THERE'S NO FREEDOM WITHOUT NO KEY

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    Ci sono gesti orrendi che ci accompagneranno per tutta la vita. Peccati inespiabili in grado di rendere irrecuperabile anche la più pura delle anime. Ma questo non è il suo caso. Daveigh non è mai stata pura d'animo, nonostante l'aspetto ingannevole. Ma i suoi occhi non hanno mai mentito, quello sguardo crudele non ha mai lasciato il suo volto, non ha mai smetto di illuminarlo di una luce cupa, spettrale. E come uno spettro tutto ciò che accade sembra passarle attraverso. I cambiamenti immutabili del mondo non la toccano, non una come lei. Le pesanti insinuazioni sul suo conto, su ciò che ha compiuto, non la sfiorano, ma le scivolano addosso, come pioggia sui tetti. Daveigh non raccoglie e non semina, ma attende, paziente, che qualcosa succeda. Un atteggiamento snervante, assolutamente in contrasto con la sua totale imprevedibilità. Ma ciò succede perché la sua mente è insolitamente calma, ormai da mesi, sembra quasi tornata normale. Normale come lo è stata per poco tempo da bambina, normale come tutti i suoi compagni in quel posto. Normale, come non lo è mai stata davvero. Normale, sana. Parole così lontane dal suo vocabolario da sembrare disarmoniche. Perciò le scaccia via, con il gesto distratto della mano, come una fastidiosa mosca che non smette di ronzare. Se il peccato non la tormenta, il pensiero del sangue e del corpo non invadono i suoi pensieri, sono le sue orecchie ogni tanto a tradirla. Le sembra sempre di essere sott'acqua, i suoni ovattati aiutano ad allontanare il mondo, ma di tanto in tanto quel silenzio si rompe. Il suo grido squarcia la calma, e ogni volta i pungi si serrano e sente la rabbia pompare. Nonostante tutto, nonostante sia andata, sparita per sempre, quella stronza di sua madre non smette di starle addosso. Continua ad odiarla, benché non sia più lì fisicamente, benché le sue mani simili ad artigli non possano toccarla. Le sembra di ricordare lo schiocco violento di quelle dita ossute sulla sua guancia d'avorio. Lo sguardo furente per essere un tale errore. Respira profondamente, Dave, mentre si aggira per il campus come uno spettro, inosservata. Ma lo sa che in realtà nessuno in quel posto è lasciato a se stesso, senza nessuno a tenerlo d'occhio. Il nuovo ordine costituito ha occhi ovunque, le pare quasi sentirseli addosso. Ma anche questo non la tange. Li supporta, approva quella situazione come poche cose nel mondo. E' giusto, e non si applica nemmeno troppo a capire il perché. Non le va e non le interessa, non quel pomeriggio, non con l'idea che possa improvvisamente tornare a come era prima. Perciò affretta il passo, in quel posto che di conosciuto non ha nulla. Ambientarsi in nuovi luoghi è semplice per lei, perché i suoi occhi attenti scrutano sempre tutto, ogni dettaglio, in maniera maniacale. E' facile orientarsi nel mondo fisico quando nel proprio labirinto mentale si è persi la via da ormai troppo tempo. Nessun filo di Arianna sembra riuscire a liberarla dal labirinto del Minotauro, non in quel momento. Scruta il panorama da lontano, alla ricerca di un'insolita figura fra gli alberi. Suo padre le ha insegnato a cacciare quando era poco più che una bambina, perciò il suo occhio allenato riconosce le novità. Perciò i capelli dorati che sembrano brillare sotto il pallore del crepuscolo le saltano subito all'occhio. Si avvicina, con il suo passo sicuro, la schiena sempre ritta e lo sguardo impettito di chi sa di essere migliore degli altri. Dalla tasca dei pantaloni caccia un piccolo sacchettino pallido. "Se la roba che hai da offrire è così buona come dicono, questo è solo una parte" dice, scuotendo i galeoni sonoramente.


    Edited by conundrüm - 16/10/2017, 08:53
     
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    Non si lamenta Zip di come gli stiano andando gli affari al campus. Certo, è sempre più difficile per lui farsi mandare la roba buona dalla sua fatina preferita, ma Ophy è scaltra, davvero molto, per questo motivo riesce comunque a reperirgli le giuste dosi della droga che gli serve per far sì che gli affari rimangano sopra l'asticella verde. Non può permettersi di arretrare un solo passo indietro per poi essere costretto a navigare in un mare di merda. Ma fortunatamente, le infinite risorse di Ophelia unite al fatto che il risultato più evidente di quegli arresti domiciliari infiocchettati e agghindati come il miglior regalo di sempre riescono a creare quel connubio perfetto che fa entrare nelle sue tasche da delinquente galeoni su galeoni. E l'effetto che il campeggio sta avendo sulla popolazione di ormonati e drogati che ha intorno il ragazzo è semplice: la disperazione porta alla droga, la noia porta alla droga, il divertimento porta alla droga, persino scopare porta alla droga. E fare uso massiccio di droga - o anche farne uso e basta - porta all'inevitabile dipendenza di droga. Matematico. E più vende, più ha richiesta, più ha richiesta, più sale il prezzo dell'offerta e più sale il prezzo, beh, più le sue casse si gonfiano di soldi fino a scoppiare. E' stata una bella idea, in fin dei conti, quella del campeggio dorato, doveva ammetterlo Zip e doveva riconoscerlo al preside. Un'idea geniale per zittire tutti, perché tutti alla fine si ritrovano a divertirsi, a sollazzare nel lusso più sfrenato e nei vizi più eccentrici, come se fosse tutta una loro scelta. Una loro idea, partorita dalle loro menti, senza nessuna influenza esterna. Perché è più facile discutere con un popolo soddisfatto che con un popolo frustrato. Perché è più facile farsi seguire dalla propria parte di trincea quando si è fatto di tutto per accontentare gli altri. Kingsley è furbo, fin troppo furbo, un burattinaio fatto e finito che sa come giocare le sue carte e Zip non può far altro che dargliene atto. Lui stesso si gode i piaceri che il preside ha da offrirgli, pur avendo capito benissimo quale sia il piano generale che vi è dietro ogni sua mossa. Il Ministero ha bisogno di appoggio per qualsiasi guerra stia combattendo e Kingsley fa in modo di farglielo arrivare direttamente dalla nuova generazione di maghi, plasmando le loro menti, a sua immagine e somiglianza. Scaltro.
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    In un attimo di pura lucidità, poco prima della cena servita nella sala principale, Zip si ritrova a pensare alla fine dell'estate, inevitabilmente alle sue mamme che sono sempre più in pensiero per lui, lettera dopo lettera, seppur lui cerchi in continuazione di rassicurarle riguardo la loro situazione di prigionia non troppo apparente e a come mandare avanti gli affari, una volta rientrato tra le mura di Hogwarts. E' immerso nella radura che precede il lago che circonda l'isolotto dove si trovano. E' lì che solitamente aspetta i suoi clienti, per non dare troppo nell'occhio. Con la sua solita felpa blu che gli va sempre un po' larga sulle spalle, i pantaloncini scuri e le immancabili vans grigie ai piedi, attende quell'imbecille di Jonson, che oltre a dovergli dei soldi dall'ultima volta che si è riportato a casa mezzo chilo di roba, gli ha chiesto pure della polvere di fata extra, per un festino privato che ha organizzato per la sera. «Senza la coca col cazzo che ti si alza più, ho capito tesoro, ho capito» gli aveva detto in risposta Zip, dandogli una pacca sulla spalla, come a fargli capire che aveva il suo totale appoggio, seppur non capiva la situazione, quello mai. «Ma sai, richiedere tutta queste merce con così poco preavviso ti costerà un extra bello grosso.» Perciò si trova lì, con nella tasca della felpa una dose cospicua di cocaina, in attesa di ricevere una bella busta piena di galeoni sonanti. Avverte un rumore, come di rametti spezzati dal peso di un piede, si gira e si trova davanti niente di meno che Daveigh Cavendish. La matricida. Un sorriso dispiega le labbra di Zip nel vederla avanzare con un sacchetto stretto tra le dita. Si chiedeva Zip quando avrebbe fatto la sua conoscenza. Insomma, se non si annega nella droga, il senso di colpa di aver ucciso una madre con le proprie mani dove lo si butta? "Se la roba che hai da offrire è così buona come dicono, questo è solo una parte" Dà una veloce occhiata al sacchetto, voltando appena il busto, per poi mettervi una mano sotto per valutarne il peso approssimativo. «Puoi starne certa, cara» le risponde, indugiando appena con il mignolo sopra la sua pelle calda, prima di allontanarsi. «Ciò che hai lì dentro non sarebbe abbastanza nemmeno per cinque grammi di erba, figurati per quello di cui hai bisogno tu.» Cavendish la sanguinaria è così che l'aveva sentita soprannominare appena arrivato al castello. Un soprannome niente male, a dire il vero. Non sa quanta verità ci sia nelle voci di corridoio che circolano al suo passaggio austero, ma a Zip piace credere che quel visino angelico abbia qualcosa da nascondere. Gli piace pensare che quelle manine di fata si siano macchiate di sangue e di violenza. Ha sempre avuto un certo fetish per la violenza, in fondo. Tira fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore dei pantaloni, ma non ne tira fuori nulla. Torna perciò a guardarla con un sorrisetto enigmatico, di sbieco. «Quindi di cosa ha bisogno una principessina come te?» Stupiscimi. Renditi degna del tuo soprannome.


    Edited by handle with care‚ - 20/9/2017, 21:07
     
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    Una spietata freddezza traspare dai suoi occhi cerulei, che come vuoti scrutano il suo interlocutore. Esaminano attenti ogni dettaglio del suo viso, come uno scultore presta attenzione alla sua modella. Ma non c'è una ragione reale di tanta attenzione, se non una fissazione, torbida come la sua mente, che la costringe a memorizzare ogni virgola dei volti che incontra. Perché malgrado Daveigh sia una stronza anaffettiva la cui empatia con il mondo è ridotta all'osso, la giovane Cavendish non può fare a meno di registrare e annotare appunti mentali su chiunque incontri. A limite dell'ossessivo. E' un procedimento semplice, quasi elementare e tutt'altro che utile, eppure pare di vitale importanza per la ragazza che come una serpe sembra assottigliare le pupille, per vederci meglio. Ma non è solo una questione di volto, ricorda bene la ragazza, è una questione di atteggiamento. La maniera in cui qualcuno si pone è il miglior biglietto da visita di una persona. Lei lo sa, eccome se lo sa. Mostrarsi algida e severa è una prerogativa che l'ha accompagnata dalla più tenera età. Anche quando la sua mente era innocente ed innocua e le sue risa appropriate, anche all'epoca Daveigh aveva manifestato una disumana compostezza, come se niente al mondo riuscisse a scomporre la simmetria millimetrica del suo viso fanciullesco. Anche i suoi sorrisi non si distaccavano mai dall'austerità che sembrava coprirla come una pesante veste scura, misurati, talmente intrinsi di controllo da sembrare snaturati. Come quello che riserva al giovane il cui nome non riesce nemmeno a ricordare bene. A guardarlo non c'è nemmeno da domandarsi il perché. Se Daveigh Cavendish è la regina malvagia di un regno sanguinario, tutt'al più il giovane spacciatore davanti a lei può essere uno scudiero. Se non fosse per la droga, molto probabilmente, la ragazza non avrebbe nemmeno saputo della sua esistenza. «Puoi starne certa, cara». Piega appena il capo di lato, come per guardarlo meglio. Pensa che forse se fosse stata un'altra si sarebbe lasciata incantare da quegli enormi occhi azzurri, mentre invece riconosce che la loro bellezza sarebbe meglio apprezzata in un museo, in formaldeide. Lascia andare il sacchetto con le monete, sono poche, lo sa perfettamente perciò le parole del giovane corvonero dispiegano sul suo giovane volto un sorriso sardonico. Ma i soldi non sono un problema, non per lei. L'idea che suo padre possa tagliarle i viveri dopo lo spiacevole incidente è quanto mai lontana. Il signor Cavendish non si permetterebbe mai di negare i soldi ai suoi bambini. Ora che i suoi bambini gli hanno anche tolto dalle palle la scomodità di una moglie che non ha mai amato e che non fungeva nemmeno più come valvola di sfogo sessuale. Quante volte mr.Cavendish ha dubitato della stessa natura dei suoi figli? Quante volte il dubbio che i figli di un altro fossero stati da lui allevati come propri l'aveva tormentato? Daveigh lo sa troppo bene, così come sa di essere molto più figlia di suo padre che della donna che l'ha messa al mondo. «Quindi di cosa ha bisogno una principessina come te?» Daveigh non è una patita delle droghe illegali, di certo non è un'esperta come suo fratello. Ma grazie a lui le conosce, persino troppo bene. Ma lei è e rimarrà una persona da farmaci, pillole e pasticche, prescritte da medici e legalmente somministrate. Ma il suo corpo inizia ad essere assuefatto da queste sostanze, perché ormai sono un abitudine, per di più sono un obbligo, una costrizione. Pillole la mattina, altre il pomeriggio, e poi arriva la dose per la notte. Se nel caso il sonno poi dovesse tardare a giungere il suo flaconcino con i sonniferi è fisso sul comodino, a guardarla, pregandola di essere usato. Perciò gli psicofarmaci non sarebbero una scelta intelligente con tutti quelli di cui già dispone. «Non voglio qualche stronzata che mi rilassi.» ammette, perché è fin troppo rilassata per i suoi standard. Quello che cerca è una droga che le dia la stessa scarica di adrenalina provata quella notte. Lo sa, ma non riesce a metabolizzarlo. Persino il grido
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    agghiacciante che pare perseguitarla da settimane, persino quello è una palese richiesta. C'è una strana eccitazione nell'uccidere e Daveigh l'ha sempre provata, prima con la caccia, poi con sua madre. E' quello che cerca, quell'euforia maniacale a cui ti porta un gesto tanto macabro. Chiude gli occhi, ripensa alla scena, le sembra quasi possibile sentire l'odore ferrigno del sangue sulle sue mani e in tutta la stanza. Come una moderna Macbeth, le sue mani rimarranno insanguinate per sempre. Ma la cosa non pare disturbare l'assurdo universo della sua mente. Quel sangue sembra invece nutrirlo. Perciò chiude gli occhi, per descrivere cosa ha bisogno di provare, perché è più difficile di quanto appaia. « Ho voglia di qualcosa che...» fissa i suoi occhi in quelli del ragazzo, li tiene fissi come chiodi contro il muro, li fissa, alla ricerca della parola giusta. «mi esalti?» pare quasi domandare all'esperto. «Ma lascia perdere la coca» continua poi, accompagnando le sue parole con il gesto della mano, a scacciar via quell'idea. «Mi affido a te, sempre che tu sia un esperto. E per i soldi, non è un problema» Lo dice come se fosse ovvio, come se tutti siano a conoscenza della smisurata quantità di ricchezze in possesso della famiglia Cavendish. Lo dice perché sa che prima che tutti gli innumerevoli soprannomi che adesso le hanno appioppato, mai apertamente, quello di ricca stronza sarà sempre uno dei suoi preferiti.


    Edited by conundrüm - 16/10/2017, 08:54
     
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    Riesce a percepire il senso di superiorità di cui la principessina si circonda. E' palese in ognuno dei suoi movimenti. Il naso all'insù, le spalle all'infuori, il busto dritto e allineato, così come lo sono il suo viso e i suoi tratti che sembrano essere congelati nel ghiaccio dell'Antartide. La mascella serrata e lo sguardo di chi sa di valere più dell'altro. Ma qui si sbaglia la principessina. Lei non vale più di Zip, non vale più di lui solo perché è ricca da fare schifo e lui un poveraccio che per campare ha bisogno di spacciare droga, sperando che la gente ci rimanga talmente sotto, da continuare a comprargliela. Con la speranza, ancora una volta, che poi non tiri le cuoia, altrimenti gli ingranaggi si fermano e il suo flusso di guadagno si interrompe all'improvviso. Lui la conosce bene la superbia. Sua madre, quella pezza di merda, quella biologica, glielo diceva spesso, quelle poche volte in cui non era talmente strafatta da non riuscire nemmeno a tirarsi giù i pantaloni per andare a pisciare. "Sei troppo superbo, Zeppelin. A credersi 'sto cazzo non si arriva lontano, guarda tuo padre." Già, quell'altro stronzo che si credeva grande, un rocker di successo perché era riuscito a tenere in piedi la sua band da quattro soldi per più di sei mesi e alla fine suonava sempre nello stesso merdoso posto, uno dei locali più malfamati di Vancouver. Nonostante tutto il buon esempio arrivatogli dalla famiglia, Zip ha continuato ad avere la sua famosa faccia da cazzo perché lui sa. Lui sa di essere migliore degli altri e non perché è più ricco, perché ce l'ha più lungo o perché ha un visino d'angelo. No. Lui sa di essere migliore perché ha un cervello con il quale potrebbe benissimo metterla in culo a tutti quanti, in pochissimo tempo. Lui è presuntuoso come tutti i testa di cazzo di cui si circonda, ma lui lo fa con cognizione di causa, quantomeno. Ha imparato ormai la sua lezione, a care spese, finendo in riformatorio per ben due volte. E questo gli è bastato, eccome. Perciò, guarda la sanguinaria e gli viene da ridere. Effettivamente non sa se le voci siano vere. Certamente è un po' inquietante dall'aspetto, eppure tremendamente gnocca, questo non poteva negarlo. L'unica cosa che potrebbe davvero salvarla è se davvero le sue mani sono macchiate del sangue di sua madre. E' una cosa che non è certo che condividerebbe, ma che apprezzerebbe senza dubbio. Ci vuole coraggio a togliere la vita ad una persona, ci vuole coraggio nel guardarlo morire, mentre il respiro le abbandona i polmoni, a poco a poco e sotto i tuoi polpastrelli caldi il suo torace si alza sempre meno repentinamente, fino a che il cuore non cessa per sempre di pompare sangue e la pelle diventa a poco a poco gelida. Ci vuole un gran cazzo di coraggio ad ammazzare la donna che ti ha dato la vita. Lui stesso non ci ha mai pensato, eppure Violet era davvero una gran testa di cazzo e l'appellativo mamma le era
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    andato sempre un po' stretto. Inclina la testa di lato, cercando di farsi dire qualcosa da quegli occhi azzurri. L'hai ammazzata sul serio, piccola sanguinaria? L'hai fatto sul serio? «Non voglio qualche stronzata che mi rilassi.» Ha bisogno di sballarsi, ha bisogno di infiammarsi e Zip, inevitabilmente, ha già qualche idea per accontentare entrambe le sue richieste. L'idea di avere a che fare con qualcuno di tanto pericolosa, a detta di tutti, dopotutto, è forse il miglior stimolo che Zip possa avere. « Ho voglia di qualcosa che...» Attende che la ragazza finisca la risposta, mentre lei sembra ricercare il suo sguardo, per poterlo inchiodare lì, seduta stante «mi esalti?» «Quindi la principessina ha bisogno di eccitarsi Ricambia il suo sguardo, facendo un passo avanti, verso di lei. Il sacchetto con le poche monete che gli ha appena dato tintinna appena, a contatto con la busta di coca. «Ma lascia perdere la coca. Mi affido a te, sempre che tu sia un esperto. E per i soldi, non è un problema» Sogghigna, evidentemente divertito. «Strani gusti per una persona tanto d'élite. La neve va sempre per la maggiore nei vostri ambienti» commenta, ricacciandosi in tasca il pacchetto di sigarette. «Ma tanto meglio, detesto i cliché.» Ma amo spassarmela. Si ficca le mani in tasca, mentre si dà una veloce occhiata in giro. Non c'è ombra di quel testa di cazzo di Jonson. Sbuffa, evidentemente infastidito, mentre si incammina verso le casette in legno. «Non mi porto in giro tutta la roba, di solito.» E' una constatazione che può sembrare inutile, ma che serve a farle capire dove stanno per andare. Appena escono dalla radura, i primi bungalow appaiono di fronte ai loro occhi. C'è silenzio tra loro, Zip non si azzarda nemmeno ad aprir bocca perché è lei che deve farlo, se vuole rompere quella quiete. Deve abbassarsi nuovamente a parlare con la plebe, dall'alto del suo piedistallo. Arrivano alla sua casetta, gira la chiava nella toppa e di fronte a loro si apre uno scenario abbastanza decente, grazie al fatto che Albus riesce ad essere sicuramente più ordinato di lui. Lui più si ritrova in mezzo al caos, meglio vive. Le fa cenno con la mano di accomodarsi dove vuole, dove trova posto, mentre chiude la porta con un calcio e si avvia verso il cassettone in legno, vicino alla finestra. Non cerca di fare conversazione, mentre apre il cassetto di mezzo e si mette a frugare in mezzo ad alcuni vestiti arruffati. Alla fine trova la busta che stava cercando, la tira fuori, buttando al suo posto quella piena di coca. Si toglie la felpa, rimanendo con una maglietta rossa a maniche corte, prima di voltarsi di nuovo verso di lei. Fa penzolare la busta di fronte ai suoi occhi, così che possano soffermarsi su quei cristalli purissimi di metanfetamina. Il Crystal Glass. Guardandola si domanda se la sanguinaria sappia il suo nome. Una ragazza tanto altezzosa ricorda a stento il nome dei propri consanguinei, troppo presa a pensare soltanto a se stessa. Porta una seggiola di fronte a lei, prima di sedervisi sopra. «Ti avverto, il Crystal non perdona e non ti fa tornare indietro. Avrai tutta l'esaltazione di cui hai bisogno, e forse anche di più, ma non ti lascerà più andare.» Sei pronta a fare la schiavetta, sanguinaria? La scelta è semplice: o la vita di merda o la dipendenza a vita. «Siringa o pipa?» Le domanda poi, con un sorriso strano sulle labbra. Buttati e sorprendimi.


    Edited by handle with care‚ - 20/9/2017, 21:09
     
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    Gli occhi imperscrutabili della ragazza continuano a rimanere fissi sul suo interlocutore, seguono il movimento delle sue labbra sottili, la maniera in cui le narici si dilatano mentre parla e scrutano come un predatore l’espressione del suo viso dal ghigno arrogante. Zip, così le pare si chiami, potrà avere anche il faccino da bravo ragazzo ma basta guardarlo un po’ meglio per capire che è quanto più lontano possa esserci dalla fanciullesca innocenza che i suoi occhi brillanti sembrano trasmettere. «Quindi la principessina ha bisogno di eccitarsi?» La giovane serpeverde annuisce, in maniera fredda eppure estremamente efficace. Non ha bisogno di parole, una come lei, perché i suoi sguardi dicono tutto ciò che c'è da dire. Eppure sa che quei profondi occhi cerulei sono pozzi indecifrabili. Ha sentito una volta sua madre dire che nei suoi occhi non vedeva luce, e che se la vedeva quella luce non era mai stata una scintilla di speranza. Daveigh non ci aveva sofferto, non aveva pianto a quelle parole, perché Daveigh raramente piangeva e di certo non per la subdola cattiveria di sua madre. Perché se c'è qualcosa che Eliabeth Lloyd è stata, oltre che una terribile madre - e una troia di prim'ordine - è essere stata una bastarda irraggiungibile. Perciò l'idea di averla uccisa, di aver affondato più e più volte il coltello nelle sue calde membra, di aver reso per sempre ciechi quegli occhi cristallini, non la turba, non le scava l'anima alla ricerca dei sensi di colpa. Sempre che un'anima la ragazza l'abbia mai avuta. Negli occhi di sua madre nemmeno lei ha mai visto brillare nulla, se non l'insaziabile sete di denaro. Ed è di certo colpa sua se Daveigh crede ciecamente nell'importanza assoluta del denaro, più che dell'affetto. Ma a vederla si capisce che a renderla così fiera e feroce non sono i soldi. E' la consapevolezza di essere parte di una cerchia di persone che volenti o nolenti incutono uno strano timore, che tutti odiano ma che nessuno ha mai il coraggio di sfidare. E' la consapevolezza dell'infinità di privilegi che l'accompagneranno per tutta la vita. E' la fortuna di nascere nobili e altolocati, fortuna che l'ha resa, nonostante tutto, un'ingrata alla vita stessa.
    «Strani gusti per una persona tanto d'élite. La neve va sempre per la maggiore nei vostri ambienti» Alza appena il sopracciglio. I suoi ambienti? Intende forse le loggie di ricconi strafatti di coca e inebriati fino alla perdita dei sensi da fiumi di champagne pregiatissimo e vini di prima qualità? Quegli ambienti che Daveigh non può fare a meno di amare e odiare allo stesso tempo. E' questo che forse le ha fatto odiare in maniera inesorabile sua madre. L'essere trattata come una bambina-trofeo quando il dovere chiamava, dover nascondere la propria natura davanti ad una società che impone regole assurde e poi fa di tutto per infrangerle, ma dove un po' di follia, e non s'intende stravaganza, ma quella di chi non ha la mente lucida. Quel tipo di pazzia è bandita, censurata. Inappropriata, le sembra di sentire la stridula voce di sua madre che le ripete quella parola. Sbagliata. «Se credi che questo tuo problema sia divertente, ragazzina, ti farò rimpiangere di essere nata.» «Ma tanto meglio, detesto i cliché.» Come se la cosa possa interessarle, sembra dire la sua espressione che irrigidisce il viso mai sereno. La sua bocca rimane serrata, perché sembri chiaro che non è lì per perdere tempo in parole di circostanza.«Non mi porto in giro tutta la roba, di solito.» Lo segue, silenziosa come un'ombra, i piedi sottili camminano muovendosi verso un territorio che le pare inesplorato.

    Daveigh Cavendish non ha paura di molte cose, se non di quello che la sua mente le dice. Non è paura vera e propria, perché quelle voci che giorno e notte le parlano, sussurrandole alle orecchie le cose più assurde, quelle sono forse le sue più fedeli compagne. Non lo sa nemmeno se sono voci, o se è semplicemente il suo istinto, la sua coscienza a giocarle questi strani scherzi dal gusto agrodolce. Ma Daveigh non teme nient'altro, perciò con fare spavaldo accoglie lo sguardo curioso del suo nuovo spacciatore. Lo sfida, mentre i suoi affilati occhi di ghiaccio cercano di tirare fuori qualcosa dai celestini specchi di lui. «Siringa o pipa?» Glielo dice dischiudendo sul volto un sorriso perfetto. La fila di perfetti denti perlacei le fa quasi storcere il naso, come se stonasse su quel volto dai tratti asimmetrici, come se li avesse dipinti un pittore in maniera distratta. Ma il suo sorriso non lo è, sembra che i denti siano stati messi lì con una precisione maniacale. Distoglie lo sguardo, per un breve istante, il viso si contrae perché in qualche modo è infastidita. Un sorriso sprecato per un viso da povero. Si ricompone, portando il suo sguardo prima sulla bustina piena di Crystal Glass che sembra quasi chiamarla. Siringa o pipa? si domanda a sua volta. «Siringa» asserisce, seria, rigida come una statua. Non ha paura, è la sua condizione naturale. Si guarda le braccia, esili e sottili, la pelle tanto chiara da lasciare quasi scoperte l'intricato labirinto di vene verdastre. La sua pelle è stata bucata così tante volte da poter fare quasi invidia ad un tossico, eppure Daveigh non ama particolarmente gli aghi. Ma lo sa che la droga se iniettata fa un effetto diverso. Ricorda ancora l'effetto della morfina, quasi immediato. Perciò è pronta a tendere il braccio, nonostante sappia che sta andando incontro a qualcosa di pericoloso, potenzialmente letale. L'idea quasi le ammorbidisce il volto, sul viso sembra dischiudersi un sorriso, magnetico eppure quasi inopportuno. Ancora una volta la sua bocca sembra tradirla, come quella notte. Ma il suo petto non viene scosso da nessuna risata. « Fai tu gli onori?» dice mettendosi comoda sul letto poggiando le spalle contro il muro.


    Edited by conundrüm - 16/10/2017, 08:55
     
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    «Siringa» Non si aspettava quella risposta Zip, perciò inclina il viso di lato, vagamente confuso di fronte a quella richiesta. La metanfetamina, solitamente, si fuma. L'effetto arriva lentamente, senza fretta, così da abituare tutte le cellule a quell'improvviso stadio di sovreccitazione. Eppure la principessina ha scelto la siringa. Abbassa lo sguardo ad osservare le sue braccia. Non sembra una tossica che si buca spesso e sa quello che vuol dire spararsi in vena tutto quel nettare divino. Allora è coraggio quello che deve leggere tra le righe di quella risposta secca, data con sguardo deciso. Il sopracciglio destro si inarca gradualmente, mentre la consapevolezza lo prende. «Scelta insolita, per una come te, ma coraggiosa.» Asserisce alzandosi, per tornare a rovistare nel cassetto. Tira fuori tutto l'occorrente, recuperando anche due siringhe sterilizzate. Nel tornare verso la Cavendish, decide di accendere lo stereo che il grande Kingsley ha messo loro a disposizione. Sia mai che qualche comfort manchi alle sue pecorelle smarrite. Ha bisogno della musica quando si sballa. Ha bisogno che fluisca insieme alla droga nelle vene. E' un rituale quasi scaramantico quello, ma lo aiuta a metabolizzare meglio la botta che ne consegue. Specialmente se si tratta di una sostanza tanto pericolosa come il Crystal Glass, che non solo eccita il sistema nervoso, ma può avere anche i suoi terribili risvolti aggressivi. Per un attimo il pensiero che la principessina possa diventare violenta gli balena nella testa. Potrebbe uccidermi. Potrebbe guardarmi agonizzare a terra, mentre mi stringe le mani intorno al collo. Pensa mentre continua a premere il pulsante "avanti" sul telecomando dello stereo, per cercare la canzone che più si adatti al mood che vuole raggiungere nel trip che si sta apprestando a cominciare. Nessuno, nemmeno la
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    sanguinaria può mettere fine alla tua vita di merda. Lo sai, Zeppelin.
    E con un sorriso lascia che la musica investa la stanza, mentre sa che la Cavendish non potrebbe nemmeno torcergli un capello, senza il suo espresso volere. Probabilmente glielo lascerebbe fare, si farebbe mettere le mani addosso, ma non si farebbe uccidere. Perché se c'è qualcuno che metterà fine alla sua vita da stronzo, quello sarà lui stesso. « Fai tu gli onori?» No, lo faremo insieme tesoro. Sarà più bello, vedrai. E allora apre la busta di plastica, ne estrae due cristalli chiari e li posiziona sopra un cucchiaino in acciaio. Poi, con l'accendino, comincia a dargli fuoco, lasciando che la metanfetamina si sciolga pian piano. I suoi occhi sono fissi sul lavoro che sta svolgendo, tanto da riuscire ad alienarsi completamente, immerso com'è nel ritornello della canzone. Quasi si dimentica che è in compagnia di qualcun altro. Quasi si scorda di essere in quel posto dimenticato da Dio, dove si scopa e ci si droga, ma che è pur sempre in culo al mondo, sperso nel nulla, dove, se solo Kingsley volesse, sarebbe facile buttare una bomba e far zompare per aria la generazione magica del domani. Facile e indolore. E così si ritrova a pensare, pensare fin troppo, come fa sempre quando decide di farsi una dosa della sua roba. Zip non è un culture della droga, non si direbbe, ma è così. Lui la droga preferisce spacciarla che fumarla perché, egocentrico com'è, non vuole ritrovarsi ad essere dipendente da altro se non da se stesso. L'unica eccezione che si concede è il fumarsi qualche canna di tanto in tanto, giusto per rilassare i nervi di fronte al fatto che è circondato perennemente da cretini e l'unico suo conforto lo trova alla fine di un purino ben rollato. Ma con la sanguinaria decide di partecipare al gioco. Dovrebbe essere bello osservare dal di fuori la sua reazione, eppure considera che deve essere ancora più divertente entrare insieme a lei in quel tunnel, intraprendere con lei quel viaggio che sinceramente non ha idea di dove li porterà, ma che è certo sarà grandioso. O perlomeno così spera. I cristalli si sciolgono velocemente e Zip gira velocemente la mistura ormai liquida, affinché si raffreddi. Con l'altra mano e con l'aiuto dei denti, apre una delle due confezioni e tira fuori la siringa assolutamente sterile. Se c'è una cosa che non ha mai fatto in vita sua è condividere la siringa. Sicuramente è un'esperienza che vuole provare prima di morire, ma non vuole farlo con lei. Non gli sembra giusto farlo con lei. Riempe la siringa con il liquido e gliela passa, insieme ad un laccio emostatico. «Legatelo sulla parte alta del braccio, così da rendere più visibile la vena, bloccando il sangue» le indica le istruzioni base, come un bravo medico, mentre si accinge a sciogliere altri cristalli sul cucchiaino. «E aspettami E' un ordine, non un invito a fargli compagnia. No, è un ordine ben preciso, che le indirizza con un'occhiata eloquente e piuttosto decisa. Non ci impiega comunque troppo tempo nel preparare la seconda siringa. Si avvia verso di lei, sedendosi al suo fianco sopra il letto. Si stringe il braccio con il laccio e aiuta le proprie vene ad uscire allo scoperto picchiettandosi la pelle con due indice e medio. Poi la individua, la vena violacea più evidente. Con un sorriso, vi posiziona sopra l'ago e mentre si lascia trafiggere le carni, alza lo sguardo per incontrare quello di Daveigh. «Ci vediamo dall'altra parte, principessina. Sperando che la droga ti tolga quel cipiglio altezzoso del cazzo che hai.» E il bastone che hai nel culo, se sono abbastanza fortunato. Le sorride divertito e così dicendo, abbassa lentamente lo stantuffo della siringa, mentre la metanfetamina gli entra in vena. Socchiude gli occhi, appoggiando la testa all'indietro, contro il muro. Rimane così, per qualche istante, mentre il bruciore si fa prima più intenso, per poi affievolirsi pian piano, scorrendo assieme al sangue. «Vedi di non rimanerci secca» dice svogliatamente, ancora nel mezzo di quell'idillio personale. «Non ti avrei comunque sulla coscienza, ma non voglio che mi sporchi il letto tra le convulsioni, il vomito e il sangue dal naso.» E' veramente per questo che non vuole che muoia per colpa di quella dose? Probabilmente no, ma è ciò che lo fa sentire meglio, raccontandolo ad alta voce. Apre gli occhi e li lascia scivolare su di lei, con un sorriso sornione a coprirgli le labbra. «Facciamo che le uniche mani sporche nella stanza rimangono le tue, okay?» Vere o false che siano le voci.


    Edited by handle with care‚ - 20/9/2017, 21:09
     
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    «Scelta insolita, per una come te, ma coraggiosa.»
    Daveigh è un imprevisto inevitabile, in tutto ciò che fa non c’è mai uno schema preciso, istruzioni da seguire, qualche indizio che possa darti la vana speranza di capire com’è che la sua mente agisce. Non puoi mai sapere cosa le voci le suggeriscano, se siano loro a dettar legge o è il suo stesso essere a prendere decisioni dalla dubbia morale. Perciò Daveigh è coraggiosa quando si tratta di scegliere cosa fa più male. Lo è sempre stata, come quando a undici anni ha deciso di mettere fine alla propria esistenza. Tentativo fallimentare. Sua madre ha addirittura commentato l’accaduto. «L’erba cattiva non muore mai.» Vero eppure falso, ha sempre pensato la ragazza. Daveigh è dura da uccidere,dura da sopportare e da farsi amica, eppure incredibilmente fragile, sempre in bilico fra ciò che è corrosivo per gli altri e autodistruttivo per se stessa. Perché la sua austerità non nasconde altro che un briciolo di assoluta insensatezza, che l’accompagna in tutto ciò che fa. Ecco perché Daveigh è avventata, quando si tratta di rischiare tutto, perché poco le importa. Poco importa se ci rimarrà secca o se a morire sarà qualcun altro, poco importa di cosa diranno o faranno gli altri. Poco importa degli sguardi, delle voci e delle loro opinioni. Poco importa se la scena davanti ai suoi occhi è degna di uno squallidissimo cesso di una stazione, se la siringa che il biondo corvonero le sta passando è piena di qualcosa che, come lui ha indirettamente promesso, la farà sballare come nient’altro prima d’ora. «Legatelo sulla parte alta del braccio, così da rendere più visibile la vena, bloccando il sangue»
    La serpeverde esegue, rimanendo nel suo sordo mutismo. Lega il laccio emostatico attorno al braccio magrissimo, talmente magro da poterlo tenere stretto fra pollice e medio. La gomma giallastra stringe attorno alla pelle diafana facendo risaltare le vene verdastre. Tiene la siringa fra i denti mentre lo allaccia stretto, così stretto da farle male. «E aspettami.» Alza lo sguardo e lo vede sciogliere altra Crystal glass. Spontaneo e inusuale un sorriso le si apre sul volto apatico. Fa un cenno con il capo, assentendo e lo aspetta, mentre le mani quasi le tremano. Daveigh non ha paura, eppure non sa se è bene averne. Daveigh non sa mai nulla di ciò che è bene o di ciò che è male, perciò lascia che sia il suo istinto, sbagliato quanto lei, a guidarla. Chiude gli occhi, in attesa, e respira, profondamente. «Quando senti una crisi arrivare, respira come se fosse l’unica cosa al mondo che sai fare. Libera i polmoni e riempili di aria nuova. Cerca la calma, cerca la pace.» Il dottor Welch l’ha costretta a fare questo stupido esercizio migliaia di volte, ma mai è riuscito nel suo intento. Eppure è un rituale, un’abitudine che la giovane Cavendish ha preso a vizio. Apre gli occhi nel momento in cui sente nuova pressione sul materasso. Zip è seduto al suo fianco, spalle contro il muro e siringa fra le mani. Segue i suoi gesti e con un picchiettio delle dita punzecchia le vene. Le sente sotto la pelle sottile, le pare quasi di percepire il sangue fluire libero al loro interno. «Ci vediamo dall'altra parte, principessina. Sperando che la droga ti tolga quel cipiglio altezzoso del cazzo che hai.» Sbuffa appena, ridendo, ma è troppo concentrata per offendersi davvero. Non che Daveigh si offenda. Non per così poco. Posiziona la siringa, l’ago appuntito punge la pelle, bucandola e mentre penetra nella vera che adesso le sembra quanto mai vivida e colorata, spinge il piccolo pistoncino bianco. Vede il fluido scendere lungo il cilindro ed entrarle in vena. Penetra, in collisione con il sangue. «Vedi di non rimanerci secca» Si volta verso di lui porgendogli uno sguardo accigliato. «Non sarà la droga ad uccidermi» dice mentre si libera della siringa e del laccio ancora attorno al polso. E non appena le sue vene riprendono a respirare, sente la droga salire. Le sembra di sentirla correre lungo il braccio, in una folle corsa verso il cuore. Il bruciore attorno all’ago si fa sentire, lentamente, ma è così tenue, affievolito dal momento. La droga brucia nelle vene, eppure sollevando appena il viso, con gli occhi chiusi verso altri mondi, le labbra di Daveigh si socchiudono, liberando un piccolissimo gemito.

    Per un breve momento il mondo attorno a lei si allontana, scomparendo man mano, dietro le sue palpebre calate. Le voci si placano, tacciono, quelle voci che non stanno zitte mai. Non le sente, né vicino a sé, né nella sua testa. Per un breve istante si sente isolata, immersa in un’assurda dimensione dove i rumori non arrivano, non sono in grado di penetrare.
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    Apre gli occhi, mentre le pupille si dilatano, inebriate da quel nettare tossico che scorre nelle sue vene. E i suoni sembrano distanti, ma si avvicinano. Quelli nella stanza prendono forma e dimensione, ma tutto il resto tace. E’ quanto mai prima d’ora presente, seppur in maniera del tutto alterata. «Non ti avrei comunque sulla coscienza, ma non voglio che mi sporchi il letto tra le convulsioni, il vomito e il sangue dal naso.» Non riesce a prendere sul serio le sue parole, forse non si è mai sentita così stranamente normale. Ma lo sa che manca poco purché l’effetto reale della sostanza prenda il sopravvento, lo sente come un istinto primordiale. «Facciamo che le uniche mani sporche nella stanza rimangono le tue, okay?» Daveigh si guarda le mani, abbassando lo sguardo. Per quanto si siano impregnate di sangue, Daveigh non si sente una colpevole, non troppo. E’ solo un’esecutrice, la mano che cala il coltello e che si sporca di sangue. Non ha vergogna per ciò che ha fatto, anzi, una sorta di orgoglio, fiero orgoglio, monta nel suo cuore ogni volta che ci pensa. Lei non ha fatto altro che anticipare ciò che la vita riserva a tutti. Ha ristabilito l’ordine naturale delle cose, operato secondo natura. Alza lo sguardo, le pupille dilatate oscurano completamente gli occhi verdazzurro della serpeverde, rendendo il suo sguardo più inquietante del solito. E sorride, come se fosse la cosa più naturale del mondo, mentre sente che qualcosa sta cambiando, un senso di euforia inizia a correrle lungo la schiena. Più che un sorriso pare quasi un ghigno, come un animale che sfodera le zanne. Un risolino gutturale sale direttamente dal petto scavato della ragazza. Una mano si muove, le dita camminano come le zampe magre di un ragno. Incontrano il braccio del ragazzo e salgono, lentamente sulla pelle chiara di lui. « Magari è l’occasione giusta per sporcarle di nuovo, non credi?» chiede, mentre le dita arrivano alla spalla e poi lasciando che le unghie segnino la pelle del ragazzo, raggiungono il collo. « Vuoi provare?» domanda, incalzando il suo sguardo. Lo sa cosa dicono sul suo conto, lo sa lui cosa ha pensato di lei. Cosa tutti hanno pensato. Affondo un’unghia nella morbida pelle del corvonero. A fondo, fino a sentire un po’ di sangue macchiarle la pelle.


    Edited by conundrüm - 16/10/2017, 08:57
     
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    «Non sarà la droga ad uccidermi» Si libera a sua volta del laccio emostatico che gli teneva fermo il braccio, in una morsa quasi asfissiante. «Probabilmente è vero» commenta, appoggiando la testa al muro, mentre sente la droga smuoversi nelle proprie vene. «Sono abbastanza certo che ad ucciderti saranno i famigliari di coloro che farai fuori da qui a dieci anni. Parola mia.» Poi, senza aggiungere altro, si abbandona a quel turbinio di calore che lo investe. E' una sensazione ormai a lui famigliare, per quanto non siano molte le volte in cui effettivamente lo fa. Non sa come sia possibile, ma potrebbe quasi affermare con certezza il punto dove sta fluendo la droga, secondo dopo secondo. Probabilmente è soltanto l'abitudine o un trucco che la suggestione fa, sparandogli quel fumo temporaneo negli occhi, giusto per fargli pensare ad altro mentre la botta sale. Di grado in grado. Il primo, il rush, lo si riconosce subito. Il battito accelera, così come aumentano la pressione sanguigna e il polso. E' una sensazione strana, la stessa che si ha nel bel mezzo di una corsa. Corri, corri, continui a spingerti oltre il limite e il tuo corpo reagisce di conseguenza, quasi a volersi difendere da un possibile crollo. Così come avviene quando il metabolismo avverte la presenza di una sostanza esterna che non gli va troppo a genio. Comincia a correre, all'impazzata, quasi non volesse farsi prendere dalla droga che corrode tutto ciò che trova lungo il suo cammino. Passa qualche minuto buono di silenzio, rotto soltanto da quella musica di sottofondo che Zip ha messo preventivamente, in caso alla Sanguinaria venisse voglia di urlare, di schiamazzare e di fare qualsiasi altra cosa che implichi il far arrivare qualche inquisitore tutto trapelato in stanza, pronto ad aprirgli il culo in due. E. poco alla volta, comincia a sentire l'euforia inondargli il corpo. La fase alta è nel pieno del suo epicentro. La testa gli appare più leggera. Ogni minimo movimento gli sembra più facile da compiere, tanto da non sentire nemmeno il peso del proprio corpo. Si sente vaporoso mentre riapre gli occhi lentamente, completamente assuefatto dalla droga che ha in circolo. Ed è in quel momento che la sente avvicinarsi. Ridacchia mentre lo fa e Zip deve ammettere che la risata risulta alle sue orecchie piuttosto inquietante. Ma anche piuttosto intrigante, perciò non si muove di un solo millimetro, mentre avverte il contatto della sue dita sulla propria pelle. La lascia fare, la sente risalirgli il braccio con la propria mano e per un attimo ha quasi la sensazione che quella dose di metanfetamina abbia sortito l'effetto desiderato: farla sciogliere. La guarda negli occhi e si accorge subito
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    che le pupille sono talmente dilatate da non far scorgere più l'iride chiara. Così come devono essere le sue. « Magari è l’occasione giusta per sporcarle di nuovo, non credi? Vuoi provare?» Sposta lo sguardo nel suo e lo assottiglia appena, cercando di capire quello che ha appena detto. E non è facile farlo con la droga che gli annebbia i ragionamenti. Poi la sente, quella fitta dolorosa che parte dalla base del collo, lì dove lei ha appena conficcato la sua unghia. Abbassa appena gli occhi e vede una goccia di sangue fuoriuscire dal solco che Daveigh ha appena creato. Vi passa l'indice sopra e la raccoglie, mordendosi il labbro inferiore. «Avresti il coraggio di uccidermi qui, senza pensarci due volte? Così, giusto per il piacere di vederle insanguinate nuovamente?» Le domanda, mentre, senza pensarci, le passa l'indice sul palmo della mano destra, sporcandolo del sangue che lei stessa ha fatto sgorgare. Lei sorgente, in quell'istante, del suo stesso sangue. Lei, con le mani insanguinate di fronte a lui. «E' una bella sensazione, non è così? Sentire il respiro rotto che sta abbandonando il corpo?» Lui quella sensazione non l'ha mai provata. Non perché non ne avesse avuto mai l'occasione. Quella, quando vivi in mezzo alla merda, nel pieno del ghetto, non ti manca di certo. Ci è andato in riformatorio però, prendendosi la colpa per la morte di un ragazzo che non era stato lui a provocare. E quella sensazione, quella fredda emozione che si deve provare quando si toglie la vita ad una persona non l'ha sentita veramente. Perciò parla e parla ancora senza pensare. Quando uno si fa di metanfetamina, uno dei primi fattori che lo fa intuire è proprio il bisogno di parlare, anche a sproposito. La lingua sembra non rispondere più ai comandi, cosa che succede già abitualmente nel caso di Zip, figuriamoci in un frangente tanto particolare. Lui parla come se quelle voci, arrivategli alle orecchie, fossero vere. Non ha alcun dubbio a riguardo. Deve essere così. Lei, insieme al suo fratellino psicopatico, hanno ucciso a sangue freddo la madre. Lei è la Sanguinaria e ormai ne è certo. Perché della sua pazzia ne è già convinto. Lascia che il capo crolli verso la propria spalla, ciondolante ma euforico allo stesso tempo. «Almeno lo sai il mio nome? Lo sai il nome della tua prossima vittima?» Le domanda, inarcando un sopracciglio mentre una risata copre il silenzio che segue il punto interrogativo che le ha appena posto. «Dall'alto della tua superiorità, sai dirmi come mi chiamo?»
     
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