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    συνείδησις. Coscienza. /co·scièn·za/
    1. Consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori


    Ha deciso di chiamarla così. Operazione suneidésis. E' sempre stato un amante della storia antica, in particolar modo di quella greca e gli è subito parso calzante quel nome in codice. Mironov era stato così gentile da mandargli la sua risorsa migliore. L'aveva descritta come un'arma letale, senza la quale Alek non poteva assolutamente permettersi di stare. Mironov era sempre stato un uomo di fiducia, un signorotto fin troppo borioso, forse, che sembrava giocare al gioco di chi la racconta più grossa e architettata, ma quando si trattava di affari, Alek si era sempre potuto fidare della sua parola. E Alek aveva bisogno di poter mettere la mano sul fuoco in quel frangente. Aveva bisogno di quel soldato come un uomo che soffre di asma ha bisogno del suo inalatore sempre a portata di mano. Alek ha bisogno di credere in quella missione, in quell'operazione perché non si fida di Beatrice Morgenstern. E' una ragazzina, ha da poco compiuto la maggior età, è testarda e fin troppo instabile. Ha delle leve da usare contro di lei, in caso gli si rivoltasse contro, ma ha bisogno di qualcos'altro. Alek è sempre stato l'uomo che quando vede sfumare davanti ai propri occhi il suo piano A, ha sempre quello B di scorta. E quello C, quello D e così via. Perciò, non riponendo la sua totale fiducia nella piccola Morgenstern, Alek ha deciso di cominciare ad architettare il piano C, affinché sia pronto, ancor prima di scoprire, magari, che le sue preoccupazioni sulla ragazza risultino avere un riscontro reale. Ed è per questo che si è rivolto al suo fidato Mironov. Si è lasciato consigliare da lui, fin quando non è arrivato a descrivergli la nuova arma progettata interamente in laboratorio. E ora è lì, di fronte a lui. Un automa. E' umana nell'aspetto, Mironov gli ha assicurato che si comporta anche da tale, con dei ricordi, dei pensieri e una voce propri. Due uomini del russo l'hanno scortata fino all'ultimo piano del Ministero, prima di quello delle aule del Wizengamot. Ufficio Misteri. Alek si trova lì con un espresso permesso firmato da Norwena Zabini. Lì è libero di fare quello che vuole, al pari del Capo degli Indicibili, uomo con il quale ha passato le ultime due settimane, affinché gli insegnasse i segreti di quel lavoro silenzioso, in particolar modo quelli della Stanza dei Pensieri.
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    Sorride alla ragazza, dispiegando gli angoli delle labbra. Mironov gli ha detto che è chiamata La Chimera, un organismo che è formato da diversi tessuti geneticamente modificati. Eppure ha tutta l'aria di essere una semplice ragazza, decisamente bella, fin troppo dark per i gusti del gitano. «Potete andare» fa un cenno del capo ai due che si trovano ai lati della sua chimera. Le due guardie sembrano titubanti, si guardano tra di loro e uno, infine, prende la parola con il suo strascicato accento russo. "Il signor Miranov ci ha chiesto di rimanere a sorvegliarla. Non può - - permettersi di perderla. Sì, lo so, lo conosco bene Miranov. Da molti anni ormai. Così come lui conosce me, da altrettanti anni. E sa bene quanto io apprezzi scartare i suoi regali privatamente.» Li guarda fissi, con un'espressione gelida a spazzarle via il sorriso tirato di pochi istanti prima. Ad Alek non piace essere infastidito e soprattutto non piace essere contraddetto. Specie se la seccatura arriva da due che non considera nemmeno suoi sottoposti. Sicuramente non suoi pari. L'uomo fa un passo avanti, superando la ragazza. "Signor Marchand, deve capire che è instabile." Parla di lei come se non fosse nemmeno lì con loro, con le manette a tenerle fermi i polsi e probabilmente una buona dose di sedativi a scorrerle nelle vene bluastre che le decorano le braccia nude. "Ha bisogno di noi, del nostro - Alek non gli fa finire nemmeno la frase, scoppiando a ridere. «Stava per dire "aiuto"? Credete davvero di essermi indispensabili nel trattare con Kira Torna a puntare i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei. Sembra così innocua, così stabile. Eppure i suoi occhi parlano per lei. Parlano ad Alek più di qualsiasi parola che potrebbe uscire dalle quelle sue labbra sottili. E questa cosa sembra accenderlo di euforia. «Ora, come già siete stati invitare a fare, potete andare Non vuole ripeterglielo un'altra volta. Non lo farà. Non sarebbe comunque la prima volta che dovrebbe giustificare a Miranov il mancato rientro di suoi uomini che erano stati inviati a parlamentare con lui. Questa volta, decisamente più saggi della prima volta, abbassano il capo, danno un'ultima veloce occhiata alla ragazza e tornano da dove sono venuti. Alek li segue con gli occhi, fin quando le porte sferragliano davanti a loro e l'ascensore cigola verso l'alto. «Bene, siamo soli» si rivolge di nuovo alla ragazza, abbozzando uno dei suoi soliti sorrisi pacati. «Abbiamo un lavoro importante da fare oggi. Sarà meglio andare» e così facendo, le fa strada, arrivando davanti alla porta della Stanza dei Pensieri. La chiave scatta nella serratura e di fronte ai propri occhi compare la stanza rettangolare che contiene tutta la coscienza del mondo. Sia quella individuale che quella collettiva. Aspetta che la ragazza lo segua, prima di richiudere la porta dietro le sue spalle. Si lascia incantare dalla vista della sala per qualche secondo, prima di voltarsi a guardarla. Le si fa più vicino, estraendo la bacchetta dalla tasca dei pantaloni. «Che ne dici se queste le togliamo?» Indica le manette che le inglobano i polsi in due tubi di ferro. Con una mossa veloce di polso, cadono ai loro piedi, producendo un rumore metallico, cozzando contro il pavimento lucido e scuro. «Ora direi di tornare ai convenevoli di rito. Sono Alek Marchand, piacere di conoscerti.» Non allunga la mano per stringere quella di lei, convinto che non sia nei modi consueti della ragazza quello di rispettare le buone maniere. «Ti trovi nella Stanza dei Pensieri, una delle stanze più importanti all'interno del Ministero della Magia Inglese.» Comincia a spiegarle, mentre le indica una seggiola, avvicinata ad una delle poche scrivanie presenti all'interno della camera. Tutti intorno vi sono degli alti scaffali, come nella Stanza delle Profezie. E su ogni scaffale vi sono delle palle di vetro, che assomigliano stranamente ad una ricordella, visto il fumo che appare al loro interno. «Sotto ognuna di queste vi è il nome di una persona. E vi sono le coscienze di tutto il mondo.» Sorride, mentre si addentra tra gli scaffali, certo nel darle le spalle. Cammina fin quando non la individua. La stacca dal suo piedistello e torna verso Kira. Verso la sua paziente. La paziente zero. La paziente più importante di tutti quelli che verranno. Il suo primo esperimento. Inclina la testa di lato, mentre si avvicina una sedia con l'ausilio del piede, per sedersi di fronte a lei. Ingloba la palla cerchiata d'oro nella mano destra, prima di mostrarla alla ragazza. «Ti va di fare un gioco con me?» Le domanda, senza darle il tempo di rispondere. «E' semplice. Io ti faccio qualche domanda, e te dovrai rispondermi sinceramente. In fondo sembri essere costretta dalla tua stessa natura a farlo.» I suoi occhi ricadono sul simbolo della chimera che ha sul polso ormai libero da qualsiasi catena. Mironov gli ha spiegato com'è che riesce a tenerla legata a sé. «Quanto c'è di - abbassa gli occhi a leggere il nome sull'etichetta che penzola dalla ricordella che ha tra le mani - Kate Elizabeth Moore in te?»



    Edited by survivor` - 19/8/2017, 17:43
     
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    Quel posto non le piace. Non ha idea del perchè, ma le sembra di conoscerlo già. E' lì, la Chimera, scortata da due uomini che, se non avesse una buona percentuale di sedativo a scorrerle nelle vene, potrebbe neutralizzare senza particolare sforzo. Quel posto non le piace e ciò la rende nervosa. La chimera non è stata creata per avere dubbi, eppure Kira ne ha sempre avuti tanti. Avere dubbi non le piace. Quei ripensamenti, quelle emozioni incontrollate non fanno altro che innervosirla più di quanto non lo sia già. Mironov non le aveva detto molto sul perchè quel giorno sarebbe stata scortata in quel posto. Mironov non le diceva mai un cazzo. Si vantava di quanto il suo lavoro con lei fosse stato egregio, la venerava come fosse una divinità, e poi non le rivelava mai nulla. Era l'oggetto diretto dei suoi piani, Kira, ma ciò nonostante non li conosceva mai appieno. E questo rientrava nella lista di cose che non le piacevano. Una lista che aumentava di giorno in giorno, a quanto pare, man mano che le veniva concesso di scoprire il mondo che la circondava. Un mondo di merda, sino ad ora. La curiosità l'aveva sempre caratterizzata. Una curiosità intrisa di avido interesse verso quell'umanità nella quale era stata catapultata dal nulla. Eppure, nonostante le piacesse scoprire, nonostante adorasse aprire gli occhi di fronte alle meraviglie dell'ignoto, Kira non riusciva ancora ad accettare ciò che era e ciò in cui viveva. Ammirava ed odiava gli esseri umani al tempo stesso. Li riteneva un ammasso letale di emozioni e potenzialità pericolose. Affascinanti forse, ma fatali. «Potete andare» La voce di quell'uomo è decisa, a tratti quasi austera, mentre le sorride. Non l'ha mai visto prima d'ora. E' un uomo elegante, dalle movenze controllate e lo sguardo magnetico. Emana un'aurea di mistero che, a dirla tutta, l'affascina parecchio. La sua mente dev'essere un interessantissimo labirinto da esplorare, pensa. A dirla tutta, Kira non conosce ancora appieno le sue capacità. Non sa se è capace di leggere nel pensiero o collegarsi ai ricordi ed alle emozioni di chi la circonda. Mironov le ha sempre detto che l'aveva creata senza alcun limite. Ma Mironov è sempre stato un coglione, in fin dei conti. Un uomo dall'ego così smisurato da credere di aver sfiorato la divinità con le sue stesse sudice mani. Kira, di divino, non si è mai sentita proprio nulla. Ed infatti eccola lì, i polsi compressi da quelle manette gelide ed il sedativo a scorrere nel suo sangue a lento rilascio. Un dio non si sottometterebbe mai ad un trattamento del genere. Rimane in silenzio, mentre lo sconosciuto parla con le guardie che la affiancano. Gli occhi verdi sono fissi su di lui, lo sguardo appena assottigliato mentre osserva attentamente il suo labiale. E' un uomo che sa cosa vuole. Sicuramente simile a Mironov sotto diversi punti di vista. "Il signor Mironov ci ha chiesto di rimanere a sorvegliarla. Non può - - permettersi di perderla. Sì, lo so, lo conosco bene Miranov. Da molti anni ormai. Così come lui conosce me, da altrettanti anni. E sa bene quanto io apprezzi scartare i suoi regali privatamente.» La sente, l'ombra di un sorriso sarcastico ad illuminarle il viso. Un oggetto, ecco cos'è. Un oggetto nelle mani di un folle. "Signor Marchand, deve capire che è instabile." Una risata spinge contro le pareti del suo autocontrollo, e Kira ha bisogno di calare lo sguardo per non farla trapelare. Tutti bravi a giudicarla, nessuno capace di comprenderla. Hanno paura di lei; gli uomini di Mironov l'hanno sempre avuta. Hanno paura di ciò che potrebbe fare e ciò che potrebbero farle. Non perchè tengano a lei. Nessuno in quel mondo di merda ha mai tenuto a lei, neanche il suo creatore. E' sicura che semmai dovesse scegliere di tradire Mironov, seppure non sia stata programmata per farlo, non ci penserebbe due volte prima di neutralizzarla, smembrarla, e dal suo dna crearne una nuova. Un giocattolino ancora più obbediente, ancora più pericoloso. E lei diventerebbe soltanto un mero ricordo nelle menti di quegli scienziati, forse persino dell'uomo che si trova di fronte, così effimero da sfumare in poche settimane. Quindi ascolta in silenzio il tentativo di quegli uomini di difendere ciò a cui tengono seriamente: la propria vita. Quella che Mironov non avrà alcun rimorso a prendersi se quell'operazione dovesse andar male. «Bene, siamo soli. Abbiamo un lavoro importante da fare oggi. Sarà meglio andare» Si gira verso l'uomo, cogliendo il suo sorriso cordiale ma senza ricambiarlo. Non si fida ancora di lui, seppure le piaccia. E' difficile piacere ad una come lei. Non è un punto su cui chi l'ha creata ha posto parecchia attenzione, quello. Perchè in fondo, la fiducia porta all'amicizia, e che la chimera potesse avere degli amici o meno non è mai importato a nessuno. Rimane in silenzio seguendo l'uomo, sino ad addentrarsi entrambi in una camera che non crede di aver mai visto. Si guarda attorno, il naso rivolto all'insù, quando percepisce la presenza di Marchand farsi più vicina. Si scosta d'istinto, stringendo i pugni non appena lo vede estrarre la bacchetta. Fin ora, tutte le volte che ha visto Mironov estrarre quella maledetta bacchetta, non ne ha mai ricavato nulla di buono.

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    «Che ne dici se queste le togliamo?» Ma la prende alla sprovvista, Marchand, costringendola ad inarcare le sopracciglia, sorpresa da quella gentilezza nei suoi confronti. Non è abituata alla gentilezza. Sa che con ogni probabilità è mirata ad un progetto ben più grande, ma le piace comunque. « Grazie... » Mormora dunque, sforzandosi nello scarso tentativo di sorridere, massaggiandosi i polsi ormai liberati da quella lega metallica inventata con il preciso scopo di contenere la sua forza. «Ora direi di tornare ai convenevoli di rito. Sono Alek Marchand, piacere di conoscerti.» Annuisce, ripetendosi mentalmente quel nome. Alek Marchand..Gli sta bene. « Il piacere è tutto mio. E' così che si dice? » Domanda, risultando ironica senza neanche volerlo. «Ti trovi nella Stanza dei Pensieri, una delle stanze più importanti all'interno del Ministero della Magia Inglese. Sotto ognuna di queste vi è il nome di una persona. E vi sono le coscienze di tutto il mondo.» Lo ascolta silenziosamente, seguendo i suoi gesti con lo sguardo. Nota una seggiola di fronte ad una scrivania, ma non è questo ad attirare la sua attenzione. Alza il capo e le vede. Delle sfere di cristallo, appena luminose, esposte sopra innumerevoli scaffali. Si morde l'interno della bocca, seguendolo. Alek gli dà le spalle, mentre continua a camminare. E' un uomo imponente, sicuramente di diversi centimetri più alto di lei. Affascinante, senza ombra di dubbio, seppur la chimera non abbia mai pensato ad un certo tipo di cose. Non dovrebbe darle le spalle. Mironov, ad esempio, il coraggiosissimo Mironov si premura sempre di non farlo. La sua sicurezza a tratti sfrontata la affascina; quindi incrocia le braccia, guardandosi attorno mentre continua a seguirlo. Non ha motivo di fargli del male, non ancora per lo meno. Alek arresta i suoi passi e Kira fa lo stesso, osservandolo curiosa mentre le si siede di fronte. «Ti va di fare un gioco con me? E' semplice. Io ti faccio qualche domanda, e te dovrai rispondermi sinceramente. In fondo sembri essere costretta dalla tua stessa natura a farlo.» Sorride, scettica, nel vederlo calare lo sguardo verso il suo marchio. « E' considerato comunque un gioco il fatto che tu mi userai ed io sarò costretta dalla mia stessa natura a permettertelo? » Schiocca la lingua al palato, avvicinandosi giusto qualche passo. I suoi occhi si posano sulla sfera che l'uomo tiene tra le mani e per qualche istante le sembra di sentire qualcosa. Scuote la testa, ignorandola. «Quanto c'è di -Kate Elizabeth Moore in te?» Primo affondo. Kate è uno dei suoi punti deboli. A volte le sembra che la sua coscienza riesca a sovrastarla. Sente i suoi pensieri, prova le sue emozioni. Spingono contro le pareti della sua mente arida e vuota riempendola di ricordii che non le piacciono. Che la rendono vulnerabile. Kate è una parte del suo essere che Mironov non è ancora riuscito a controllare. « Non lo so. » Sussurra, gli occhi fissi su quell'alone fumoso all'interno della palla di vetro. Ed ecco che lo vede. Quell'uomo dal volto barbuto e quel sorriso capace di far tremolare qualsiasi barriera del suo subconscio. Non vorrebbe nulla di lui, nella sua testa, eppure è una parte così importante, così ben radicata, da non riuscire a non pensarci. « C'è un uomo, nella mia testa. Il suo uomo. Più tento di scacciarlo più lui ritorna. E più lui ritorna, più io sento le sue emozioni. Il suo amore nel vederlo e la sua paura quando ha capito che non l'avrebbe più rivisto. » Si morde il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo. « I ricordi e le emozioni di Kate mi scorrono dentro logorandomi dall'interno, credo. Penso di essere lei tanto quanto sono io, e spesso non riesco a capire la differenza e separare le due cose. » Si stringe nelle spalle, indietreggiando nuovamente di qualche passo. « Cos'è che vuoi da noi? »
     
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    « Il piacere è tutto mio. E' così che si dice? » Quelle parole smuovano i muscoli del suo volto, che si contraggono in un'espressione divertita. E' affascinante come quella creature risulti tanto matura nell'aspetto esteriore, tanto da dimostrare all'incirca 25 anni, quanto è prematura nell'interiorità. E' come una bambina che comincia a muovere i primi passi in quel mondo che Alek immagina possa risultare assolutamente distorto e sbagliato ai suoi occhi. Se non dovesse portare a termine quella missione in giornata, vorrebbe analizzarla. Vorrebbe uscire con lei e, per una volta, non per motivi sessuali o dal dubbio secondo fine. No, vorrebbe portarla fuori, farla stare tra la gente, guardarla muoversi in mezzo alle persone, valutando ogni sua reazione, ogni sua espressione, ogni suo gesto. Si ritrova ad essere affascinato dall'idea di avere un corpo adulto, ma una tabula rasa in quanto a comportamenti ed impressioni sul mondo. Estraniante sì, ma decisamente fantastica come situazione. Si ripropone, quindi, di avanzarle la risposta, quando tutto sarà finito. «E' così che si dice solo se lo si pensa veramente.» Le spiega, annuendo e si ritrova a chiedersi con quale intenzione Kira l'abbia detto. Miranov gli ha spiegato a grandi lettere le potenzialità di quella donna, gli ha spiegato che è come un'ospite, condivide il cervello con Kate Moore, hai i suoi ricordi, ha la sua coscienza a premere contro quella di lei e l'uomo suppone che debba fare fatica nel distinguere se stessa dalla sua ospite. Deve far fatica nel cercare di primeggiare negli istinti che Kate già conosce perfettamente, mentre a lei risultano nuovi ed affascinanti. E' tutto nuovo per quegli occhi verdi e Alek vorrebbe che vedessero il bene che quell'operazione può portare alla comunità magica. « E' considerato comunque un gioco il fatto che tu mi userai ed io sarò costretta dalla mia stessa natura a permettertelo? » Scuote la testa, accennando ancora una volta ad un sorriso tirato sulle labbra. Si lascia andare con il peso all'indietro, appoggiando le spalle allo schienale della seggiola. «Non deve essere bello sentirsi costantemente usata, lo capisco» commenta, tornando serio, per poi incrociare il suo sguardo cupo. «Vivere sempre con il dubbio poi ti porta a non fidarti di nessuno, inesorabilmente. Anche di chi magari non ha secondi fini e non vuole usarti in alcun modo.» C'è un fondo di verità nelle parole sapientemente scelte che Alek mette in fila, affinché la sua chimera capisca le sue intenzioni. A Marchand, ancora una volta, è stato fatto un dono. Come quando gli anziani della Gilda di Beatrice gli hanno consegnato le chiavi delle manette con il quale tenevano al guinzaglio il fratello della Matriarca. Un dono caduto dal cielo. Allo stesso modo con il quale Kira era arrivata a lui. Miranov aveva ritenuto giusto metterlo al corrente di quel suo nuovo innovativo esperimento, credendo nelle potenzialità con le quali la sua nuova creatura era stata potenziata. Credendo che potesse tornare utile al piano generale che Alek aveva pensato per risolvere le ostilità che prevedeva a lungo termine, con i cosiddetti ribelli. Perciò, se da una parte ha bisogno di capire, dall'altra non è sua intenzione forzarla, seppur ci pensi la sua natura da sola a farlo. «Non voglio usarti Kira» le dice, prostrandosi in avanti, sbilanciandosi appena verso di lei, con le mani giunte a racchiudere la palla di vetro. «Vorrei soltanto il tuo aiuto. Vorrei capirti meglio. Vorrei conoscerti meglio.» Lo sguardo fisso in quello di lei, come a non volerla lasciare scivolare via, come a voler la sua completa attenzione.
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    « Non lo so. » Segue gli occhi di lei, fissi nella palla fumosa che ha stretto tra le dita. Il fumo continua a fluire tranquillamente, senza formare alcuna immagine, senza riprodurre alcuna forma particolare, eppure Kira sembra vedere qualcosa, perché i suoi occhi si fissano. « C'è un uomo, nella mia testa. Il suo uomo. Più tento di scacciarlo più lui ritorna. E più lui ritorna, più io sento le sue emozioni. Il suo amore nel vederlo e la sua paura quando ha capito che non l'avrebbe più rivisto. I ricordi e le emozioni di Kate mi scorrono dentro logorandomi dall'interno, credo. Penso di essere lei tanto quanto sono io, e spesso non riesco a capire la differenza e separare le due cose. » Miranov gli ha già parlato dell'uomo dalla barba folta di cui Kira ha spesso parlato con il dottore. Alek non conosce il suo nome e non gli interessa saperlo, eppure il racconto della ragazza riesce a stuzzicare la sua curiosità. «Senti di amarlo, quando Kate ricorda il suo uomo? Senti di amare quell'uomo? Quel sentimento riesce a fluire in ogni tua cellula? Lo senti come tuo? Ti appartiene?» L'amore, un sentimento tanto forte quanto volatile ed ingannevole. In fin dei conti, molte delle più grandi battaglie della storia sono scoppiate per colpa di un amore. E nessuna si è conclusa grande ad un amore. Eppure Kira dice di sentirsi parte di Kate, fondendosi a tratti con essa, tanto da non riconoscersi alle volte. «Pensi che il rivederlo ti porterebbe a comportarti contro natura? Che altererebbe gli algoritmi sui quali è fondato il tuo mondo?» Contro la tua di natura? « Cos'è che vuoi da noi? » Rimane interdetto, mentre la guarda indietreggiare. Ha deciso di non sedersi, ma di rimanere in piedi, in una posizione privilegiata, strategica, dalla quale può osservarlo, può individuare e presagire ogni sua mossa, così da poterlo attaccare con maggiore facilità. In fin dei conti è stata creata per questo: avere dubbi su chiunque e uccidere. No, non deve essere una bella vita quella di Kira. «Voglio esplorare la vostra mente. Voglio capire quanto grandi possono diventare le tue potenzialità, se lasciassi fluire liberamente la coscienza di Kate nella tua, tanto da diventare una cosa sola. Un corpo e una sola anima.» Risponde sincero, stringendosi nelle spalle, mentre appoggia la palla di vetro sopra la scrivania, per alzarsi a sua volta. Fa un passo verso di lei, come a voler tastare il terreno, come si fa con un animale che si appiattisce contro il fondo della sua gabbia, così da non poter essere toccato. Si avvicina lentamente, fin quando non le è abbastanza vicino da potersi specchiare nei suoi occhi chiari. E' bella. Dannatamente bella e se ne accorge soltanto in quel momento, per la prima volta. Sorride pacifico. Non vuole di certo spaventarla e, con ogni probabilità, sa che non le farebbe comunque paura. La sua chimera è programmata per non averne, per non aver scrupoli ed uccidere al minimo passo falso. La sua chimera è letale anche con la sola forza delle sue esili e fragili mani e lui la sovrasta, impavido, perché a lui è sempre piaciuto camminare con un piede fuori dal cornicione del tetto. Con un piede in bilico, per potersi sempre sentire vivo. «Sei costretta a convivere con Kate, con i suoi ricordi, con la sua mente. Non sei curiosa di scoprire a cosa ti porterebbe un sodalizio completo con essa?» La guarda, mentre alza una mano, per posare il suo dorso contro la pelle del suo viso. E' calda la sua guancia, e ne rimane stupito, quasi si aspettasse di percepirla fredda come il ghiaccio, come il metallo di un robot. Ma Kira, dopo appena qualche secondo di conversazione, non appare più ai suoi occhi come un'automa, ma è già diventata un essere umano. Una bambina. «Non voglio mentirti. Devi già essere abituata fin troppo bene alle menzioni con Miranov. Voglio perciò essere sincero con te.» E così dicendo fa un passo indietro e uno di lato, cominciando a girovagare per l'ampio atrio, dandole ancora una volta le spalle. «Ogni coscienza contenuta in queste palle di vetro in forma aeriforme può essere manipolata. Può essere piegata al volere di qualcun altro.» Può essere piegata al mio volere, costringendola ad inginocchiarsi al mio puro e instabile desiderio. «Ho bisogno del tuo aiuto, ho bisogno che tu mi conduca alla coscienza di Kate, che mi lasci provare a renderla malleabile tra le mie dita.» Diventa la mia paziente zero. Diventa il mio miracolo, la chiave di tutto. Diventa ciò che puoi diventare, servendoti della coscienza della povera sventurata con la quale sei costretta a condividere il corpo. «Sii per me la via, sii la mia musa ispiratrice Non chiedo altro.

    Qual'è il parassita più resistente? Un'idea!
    Una singola idea della mente umana può costruire città!
    Un'idea può trasformare il mondo e riscrivere tutte le idee!
    Ed è per questo che devo rubarla!



    Edited by survivor` - 28/8/2017, 23:30
     
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