Another brick in the wall

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    Ehi Teddy.
    sono io, Al. Ah, ciao anche a te, inquisitore che stai leggendo: mi sembra brutto non salutare, magari ti sei pure affezionato alle mie vicende - possono sembrare interessanti a un occhio esterno. O magari non te ne frega un cazzo, e in quel caso ti chiedo scusa per conto di chi ti ha affidato questo ignobile compito: hai la mia solidarietà, fratello..o sorella. Vabbè, ora torno a mia cugina, ma buona lettura comunque.
    Insomma, Ted, ti dicevo che non so bene per quale motivo ti stia scrivendo. Olympia e Rudy sono tornati ad Hogwarts: puoi immaginare come questo mi faccia sentire. Non so, ogni tanto mi viene da sperare che esista un qualche mondo alternativo in cui le cose stanno andando come sono sempre andate. Non è strano? Da parte mia, dico. Mi conosci: non mi sono mai trovato bene da nessuna parte, tanto meno in casa, sono sempre stato quello un po' fuori luogo. E' proprio vero che a certa gente serve una catastrofe nucleare per rivalutare tutte le cose di cui si lamentava prima.
    Qui, per citare IL POETA (mi dispiace, inquisitore, questa non la puoi capire perché è una cosa tra me e lei, ma ti giuro che farebbe un sacco ridere pure te, vecchio burlone): si sta come d'autunno | sugli alberi | le foglie. Ci muoviamo un po' tutti in punta di piedi, come se fossimo a casa di qualcun altro. Tanti cari saluti a mio padre che se ne usciva sempre con "Hogwarts sarà la vostra casa come lo è stata per me"; bella sta casa, 'mazza oh pa', c'avevi proprio visto lungo..il solito occhio di falco. Che poi vabbè, per me il paragone ha poco senso, dato che sto meglio fuori che dentro casa. Non so neanche perché ti sto dicendo tutte queste stronzate, ma fattene una ragione, devi sopportarmi fino a quando uno dei due non si ritroverà tre metri sotto terra (e modestamente, sono piuttosto certo che questa sia una gara che ho in pugno, stronzetta).
    Al campeggio non è successo un cazzo di nulla, ovviamente. Ho ribeccato Betty, ma sinceramente non ho voglia di parlarne adesso (in realtà voglio solo tenere sulle spine l'inquisitore, lasciandolo con questo cliffhanger pazzesco). Per il resto è tutto a posto e niente in ordine. Siamo tornati nei nostri magnifici nuovi alloggi, quelli che distruggerò crudelmente su tripadvisor non appena riuscirò a beccare una wi-fi, e a parte ciò non è cambiato nulla..che in questo momento mi sembra più un bene che un male, sinceramente.
    Insomma, volevo solo aggiornarti sulla situazione qui a scuola e farti sapere che esisto ancora, DATO CHE AD HOGSMEADE NON CI POSSIAMO VEDERE MANNAGGIA A PRISCILLA (annota, inquisitore, annota). Detto ciò ti lascio con ben due allegati: un bel padellone di conchiglia per te direttamente dal campeggio, e per Lizzie un pacchetto di Tuttigusti che le ho preso in treno. Salutamela tanto e dille che ho contato ben sette macchine gialle nel tragitto, quindi dovrà mettersi una bella corazza addosso per quando ci rivedremo.
    Con perenne disagio,
    Albus

    ps: saluti anche a inquisitore e famiglia
    pps: me lo hai registrato Game of Thrones?


    Nel finire le ultime righe di quella lettera, Albus si alzò dalla postazione rigorosamente svaccata a terra che aveva assunto, facendo leva con una mano sul pavimento di pietra prima di colmare a lunghe falcate la distanza tra lui e il suo gufo. Distrattamente gli allungò un cracker, mentre i suoi occhi erano impegnati e scorrere veloci tra le parole che aveva appena buttato giù. Una volta conclusa la rilettura arrotolò la pergamena, legandola con un nastro verde alla zampa del pennuto. "Portala a Teddy. E non fare come la volta scorsa che te la sei presa comoda e sei tornato dopo una settimana, ok?" lo ammonì, puntandogli il dito indice davanti con aria seria prima di fargli cenno col mento di spiccare il volo. Lo osservò allontanarsi verso il cielo plumbeo, appoggiandosi con i gomiti alla balconata e respirando l'aria di quella che sembrava prospettarsi come una sera di pioggia. Il sole non era ancora del tutto calato oltre l'orizzonte, ma l'atmosfera era già piuttosto scura per via delle grosse nubi cariche d'acqua che incombevano sul castello. Bello, essere accolti da un grosso acquazzone: era un po' come dire 'bentornati nella vita vera, bastardi'. E tanti cari saluti all'effetto serra e alla siccità; basta mandare al mondo una bella epidemia ed ecco che si ristabilisce subito l'ordine naturale delle cose. Beh, almeno così nessuno si potrà più lamentare delle scie chimiche. Chi lo sa? Magari avevano ragione ed è davvero colpa di quelle. Plot twist. No, Albus non ci credeva a queste cose. O meglio: non credeva che fosse colpa dei pesticidi se le persone si comportavano come dei perfetti imbecilli. Non credeva nemmeno che quell'epidemia fosse causata dai vaccini - come alcuni avevano sostenuto -, perché non trovava un senso nel concepire un complotto volto ad arricchire le case farmaceutiche quando tutta la gente che le avrebbe effettivamente arricchite stava tirando le cuoia a velocità record. Magari le scie chimiche hanno rimbecillito pure le case farmaceutiche, che ne sai? Non ci stanno più i complottatori di una volta. Pensieri sconnessi, un po' come tutti i pensieri di chi, come Albus, passava più tempo nella propria mente che a cercare di creare un vero e proprio ponte con l'esterno. Si contavano sulle dita di una mano le persone con cui aveva un rapporto al di fuori dei suoi famigliari, e pure tra quelle, ancora minore era il numero di persone a cui andava a genio.
    Sovrappensiero estrasse l'occorrente per drum dalla tasca del giubbottino di pelle, appoggiandosi con la spalla alla colonna più prossima mentre girava la sigaretta con la velocità dell'abitudine. Una volta chiusa fece scattare lo zippo, lasciando che il leggero venticello portasse con sé lo sfrigolio della combustione. Se ci fosse Zip, avrebbe la cosa perfetta da dire in questo momento, si ritrovò a pensare, senza alcun motivo in particolare..solo così, perché Albus pensava davvero tante cose che la maggior parte delle volte sembravano non avere senso alcuno. Intaccato pure lui dalle scie chimiche, probabilmente. Socchiuse appena gli occhi, ritirando le guance nell'aspirare un lungo tiro dalla sigaretta mentre lasciava che il suo sguardo si perdesse all'orizzonte. Moriva il giorno, e con sé portava via i pensieri, gli avvenimenti, i luoghi, le emozioni. E quello seguente sarebbe stato un altro giorno che forse sarebbe stato migliore o forse peggiore, ma potevi sempre contare sul fatto che ce ne sarebbe stato un altro, e poi un altro ancora e così via fino a quando quella palla in cielo non si sarebbe spenta - e gli scienziati dicono che sia questione di davvero un sacco di anni, quindi non te ne devi preoccupare adesso perché tanto muori prima. Le consolazioni vere.
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    Con aria distratta si voltò verso lo sbocco delle scalinate, attirato da un rumore di passi che si concluse con la vista di Malia. Avrebbe forse dovuto improvvisare un'espressione stupita, ma Albus non è mai stato un genio nelle reazioni finte a comando; l'aveva già vista al binario, di sfuggita, prima di entrare in treno, e il tragitto lo aveva passato con Olympia. Una volta arrivato poi, aveva giusto disfatto i bagagli e poi si era subito diretto lì in guferia. Checché ne dicesse, ci era rimasto abbastanza male che anche lei fosse tornata. Ormai Malia faceva parte della famiglia, e l'idea che anche lei avesse deciso di tornare in quel luogo che di certo non le avrebbe offerto nulla di buono lo infastidiva non poco. Probabilmente, se pure lui fosse riuscito a scappare con loro, avrebbe cercato di convincerli tutti a non mettere mai più piede al castello: gli sembrava la cosa più logica, o quanto meno quella che non avrebbe vanificato ogni sforzo. Di sicuro Kingsley non li avrebbe accolti con un bel bacio in fronte, di questo ne era certo. "Stone." disse infine, sollevando un orlo delle labbra a mo' di saluto. "Non ti andava di disdire la prenotazione per Ibiza, a Giugno?" allargò di qualche centimetro il sorriso, aspirando un altro tiro prima di stringersi ironicamente nelle spalle "Ti capisco: le agenzie di viaggio sanno essere delle vere strozzine quando si parla di rimborsi all'ultimo momento." E quando la fai la domanda seria, Al? Dai che tutti i telespettatori stanno aspettando di vedere come te la giochi. Sulla pietà? Sul senso di colpa? Su un perdono magnanimo, non richiesto e soprattutto fuori luogo perché chi cazzo sei tu per dire alla gente come deve vivere? "Forse era meglio rimanerci, a Ibiza. Magari avrei trovato pure io il modo di arrivarci, prima o poi, e avremmo potuto vivere senza nemmeno una preoccupazione al mondo." disse, con un tono amaro che si trasmetteva facilmente al suo sguardo, come se da qualche parte, in un qualche universo parallelo, esistesse davvero una versione di Malia e Albus che se ne stava a ridere e bere tequila su una spiaggia a Ibiza. E invece siamo qui, sembravano dire i suoi occhi. "Sarò onesto: non ci ho mai creduto nel 'mal comune mezzo gaudio'. Ma in fondo, sei tu la Grifondoro tra i due, e per tornare qui ci voleva coraggio. Io sono Serpeverde: sarei rimasto al capo opposto del mondo, perché era la cosa furba da fare." Un altro tiro di sigaretta, che finì in una breve risata rauca "Allora ci prende davvero quel dannato cappello."
     
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    I corridoi del castello sono deserti. Tutti i passi di Malia riecheggiano rumorosi nel silenzio chiuso dalle mura di pietra, ed ogni metro in avanti ha quasi il sapore della conquista, come se da un momento all'altro uno degli scagnozzi di Kingsley dovesse sbucare fuori dal nulla e bloccarla, a punirla per essersi aggirata in solitudine all'interno dell'edificio, per non aver seguito il gregge. Un'idea un po' assurda, se ci pensa bene, ma non utopica. Da quando Kingsley è arrivato a scuola ogni misura, anche la più impensabile, sembra poter essere adottata, e all'improvviso anche camminare da soli, nella direzione opposta rispetto a tutti gli altri, assume un che di furtivo ed illegale. Si guarda alle spalle un paio di volte, Malia, una cautela ormai diventata abitudine che ha assunto quest'estate, quando il timore di essere ritrovata dal preside e dai suoi uomini nel bel mezzo di Londra cominciava a renderla paranoica. Adesso, si ritrova a pensare con amarezza, non ha più niente di cui preoccuparsi: lui l'ha trovata. È finita nella bocca del leone nel modo più stupido e infantile, da brava credulona quale è sempre stata. Le è bastato abbassare la guardia per un secondo, fidandosi dell'unica persona al mondo che avrebbe dovuto essere sempre dalla sua parte, e proprio quella persona l'ha tradita come nessuno prima. Si sente ingannata e umiliata - questo in particolar modo, considerata la scena a dir poco imbarazzante avvenuta a King's Cross, e che ha avuto come spettatori praticamente buona parte della scuola.
    Non ha voglia di vederli, adesso. Non vuole sentirli sussurrarsi cose a vicenda mentre la guardano con la coda dell'occhio e non vuole vedere certe risatine infantili, perché l'ultima cosa che vuole al momento è farsi trovare da qualche membro del personale del castello mentre picchia un suo compagno. Non è esattamente il modo migliore per cominciare quest'anno scolastico.
    Rabbrividisce. Il solo pensiero di essere ritornata qui le provoca la nausea, vorrebbe solo poter scappare, o nascondersi sotto le coperte del proprio letto e non uscirne più, far finta di niente. Invece è tutto intorno a lei, reale come non mai, lo sono le mura alte, le armature lungo le pareti dei corridoi e le scale di pietra che sta salendo con lentezza, gradino dopo gradino, come se fosse l'impresa più ardua di sempre.
    La Guferia non è un posto esattamente tranquillo; non come la Torre di Astronomia o la Stanza delle Necessità, per lo meno. In quei luoghi il silenzio è assicurato, mentre qui c'è sempre un continuo svolazzare qua e là di gufi annoiati, escrementi per terra che rendono l'ambiente un po' maleodorante, e durante l'anno è raro trovarla completamente deserta di persone. Eppure è il primo luogo che viene in mente alla Grifondoro, e vi si è diretta senza pensarci troppo, certa di poter avere un po' di tempo da trascorrere in solitudine.
    « Stone » E invece si sbagliava, e questo ha modo di constatarlo non appena si ritrova nel piccolo ambiente ed incrocia lo sguardo del Serpeverde. Sospira, incapace di nascondere completamente il suo disappunto nel trovarlo lì. Per carità, una parte di lei è contenta di rivederlo dopo questa lunga estate, ma d'altra parte le fa ancora più male, perché si accorge che è stato tutto inutile. Che quel giorno è scappata via per nulla, che avrebbe potuto andarsene tranquillamente al campo estivo obbligatorio istituito da Kingsley, con la massima serenità, e si sarebbe ritrovata comunque qui con tutti i suoi compagni oggi, senza un'estate di preoccupazione alle spalle ed una palese imminente punizione esemplare davanti. Sarebbe stato tutto mille volte più semplice.
    « Ciao Albus » dice, la voce un po' monotona, mentre si avvicina al davanzale al quale è appoggiato. Farebbe per abbracciarlo - in fin dei conti non si vedono da più di tre mesi - ma sa bene che lui non ama questo genere di cose, e lei al momento non è in vena di tirar fuori quell'affetto prepotente che spesso sfodera con lui in particolar modo. Appoggia gli avambracci al davanzale e scruta per qualche istante all'esterno, l'espressione indecifrabile. È quasi buio, e lì in Scozia, nonostante siano ancora all'inizio di Settembre, comincia ad avvertirsi una leggera ma fastidiosa brezza la sera.
    « Non ti andava di disdire la prenotazione per Ibiza, a Giugno? Ti capisco: le agenzie di viaggio sanno essere delle vere strozzine quando si parla di rimborsi all'ultimo momento. »
    Si volta in direzione del compagno, e resta interdetta per qualche momento, le sopracciglia aggrottate e l'espressione seria. Poi, come quelli che capiscono una battuta scema a rilento, allarga un sorriso tiepido sulle labbra, senza però distenderle completamente. Si stringe nelle spalle. « Sai com'è... non puoi mica mettere a paragone Ibiza con... come si chiama? Portland? Deve essere un posto un po' scialbino a confronto. » scuote leggermente la testa, spostando poi nuovamente lo sguardo sulle montagne scure all'orizzonte. La sua Ibiza, quest'estate, è stata decisamente meno divertente e movimentata, è vero, ma, e su questo ne è certa, deve essere stata nettamente meglio si di quella che avrebbe altrimenti trascorso insieme ai suoi compagni sotto l'occhio vigile di Kingsley.
    « Forse era meglio rimanerci, a Ibiza. Magari avrei trovato pure io il modo di arrivarci, prima o poi, e avremmo potuto vivere senza nemmeno una preoccupazione al mondo. » Di fronte alla scena che lui le dipinge si ritrova a sorridere, istintivamente. Se li immagina proprio, loro due, a divertirsi senza troppi pensieri per le spiagge dell'isola dai mille divertimenti. Vorrebbe avere la capacità di trasfigurarsi senza problemi, prendere con sé tutti i suoi amici e raggiungere un posto sicuro, che sia anche stupido e monotono, noioso e brutto, ma che sia tranquillo. Dove non debbano ritrovarsi col costante pensiero di qualcuno che possa far loro del male, o che possa separarli.
    « Te lo immagini, eh? Ubriachi giorno e notte a fare tutto quello che ci pare, quando ci pare. Senza nessuno che ci ostacola. » È una visione lontana, questa, praticamente impossibile e irrealizzabile ai loro occhi: non con il presente a cui sono stati assegnati. Di fronte a quello che li aspetta quest'anno, qualsiasi speranza sembra morire miseramente.
    Non appena il ragazzo riprende a parlare, assumendo un tono più serio, lei si volta per guardarlo. « Sarò onesto: non ci ho mai creduto nel 'mal comune mezzo gaudio'. Ma in fondo, sei tu la Grifondoro tra i due, e per tornare qui ci voleva coraggio. Io sono Serpeverde: sarei rimasto al capo opposto del mondo, perché era la cosa furba da fare. Allora ci prende davvero quel dannato cappello » E anche mentre parla non riesce a mantenere un'espressione serena e tranquilla, ma serra i denti e stringe i pugni forte, perché l'ultima cosa che vuole è che qualcuno - e Albus in particolar modo - possa pensare che lei sia di nuovo qui di sua spontanea volontà. Che abbia scelto di tornare tra le grinfie di Kingsley.
    Si morde il labbro inferiore mentre distoglie lo sguardo e lo punta altrove, attenta a nascondere gli occhi che si sono fatti più lucidi. « Pensi veramente che io sia qui perché avevo voglia di tornare? Perché mi mancavano così tanto le celle dei sotterranei? » dice, e a questo punto si ritrova a ridere da sola all'idea. Una risata amara e triste, piena di rimpianto e di frustrazione. Perché lo sa, lo sa benissimo che tutto questo avrebbe potuto tranquillamente evitarlo, se solo avesse fatto più attenzione agli indizi. Se solo non si fosse fidata così ciecamente di suo padre. Ma la conosceva bene, lui. Sapeva che se si fosse mostrato fino all'ultimo fermo nella sua convinzione di rispedirla al castello, lei avrebbe fatto di tutto pur di non finirci, e non si sarebbe fatta troppe remore finanche a scappare di casa, la sera prima della partenza. Lui invece ci aveva visto lungo al riguardo, e aveva
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    giocato d'anticipo. Verso la metà di Agosto aveva cominciato a mostrarsi tentennante, facendo finta di ascoltarla quando gli elencava le sue lunghe motivazioni per cui non sarebbe stato sicuro, a suo parere, tornare a Hogwarts sotto la presidenza di Kingsley; piano piano, si era fatto vedere più aperto all'idea di lasciare che la Grifondoro abbandonasse gli studi e alla fine aveva acconsentito a tutto, scatenando una gioia immensa nella figlia. E invece era stata tutta una farsa, perché la mattina, anziché a casa di sua nonna come le era stato promesso, si è ritrovata a King's Cross senza nemmeno accorgersene. Prende un lungo respiro. « Chiamami codarda, o quello che vuoi, ma io volevo rimanere a Londra, quest'anno. Non sarei mai tornata se fosse dipeso da me. Avevo tutto programmato, sai: mi ero pure trovata un lavoretto a Diagon Alley in modo da non essere un peso per mio padre. Ma lui non si è fidato di me. Ha fatto solo finta di approvare la mia decisione ma evidentemente non riusciva a farsela stare bene, e infatti questa mattina mi ha portato a King's Cross con l'inganno. » Non è stata per niente una bella scena, quella che ha avuto luogo questa mattina al binario nove e tre quarti. È quasi sollevata nel sapere che evidentemente Albus fosse già salito sul treno e non abbia dovuto assistere alle urla di una Malia scalpitante che veniva trascinata di peso sul treno dal padre. Una volta sul treno, non c'era più niente che potesse fare per sfuggire alla sua sorte. Scuote la testa, ancora incredula per quello che è avvenuto, e per come si sono svolte le cose. Vedi Malia, è sempre la fiducia che ti fotte. « Lo so, sono stata un'idiota. Avrei dovuto capire che "Andiamo a trovare la nonna" era una scusa scema e banale per tirarmi fuori di casa. Non credo glielo perdonerò mai. » Torna a guardare l'orizzonte, un sospiro esausto che abbandona le sue labbra, mentre incrocia le dita sul davanzale. Ha trascorso l'intero viaggio in treno a dire a se stessa che non dovrebbe incolpare suo padre, che lui non può capire la situazione in cui si trovano, che neanche un migliaio di parole sarebbero mai davvero riuscite a esplicare al meglio la nuova realtà della Hogwarts di Kingsley, così lontana dai giorni di pace dei primi anni, quando il castello era davvero come una seconda casa per tutti loro. Ci ha provato, con tutta se stessa a vedere le cose dal suo punto di vista, ma ne è venuta fuori solo più rabbia. Forse ci vuole tempo.
    Si stringe nelle spalle. « Ma è andata così. Me ne farò una ragione, a un certo punto. » Sa che non succederà. Sa che detesterà questo posto ogni giorno di più, proprio come è stato l'ultimo anno, ma deve provare a convincere almeno gli altri di questa cosa - forse un giorno riuscirà a convincere anche se stessa. « La tua estate, invece. Il campeggio di Kingsley com'era? Vi siete fatti le treccine intorno ai falò raccontandovi i vostri segreti più intimi? »
     
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    "Pensi veramente che io sia qui perché avevo voglia di tornare? Perché mi mancavano così tanto le celle dei sotterranei?" Si strinse nelle spalle, aggrottando appena la fronte con fare amaro. "Olympia l'ha fatto. Anche Rudy, per quanto ne so. Ormai davvero non mi stupirei più di nulla." Già, persino di una mossa stupida come quella di tornare al castello di propria spontanea volontà. Conosceva abbastanza bene i suoi famigliari per non ritenersi scioccato dalla loro decisione: sembrava quasi una legge cosmica, quella secondo la quale se di cognome fai Potter o Weasley devi necessariamente fare cazzate grosse quanto il pianeta su cui ti trovi. Nessuno, per il momento, sembrava esserne sfuggito: Al aveva dato il proprio un paio di anni fa, James di recente, Olympia in quel frangente. Ognuno aveva i propri tempi, ma nessuno fuggiva. "Chiamami codarda, o quello che vuoi, ma io volevo rimanere a Londra, quest'anno. Non sarei mai tornata se fosse dipeso da me. Avevo tutto programmato, sai: mi ero pure trovata un lavoretto a Diagon Alley in modo da non essere un peso per mio padre. Ma lui non si è fidato di me. Ha fatto solo finta di approvare la mia decisione ma evidentemente non riusciva a farsela stare bene, e infatti questa mattina mi ha portato a King's Cross con l'inganno. Lo so, sono stata un'idiota. Avrei dovuto capire che Andiamo a trovare la nonna era una scusa scema e banale per tirarmi fuori di casa. Non credo glielo perdonerò mai." Quelle parole gli arrivarono come una mattonata allo stomaco, portandolo a far guizzare lo sguardo dritto negli occhi di Malia, fermando a mezz'aria la mano che teneva stretta la sigaretta. Sul suo viso si andarono a dipingere mille espressioni diverse: la sorpresa, la tristezza, la compassione, la rabbia, la frustrazione. "E' sempre così.." soffiò, mentre le sue iridi cerulee fissavano pensierose il fumo bluastro che fuoriusciva dalla sigaretta "..è per il nostro bene, lo è ogni volta.." il disgusto tingeva la curva delle sue labbra in un'espressione ben precisa, lontana dal dimenticare i vecchi rancori "..ma allora perché fa solo un male cane, senza dare alcuna soluzione?" E anche se fosse..ne è davvero valsa la pena? Già, erano passati due anni e ancora faceva male, ancora la pelle di Albus si riscaldava al solo pensiero di tutte le cose che lui ed Harry si erano detti, e di come era finita. Al aveva molte colpe in quella storia, molti rimorsi di coscienza e segreti, ma aveva anche avuto sedici anni quando tutto quel casino era successo. Giovane e stupido, illuso di poter portare sulle proprie spalle un peso più grande di lui senza dover chiedere aiuto. Ci aveva provato, e ancora ci provava, ma quella sera in cui i pezzi di domino erano caduti, Albus era intenzionato a scoprire le proprie carte con la famiglia, a mostrare per quale ragione si comportasse da mesi in quella maniera tanto strana e schiva. Ma non aveva avuto tempo: la possibilità di spiegarsi non c'era stata quando un poliziotto gli aveva sbattuto il petto contro il cofano della macchina, ammanettandolo. In quel momento, quando la sua testa era stata premuta contro la carrozzeria dell'auto, gli occhi di Albus avevano incontrato quelli pieni di fredda delusione del padre, e la loro risposta era stata uno sguardo colmo di odio viscerale, quello che solo dal sentirsi traditi può provenire. E' per il tuo bene. Quelle erano state le parole che gli aveva rivolto, prima ancora di salutarlo, durante la sua prima visita al riformatorio. Scuse, tutte scuse del cazzo che Al non mancò di sottolineare come tali, facendo presente che con quelle parole ci si puliva il culo. "Per pensare al mio bene, papà, a quale fosse la cosa giusta, ti sei dimenticato che sono pur sempre tuo figlio. Ma la mia parola, ai tuoi occhi, non è mai valsa quanto quella di Olympia o James. Mi hai ritenuto indegno della tua fiducia..va bene, me ne farò una ragione. Ma non dirmi che lo hai fatto per il mio bene. Lo hai fatto per te, per dare un esempio, come al tuo solito: perché fare il prescelto ti viene bene, ma fare il padre, quello proprio non ti è mai riuscito." Harry Potter: l'uomo che aveva salvato la vita a milioni di persone, ma aveva fallito miseramente nel salvare quella del suo stesse figlio. Albus aveva sempre pensato che questo sarebbe stato davvero un ottimo titolo per la prima pagina di un giornale.
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    "Ma è andata così. Me ne farò una ragione, a un certo punto. La tua estate, invece. Il campeggio di Kingsley com'era? Vi siete fatti le treccine intorno ai falò raccontandovi i vostri segreti più intimi?" sorrise, sebbene l'aria amara che aveva ormai assunto sembrasse destinata a rimanergli ancora in volto, ancorata alle labbra tirate in una curva spenta. Come d'improvviso, Albus venne colpito dalla consapevolezza di quanto gente come lui e Malia stesse invecchiando precocemente in quella situazione, perdendo quella scintilla di follia giovanile che un tempo li aveva caratterizzati. Certo, la Grifondoro era sempre stata più allegra di lui, più briosa, più espansiva; ma anche il moro, un tempo, aveva avuto la sua onesta dose di sorrisi e scherzi amichevoli. Tutto ciò che sembrava rimanergli, ora, era l'umorismo sardonico di due anziani che oramai dalla vita non si aspettavano più molto. Cercavano di trovare la vena ironica, di prendere un po' in giro se stessi e l'intera situazione, ma alla fine quelle parole si impastavano all'interno delle loro bocche come se fossero arida cenere. "Il campeggio in sé non era malvagio: sicuramente è stato un ottimo diversivo." disse, sbottando in una mezza risata piatta mentre aspirava l'ultimo tiro di sigaretta prima di spegnerla sul davanzale e buttarla giù. Fatto ciò, si voltò meglio verso l'amica, incrociando le braccia al petto e appoggiando la schiena al muro con un sospiro. "Ma se una rosa la chiami arancia, sempre rosa rimane. E se in una prigione ci metti il campo da calcetto e la piscina, non cambia il fatto che prigioniero lo sei comunque." Fece una pausa, sollevando le sopracciglia con aria eloquente "Però sì, io e Fred abbiamo imparato a farci le treccine, quindi in un certo senso è stato istruttivo." Questa volta, la risata che fuoriuscì dalle sue labbra fu più divertita, ma venne presto interrotta dall'avanzata di qualche passo in direzione della sua compagna. Senza pensarci troppo, scoccandole un piccolo sorriso di rassegnata complicità, allargò le braccia, stringendole entrambe attorno alle spalle dell'amica e appoggiando il mento sulla sua nuca. No, Albus non era mai stato tipo da abbracci, e questo Malia lo sapeva bene; di solito era lei quella a prenderlo a tradimento, attirandosi qualche commento tanto esasperato quanto divertito del ragazzo, il quale sembrava decisamente poco incline alle dimostrazioni d'affetto. Però ora era diverso, era necessario. Malia aveva bisogno di qualcuno che le fosse vicino, e ciò comportava anche il fare un passo al di fuori della propria confort zone pur di dimostrarle che sì, a lui, di lei, importava. Avrebbe voluto avere parole di conforto, o anche solo quelle poche giuste che avrebbero dato un tocco in più, ma invece non disse nulla. Non disse nulla semplicemente perché non sapeva cosa dire, e forse per uno come lui - che aveva sempre la frase adatta a tutto - poteva sembrare quasi strano. Ma quella, in fin dei conti, non era una situazione da sempre, e nemmeno da solitamente. Cosa avrebbe mai potuto dire? Che lui c'era? Che la sua casa non era un ammasso di mattoni ma piuttosto le persone che la abitavano? Tutte cose scontate, tutte cose che lei sapeva già, e che Albus si sarebbe sentito stupido ed eccessivamente sdolcinato a ripetere. Si dice che il silenzio valga più di mille parole, a volte, e quella probabilmente era una di esse.
    Si scostò dopo qualche istante, spostando le mani a poggiarsi sulle sue spalle, guardandola comunque in viso nel sorriderle. "Basta che non lo dici troppo in giro, altrimenti smettono di scrivere 'Potter autistico' nei bagni, e non saprei più che scusa trovarmi per non andare a lezione." Una breve pausa, carica di ironia latente "Poi come farebbe Kingsley? Potter e la Stone tutti i giorni nella stessa classe?! Non resisterebbe nessuno contro questa accoppiata nucleare." Sospirò con aria drammatica, appena prima di tornare serio, stringendo con un po' più di intensità la presa sulle spalle della mora. "Non sei una codarda, Malia. Sei la persona meno codarda che io conosca. Qui non c'era niente ad aspettarti se non altra merda da ingoiare; per chi era rimasto non avresti potuto fare niente, e anzi, ti saresti solo messa in pericolo. La decisione di non tornare non era vigliacca: era intelligente, e giusta..sia per te che per chi ti vuole bene e vuole saperti al sicuro." con un mezzo sorriso puntò l'indice verso se stesso. Sospirò, poi, stringendosi nelle spalle "Non è andata per il verso giusto, come succede la maggior parte delle volte. Ma io conosco Malia Stone..e la Malia Stone che conosco io, quella nemmeno un esercito può buttarla giù."
     
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    « E' sempre così... è per il nostro bene, lo è ogni volta... ma allora perché fa solo un male cane, senza dare alcuna soluzione? » Gli occhi persi da qualche parte tra le montagne di fronte a loro, Malia non ha davvero bisogno di spostarli sul volto di Albus per capire la reazione dell'amico al suo racconto. Riesce con facilità a percepire l'amarezza nella sua voce, quel senso di ingiustizia profonda che senza dubbio è dettato dalle sue esperienze passate. È la frustrazione di chi conosce bene la sensazione di perdere qualcosa, di chi ha già vissuto l'esperienza di sentirsi tradito da un genitore. D'improvviso Malia si ritrova a pensare che forse nessuno a scuola, meglio di lui, potrebbe davvero capire come lei si stia sentendo in questo momento.
    « Non lo so » gli risponde stringendosi nelle spalle, sebbene consapevole del fatto che la sua fosse una domanda puramente retorica. Perché fa così tanto male?, se lo chiede anche lei, accidenti, ma non sa darsi davvero risposta. Ci sarebbero stati così tanti modi di trovare accordi, dialogare, conoscere i punti di vista reciproci... e suo padre ha dovuto per forza scegliere la via della prepotenza, su tutto. Se davvero cercava di farle del bene, perché l'ha trascinata su quel treno? Perché ha continuato, per un'estate intera, a sentire i suoi discorsi su Kingsley e sulla scuola senza mai davvero ascoltarla? « Il fatto è che... accidenti, per quanto abbia provato a spiegargli la situazione, quest'estate, non ha mai davvero capito quanto tornare fosse pericoloso. E stupido. Ha solo pensato all'attacco a King's Cross e a quanto potesse essere peggio per me rimanere a Londra, in mezzo a quel marasma. L'ha fatto per il mio bene, sì, ma ha fatto una cazzata colossale » e adesso sono io a doverne pagare le conseguenze. Le sue iridi scure indugiano sulla figura del ragazzo, mentre lei sospira. Comincia a capire come dev'essere stato difficile per lui quell'anno lontano da Hogwarts, costretto in un luogo in cui non voleva stare per decisione di qualcun altro. Probabilmente ai tempi si era sentito in gabbia come si sente lei adesso, impotente, strappato da qualsiasi possibilità di scelta su se stesso. E solo.
    Sente una morsa allo stomaco, al solo pensiero di dover trascorrere un altro anno tra quelle mura. Un altro anno vittima delle angherie di Kingsley, privata della propria libertà e anche della stessa facoltà di esprimere le proprie opinioni. E questa volta neanche il fatto di avere vicino Albus, Olympia, Freddie, Hugo e tutti gli altri è capace di risollevarle il morale. Adesso è consapevole di aver raggiunto il limite di sopportazione. Sarà stata l'estate lontana da tutto quanto, il senso impellente di libertà, il fatto che alcuni dei suoi migliori amici si siano diplomati, oppure la breve scintilla di speranza che l'aveva accesa, facendola convincere che sarebbe riuscita a stare lontana da Hogwarts per quest'anno - qualunque sia il motivo scatenante, Malia ne ha abbastanza.
    « Il campeggio in sé non era malvagio: sicuramente è stato un ottimo diversivo. Ma se una rosa la chiami arancia, sempre rosa rimane. E se in una prigione ci metti il campo da calcetto e la piscina, non cambia il fatto che prigioniero lo sei comunque. »
    Solleva lo sguardo, mentre si appoggia leggermente con una spalla al davanzale della finestra, e incontra quello di Albus, un sorriso amaro che si dipinge sulle sue labbra. Non c'è bisogno che aggiunga altro, perché basta uno sguardo rapido per capirsi. Avevano già immaginato come sarebbe stata quell'estate dal momento in cui Kingsley aveva annunciato l'obbligo per tutti di rimanere in un campo estivo, era difficile fraintenderlo: quegli alloggi, per quanto piacevoli e pieni di comfort, capaci di offrire tutti i divertimenti immaginabili, sarebbero stati delle prigioni a tutti gli effetti. Lo sapevano, ma non potevano farci niente. E alla fine Malia aveva avuto l'opportunità di fuggire; ha passato un'estate intera a domandarsi come se la stavano passando i suoi amici, al campeggio - e adesso Albus le fornisce con certezza la risposta che già da sola si era data. Carino, ma pur sempre una prigione.
    « Però sì, io e Fred abbiamo imparato a farci le treccine, quindi in un certo senso è stato istruttivo » Allarga un mezzo sorriso a quelle parole, e quasi riesce davvero a immaginarseli insieme, Albus e Fred, tutti intenti a sistemarsi i capelli a vicenda. Il sorriso le si smorza un poco, nel momento in cui i suoi pensieri si focalizzano sul Grifondoro. Ha letto di quello che è successo al campeggio, e ancora stenta a crederci.
    « Fred... non l'ho ancora visto. Come sta? Intendo... per la tutta la storia di Abigail, ecco. » Ed è qui che probabilmente Albus le dovrebbe rifilare una delle sue classiche occhiate un po' critiche, come a voler dire "Ma sei seria? Come pensi che possa stare qualcuno la cui ragazza si è suicidata da nemmeno qualche mese?". Sospira. È una di quelle situazioni in cui non sa esattamente da dove cominciare, perché da qualsiasi parte si volti, sembra che tutto stia andando a rotoli. Si ritrova, quasi istintivamente, a chiedersi se esista ancora qualche parte delle loro vite che possa essere considerata andare per il verso giusto. Non in modo impeccabile, non meravigliosamente, solo bene.
    Solleva un angolo delle labbra in un mezzo sorriso, che questa volta però riesce a raggiungere le sue iridi scure, illuminandole, nel momento in cui vede il Serpeverde fare qualche passo nella sua direzione e allargare le braccia, pronto ad accoglierla in un abbraccio. Lei non se lo fa ripetere un istante di più, e con un ultimo passo azzera le distanze tra loro due, per poi cingergli la vita con le braccia e appoggiare la guancia alla sua spalla. È raro poter condividere momenti di questo tipo, specie con lui, ma Malia sente che ne aveva bisogno. Gli è mancato incredibilmente, quest'estate, così come gli sono mancati tutti gli altri. Ecco, dice a se stessa, mentre si stringe di più ad Albus, forse l'unica cosa che non sta andando pezzi, all'interno di quelle quattro mura, sono i loro legami che li tengono uniti, tutti loro; quelli Kingsley non li può distruggere, non come ha fatto con tutto il resto che li circonda.
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    « Però, mi sono pure beccata un abbraccio da Albie in persona. Deve essere il mio giorno fortunato » commenta con fare sarcastico, allontanandosi un po' per guardare l'amico negli occhi.
    « Basta che non lo dici troppo in giro, altrimenti smettono di scrivere 'Potter autistico' nei bagni, e non saprei più che scusa trovarmi per non andare a lezione. Poi come farebbe Kingsley? Potter e la Stone tutti i giorni nella stessa classe?! Non resisterebbe nessuno contro questa accoppiata nucleare. »
    Sembra incredibile, eppure riesce a farla ridere. Scuote piano la testa, con fare quasi paziente. « Mi sei mancato quest'estate, Albie. E l'accoppiata nucleare quest'anno dovrà fare in modo di fare il botto, io te lo dico eh. Se non vieni a lezione vengo a prenderti a letto e ti porto di peso fino in aula. » E dovrebbe saperlo bene a questo punto, Albus, che in questi casi Malia non parla soltanto per parlare, ma che la sua è una minaccia reale. Per quanto possa capire la sua svogliatezza (spesso e volentieri vi si ritrova) è stanca di vedere il suo amico dover ripetere gli anni, quando possiede tutte le capacità per superare i M.A.G.O. nel modo più brillante possibile. E quest'anno, se proprio deve starsene bloccata a Hogwarts, farà in modo di accertarsi che per lo meno Albus concluda qualcosa.
    « Non sei una codarda, Malia. Sei la persona meno codarda che io conosca. Qui non c'era niente ad aspettarti se non altra merda da ingoiare; per chi era rimasto non avresti potuto fare niente, e anzi, ti saresti solo messa in pericolo. La decisione di non tornare non era vigliacca: era intelligente, e giusta..sia per te che per chi ti vuole bene e vuole saperti al sicuro. Non è andata per il verso giusto, come succede la maggior parte delle volte. Ma io conosco Malia Stone..e la Malia Stone che conosco io, quella nemmeno un esercito può buttarla giù. »
    Lo ascolta parlare, un groppo fermo in gola che minaccia di scoppiare in un pianto incontrollato. Le labbra le tremano leggermente, anche mentre si distendono in un sorriso grato, sincero. È fragile, la Grifondoro, probabilmente più di quanto lo sia mai stata prima, e al momento qualsiasi parola - anche quelle così belle e incoraggianti di Albus - sembra essere capace di destabilizzarla e farle perdere completamente il controllo che ha di sé stessa. Inspira, profondamente, sforzandosi di mantenere quanto meno una certa dignità.
    « Grazie » dice, sollevando lo sguardo verso Albus. « Se quest'anno lo affrontiamo insieme... So che andrà bene comunque, nonostante Kingsley e tutto questo schifo a cui ci hanno costretti, nonostante tutto. Dobbiamo farci forza a vicenda, tutti quanti, se... » se non vogliamo affondare. « se non vogliamo farci mettere i piedi in testa. » E forse agli altri non importerà di sottomettersi al volere di Kingsley: a molti dei loro compagni, in fin dei conti, basta trovare della roba buona da mangiare a pranzo e poter ancora giocare a Quidditch, ogni tanto. Si accontentano di quelle piccole gioie che il nuovo dittatore di Hogwarts offre, ma loro, Malia, Albus, e tutti gli altri, non sono così. Sposta lo sguardo fuori dalla finestra, con un sospiro, mentre appoggia le mani al davanzale. « Credo che prenderò a schiaffi tua sorella, non appena la vedrò. E anche Rudy. »
     
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    "Credo che prenderò a schiaffi tua sorella, non appena la vedrò. E anche Rudy." una risata scappò naturale dalle labbra di Albus, che si trovò a indietreggiare di qualche passo, sventolandole davanti il dito indice come a farle segno di no. "Per quello mettiti in fila: ci sono prima io." Qualunque fosse la vera motivazione di Olympia - e Albus non ne aveva ancora ricevuta una - di certo non le avrebbe mai perdonato quella mossa avventata: era suo fratello, le voleva bene, e ciò che più desiderava era saperla al sicuro, lontana da lì. Tutti sapevano che quell'anno non sarebbe stato affatto facile: la quiete che si era appena instaurata preannunciava una grossa tempesta, e il Serpeverde provava una naturale diffidenza per quei momenti in cui la situazione pareva irrealmente piatta. Il campeggio, votazioni democratiche per i Caposcuola, le divise sparite..qualcosa non andava, e nonostante tutti cercassero di convincerlo del contrario, Albus non poteva scansare la sensazione che quelle concessioni non sarebbero venute gratuitamente. Chiamatelo pessimista, chiamatelo paranoico, ma alle brutte notizie è sempre meglio prepararsi con anticipo: se poi si scopre che hai torto, ben venga e tutto di guadagnato. Rimanerci male, d'altro canto, è tutto un altro paio di maniche.
    Prese una profonda boccata d'aria, dando le spalle al balcone come era solito fare ogni qualvolta si trovasse in prossimità di un'altezza per i suoi gusti eccessiva. Ancora non l'aveva superata quella fobia, ma ci stava lavorando, pian piano, mattone dopo mattone, sempre un passino più in alto per allargare la propria zona di confort. Magari un giorno riuscirò pure a salire su una scopa senza andare nel panico, chi lo sa? Magari sono un talento del Quidditch e non l'ho mai potuto scoprire: forse questo è l'anno buono. Produsse quei pensieri senza particolari speranze: ormai al Quidditch ci aveva rinunciato da tempo. I primi anni era stato difficile: erano tutti entusiasti di imparare a volare - lui compreso - e di sfrecciare a destra e sinistra per tutto il campo, lanciandosi pluffe e bolidi o tenendo gli occhi aperti per il boccino. A lui tutto ciò era stato precluso, e anzi, le prime lezioni erano state piuttosto drammatiche, concludendosi sempre con lui che veniva portato in infermeria sotto le risate e le prese in giro dei compagni. Aveva undici anni: era normale che ci soffrisse. Tutti i suoi coetanei facevano una cosa che lui non poteva fare, non senza mettere a repentaglio la propria salute; fu proprio da quel momento che i suoi capelli iniziarono a scurirsi irreversibilmente. E così, alla fine, aveva dovuto farci l'abitudine un po' per forza, cominciando a chiudersi nei libri e nella musica. Il suo sguardo, un tempo puntato verso l'alto, si era abbassato verso le proprie mani: le guardava scrivere e suonare, sfogliare tomi, comporre. Dopo un po' di tempo aveva smesso di alzare gli occhi verso quei ragazzi veloci come il vento: aveva imparato a non vederli, a non sentirli. Aveva però anche imparato che ognuno vola a modo proprio, e a lui, per farlo, non serviva staccare i piedi da terra.
    "Quest'anno ti andrebbe da aiutarmi a salire su una scopa?" chiese così, più sovrappensiero che altro, mentre lo sguardo si perdeva sui gufi che tubavano nelle proprie gabbiette, facendo approdare i propri pensieri alla loro natura. "Ogni tanto, quando ci penso, mi vengono in mente i volatili: le madri gli portano il cibo nel nido per un periodo e poi, quando arriva il momento, se non volano da soli, li spingono fuori e lasciano che la natura faccio il suo corso. Se sbattono le ali, bene, hanno imparato. Altrimenti vuol dire che non erano fatti per sopravvivere." Si strinse nelle spalle, tranquillo: era la vita, così andava, non c'era da arrovellarcisi troppo il cervello. Si ritrovò tuttavia a scoccarle uno sguardo eloquente "Non ti sto chiedendo di buttarmi giù dalla torre, sia chiaro. Anche se sicuramente faresti felici molte persone." disse veloce, ridacchiando a quell'asserzione. "Però non so, magari una sorta di battesimo del fuoco potrebbe essere ciò di cui ho bisogno..e tu a volare sei brava, quindi.." Si strinse nuovamente nelle spalle, questa volta con un sorriso. "Comunque sia: prendilo come il mio buon proposito per il nuovo anno. Tu ne hai uno?"
     
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    « Per quello mettiti in fila: ci sono prima io. » Sorride, un po' amaramente. Quelle battute sardoniche sono probabilmente l'unica cosa che è rimasta a quelli come loro due. In mezzo a tanta tristezza e rassegnazione, pare che non ci sia altro da fare se non riderci su, stringersi nelle spalle e accettare che il proprio destino venga dettato da bocche nemiche, che desiderano tutto tranne che il loro bene. Ma accettare che i loro amici si gettino di propria spontanea volontà nella bocca del leone, di nuovo, sebbene avessero l'opportunità di sfuggirvi, quello non possono riuscirci, neanche volendo. È testarda, Malia, in molti casi decisamente troppo, ma non riesce a passar sopra a queste cose come se fosse niente; non quando si tratta delle persone a cui più tiene al mondo. E in fin dei conti, almeno fino a poco fa, era convinta che nemmeno a Olympia avrebbe fatto piacere vederla di nuovo lì, e saperla in pericolo sotto il giogo di Kingsley. Adesso non ne è più del tutto sicura, non se l'amica per prima ha optato per questa strada per se stessa. E la manda troppo in confusione questa cosa, perché la Stone è una dai pensieri molto lineari, le cose sono bianche oppure nere, e non esistono in alcun modo vie di mezzo. La rossa, invece, proprio come il fratello maggiore d'altronde, è sempre stata più arzigogolata nei ragionamenti, propensa a considerare più variabili e situazioni, a sottolineare anche quelle piccole crepe che la mora fa fatica ad individuare.
    « Quest'anno ti andrebbe da aiutarmi a salire su una scopa? » A quelle parole solleva lo sguardo, d'istinto, per catturare quello del compagno. Le labbra si incurvano all'insù, quasi istantaneamente, mentre gli occhi color nocciola sembrano illuminarsi. Albus la conosce bene: da quando era piccola, dai primi giorni di scuola e dalle prime volte in cui si è librata in aria con la sua piccola Nimbus, ai tempi una spanna più alta di lei. Ha visto quella sua passione nascere e diventare qualcosa di fondamentale nella sua vita, l'ha vista diventare brava, esultare di gioia la prima volta che è entrata a far parte della squadra di Grifondoro, lamentarsi di dolore in un lettino dell'infermeria per una frattura procurata durante una partita particolarmente violenta, urlare felice quell'anno in cui è riuscita a conquistare il Campionato della scuola insieme ai compagni di casata. E lo sa bene, Albus, che dove c'è Malia c'è una scopa pronta a volare, una diatriba riguardante il Quidditch sulle labbra, un'esaltazione alla bravura - e alla bellezza - dei giocatori dei Falmouth Falcons. E sa che basta parlare di volo per risollevarle il morale.
    « Oddio SÌ! » quasi esclama, in preda alla gioia, afferrando un braccio del Serpeverde e cominciando a saltellare, decisamente entusiasta di fronte all'idea. Una delle cose che più l'ha sempre rincresciuta è non aver mai avuto la possibilità di condividere un allenamento, o anche solo un giro in scopa, insieme ad Albus. La paura dell'altezza l'ha sempre tenuto lontano dal campo, e per quanto, in questi anni, sia Malia che Fred abbiano cercato di convincerlo anche solo a provare, la risposta da parte del giovane Potter è sempre stata un secco e categorico no senza riserve. Si sono entrambi rassegnati alla fine, mettendo da parte i loro sogni di gloria e facendo uno sforzo di empatia per comprendere le fobie dell'amico. Ma ora che è proprio lui a fare questa richiesta, lei non può che essere emozionata anche solo all'idea.
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    « Sìsìsìsì ASSOLUTAMENTE SÌ. Vedrai sarà fantastico. Ci divertiremo un sacco. » E per quanto possa essere triste e abbattuta per il ritorno, resta sempre Malia, sempre un po' lunatica, sempre quella piccola combinaguai che a tredici anni scappava dal proprio dormitorio per fare un giro sulla scopa nella notte con Fred, che ride sempre alle battute più stupide, che gioisce per le piccole cose e che, nonostante tutto, ama i propri amici in un modo quasi viscerale.
    « Ogni tanto, quando ci penso, mi vengono in mente i volatili: le madri gli portano il cibo nel nido per un periodo e poi, quando arriva il momento, se non volano da soli, li spingono fuori e lasciano che la natura faccio il suo corso. Se sbattono le ali, bene, hanno imparato. Altrimenti vuol dire che non erano fatti per sopravvivere. Non ti sto chiedendo di buttarmi giù dalla torre, sia chiaro. Anche se sicuramente faresti felici molte persone. » E poi c'è Albus, che è sempre stato il suo opposto in tutto e per tutto. Riflessivo dove lei è impulsiva, attento dove lei è distratta, minuzioso dove lei è superficiale. Pieno di metafore e di storie da raccontare incastrate tra le labbra, e di silenzi rigidi pieni di parole inespresse. Ha cercato di decifrarlo, Malia, ogni giorno un po' di più, ma si è sempre trovata in difficoltà; si è rassegnata, alla fine, limitandosi ad accettare ciò che lui vuole far sapere di sé, serenamente e senza troppe pressioni, e ha semplicemente compreso che al mondo ci sono persone, proprio come Albus, che non vogliono essere capite. Che preferiscono farsi conoscere ma mai davvero in fondo, lasciando sempre alle loro spalle quell'aura di mistero e di segretezza che fa interrogare tutti.
    Solleva un angolo delle labbra alle parole di Albus, e annuisce divertita, inarcando entrambe le sopracciglia. « Un peccato, però. L'idea di buttarti giù dalla torre mi piaceva assai » scherza, prima di ridere leggermente. « Lo sai che mi piacerebbe un sacco, Albie. E sappi anche che ormai l'hai detto, e qui dentro io ho un registratore. » E così dicendo picchietta leggermente con l'indice sulle proprie tempie, l'espressione fintamente minacciosa « Non puoi più tirarti indietro, ora. Prima di tornare in camera passerò a prenotare il Campo di Quidditch solo per noi due, sappilo. » E sì, forse sembrerà strano, ma le è davvero bastato questo scambio di battute per tornare a sorridere. Certo, non è felice come una pasqua, ma non è nemmeno sull'orlo delle lacrime come poco fa, e tutto questo grazie all'amico.
    « Comunque sia: prendilo come il mio buon proposito per il nuovo anno. Tu ne hai uno? »
    Aggrotta le sopracciglia, con fare pensieroso, per poi prendere un lungo e profondo sospiro: dentro e fuori, con estrema lentezza, e quel cambio d'aria significa tante cose. Significa lasciarsi alle spalle quello che è successo, le disgrazie improvvise che l'hanno riportata di nuovo al castello, l'inganno, l'amarezza e la delusione; significa tentare un nuovo inizio nonostante tutto, combattere fino in fondo e non darsi per vinta nemmeno nelle situazioni più buie come questa. Significa rimboccarsi le maniche e sopravvivere. « Non lo so » dice, sollevando lo sguardo per seguire i movimenti di un gufo che svolazza sopra di loro, incessantemente. « Probabilmente impegnarmi un po' di più a Pozioni. Magari questo è l'anno buono che non rischio la bocciatura. » Ride, già consapevole dell'impossibilità di quest'ultimo proposito. Ma sognare non costa nulla, in fin dei conti.
     
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    Qualcuno ha detto che gli amici sono la famiglia che ti scegli, e se da una parte Albus era stato fortunato a nascere all'interno di un nucleo familiare pieno di persone che amava visceralmente, dall'altra lo era stato ancora di più nel trovare ad Hogwarts qualcuno verso cui nutrire lo stesso tipo di affetto. L'amicizia tra lui e Malia non era nata immediatamente, e anzi, ricordava un periodo in cui tra lei e sua sorella non c'era stato un grande amore - per motivi che Albus non aveva mai davvero capito e a cui non si era nemmeno interessato più di tanto - ; poi però le due erano diventate migliori amiche, e pian piano la Stone aveva cominciato a far parte della famiglia come regolare invitata durante le vacanze di Natale o quelle estive. Insomma, volenti o nolenti avevano finito per legare. Ricordava ancora il momento in cui quell'amicizia era stata ufficialmente suggellata. Era estate, la prima o la seconda volta che Olympia aveva invitato l'amica a trascorrere qualche giorno a casa loro; come sempre, Albus era uscito dalla finestra a notte fonda, appostandosi con le spalle al muro sul balconcino esterno per fumare una sigaretta senza essere visto (già, perché ai tempi Harry e Ginny non avevano la più pallida idea del vizio del figlio). Era la notte di San Lorenzo, e molti di loro si erano trattenuti fino a tardi a guardare le stelle cadenti. Quando lui era uscito, probabilmente saranno state le tre e mezzo o le quattro, un orario in cui era certo che tutti sarebbero stati nei propri letti a ronfare tranquillamente. Eppure lì fuori aveva trovato Malia, ancora intenta a fissare il cielo con il naso puntato all'insù. Con la sigaretta ormai accesa, non aveva alcuna speranza di camuffare la propria scappatella, e così le aveva sorriso, le aveva offerto una sigaretta e avevano parlato fino a veder spuntare l'alba dietro l'orizzonte, accompagnati dal crescente cinguettio dei primi uccelli del mattino. Da quel momento il loro rapporto non aveva fatto altro che crescere: avevano escogitato un segnale segreto per chiedere all'altro di uscire a fumare quando non potevano esplicitamente dirlo, scambiavano chiacchiere e risate sui propri compagni, si lanciavano in imitazioni dei professori e così via. Lei era stata quella a cui Albus aveva fatto una testa grossa come una casa quando aveva iniziato a vedersi con Betty, chiedendole consigli, pareri o anche di indagare per conto suo in maniera discreta. Era stata una tortura, per lui, non parlarle di Jay e di quanto la situazione stesse diventando di giorno in giorno più difficile e affannosa, simile a un'apnea prolungata; più e più volte era stato sul punto di vuotare il sacco sotto i colpi dello stress, ma alla fine aveva sempre tenuto la bocca cucita per paura che lei lo giudicasse, o che gli dicesse quello che già sapeva ma non voleva accettare: dillo alla tua famiglia, chiedi aiuto. Alla fine, occultarlo, era diventata per il Serpeverde una seconda natura, tanto da riuscirgli automatico. Eppure non poteva fare a meno di percepire ancora quel pungente senso di colpa nel guardarla in viso e mentirle spudoratamente riguardo una parte così grande e prominente della sua vita.
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    Per lei il Quidditch era sempre stato importante, tanto quanto lo era per Fred e Hugo. Quei tre erano i suoi migliori amici, la sua famiglia, ed era sempre stato un immenso fallimento interiore, per lui, il non poter assistere alle loro partite. Semplicemente non ce la faceva a salire su quegli spalti così elevati: era troppo. E allora si accontentava spesso di guardare il tutto dal castello, dentro a quelle mura in cui si sentiva sicuro e protetto, dietro a un vetro che lo divideva dal vuoto. Con il tempo e l'abitudine aveva imparato a riconoscerli tra tutte quelle schegge che sfrecciavano sul campo, abituandosi alla visuale sgranate che la distanza gli offriva. Tifava per loro, sempre e comunque, anche quando giocavano contro la sua stessa casata. E paradossalmente, in quei momenti si sentiva vicino a loro pur standogli lontano. Ma nonostante ciò, con la tempia poggiata allo stipite della finestra e lo sguardo perso in direzione del campo, Albus non poteva fare a meno di sospirare tra sé e sé nel rendersi conto che quella scena altro non era se non la metafora della sua intera vita, e in parte del suo rapporto con quelle persone da lui tanto amate; sarebbe sempre stato quello che guardava da fuori, la prospettiva esterna che non riesce mai del tutto a immergersi nel piano della collettività, a vivere le cose fino alla loro essenza più profonda, sempre frenato da qualcosa nella sua testa. Da una paura. Paura di cosa, poi, in fondo? Di cadere, in ogni sua sfaccettatura, dalla più pratica alla più metaforica. Si sa, d'altronde: più sali in alto, più ti fai male quando cadi. E loro, in fin dei conti, erano quelli che vivevano nella splendida altura di una torre, mentre lui nei sotterranei.
    "Non lo so. Probabilmente impegnarmi un po' di più a Pozioni. Magari questo è l'anno buono che non rischio la bocciatura." Rise, stringendo il viso in una smorfia. Pozioni: una nota dolente anche per il giovane Potter. Quell'anno, tuttavia, poteva concedersi ben pochi rimandi: doveva uscire dal castello il prima possibile, e un'altra bocciatura non poteva essere contemplata nell'equazione. "Sì, questo sta anche nella mia lista. Al secondo posto, ma ci sta." disse con un sorriso, stringendosi nelle spalle prima di farsi sfuggire una breve risata dalle labbra e spostare lo sguardo verso la finestra che dava sull'esterno. Il sole aveva già cominciato a farsi basso, e a breve sarebbero stati chiamati a raccolta per la cena. Tirò un sospiro, riportando lo sguardo sulla Grifondoro e circondandole le spalle con un braccio. "Penso sia ora di tornare dentro. Ma ehi, ti prendo in parola: appena cominciamo a capirci qualcosa sulle lezioni di quest'anno, pretendo un allenamento privato e super intensivo al campo." Le scoccò un veloce occhiolino divertito, stampandole un leggero bacio sulla nuca prima di avviarsi assieme a lei lungo le scale a chiocciola, dimenticandosi per un po' di quanto quello fosse l'ultimo luogo in cui entrambi avrebbero voluto trovarsi.
     
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