Something about you is so addictive

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    «La smetti di osservarlo? La cosa sta diventando imbarazzante!» Lyanna colpì Betty con il gomito per l’ennesima volta cercando di risvegliarla dallo strato di trance in cui era caduta. Quel pomeriggio si erano incontrate in sala grande per fare i compiti assieme e la tassorosso aveva trovato qualcosa di ben più interessante da fissare. L’oggetto delle sue attenzioni era un certo serpeverde di sua conoscenza. «Non è vero che lo sto osservando.» Mentì la tassorosso, ma non avrebbe mai ammesso che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Lo aveva visto entrare una decina di minuti fa e da allora non era più stata in grado di concentrarsi sui compiti di storia della magia; da quando era arrivato non aveva fatto altro che rimanere stravaccato sul tavolo e lanciare occhiate maliziose a qualsiasi essere vivente gli passasse di fronte. «Neghi anche l’evidenza adesso? Voi tassi non dovreste essere sinceri?» Betty fece una linguaccia alla migliore amica e cugine, non voleva ammettere che Al fosse qualcosa di più di un semplice conoscente perché non era pronta a mettere il suo cuore nelle mani di qualcun altro; soprattutto quando la maggior parte delle persone che aveva intorno non facevano altro che deluderla. «Ad ogni modo è una perdita di tempo…» Abbattuta tornò a dedicarsi ai compiti di storia della magia, nella sua testa non era abbastanza bella o abbastanza disinibita per attirare l’attenzione del serpeverde. Si sentì subito circondare dalle braccia dell’amica e non poté fare a meno di rifugiarsi in quell’abbraccio. «Quante volte devo dirti che sei bellissima prima che questo concetto entri in questa testa dura?» Soffocò una risata alle parole dell’amica, Lyanna era molto simile a lei ed era sempre la prima a farle affrontare le sue paure e cercava sempre di spronare la tassorosso a credere in sé stessa. Per Betty quella era un’amicizia preziosa perché per la prima volta le sembrava di avere a fianco una figura molto simile ad una sorella. «Ti prometto che prima o poi mi entrerà in testa. Ora però finiamo storia della magia, altrimenti non ci entrerà mai in testa ed è un guaio.» Ridacchiando tornarono a dedicarsi ai loro compiti e la tassorosso non guardò più nella direzione in cui il serpeverde riposava.

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    Quel campo estivo si stava rivelando una piacevole sorpresa, per quanto le politiche di Kingsley non le andassero a genio con questa scelta aveva sicuramente guadagnato dei punti. Il campeggio non era assolutamente come se lo era aspettato, non era un cumulo di casette diroccate, ma un vero e proprio campeggio di lusso. Condivideva un grazioso bungalow con la cugina e passava gran parte delle sue giornate sdraiata vicino alla riva del laghetto a leggere, ogni tanto si concedeva un bagno tra quelle tiepide acque; lasciandosi cullare dal suo quieto moto. Le attività all'aria aperta non mancavano e non avere a che fare con i suoi genitori per lei non poteva essere altro che un sollievo. «Lyanna io esco, vado fare una passeggiata...» Come ogni sera prese la sua torcia e abbandonò il suo piccolo e confortevole bungalow, era solito passeggiare immersa nell'oscurità crepuscolare della sera; spesso si sdraiava sul prato e osservava le stelle, con le dita tracciava costellazioni immaginarie. Quel pomeriggio, proprio grazie a sua cugina, aveva scoperto che sulla piccola terrazza della capanna che conteneva la mensa era stato installato un telescopio per gli studenti che intendevano mettere in pratica le nozioni che avevano appreso ad astronomia. Betty era affascinata dalla volta celeste, la torre di astronomia ad hogwarts era infatti uno dei suoi luoghi preferiti in assoluto. Lungo il percorso incontrò alcuni compagni, molti erano raccolti intorno ai falò, mentre altri preferivano rimanere in disparte lontano dagli occhi di tutti. La tassorosso di per sé apprezzava la compagnia vivace dei suoi amici, ma certe sere aveva bisogno di un po' di tempo per sé stessa. Quando si affacciò sulla terrazza rimase paralizzata, vedere Albus dopo tanto tempo la spiazzò completamente. Non avrebbe mai immaginato di vederlo proprio lì dopo che aveva passato un intero anno ad evitarla, in realtà non si aspettava di vederlo affatto. Dopo il suo crollo gli aveva scritto, aveva cercato di chiamarlo perchè voleva essergli vicino, lei era la sua ragazza e avrebbe solamente voluto consolarlo, ma lui non ne aveva voluto sapere. L'aveva semplicemente chiusa fuori, ignorata e forse anche dimenticata. Ogni volta che una sua lettera veniva rispedita al mittente intonsa il suo cuore si spezzava sempre un po' di più. Lo aveva scongiurato di non lasciarla, ma lui era semplicemente svanito nel nulla. Si era arrabbiata la tassorosso, si era innamorata di lui completamente e lui non si era nemmeno degnato di dirle in faccia che la loro storia era finita. Per la prima volta in vita sua sentiva di amare e odiare una persona allo stesso tempo; mai come in quel momento avrebbe voluto correre verso di lui abbracciarlo e poi prenderlo a schiaffi. Albus aveva il potere di entrarti sotto la pelle, di sconvolgere la tua vita con un sorriso e riempirla completamente. Nell'ultimo periodo era diventato sempre più cupo e Betty non era stata capace di portarlo indietro, aveva cercato di rimanere al suo fianco, ma la sua presenza molto probabilmente non era abbastanza per lui. Perchè era tornato? Perchè l'aveva ignorata per tutto quel tempo? Forse non voleva conoscere le risposte a quelle domande per paura di essere nuovamente ferita. Tornò indietro lentamente cercando di non farsi sentire, ma prima che potesse uscire su accorse di meritarsi delle risposte, di sapere per quale motivo era stata scaricata senza una spiegazione. Ripercorse nuovamente la strada fino ad arrivare alla terrazza e quando lo vide nuovamente lì dovette reprimere a forza la voglia di correre tra le sue braccia. «Albus…» Un sussurro appena accennato, era passato troppo tempo dall'ultima volta in cui si erano parlati; lui non faceva altro che ignorarla, ogni volta che aveva provato ad avvicinarsi lui aveva trovato il modo di dileguarsi. Tutto ciò fino a quando lei aveva gettato la spugna, aveva capito che non poteva lottare solo lei per entrambi. «Io volevo solo sapere come stavi...» è tutto ciò che ho sempre voluto sapere. Anche dopo tutto il dolore che le aveva causato non desiderava altro che sincerarsi che stesse bene. Si avvicinò lentamente alla ringhiera della terrazza, in lontananza si sentiva il leggero vociare dei loro compagni, un lieve brusio di sottofondo che riempiva il silenzio tra di loro.
     
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    "Potter, hai posta." Stancamente il moro si tolse una cuffia dall'orecchio, aggrottando la fronte e sporgendo il mento in avanti con aria interrogativa. "Posta." ripeté l'uomo, sventolando una busta da lettere. "Chi la manda?" "Elizabeth Branwell..ancora" Un'altra lettera di Betty, dopo tutte quelle che Albus aveva rispedito al mittente senza nemmeno leggere. C'era da dire che non si dava per vinta la ragazza, sebbene il secondogenito Potter ignorasse totalmente cosa vi fosse scritto in quelle missive; per quanto ne sapeva poteva averlo ricoperto di insulti, o semplicemente aveva voluto accertarsi che non fosse morto in quel buco di culo che era il riformatorio in cui l'avevano chiuso. "Rimandala indietro." disse soltanto, secco, rimettendosi nell'orecchio la cuffia che aveva tolto e alzando il volume della musica. L'uomo tirò un sospiro rassegnato, riponendo la lettera in tasca prima di avvicinarsi al punto in cui Al se ne stava comodamente stravaccato, sedendosi sulla poltrona di fronte alla sua e fissandolo fino a quando - non ricevendo alcun segnale di considerazione - gli tirò via le cuffie dalle orecchie. "Ehi, che cazzo!" protestò il moro, raddrizzandosi meglio sul posto con aria ben poco gioviale "Ascolta un po'. Chi è questa tipa? Ti scrive in continuazione e tu nemmeno vuoi aprirle le sue lettere. Stai in qualche casino? C'è qualcuno lì fuori che ti fa paura?" Con un pesante sbuffo, Al roteò gli occhi in maniera quasi rumorosa, solo per poi passarsi stancamente una mano sul viso e tra i capelli. "Ne parli come se fosse Pablo Escobar, Cristo santo. No, non ho paura di Betty Branwell: non potrebbe ammazzare nemmeno una zanzara, figuriamoci." Il suo interlocutore parve rilassarsi, distendendo le labbra in un sorriso più comprensivo e gentile, sebbene un pizzico di preoccupazione rimanesse nei suoi occhi. Jeremy Brown lo aveva preso a cuore sin dal primo momento; era uno di quegli strizzacervelli appena usciti dalla scuola per strizzacervelli e quindi pieni di motivazione e tanta buona volontà. Albus era stato assegnato a lui, e da quel momento l'uomo l'aveva tratto un po' come se fosse un soprammobile di cristallo - cosa che Al sopportava meno del vaiolo di drago. "E allora perché la stai evitando?" incalzò, sporgendosi verso il Serpeverde. Albus e le domande: antichi nemici. Non gli era mai piaciuto parlare dei fatti propri, e l'idea di trovarsi in un luogo in cui invece quelli sembravano essere l'unico argomento di discorso lo faceva letteralmente impazzire. Strinse dunque la mascella, solo per poi far calare sul proprio volto una maschera di totale serenità, scuotendo la testa con un mezzo sorriso sardonico. "Perché lo sai come sono fatte le ragazze, dai." Si strinse nelle spalle, come a lasciar intendere che la questione non aveva davvero motivo di essere affrontata. "Ora posso riprendere il mio mp3?" E si chiuse lì. Non seppe mai se Jeremy gli avesse creduto sul serio o avesse solo fatto finta di farlo per rispettare la sua privacy su una questione che certamente non aveva nulla a che fare sul motivo per cui si trovava lì. Tuttavia non se ne preoccupò molto, e nessuna domanda gli venne più posta riguardo Betty.

    « A chi precipita non è permesso di accorgersi né di sentirsi quando tocca il fondo. Continua soltanto a precipitare giú. Questa bella combinazione è destinata agli uomini che, in un momento o nell'altro della loro vita, hanno cercato qualcosa che il loro ambiente non poteva dargli. O che loro pensavano che il loro ambiente non potesse dargli. Sicché hanno smesso di cercare. Hanno smesso prima ancora di avere veramente cominciato. » Gli occhi cerulei di Albus si alzarono per un istante dal libro verso il cielo, contemplando i disegni che le stelle producevano in cielo. Quella è Cassiopea. Quello invece è il Grande Carro. Quella stella lì è Venere. Cazzo quanto è luminosa. Da quando il mondo aveva cominciato a precipitare giù e la gente a morire, le stelle si vedevano un sacco meglio. Era come se la natura si stesse pian piano riprendendo, a discapito di ciò che le persone andavano a dire in giro. Non c'era più nessuno che andasse a disboscare foreste, niente più 'tutti al lavoro in auto, una persona per auto', nessuna discarica da riempire, nessun petrolio da estrarre, nessuno spray pesticida, nessun peschereccio, niente di niente. Tutto ciò che aveva avvelenato il pianeta si stava pian piano dissolvendo nel nulla: la razza umana. Probabilmente quella era la prima estate, dopo tanto tempo, in cui Albus era riuscito a sentire davvero i grilli cantare: la notte ti mettevano su un concerto che alle volte non riuscivi nemmeno a prendere sonno da quanto facevano casino. Ma era così che doveva essere; il silenzio, nelle sere estive, è innaturale. Un po' come lo sono le arance a Giugno, o le fragole a Febbraio. Abbiamo ridefinito il paesaggio a colpi di stronzate, illudendoci che fosse normale, e ora eccoci qui: tutti secchi, e chi ancora sta in piedi è sull'orlo della disperazione.
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    Posto il segnalibro tra le pagine del romanzo, il moro si alzò dalla propria postazione, frugando nelle tasche dei pantaloni per estrarre il piccolo porta-tabacco sfilacciato in cui teneva tutto l'occorrente alle sigarette. Aveva dovuto diminuire un po' il numero di cicche a giornata, più che altro perché era un casino farsi sempre spedire da fuori tutta la roba che gli serviva. Nel dubbio si era fatto mandare anche una stecca di quelle già fatte a inizio vacanza, giusto perché non si sa mai e non voleva rimanere col culo scoperto. Cominciò dunque a rollare il proprio drum, chiudendolo a velocità record in un piccolo cilindro perfetto, per poi metterselo tra le labbra e accenderlo con uno zippo. La prima nuvola di fumo venne rivolta alle stelle. Vi piaceva l'aria pulita, eh? Non fateci troppo l'abitudine: finché ci sarà anche un solo stronzo su questo pianeta, pace non ce l'avrete mai. E' un po' la parabola di tutti..non è che perché siete stelle e ve ne state affanculo allora siete esonerate. Strinse meglio la sigaretta tra le labbra, aspirandone un secondo tiro mentre si beava dello sfrigolio che la combustione produceva, quando all'improvviso si trovò a voltare il capo verso le scale che affioravano alla terrazza. "Albus…" Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille, pur non avendola sentita per due anni interi. Inconfondibile. Betty era un po' come quelle stelle: per quanto fosse luminosa, era la vita intorno a lei ad intossicarla e rendere la sua luce più pallida. Albus, poi, era proprio quello che gli soffiava il fumo nella sua direzione, tanto perché era la sua specialità prendere un qualcosa di bello e avvelenarlo. "Io volevo solo sapere come stavi..." Vorrei saperlo pure io, se ti fa stare meglio. Istintivamente distolse lo sguardo da lei, come una molla che scatta, aspirando un altro tiro, sbuffandolo e poi mordendosi le labbra strette in una linea retta. Con una mano andò a sfregarsi nervosamente il collo, solo per poi stringersi nelle spalle e gettare al di fuori di sé un sorriso a metà tra l'amaro e il sarcastico. "Mai stato meglio." asserì, piattamente, prima di finire la sigaretta e buttarla giù dal balcone senza nemmeno curarsi di spegnerla prima. Per quanto ne sapeva avrebbe potuto finire in testa a qualcuno e fargli un bel buco sulla capigliatura, ma ad Albus di queste cose non era mai fregato proprio un bel niente. "Sto bene ora e stavo bene prima. Sono un ragazzo fortunato." se ci fosse un termometro capace di misurare il grado di sarcasmo nella voce di una persona, probabilmente in quel momento sarebbe scoppiato per il livello troppo alto in quella di Albus "Spero di aver esaurito la tua curiosità." Concluse dunque, stirando un secondo sorriso falso prima di voltarle le spalle e rimettere le mani sul proprio libro. In fin dei conti su quella terrazza ci stava prima lui: se lei si sentiva a disagio, sapeva benissimo quale fosse la strada per tornare indietro.
     
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    i tried to forget you, but the harder i tried,
    the more i thought about you


    Betty era nuovamente a casa, tra quelle fredde mura domestiche in cui si sentiva sola e abbandonata. Aveva passato gli ultimi mesi scolastici ad immaginare la loro estate, un'estate diversa grazie alla sua presenza, ma all'improvviso si era nuovamente trovata avvolta dalle tenebre. Aveva notato i piccoli cambiamenti nel comportamento di Albus, aveva cercato di rimanere al suo fianco, di essere una spalla a cui poggiarsi, ma più lei si avvicinava più lui la respingeva. Si era allontano progressivamente fino a mettere un abisso tra di loro, quasi non ricorda le parole con cui ha sancito quella rottura; nella sua testa i ricordi sono confusi e le voci sommesse; ricorda soltanto il violento battito del cuore che le ha quasi mozzato il respiro. Mai prima di allora aveva sperimentato un dolore così grande e così vivo, aveva iniziato a consumarla dall'interno, divorando tutti i suoi sentimenti. I cantanti e i poeti parlano di cuori spezzati, ma ognuno di loro si dimentica di dire quanto questo sia fisicamente doloroso. Betty riusciva chiaramente a sentire il diverso battito del suo cuore, come se senza Albus non battesse più alla stessa maniera. Per la prima volta in vita sua si era impuntata, aveva deciso di non uscire di scena in silenzio con la coda tra le gambe, avrebbe lottato da sola per quei sentimenti a cui non era disposta a rinunciare. Aveva dovuto vedere con i suoi stessi occhi quanto a lui non interessasse più ciò che avevano costruito, vederlo sorridere ad un'altra le aveva strappato il cuore dal petto, se non fosse stata per la presenza confortante di Freddie si sarebbe lasciata andare fino a spegnersi del tutto. «E' meglio così Elizabeth, tu eri troppo per lui.» Sua madre era l'unica in grado di gioire di fronte al suo cuore spezzato, non aveva mai apprezzato che sua figlia si fosse messa con un Potter e dal primo giorno non aveva fatto altro che ripeterle quanto inadatti fossero l'uno per l'altra. «Voglio che tu sia intelligente, non devi fare la stessa fine di tua sorella.» Pervinca era un argomento tabù in casa, i suoi genitori avevano praticamente cancellato ogni traccia della sua presenza. La sua camera era stata sgomberata, le foto che prima erano disseminate per casa erano sparite all'improvviso e il suo nome non veniva mai menzionato. Betty sentiva la mancanza della sorella ogni giorno, troppo debole per opporsi da sola al controllo e al volere dei loro genitori. «Io non sono Polly.» La tassorosso fissò la sua immagine riflessa nello specchio e si ripeté la stessa cosa nella mente, come se fosse un mantra. «E non ero troppo per lui, visto come sono andate le cose forse non ero abbastanza.» Sentiva di aver fallito con lui e incolpava sé stessa per la fine della loro relazione, Albus era quello che si era allontanato, ma ormai era giunta alle conclusioni che l'avesse fatto perchè lei non era ciò che voleva davvero. Aveva sofferto per ogni lettera rispedita al mittente e per non dimenticare quel dolore le teneva ancora tutte insieme avvolte in un nastro color lavanda. Nero su bianco erano stampate le sue preghiere, il suo supporto e il suo amore, e sarebbero rimaste tali; con il tempo l'inchiostro si sbiadirà e forse anche il suo cuore troverà il modo di porre rimedio alle proprie ferite.

    I'm gonna smile like nothing is wrong.
    Pretend like everything is alright.
    Act like it's all perfect, even though inside it really hurts.


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    Ritrovarsi faccia a faccia con lui dopo tanto tempo le sembra quasi innaturale, lui non è più il ragazzo spensierato di prima e lei non è più l'illusa ragazzina che crede che l'amore sia più forte di ogni cosa. Chi sei tu? Vorrebbe chiederglieli, perchè non riconosce quella versione tormentata e scostante di lui. «Mai stato meglio.» La sua espressione appare quasi scocciata, come se non sopportasse la sua presenza e non volesse far altro che liberarsi di lei. Un'indifferenza che nonostante il tempo continua a spezzargli il cuore. Vorrebbe urlargli contro, scuoterlo per farlo rinsavire e non vedere più quell'oscurità adombrare i suoi occhi azzurri. Sorride beffardo di fronte alla sua domanda, incurante di come il suo cuore ancora si strugga per lui. «Sto bene ora e stavo bene prima. Sono un ragazzo fortunato.» La tassorosso si fa piccola di fronte a quelle parole, così facili da pronunciare per lui e allo stesso tempo così difficili da recepire per lei. Gli volta le spalle perchè è l'unico modo per nascondergli il tremore incontrollato che le scuote le mani, le osserva con le lacrime agli occhi mentre cerca disperatamente di prendere il controllo di sé. Si allontana di qualche passo da lui per respirare, per non sentire più quel peso sul petto che la sua vicinanza sembra portare. In momenti come questi invidia l'algida indifferenza che sua madre è sempre in grado di mostrare, se le assomigliasse un po' di più forse non dovrebbe soffrire in questo modo. Perfino le stelle quella sera le sembrano meno luminose, spettatrici anche loro del loro dramma sentimentale. «Spero di aver esaurito la tua curiosità.» E forse di fronte a quel sorriso falso Betty riesce per la prima volta, dopo molto tempo, a rivedere l'Albus di cui si era innamorata perdutamente. Aveva imparato a conoscerlo, a decifrare i suoi stati d'animo e aveva presto imparato quanto l'ipocrisia e la falsità non facessero parte di lui. Lui non ostentava sorrisi quando non li sentiva e non fingeva sentimenti che non provava per il semplice motivo che non era bravo a fingere; almeno con lei. Quel sorriso era falso, una pallida imitazione di quelli che le aveva spesso regalato. Nella mente della ragazza inizia a farsi strada il dubbio, una speranza che lei stessa non vuole assecondare per la paura di rimanere delusa. Così lascia che il silenzio scorra tra di loro e si permette di osservarlo di sottecchi mentre finge di dedicarsi alla volta celeste. Lo osserva mentre cerca di fumare con disinvoltura, nella sua mente è ancora ben chiaro quell'odore di menta e tabacco che lui emanava sempre, quando la stringeva tra le sue braccia spingeva il volto nell'incavo del suo collo per poter far suo quel profumo. Per quanto ad un occhio estraneo possa sembrare rilassato Betty è in grado di vedere quanto rigidi e meccanici siano i suoi movimenti, come se quella situazione mettesse a disagio anche a lui. Perchè sei così teso se dici di stare benissimo? Poi la sua attenzione si sposta sul libro che stringe tra le mani, un libro consumato dal tempo e dalle migliaia di volte in cui è stato sfogliato da quelle stesse mani. Nella sua mente si fa largo un ricordo, forse uno dei più belli che conserva di loro. Per la prima volta in vita sua aveva deciso di eludere le regole, di trasgredire per stare vicina a lui. Si era introdotta nella sala comune dei serpeverde solo per raggiungerlo e sdraiarsi al suo fianco. Erano rimasti per ore accoccolati sul suo letto, non aveva fatto altro che appoggiarsi al suo petto e lui aveva letto per lei quello stesso libro che ora stringeva tra le mani. Te lo ricordi Albus? «Non abbandonerai mai quel libro vero?» Non può fare a meno di sorridere mentre gli pone quella domanda percgè quel libro non è solamente un capolavoro babbano, ma anche un pezzo della loro storia; uno dei ricordi a cui si era aggrappata disperatamente nei mesi in cui aveva cercato di contattarlo e di avvicinarsi a lui. «Lo hai letto anche a me.» Forse storcerà il naso di fronte a quelle parole, infastidito da quel suo continuo rivangare il passato, ma è l'unico modo che ha per capire; fare del male a sé stessa e forse farlo anche a lui, nella speranza di suscitare una qualsiasi reazione. E' stanca di essere la brava ragazza che si fa sempre da parte per non ferire i sentimenti degli altri, tutti si aspettano sempre che lei rinunci; che molli la presa e dichiari la sconfitta, ma il dolore l'ha cambiata radicalmente. Voleva per una volta scoprire cosa realmente lo ha spinto lontano da lei. «Ti consideri un vigliacco Albus? Anche Holden lo pensava di sé stesso.» Betty sa benissimo che dovrà calcare la mano per ottenere una reazione, per far sì che lui ammetta la verità; per quanto dolorosa possa essere. «Avresti dovuto essere sincero e dirmi chiaramente che non volevi più me. Invece ti sei allontanato piano piano, facendomi credere di essere io quella sbagliata. Sei stato crudele.» Quasi si ritrovò senza voce dopo quell'ammissione, in pochi secondi si era liberata di mesi di domande e rimpianti dove non aveva fatto altro che colpevolizzare sé stessa.
     
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    "Non abbandonerai mai quel libro vero?" Albus non sapeva fingere, non era bravo a dire le bugie, e per questa ragione veniva quasi sempre scoperto quando tentava di farlo. Jay era stata l'unica menzogna - o piuttosto omissione - che fosse riuscito ad occultare, ma probabilmente era successo solo perché a sua volta coperto da altri mille strati di bugie e sotterfugi. Tuttavia, per il Serpeverde, la falsità era sempre stata una missione a lui poco confacente. Da una parte era troppo onesto, se non addirittura brutale, per sua natura; dall'altra, invece, il potere con cui era nato non gli permetteva di nascondere a lungo cosa si insidiasse nel proprio cuore. Albus era un metamorfomagus, e quell'abilità si mostrava in lui tramite i cambi di umore. Pochi sanno che il ragazzo è nato biondo, solo per poi vedere i propri capelli scurirsi sempre di più nel tempo, fino ad assumere la sfumatura nera che gli si vede quotidianamente e che ormai sembra aver preso il monopolio del suo capo da un bel po' di anni. Eppure, nonostante la sua chioma sembri scura come le piume di un corvo, anch'essa è capace di incupirsi ulteriormente tramite forti sensazioni negative: in quei momenti i suoi capelli diventano talmente neri da confondersi con la notte. I suoi occhi tra l'azzurro e il verde, invece, si spengono in un grigio profondo nel momento in cui la tristezza prende il sopravvento su di lui. Nel quadro che ci troviamo di fronte, dunque, Albus è oscuro: la chioma corvina si tinge di carbone, e le sue iridi celesti vengono coperte da una nuvola perlacea, come un cielo plumbeo che minaccia una pioggia imminente. Gli occhi del ragazzo avevano un meteo a sé stante, proprio come il cielo che tutti conosciamo: verdi nella loro sfumatura naturale, azzurri quando il sole splende nel suo animo, grigi quando si rannuvolano in presagio di tempesta. "Lo hai letto anche a me." Lo so.

    Quando chiuse il libro, alla fine di un lungo capitolo, volse lo sguardo verso Betty, accoccolata in ascolto sul suo petto. Un sorriso deliziato, quasi fanciullesco, che con la malizia non aveva nulla a che fare, affiorò automaticamente sulle labbra di Albus nel guardarla. Per la prima volta in vita sua si sentiva davvero fortunato, ma più che fortunato, sentiva di avere qualcuno con cui non si vergognava di far emergere ciò che teneva sempre stretto al suo petto. La paura, le domande, i sogni, tutto..con Betty poteva parlare di qualsiasi cosa, dalla più stupida alla più complessa, senza mai sentirsi giudicato. E dunque la guardava, in silenzio, come se nella propria mente stesse dipingendo il quadro del suo viso, tracciando ogni pennellata con una dolcezza e un amore che non credeva di poter provare. Lei era bella, lo era sempre, lo era per tutti: la sua era una bellezza evidente e oggettiva. Ma anche di altre ragazze si poteva dire la stessa cosa. Lei, però, era diversa perché erano i sentimenti del Serpeverde a renderla tale ai suoi occhi. Era bella, ma era ancora più bella per lui; bella in una maniera che gli altri non potevano ne' capire ne' vedere perché semplicemente non erano lui. Avete notato come, quando ci innamoriamo, lentamente la fisionomia della persona in causa cambi sotto il nostro sguardo? Vediamo le piccole pagliuzze che rendono i loro occhi brillanti e unici, vediamo quella piccola fossetta creata dai loro sorrisi, vediamo le curve dei loro lineamenti come tratti di pennello messi sulla tela da un grande artista. Ci accorgiamo delle cose più piccole e insignificanti, e ciò rende tali persone di una bellezza che va oltre la normalità, l'oggettività o la semplice legge estetica. Quelle labbra screpolate di inverno, da inumidire costantemente, diventano la cosa più bella del mondo, capace di farti sorridere anche nella peggiore delle situazioni. Persino il violaceo accenno di occhiaie dopo una lunga giornata diviene improvvisamente un miraggio sulla pelle candida. Albus tutte queste cose le leggeva nel viso di Betty, e ogni giorno trovava un motivo in più per amarla, come se quella lista non fosse mai destinata ad esaurirsi.
    "Betty, mi piacerebbe molto se leggessi il mio racconto ad alta voce." disse di getto, quasi involontariamente, trattenendo basso il tono delle sue parole "Non l'ho mai chiesto a nessuno. In realtà penso di non aver fatto mai vedere nulla di mio a qualcun altro. Però mi farebbe molto piacere sentirlo leggere da te." Senza aggiungere altro, allungò una mano verso il comodino, aprendo uno dei cassetti ed estraendone un sottile plico di pergamene. Saranno state sì e no tre pagine, comprese cancellature. Nulla di che. Non era ancora nemmeno completo. Porse dunque i fogli alla Tassorosso, che si schiarì la voce e drizzò la schiena, tutta intenta. Dal canto suo, Al, si voltò di colpo sul letto, seppellendo la faccia nel cuscino, mentre lei iniziava a leggere con voce così dolce che al ragazzo cominciò a venire da piangere dopo le prime frasi. Era un sogno, come se un angelo si fosse messo a parlare nella sua stanza; e poco dopo anche lei sembrò sentire quelle parole, farle sue, come se lei stessa le avesse scritte e ne condividesse ogni singola virgola. La sua voce, in certi punti, quelli più intendi, si fermava per riprendere fiato, e ciò serviva ad Albus per ricomporsi, ricomporsi ed emozionarsi di nuovo in una catena interminabile di emozioni altalenanti. Non si trattava nemmeno del racconto, perché lui lo aveva scritto e riletto dentro di sé mille volte, ma piuttosto del sentire le proprie parole lette dalla calda e dolcissima voce di Betty, dalla voce che avrebbe ascoltato come una canzone che ti entra nel cervello e non vuole uscirne. Quando lei finì di leggere, gli occhi di Albus erano lucidi, ma con la testa affossata in quel modo nel cuscino, Betty non poteva vederlo. "Grazie." e questa volta era nella sua di voce che era possibile cogliere l'inclinazione di un sorriso, il sorriso di chi in quel momento si sente come se fosse appena entrato in paradiso.

    Non se ne vuole andare. E' evidente. Non lascerà mai la presa. Di ciò Albus ne era certo, e sapeva anche che al posto di Betty, probabilmente, avrebbe fatto la stessa cosa..per lei. Eppure, per quanto la cosa lo facesse stare male, non poteva permettersi di cedere. Se avesse seguito il suo istinto, in quel momento, le sarebbe corso incontro e l'avrebbe abbracciata, chiedendole scusa tra le lacrime e raccontandole tutto, senza omissioni o bugie. Le avrebbe detto qualsiasi cosa: come era finito in quella situazione, perché non le aveva mai risposto alle lettere, cosa lo avesse portare a nascondere la situazione una volta degenerata. Tutto. Ma non poteva. E non poteva perché la amava più del proprio egoistico interesse; mai e poi mai avrebbe permesso che i propri problemi contagiassero la purezza della Tassorosso, rovinandola. Io sono tossico, per te, e tu lo sai. Il semplice fatto che tu sia qui, a dire queste cose, ne è la prova. "Ti consideri un vigliacco Albus? Anche Holden lo pensava di sé stesso. Avresti dovuto essere sincero e dirmi chiaramente che non volevi più me. Invece ti sei allontanato piano piano, facendomi credere di essere io quella sbagliata. Sei stato crudele." Strinse i pugni, serrando la mascella e portando lo sguardo dalla parte opposta alla bionda. Non è facile difendersi, scagionare se stessi, quando le motivazioni che giustificano il tuo comportamento sono le stesse che cerchi di tenere nascoste. Albus aveva scelto, e la sua scelta comprendeva delle conseguenze: l'essere accusato di vigliaccheria, l'essere visto come un caso irrecuperabile, come un egoista del cazzo che pensa solo a se stesso, uno scansafatiche, una persona inaffidabile su cui non si possono spendere due soldi di fiducia. Quelle cose, lui, le aveva scelte consapevolmente, pur sapendo che gli avrebbero strappato il cuore, e conscio del fatto che con esse avrebbe dovuto rinunciare anche all'unica parte della sua vita che lo aveva reso davvero felice: Betty. E forse era proprio per quello che lo stava facendo: perché non voleva ripagarla di quell'amore con un atto di puro egoismo, trascinandola in una storia che le avrebbe solo fatto del male a lungo andare.
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    "Non sai proprio quando mollare, vero?" chiese, più retoricamente che altro, più a se stesso che a lei, prima di voltarsi di scatto, annullando la loro distanza a grandi falcate fino a porsi dritto di fronte a lei, scuro in volto. "Te lo vuoi sentire dire in faccia? Va bene: non ti voglio più. Sei contenta?" Parole che ferirono più lui che lei, come una coltellata inferta alla schiena. Dio solo sa quanto non volesse dirle, quanto avesse cercato di evitare quella situazione per ormai quasi due anni interi. L'aveva evitata perché sapeva che altrimenti sarebbe stato obbligato a dire cose che non pensava, cose cattive che l'avrebbero ferita in pieno petto. Ci aveva provato, sul serio, ma evidentemente quella era l'unica maniera per convincerla a non coinvolgersi. « L'unico modo di salvaguardare la propria solitudine è ferire tutti, a cominciare da quelli che amiamo. » "E non ti voglio più perché anche ora, dopo tutto il tempo che è passato, se ti dicessi 'buttati dal balcone' tu lo faresti. Ti rendi conto di quanto sia folle? Lo vuoi chiamare amore, ma è una dipendenza bella e buona." Un altro colpo, questa volta dritto nel fianco come una lama tagliente sbucata dal nulla. Cazzo se erano grigi quegli occhi, due bei nuvoloni carichi di pioggia che stavano tentando con ogni forza di non far piombare quelle gocce torrenziali lungo le sue guance. Si odiava, si odiava intensamente per ciò che le stava dicendo e per il fatto che, con lo scopo di non ferirla, lo stava facendo ancora più pesantemente. Devi farlo. Devi continuare. Ti deve detestare tanto quanto tu detesti te stesso in questo momento. "Tu non mi ami, Betty. Non puoi farlo. Non è possibile amare qualcun altro se prima non si ama se stessi in qualche maniera. Se è vero che ti ho ferita, come minimo dovresti correre nella direzione opposta. E invece sei qui, come c'eri quando mi hai mandato tutte quelle lettere che non ho aperto solo per non perdere del tutto la stima nei tuoi confronti." Un terzo colpo, un pugnale conficcato nelle viscere. Strinse i denti in una breve pausa, assottigliando lo sguardo mentre si preparava al colpo di grazia, a delle frasi che uscirono dalle sue labbra come veleno, lente e crudeli. "Io non voglio stare con una persona che di me ha bisogno. Perché quello non è amore..è disperazione." Questa volta il coltello si infilò preciso nel cuore, un colpo veloce, metodico, dritto nel bersaglio. E al suo interno, Albus poteva distintamente sentire il sangue sgorgare lungo la superficie della propria anima martoriata.
     
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    «Te lo vuoi sentire dire in faccia? Va bene: non ti voglio più. Sei contenta?» Una stoccata al cuore dolorosa e letale, quelle parole ebbero il potere di stordirla; tanto che fu costretta a portarsi una mano al petto per controllare di avere un cuore palpitante al suo interno. «Tu non vuoi», disse in fretta, non voleva arrendersi con lui. Non poteva permettergli di allontanarsi da lei ulteriormente perchè avrebbe rischiato di perderlo per sempre ed era una cosa che non era ancora in grado di accettare. «Ti conosco, Albus. Questo non sei tu». Si strinse nelle braccia per consolare sé stessa, evocando nella sua mente i ricordi di quando era lui stesso a stringerla al suo petto con affetto; pronto a proteggerla da qualsiasi avversità. «Basta comportarti così». Smettila di essere qualcosa che non sei. Lo conosceva fin troppo bene per poter credere a quella versione artefatta e meschina, c'era qualcosa che lo spingeva a comportarsi in quella maniera e lei non voleva fare altro che fargli vuotare il sacco e stargli vicina, confortarlo e non abbandonarlo più. «E non ti voglio più perché anche ora, dopo tutto il tempo che è passato, se ti dicessi 'buttati dal balcone' tu lo faresti. Ti rendi conto di quanto sia folle? Lo vuoi chiamare amore, ma è una dipendenza bella e buona.» Folle. Era stata definita così molte volte in vita sua, dal momento in cui Pervinca se n'era andata la sua vita era stata un susseguirsi di pillole e visite mediche, tutti stratagemmi che i suoi genitori avevano utilizzato per tenerla sotto controllo, per renderla docile e impedirle di ribellarsi. Tutte le persone che avrebbero dovuto amarla e proteggerla avevano preferito prendere il suo cuore e stritolarlo tra le loro grinfie, fino a ridurlo in polvere; un calvario che lei non era più in grado di sopportare. Annaspò, incapace di credere alle parole che Albus le stava riversando addosso. A cosa stesse facendo. «Non posso aiutarti se tu rifiuti di aiutare te stesso» Non poteva continuare quel tira e molla, le aveva provate tutte per rimanere al suo fianco e nonostante tutti i suoi rifiuti aveva sempre cercato di rimanergli accanto; di non abbandonarlo a sé
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    stesso, di vegliare su di lui anche da lontano. Fece una piccola risata, una risata aspra e piena di dolore. «Non ti permettere di lasciarmi andare. Ho anch’io voce in capitolo, maledizione. E fanculo se credi che non ce l’abbia. Stai soltanto facendo lo stronzo» Non sopportava di averlo vicino, non mentre radeva al suolo ogni sua sicurezza; non mentre inquinava ogni dolce ricordo che ancora conservava di loro due. Aveva provato per mesi a capire quale fosse il motivo del suo cambio repentino e sentirsi dire di essere una folle a provarci ancora sembrava aver finalmente fatto scattare un piccolo interruttore dentro di lei. Betty era stanca di subire in silenzio, stanca di essere messa da parte. Nessuno sembrava curarsi mai dei suoi sentimenti, tutti pronti a gettare via il suo amore e la sua fiducia senza la minima spiegazione. «Tu non mi ami, Betty. Non puoi farlo. Non è possibile amare qualcun altro se prima non si ama se stessi in qualche maniera. Se è vero che ti ho ferita, come minimo dovresti correre nella direzione opposta. E invece sei qui, come c'eri quando mi hai mandato tutte quelle lettere che non ho aperto solo per non perdere del tutto la stima nei tuoi confronti.» Annientarla sembrava il suo unico obbiettivo. Cercò di tapparsi le orecchie perchè non voleva credere a quelle parole, rifiutava l'idea di essere contata così poco per lui. Perchè per le persone era sempre così facile ferirla? La prima era stata sua sorella Pervinca, con la sua fuga l'aveva abbandonata, l'aveva lasciata sola tra le grinfie dei loro genitori che non avevano fatto altro che servirsi di lei come fosse una marionetta. Poi era venuta Arthur, uno dei pochi bambini che non la considerava una persona stramba; all'improvviso anche lui si era schierato con tutti quelli da cui l'aveva sempre difesa, diventando l'ennesimo carnefice del suo povero cuore. Poi c'erano stati i suoi genitori, non era mai all'altezza delle loro aspettative, sempre un passo indietro rispetto alla perfezione che loro pretendevano da lei; una perfezione innaturale per un essere umano. Albus adesso era uno di loro, pensava di aver finalmente trovato una persona a cui affidare il suo cuore e invece aveva trovato l'ennesimo sciacallo, il più crudele; un lupo travestito da pecora. Lo spinse colpendolo alla spalla, voleva allontanarlo da sé per non sentire più quelle parole velenose, per impedire loro di strapparli il cuore dal petto. «Ti renderai conto che quello che fai è sbagliato. Lo rimpiangerai e io ti perdonerò. Ma non puoi dirmi questo e aspettarti che io lo perdoni.» Non poteva continuare a spezzarle il cuore e aspettarsi che lei sarebbe stata sempre lì, pronta a perdonarlo. «Io non voglio stare con una persona che di me ha bisogno. Perché quello non è amore..è disperazione.» Un colpo preciso, degno del miglior cecchino; sparato per uccidere. Le lacrime le inondarono le guance lisce, i suoi umidi occhi azzurri rilucevano ancora più del solito e il labbro tremava quasi incontrollato; mai si sarebbe potuto rimangiare quelle parole. Non lo avrebbe perdonato e mai gli avrebbe permesso di tornare sui suoi passi. Qualunque cosa lo stesse spingendo a comportarsi in quel modo prima o poi sarebbe sparita e le sue scuse sarebbero state del tutto inutili. «Se ora lo fai, se mi dici queste cose, non potrai presentarti un giorno e rimangiarti tutto hai capito?» La tassorosso era del tutto spezzata, ma per la prima volta appariva deciso e risoluta, non avrebbe mai più permesso alle persone di prendersi gioco di lei così. Avrebbe imparato a chiudere il proprio cuore, o quel che di esso rimaneva. Istintivamente portò la mano al collo e lo trovò, quella piccola catenina e il ciondolo a forma di delfino erano un regalo di Albus e lo aveva custodito come se fosse un oggetto di inestimabile valore. Tirò la catenina con forza e la sentì spezzarsi per poi ricadere morbida tra le sue mani, per notti intere si era addormentata aggrappata a quel ciondolo, per lei un simbolo dell'amore che Albus nutriva nei suoi confronti. Lo strinse con forza tra le mani, fino a sentire il ciondolo conficcarsi nel palmo, voleva stritolare e polverizzare quella prova per dimenticarsi di lui; per smettere di credere in quell'amore che solo lei sembrava provare ancora. Gli scagliò la collana contro il petto, separarsi da quel piccolo cimelio straziò il suo cuore ulteriormente, ma non sarebbe mai riuscita a liberarsi del ricordo di lui se avesse continuato a tenerla al collo. «Fanne ciò che vuoi, a me non serve più.» Finalmente poteva ritenersi soddisfatto, dopo aver subito per mesi il suo tormento era riuscito a liberarsi di lei e i suoi stupidi sentimenti. Betty non aspettava altro che il colpo di grazia, aveva bisogno di sentire la soddisfazione nella sua voce per poi togliersi dai piedi e correre tra le braccia della sua migliore amica per piangere tutte le lacrime che non riusciva a versare di fronte a lui.
     
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    "Fanne ciò che vuoi, a me non serve più." Il tintinnio della collana che dal suo petto scivolò sul pavimento della terrazza risuonò nelle orecchie di Albus come l'eco di due cuori che si erano appena spezzati all'unisono. Il suo e quello di Betty. E il peggio era che l'aveva fatto di proposito, privo tuttavia del tipico distacco che richiederebbe un discorso come quello che aveva appena fatto. Solitamente dicono che lasciare sia semplice: ormai per te è finita, non c'è niente, non sei quello a cui viene ferito l'orgoglio o su cui piomba la situazione come un fulmine a ciel sereno. L'hai scelto, hai avuto modo di prepararti, di distaccarti mano a mano che il sentimento scivolava via da te. Eppure per il mezzano Potter non era stato così: lui Betty l'aveva lasciata perché doveva, perché era la cosa migliore per lei, anche se dentro di sé faceva un male cane. Avrebbe voluto farlo diversamente, come le morti nel sonno. Indolore, nemmeno te ne accorgi, non fa nemmeno in tempo a farti assalire dalla paura. E invece così non era andata. D'altronde cosa poteva aspettarsi? Che dopo tutto ciò che c'era stato tra loro, Betty non opponesse alcuna resistenza? Era impensabile. E quindi si era trovato a fare proprio ciò che aveva giurato a se stesso che non avrebbe mai fatto: ferirla, deluderla così tanto da prendere a sassate qualsiasi speranza o sentimento si annidasse ancora dentro di lei. In fin dei conti lo dicevano pure i cartoni animati di quando erano piccoli: chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
    Lo sguardo grigio del ragazzo cadde ai propri piedi, lì dove giaceva la catenina che le aveva regalato. Nel vederla lì la sua vista iniziò ad appannarsi, velandosi di lacrime che non voleva far uscire, che non poteva far uscire. E mentre cercava di combatterle, nella sua testa si susseguivano le immagini che quella collana evocava. Si ricordava di quando la ragazza l'aveva vista di sfuggita in una vetrina di Hogsmeade, fermandosi a guardarla solo per poi scuotere il capo e stringersi nelle spalle, dicendo che non aveva senso spendere quei soldi su un oggetto quando avrebbe potuto usarli per tante altre cose. Eppure il pensiero di Albus si era fermato lì, su quel piccolo gioiello in esposizione. Aveva visto negli occhi di Betty quanto le piacesse, quanto avrebbe voluto comprarla, ma anche quanto le sue finanze da studentessa glielo permettessero ben poco. E così, pian piano, lui aveva cominciato a risparmiare, rinunciando a qualche birra, tagliando il numero di sigarette, mettendo da parte i soldi che i suoi parenti gli passavano e anche superando la propria avversione all'esibirsi in pubblico, suonando nel fine settimana ai Tre Manici sotto un esiguo compenso. Alla fine era riuscito a comprarla quella collana. Non aveva avuto bisogno di un'occasione speciale, di una ricorrenza o di una festività: l'aveva comprata e basta, perché voleva farlo, perché se la sentiva. E nulla lo aveva ripagato di più del vedere l'espressione di Betty quando aveva tirato il nastro di raso, scoprendo il coperchio della piccola scatola blu; aveva osservato le emozioni susseguirsi vorticose nei suoi occhi, nel mondo in cui le sue labbra tremavano senza parole e nel rosso vermiglio che le aveva colorato il volto. Si ricorda che in quel momento avrebbe tanto voluto farle una foto, perché era più bella che mai.
    Ci volle tutta la forza che aveva in corpo per ricacciare indietro le lacrime e alzare lo sguardo sul viso di Betty, sollevando il mento con aria fredda. Senza dire nulla sollevò il piede, dando un calcio alla collana fino a farla schizzare dall'altra parte del terrazzo con un tintinnio sonoro. "Non me ne farei nemmeno due spicci." disse in un filo di voce roca, remando contro ogni cellula del suo corpo. Che Albus fosse una persona piuttosto brutale e, alle volte, insensibile, questo si sapeva, ma crudele non lo era mai stato.
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    Tutto ciò che usciva dalla sua bocca, anche le cose peggiori, venivano da un'intenzione di onestà, oppure erano innescate da un meccanismo di difesa. Quelle però, erano parole cattive per il puro scopo di essere tali e di fare del male a chi aveva di fronte. Erano tutto fuorché da lui, completamente estranee a tutto ciò in cui credeva. Ma uno scopo c'era, ed era proprio quello di farsi odiare da lei, di farle montare il disgusto verso di lui, tanto che quando lo avrebbe guardato si sarebbe sentita nauseata da quella vista. E faceva male, faceva così tanto male che Albus cominciava a sentire il bisogno fisico di vomitare. Le membra contratte al suo interno avevano prodotto così tanta bile da avvelenare le sue interiora con un reflusso acido che gli imponeva il rigetto, quasi come se volesse liberarsi da tutto quel veleno che aveva assorbito nel farle del male.
    Non fu dunque un'uscita di scena la sua, sebbene quello sembrasse. Quando la oltrepassò velocemente, senza dirle una parola ne' salutarla, i suoi piedi si mossero veloci lungo le scale che portavano al villaggio, acquisendo sempre maggior velocità fino a quando, una volta distante, non cominciò a correre a perdifiato. Correva tanto che i suoi piedi sembravano sul punto di fargli spiccare il volo, ignorando il dolore alla milza o la poca disponibilità d'ossigeno che i suoi polmoni da fumatore gli imponevano. Si fermò dopo non si sa quanto tempo, appoggiandosi a un albero, piegato in due e scosso da tremiti e lacrime. Orribile. Lui, lui lo era. Lui si sentiva orribile. Lui che non ce la faceva più, che si accasciava per terra tra i singhiozzi perché tutto era semplicemente troppo per le sue spalle; proteggere suo figlio, proteggere la sua famiglia, proteggere Betty..faceva tutto e lo faceva male, perdendo se stesso nel mentre, trasformandosi in un qualcuno che non avrebbe mai voluto vedere riflesso allo specchio. Le parole che le aveva rivolto continuavano a rimbombargli nella testa come il battito di un martello, mentre in lui montava sempre di più il disgusto, il totale schifo per se stesso. Annaspò alla ricerca di ossigeno nell'aria notturna, trovandosi di colpo piegato in avanti, con la bocca tesa a rigettare tra l'erba un conato di vomito. E poi un altro. E un altro ancora, mentre le lacrime gli scorrevano cocenti sul viso, privandolo di qualsiasi forza e facendo tremare i suoi arti. Una volta finito, accasciandosi con la schiena all'albero, si passò le mani sul viso umido, tirando su col naso mentre i suoi occhi arrossati si rivolgevano alle stelle. L'ho pagato, il mio pegno, Dio. Cosa altro vuoi che faccia? Cosa vuoi che ti dia, del niente che mi è rimasto?
     
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