento. E alla fine quando la maniglia si abbassò appena permettendo all'ospite di entrare nella stanza, Fitz aveva il fiore di loto perfetto da offrire come degno ringraziamento per quelle inaspettate quanto gradite attenzioni. La figura si muove nel buio della stanza e quando si chiude la porta alle spalle, Fitz si alza finalmente in piedi, ben consapevole di avere una maggiore dimestichezza con l'ambiente da lui tanto attentamente studiato. Il braccio del giovane Gauthier s'incolla alla figura, obbligandola a indietreggiare fino a incollare la schiena contro la porta. Gli è addosso e pur essendo leggermente meno alto, possiede la forza necessaria per affrontarlo. È un Lui? « Ero proprio curioso di scoprire chi fosse lo stupratore seriale di libri. » Parole apparentemente pescate tra miriadi di altre parole, scelte a caso, eppure affatto scelte a caso. « Hai spezzato il mio cuore deturpando tutti quei libri, fiorellino. » Il suo profumo è fresco; inonda le narici di Fitwilliam con insistenza mentre preme il braccio contro il petto di lui, sussurrandogli quelle poche parole all'orecchio con non indifferente sensualità. Il gioco del mistero suscita nel giovane Gauthier una profonda sensualità. L'arte è sempre mistero, è interpretazione. E questo sta cercando ora; una lettura personale in quel gioco di ombre. Uno scocco di dita della mano sinistra basta perché le spesse tende della finestra smettano di impedire alla luce lunare di penetrare nell'ambiente. E allora, i loro occhi si incontrano per la prima volta. Occhi che Fitz ha già incontrato e che non gli hanno mai suscitato altro che un profondo senso di frustrazione. Uno come lui, al seguito così tante dolci fanciulle. Gli occhi di un assassino seriale di anime, pervaso da un senso di ineffabile crudeltà e dolcezza. Edric Sanders. « Che cos'hai per me stasera, fiorellino? Shakespeare o Neruda? Rimbaud o Whitman? » Lasciò svolazzare le dita di della mano libera di fronte ai suoi occhi, mostrandogli un sorriso sardonico prima di lasciare che i suoi occhi vedessero il suo personale fiore di loto. « Facciamo a cambio. Ne ho una anche io per te. » Lui quel gioco lo aveva reinterpretato. Era rimasto a meditare per giorni a quale poesia porgergli in cambio di tutte quelle che lui gli aveva dedicato e quando l'aveva trovata si era dedicato al ricopiarla decine e decine di volte finché la sua tondeggiante calligrafia d'altri tempi non risultasse perfetta. Elegante e maestosa come piaceva a lui, strappata ad altre epoche, a uomini intellettuali che non conoscevano la magia delle stampe e delle piume autoscriventi. Così ora glielo porgeva; il suo fiore e il suo messaggio, mentre a passo lento si allontana appena dal corpo asciutto e da quegli occhi magnetici che hanno già il sapore di nuovo, insolito; sanno di pura espressione maledetta.

    Perché ti amo, di notte son venuto da te
    così impetuoso e titubante
    e tu non me potrai più dimenticare
    l’ anima tua son venuto a rubare.

    Ora lei è mia – del tutto mi appartiene
    nel male e nel bene,
    dal mio impetuoso e ardito amare
    nessun angelo ti potrà salvare
    .



     
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    E con entrambe le mani nel sacco. Non se l'aspettava ma, dopotutto, sapeva che prima o poi sarebbe successo. Neanche il più apatico degli uomini sarebbe potuto rimanere indifferente di fronte a quella continua richiesta di attenzioni, sempre che così potesse essere definita. Lo era? Non esattamente. Edric non ricercava le attenzioni di Fitzwilliam, al contrario fino a quel momento si era sentito bene nell'essergli stato tanto vicino senza essere visto. Ad un soffio da lui mentre dormiva ma ancora in fila per la colazione del mattino, a due passi sulle rive del lago, divisi da uno scaffale nella biblioteca del campo. Insieme, eppure lontani. L'anonimato è, dicono, una delle più alte forme di viltà ma nell'anonimato Edric si era sentito libero. Nell'interpretare uno spettro invisibile, non avrebbe dovuto sottostare alle dicerie che la scuola gli aveva affibbiato e che non aveva mai smentito; dicevano di tutto sul suo conto, molti compagni erano arrivati a crederci. Sanders invoca il diavolo nei sotterranei nelle notti di plenilunio, lo sapevi? Non che la nomea di "tizio inquietante" gli fosse piovuta giù dal cielo come una qualche strana maledizione. Lui stesso l'aveva inconsapevolmente fomentata e non gli era mai interessato liberarsene. Varcare la porta dell'alloggio di Gauthier, quella sera, avrebbe cambiato ogni cosa. Lo capì nel momento stesso il cui richiuse silenziosamente l'uscio alle proprie spalle e fece due passi nell'ombra, appena accennati, attendendo che gli occhi si abituassero. C'era qualcosa che non andava là dentro, qualcosa di diverso. Non sentì il tenue respiro del corvonero avvolto dalle braccia di Morfeo, ma questo non lo preoccupò, era già capitato di non trovare nessuno in camera. Tuttavia, non era solo. Lo percepì distintamente, sentendo montare dentro di sé qualcosa di molto simile all'ansia ma senza la componente negativa. Avvertì l'attesa. Prima ancora che potesse vedere meglio nell'oscurità, passi lenti ma misurati gli si fecero vicino e una mano premette sul suo petto, facendolo indietreggiare fino alla porta. Vi rimase bloccato, stretto dalle braccia di Fitzwilliam. Non poteva essere che lui. Sarebbe stato facile scambiare quel gesto come negativo, Edric là dentro non era altro che un estraneo sgattaiolato senza permesso!, ma era sicuro che non ci fosse aggressività nel gesto del canadese: l'avrebbe percepito, ma dentro sé non avvertì alcuna scarica di adrenalina derivante dalla violenza altrui, sensazione molto particolare e difficile da confondere. « Ero proprio curioso di scoprire chi fosse lo stupratore seriale di libri. » Gli fece un effetto strano sentire così vicina una voce che aveva udito solo in lontananza, a parecchie vite di distanza. Fu come un deja-vu, vivere qualcosa che si è soltanto sognato e scoprire che è oramai familiare, quasi conosciuta, eppure capace di dare un brivido come tutto ciò che si deve ancora scoprire. La voce del corvonero era così, Fitz stesso era così: lo conosceva e non lo conosceva affatto. Chi era? Da dove veniva? Perché, fra decine e decine di studenti, proprio lui aveva attirato la sua attenzione? « Hai spezzato il mio cuore deturpando tutti quei libri, fiorellino. » Accennò una risata che mai si liberò dalle labbra serrate. Fiorellino, neppure nei suoi sogni più fervidi qualcuno l'aveva mai chiamato così, neppure la sua stessa madre. Ipotizzò che fosse dovuto al buio che continuava ad avvolgere entrambi e contribuiva ad alimentare il mistero. Quanto sarebbe stato divertente che la luce non fosse arrivata mai? Edric avrebbe potuto continuare ad essere un fiorellino - o uno stupratore seriale di libri, a seconda dei punti di vista - e non l'inquietante serpe dai grandi occhi di ghiaccio. Non gli rispose, non subito, consapevole di ciò che sarebbe accaduto: l'aveva detto lui stesso, Fitz era curioso. Doveva esserlo di natura, ipotizzò, per il semplice fatto di avergli teso un'imboscata. Un banale guizzo di magia bastò perché le tende della camera da letto si spalancassero, lasciando che la fredda luce della luna li bastasse entrambi: rivelò al corvonero una figura alta e smilza, dalla pelle diafana come porcellana, grandi occhi di cristallo che risaltavano nel buio e capelli di rame appena arruffati. Ciao, Fitzwilliam. Finalmente ci incontriamo. Sentì distintamente un accenno di emozione, fu blando ma forte abbastanza da fargli perdere un battito di cuore, un secondo di respiro. La consapevolezza di essere finalmente qualcuno dinnanzi a lui e non un'ombra percepita con la coda dell'occhio. Perfino Lui, il suo passeggero, talmente divertito da quella pacchiana scenetta da adolescenti, passò in secondo piano.
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    « Che cos'hai per me stasera, fiorellino? Shakespeare o Neruda? Rimbaud o Whitman? » Era un gioco per lui, null'altro che questo. E per Edric? Non era nulla di definito, almeno fino al momento in cui Fitzwilliam non cambiò ogni cosa. Pur con la consapevolezza, il Fiorellino rimase. « Baudelaire. » Non che fosse certo, per Edric una pagina valeva un'altra. Quei fogli non erano stupide dediche d'amore ma messaggi, non erano poesie che gli mandava perché non aveva abbastanza palle da dedicargliele sotto la luce della luna ma gesti. Mi piace guardarti, Fitz. Mi piace pensarti. Mi piace rovinare libri per te. Rovinerei molto di più per te. Ma il Corvonero sembrava aver dato molto peso alle singole poesie e Edric non avrebbe certo puntualizzato la cosa. Credeva forse di essere corteggiato? Gliel'avrebbe lasciato credere. Edric neppure sapeva cosa fosse, un corteggiamento. « Facciamo a cambio. Ne ho una anche io per te. » Corrucciò la fronte nell'ombra, era sorpreso. Non capì fino a quando la mano del ragazzo entrò nel fascio di luce della luna, rivelando sul suo palmo un origami. Un fiore di loto. Edric lo prese con delicatezza e lo osservò meglio, era di gran lunga dieci, cento volte più bello degli insulsi scarabocchi animali che la serpe gli aveva dedicato: se Edric, con i suoi origami, poteva essere considerato un cubista, Fitzwilliam era un neoclassicista. Bello consapevole di essserlo, impegnatosi per esserlo. Aveva perfino migliorato il lavoro di Edric, non era un banale foglio di carta stampato e ripiegato, la grafia di Fitz risaltava sul bianco della pergamena. Bello sopra ogni cosa. Lo era anche Gauthier: pur non essendo bello nel più sfrenato e sfacciato dei termini, lo era comunque; nella sua normalità, era diverso da chiunque. Era questo ad aver attirato Edric Sanders, come un'opera d'arte attira l'animo sensibile. Accettò silenziosamente lo scambio e sul palmo ancora aperto di Fitz posò la civetta che aveva fabbricato sopra le parole del poeta maledetto. Gauthier si allontanò e Edric si immerse completamente alla luce della luna, rigirandosi il fiore tra le dita. Gli sembrò folle rovinare qualcosa di tanto bello, l'avrebbe voluto tenere così com'era, ma era certo che per Fitzwilliam fosse il suo interno il vero regalo. Con movimenti delle dita, attento che la pergamena non si strappasse, schiuse il fiore che parve sbocciare tra le sue mani e piegò il foglio raggrinzito. « ...l'anima tua son venuto a rubare. » mormorò, rialzando il viso per cercare nel buio gli occhi di Fitz. Così maledettamente appropriato. Si avvicinò a lui, uscendo dal cono di luce. « Tu sai chi sono.. » Non era una domanda, gliel'aveva letta negli occhi la consapevolezza. Al tempo stesso, non poteva dire di esserne completamente sorpreso, nel bene o nel male un tipo come Edric era difficile da non notare. Ciò nonostante, non era un mero sconosciuto. Non sapeva come sentirsi, lui che da sempre si era ritrovato a scrutare gli altri, per la prima volta si sentì scoperto. Fitzwilliam sapeva, eppure non sentì in lui nulla di negatvo: fu questa la vera sorpresa. « Ti ho infastidito? » chiese, indicando la civetta di carta. Ti hanno infastidito le mie attenzioni? Non era preoccupazione la sua, non aveva paura di averlo infastidito o altrimenti non avrebbe continuato a perseverare e perseverare. Era semplice curiosità: voleva capire cosa nascondesse la testa di Fitzwilliam, come avesse percepito un gesto che tutti avrebbero trovato a dir poco inquietante. Voleva scoprire se, schiudendo la sua anima, avrebbe trovato anche là dentro una poesia.
     
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    « Baudelaire. » Fitzwilliam, a pochi passi dal suo interlocutore, sorrise annuendo. Non aveva bisogno di ulteriori conferme sul fatto che fosse lui il deturpatore di tutti quei libri, ma semmai nel suo animo tormentato fosse rimasto anche l'ombra di un dubbio, quella semplice ammissione bastò perché il giovane Gauthier spazzasse via anche l'ultima delle incertezze. Aveva di fronte a sé colui che per tutto quel tempo lo aveva prima esasperato, poi incuriosito e ora.. intrigato. Perché ormai, Fitzwilliam era prettamente intrigato della creatura che aveva di fronte. Slanciato al punto giusto, alto a tratti a dismisura; due occhi spiritati incastonati su un volto leggermente allungato; un naso appena all'insù. Labbra carnose, di un rosso molto intenso e capelli ramati. Un tripudio di colori, di luce e ombre, anche solo sotto quella luce fiacca proveniente dall'apparizione della luce lunare. Se non lo aspettava, non lo diede certamente a vedere, anzi, con naturalezza prese il la propria poesia dopo avergli offerto la sua, girandosi per qualche istante di spalle per osservarne il contenuto. Poi disse: « Ah, le poète maudit! » nel suo elegante quanto impeccabile francese; la sua lingua madre, che tanto le suonava dolce e melodiosa, molto più di quanto sarebbe mai successo con l'inglese, che trovava una lingua inferiore, meno adatta a qualunque forma di arte. « Il primo veggente, re dei poeti, elevato a Dio. L'arte trasposta in parole per eccellenza. » Lo disse con uno strano misto di ammirazione e goduria, prima di tornare a sedersi sul divanetto presente in un angolo della sua stanza. Da una piccola scatola in legno, intagliata su misura, prese una sigaretta accedendosela elegantemente, per poi buttare il fumo fuori, in direzione del giovane rimasto lì impallato con la sua letterina d'amore tra le lunghe dita. « ...l'anima tua son venuto a rubare. » Fitz annuì impassibile, mentre lasciava cadere nella tabacchiera la cenere della sigaretta, fissandola con fare pensieroso. « Hermann Hesse, tedesco, immenso scrittore e poeta. Era anche un pittore sai? Ha vinto un nobel per la letteratura, e poi era uno spirito libero. Uno che se ne fregava delle convenzioni sociali. Mi sembrava una personalità adatta. » A uno che penetra nelle stanze altrui mentre il proprietario dorme ignaro. « Tu sai chi sono.. Ti ho infastidito? » A quel punto Fitzwilliam riduce per qualche secondo gli occhi a due fessure, appoggia la schiena comodamente al divano e si passa la caviglia destra sopra il ginocchio sinistro. Un braccio allungato sullo schienale del divano. Fuma e si lascia trasportare altrove da quella figura illuminata maldestramente da una fonte meravigliosa eppure insufficiente per valorizzare quei vividi colori che si annidano sul volto del suo interlocutore. Labbra da assaggiare, da mordere e poi dipingere di rosso sangue su una tela liscia. Si innumidisce appena le labbra prima di scocca la lingua contro il palato. La mano della sigaretta tormenta i vividi ricci per qualche istante prima che i suoi occhi scuri tornino a tormentate la figura di fronte a sè, scrutandola senza vergogna alcuna. È abituato ad approcci ben diversi; quando s'interessa a qualcuno, quando ha una qualunque intenzione nei confronti di qualcuno, questa creatura dai toni scuri va dritta per dritta sulla sua strada. Non gli piace girare intorno alle cose.
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    « Perché dovresti avermi infastidito? » Gli chiede in tono leggermente languido. Le parole sono il suo terreno fertile. Le persone celate nell'ombra, i misteri, i libri ancora non sfogliati a sufficienza sono pane per i suoi denti, perchè egli resta pur sempre il libro più difficile da decifrare, persino ai suoi stessi occhi. « È espressione. La tua espressione. » Gli spiega quindi con il suo solito tono basso e pacato, forse leggermente divertito. « Ognuno ha il suo. C'è chi parla, c'è chi canta, chi dipinge, chi tace semplicemente. Tu hai il tuo. Non lo condivido, ma lo rispetto. » Fece una leggera pausa, tempo in cui porti nuovamente la sigaretta alle labbra. Movimenti lenti che si consumano prendendosi il proprio tempo; movimenti che consumano. « Certo che ti conosco Edric. A Hogwarts tutti conoscono tutti. Se fai uno sforzo sono certo che anche tu riuscirai a dare un nome a tutti i nostri compagni. Facciamo solo finta di non conoscerci. Non conoscere ci aiuta a elevarci, a sentirci in un certo qual modo speciali, intoccabili.. irraggiungibili. » Immortali.
    Si alza per qualche istante dal divano, estraendo da un piccolo nascondiglio dietro la scrivania una bottiglia dal liquido ambrato. Due bicchieri non particolarmente eleganti, sottratti dalle cucine del campo, da sotto il tavolino da caffé e così facendo, versa un po' del contenuto della bottiglia nei due recipienti puliti. Fitz è un maestro dell'accumulo. Ha tutto a portata di mano, è sempre previdente, gli piace circondarsi di tutto ciò che lo può aiutare a condurre a buon esito sia l'utile che il dilettevole, così, ogni tanto si concede qualche furtarello qua e là. Una bottiglia di incendiario quando ne ha l'occasione. Un bicchiere a pasto, a volte persino sapone e carta igienica nel caso in cui gli addetti alle pulizie decidano di tagliare loro i beni di prima necessità. A dirla tutta, c'è chi dice che la sua sia una forma di cleptomania; se anche lo fosse, Fitz preferisce definirla semplice previdenza. Non tutto deve essere necessariamente una qualche forma di dipendenza o malattia. « Allora hai intenzione di restare lì impallato tutta la sera? » Chiede infine spostando uno dei due bicchieri nella sua direzione, per poi portarsi il secondo alle labbra. La sigaretta rimasta abbandonata nel posacenere, ritorna tra le sue labbra poco dopo. « Oppure, Fiorellino, ti piace la mia compagnia solo quando so che non sei qui? » Provocatorio e senza peli sulla lingua, a Fitz piace spingere le persone sull'orlo del precipizio, se possibile anche ben oltre l'orlo. Solo dopo guarda verso il basso. E' l'unico modo in cui vale la pena di vivere questa vita.

     
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    Edric aveva uno strano rapporto con l'arte, difficile e travagliato come due amanti che intrigati l'uno dall'altro non si capiscono. Sebbene non lo dimostrasse apertamente, aveva sempre apprezzato l'arte e si era sentito spesso vicino alle vite burrascose di chiunque fosse riuscito a mettere su tela, su carta, su pietra i propri tormenti. Sembrava anzi che più la vita avesse portato dolori a certi geni, più essi riuscissero a far risplendere le loro opere di luce propria, immortalandole per sempre. Li stimava, in un certo qual modo, quelli che erano riusciti ad asservire i loro demoni sfruttando un potenziale nascosto per dare vita, là dove regnava il buio. Li stimava, ma li capiva. Era questa l'altra faccia della medaglia, un terribile prezzo da pagare per essere sé stesso: tutto ciò che l'arte gli suscitava era una reazione fredda, oggettiva, razionale. Dov'era invece il trasporto, il sentimento, l'anima? La aveva un'anima? Edric avrebbe potuto trascorrere letteralmente ore e ore di fronte al più bello dei dipinti, contemplandone le figure e il tocco del pennello, le sfumature cromatiche, i dettagli più nascosti e sarebbe comunque rimasto solo un dipinto. Vedeva l'arte, la apprezzava, ne rimaneva incuriosito e in un certo qual modo, distaccato e lontano, ne veniva affascinato ma tutto era filtrato da un velo opaco e insuperabile: gli suscitava qualcosa, erano frammenti disordinati e taglienti nell'oscurità, ma non riusciva a capire cosa. Fitzwilliam gli parlava di questo e quel poeta, gli decantava delle meraviglie di Baudelaire e dei riconoscimenti di Hesse e alle orecchie di Edric erano soltanto uomini. Li stimava per ciò che erano riusciti a creare ma non riusciva ad andare oltre, a fare quel passo in più che gli avrebbe permesso quanto fossero speciali, per il semplice fatto che nessun altro uomo sarebbe riuscito ad eguagliarli, non in quella precisa maniera: molti scrivevano, ma nessuno scriveva come loro. Erano sfumature, suggestioni a cui Edric veniva tagliato fuori perché affondavano le radici in una sensibilità personale che il serpeverde sentiva arida in sé. Fu solo grazie al corvonero se egli riuscì a seguire il filo del discorso senza che la sua mente vagasse altrove alla ricerca di lidi più interessanti. Percepì distinto in Fitz l'amore che l'arte gli provocava, era un brio che fino ad un secondo prima non aveva avuto, ben diverso dalla banale eccitazione nel ritrovarsi un ragazzo in camera: era un sentimento caldo, rosso e arancio come un tramonto, era vivo a tal punto da fargli battere il cuore più veloce, da farlo sorridere. Specchiandosi in Fitz, si sentì completo. Si sentì vivo. Fu qualcosa di particolare, diverso dalle solite connessioni che quotidianamente gli capitava di sperimentare: Fitzwilliam era diverso. Lo scrutò nell'ombra, accomodarsi sul divanetto che neppure aveva mai notato nelle sue incursioni in quella stessa camera; lo vide muoversi lento nel prendere una sigaretta che portò alle labbra rosee; lo vide giocare coi riccioli, distratto. C'era qualcosa di etereo e immobile in lui, qualcosa che sembrava essere destinato a rimanere malgrado tutto intorno si muovere frenetico e disordinato. Cosmo che prevale su Caos, l'ordine sul rumore, la bellezza sulla morte. Nelle tempeste di un animo tormentato, Fitz avrebbe saputo far nascere fiori.

    (Finiscila di sbavare come un cagnolino)
    Al suo Passeggero non erano mai piaciuti i rivali. Chiunque gli portasse via attenzione, era una minaccia.
    (Vuoi solo scopartelo, perché perdi tempo? Vai a prendertelo)
    Era vero, ma solo in parte. Era innegabile l'attrazione fisica che provava nei suoi confronti. Lo desiderava, lo voleva, l'aveva sempre voluto. Dalla prima volta in cui aveva messo gli occhi sul corvonero, una parte di sé non riusciva a non pensare al godimento che gli avrebbe provocato sbatterlo contro il muro o bloccarlo su una delle scrivania della biblioteca e prenderlo, con la ferocia di un affamato. Un demone nascosto nelle sue viscere bramava nutrimento e la sola immagine di un ragazzo come Fitzwilliam, completamente alla sua mercé, era qualcosa che avrebbe fatto gola a chiunque. C'erano giorni in cui controllare il desiderio della carne, una fame cocente, era difficile. Un brutto scherzo del destino l'aveva reso ancora più dannato di quanto già non fosse, malato nella mente e nello spirito. Tuttavia, Fitz lo attirava a sé ben oltre il mero desiderio sessuale. Era impossibile da dimenticare la prima volta in cui, quasi per caso, Edric si ritrovò connesso alla mente di Fitzwilliam Gauthier, una piovosa sera d'Ottobre, nella solitudine della biblioteca la sera. Fu quello, prima ancora della bellezza sfacciata e di tutto ciò che ne conseguiva, ad attirare la sua attenzione. Per Edric Sanders, prima ancora delle benzodiazepine e delle sostanze d'abuso, prima ancora della nicotina e dei cannabinoidi, erano le emozioni ciò che maggiormente bramava e che come un drogato andava a ricercare stando vicino alla gente. Sempre di più, sempre più varie, sempre più particolari. Le banali ansie da esame avevano smesso ben presto di dargli brivido, gli adolescenti amori nascosti non gli offrivano più stimoli. Voleva di più e, immerso in quella brama, arrivò Fitzwilliam: fu una bomba nella sua testa. Il suo animo artistico e contrastato sembrava fargli provare tutto e il contrario di tutto, la prima volta che entrò in contatto con la mente e il cuore di Fitz rischiò di urlare. Troppo e tutto insieme. Per quel motivo iniziò a seguirlo, per quello il corvonero divenne prima un passatempo, poi un barlume di ossessione. Riprovare quelle sensazioni era la sola cosa che riusciva ad appagare la sua parte tossica e dipendente; fu solo col passare del tempo che il desiderio di Edric si ampliò, arrivando a contemplare l'intero suo essere. Lo voleva scopare, sì, ma non solo: voleva entra in lui, completamente.

    « Perché dovresti avermi infastidito? » Si limitò a fare spallucce, come se avesse concordato con lui sul fatto che quella non fosse stata la più brillante delle domande. Perché no? Ma gli piacque non averlo infastidito, avrebbe reso il tutto molto più semplice. « È espressione. La tua espressione. Ognuno ha il suo. C'è chi parla, c'è chi canta, chi dipinge, chi tace semplicemente. Tu hai il tuo. Non lo condivido, ma lo rispetto. » Ancora una volta, Fitzwilliam riconduceva tutto all'arte. Lui non si era intrufolato di nascosto nella camera di un completo sconosciuto, offrendo attenzioni non richieste, infrangendo pressoché ogni regola sulla libertà personale e sulla privacy, no: lui si era espresso. Era difficile vederla in quell'ottica e da un certo punto di vista ne era divertito. Era completamente fuori di testa, senza dubbio un pregio per Edric. « Certo che ti conosco Edric. A Hogwarts tutti conoscono tutti. Se fai uno sforzo sono certo che anche tu riuscirai a dare un nome a tutti i nostri compagni. Facciamo solo finta di non conoscerci. Non conoscere ci aiuta a elevarci, a sentirci in un certo qual modo speciali, intoccabili.. irraggiungibili. » Quindi lo conosceva ma aveva sempre fatto finta di no, semplicemente per sentirsi speciale? Edric aggrottò la fronte, spaesato da quel ragionamento finemente filosofico che a malapena comprese, figurarsi condividerlo. « Io sono convinto del contrario. A Hogwarts nessuno conosce nessuno, ma facciamo finta di conoscerci. Per convenienza, per sentirci meno soli. » Cinico ma realista. Le conoscenze scolastiche erano superficiali per definizione. Non che Edric ci trovasse nulla di male, lui che proteggeva strenuamente le parti più intime della propria vita dall'occhio indiscreto dell'estraneo. Ben poche erano le persone ad essere a conoscenza del suo passato e del suo vissuto, poche quelle che si erano meritate tanta fiducia. Tante, quelle che lo conoscevano a malapena o per sentito dire, che l'avevano giudicato per questo o quel pettegolezzo o dalla prima impressione. Non avrebbe giudicato nessuno di loro. Tu mi conosci, Fitz? No. Non mi conosci.. ancora.
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    Quale modo migliore di conoscersi, quindi, se non aprendo il cuore di fronte ad un bicchiere di whiskey Incendiario? Come nella miglior rappresentazione del periodo proibizionista, Gauthier recuperò da angoli nascosti tutto l'occorrente per preparare due distillati di verità, che Edric accettò senza fare troppe storie. Se fosse stato completamente padrone delle proprie emozioni, in quel momento si sarebbe sentito nervoso; una calma piatta invece regnava nel suo cuore, adornata da ciò che il legame mentale con Fitzwilliam gli stava donando: curiosità, intrigo, un pizzico di passione per il rischio. Accettò di buon grado l'ultima frecciata del corvonero, rispondendo con una mite risata a denti stretti. Prese il bicchiere in mano e lo fece scontrare delicatamente con quello di Fitz, prima di bagnarsi le labbra con l'ambra del whiskey. « Non sono ancora del tutto sicuro. » rispose schietto, senza mezzi termini. Si avvicinò a lui, come se lo volesse studiare più da vicino. « Hai qualcosa di speciale, quando sai che non sono qui. Quando dormi o quando ti perdi. » Tutto era più vero, non appesantito dal confronto sociale. Era certo che Fitz stesse caricando sé stesso, per dare un'immagine di sé - vera o forzata che fosse - a Edric. Un'immagine studiata, ben precisa. Gli sorrise, lasciando intravedere una fila sottile di denti perlati. « Devo ancora capire se mi piaci anche da sveglio. » Perché non v'erano dubbi per entrambi sul fatto che a Edric Fitz piacesse. Che gli piacesse lui o l'idea che si era fatta di lui, tuttavia, ancora non era chiaro. Il serpeverde lo superò, andando a sedersi nel divanetto, nel lato opposto a quello che era stato il posto di Fitzwilliam, in attesa che lui lo raggiungesse. Tutto in quel momento era inaspettato, fuori copione, e lo lasciava spiazzato. « Non ti conosco e non farò finta di conoscerti. Almeno qui dentro, tra noi, possiamo essere noi, senza finzioni. Ti và? » Un'affermazione paradossale, pesante per uno come Edric Sanders che aveva fatto della finzione il caposaldo della propria vita sociale, il prerequisito fondamentale. Se anche solo uno avesse scoperto dell'inferno che aveva nella testa e nel cuore, dei suoi desideri perversi, delle sue malate ossessioni, tutto sarebbe crollato come sabbia sotto il peso del mare. Avrebbe finto di non fingere, avrebbe potuto farlo. Per Fitz. C'erano tante cose che non sapeva di lui, tutto un universo da esplorare dietro quel viso pulito. Era avido di sapere, come avido era stato nei suoi confronti, come sempre e sempre più sarebbe stato. Ma, diretto come solo chi non viene modulato dal pudore sa essere, gli pose la prima, fatidica, personale domanda. « Qual è la tua espressione? » Intima. Come a voler sapere tutto di lui, graffiando sotto la pelle. Come a volergli chiedere, spudorato: Chi sei?
     
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    « Io sono convinto del contrario. A Hogwarts nessuno conosce nessuno, ma facciamo finta di conoscerci. Per convenienza, per sentirci meno soli. » Fitzwilliam si ritrovò a sorridere nuovamente di fronte a quelle parole. Gli piaceva quel deliberato cinismo, quel modo freddo e calcolato di guardare al mondo. Edric doveva essere una di quelle persone che cercava le brutture del mondo di proposito; l'opposto di Fitz. Il giovane Gauthier le brutte del mondo le vedeva eccome, le percepiva e le interiorizzava, ma le sfruttava per ricreare qualcosa di positivo, gli piaceva interiorizzare la naturale sofferenza che il venire al mondo provocava, per riemettere nel mondo qualcosa di bello. A volte dalle brutture distoglieva semplicemente lo sguardo, cercava consapevolmente la bellezza, osservava ogni oggetto e creatura della terra da diversi punti di vista, da diverse angolazioni, finché non trovava quella che più gli piaceva. Luci e ombre; come quelle che emanava il suo interlocutore; un perfetto e intenzionale scherzo della naturale che giocava di proposito con il suo istinto. Ma nemmeno questo gli dispiace; nemmeno questo lo infastidiva; si sentiva come sfidato a capire, come quando gli misero un cubo di rubik per la prima volta tra le mani. Doveva capire come funzionasse, e doveva farlo da solo, osservato, capendo, intuendo. Per questo, a meno che non si avessero abilità particolare ci voleva solo tempo, e uno spiccato senso di empatia e di ascolto. Se avesse visto la vita in bianco e nero, se avesse dovuto giudicare gli aspetti della mondanità secondo il comune pensiero, avrebbe dovuto gettarlo fuori dalla sua stanza senza battere ciglio. Qualcun altro lo avrebbe fatto, ma Fitz al contrario era incuriosito da ciò che aveva di fronte. Un fiore unico nel suo genere. Una creatura di Dio che si strappava al comune buon vivere dei suoi confratelli. « Può essere. Forse hai ragione. » Disse portandosi la sigaretta tra le labbra, osservando di proposito il buio sopra la sua testa, un soffitto dalle sfumature leggermente più chiare; il buio è assenza di luce.. ma la luce c'è sempre. Anche quando sembra non esserci. E così, qualcosa da vedere c'è sempre. « O forse no. » Enigmatico ed ermetico, rifiuta ancora una qualunque forma di reale contatto a colui che ha di fronte. Gli chiede di avvicinarsi, di non restare lì come un galeotto o un bambino sorpreso con la mano nel barattolo dei biscotti prima di cena. Va tutto bene, Fiorellino. Anche quella, seppur mentale, seppur intima e prettamente riservata a se stesso, è un'affermazione impassibile, come se non avesse ancora deciso se vuole o meno fare nuove conoscenze. E' così Fitz, sempre; tutto il contrario di tutto. Curioso eppure perennemente annoiato, bisognoso d'affetto eppure freddo come un pezzo di marmo, coccolone e al contempo stronzo, leale tanto quanto il peggior figlio di puttana traditore che ci sia. E' sincero Fitz, sempre, eppure, la sua verità riesce a raccontare così tante bugie, così tante stronzate del cazzo. E quindi cerca di capire, ma senza troppe pretese. Cerca di capire cosa vuole da lui di preciso, perché ha deciso di usare quel metodo là. Cerca di comprendere se è un amante dell'arte, oppure semplicemente un finto intellettuale con la puzza sotto il naso; Fitz cerca di comprendere se addirittura Edric potrebbe appartenere a una terza categoria, o a una quarta. O a qualcosa che semplicemente non potrebbe nemmeno immaginare. Infinite strade. Infinite possibilità. Andiamo Edric. Dammi qualcosa su cui lavorare. « Non sono ancora del tutto sicuro. Hai qualcosa di speciale, quando sai che non sono qui. Quando dormi o quando ti perdi. » Edric sorride. Fitz sorride. E poi fuma. E poi beve. Tre azioni di seguito, quasi meccaniche, mentre gli occhi vagano sul volto dell'altro. « Devo ancora capire se mi piaci anche da sveglio. » A quell'ultima affermazione non riesce a trattenersi e la sua melodiosa risata leggermente eccentrica fuoriesce tutta insieme, obbligandolo a scuotere la testa alzando gli occhi al cielo. Uno sguardo alla sigaretta di fronte a sé, posata sul posacenere, uno sguardo al letto ancora non disfatto, uno sguardo ai suoi quadri in un angolo, e poi è di nuovo su Edric. Riesce a rendere ogni azione casuale, naturale. In un certo qual modo lo sono.. ma non lo sono mai del tutto. L'arte è anche questo; l'arte è dolore e sofferenza, ma è anche apparenza. E' mettere a nudo se stessi senza mai svelare pienamente chi si è. « Non essere sciocco. Sai già la risposta a questa domanda, altrimenti non entreresti qui di nascosto. » Io ti piaccio, ma non ti piaccio affatto. Ti piace quello che sono nella tua testa, ma odi quello che sono nella realtà, e se non mi odi già, lo farai. Ma lui sembra avere una risposta diversa a questa situazione. « Non ti conosco e non farò finta di conoscerti. Almeno qui dentro, tra noi, possiamo essere noi, senza finzioni. Ti và? » « Questa è una domanda che dovrei farti io, Fiorellino. In fin dei conti, sei tu quello che non voleva farsi vedere.. »

    « Qual è la tua espressione? » Fu una domanda che lo lasciò leggermente spiazzato. Fitzwilliam è abituato a parlare la sua lingua con gli altri, ma non è altrettanto abituato a sentire gli altri interiorizzare la sua. Per i suoi coetanei, la sua è una lingua morta, parla di miti antichi, di artisti e sofferenze vecchie come il mondo, parla di problemi eterei che nulla hanno a che vedere con il concreto vivere. I suoi compagni più fedeli, i poeti e i filosofi, vivevano in un mondo tutto loro, comprendevano i grandi problemi del mondo, ma si scontravano con un muro nel cercare di empatizzare col comune vissuto. In parte, Fitz era come loro, solo certamente non all'altezza di partorire le loro stesse idea. Sospiro e spense la sigaretta nel posacenere, alzandosi velocemente solo per afferrare il suo blocco da disegno dalla scrivania, una matita da disegno e una candela che posò sul tavolino di fronte a loro, accendendola. Sfoglio le prime pagine scarabocchiate per poi arrivare alla prima pagina bianca utile. Fu allora che si portò le ginocchia su usandole come piano d'appoggio. E così prese a disegnare le prime curve; il volto allungato, un leggero accenno degli occhi grandi sotto una larga fronte perfettamente liscia, il naso leggermente all'insù, e le labbra. Fu iniziando ad abbozzare quel particolare dettagli del volto di Edric che prese a sorridere.
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    « Non lo so. Dovrai dirmelo tu. » E non c'era provocazione o malizia in quelle parole. Quando si trattava di argomenti così cari all'animo di Fitz, egli prendeva i discorsi molto più sul serio. Normalmente era un coglione, poi veniva colto di sorpresa da dettagli del genere, e tutto cambiava, persino nell'espressione del suo volto. « Non è qualcosa che posso raccontarti. E' una cosa troppo spontanea perché possa essere costruita. Di solito, siamo in grado di raccontare di noi solo i nostri lati più costruiti - il che non ci rende finti, bada bene - ..in ogni caso l'espressione non è una di quelle. » Che poi cos'era questa espressione? Fitz la definirebbe spiattellare il proprio animo nei gesti più quotidiani. Per qualcuno è cucinare per una persona cara, per qualcun altro è dipingere, cantare, per qualcuno è alzarsi la mattina e difendere a spada tratta qualcun altro. Può essere qualcosa di etereo e piuttosto astratto come quella che Edric ha mostrato a Fitz, come qualcosa di assolutamente concreto. E al diavolo la coerenza sul punto in cui dicevamo che Fitz non percepisce il comune vivere. D'altronde, cercate di trovare davvero un senso nella mentalità contorta di questo ragazzo. « E poi muta, a seconda della persona con cui ci rapportiamo; concorderai con me su questo - a meno che tu non mandi poesie a tutto il resto del campus. » Annnuisce, mentre continua ad abbozzare il suo volto; una ciocca di capelli le tormenta appena la forte. Si morde il labbra, e continuando a disegnare sorride scuotendo la testa. Che cosa avrai mai da sorridere. « Prima o poi la capirai. » Ma Fitz, resta un provocatore, e concluso quel discorso, c'era ancora qualcosa che restava fuori dall'equazione. In fin dei conti, era lui ad aver chiesto di essere se stessi. E Fitz era uno che faceva un sacco di domande; troppe per il suo stesso bene. Era sempre stato così - odioso - sin da piccolo. « Prima hai detto.. "quando dormi o quando ti perdi".. » Un sorriso magnetico si distende sulle sue labbra mentre gli occhi scuri di lui si posano per la prima volta dopo tanto tempo in quelli di Edric. Pensavate che non fosse stato attento eh? Figlio di puttana e di Rowena maledetta! « ..quand'è che mi perdo di preciso? » C'è malizia in quest'ultima domanda. La verità è che Fitz ama prendere i bambini con la mano nel barattolo dei biscotti prima di cena.

     
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    Edric decretò che quella sera sarebbe stato sincero con Fitz. Almeno fino a quanto avesse permesso il buonsenso: c'erano cose che non avrebbe potuto dirgli. Che non avrebbe saputo dirgli, senza che questi scappasse. Sarebbe successo: Fitzwilliam poteva essere eccentrico, poteva avere la mente più aperta e ricettiva dell'intero castello di Hogwarts, poteva avere la lungimiranza dei grandi pensatori ma rimaneva pur sempre un uomo e l'uomo, per natura, ha paura del buio. Sarebbe scappato come avevano fatto tutti quelli prima di lui, come avrebbero fatto molti altri dopo. Ma gli altri non erano passati sotto la fine morsa delle attenzioni di Edric, quelle più sfacciate e perverse. Nessuno di loro egli aveva desiderato scoprire, conoscere, anche solo sfiorare com'era successo con Fitzwilliam Gauthier. Questo aveva cambiato le carte in tavola, rendendo il loro incontro - per quanto fortuito, per quanto inatteso - una partita che avrebbe dovuto giocare per arrivare all'unico risultato possibile. Avrebbe dovuto vincere e il premio gli era seduto accanto, abbellito da morbidi ricci e occhi da diavolo. Fitzwilliam era una tentazione e i suoi più reconditi desideri urlavano perché le distanze tra loro fossero divorate, annullate in virtù di un unico fine. Edric, per forza di cose, non era mai stato bravo nelle relazioni né se ne era mai curato più di tanto: tutto ciò che gli era capitato, ogni amicizia e ogni contatto, si poteva dire essere frutto del caso. Nulla più che strade che si incrociavano per caso, scambi di vita con persone che non avevano rappresentato nulla; si sarebbe potuto dimenticare di ognuno di loro e questo non avrebbe minimamente inficiato alcunché. Era la prima volta, evento più unico che raro, che il serpeverde fosse realmente intenzionato a non far sì che un incontro fosse dettato dal mero destino, seppur non avesse idea di come fare a prendere in mano le redini della situazione. Lo voleva, ma non ne aveva gli strumenti. Come avrebbe potuto fare per piacere e farsi piacere da un ragazzo come Fitzwilliam, che della patina di mistero di cui era adornato faceva un baluardo e lo elevava a poesia? Non lo conosceva, non sapeva nulla di lui se non qualcosa delle sue abitudini. Non sapeva cosa lo attraesse, cosa lo facesse palpitare o eccitare. Tutto ciò che Edric sapeva fare era essere sé stesso, con tutta la lacerante bruttura che ne conseguiva: era uno scarto dell'inferno, forse, ma pur coi suoi difetti era sincero.
    (ti servirà molto più della sincerità per averlo)
    E se essere sé stesso, per una maledetta volta nella vita, fosse bastato? Non realmente ma quel tanto, sufficiente abbastanza per entrare nelle grazie del corvonero o, almeno, il più vicino possibile ad esse. Era una scommessa che non era sicuro di essere pronto ad accettare, lui che di scommesse non ne aveva mai fatte. Tutto ciò che sapeva era ciò che sentiva nei confronti del canadese. Lo sentiva e già questo bastava a lasciargli sulla pelle sensazioni non completamente nuove ma dimenticate, sì. Sopite, fino al momento in cui nel buio le mani di Fitz non l'avevano spinto. Perfino il gioco degli origami, nascosto nell'anonimato, aveva rischiato di divenire uno di quei futili passatempi privi di spirito e trasporto che riempivano la sua vita apatica. Era servito il provvidenziale intervento della sua vittima perché tutto passasse ad un livello successivo.
    (e tu hai paura)
    Aveva paura? Non la sentiva, non sentiva torcersi le viscere nell'addome. Non sentiva i muscoli contrarsi, i sensi farsi più fini. Eppure un tarlo nella mente, un pensiero pungente che si era insediato e non accennava a scivolare via gli diceva quanto quel repentino cambio di regole nel gioco che egli stesso aveva costruito fosse pericoloso. Una parte di sé, la più forte e voluttuosa, aveva paura di perdere il controllo; un'altra, lesionista e distruttiva, rimuginava su cosa dovesse significare lasciarsi andare ai cambiamenti che Fitz - involontariamente - aveva provocato. Seguire il flusso della corrente che avrebbe potuto portarlo lontano o affondarlo tra scogli nascosti. Cos'era, Fitzwilliam? L'avventura dell'ignoto o un pericolo nascosto? Perché non entrambe. Gliela leggeva negli occhi, la dicotomia del suo spirito, contorto quasi quanto il suo: dirimerlo non solo sarebbe stato impossibile.. sarebbe stato un peccato. Avrebbe significato semplificarlo e non era qualcosa che avrebbe potuto accettare, per uno come Fitz. Semplificandolo, l'avrebbe mortificato. Ne fu una prova - una tra le tante - come il corvonero si comportò alla sua domanda: una semplice risposta sarebbe stata troppo banale.

    « Non lo so. Dovrai dirmelo tu. » Aggrottò la fronte. Non lo sa, certo. Aveva tirato fuori lui dal cappello la storia dell'espressione e il diavolo solo sapeva che fosse, e solo pochi minuti dopo si era rimangiato tutto o quasi. Non aveva idea di quale potesse essere l'espressione di FItzwilliam perché non aveva idea, in primis, di cosa fosse un'espressione. Se quella di Edric si poteva ritrovare nel far trovare poesie intagliate nelle camere di completi sconosciuti, chissà, forse poteva anche essere sinonimo di perversione. Non gli sarebbe dispiaciuto poi tanto approfondire anche quel lato della loro nascitura conoscenza. L'aveva seguito con gli occhi, pur senza muovere un muscolo, mentre aveva recuperato un blocco di carta e tutto l'occorrente per scriverci. Fu tutto così spontaneo, così elegante: come se lo avesse organizzato da tempo. Come se il serpeverde non fosse nella stanza, per un momento chiuso in una bolla infinita, Fitzwilliam si raggomitolò con il blocco sul grembo e raccolse negli occhi e nelle mani la bellezza di cui era capace. Solo allora, quasi per uno scherzo del destino, alzò i suoi occhi profondi verso Edric e prese a tracciare sulla carta i suoi lineamenti. Lo lasciò spiazzato, turbato in un certo qual modo: ogni tratto che il corvonero passava sulla carta contribuiva a costruire la figura del volto di qualcuno che fino a non molto tempo prima era semplicemente un'ombra nella coda dell'occhio, un'impressione negativa. Fitz stava realizzando su carta la presenza stessa di Edric nella stanza e al contempo nella sua vita, la stava concretizzando. E questo sì che avrebbe potuto fargli paura. « Non è qualcosa che posso raccontarti. E' una cosa troppo spontanea perché possa essere costruita. Di solito, siamo in grado di raccontare di noi solo i nostri lati più costruiti - il che non ci rende finti, bada bene - ..in ogni caso l'espressione non è una di quelle. E poi muta, a seconda della persona con cui ci rapportiamo; concorderai con me su questo - a meno che tu non mandi poesie a tutto il resto del campus. » Concordava, pur avendo capito solo in parte l'ampiezza del significato che Fitzwilliam dava al termine espressione. « No, non le mando a tutti. » si affrettò a precisare senza un perché preciso, incurante dell'ironia sulla lingua del corvonero. Fitz lo sapeva e Edric avrebbe dovuto capirlo.. avrebbe potuto, se tutto quello non l'avesse disorientato. Fitzwilliam lo disorientava. Il legame con la sua mente lo disorientava. Averlo così vicino lo disorientava. La voglia pulsante di baciarlo lo disorientava.
    (fagli male)
    Avrebbe voluto. Disperatamente, avrebbe voluto. Fargli male per far del male a sé stesso, ad ogni gemito un brandello di sé lacerato. Il bel viso di Fitz, coperto di dolore e piacere sotto le mani ancora tremanti di Edric: il solo pensiero faceva ululare il Passeggero e faceva fremere lui, di un'impazienza a tratti infantile. Ma le mani del serpeverde rimasero dov'erano, sul suo grembo.
    « Prima hai detto "quando dormi o quando ti perdi"..quand'è che mi perdo di preciso? » Gli occhi di Edric, calamitati sul ritratto che prendeva vita poco a poco, si sollevarono come attratte da un incantesimo verso quelli di Fitz. Aveva la lingua biforcuta di un serpente celato sotto le sembianze della più pura innocenza. Ma sapeva di essere un diavolo, Gauthier: lo sapeva e, nella sua consapevolezza, se ne stava rendendo conto anche Edric. Questo avrebbe cambiato molte cose.
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    « La prima volta che ti ho visto, che ti ho visto veramente, eri in biblioteca, a Hogwarts. Fuori pioveva, era quasi ora di cena. Eri solo sui tuoi libri e passavi la piuma d'oca sul tuo viso. » Allungò lentamente le dita libere dalla presa del bicchiere e, con la semplice punta dei polpastrelli, gli sfiorò la tempia sinistra scendendo lungo il profilo del volto, fino alla guancia. Ricordava ancora l'effetto che gli fece vedere la piuma sulla pelle del ragazzo, un quadro in movimento. Era lenta, lo sfiorava come fossero state dita e lui era immobile, nel silenzio e nella solitudine. Eri perso. « Quando siamo venuti su quest'isola, non sapevo se ci fossi anche tu. Poi ti ho visto: eri sul molo e lasciavi che l'acqua del mare ti bagnasse i piedi, ma tu non te ne curavi. Faceva caldo e tu neppure te ne accorgevi. Ti limitavi a guardare il sole scendere. » E io a guardare te, senza accorgermi del mare o del caldo. Eri perso.. ed io con te. Buttò giù un generoso sorso di whiskey incendiario, spostandosi appena verso il corvonero. « E' notte e nessuno può vederti. Chiuso nella tua camera, illuminato solo da una candela, disegni un viso che conosci appena. » Ti stai perdendo, Fitz? Avvicinò il viso al suo, senza tuttavia superare la distanza che irrimediabilmente avrebbe cambiato loro il destino. Lontano, ma non abbastanza. Vicino, sì, ma troppo poco. « Perché sembra sempre che tu voglia esserci e non esserci allo stesso tempo? » Non muoversi, per non rovinare un momento che la bellezza immortala e magnifica nella memoria, e allo stesso tempo volare, partire via, alla ricerca di nuovi momenti. Per perdersi di nuovo, ancora e ancora, in un ciclo infinito. La morte non sarebbe arrivata mai. « Vuoi essere qui.. » con me « ..e vuoi essere altrove. Dove? » Lesse il tormento nei suoi occhi. Se avesse saputo, se davvero avesse saputo, Fitz sarebbe scappato via come ogni uomo farebbe. Ma se fosse tornato?
    Cosa diavolo sei?


    Edited by Soffio di Fiamme Danzanti - 2/9/2017, 22:39
     
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    « La prima volta che ti ho visto, che ti ho visto veramente, eri in biblioteca, a Hogwarts. Fuori pioveva, era quasi ora di cena. Eri solo sui tuoi libri e passavi la piuma d'oca sul tuo viso. » I polpastrelli di Edric a contatto con la sua pelle risultano freddi; un tocco piacevole. Ma non è quel contatto fisico a intrigarlo. Sono le parole di lui. Un attento osservatore, meticoloso, forse tanto quanto lui. Corruga la fronte lasciando che un sorriso di sbieco gli tormenti il volto angelico. Cattura i dettagli di Edric con attenzione. La matita continua a tratteggiarlo, in quella sua posizione naturale, mentre sforza la memoria per ricordare cose accadute forse molto tempo prima. Si chiede da quanto tempo lo segua, da quanto tempo si celi nell'ombra. Fitzwilliam ha una passione vorace per le cose nascoste, per quello che nessun altro nota, per i dettagli insignificanti. A volte resta in biblioteca per ore, a osservare i raggi del sole che si spostano sul pavimento fino a scomparire, ricreando a contatto con i cornicioni, figure distorte. Quella leggera polverina nell'aria, in controluce, che fluttua delicatamente attorno a tutti loro. E' lì; è sempre lì, ma per la maggior parte del tempo nessuno si accorge che esista. « Quando siamo venuti su quest'isola, non sapevo se ci fossi anche tu. Poi ti ho visto: eri sul molo e lasciavi che l'acqua del mare ti bagnasse i piedi, ma tu non te ne curavi. Faceva caldo e tu neppure te ne accorgevi. Ti limitavi a guardare il sole scendere. » La vicinanza si riduce; e Fitzwilliam, ancora una volta curiosa, alza lo sguardo verso il suo interlocutore. La sua voce è velluto, i suoi occhi da predatore sembrano come inglobarlo, e lui se ne sente attratto, come nella ragnatela di una vedova nera. C'è qualcosa di altamente pericoloso in quegli occhi, qualcosa di letale che raramente ha visto altrove. Edric è una di quelle cose insolite in cui vi si può trovare un'estrema bellezza violenta. Delicato come un fiore - fiorellino - eppure velenoso come l'ago del di un insetto insospettabile. « E' notte e nessuno può vederti. Chiuso nella tua camera, illuminato solo da una candela, disegni un viso che conosci appena. » E' un modo per conoscerti meglio. « Perché sembra sempre che tu voglia esserci e non esserci allo stesso tempo? Vuoi essere qui.. e vuoi essere altrove. Dove? »
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    E' raro che Fitzwilliam Gauthier venga spiazzato, eppure in quel momento si sente proprio così. Corruga appena la fronte, inclinando il viso di lato mentre cerca di leggere le sfumature di quel volto, pericolosamente vicino al suo. Cerca di comprendere cosa cosa stia cercando di dirgli. Come fai? Che cosa ne sai? Se solo Fitz fosse riuscito a dare risposta a quella domanda, tutto sarebbe stato più facile anche per lui. Sembra sempre così sicuro di sé, sembra sapere precisamente quando fare cosa, come muoversi, come parlare, come mettersi in mostra. Il più delle volte risulta un essere estremamente calcolato, meticoloso nel suo essere così caotico, ed ecco dove nasce il fascino di questo ragazzo che nulla ha poi di tanto speciale. Eppure, si è forgiato in questo modo per un'unico motivo: evitare la confusione. Evitare qualunque cosa il suo animo cercasse di dirgli sin dalla nascita. Ha sempre provato una specie di vuoto, un tormento interiore che non ha mai saputo a cosa fosse dovuto. Era perennemente irrequieto, si sentiva come se qualcuno gli tenesse perennemente il fiato sul collo. Si sentiva osservato, e degli occhi altrui ne ha fatto la sua droga. Si sentiva insicuro, e della sicurezza ha fatto il suo principale mantra. Si sentiva indegno, e allora Fitzwilliam si è convinto che nessuno più di lui fosse degno di mettere piede su questa terra. Pensava che nessuno volesse nessuno al mondo, e allora si è reso più desiderabile di altri. Tutta questione di percezione. Quella ciocca è ancora lì, e allora, Fitziwilliam, matita alla mano, gliela sposta con delicatezza dalla fronte lasciando che le dita percorrano il profilo del suo volto. La pelle liscia e fredda a contatto con i suoi polpastrelli caldi. « Più di un dove è un chi. » Risponde con sincerità prima di abbassare lo sguardo sul proprio disegno. Sorride mentre gli occhi tornano al suo schizzo, su cui continua ad aggiungere dettagli; qualcosa che prima non poteva vedere. Le venature intricate dei suoi occhi, quella leggera linea sottile che corre nel ombra sul suo naso sottile. Edric racchiude qualcosa di irraggiungibile, una bellezza inquietante che aspira alla perfezione. Ti ho visto. Ti ho visto molte volte prima di oggi. Ma mai così. « Il mondo non esisterebbe se non ci fosse nessuno a raccontarlo. » Continua quindi, alzando ogni tanto gli occhi sul suo volto. Se non ci fosse nessuno a dipingerlo, fotografarlo. Tu non esistereste se non ci fossi io, se non ci fossero tutti gli altri. E non esisterei nemmeno io. Non ne avrei motivo. « Le luci, le ombre, i colori, le persone, non esisterebbero se non ci fosse qualcun altro ad apprezzarle. » Fa una leggera paura. « Ma ognuno di noi percepisce il mondo in modo diverso. Capisci? » I tuoi occhi non vedranno mai ciò che vedono i miei e viceversa. A tratti da quel poco che è riuscito a strappare dalla sua breve conversazione con il giovane Sanders, le risulta un animo affine. Non uguale ma molto simile; forse sin troppo. Innaturale. E' come se vedesse il mondo attraverso i suoi occhi, ma lo rielaborasse. D'altronde, quell'epopea sulla perdizione del giovane Gauthier ne era la prova vivente. Tenne per sé quelle riflessioni squisitamente personali, da accertare in un secondo momento. « Trovo davvero limitante avere solo due occhi per vederlo. » Lo sguardo si assottiglia, mentre a sua volta, avvicina il volto a quello di lui, forse valicando quel limite del comune vivere. Osserva con un'attenzione meticolosa quei suoi occhi. « Per esempio, sarebbe interessante vedere ciò che vedi tu. » Non bello, bensì interessante. Le parole non sono mai casuali. « Come vedi quella fiamma, come vedi questi occhi, questo ambiente. Come sono queste ombre per te.. » E nel dire ciò, lasciò fluttuare le dita affusolate di fronte alla fiamma della candela, ricreando ombre squisitamente eleganti sul pavimento appena illuminato. « C'è un intero mondo lì dentro.. e io non potrò mai vederlo. » Non potrò mai vedere nulla che non sia me stesso. Ed è altrettanto per te. Un triste destino dell'essere umano.
     
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    Dalla candela nascevano onde di luce che danzavano sul viso di Fitzwilliam, rendendolo più simile a un dipinto che a carne viva. Ma al tocco era caldo come Edric non sarebbe mai stato ed era vellutata la sua pelle, morbida, vera. Una visione divenuta realtà sotto le dita. Lo guardò e gli sembrò folle, dopotutto, non aver colmato prima di quel momento la distanza che li aveva separati. Ma nella follia era stato concepito e folle sarebbe continuato ad essere, malgrado ogni decisione. Fu con questa consapevolezza che abbandonò il suo viso e non avanzò oltre, malgrado le mani per puro istinto avrebbero voluto continuare a toccarlo. Solo i grandi occhi di Edric continuarono ad accarezzarlo, appagando una voglia che scalpitava dentro. Ma ora non era solo: anche Lui, finalmente, aveva posato gli occhi sul nuovo giocattolino del suo protetto. Bisbigliava all'orecchio sospiri pesanti, lo sentiva agitarsi perché anche l'ultimo spazio tra loro venisse divorato. Per una volta, non per semplice fame. Sogghignò, Lui, appollaiato sullo strato più esterno della coscienza di Edric, sporgendovisi per gustare meglio lo spettacolo della sorpresa che aveva di fronte. Sapeva che, se avesse avuto Lui il controllo, quella serata avrebbe preso una piega molto diversa.

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    (ora so perché ci piace tanto)
    Perché è fuori di testa, proprio come me.
    (sei fuori di testa, se pensi che sia solo questo)

    Non avrebbe aggiunto altro, era fatto così. Enigmatico, proprio come Edric. Si limitò a ridere di gusto innanzi al dubbio che sul suo ospite aveva gettato. Edric continuò ad osservare Fitz completare e rifinire il suo ritratto, cercando a sua volta in lui ciò che il suo Passeggero aveva visto. Non era bellezza, sia Lui che Edric avevano un concetto assai distorto del bello e del brutto, proprio come per il bene e il male. Non era l'intelletto né quell'ostentato atteggiamento di superiorità, che pure al serpeverde riusciva ad intrigare. Non era il volerlo mettere in difficoltà giocando con le parole e le idee, tipico delle menti superiori. Quelle erano qualità effimere che possono toccare le corde di un uomo, non le Sue. Cos'hai visto, allora, in lui?
    (e tu cos'hai visto in lui?)

    Fitz cos'aveva visto in Edric, oltre la maschera del serpeverde apatico, del buon figlio borghese? Fu come se il corvonero avesse letto la curiosità negli occhi dell'altro, nel momento in cui indugiò sul viso pallido e appuntito di Edric. Una curiosità che non sarebbe mai stata saziata a pieno, di certo non quella sera. Era solo un assaggio quell'incontro, un antipasto che avrebbe lasciato ad entrambi ancora più fame. Chiuse gli occhi al tocco di Fitz, assaporando con la pelle le dita che scendevano, lente. Essere toccato gli aveva sempre dato fastidio ma molte delle sfaccettature della sua persona erano cambiate, da quando Lui si era palesato: il fastidio era rimasto, a cambiare era stato il modo di approcciarsi ad esso. Aveva iniziato a piacergli, quel fastidio, come una perversione appagante. Così come gli piacque, pur detestandolo, essere toccato da Fitz.. anche se per così poco. Il tempo di un brivido lungo la schiena, riflesso incondizionato del disagio che diventa piacere. « Il mondo non esisterebbe se non ci fosse nessuno a raccontarlo. Le luci, le ombre, i colori, le persone, non esisterebbero se non ci fosse qualcun altro ad apprezzarle. Ma ognuno di noi percepisce il mondo in modo diverso. Capisci? » Se un un uomo grida nel cuore della foresta e non c'è nessuno ad ascoltarlo, fa rumore? No, avrebbe risposto Fitz. Sì, avrebbe detto invece Edric, mosso da cinismo: perché il mondo sarebbe esistito lo stesso senza qualcuno che lo raccontasse, com'era prima dell'uomo, come sarebbe stato dopo la sua scomparsa. Una divergenza di opinioni che trovò a suo modo intrigante. Simili ma così diversi: corpo e anima, ragione e materia. Tuttavia su una cosa concordava: la soggettività delle percezioni. Era una verità assoluta che aveva avuto modo egli stesso di apprendere, nel corso di innumerevoli legami che aveva contratto con le menti altrui. Uno stesso stimolo riusciva a provocare centinaia di reazioni di diverse, tutte con una leggera sfumatura di colore diversa dalle altre, ognuna derivante da un diverso passato, un diverso vissuto. Occhi diversi per vedere il mondo. Annuì. « Trovo davvero limitante avere solo due occhi per vederlo. » Fu Fitz ad avvicinarsi. Ancora, sul ciglio del precipizio, rischiando di cadere. Il pericolo che gli occhi di Edric videro e che quelli di Fitz dovevano aver scambiato per tentazione. « Per esempio, sarebbe interessante vedere ciò che vedi tu. Come vedi quella fiamma, come vedi questi occhi, questo ambiente. Come sono queste ombre per te.. C'è un intero mondo lì dentro.. e io non potrò mai vederlo. » e le ombre calarono, profetizzate dalle sue parole e concretizzate da un semplice gesto della mano.
    (ora, è il momento)
    Il momento perfetto per lasciarsi andare, ignorare ogni riflessione e fargli vedere come lo vedeva: come un desiderio a cui aveva resistito per tutto il tempo. Sarebbe stato così semplice cedere alle lusinghe del peccato, consumare ciò che fino a quel momento si era sempre limitato ad osservare e non senza piacere. Ma quali e quanti piaceri avrebbero potuto offrirgli le labbra di Fitz, ora tanto vicine da poterne sentire addirittura il respiro sulle sue! Voleva fargli male e farsene. Soffrire, fino all'ultimo. « Ci sono cose che non sono fatte per essere viste.. segreti che dovrebbero rimanere tali. » bisbigliò, la sua voce era un sussurro appena percettibile. Non era un segreto ciò che stava confidando a Fitzwilliam: era un indizio. « Il mondo non esisterebbe se non ci fossero limiti. Saremmo io e te, infiniti, in un mare di nulla. » Pronunciandolo, sembrò addirittura allettante. Non era ciò che già erano? Non stava già affogando insieme a lui? Insieme, lontani da tutto, senza respiro. Pronti alla catastrofe. E allora tieniti stretti i tuoi due occhi, Fitz: sarà tutto ciò che ti servirà d'ora in poi. Il viso di Edric si mosse ma non per baciare la sagoma scura di fronte a sé; al contrario, avvicinò le labbra all'orecchio destro. « Ma.. tutti i limiti possono essere superati. Tutti, nessuno escluso. » e quello sì che era un segreto, il più inconfessabile di tutti. La folgorante e gloriosa consapevolezza del fatto che tutto può essere piegato al proprio volere. Le labbra pallide di Edric si piegarono in un sorriso che Fitzwilliam non avrebbe mai potuto vedere. « Anche i più impensabili, anche ciò che credi sia folle. Basta sapere come fare. »
    (ne sei la prova)
    Allora non arrenderti Fitz, non ora. Supera l'impossibile. La punta del naso, gelida, sfiorò la guancia del corvonero. « Io ne ho superato uno, ora che sai chi sono. Ricorda: ogni volta che mi cercherai, io ci sarò. Sempre un passo indietro.. voltati e io sarò là. » Posò un bacio sulla guancia di Fitz. Non era dolce, come non c'era dolcezza nelle sue parole. Non voleva esserlo, non lo sarebbe mai stato. Ciò nonostante, quella era la verità: aveva deciso di essere sincero con lui, dopotutto. Si allontanò bruscamente per riappropriarsi del loto di carta che gli era stato regalato e alzarsi dal divano. C'erano solo due modi in cui sarebbe potuto finire il loro incontro: banchettando con le reciproci voglie o soffrire, aspettando il momento in cui risentire la vicinanza l'uno dell'altro. Il Passeggero ringhiava di disappunto ad ogni passo che Edric compiva, camminando all'indietro verso la porta per scrutare Fitz nel buio della stanza. Ancora, come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato a fare in futuro: gliel'aveva appena promesso.
     
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