When you want to escape say the word

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    « Dovresti mangiare » La voce di Roxanne giunge ovattata. Alza il capo, Freds, scorgendola seduta proprio di fronte a lui. Hogwarts Express, orario non frega un cazzo a nessuno, fine estate. Il viaggio per il castello l'aveva sempre ricordato in maniera diversa. Gli era sempre piaciuto, ad essere sinceri, perchè insomma, rubare la roba dal carrello dei dolci e divorarla di fronte ad un Hugo Weasley completamente verde in faccia per il malditreno (è così che si dice?) era una cosa che non aveva prezzo. Fred Weasley era una di quelle rare persone che riuscivano a rendere ogni cosa, persino la più anonima, speciale. A trovare del divertimento ovunque, a ridere, scherzare, gioire e godersi la vita in ogni sua sfaccettatura, anche la più insignificante. Ma non questa volta. No, questa volta era diverso. Perchè Freds, nell'aprire la camera di Abigail e trovarla riversa sul pavimento, lo sguardo vitreo e le labbra violacee, non aveva trovato nessun divertimento. « Non ho voglia. » Mormora, rigirandosi per guardare fuori dal finestrino. Si era avvicinato lentamente, convinto che stesse scherzando. Lui infondo, coglione per com'era, di scherzi del genere gliene faceva sempre. Ricordava ancora quella volta in cui, ad Halloween, le era spuntato dietro con un coltello conficcato in pieno torace. Lei aveva urlato e lui aveva riso come un deficiente. Quindi in un primo momento aveva riso, quella mattina, calandosi su di lei per strattonarla fino a quando non l'avrebbe fatta smettere in quello scherzo che, man mano che i minuti di silenzio scorrevano, diventava sempre più di cattivo gusto. Ma Abigail non si sarebbe girata. « Wow, allora la cosa è veramente grave.. » Roxanne ridacchia appena, lanciandogli un'occhiata di sottecchi. La sua ironia spicciola, a tratti pungente, gli è sempre piaciuta. Eppure alza il capo di scatto, questa volta, fulminandola con lo sguardo. « Tu che dici? » Ringhia quasi, gli occhi ambrati illuminati da un bagliore sinistro, improvviso. Rabbia. Nonostante non sembri, date le innumerevoli risse in cui s'è sempre cacciato nella sua vita, Fred Weasley non si arrabbia mai troppo facilmente. E' impulsivo, agisce senza pensare, ma sono rare le volte in cui perde seriamente le staffe, specialmente se di fronte a chi ha di più caro. Eppure eccolo quì, la mascella serrata ed i pugni stretti, a rivolgere quello sguardo di fuoco proprio a chi non avrebbe mai neanche immaginato di farlo. Roxanne si ammutolisce, calando lo sguardo, ed è lì che il rosso sospira. Non è questo ciò che è. Non è questo ciò che vuole diventare. Fred è sempre stato bravo a fingere. A nascondere qualsiasi tipo di emozione non volesse vedere trapelare. Per il suo bene e per quello di chi gli stava attorno, aveva sempre reagito con il sorriso di fronte a qualsiasi vicissitudine. Persino quando i dottori gli avevano riferito che forse non sarebbe potuto più tornare a camminare, diversi mesi fa, Fred aveva risposto con un sorriso, stringendosi nelle spalle e chiedendo a George ed Angelina di comprargli una sedia a rotelle rossa, con delle fiamme disegnate ai lati. « Scusa, sono un idiota. E non dire "l'hai capito" rovinando il momento! » Si sforza di sorridere, alzandosi per sgusciare accanto alla sorella e stringerla a sè con un braccio. Eccolo quì, Freddie, il Freddie che tutti conoscono. Il Freddie che si rialza come nulla fosse persino dopo una cosa del genere. « Non lo dirò. -Dirò: almeno lo sai. » Ribatte Roxanne, ricavandosi un buffetto sulla spalla destra. Scuote la testa, proferendo una teatrale espressione offesa, prima di alzarsi di nuovo per dirigersi alla porta a vetri del vagone. « Allora, cioccorane? O sei a dieta? Mi incazzo se lo sei e lo dico a nonna Molly, e non ti conviene che lo sappia. » Le lancia un'occhiata minacciosa a modo suo, prima di rigirarsi ed oltrepassare le porte. Si guarda attorno, in cerca dell'anziana signora (Cristo, quella donna è così vecchia che c'avrà sicuramente una copia della Bibbia autografata in libreria) col carrello dei dolci. Ed è in quel momento che la vede. Sembra quasi un fantasma, tanto è veloce mentre cammina per dirigersi al proprio vagone. E no, non stiamo parlando della vecchietta dei dolci. Amunet Carrow, coi suoi capelli corvini a ricaderle sulle spalle, la pelle diafana a spiccare attraverso la stoffa scura dei vestiti, e gli occhi..Quegli occhi. Diamine, quegli occhi non li ha ancora dimenticati. Così belli, così letali, tanto da riuscire a scavarti sin sotto la pelle. Si è rispecchiato innumerevoli volte attraverso quell'oceano di ghiaccio. Quegli occhi lo hanno guardato quando, sorridente, le aveva detto che l'amava e anche quando, senza il coraggio di ricambiare il loro sguardo, aveva rovinato ogni cosa. Sospira, stringendo i pugni, decidendo di seguirla. Andrà lì, la saluterà, e le dirà...Cosa, Fred? Cosa cazzo le dirai? Che sei lo stesso stronzo che l'ha lasciata quando tutto sembrava andare per il meglio? Che ti è morta la fidanzatina ed adesso sei triste e solo? Che quando hai visto Abigail lì, con le labbra violacee e la schiuma ad uscirle ancora dalla bocca per tutta quella merda che si era ingerita, hai pensato a lei? Perchè sì, Fred aveva pensato a lei, in quel momento. Aveva pensato a quanto avrebbe sofferto di più se al posto di Abbie avesse ritrovato Amunet. E questo aveva contribuito a farlo sentire ancora di più una merda. Quindi no, Fred, rimani quì e cerca quella stramaledetta mummia che vende dolci che se non si fa vedere entro trenta secondi giuro che- « Signooooora Browning, carissima, che piacere rivederla! » Che paraculo.

    Well I know that getting you alone isn't easy to do.
    With the exception of you I dislike everyone in the room,
    And I don't wanna lie, but I don't wanna tell you the truth.

    La cosa peggiore era la solitudine. La solitudine porta alla riflessione, e la riflessione ai sensi di colpa. Fred Weasley non amava Abigail Green. Ma le voleva bene, e non riusciva ancora a capire perchè. Sino a qualche giorno prima l'aveva costretta a farsi un bagno nudi nel lago del campo estivo grazie ad una scommessa, e qualche giorno dopo lei si era allontanata fino a scomparire, per sempre. Suo fratello l'aveva incolpato di tutto. Victor Green era un Corvonero che gli era sempre stato sulle palle, eppure non aveva reagito, quando gli aveva mollato un pugno in pieno viso poco dopo aver appreso la notizia della morte della sorella, lasciandogli un occhio nero. Darsi la colpa era inevitabile, in fondo. Non era certo di esser mai stato il centro del mondo di Abby, ma era certo che valesse qualcosa per lei. E allora dove aveva sbagliato? Perchè l'aveva spinta a suicidarsi, e se non era stato lui a farlo, perchè non era stato capace di capirla e aiutarla? Perchè sei un coglione, Freds, un coglione ipocrita. Come se fosse la prima volta questa che fai soffrire qualcuno. Scuote la testa, mettendosi a sedere sul letto ed affondandosi le mani tra i capelli. Perchè cazzo non riesce a smettere di pensare a Lei quando dovrebbe pensare soltanto alla povera Abby? Non lo sa perchè. L'unica cosa che sa è che la morte di Abigail gli ha fatto capire quali siano le cose che più contano in questa vita. Quali siano le cose che, nonostante continuino a sfuggirci, dobbiamo comunque provare a recuperare. Gli ha fatto pensare a quanto il suo abbandono deve averle fatto male, a quanto l'abbia voluta perdere con la consapevolezza di perderla. E quindi si alza, con quei suoi capelli spettinati ed un occhio ancora violaceo, dando un calcio al letto e agguantando carta e penna per scrivere. Le manderà una lettera. Non sa perchè ma è quello che farà. Le dirà che Abigail è morta, che adesso sa cosa si prova ad essere abbandonati e che è stato uno stronzo. Le chiederà aiuto, ammettendo di essere un ipocrita, ma riconoscendo di avere bisogno del suo aiuto. Annuncerà di esserselo meritato, chiedendole scusa. Ecco cosa le dirà e cosa scrive, con la sua solita calligrafia disordinata e quelle macchie d'inchiostro un po' ovunque.Con un po' di fortuna Amunet non lo manderà a fanculo e chissà, forse smetterà di evitarlo e torneranno amici. Chiede soltanto questo, in fondo. Esce dalle celle sotterranee, camminando a passo svelto. Il sole sta calando ormai, e tra poco è sicuro beccherà qualcuno a rompergli le palle per il coprifuoco. Qualcuno che si ritroverà appeso per le mutande in qualche statua, probabilmente, ma questi son dettagli. Alza il capo verso la guferia, stringendo la pergamena tra le mani, e sta quasi per avviarsi quando i suoi passi si arrestano. Si morde il labbro inferiore, calando lo sguardo: che cazzo stai facendo Freds? Perchè a Mun dovrebbe interessare qualcosa delle tue pippe mentali del cazzo? Cristo, torna in camera e non peggiorare le cose. Esita per qualche istante, prima di girare su sè stesso e ritornare da dov'era venuto. Forse un giorno troverà il coraggio di dirgliele a voce certe cose, ma non è questo il giorno. E allora cammina, affrettandosi per non cambiare di nuovo idea. Ma qualcosa di umido gli sfiora il pugno chiuso. « Spettro che diavolo ci fai quì? ..Okay potresti dirmi la stessa cosa scusa bello. »
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    Ridacchia appena, allungando una mano per accarezzare la testa del cane palesatosi dal nulla. Ma non appena si avvicina, questo scappa, e quando scappa...Si accorge di non avere più la pergamena tra le mani. « Vieni quì subito! » Urla, gettandosi all'inseguimento. Ed ecco a voi un Fred Weasley che insegue il proprio cane cadendo e sbattendo un po' ovunque. Uno spettacolo a dir poco esilarante, non c'è che dire. Si lancia in avanti, ormai prossimo ad agguantarlo per la coda, quando qualcosa o meglio qualcuno si interpone tra di loro. La violenza dell'impatto farebbe volare entrambi, se Fred -per fortuna- non fosse dotato di buoni riflessi. Quindi allunga le braccia, tirando saldamente a sè lo sconosciuto. « Scusa, stavo inseguendo il cane e... » Adocchia Spettro trotterellare via, e solo allora si gira per guardare il povero malcapitato su cui è andato a sbattere. Porca. Troia. « Mun. C-cioè, Amunet. » Il suo cuore perde qualche battito, mentre indietreggia d'istinto, lasciandola andare. Si morde il labbro inferiore, passandosi una mano tra i capelli. « Ti ho fatto male? » Le domanda, visibilmente a disagio. Diamine, da quanto non la vede da così vicino? Gli fa ancora effetto. Quel dannato effetto. « Io.. » Cercavo proprio te. Dove cavolo sei finita per tutto questo tempo? Che palle mi sei mancata. « Dovevo andare a portare una lettera per conto di mio padre al professore di Astronomia. Ma Spettro me l'ha rubata e... » Ed è proprio sotto la tua scarpa. Ma per Merlino, la smettiamo con le gioie? « A quanto pare l'ha lasciata. Me la ridaresti? Non la leggere, per favore- Ti prego non farlo. -Voglio dire, non c'è scritto nulla di importante. Ho disegnato una donna nuda nell'ultima verifica di Astronomia prima delle vacanze e..Insomma, puoi immaginare. » Di nuovo....che paraculo.
     
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    Boom. Collisione di anime che si schiantano, un tripudio di promesse che sembrano non doversi spezzare mai. Uno sprazzo di felicità seppur esile, che sdogana i pregiudizi, scava in profondità e ricorda che in fin dei conti siamo tutti essere umani, tutti alla ricerca della stessa cosa: ingannare l'attesa della morte. Non importa se si è ricchi o poveri, nobili o meno, bianchi o neri, predatori o prede, cristiani o atei, alla fine non facciamo altro che attendere, timorosi, sconsolati, l'unica certezza che non ci abbandonerà mai. La tomba. Nell'attesa ci illudiamo, scendiamo a patti con verità supposte, mentiamo, a noi stessi e agli altri, perché l'attesa in un ambiente salubre, lontani da qualunque connessione è pesante e difficile da sopportare persino per i più temerari. Alla fine cerchiamo di attendere in compagnia, di illuderci che quei compagni di vita che ci scegliamo saranno lì fino al nostro ultimo giorno, e siamo disposti di fare qualunque cosa pur di tenerci accanto. Finché non smettiamo di farlo. « Mun. C-cioè, Amunet. » Smettiamo. Ma mai del tutto. Ecco, immaginatevi una spiaggia dalla sabbia bianca, dispersa in mezzo al nulla, su un isola deserta. Un venticello fresco che scompiglia i capelli, l'odore del tormentato oceano le cui onde s'infrangono contro sponde rocciose. Fred Weasley era stato quel tipo di posto. Un posto sicuro in cui Mun è corsa sin troppe volte per il suo stesso bene. Ogni qual volta qualcosa non andasse, Freddie era lì, Freddie era la sua salvezza, la sua ancora, il suo punto di contatto tra la terra e un posto paradisiaco venuto giù dal niente. Troppo bello perché fosse vero. Non ricorda nemmeno quanto è durata; ma ricorda quando è finita: quel momento non potrebbe mai dimenticarlo, perché ha segnato l'inizio del suo percorso in solitario verso la morte. In due anni molte cose posso cambiare, molte promesse si infrangono, molti sentimenti mutano, si perdono, si riconsiderano, ma quello?, quel sentimento si era pietrificato, rimasto lì solido nel tempo, duro come la roccia, e a volte, non sapeva se fosse un bene o un male; non sapeva se significasse che lo amava come il giorno in cui inspiegabilmente se ne andò, o semplicemente il pietrificarsi ha fatto sì che perdesse tutte le sue qualità.

    « Ah, bambina mia, tu proprio non riesci a lasciar perdere. Il potere, hai nelle mani la possibilità di mietere chiunque al mondo e l'unica cosa che fai e perderti in bambinate di poco conto. » « Non chiunque. Devo avere un nome e un volto. » « Sei una Carrow. Hai risorse, soldi, influenza. Ti ho messo tra le mani il mondo e tu lo usi per castigare delinquenti e ragazzine infedeli. » E' nella sua stanza e sta disfacendo i bagagli. Ha avuto l'accortezza di chiudersi la porta a chiave alle sue spalle, nel caso in cui qualcuno avesse intenzione di spiare la sua conversazione con Ryuk. Non voleva ulteriori sospetti sul suo conto, e non poteva nemmeno ignorare il demone per il resto della sua vita. La cosa peggiore del loro legame è che non era affatto mentale. Ryuk aveva bisogno di una risposta verbale tanto quanto ne aveva bisogno il demone. Ciò significa che la mia mente resta mia. Ed è su questo gioco che gioca lo stesso Death Note. Non ci possono essere dubbi sulle decisioni del possessore. Deve essere lui e solo lui a prendere la decisione su chi mietere. L'oltretomba non può intervenire. Non con quel tipo di magia lì. « E chi dovrei portarti Ryuk? Innocenti? Direi che lì sotto ne avete a sufficienza con tutto ciò che accade nel mondo. » Il demone sospira. « Non sono gran bei tempi per un dio della morte. » « Non sono gran bei tempi per nessuno. Ma una cosa è chiara: sono stata brava. » E dicendo ciò un sorriso malizioso le si profila sulle labbra. « Due al prezzo di uno. » Dice quindi indicandogli l'articolo di giornale che parlava della prematura scomparsa di padre e figlio. « Per come la vedo io, Ryuk, è stato un colpo di genio. Alfred Green era un lurido babbano del MI6. Usava quella sciacquetta di sua figlia per farsi passare informazioni su di noi. L'ho vista con i miei stessi occhi; l'hai vista anche tu, ma a te non piace intervenire, quindi non fare il finto tonto con me. Usava questo telefono strano, qualcosa che non ho mai visto prima, qualcosa che infrangeva le nostre potentissime barriere magiche. Quando la troia si è tolta la vita, lasciando la quella straziante lettera d'addio in cui spiegava di non farcela più a portare avanti quel gioco, Alfred ha capito di aver sbagliato. Per come la vedo io, ci siamo liberati di due insulsi traditori, e abbiamo restituito il patrimonio dei Green all'unico degno di possederlo. Victor. » « Ma la lettera Abbie non l'ha mai scritta. » Ryuk sa com'è andata la storia, ma immagina Mun, che gli piace sentirsela raccontare dalla sua protetta. L'odio e il piacere squisito che traspare dalle sue labbra quando sa di aver fatto un buon lavoro. « Ha una calligrafia davvero comune. » Ryuk ride di gusto, mentre fluttua lontano da lei. « Il fatto che mettesse periodicamente le corna a Freddie, non ha fatto altro che aumentare la soddisfazione della sua dipartita. » « E perché non l'hai smascherata? » Prima di tutto perché a Mun non piaceva mettere la gente sul patibolo. L'importante era che chi di dovere lo sapesse e se ne stesse occupando. Era orgogliosa per aver eliminato una minaccia. Non aveva bisogno di mettere su una scenetta adolescenziale penosa. « Lui non se lo merita. Lasciamo che Hogwarts conservi un buon ricordo della stronza che li ha traditi per mesi e mesi. Qualunque altra decisione, ci porterebbe alla disgregazione completa di Hogwarts. » E Mun amava Hogwarts. Era l'unica casa che conoscesse. Era il posto in cui aveva imparato ad amare, il posto in cui aveva conosciuto i suoi primi amici ed era anche il luogo che si è interposto fermamente tra lei e il padre. L'unico posto in cui non doveva guardarsi le spalle per paura che qualcosa di brutto possa accaderle da un momento all'altro. « Hogwarts è stata blanda con me; le sto restituendo il favore. »

    « Freddie. » E tutto ciò che dice mentre riacquista l'equilibrio. Freddie, non Fred, non Weasley. Per lei resterà sempre Freddie, qualunque cosa dovesse succedere. Certo, ora quel nome viene pronunciato con una pattina di ghiaccio portato giù direttamente dal Polo Nord; eppure, quel rosso dalla personalità frizzante e sbarazzina, resta pur sempre Freddie.
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    « Ti ho fatto male? » Quando?, si apprestò a chiedersi mentalmente mentre lo fissa non sapendo precisamente che cosa dirgli. È sempre stata brava a evitare le persone, a passare inosservata. Se voleva sapeva essere introvabile, non a caso, durante il campo estivo di quell'estate quasi nessuno l'aveva vista. Non era perchè avesse chissà che cosa da nascondere - non più del solito almeno - ma piuttosto perchè semplicemente tollerava sempre meno l'altrui compagnia. Uno sbalzo di umore dopo l'altro. A volte fissava i gruppi di ragazzi divertirsi tuffandosi in piscina o giocando a carte, o ancora andando a esplorare l'isola, e voleva essere tra loro, altre volte si sarebbe tagliata un braccio piuttosto che sorbirsi cinque minuti della loro compagnia. Era facile alienarsi poi quando non era mai davvero sola. « Io.. » Abbassa lo sguardo d'istinto, non sapendo precisamente come comportarsi. Vorrebbe andare, ma lui non sembra voler concludere la conversazione lì. Si è costretta a darsi al vivere civile. Non ha mai fatto storie in merito al suo averla lasciata, non ha mai pianto e non l'ha mai implorato di tornare. Non erano cose che facevano al caso suo. Un cucciolo ferito che non mostra mai segni di arresa. Forse hai pensato che non intendevo tutto ciò che ti ho detto. Forse ti sei fatto l'idea che in realtà non ti ho mai amato. In cuor suo ci aveva sperato, così da farlo arrabbiare, così da costringerlo a comportarsi esattamente come lei voleva che si comportasse. Da stronzo. In cuor suo sperava di vederlo subito dopo la rottura con un'altra così da convincersi che la sua perdita non era stata un grande dramma. Ma non era stato prettamente così. Vederlo con altre ragazze non aveva fatto altro che scavarle in petto un fossa, sempre più profonda. scarnificando ogni forma di interessamento verso il genere umano. « Dovevo andare a portare una lettera per conto di mio padre al professore di Astronomia. Ma Spettro me l'ha rubata e... A quanto pare l'ha lasciata. Me la ridaresti? Non la leggere, per favore- Voglio dire, non c'è scritto nulla di importante. Ho disegnato una donna nuda nell'ultima verifica di Astronomia prima delle vacanze e..Insomma, puoi immaginare. » Freddie e le storie. L'unica storia d'amore che nessuna ragazza dovrebbe perdersi. Per la prima volta sul suo volto compare un mezzo sorriso affettuoso. Nostalgico. Colmo di qualcosa che entrambi conoscono sin troppo bene. Quando Freddie parla troppo è perché sta improvvisando. Perché ha qualcosa da nascondere. In realtà parla sempre troppo. Ma quando è agitato parla ancora di più. Afferra la lettera da sotto la suola della sua scarpa e gliela riconsegna pacatamente. Non ha interesse nel farsi gli affari suoi. Non sono cose che la riguardano. Pensa possa essere una lettera d'amore, o forse qualcosa di ancora più sconcio. Da Freddie ci si aspetta di tutto. O forse è qualcos'altro; una lettera a cuore aperto per la sua innamorata scomparsa prematuramente. Non importa. Gliela porge stringendosi nelle spalle. « Certo. Tieni. Sono certa che se non dovessi consegnargliela, Wilde andrà su tutte le furie. » E niente. Fa già ridere così. Non importa cosa ci sia lì dentro. Qualunque cosa abbia a che fare con Freddie Weasley ha smesso di riguardarla molto tempo addietro. « Ci vediamo Freddie. » Gli dice infine, girando i tacchi e dirigendosi nella direzione opposta, superandolo. Una parte di sé ribolle. Si sente una stupida. Chiude gli occhi e stringe i pugni. Non lo vede da troppo tempo. Non ha più sentito le sue mani calde stringerla da sin troppo tempo. E ha fatto effetto. Ha fatto male. Le ha fatto ricordare quanto le mancasse il contatto umano, quanto fosse felice con Freddie, quanto lui fosse importante. Perché è questo ciò che faceva Freddie. Dopo le peggiori porcate del mondo, era comunque in grado di strapparle un sorriso, seppur spento e apparentemente superficiale. Si ferma di botto. Stringe i denti. Non posso crederci. « Ehi! ..tu come stai? » Dice voltandosi di scatto nuovamente nella sua direzione. Una mano si porta la massa di capelli corvini su una spalla. « ..ho sentito dell'incidente. » Le voci correvano velocemente a Hogwarts, soprattutto quando tutti erano costretti a vivere perennemente sotto lo stesso tetto. Un suo cugino, specializzando al San Mungo, lo aveva visto, ed era subito corso da lei per parlargliene. Il primo istinto era stato correre lì da lui. E poi alla fine.. « Sono contenta di vedere che stai meglio. » Altro sorriso colmo di un affetto contrastante che vorrebbe rigettare ma non riesce. Freddie è un'altra cosa. Va al di là del suo odio, del suo animo nero. « Semmai volessi parlarne, sono certa che Loras- » Loras era il loro elfo di fiducia nelle cucine. Ah, Loras! Che ricordi. « ..sarebbe ben contento di servirci ancora due di quei caffé. » Come ai vecchi tempi. « Sono ancora brava ad ascoltare. »



    Edited by Cursed Child - 29/8/2017, 17:56
     
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    « Freddie. » "Freddie" Lo chiamava sempre così, assieme a molti altri certo, ma con lei era tutta un'altra storia. Con Mun era sempre stata tutta un'altra storia. Adorava il modo in cui quel soprannome trapelasse dalle sue labbra ogni volta. Si ritrovava sempre ad osservarne il labiale, saggiando con sguardo attento come i suoi denti spingessero appena contro le labbra per pronunciare la f, come la sua lingua si arricciasse per la r per poi, infine, sgusciare sotto i denti nelle ultime due d. Era sempre stato un tipo superficiale, Fred, tanto da ricavarsi non pochi rimproveri giornalmente. Eppure con lei aveva sempre osservato ogni minimo dettaglio, cogliendolo con delicatezza e conservandolo con cura. La loro relazione era fatta anche di questo, in fondo: di piccole cose. Destinate a crescere, è vero, ma pur sempre preziose. E così Fred, Freddie, si ritrovava sempre a sorridere come un deficiente tutte le volte che lei lo chiamava col soprannome più comune che avessero mai potuto affidargli. Perchè l'aveva fatto proprio, Mun, l'aveva accolto e personalizzato, rendendolo speciale. Con quel mezzo sorriso a piegarle le labbra la maggior parte delle volte, ad esempio, o quel tono di voce dolce, che lo induceva a sperare ogni volta che lei lo chiamasse ancora ed ancora. Che lei avesse bisogno di Freddie, del suo Freddie. Ad oggi eccola quì, Amunet Carrow, a lanciargli una speranza effimera, una nostalgia insoddisfacente, condita di una freddezza senza eguali. Perchè in fondo è questo ciò a cui sono arrivati. E' questo ciò che lui ha voluto. Il quieto vivere di due amanti ormai ridotti a semplici conoscenti. Dei sorrisi di circostanza e delle scuse campate per aria con il solo intento di evitare qualsiasi possibile ritorno sull'argomento. Fred Weasley non era più tornato sull'argomento da allora. Aveva chiuso il capitolo Amunet e aveva riposto il libro in uno degli innumerevoli scaffali della sua testolina di cazzo. Quel capitolo che per tanto tempo aveva letto e riletto, divorandone le pagine ogni giorno che passava. Assimilandone ogni virgola, ogni punto e a capo. C'era sempre stato un punto e a capo con Amunet, c'era sempre stato fin quando lui non aveva deciso di non andarci più. Di mettere un punto senza più nessun capo. Quindi aveva lasciato che quel libro rimanesse lì, a deteriorarsi in mezzo alla polvere, facendo finta che non fosse mai esistito. E aveva fatto lo stronzo, sì, l'aveva fatto. Perchè in fondo gli riusciva assai bene farlo: fare lo stronzo per sentirsi meno stronzo, era questa la sua politica. Si era trovato un'altra ragazza ben presto, convincendosi che tutto ciò che c'era stato con Lei non fosse mai stato reale. E qui sorge il problema. Perchè se -per come credeva- quei sentimenti non erano concreti, lui era scappato dinnanzi alla loro prospettiva? In fondo, se non lo fossero stati, se dietro quei ti amo si fosse nascosta soltanto un'arida fissazione del momento, dettata dal trasporto della loro relazione a tratti proibita, avrebbe potuto restare con lei. Sorridere affabile a quelle parole, ricambiarle così come aveva fatto e lasciare che tutto continuasse, con un punto e a capo. Continuare ad uscire assieme, a stringerla tra le braccia tutte quelle volte, ad odiare con tutto sè stesso quell'uomo che la rendeva così debole e fragile. Avrebbero continuato a volersi bene, ad amarsi così per come dicevano ed a fare l'amore così per come ne avevano bisogno. Ed invece no, era scappato. Perchè a ricambiare quelle parole, Weasley l'inguaribile imbroglione, aveva tastato la verità. Ah Fred l'impavido, spaventato dal suo stesso cuore. « Certo. Tieni. Sono certa che se non dovessi consegnargliela, Wilde andrà su tutte le furie. » La vede sorridere e si ritrova a fare lo stesso. A questo si è ridotto: sorprendersi di fronte ad un suo sorriso, quelli che un tempo avevano riempito le sue giornate. Quelli che si impegnava tanto per ottenere ed infine, quando ci riusciva, non facevano altro che dipingere sul suo volto quell'espressione sognante da vero e proprio deficiente. Perchè ottenere un sorriso da uno come Fred Weasley era un'impresa così facile che anche i bambini avrebbero potuto cimentarsi. Ma con Mun..Con lei era diverso. Mun era una creatura pura piegata da un'esistenza che era sempre stata fin troppo dura con lei. Un suo sorriso era prezioso, da conservare gelosamente. « Grazie- Mormora, allungando una mano per riappropriarsi del pezzo di pergamena. E' sicuro che la ragazza non abbia creduto neanche a mezza parola di tutte quelle che è riuscito ad inventarsi in neanche due minuti, perchè in fondo lo conosce quel sorriso. Quello da "Okay Freds, stai sparando un mucchio di stronzate ma farò finta di nulla." -Non l'ho mai visto arrabbiato e non ci tengo a farlo, mi inquieta parecchio quell'uomo! » Ride, addentrandosi ulteriormente nella sua recita. Imbrogliarle lo fa sentire una merda, ma dirle la verità lo farebbe sentire ancora peggio. Quindi stringe la lettera tra le mani, infilandola dentro la tasca dei pantaloni. Non è questo il giorno per riaprire quel capitolo. « Ci vediamo Freddie. » La vede girare su sè stessa e fare qualche passo per allontanarsi. Schiude le labbra d'istinto, Freds, mentre il suo nome preme sulla punta della sua lingua. Vorrebbe dirle di aspettare, di rimanere lì con lui per ancora qualche minuto dopo quella che è sembrata una vita intera di lontananza, ma non ci riesce. Cazzo Fred sei proprio un coglione. Incassa il colpo dunque, a capo basso mentre stringe i pugni. Tornerà nella sua camera, brucerà quella dannata pergamena e tutto tornerà come prima. Abigail sarà ancora morta, lui ed Amunet torneranno a non parlarsi più e che dire, il resto è storia. Storia di tutti i giorni. Per qualche istante si pente che lei non abbia avuto alcuna curiosità nell'aprire quella lettera. Se l'avesse fatto...Cosa? Tu avresti potuto rifugiarti dietro delle parole del cazzo scritte abbastanza a cazzo come sempr? Ah, Weasley, proprio un cuor di leone. Lui l'ha abbandonata e lei lo abbandona, la storia si ripete in un infinito serpente che si morde la coda. « Ehi! ..tu come stai? » O forse no. Alza la testa di scatto, cercando il suo sguardo mentre un sorriso si palesa sul suo volto. Smettila di sorridere come un idiota Weasley. « ..ho sentito dell'incidente. » Si stringe nelle spalle, prima di allargare le braccia. « Sono ancora quì, tutto intero, o quasi, quindi sto bene. » Ride, facendo un giro su sè stesso. La verità è che non sta bene per niente, che la schiena gli fa un male cane ventiquattr'ore su ventiquattro e che se non si bombardasse di tutte quelle medicine magiche ogni giorno finirebbe di nuovo su quella dannata sedia a rotelle. Ma sì, dai, tutto sommato va bene. « Sono contenta di vedere che stai meglio. » Eccolo quel prezioso sorriso. Glielo sta concedendo, nonostante tutto. Nonostante lui abbia fatto il cretino per tutto quel tempo, lei continua a trattarlo così. Come Freddie, il suo Freddie. « Grazie, è..E' gentile da parte tua. » E non dovrebbe esserlo. Cristo Mun, sii la stronza che non sei mai stata e fammi sentire meno una merda. « Semmai volessi parlarne, sono certa che Loras ..sarebbe ben contento di servirci ancora due di quei caffé. Sono ancora brava ad ascoltare. » Ah, Loras, gli manca quella canaglia dalle orecchie a punta e la lingua sempre fin troppo lunga. Quel ricordo lo fa sorridere, mentre cala lo sguardo e..Decide di farlo. Agire come Fred. Si spinge in avanti, allungando un braccio per prenderla per mano in un gesto dettato dall'istinto. E dall'abitudine. « Vieni con me! » Le sue dita sottili sono fredde sopra la sua pelle calda. Ma ciò nonostante le stringe comunque, e l'intero suo corpo sembra reagire a quel contatto. La riconosce. La trascina senza sentire alcuna ragione, come ha fatto tante volte in passato; la mano stretta attorno alle sue dita in una morsa salda, per non farla scappare. Perchè Fred è fatto così, un giorno si alza dal letto e decide di sconvolgerti la vita. Ti afferra e ti fa precipitare volente o nolente nel suo strano mondo. E diamine, quanto cazzo gli era mancato quel suo tocco.

    Si ritrae una volta giunti di fronte alle cucine, accorgendosi solo allora del suo gesto. Stringe la mano con cui l'ha tenuta in un pugno, prima di lasciare andare il braccio al lato del fianco. « Scusa, ma ormai sei più sfuggente di Helena Corvonero, dovevo sfruttare l'occasione per non farti scappare... » Ridacchia, tentando di nascondere un lieve disagio, prima di bussare alla porta delle cucine in una sequenza di rintocchi. Se tutto va bene, Loras dovrebbe ancora riconoscerli, e infatti, tempo qualche minuto, ecco che il piccolo elfetto dagli enormi occhi verdi si palesa di fronte a loro. « Hey, nano! Possiamo entrare? » La creatura squittisce, il volto spigoloso ricolmo di gioia. Si getta in avanti per abbracciarli entrambi, e quando è il turno di Freds.. « D'oh! » ..Gli si schianta proprio sul pacco con una violenta testata. Questo è lo svantaggio di essere maschio ed avere un elfo domestico come amico. « Okay, questo mi era mancato un po' meno.. » Annaspa guardando Amunet, dolorante, poggiandosi le mani sul cavallo dei pantaloni. « Venite, venite, Loras ha tante cose pronte per voi! » Loras trotterella dentro, e Fred lo segue solo dopo aver fatto passare prima la ragazza. Un po' per cavalleria, un po' per evitarsi altre testate. Annusa l'aria, le mani nelle tasche, mentre il suo stomaco comincia a brontolare.
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    « Comunque sì, a parte che probabilmente grazie a Loras non potrò avere più figli -il che non sarebbe male, dato che già in famiglia stiamo in sovrappopolazione- sto bene. Sono rimasto sulla sedia a rotelle per un bel po' di tempo, ero paralizzato dalla vita in giù. » Mormora dandole le spalle mentre cerca un posto dove sedersi, sgusciando tra i vari elfi domestici intenti nelle loro faccende. « Forse il karma mi ha punito, scegliendo di bloccarmi proprio . » Ridacchia, poggiandosi con la schiena contro un bancone. « A volte quando mi stanco troppo devo tornare sulla sedia. Però è carina, è rossa! Qualche giorno ci facciamo un giro assieme se ti va. Mio padre l'ha incantata, si muove da sola a seconda di dove voglio andare e... » Si blocca all'improvviso, distogliendo lo sguardo immediatamente. Per qualche istante aveva dimenticato tutto. Aveva dimenticato cosa fossero ormai e cosa le avesse fatto. Per qualche istante era tornato quel Freddie dagli occhi carichi di meraviglia ed il tono di voce sognante nel raccontare alla sua ragazza tutto ciò che lo riguardava. Con quell'entusiasmo a tratti infantile e quella sincerità innocente. Interessato a renderla partecipe della propria vita perchè lei faceva parte della sua vita. Ma ormai lui non ha più il diritto di sentirsi in un certo modo. Quindi si morde il labbro inferiore, visibilmente a disagio. « E sì insomma, è carina. » Farfuglia dunque, poggiando il suo sguardo su Loras, che si sta avvicinando a loro con due grosse tazze tra le dita ossute. Sorride, agguantando la propria, sorseggiando un po' di caffè e.... « Loras è tanto felice che siete tornati assieme! » ...Affogandosi. Cristo non ci uscirà vivo da quella cucina se continuiamo così. Reprime l'istinto di afferrare l'elfo e lanciarlo al muro, rimanendo in silenzio per tutto il tempo prima che si allontani. « Gli siamo sempre piaciuti.. » Farfuglia, visibilmente a disagio, nascondendosi di nuovo dietro la grossa tazza. Siamo sempre piaciuti anche a me. « E insomma... tu invece come stai? E' un po' che ti vedo poco in giro, non è successo niente vero? Quest'estate non ti ho proprio vista da nessuna parte poi, un giorno dovrai insegnarmi il tuo metodo per scomparire. » Sei serio Fred? « Insomma, sfuggire alle persone. Ti è piaciuto il campo estivo?, ti sei fatta nuovi amici? » E il fidanzato, il fidanzato ce l'hai? « Hai...Hai saputo cosa è successo? »
     
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    « Vieni con me! » Una fonte di calore altra si aggrappa alle sue dita fredde. Ed è quello il momento. Un unico momento basta per farla crollare, per ricordarle quanto di bello non esiste più. Non resiste, e non protesta, ma si fa trascinare lungo i corridoi della scuola senza proferir parola. Tra se e se ride appena, non riuscendo a capire nemmeno cosa sta facendo. Si concentra su quella stretta, su quel unico friabile punto di contatto che per tanto tempo li ha uniti e che ora sembrava quasi dividerli ulteriormente. Fissa quella stretta e silenziosa come un'ombra si lascia trascinare mentre flash di altri tempi trapassano la sua mente. Lui l'ha sempre trascinata lontana dalla morte, lontana dal male, dall'oscurità che il suo cuore sembrava voler bramare a tutti i costi. Freddie l'ha sempre tenuta lontana da quegli istinti. Lui, con quel sorriso luminoso, quegli occhi colmi di bontà e positività, l'ha sempre salvata, finché non l'ha salvata più. Mun non l'aveva mai dimentico, o quanto meno, non ha mai dimenticato la sensazione che aveva nello stare assieme a lui. Libertà; una libertà ultima che andava al di là di qualunque barriera dello spazio e del tempo. Quando era tra le sue braccia, suo padre non poteva raggiungerlo, tutte le cattiverie del mondo non la toccavano. Era un sopraelevarsi oltre qualunque cosa di noto conoscesse. Tutto era nuovo, speciale, unico nel suo genere. E' così che ci si sente la prima volta che ci si innamora. Mun si era innamorata. Si era così tanto persa in quegli occhi da volerli inglobare. A volte avrebbe voluto strapparsi i propri per regalarli a lui. Ecco, vedi? E' così che ti vedo io. La vedi quell'aura? Tu splendi così, sei fatto così per me. Poi però l'aura era sparita. Era sparita di colpo nel giorno in cui lei aveva deciso di schiaffargli in faccia la verità. Ti amo. Lui non provava la stessa cosa. E così l'aveva imbottita di cazzate. Non sono abbastanza per te, non ti merito, bla bla bla. Non c'era stato un giorno da allora in cui Mun non pensasse che Freddie, il suo Freddie fosse un codardo. Si era innamorato dell'unico Grifondoro codardo al mondo, e lo aveva fatto in una maniera talmente plateale che sradicarlo completamente dalla sua testa sarebbe stato impossibile. Freddie avrebbe avuto sempre un posto speciale, solo che, si convinceva Mun, non sarebbe mai più stato quello che aveva all'inizio. Se rompi un vaso puoi incollarlo, ma non sarà mai più come nuovo. Eppure quella stretta sapeva di noto, sapeva di qualcosa che Mun conosceva, che amava. Il suo cuore diviso a metà tra il razionale e l'irrazionale. La sua mente segmentata in due parti diverse tra ragione e sentimento. Non glielo aveva mai fatto pesare. Il giorno dopo era come se niente fosse successo. Mun si era svegliata, si era stampata la solita faccia neutra sul volto, aveva indossato la sua dannata divisa ed era uscita a testa alta dalla sala comune. E così era successo ogni giorno da quel giorno; quegli occhi di mostrargli rabbia o disprezzo non ce la facevano. L'orgoglio le impediva di fregarsene apertamente. Quando le prime ragazze sono arrivate, lei aveva distolto lo sguardo a testa alta; quando altri erano arrivati per lei, era andata avanti, senza se e ma. La salvezza ultima è arrivata pochi mesi dopo la loro rottura: dove Freddie aveva fallito, ci aveva pensato Ryuk con un metodo più definitivo. E da lì, Mun non ha più avuto paura, non si è più sentita umiliata, non più sedotta e abbandonata. Da quel giorno, il giorno in cui suo padre morì, Mun divenne un'altra persona, e Freddie divenne solo un lontano bellissimo ricordo che scacciava ogni qual volta tornasse. Ora però era tangibile. Freddie era lì, Ryuk era lì. A Ryuk, Freddie non piace. Freddie e una minaccia. Lo sente ringhiare mentre i due corrono sui corridoi verso i sotterranei, esattamente come un tempo, esattamente come quando erano più bambini e meno consapevoli. « Scusa, ma ormai sei più sfuggente di Helena Corvonero, dovevo sfruttare l'occasione per non farti scappare.. » « Ti ha lasciata, ricordi? Sola e triste, sola con quel mostro. Dov'era quando avevi bisogno di lui? Non c'era. » Ed è a quel punto che ritrae la sua mano, accennando un sorriso di sufficienza, mentre fissa quel contatto ormai mancante tra la sua mano e quella di lui. Prima che si renda conto si perde in un tripudio di ricordi, belli, perfetti, incastonati nella loro dimensione passata. Ed è solo Loras a risvegliarla da quello stato catatonico. « Venite, venite, Loras ha tante cose pronte per voi! » Cerca di ignorare Freddie; cerca di ignorare la sua presenza esattamente come lo ha fatto per i passati due anni. Cerca di fare finta che la sua presenza le stia indifferente eppure una parte di sé non trova il coraggio di andarsene. Se se ne andasse adesso, non avrebbe più alcuna scusa per vederlo di nuovo. E così, inganna il tempo, piega i legami, mente a se stessa e si lancia all'interno delle cucine grondanti di elfi domestici che stanno preparando il pranzo che verrà tra qualche ora. « Comunque sì, a parte che probabilmente grazie a Loras non potrò avere più figli -il che non sarebbe male, dato che già in famiglia stiamo in sovrappopolazione- sto bene. Sono rimasto sulla sedia a rotelle per un bel po' di tempo, ero paralizzato dalla vita in giù. Forse il karma mi ha punito, scegliendo di bloccarmi proprio. » Sorride scuotendo appena la testa mentre per un istante si sente come ritornata indietro a quando aveva ancora quasi quindici anni. Non smettevano mai di parlare, non smettevano mai di ridere. Persino Mun che non è mai stata una ragazzina particolarmente allegra, non riusciva a smettere di lasciarsi coinvolgere da quel ragazzino apparentemente sciocco eppure così speciale. Mun ha sempre pensato che lui fosse speciale, che lui avesse qualcosa che a molti altri mancava. Forse era quell'energia insopprimibile, forse era quel sorriso che di scomparire dal suo meraviglioso volto non voleva saperne. Forse era la sua fisicità, il fatto che cercasse sempre un contatto, un bacio, un braccio, una stretta di mano. Tra le sue braccia si faceva piccola piccola, e non c'era nulla che le mancasse. « A volte quando mi stanco troppo devo tornare sulla sedia. Però è carina, è rossa! Qualche giorno ci facciamo un giro assieme se ti va. Mio padre l'ha incantata, si muove da sola a seconda di dove voglio andare e... » Eppure c'è una parte di lei che non lo sopporta. Non sopporta il fatto che si comporti come se niente fosse successo. Lo sguardo e basso, il sorriso e amaro, però, Mun, sempre brava ad ascoltare, lo ascolta, e non lo interrompe nemmeno per un istante. Sono ancora brava ad ascoltare. « L'hai voluta tu, te la sei cercata. Come ti senti ora, bambina? » Male si sentiva male. Alza lo sguardo nel suo con una nota neutra soltanto quando si interrompe. « E sì insomma, è carina. » Non era presente quando era accaduto. Mun non era una grande amante del Quidditch e l'unico motivo per cui volesse andare alle partite non sussisteva più. Così aveva smesso, sfruttando le occasioni delle partite per avere la Sala Comune tutta per sé. Quando Godwin le aveva scritto per dirle di aver visto il suo ragazzetto finire in terapia intensiva, una parte di lei si era spezzata. Con lacrimoni grossi quanto una casa aveva scritto a Deimos chiedendogli di firmarle un permesso di uscita. Al fratello, nonchè suo tutore, non aveva detto il motivo. Non avrebbe capito. A Deimos, Mun ha semplicemente detto che le mancava casa, voleva vedere la sorella e passare un po' di tempo a Londra. Pochi giorni. E così Godwin l'aveva aiutata a sgattaiolare al San Mungo di notte per vederlo. Era scoppiata in un pianto isterico quando lo aveva visto attaccato a tutte quelle macchine. Le aveva spiegato che fosse incosciente, coma farmacologico. Non sapevano se si sarebbe risvegliato e quando. E così lei era rimasta tutta la notte lì, a pregarlo di tornare, di svegliarsi, di aprire gli occhi. Gli aveva tenuto la mano finché la mattina presto Godwin nonno l'ha portata via di peso dal suo capezzale. I parenti di lui sarebbero arrivati a breve e lei non poteva essere là. Ti prego, ti prego apri quei begli occhioni. Non andartene. Non è il tuo tempo. Le sue labbra avevano sfiorato la fronte di lui e poi era scomparsa nel pallore di un alba che non spera. « Già.. lo immagino. » Si risveglia giusto in tempo per vedere ricomparire Loras con due tazze fumanti; ne offre uno ad ognuno di loro, e sa già sia delizioso prima ancora di averlo gustato. Quell'elfo ha sempre avuto un talento particolare per il caffè, con tanto di panna sopra e una spolverata di cacao come piaceva a lei.
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    « Loras è tanto felice che siete tornati assieme! » Salta sul bancone incrociando le gambe prima di accettare la tazza di caffè offertale dall'elfo. Guarda l'elfo con un che tra l'affettuoso e l'amaro. Sempre così risoluta, sempre intoccabile, questa Mun. « Grazie Loras ma.. » Non ha tempo di finire la frase che l'elfo dà loro le spalle e lei sospira, sorridendo ancora. Nostalgica e silenziosa. Non sa cosa dire di preciso, non sa come comportarsi e non sa per quale ragione ha accettato di seguirlo. Avrebbe potuto divincolarsi, avrebbe potuto strapparsi a quel contatto che ancora brucia sul palmo della sua mano. « Il tuo cuore sarà sempre la tua più grande debolezza. » Ryuk e seduto sul bancone accanto a lei, scontento e al contempo curioso di comprendere le dinamiche di quell'incontro. Ryuk è sempre curioso. Ryuk è sempre affascinato dai comportamenti degli umani, specie perché il più delle volte irrazionali e incoerenti. « Gli siamo sempre piaciuti.. » « Oh per piacere, dì qualcosa a questo pagliaccio! » « Già.. » Si porta la tazza alle labbra, ispirando il profumo di caffè fresco, prima di assaggiarlo, chiudendo gli occhi. Paradiso. « E insomma... tu invece come stai? E' un po' che ti vedo poco in giro, non è successo niente vero? Quest'estate non ti ho proprio vista da nessuna parte poi, un giorno dovrai insegnarmi il tuo metodo per scomparire. Insomma, sfuggire alle persone. Ti è piaciuto il campo estivo?, ti sei fatta nuovi amici? » Scoppia a ridere prima di cercare nuovamente il suo sguardo. Solo per un istante. Solo per un'altra volta. Solo per un attimo. « Ehm.. io sto bene.. » Mun sta sempre bene. Non importa come stia davvero, lei deve stare bene. Se stava bene ai tempi in cui suo padre era ancora in vita, doveva stare per forza bene anche adesso. Il peggio è passato. « Il mio metodo per scomparire? Chiunque venda l'anima a Satana riceve un corso intensivo su come passare inosservato. Ti manderò i tutorial. » Scoppia a ridere prima di portarsi nuovamente la tazza alle labbra. Quel senso dell'umorismo che Ryuk apprezza tanto. Anche lui scoppia a ridere. « E comunque, tu non sapresti sparire nemmeno se lo volessi. Non sei tagliato per non stare in mezzo alle persone. » Pausa. Il campo. Come descrivere il campo? Una parentesi aperta e chiusa. Era così la vita di Mun; un contenitore a compartimenti stagni. Sigillava le proprie esperienze per poi passare alle prossime, con una freddezza chirurgica, quasi come se niente potesse davvero toccarla, o nuocerle, o scalfire quella maschera di porcellana. « Il campo è andato bene.. ne ho approfittato per finire un paio di libri lasciati in sospeso.. ho esplorato un po' l'isola qua e là. Era molto bello lì. » E infine sorride stringendosi nelle spalle. « Qualcuno sì. Ma lo sai, non sono una gran chiacchierona. » A volte penso che ho smesso di interessarmi alle persone. A volte vorrei riuscire a vederne ancora la bellezza. Ma non la vedo. L'essere umano è crudele e irrimediabilmente infedele, è irriverente e capriccioso. Lo siamo tutti. E allora perché mentirci a vicenda. « Hai...Hai saputo cosa è successo? » Gli occhi di Ryuk brillano mentre si ritira in un antro oscuro; quel ghigno malefico di chi ha intenzione di seguire e assaporarsi quella scena fino agli sgoccioli. Ride di nuovo, seppur questa volta la sua risata soffra di una dose di malizia e soddisfacimento puramente personale infiniti. Lei riduce gli occhi a due fessure, e con uno sguardo confuso, piega appena la testa di lato nel fissarlo. Freddie è sempre bello, lo è sempre stato, ma ora, crescendo, lo è più di prima. I suoi capelli sono più lucenti, il volto tempestato da un accenno di barbetta è più affascinante, leggermente più maturo. Gli occhi tuttavia, sono tormentati da una confusione che poche volte ha visto nei suoi occhi. Mun lo conosce, sa che qualcosa non va, e sa anche cosa. « Sono successe tante cose.. di cosa stai parlando nello specifico? » Ryuk ride ancora. Ryuk ride sempre, soprattutto quando Mun gli dimostra ancora e ancora di aver scelto bene.

     
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    "Perchè l'hai lasciata?" Sua sorella Roxanne l'aveva tormentato sin dal primo momento. Sin da quando era rientrato in casa, sbattendosi la porta alle spalle e rifugiandosi nella sua camera. Fred Weasley era un pettegolo, un chiacchierone, una di quelle persone che cerchi sempre di evitare quando sei appena sveglio o hai malditesta, perchè sai già che contribuiranno a fartelo aumentare. Eppure, quella volta, erano giorni che non parlava. Perchè era fatto anche di questo, il Grifo. Era fatto di chiacchiere tanto quanto di silenzi. E c'erano quei momenti in cui i secondi riuscivano a sovrastare i primi, rendendolo sfuggente e cupo, inavvicinabile. Una parte di Fred lo era sempre stata, inavvicinabile. Era il classico ragazzo della porta accanto, la maggior parte del tempo. Sempre così trasparente, sempre così adattabile a qualsiasi tipo di situazione. Eppure c'erano quelle volte in cui diventava effimero, sfuggente. C'erano quelle situazioni in cui il rovescio della medaglia si mostrava così per com'era. Era una parte di sè che non gli piaceva e che ancora dopo tutti quegli anni non aveva ancora imparato a comprendere. Era un Fred Weasley quello che a Freddie, il Freddie che tutti conoscono, stava abbastanza sulle palle. Taciturno, riflessivo, tremendamente chiuso. E non era in grado di combatterlo, quando sopraggiungeva. No, nessuno era in grado di farlo. Arrivava e basta, volente o nolente, e lui non poteva far altro che rimanere lì e subire in silenzio. In un opprimente ed infinito silenzio. Perchè l'aveva lasciata? « Perchè non ti fai i cazzi tuoi? » Era anche ostile, quel suo lato. Tremendamente ostile e sempre sulla difensiva, pronto a schiantarsi contro chiunque tentasse di aprirsi un varco attraverso quello scudo di apatia. Poi però, così come arrivava, se ne andava, lasciandogli spazio, permettendogli di risorgere dalle sue stesse ceneri. E così Freddie tornava, più confuso che mai. « Non lo so » Aveva risposto a sua sorella diverse ore dopo, seduto sul materasso del suo letto. A quei tempi non lo sapeva sul serio e non l'avrebbe saputo per tanto altro tempo ancora. La risposta più semplice che si era dato, era che forse non l'aveva mai amata. Fred in fin dei conti non aveva idea di cosa fosse l'amore. Non l'aveva mai provato prima, non ne conosceva i sintomi nè tanto meno gli effetti. Eppure..Aveva sentito qualcosa. Aveva sentito qualcosa battergli nel petto ogni volta che lei fosse vicina, aveva sentito qualcosa tutte quelle volte che la faceva ridere o che lei si stringeva tra le sue braccia. Aveva sentito tutte queste cose, ed aveva deciso di ignorarle. « E' solo che lei ha bisogno di qualcuno che non la deluda. Ed io non sono abbastanza forte da difenderla, non lo sono mai stato » Si era sempre sentito debole, nei suoi confronti. Fred Weasley Jr era sempre stato un ragazzo forte e sicuro di sè quel tanto che bastava per riconoscere la sua forza. A tratti egocentrico, a tratti austero, è vero, ma era fatto così. Eppure con Mun era diverso. Tutte le volte che lei si palesava davanti ai suoi occhi con un nuovo livido a macchiarle la pelle diafana, lui si sentiva niente. Un nessuno. Non gli ci era voluto molto per capire. Anche prima che lei glielo rivelasse, Fred sapeva già tutto. E sapeva di non poterlo combattere. Tante volte aveva provato a strapparla via da quella casa. A farle passare più tempo possibile assieme a lui per non farla tornare. Il pensiero poi di andarla a prendere, affrontando a testa alta quel mostro, lo dominava ogni giorno. Ma sapeva che era qualcosa di pressochè impossibile. Era un ragazzino di appena sedici anni, cosa avrebbe mai potuto fare contro un uomo adulto e per giunta dotato di tutto quel potere? Aveva il coraggio, aveva l'orgoglio, ma persone come Carrow ci pisciavano su certe cose. Aveva appreso, suo malgrado, che agendo avrebbe soltanto peggiorato le cose. Quindi l'unica cosa che avrebbe potuto fare, e che aveva sempre fatto, era assistere impotente a quell'orrore. Raccogliere i pezzi della furia del mostro e cercare di rimetterli assieme. Ma non passava giorno in cui, nel vedere i segni di quello scempio sul corpo della sua ragazza, Freds si adirasse. Si sforzava sempre per non darlo a vedere, ma dentro di sè ogni volta qualcosa si incrinava alzando un muro di rabbia sempre più alto, sempre più forte. Ricordava ancora quel giorno in cui aveva mollato un pugno contro una vetrina della sua camera in preda a quel nervosismo. A quell'impotenza. Aveva immaginato di trovarsi di fronte al padre di lei, e che il rumore del vetro in frantumi fosse quello del suo setto nasale contro le nocche della sua mano. Quella volta l'aveva combinata davvero male. Il labbro inferiore spaccato, un occhio cerchiato di nero. Non l'aveva sopportato ed aveva reagito alla violenza con altra violenza. Non si arrabbiava mai. Era sempre stato un tipo abbastanza paziente, non per paura di reagire, ma per semplice quieto vivere. Ma quella situazione lo stava trasformando, e tutta quell'ira ormai pulsava dentro di lui, repressa da mesi. E questo non gli piaceva, non gli piaceva cosa stava diventando. Lo spaventava e forse un giorno avrebbe spaventato anche Mun. Forse un giorno sarebbe diventato uguale al signor Carrow, e lei questo non lo meritava. « Lei mi ama e non dovrebbe farlo. Perchè se anche io la amassi davvero, sarei capace di portarla via da tutta quella merda. Non sono abbastanza per lei, si merita di meglio. » "Ti meriti di meglio" Lo aveva detto anche a lei quel giorno. Quel fatidico pomeriggio in cui tutto era finito. Per tanto tempo aveva sperato di essere lui il suo meglio, aveva sperato di essere lui ciò che si meritava. Ma non era così, e poi lei si era innamorata di lui, peggiorando ogni cosa. Si era innamorata di quel Weasley che non avrebbe mai potuto darle nulla, se non una misera consolazione qualora avesse bisogno. Poteva soltanto leccare le ferite, ma non risanarle, nè tanto meno impedirle. E questo gli faceva male. Vederla tornare a casa sua e non esser sicuro che il giorno dopo l'avrebbe più rivista, gli faceva male. E non riusciva a sopportarlo. Quindi la questione è semplice, aveva fatto ciò che gli riusciva fare meglio quando le situazioni si facevano troppo più grandi di lui: scappare. Lasciare che i problemi si risolvessero soli, chissà forse scomparendo se ignorati. Quindi aveva continuato con la sua vita, ed allora aveva incontrato Abigail. Sapete? Abigail le somigliava molto, ma questo Fred non l'aveva mai notato. Aveva pelle chiara e capelli corvini, dal fisico esile e gli occhi chiari. E nonostante stesse con lei, Fred continuava a pensare a Mun. Non lo faceva neanche apposta, ma ricercava in ogni cosa. Nei sorrisi che Abbie gli dedicava, nei suoi modi di fare. Nel modo in cui si approcciava a lui, nei suoi abbracci, nelle sue labbra calde sulle proprie. Ma Abigail non era abbastanza. Abbie non era Mun, per quanto si sforzasse di crederlo. Quindi non era mai riuscito ad amarla. Nonostante lei provasse sempre a piacergli, accontentandolo tutte quelle volte in cui lui le aveva consigliato di dire o fare qualcosa che non le apparteneva, non c'era mai riuscito comunque. Il colmo di tutta quella situazione era giunto quel giorno in cui, colpevole di aver bevuto un po' troppo ad una festa, l'aveva chiamata col suo nome, e l'aveva fatto persino sotto le lenzuola. Cazzo, lì sì che l'aveva fatta arrabbiare. E lì sì che si era accorto che qualcosa non andava. Ma, al suo solito, aveva deciso di ignorare.

    « Ehm.. io sto bene.. » "Sto bene" quelle parole gli danno la nausea, per quante volte le ha sentite. Per quante volte ha annuito nel sentirle pronunciate dalle sue labbra spaccate, sapendo che no, non stava bene per niente, ma lui non poteva comunque farci un cazzo. Annuisce tuttavia, sorridendo. E' felice di sapere che sta bene e adesso che suo padre è morto sente di poterle credere. Il peggio è passato, il problema è svanito da solo così com'era previsto dalla sua strategia. E allora perchè ti senti comunque una merda? « Il mio metodo per scomparire? Chiunque venda l'anima a Satana riceve un corso intensivo su come passare inosservato. Ti manderò i tutorial. » La sua risata lo contagia, mentre si appresta a sorseggiare nuovamente dalla sua tazza. Caffè, panna e cannella. Che poi uno iperattivo come lui la caffeina non dovrebbe neanche annusarla, ma questi sono dettagli. « E comunque, tu non sapresti sparire nemmeno se lo volessi. Non sei tagliato per non stare in mezzo alle persone. » Si stringe nelle spalle, fingendo indifferenza, con un'espressione parecchio da schiaffi. « Mi hanno fatto così, che posso farci. » Un egocentrico del cazzo, ma che puoi farci? Balza sul bancone a sua volta, ignorando una fitta alla schiena, per sedersi vicino a lei. Si gira a guardarla, mentre la ascolta parlare. E' bella, lo è sempre stata. E' bella ed ha continuato ad esserlo anche dopo averla lasciata. Un tempo quella bellezza gli era appartenuta. Aveva potuto vantare di possederla, almeno in parte. Ne aveva goduto, ammirandola di giorno in giorno e facendola propria. La pelle diafana, simile a marmo, i capelli scuri in netto contrasto. Si domanda se profumano ancora di buono come allora, e si morde il labbro inferiore per distrarsi. « Il campo è andato bene.. ne ho approfittato per finire un paio di libri lasciati in sospeso.. ho esplorato un po' l'isola qua e là. Era molto bello lì. Qualcuno sì. Ma lo sai, non sono una gran chiacchierona. » Osserva le sue labbra muoversi mentre parla. Un tempo ci pendeva da quelle labbra, un tempo amava assaporarle. Mun gli piaceva, gli piaceva in ogni modo possibile. A partire dal suo aspetto fisico -che gli aveva sempre fottuto il cervello se vogliamo esser sinceri- per finire al suo carattere. Era il suo contrario, in tutto e per tutto. Nella scuola, ad esempio, dove eccelleva in diverse materie. Ricordava quelle volte in cui le aveva chiesto aiuto con i compiti, seduti sul letto della sua camera, ma alla fine Fred, l'alunno peggiore che potesse mai esistere, faceva terminare quelle ripetizioni sempre nello stesso modo. Un bacio. Iniziava sempre tutto con un bacio, fino a perdersi completamente. E si è perso anche adesso, nei meandri di quei ricordi, risvegliandosi solo grazie al tintinnio di alcuni piatti precipitati per terra. « Cavolo, quindi hai continuato a fare la secchiona anche in estate.. » La punzecchia, dandole una leggera spallata.
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    « Sono successe tante cose.. di cosa stai parlando nello specifico? » Boom, eccolo che arriva. Non è ancora sicuro di volergliene parlare. Non ne ha ancora parlato apertamente con nessuno, e forse farlo proprio con lei non dev'essere proprio la cosa più giusta. Ma ricordate? E' di Freddie Weasley che stiamo parlando, lui di fronte alle cose più giuste da fare ci sputa. « Del suicidio di Abigail Green. » Mormora dunque, calando lo sguardo. Se ne è parlato così tanto nei corridoi del castello da quando vi è tornato che non ha idea di come Amunet abbia fatto a sfuggire alla notizia. « Non so se la conoscevi, ma sì, ecco, era la mia ragazza. Sono stato io a trovare il suo corpo. Si è ingerita tanta di quella roba che la sua dev'esser stata un'agonia lenta e dolorosa prima di morire. » Sospira, osservando il caffè vorticare attraverso la tazza. « La cosa che non mi dà pace è che fino a poco tempo prima era normale. Non sembrava avere nessun problema..la sera prima era strana, molto strana. Mi ha detto delle parole, mi ha avvertito di alcune cose che non capisco, e poi..E' andata. Suo fratello mi ha dato tutta la colpa, ed io non so come dargli torto. » Si sfiora l'occhio ancora leggermente violaceo con la punta dell'indice « Forse Abbie aveva qualche problema ed io non sono riuscito a capirlo. Non sono riuscito a salvarla, di nuovo, neanche lei. Perchè non ci riesco mai? » Sospira, non più certo che il soggetto del suo discorso sia ancora Abigail. « Più ci provo, più mando sempre tutto a puttane. Quante persone dovranno ancora soffrire per colpa mia prima che io riesca ad essere abbastanza? » Alza il capo per guardarla soltanto in quel momento. « Perdonami, forse non ho il diritto di parlare di certe cose proprio con te. Però...Fa male. So di meritarmelo, sappiamo che me lo merito, ma fa male comunque. » Tu che sai cos'è il dolore, aiutami.
     
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    Abigail Grenn - alle 17:45 si reca presso gli alloggi del suo ragazzo confessandogli molto velatamente di essere una spia, cerca di avvertirlo sul pericolo che incorrono tutti per via degli uomini del padre. Durante la conversazione sarà piuttosto esplicita sulle preoccupazioni concernenti "un'ombra che si aggira tra di noi". Alle 18:30 dello stesso giorno si recherà verso l'infermeria rubando due flaconi di antidolorifici. Col calare delle tenebre, dopo la mezza notte, si assumerà le pillole contenute nei due flaconi. Morirà solo alle 5:38. « Del suicidio di Abigail Green. » Il suo quesito trova subito risposta. E lei dal canto suo, neutra e indifferente, continua a sorseggiare la propria tazza fumante di caffè. In cuor suo la cosa non le piace affatto. Odia il fatto che il loro primo incontro dopo mesi e mesi di nulla, debba essere relegato a una persona infinitamente stupida, approssimativa e oltretutto controversa. In molti lo sapevano che non eri il suo solo. Ma tu sei così; quando vuoi non vedi niente. Ryuk ghigna accanto a sé, sfiorandole la spalla con la propria mano ossuta. « Adoro i suoi modi. Cerca la sua ex ragazza per parlare della sua ragazza morta. » A discolpa di Freddie, non l'ha cercata. Si sono letteralmente scontrati uno contro l'altro. E' una scusa abbastanza tangibile? Regge davvero come giustificazione? No. Decisamente no. Annuisce mentre un sorriso sarcastico si dipinge sulle sue labbra. L'unica cosa che rimpiange in quel suicidio assistito è il fatto che ha reso ad Abigail Green i suoi quindici minuti di notorietà. Certo, se ne faceva poco ora che era a tre metri sotto terra, ma era pur sempre pubblicità gratuita. « Ah.. è di questo che volevi parlare.. ma certo.. » C'è una nota amara e chiaramente sarcastica, nonché apertamente irritata nel proferire quelle parole. « Ci vuole una certa dose di genialità anche per essere così stupido. » Ryuk rigetta quelle parole fuori dalle labbra con aperta ostilità, quasi facendo eco ai pensieri di Mun, che chiaramente tranquilla non è all'idea di parlare dell'argomento. Lo conosce Freddie, sa com'è fatto. Si starà dando la colpa di tutto, starà pensando che non ha fatto abbastanza. « Non so se la conoscevi, ma sì, ecco, era la mia ragazza. Sono stato io a trovare il suo corpo. Si è ingerita tanta di quella roba che la sua dev'esser stata un'agonia lenta e dolorosa prima di morire. » Non sai quanto. E sarebbe andata peggio se solo non fosse implosa da dentro. Si meritava di peggio, si meritava le pene dell'inferno anche da viva. Stringe i denti senza proferire parola, mentre si lascia pervadere da quell'odio. C'è della gelosia, ma c'è soprattutto odio. Odio per tutti quei mostri che hanno attaccato i loro simili, che hanno ucciso a sangue freddo, madre, padri e figli. C'era gente che voleva far credere loro che la guerra contro i babbani fosse sbagliata; quei Ribelli per esempio. Vorrei vedere cosa avrebbero detto se ci avessero visti saltare per aria tutti quanti. Non mi stupirebbe se scoprissi che nell'attacco a King's Cross ha un qualche ruolo. « La cosa che non mi dà pace è che fino a poco tempo prima era normale. Non sembrava avere nessun problema..la sera prima era strana, molto strana. Mi ha detto delle parole, mi ha avvertito di alcune cose che non capisco, e poi..E' andata. Suo fratello mi ha dato tutta la colpa, ed io non so come dargli torto. » Certo che ti ha avvertito di cose. Ti stava dicendo che è una terrorista del cazzo - anche letteralmente si vede. Victor Green le piaceva; le ricordava molto suo fratello e per questo, Mun l'ha sempre stimato. Un ragazzo schivo, ottimo studente, un elemento invidiabile dei Corvonero che la giovane Carrow si è sempre chiesta come facesse a essere imparentato con la squinzia della sorella. « Ci hai mai fatto caso a quanto ti somiglia? Capelli corvini, occhi azzurri, pelle bianca come la morte.. » Vorrebbe dire a Ryuk che la morte non è bianca; una battuta scema che potrebbe davvero stemprare la tensione. Effettivamente a quello non ci aveva mai pensato. Ed è così che il diavolo interpone la propria coda tra gli umani. « Forse Abbie aveva qualche problema ed io non sono riuscito a capirlo. Non sono riuscito a salvarla, di nuovo, neanche lei. Perchè non ci riesco mai? Più ci provo, più mando sempre tutto a puttane. Quante persone dovranno ancora soffrire per colpa mia prima che io riesca ad essere abbastanza? » Mun non ricambia il suo sguardo. Non gli offrirà il conforto che cerca. « Perdonami, forse non ho il diritto di parlare di certe cose proprio con te. Però...Fa male. So di meritarmelo, sappiamo che me lo merito, ma fa male comunque. » È rimasta in silenzio fino a quel momento, lasciando che il ragazzo si sfogasse. Mun sapeva ascoltare, ascoltava pure troppo, a volte sentiva solo ciò che voleva, ma era innegabile il fatto che sapesse lasciare il proprio spazio alle persone. Provò una specie di fitta nel vederlo così in pena; in cuor suo non avrebbe voluto che Freddie stesse così, non considerava nemmeno se lo meritasse. Seppur la pattina superiore dei suoi pensieri lo odiasse apertamente, considerandolo sciocco, seppur si costringesse a non provare alcun tipo di empatia nei suoi confronti, quei sensi di colpa li capiva. Erano i suoi sensi di colpa, quelli che provava perennemente e che pure di rimando liquidava con un era la cosa giusta da fare. E forse Mun non era prettamente disinteressata al rapporto tra Fred e Abigail, forse non le stava del tutto indifferente cosa Weasley facesse della sua esistenza, ma era davvero la cosa giusta da fare. Qualcuno potrebbe giustamente replicare che una condanna a morte non è la cosa più civile che ci sia al mondo, che la morte è troppo definitiva ed è sopravvalutata per la salvaguardia di coloro che amiamo, ma quando le scelte si limitano a un'accusa in piazza che potrebbe portare a mesi e mesi di incertezza mentre il nemico si riorganizza, l'eliminare definitivamente una minaccia di colpo, compromette l'avversario di netto, senza dargli il tempo di riorganizzarsi.
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    E' vero. Non ce l'hai quel diritto. Non hai diritto di cercarmi, di parlarmi, non hai nemmeno il diritto di guardarmi. Alla fine solleva lo sguardo, abbandona la tazza di caffè al suo fianco e salta giù dal bancone, giusto per posizionarsi di fronte a lui, alla giusta distanza che il loro attuale rapporto permetta. « Sempre a voler fare l'eroe eh? » Scuote la testa mentre un leggero sorriso, freddo come la morte imperla le sue labbra rosse. « Hai sempre avuto questa foga di voler per forza salvare le persone. Anche da loro stesse.. » Tu da chi sei stato salvato? Noi da chi siamo stati salvati? Da nessuno. Ci siamo salvati da soli. « Per esperienza personale, le persone si salvano da sole.. e se non lo fanno, finiscono come la tua.. ragazza. » Il suo è un discorso chiaro, lucido, freddo, chirurgico. Viviseziona un argomento che chiaramente non ha niente a che fare con Abigail. Mun vuole che lui sappia che non ha bisogno di lui, che non ha mai avuto bisogno di lui, che in realtà non è stato altro che ostacolo al suo salvarsi. Ryuk aveva ragione; ha sempre avuto ragione. Le persone sono interessanti, sono divertenti, ma non sono degne di fiducia, non sono degne di amore. Siamo tutti belve sperdute, e del prossimo non c'interessa. « Victor era chiaramente addolorato; è comprensibile, ha perso una sorella. Farei molto di peggio al posto suo. » Ryuk ride. Sanno entrambi a cosa Mun si riferisce. Morte. Si allontanò appena soltanto per afferrare da una pila ancora da distribuire nelle sale comuni, il numero di quella mattina della Gazzetta, che Mun aveva già ricevuto grazie al suo fedele gufo. « Lo hai letto il giornale stamattina? » Per piacere, ma che domande faccio. Ai tempi in cui stavano insieme, Fred non andava oltre la pagina sportiva, anche quella passata in rassegna solo ed esclusivamente se per qualche ragione la radio si era rotta e non poteva sentire i suoi programmi radiofonici sportivi preferiti. Sfogliò la Gazzetta di fronte ai suoi occhi fino ad arrivare a un grosso articolo nella sezione di cronaca. Parlava di Abigail e del suo suicidio, della lettera che aveva consegnato al padre prima di calarsi due confezioni di antidolorifici e di come il padre, distrutto dalla notizia di aver condotto alla morte la figlia si era tolto a sua volta la vita. Pare che in quella famiglia siano rimasti i migliori; l'ex moglie, Purosangue e Victor. Ci metterebbe la mano sul fuoco se potesse: Green ha tradito i maghi quando sua moglie l'ha lasciato. Green sarebbe stato pronto a piazzare chissà quale diavoleria dentro il castello solo perché la sua donna non era più suo. Incrocia le braccia al petto lasciandogli il tempo di leggere. E alla fine, con noncuranza e un sorriso quasi compiaciuto, lascia che i loro sguardi s'incontrino. « Sicuro che la conoscessi così bene? Sono certa che se non lo ha già fatto, anche Victor cambierà idea.. sempre se non è immischiato anche lui in questa faccenda. » Non si preoccupava di mostrarsi così disinteressata all'argomento; Mun non è mai stata ipocrita, non ha mai finto interesse nei confronti di argomenti di comune buonismo. Lo diceva anche a Freddie; lo diceva a chiunque glielo chiedesse. Davvero non t'interessa questa e quell'altra cosa? No. Se è successo, qualche motivo ci sarà. Pur avendo conosciuto Ryuk solo due anni fa, Mun ha sempre avuto una visione provvidenziale del mondo. Era certa che ogni fatto aveva un causa, era una reazione a qualcos'altro ed era premessa di qualche altro avvento che doveva a sua volta accadere. Niente accade mai per caso. « Lo scopriremo presto. A questo punto sarà solo questione di tempo prima che l'Inquisizione faccia due più due e capisca la rete di questi.. terroristi. » Nel dire quell'ultima parola, l'odio divenne trasparente. Abigail era una terrorista. Suo padre lo era. E lei non aveva intenzioni di fingere di fregarsene della sua morte, visto che aveva solo fatto un favore a tutti loro nel crepare male. Assottiglia appena lo sguardo, fissandolo intensamente, presa dalla foga di dimostrargli che lei stesse effettivamente bene. « Per rispondere alla tua domanda, non è colpa tua. Le cose succedono Freddie, succedono di continuo, che a te vada bene o meno. » Sorride appena con un che di più malizioso dandogli una pacca sulla spalla. « Perdonami se te lo dico, ma non sei il centro dell'universo. » Mun mena, colpisce, forte, pur mantenendo un tono di voce pacato ed equilibrato, quasi amichevole. « Che a te vada bene o meno, il mondo continua a girare. Non sarai certo tu a fermare la ruota. » Per quello c'è Ryuk. « Tu non sarai mai abbastanza. » Gli dice infine. Un angelo della morte fatto di carne ed ossa. Dalle iridi chiare che paiono due voragini. « Nessuno è mai abbastanza per nessuno. Per questo abbiamo noi stessi. » Non ti aspettavi davvero che io ti consolassi per la morte della tua ragazza, vero? Ad essere sincera, la farei morire dieci, cento, mille volte, se questo continuerebbe a farti sentire in questo modo. E lo farei anche senza motivo, anche se lei non fosse terribilmente colpevole. Lo farei anche se non sarebbe la cosa giusta da fare.

     
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    « Sempre a voler fare l'eroe eh? » "Non fare l'eroe." Così aveva risposto Angelina Johnson quella volta che Freddie le aveva parlato di lei. Quella era una frase che gli diceva spesso, ma che quella volta, gli aveva gettato addosso con una freddezza ed una severità senza eguali. Amunet ad Angelina non era mai piaciuta, e questo Freddie lo sapeva. Era colpevole di esser nata nella famiglia sbagliata, e di portarsi dietro quel cognome che, ai tempi della prima battaglia di Hogwarts, aveva fatto tremare le mura del castello. Le stesse mura dove Angelina stessa aveva combattuto, ed aveva perso molto. Fred Weasley c'era morto, in quella battaglia, lasciandola da sola con quel bambino che -ancora inconsapevole- portava in grembo. Freddie, il suo piccolo Freddie, era l'unico ricordo che le era rimasto del suo primo amore. E gli somigliava, cavolo se gli somigliava. Testardo, orgoglioso, a tratti stupido ed infantile è vero, ma coraggioso, così coraggioso. Lo stesso coraggio che aveva spezzato per sempre suo padre, strappandolo via dalle sue braccia senza darle neanche il tempo per accorgersene. E così, quando suo figlio le aveva raccontato di Amunet, della minaccia che gravava su di lei e di quanto quel Carrow fosse davvero un mostro così per come aveva sempre immaginato, Angelina non aveva voluto sentire ragioni. Aveva tagliato corto, con tono di voce gelido, e -sapendo che Freddie sarebbe stato troppo orgoglioso per ascoltarla- aveva deciso di ferirlo. Perchè lo conosceva, e sapeva che quello era forse l'unico modo per fermarlo. Per quanto facesse male, per quanto fosse l'ultima cosa a cui credeva sul serio, lo aveva ammonito dicendogli di non fare l'eroe, perchè lui non lo era mai stato. "Tuo padre per fare l'eroe c'è morto" Avrebbe voluto aggiungere, ma non l'aveva fatto. Teneva troppo al suo bambino per rivelargli una cosa del genere. Sapeva quanto l'avrebbe distrutto dall'interno; quanto si sarebbe sentito in colpa nei confronti di George. Per questo motivo, dopo aver sacrificato tanto nella sua vita per il suo piccolo, non avrebbe permesso che qualcuno glielo portasse via così. A Fred, chiaramente, quella risposta non era piaciuta. Sapeva quanto sua madre non ci tenesse particolarmente alla sua storia con Mun, ma vederla reagire con così tanta freddezza di fronte alla prospettiva che una ragazza della sua stessa età venisse costantemente maltrattata dal padre senza motivo beh..Aveva fatto male. "Non fare l'eroe, perchè non lo sei." « Hai sempre avuto questa foga di voler per forza salvare le persone. Anche da loro stesse.. Per esperienza personale, le persone si salvano da sole.. e se non lo fanno, finiscono come la tua.. ragazza. » E questa fa male. Lui aveva lasciato che Mun si salvasse da sola. Fa per ribattere, ma non sa esattamente cosa dire. Non ha esattamente nulla da dire. Amunet è lì, ormai di fronte a lui, il tono di voce freddo. La guarda, e nei suoi occhi non vede altro che indifferenza. Cosa ti aspettavi, Weasley, un abbraccio? Proprio da lei? Non lo sa, forse sì forse no. La verità è che non ragiona quando fa le cose e poi, alla fine, si ritrova in situazioni del genere. Di fronte ad un'Amunet fredda come ghiaccio, pronta a schiaffargli in faccia senza remora alcuna il fatto che lei ce l'abbia fatta, alla fine, a salvarsi da sola. In fondo era ciò che voleva, Freds, e allora perchè si sente comunque una merda? « Ma lei non si meritava di morire... » E neanche tu, neanche tu ti sei mai meritata tutto ciò che hai dovuto subire, ma io questo non posso dirtelo. Si morde il labbro inferiore, visibilmente a disagio. « Lo hai letto il giornale stamattina? » Scuote la testa, lui i giornali non li legge mai. Lui non legge mai in generale, a dirla tutta. Era sicuro che la morte di Abigail Green sarebbe finita in prima pagina prima o poi, ma non aveva voluto accertarsene. Forse perchè a dirla tutta non si era reso conto che fosse successo davvero. Che non l'avrebbe più rivista, a parte nell'ultima sua foto in quel dannato giornale. Cala lo sguardo verso la gazzetta, i grandi occhi ambrati a setacciare avidamente ogni riga, ogni lettera. Dapprima la individua, Abigail, con quello stesso sorriso ancora caldo nei suoi ricordi. Passa due dita sulla foto, mordicchiandosi l'interno della bocca. Non ha potuto nemmeno assistere al suo funerale, Freds. L'ha salutata così, guardandola mentre veniva trasportata su quella barella, lo sguardo vitreo e la pelle fin troppo pallida. Morta. Come la sua. Alza lo sguardo per qualche istante su Mun, davanti a lui con le braccia incrociate. La sua pelle è sempre stata bianca, è vero, ma adesso che se ne accorge..Lo sembra ancora di più. Distoglie lo sguardo e torna sul giornale. C'è scritta ogni cosa, tutta la verità. Il suicidio di Abigail, la conseguente morte di suo padre, un babbano. Fred non si era mai interessato particolarmente alla sua famiglia. Sapeva che i suoi genitori fossero divorziati, e che lei e il fratello vivessero separati. Victor Green era spettato alla madre, mentre lei al padre. Ciò nonostante, Abbie non aveva mai approfondito la faccenda. Gli parlava raramente del signor Green, e Freds dal canto suo tentava sempre di non intromettersi. « Cosa..Cosa significa tutto questo? » Sussurra, alzando lo sguardo verso di lei. Tutto ad un tratto, ogni tassello sembra tornare al suo posto. Gli ultimi deliri di Abigail, quelle parole che tanto l'avevano confuso qualche ora prima della sua morte. Una spia. No, non voleva crederci. Non era ancora riuscito ad assimilare la sua morte, per sopportare anche questo. L'aveva tradito, forse l'aveva pure usato per tutto quel tempo. D'un tratto il ricordo di Abigail si intacca, incrinandosi appena. « Sicuro che la conoscessi così bene? Sono certa che se non lo ha già fatto, anche Victor cambierà idea.. sempre se non è immischiato anche lui in questa faccenda. Lo scopriremo presto. A questo punto sarà solo questione di tempo prima che l'Inquisizione faccia due più due e capisca la rete di questi.. terroristi Scuote la testa, posando la tazza di caffè sul bancone. Mun è indifferente. Lo osserva con sguardo gelido, l'espressione impassibile. Non capisce come faccia. Non capisce se è questo ciò che è diventata. Di sicuro non è questo ciò che ricorda di lei. La Carrow è sempre stata diversa da lui, è vero. Una degna figlia di Salazar, con la sua mente sveglia e quella forza interiore capace di fare alzare la testa di fronte a tutto, nonostante tutto. Ma ciò nonostante, Mun era una creatura buona. Forse piegata dal male da questo mondo, ma non ancora irrimediabilmente intaccata. E questa era una delle cose che aveva amato di lei.
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    La sua capacità di rimanere sè stessa, persino di fronte all'orrore che quella vita le aveva sempre imposto. Ad oggi, però, non ne è più tanto sicuro. La vede, e non la riconosce. Bella è bella come lo era ai tempi. Con quei suoi occhi magnetici, e quei capelli così scuri da mettere ancora più in risalto la pelle bianca. Ma è una bellezza diversa. Letale. Una statua di marmo dal cuore di ghiaccio.

    « Ma sei seria? Abigail è morta. Morta. Poteva anche essere una spia per conto mio, una terrorista o quello che vuoi, ma non meritava di morire comunque. La morte non è una soluzione, non lo è mai. » Lo vede, lo vede quell'odio nei suoi occhi. Forse ha ragione, forse Abigail li ha ingannati tutti sin dal primo momento, ma Fred ha sempre creduto alle seconde possibilità. Se solo l'avesse capito..."Sempre a voler fare l'eroe, eh?" « Per rispondere alla tua domanda, non è colpa tua. Le cose succedono Freddie, succedono di continuo, che a te vada bene o meno. » Gli dà una pacca sulla spalla, mentre lui continua a guardarla, lo sguardo appena assottigliato. E' vero, le cose succedono, ma ciò non toglie quanto possano far male. Si sente sempre di più uno stupido per averle raccontato ogni cosa. Cosa si sarebbe aspettato, in fondo? L'aveva lasciata. Mun non gli apparteneva più, non avevano più nulla da spartire, e lei aveva tutto il diritto di trattarlo così. Di non fregarsene nulla della morte della sua attuale, o meglio, ex ragazza. Di fargli capire che ormai, lei, non è più la ragazza indifesa che aveva sempre stretto tra le braccia. Così esile, così delicata da avere ogni volta paura di spezzarla. E l'aveva spezzata, alla fine, Fred. L'aveva fatto eccome, e adesso ne stava pagando le conseguenze. « Perdonami se te lo dico, ma non sei il centro dell'universo. » Boom. Il cuore perde qualche battito, mentre rimane immobile a guardarla. Per un attimo tutto il chiasso di quella cucina sembra tacere. Mun colpisce, Mun lo ferisce di rimando come lui ha fatto con lei. "Non sei un eroe, non lo sei mai stato" Si passa una mano fra i capelli, mentre scuote la testa, un sorriso amaro a distendergli le labbra. Come già detto, Fred non si arrabbia mai. Ma può esser ferito. E quando viene ferito, attacca. « Che a te vada bene o meno, il mondo continua a girare. Non sarai certo tu a fermare la ruota. Tu non sarai mai abbastanza. » Parole rubate quelle. Parole rubate che a dirle avevano fatto male, ma a sentirsele dire facevano ancora più male. Per qualche istante, ogni cosa scorre di fronte ai suoi occhi. Amunet si trasforma, lasciando spazio ad una versione di se meno matura, e più viva. E' l'Amunet appena sedicenne che ha conosciuto. Rivede il loro primo incontro in Sala Grande, il loro primo appuntamento ad Hogsmeade. Rivede sè stesso, Albus, Amunet e Betty seduti a quel bar che per tanto tempo era stato il loro bar, il loro posto sicuro. Rivede la sua risata, i suoi occhi chiari a scrutarlo divertiti. I regali di Natale, le serate trascorse al lago nero. Le vacanze estive, le ripetizioni di Storia della Magia. I primi baci, le prime carezze, la loro prima volta. E poi di nuovo i baci, e di nuovo le risate, e di nuovo i sorrisi. E poi i lividi e le cicatrici. La rabbia, la debolezza, l'impotenza di fronte a quell'orrore. Ed infine quel ti amo, quel dannatissimo ti amo. E poi il nulla. Ride. Una risata dalla dubbia provenienza, che ha ben poco di quella sua solita innocenza, di quella sua solita trasparenza. Una risata amara, graffiante e tagliente, a tratti sarcastica, a tratti persino cinica. Ed ecco che la bestia ferita attacca per non farsi ferire ulteriormente. « Nessuno è mai abbastanza per nessuno. Per questo abbiamo noi stessi. » Balza giù dal bancone, cercando il suo sguardo. « Tu non mi hai ancora perdonato, non è così? » Sibila, il tono di voce affilato « La morte di Abigail non ti scalfisce perchè tu, dopo tutto questo tempo, provi ancora rancore verso di me. Dio, sei così indifferente. Così fredda. Sembra quasi che te la aspettassi, la sua morte. E' questo ciò che sei diventata in questi due anni di silenzi e sparizioni? L'ombra di te stessa?» "un'ombra che si aggira tra di noi" Piega la testa di lato, scrutandola. Uno strano pensiero sembra voler emergere, ma scuote la testa. Impossibile. « Una ragazza della nostra stessa età è morta e tutto ciò che tu sai dire è che è colpa sua, per non essere riuscita a salvarsi da sola. A questo si riduce la vita di una persona per te? » Sospira, da un lato vorrebbe smetterla, dall'altro non ci riesce. « E' perchè ti ho ferita, vero? Per questo Abigail si è meritata di finire per com'è finita? Com'è che si dice, occhio per occhio dente per dente? »
     
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    « Ma sei seria? Abigail è morta. Morta. Poteva anche essere una spia per conto mio, una terrorista o quello che vuoi, ma non meritava di morire comunque. La morte non è una soluzione, non lo è mai. » Quelle parole la feriscono. Non lo da a vedere ma si sente come messa al muro. Con Freddie non potrà mai parlarne, non potrà mai dirglielo, nemmeno se Ryuk dovesse mai darle il permesso di farlo, nemmeno se un giorno dovesse svegliarsi abbastanza magnanime da lasciare che lei condivida quel peso con qualcuno. Freddie è sempre stato buono, sin troppo buono per lei. Per molto tempo è stata lei a pensare di non essere abbastanza, perché seppur nella sua innocenza, il giovane Weasley sapeva sempre fare la cosa giusta. Era buono e generoso, ed estremamente leale con i suoi amici. Lottava per ciò in cui credeva con le unghie e i denti. Ecco perché devo fare in modo che non ci creda più. Perché io lo so, lo vedo. I tuoi occhi mi parlano. Mi hanno sempre parlato. Non potrebbe mai sopportare di essere guardata in quel modo. Non potrebbe mai sopportare di sentirsi giudicata da lui. E sa, lo sa con tutta se stessa, che anche se dovesse mai comprendere che la sua è una forma di prigionia, non la vedrebbe mai con gli stessi occhi. Un'assassina. Qualunque cosa fosse successo, Mun sarebbe sempre rimasta un'assassina. « Tu non mi hai ancora perdonato, non è così? » Sorride appena scuotendo la testa. « Oh per l'amor del cielo anche tu con questa storia! » Non fa in tempo di finire, perché lui continua. « La morte di Abigail non ti scalfisce perchè tu, dopo tutto questo tempo, provi ancora rancore verso di me. Dio, sei così indifferente. Così fredda. Sembra quasi che te la aspettassi, la sua morte. E' questo ciò che sei diventata in questi due anni di silenzi e sparizioni? L'ombra di te stessa? Una ragazza della nostra stessa età è morta e tutto ciò che tu sai dire è che è colpa sua, per non essere riuscita a salvarsi da sola. A questo si riduce la vita di una persona per te? E' perchè ti ho ferita, vero? Per questo Abigail si è meritata di finire per com'è finita? Com'è che si dice, occhio per occhio dente per dente? »

    Lo ascoltò con attenzione, soppesando ogni sua parola, una ad una, mentre i pugni si stringevano fino a rendere quelle nocche ancor più bianche di quanto non lo fossero già normalmente. Che cosa ci è successo? Quando siamo diventati così? Quando ci siamo allontani così tanto. Mun sa che non c'è una sola parte del discorso di lui a lasciarla indifferente. Non il significato di fondo, e tanto meno le dirette critiche che le sta facendo. Una ragazza è morta e lei se ne sta lì come se niente fosse successo. Una ragazza della sua età, una ragazza che poteva avere problemi simili ai suoi, non che li avesse mai manifestati. Ma d'altronde nemmeno Mun l'aveva fatto. Mai. Lei stava sempre bene. Mentre lui conclude il suo discorso, lo fissa, sfida il suo sguardo con glaciale impassibilità. E' saltato dal bancone avvicinandosi, e lei di rimando indietreggia, senza discostare lo sguardo dal suo nemmeno per un istante. Quegli occhi. Le sono sempre piaciuto. Le è sempre piaciuto il modo in cui sembravano voler sfidare il blu dei propri. Fuoco e ghiaccio a confronto. Dei comunissimi occhi castani, avrebbe detto per esempio sua sorella, che andava così fiera del loro tratto distintivo: gli occhi blu; per Mun invece, non lo erano mai stati, non lo saranno mai. Seppur una parte di sé sembra rinnegare qualunque forma di avvicinamento al ragazzo, un'altra è convinta che in un modo o nell'altro scrollarselo di dosso del tutto non riuscirà. Sono ancora brava ad ascoltare. Era stata lei a volere quell'incontro. Lo aveva bramato. Voleva tornare ad averlo intorno, respirare la sua stessa aria per più di cinque minuti. Freddie, lo avrebbe sempre bramato, in un modo o nell'altro. Il suo primo amore. La persona che le ha fatto battere il cuore per la prima volta. Non sapeva cosa provasse al momento per lui, non sapeva perché continuava a non volerlo lasciare andare e al contempo non sapeva perché desiderata così tanto trattarlo male, così male da fargli provare almeno un decimo del dolore che lei ha provato. Lo supera ritornando verso il bancone. Nel tragitto le loro spalle si scontrano, ma la ragazza passa oltre senza concentrarsi su quell'unico contatto. Riprende il giornale e questa volta va in fondo, alle ultime pagine. Un tempo i necrologi riempivano poco più di un quarto di pagina. Ora, c'erano addirittura le liste; le dediche e le onorificenze erano riservate ai pochi, a chi avesse abbastanza soldi da pagarsi un posto d'onore sulla Gazzetta. E questi sono solo i nati babbani. Non i babbani, bensì i nostri babbani. « Emily Swan, Joy Granger, Neil O'Connor, Patrik Jones, Craig Anderson, Helga Donati, Jude Peterson, Kristen Leroy, Joe Delago, Peter Stone, Louis Delacroix, James Robinson, Mary Jane Stanford, Godwin Lancaster.. » Continuò a leggere ancora nomi e nomi per un po', finché non finì la colonna. In tutto poteva aver elencato più di una trentina di nomi, prima di accartocciare il giornale schiaffandoglielo contro il petto con violenza. « Colpito? Stai per caso soffrendo? Non lo vedo. Dov'è la tua sofferenza? »
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    Si stringe nelle spalle scoccandogli un'occhiata cinica. « Eppure questa gente è morta ieri. E ti do una notizia: probabilmente non erano nemmeno terroristi. E sono morti in circostanze misteriose, per un morbo di cui nessuno ci capisce niente. » Preme contro il giornale con l'indice. « Questo è ingiusto. Per gente che avrebbe potuto mettere in pericolo i nostri amici, tua sorella, i tuoi cugini, la tua famiglia, così come la mia, non ho particolare simpatia. » All'idea che suo fratello potrebbe rimanere ferito o peggio ancora, per le soffiate di una povera squinzia che non ha saputo scegliere la parte giusta della barricata, il sangue le ribolle nelle vene. Se lo meritava. Se avessi potuto, le avrei fatto di peggio. « Perdonami se non riesco a essere ipocrita e dispiacermi per una tipa con cui non ho mai parlato e che per giunta era una mina vagante per tutti noi. » Si allontana il più possibile, mentre lo sguardo disgustato si sposta altrove, tra le figure degli elfi domestici che corrono di qua e di là. « Kingsley aveva ragione. Ha sempre avuto ragione. Avevamo una sporca spia tra noi e non ne sapevamo niente. COME FAI! COME! Dopo l'attacco a King's Cross, come fai a prendere ancora le parti di quelle persone? Ci vogliono morti, da quando hanno scoperto della nostra esistenza. » Se lo ricorda l'attacco dei babbani. Ricorda la polvere e il fumo. Le bombe sul binario 9 e 3/4. Si ricorda di essersi stretta al fratello per paura che qualcosa potesse accadere. Non a me, bensì a lui. A tutti noi. Ho visto per la prima volta la loro forza distruttrice, le armi con cui ci combattono. Il modo spietato in cui si scagliano contro ragazzini indifesi. Dopo tutto quello, come fai a essere ancora dalla loro parte? D'istinto il suo sguardo si perde, la voce si abbassa. « Credi che io goda solo perché era una tua scopata? » Sorride alzando sollevando appena le braccia come in segno di arresa. « Beh, ritenta e sarai più fortunato, perché non me ne può fregare di meno, né di chi ti scopi, né di chi crepa male attorno a te. » Scuote la testa. « Cosa ti aspettavi? Che ti abbracciassi e ti consolassi? Per l'amor del cielo Freddie, anche senza quell'articolo, la situazione è paradossale; stai cercando conforto tra le braccia della tua ex ragazza per la morte della tua ultima ex ragazza. » Fa un passo avanti nella sua direzione mentre sfida il suo sguardo. « Ecco il mio conforto: è fortunata ed è stata sveglia. Perché semmai l'avessero scoperta mentre era ancora in vita, se avessero scoperto ciò che faceva, se la sarebbe passata molto, ma molto peggio. » Pausa. « Quante persone devono ancora vivere con una spada di Damocle sopra la testa, prima che tu ti accorga che siamo in guerra? Oh certo. Facile così! La Carrow è una persona di merda perché non prova dispiacere nei confronti della morte di una spia che metteva a repentaglio la sicurezza di tutti noi, mentre Fred Weasley Jr è un salvatore della patria perché si rifiuta di vedere l'evidente mina vagante che si portava a letto. In quale modo è differente la nostra cecità Fred? Oh giusto, bisogna farci scappare il morto, prima di allarmarci. Errore mio. » Sbuffò pronta ad abbandonare le cucine. « Risparmiami le prediche e vai a farti consolare da qualche altra ipocrita come te. »

     
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    « Emily Swan, Joy Granger, Neil O'Connor, Patrik Jones, Craig Anderson, Helga Donati, Jude Peterson, Kristen Leroy, Joe Delago, Peter Stone, Louis Delacroix, James Robinson, Mary Jane Stanford, Godwin Lancaster.. » Come si reagisce dinnanzi ad una tempesta in atto? Non lo sa. Si rimane lì, fermi, da un lato impotenti, dall'altro troppo spaventati per poter reagire. Il problema di Freddie, tuttavia, è proprio questo: lui non è spaventato. E' vero, quella versione di Amunet lo destabilizza, non la conosce a pieno e non sa come trattarci, ma non gli fa paura. Dovrebbe, sa che dovrebbe. Perchè lo sente l'odio nella sua voce, la vede quella scintilla di gelido fuoco brillare nei suoi occhi. E a volte, avere paura è un bene. A volte avere paura delle cose ti salva dal compiere stronzate. Dovrebbe andarsene. La situazione si è scaldata tanto che è certo non potrà che andare sempre peggio. La cosa più giusta da fare sarebbe smetterla lì in quel pericoloso gioco di accuse, girare i tacchi e tornarsene da dov'era venuto. Non era sua intenzione litigare con Amunet, non lo è mai stata. Eppure eccolo quì, Weasley, ad incassare i suoi colpi con la mascella serrata ed i pugni stretti. Perchè Fred è fatto così, Fred vuole sempre l'ultima parola, anche quando quella parola si rivela la stronzata più stronzata di sempre. Vuole andare fino in fondo, addentrarsi nelle situazioni e snocciolarle fino alla fine. Quindi no, il Grifondoro non se ne andrà. Rimarrà lì fino alla fine, fino all'ultima goccia di odio che la Carrow riuscirà a gettargli addosso. Nonostante faccia male, anche troppo male. Indietreggia appena di qualche passo non appena lei gli sbatte con forza il giornale al petto, agguantandolo con le mani e setacciando con un rapido sguardo tutti quei dannati nomi. Figli strappati ai genitori, genitori strappati ai figli, un circolo vizioso di dolore e sofferenza. « Colpito? Stai per caso soffrendo? Non lo vedo. Dov'è la tua sofferenza? » Non conosce nessuno di quei nomi, eppure la sente la loro sofferenza. E mentre la sente, si chiede perchè lei, proprio lei, gli stia facendo questo. Vorrebbe dirle di smetterla, da un lato persino implorarla di tacere e tornare a sorseggiare il loro caffè fino a come qualche secondo fa, ma non lo farà. Fred non prega, non implora nessuno. Rimane lì, di fronte alla tempesta, la testa alta mentre incassa ogni colpo. Questo però non toglie quanto possa far male. Quei fendenti fanno male, fanno male specie in una situazione come quella in cui si trova. « Eppure questa gente è morta ieri. E ti do una notizia: probabilmente non erano nemmeno terroristi. E sono morti in circostanze misteriose, per un morbo di cui nessuno ci capisce niente. Questo è ingiusto. Per gente che avrebbe potuto mettere in pericolo i nostri amici, tua sorella, i tuoi cugini, la tua famiglia, così come la mia, non ho particolare simpatia. Perdonami se non riesco a essere ipocrita e dispiacermi per una tipa con cui non ho mai parlato e che per giunta era una mina vagante per tutti noi. » Si morde il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo. Ricorda tutte quelle volte in cui ha portato Abigail a casa. Tutte quelle cene in cui nonna Molly l'ha invitata a restare. I giochi da tavolo assieme ad Hugo ed Albus, le classiche conversazioni umilianti di rito con tanto di album dei ricordi assieme a sua sorella Roxanne. Le aveva dato tutto Fred, come d'altra parte faceva sempre. Si donava completamente alle persone, affezionandosi così tanto che poi, quella voragine lasciata dal loro abbandono, non era poi tanto facile ricolmarla. Il pensiero che possa anche solo per un attimo aver messo in pericolo la sua famiglia lo destabilizza, mentre la sua espressione si incupisce sempre di più. Fa per parlare, ma non ci riesce. La voce gli muore in gola, mentre il cuore continua a martellargli il petto. Si trova di fronte ad una bomba ad orologeria. Non sa come contenerla, non ha idea di come fronteggiarla. Per la prima volta sembra vederla sotto una luce diversa. Non è l'Amunet che si ricordava. No, è diversa. Questa è un'Amunet più matura, agguerrita. Dotata di una gelida consapevolezza dei fatti, a primo impatto priva di qualsiasi scrupolo. Lo colpisce con il piacere di colpirlo. Non l'ha mai vista come il nemico, Fred, nonostante sua madre e suo padre glielo dicessero sempre. George era sempre stato abbastanza blando sulla faccenda, la giovane rampolla dei Carrow non gli andava poi tanto a genio è vero, ma non l'aveva mai ritenuta una particolare minaccia. Al contrario di Angelina. "E' il nemico" ripeteva sempre, ricavandosi i sonori quanto scocciati sbuffi del figlio. Ma oggi, Fred comincia a vederla sotto una nuova prospettiva. Non è più la ragazza che amava tanto farsi stringere dalle sue braccia un tempo. Non è più l'adolescente piena di lividi vittima di un mostro e bisognosa di un porto sicuro. « Kingsley aveva ragione. Ha sempre avuto ragione. Avevamo una sporca spia tra noi e non ne sapevamo niente. COME FAI! COME! Dopo l'attacco a King's Cross, come fai a prendere ancora le parti di quelle persone? Ci vogliono morti, da quando hanno scoperto della nostra esistenza. » Ricorda bene quel giorno. Ricorda la coltre di fumo ed i detriti, le urla dei ragazzi spaventati e delle madri separate dai loro figli. Ricorda come abbia stretto a sè sua sorella Roxanne e tirata fuori dalla mischia, come si sia guardato attorno con la speranza negli occhi di non rivedere qualcuno dei suoi amici o parenti riverso esanime in mezzo al caos. Di non vedere lei. Continua ad ascoltare le sue parole in silenzio, cogliendo il suo sguardo non appena lei lo sfida. Assottiglia appena il proprio, tentando di scrutare attraverso quegli specchi di ghiaccio: Niente. Vede solo odio e disprezzo. Solo odio e disgusto. E' a questo che sono arrivati? E' questo ciò che ormai lei prova per lui? « Beh, ritenta e sarai più fortunato, perché non me ne può fregare di meno, né di chi ti scopi, né di chi crepa male attorno a te. » E questa fa male. La prospettiva di non essere più niente per lei fa male. Fred è stato, è stato molto, ma non ha saputo continuare ad esserlo. E così l'aveva lasciata andare, ma mai come adesso l'aveva sentita così lontana. Non ti accorgi di quanto tu possa tenere a qualcosa fin quando non la perdi definitivamente. Respira profondamente, in completo silenzio sotto ogni sua parola, prima di vederla indietreggiare appena, pronta ad abbandonare la cucina. « Risparmiami le prediche e vai a farti consolare da qualche altra ipocrita come te. » E, anche questa, fa male. Si getta in avanti, afferrandole il polso. Sente le sue ossa sotto la pressione delle proprie dita, e si rende conto di quanto -nonostante tutto- il suo corpo possa essere ancora fragile. Potrebbe farle male senza il minimo sforzo. Forse erano questi i pensieri che popolavano ogni volta la mente del signor Carrow. Si ritrae immediatamente, disgustato. Lui non è questo, e adesso sì, adesso sì che è incazzato con lei per avergli anche solo fatto sfiorare un'idea del genere.
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    « Dimmi, come ti senti adesso? » Le prime parole dopo quel lungo silenzio suonano taglienti, ma al tempo stesso spezzate. E' ferito, Fred, è irrimediabilmente ferito. « Come ti senti ad avermi spalato merda addosso sino ad ora? Da quanto te lo preparavi un discorso del genere? Qualche giorno, un mese, un anno? No perchè se è improvvisato, tanto di cappello. Devi essere davvero morta dentro per riuscire alla perfezione in un risultato tanto eccellente. » Respira profondamente « Dimmi, la morte di Abigail ti ha fatta sentire meglio? Ha risolto qualcosa, mh? La gente oltre queste mura ha smesso di morire e la guerra è finita? La malattia è stata debellata e la pace è finalmente giunta? » Scuote la testa, inchiodandola con lo sguardo. « Non ho bisogno delle tue prediche del cazzo per capire che siamo in guerra. James è ricercato, senza un motivo valido, Rudy è stato cruciato. Sai da chi? » Pausa. « Dal tuo governo. Il tuo fantastico, giusto, magnanimo governo. Anche Rudy e James sono dei terroristi? Anche loro si meritano ciò che stanno passando? Non dirmi stronzate guardando la situazione solo dal lato da cui ti conviene guardare. Quanto tempo passerà prima che l'Inquisizione perda la testa e decida di raderci al suolo tutti, noi traditori dal sangue sporco? Quanto prima che vengano da me perchè mia madre non è una purosangue, o da Tallulah, o da Albus, e la lista potrebbe essere infinita. I tuoi eroi non si fermano davanti a nulla. Non si sono fermati davanti ad un innocente come James ed un ragazzino come Rudy, mi domando che fine spetta a tutti noi. Allora, questo non lo vedi? Stai per caso soffrendo? Non lo vedo. Dov'è la tua sofferenza? » Si muove di qualche passo, parandosi di fronte alla porta per impedirle di scappare. «E tu sei uguale a loro. A te non frega un cazzo del suicidio di una ragazzina perchè in fondo "era giusto così". Non te ne frega un cazzo del dolore dei suoi cari perchè tanto aveva scelto la parte sbagliata. Perchè sei piena d'odio, fino all'orlo. Come tutti loro. » Prende fiato per qualche istante, mentre il suo sguardo vaga per la cucina, prima di tornare su di lei. « Ci siamo incontrati perchè stavo andando a spedirti una lettera per chiederti scusa. La morte di Abigail mi ha fatto capire quanto sia doloroso perdere qualcosa a cui si tiene. Volevo chiederti scusa perchè quando l'ho vista per terra ho pensato a te, a quanto devo averti fatto male. Ho pensato a te perchè quando l'ho vista ho avuto paura che al suo posto forse un giorno avrei ritrovato te. E a quanto sono stato un coglione a perderti. Ma col senno di poi forse non ho perso poi così tanto, visto come sei diventata. » "Cosa ti aspettavi? Che ti abbracciassi e ti consolassi? Per l'amor del cielo Freddie, anche senza quell'articolo, la situazione è paradossale; stai cercando conforto tra le braccia della tua ex ragazza per la morte della tua ultima ex ragazza." « Sai perchè mi piacevi?Perchè tu nonostante tutta la merda che hai dovuto sopportare, eri sempre tu. Ma adesso non ti riconosco più, vedo solo indifferenza e morte nei tuoi occhi. Quindi vai, forza, torna ad ammirare soltanto il lato della medaglia che ti conviene, continuando a pararti gli occhi di fronte a tutta la restante sofferenza che tu, a quanto pare, ritieni necessaria. » Si scosta dalla porta, allungando un braccio. « E' vero, io sarò anche un ipocrita, Abigal sarà stata anche una terrorista, ma tu sei crudele. »
     
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    Lo stesso contatto. Dita calda contro la pelle fredda del polso di lei. Si stringono con insistenza, obbligandola a concentrarsi su quella stretta d'acciaio. Fammi del male. Andiamo! E' questo ciò che vuoi. E' questo ciò che vogliono tutti. Non è la prima volta. « Dimmi, come ti senti adesso? » Magnificamente. « Come ti senti ad avermi spalato merda addosso sino ad ora? Da quanto te lo preparavi un discorso del genere? Qualche giorno, un mese, un anno? No perchè se è improvvisato, tanto di cappello. Devi essere davvero morta dentro per riuscire alla perfezione in un risultato tanto eccellente. » Ryuk si erge alle spalle di lui. Divertito. Ma a questo punto lo sguardo di lei, si erge per un attimo sulla figura inquietante del demone. Lo sfida con un'intensità unica. Stringe i pugni e annuisce. Lo manda via. Non lo vuole. Non vuole nessuno. E il dio della morte come impossibilitato a ridere ulteriormente, scompare in un fumo nero. Probabilmente lo avevi già visto. Lo avevi anticipato. Non è così, Ryuk? Tu sai tutto già prima che accada. Come mia madre. Anche lei sembrava conoscere più di quanto le fosse dovuto. « Dimmi, la morte di Abigail ti ha fatta sentire meglio? Ha risolto qualcosa, mh? La gente oltre queste mura ha smesso di morire e la guerra è finita? La malattia è stata debellata e la pace è finalmente giunta? » Un giorno t'innamorerai, diceva mia madre. Un giorno t'innamorerai e farà male. Forse a volte sentirai che ti faccia star bene, ma il più delle volte ti farà male. Il più delle volte vorrai slegarti da chiunque tu desideri. Mi dirai bambina, che l'amore non deve farti sentire così. Gli esseri umani sono fatti per amarsi. Ma tu, bambina, non sei un essere umano. Sei una Carrow. La mia unica figlia femmina. « Non ho bisogno delle tue prediche del cazzo per capire che siamo in guerra. James è ricercato, senza un motivo valido, Rudy è stato cruciato. Sai da chi? Dal tuo governo. Il tuo fantastico, giusto, magnanimo governo. Anche Rudy e James sono dei terroristi? » Sta registrando tutte le sue parole, le fa proprie, le stampa nella propria mente, affinché le facciano da reminder quando mai dovesse pentirsi di qualunque parola gli abbia detto. Quando dovesse mancarle, quando dovesse aver l'istinto di andare a cercarlo nel cuore della notte, ricorderà. Ricorderà tutto. E spera che anche lui ricordi le sue. Sei una Carrow e a noi non viene assegnato lo stesso diritto di amare di chiunque altro. Ricordatelo sempre; non sarai mai solo una ragazza, mai solo una donna. Tu sei qualcos'altro. Quando era ancora incinta, alla signora Carrow lessero i tarocchi. Aveva una fissazione per quelle cose. E quella vecchia strega le aveva detto che quei suoi bambini sarebbero stati straordinari, bellissimi. Uno in particolare poi, sarebbe stato in tutto qualcos'altro. L'inizio della fine. [...] « E tu sei uguale a loro. A te non frega un cazzo del suicidio di una ragazzina perchè in fondo "era giusto così". Non te ne frega un cazzo del dolore dei suoi cari perchè tanto aveva scelto la parte sbagliata. Perchè sei piena d'odio, fino all'orlo. Come tutti loro. » Dovrai fare cose difficili. Dovrai fare cosa che non ti piaceranno. Ti innamorerai, bambina mia, più e più volte, perché non potrai farne a meno, e morirai dentro ogni volta. « Ci siamo incontrati perchè stavo andando a spedirti una lettera per chiederti scusa. La morte di Abigail mi ha fatto capire quanto sia doloroso perdere qualcosa a cui si tiene. Volevo chiederti scusa perchè quando l'ho vista per terra ho pensato a te, a quanto devo averti fatto male. Ho pensato a te perchè quando l'ho vista ho avuto paura che al suo posto forse un giorno avrei ritrovato te. E a quanto sono stato un coglione a perderti. Ma col senno di poi forse non ho perso poi così tanto, visto come sei diventata. » Ed è quello l'esatto momento in cui Amunet Carrow si sente una fitta allo stomaco. Indietreggia appena nonostante non riesca a smettere di mantenere il contatto visivo. Vorrebbe abbassare lo sguardo, girarsi e andarsi, far cadere quelle cucine sotto una bomba a idrogeno, talmente potente a far crollare non solo quelle ma anche il restante castello; e loro lì, intrappolati per sempre lì sotto, con le macerie. Vorrebbe farlo sparire, vorrebbe non averlo mai incontrato. Perché? Perché deve torturarla in quel modo. Perché Freddie? Perché non vuoi lasciarmi andare? Stringe i pugni e serra la mascella mentre deglutisce pesantemente rimandando le lacrime al mittente. Non piangerà di fronte a lei, non si mostrerà debole di fronte a lui. Piuttosto si taglierebbe un braccio. Eppure quelle parole scavano, scavano nel profondo e lasciano riemergere sentimenti sepolti da tempo, incastonate in una parte della sua mente dormiente da tempo. « Sai perchè mi piacevi?Perchè tu nonostante tutta la merda che hai dovuto sopportare, eri sempre tu. Ma adesso non ti riconosco più, vedo solo indifferenza e morte nei tuoi occhi. Quindi vai, forza, torna ad ammirare soltanto il lato della medaglia che ti conviene, continuando a pararti gli occhi di fronte a tutta la restante sofferenza che tu, a quanto pare, ritieni necessaria. E' vero, io sarò anche un ipocrita, Abigal sarà stata anche una terrorista, ma tu sei crudele. »

    Annuisce con convinzione mentre un leggero sorriso si allarga sul suo volto candido. Hai finito?
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    Su una cosa Freddie ha ragione. Mun è crudele. Due anni con Ryuk e le difficili decisioni che ha dovuto prendere, l'hanno resa tale. Di una cosa però non si scorda. Ryuk non ci sarebbe mai stato se ci fosse stato Freddie. Ryuk non sarebbe mai entrato nella sua vita se solo Mun avesse avuto anche un solo appiglio di speranza a cui aggrapparsi. Quando stavano insieme, se lo ricorda, combattuto e pieno di rabbia nei confronti del padre, lei le diceva sempre le stesse parole. Non essere triste, non essere arrabbiato. A diciassette anni me ne andrò e tutto sarà diverso. Il momento della maggior età lo attendeva con grandi speranze, con la consapevolezza che un futuro migliore c'era; un futuro insieme a Freddie, con i loro milkshakes al solito baretto e le serate passate al luna park a spettegolare di questo mondo e quell'altro. Tra qualche anno andrà tutto meglio. Bisogna solo stringere i denti. E lui ci credeva. Ci credevano entrambi. Ma poi lei aveva rovinato tutto; aveva reso la loro situazione precaria più definitiva. Aveva reso quel loro rapporto che per lei aveva la parvenza del per sempre reale. E lo aveva spaventato. E di conseguenza, andati Freddie, Betty e Al, Mun aveva dovuto cercare la speranza altrove. E l'aveva trovata, nell'unico posto in cui non avrebbe dovuto cercarla. « Ricordatele queste parole, Freddie. » Disse infine con voce pacata dopo un tempo infinito in cui gli occhi chiari di lei si erano rispecchiati in quelli di lui. Un tempo erano così compatibili. Un tempo non poteva fare a meno di guardarlo negli occhi e sorridere come una bambina. « Perché hai ragione da vendere. Io sono crudele. » Lo sono stata soprattutto il giorno in cui ti ho amato di meno in assoluto, spaventandoti. « Spero che questa immagine ti rimanga ben impressa in testa, affinché tu capisca che non sei uno stinco di santo. » Non tu. Non i tuoi parenti. Ci facciamo la guerra a vicenda perché il vostro fottuto orgoglio grida necessariamente alla tolleranza assoluta. « Perché che ti piaccia o meno, io sono il tuo mostro. » Tuo e dei tuoi amici. Tuo e di chiunque ha distolto lo sguardo. Tuo e di chiunque abbia avuto la crudeltà di abbandonare una fragile quindicenne a sbrigarsela da sola. Sono il tuo mostro, tanto quanto sono il mostro di mio padre e di mia madre, dei miei fratelli e di questa società marcia. « Io non sono piena di odio. Sono solo piena di vergogna verso ciò che siamo diventati tutti noi. » Si stringe nelle spalle ormai stanca di litigare. « Ci meritiamo qualunque cosa ci attenderà. E ti assicuro quando vera guerra arriverà, non ci saranno più parti e la mia crudeltà, la nostra crudeltà.. » Fa una leggera pausa tempo in cui erge lo sguardo su di lui. « ..sarà l'unica cosa a dividerci da una fossa. » Fece qualche passo in direzione della porta, ma si fermò quando gli fu accanto. « Fino ad allora, stammi lontano; non vorrei che la mia crudeltà ti contagiasse troppo presto. » E dicendo ciò prese a percorrere il corridoio di uscita dalle cucine, senza voltarsi. Sentì le lacrime arrivare, questa volta con più forza, ma ancora una volta le ricacciò indietro. Non piangerò un'altra lacrima per te, Freddie Weasley.


     
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    Ira; "Sentimento per lo più improvviso e violento, che, provocato dal comportamento di persone o da fatti, circostanze, avvenimenti, tende a sfogarsi con parole concitate, talvolta con offese, con atti di rabbia e di risentimento, con una punizione eccessiva o con la vendetta, contro chi, volontariamente o involontariamente, lo ha provocato." L'ira è facile. L'ira ti scoppia dentro, ti riempie ogni vaso sanguigno, irrorandoti qualsiasi tessuto e ancor prima che tu te ne possa accorgere, ti sei già lasciato prendere. E più glielo permetti, più la rendi capace di impossessarsi di te, più cresce. Cresce e ancora cresce, fin quando, alla fine, non puoi farne a meno. Non puoi perchè non ci riesci. Non puoi perchè non vuoi. L'ira è un parassita. Ti entra nel cervello e te lo annebbia. Ti rende cieco, sordo, inibisce qualsiasi tuo pensiero e comanda ogni tua azione. E tu rimani lì, ormai troppo in là per tornare indietro. E allora agisci, agisci senza pensare. Ti armi di tutte le armi che la rabbia può concederti, e le brandisci con orgoglio, con ferocia, distruggendo ogni cosa. Il passato, il presente ed il futuro. Niente ha più importanza dinnanzi ad un uomo irato, niente ha più significato. Poi, però, puff. L'ira è bastarda. Ti abbandona quando meno te l'aspetti. A volte ti lascia qualche reminiscenza che può durare ore, ma non di più. E cosa rimane dopo la tempesta? Nulla. Sei solo, ad osservare ciò che hai distrutto, ciò che hai spezzato. Sei solo di fronte ai demoni che hai liberato, e che hanno agito senza che nemmeno te ne accorgersi. Ma una cosa resta infine: il senso di colpa. Fred Weasley l'ha sempre odiato. Uno dei principali motivi per i quali ha sempre tentato di rimanere paziente, con ogni probabilità. Perchè è vero, arrabbiarti è facile, ma affrontare le conseguenze non lo è poi così tanto. Ed eccola la sua conseguenza. Sguardo vitreo, sorriso gelido dipinto sulle labbra. Osserva Amunet, mentre gli occhi di lei si rigettano nei suoi, facendolo rabbrividire. Una valanga ghiacciata in un mare di fuoco, capace di spegnerlo. Non gli piace ciò che vede, non gli piacciono quelle conseguenze. Sa di doverle affrontare, ma ha paura di farlo. Ha paura di farlo perchè Fred, sostanzialmente, è una testa di cazzo. Non rimangerebbe nessuna delle parole che ha detto, nonostante molte non le abbia nemmeno mai pensate. L'orgoglio è forte, l'orgoglio ti frega, suo padre gliel'ha sempre detto. Ma Fred è sempre stato troppo sordo per ascoltarlo. Dovrai metterlo da parte ogni tanto, dovrai capire quando è giusto farlo, per quanto sia difficile « Ricordatele queste parole, Freddie. » Ricordatelo, sempre. Queste erano state le sue parole, qualche anno fa. Londra, un piccolo bar nemmeno troppo conosciuto. E' quasi completamente vuoto, visto l'orario inoltrato, eccetto due ragazzi. Siedono in fondo ai tavoli, l'uno di fronte all'altro. Il ragazzo ha fisico slanciato e capelli rossi, fin troppo rossi. Stringe una mano alla ragazza, molto diversa da lui, con pelle di alabastro, occhi azzurri e capelli corvini. Ricordati che possono farsi la guerra quanto vogliono, ma a me non frega nulla le aveva detto il ragazzo, stringendole la mano e sorridendole. Credeva alle sue parole, ci credeva eccome. Quel giorno, come tanti altri prima, ed ancora di più a venire, i loro cognomi avevano cozzato tra loro. Weasley e Carrow era una combinazione esplosiva, incontenibile e paradossale. Da ambe le parti, molti erano i malumori che quell'unione era riuscita a suscitare. I Carrow odiavano Fred perchè Weasley, i Weasley odiavano Amunet perchè Carrow. Era un circolo vizioso dal quale si rivelava impossibile fuoriuscirne. Ma non per loro. Le aveva stretto la mano tra le proprie dita e l'aveva tirata a sè, rubando la macchina di suo padre nonostante non avesse ancora la patente e trascinandola via da quelle mura. Lì, in quel baretto che ormai li riconosceva tanto era il tempo che ci passavano, gliel'aveva promesso. A lui non importava il suo cognome, le prediche di sua madre e le minacce del padre di lei. A lui importavano loro due. Non ti lascio, aveva detto, non per una stronzata del genere, ricordati queste parole, Mun. "Ricordati queste parole, Freddie" Ipocrita. Tristemente, tremendamente e vergognosamente ipocrita. « Perché hai ragione da vendere. Io sono crudele. Spero che questa immagine ti rimanga ben impressa in testa, affinché tu capisca che non sei uno stinco di santo. » Le sue parole sono affilate, taglienti. Le incassa a testa alta, ma vacilla. L'ira sta scemando ed il senso di colpa rimonta. Le conseguenze giungono e tu non sai come affrontarle. « Perché che ti piaccia o meno, io sono il tuo mostro. » "Un'ombra si aggira tra di noi, dovrai stare molto attento." Abigail l'aveva guardato spaventata. Le parole trapelavano dalle sue labbra velocemente, mentre il suo sguardo spiritato lo scrutava attentamente. Freddie aveva riso, prendendola in giro e dicendole di smetterla, perchè in quel modo iniziava a diventare inquietante. Ma Abigail aveva continuato, stavolta stringendogli le dita contro il polso così forte da conficcargli le unghie nella pelle. « Io non sono piena di odio. Sono solo piena di vergogna verso ciò che siamo diventati tutti noi. Ci meritiamo qualunque cosa ci attenderà. E ti assicuro quando vera guerra arriverà, non ci saranno più parti e la mia crudeltà, la nostra crudeltà..sarà l'unica cosa a dividerci da una fossa. » E Freddie era stato crudele. L'aveva abbandonata. Le aveva promesso tanto e le aveva dato nulla. Non si era mai interrogato su questo. Perchè era fatto così, superficiale, così tanto da fuggire ogni qualvolta quella superficialità venisse intaccata da qualcosa di ben più profondo. E così era scappato, Weasley.
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    « Fino ad allora, stammi lontano; non vorrei che la mia crudeltà ti contagiasse troppo presto. » E così come lui era scappato, adesso è lei a farlo. La porta si richiude da sola alle sue spalle, e Fred rimane lì, i pugni serrati, mentre cala lo sguardo. L'orgoglio non porta da nessuna parte figliolo Fa qualche passo indietro, voltandosi verso il resto della cucina e poggiandosi con la schiena contro alla porta. Loras sta trotterellando in mezzo agli altri elfi domestici, ma non appena lo nota, i suoi grandi occhi verdi si tingono di dubbio. E' confuso, tanto quanto lo è Fred, che si stringe nelle spalle, vagando con lo sguardo fino ad incontrare le tazze ancora fumanti riposte sul bancone. Fino a qualche attimo prima stavano bevendo il loro caffè come un tempo, ed ora...Incredibile quanto veloce possano cambiare le cose. Non te ne accorgi nemmeno, fin quando di colpo non ti scivolano dalle mani, e tu rimani lì, incapace di riprenderle.

    E Fred odia essere impotente. Fred odia le cose lasciate in sospeso. Fred deve sempre avere l'ultima parola. E quindi eccolo, mentre spalanca la porta giusto qualche minuto dopo di lei, a guardarsi attorno per individuarla. Non la vede e allora inizia a correre. Corre come se ne valesse della sua vita. Corre come se fosse la cosa più necessaria. Svolta l'angolo e la scorge, i capelli neri a svolazzare mentre percorre velocemente i corridoi. « Mun! » Non era tornato, non era tornato dopo quel ti amo. Non era certo che lei lo avesse aspettato, ma lui non era tornato comunque. E si era sentito in colpa, e più si sentiva in colpa, più i giorni passavano ed il suo ritorno diveniva sempre più improbabile. Sempre più fuori luogo. Ma eccolo, oggi, mentre le si avvicina ad ampie falcate e la tira da un braccio per farla voltare, trascinandola con così tanto impeto da farla scontrare col suo stesso petto. Le dita si stringono contro il suo polso, stavolta però non v'è alcuna parvenza d'ira nel suo gesto. Vuole tenerla stretta per non farla scomparire, di nuovo. « Non volevo ferirti » Non di nuovo. Asserisce, il respiro appena affannato, mentre molla la presa, ma non accenna ad indietreggiare. « Non voglio che tu sia il mio mostro. Non puoi contagiarmi, perchè sono già crudele. Lo sono stato e tu lo sai bene.» Si morde il labbro inferiore « Lo so cosa ho fatto, e mi dispiace, per tutto. Per come mi sono comportato, per averti abbandonata quando forse avevi più bisogno di me. Ma anche se forse a te non frega più niente adesso..Ci credevo sul serio quando ti facevo quelle promesse. Ci tenevo, e ci tengo ancora. So che ormai non ha più importanza, ma non ti voglio fuori dalla mia vita » Sospira, indietreggiando solo in quel momento di qualche passo « Resti importante per me, ed è per questo che le tue parole mi feriscono tanto. Ne ricevo tanti di insulti ogni giorno, mi conosci e lo sai quanto possa fregarmene. Ma quando sei tu ad odiarmi..Non riesco a sopportarlo e reagisco facendo il coglione » Resti comunque il mio punto debole « Non ti sto chiedendo di perdonarmi, ti sto chiedendo soltanto.. Una convivenza pacifica. E di esserci, esserci davvero, senza essere un'ombra » ..che si aggira tra di noi. Cerca il suo sguardo. « Resta. Resta pure ad odiarmi se vuoi, a ritenermi un ipocrita ed un nemico durante la guerra che ci spetta. Ma resta. »
     
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    Era una notte fresca d'inizio novembre e Mun si era fermata in Sala Grande dopo cena per scrivere una lettera al fratello. A quei tempi correva il suo terzo anno nel castello dei sogni. Non si era accorto della sua presenza finché non aveva alzato lo sguardo. Si erano guardati altre volte, lei lo aveva fatto di certo, con la solita discrezione che la contraddistingueva. Quando lui guardava nella sua direzione, lei distoglieva lo sguardo facendo finta di niente. Aveva quasi quattordici anni e tanti sogni nel cassetto, ma nessun piano certo per il futuro. Fino a quella sera, niente di nuovo sul fronte Mun e Freddie. Si conosceva di vista, ma lei non ci aveva mai parlato, non in modo specifico. Ora però non poteva evitarlo. Era seduto proprio di fronte a lei con quel suo sorriso da schiaffi. Doveva immaginare che quel sorriso sarebbe diventato la sua chimera, ma in quel momento, Mun non aveva potuto fare a meno di corrispondere il suo sorriso con uno altrettanto radioso. Non sa per quanto tempo si erano guardati negli occhi come due idioti, prima che qualcuno di loro parlasse. Alla fine erano scoppiati entrambi a ridere. « Mun. » Un saluto con tanto di tono beffardo. Probabilmente l'aveva amato già quella sera. Aveva amato il modo in cui aveva pronunciato il suo nome, come se le stesse già promettendo il mare e le stelle. « Weasley. » E avevano attacco a parlare. Dal nulla. Semplicemente come se niente fosse. Come se fossero sempre stati amici. Lei, quella lettera non l'avrebbe mai finita quella sera, perché troppo impegnata a sentire le teorie di Freddie su come si sarebbe rubato il posto di Capitano nella Squadra di Quidditch, stracciando finalmente i Serpeverde, quei maledetti che strappavano la coppa da un paio d'anni a quella parte. Quando io entrerò nella squadra, non avrete più scampo. Erano passati da un argomento all'altro, sparlando di professori, le magnifiche gite a Hogsmeade che avevano finalmente modo di fare, essendo arrivati al terzo anno, e via così a parlare ancora di Mielandia e del Ballo di Natale che si sarebbe tenuto quell'anno. Avevano parlato dei nuovi Caposcuola, di quanto facesse paura ad entrambi la Morgenstern e Watson entrambi scelti per un ruolo che già di per sé faceva paura, senza l'aggiunta della loro innata infamia. E alla fine l'aveva accompagnata nei sotterranei. « Allora ci vieni con me? » Le aveva chiesto alla fine appoggiandosi alla parete accanto all'entrata della Sala Comune dei Serpeverde. Non se ne sarebbe andato finché lei non avesse risposto, di questo era certa. « Ma dove? » Aveva di rimando chiesto lei, non riuscendo a smettere di sorridere. « A prendere un gelato da Mielandia. Durante la prossima gita. » Faccia tosta di un Weasley. « Ma io non ti conosco. » Sempre diffidente, seppur la risposta pendesse sulle sue labbra pronta a rigettarsi sul ragazzo. Sì, lo volevo. Lo volevo davvero. Non si era mai trovata così tanto a suo agio con nessuno. Certo, non che Mun ci avesse davvero provato a essere amica di qualcuno. Tutto ciò che vedeva erano i suoi libri, il suo gatto, la biblioteca, le lezioni e via da capo. « Un ottimo pretesto per conoscermi no? Un gelato. » In quel momento quel pallido volto di Mun divenne rosso come un peperone. Arrossii. Mi piaceva. Mi piaceva così tanto quel suo modo di prendermi, che alla fine quel gelato me lo offrì eccome. Sembrava avessimo perso la cognizione del tempo. Per poco non perdevamo l'ultima carrozza per Hogwarts. Non gli aveva risposto subito. E così, i giorni seguenti, lui gli aveva mandato un bigliettino con l'ora a cui l'aspettava davanti a Mielandia. E lei, alla fine si era presentata. E quella sera, mentre tornavano, da soli sulla carrozza, mentre lei continuava a parlare di questo e quell'altro professore che aveva assegnato loro una marea di compiti, quella sera mentre parlava di tutto guardando le stelle piuttosto che guardarlo in faccia, quella sera mentre lei le circondava le spalle col proprio bacio, è successo. Aveva proteso il viso verso quello di lei istintivamente e le aveva rubato un bacio. Il nostro primo bacio. Ci era voluto ancora del tempo prima che diventassero più che amici; Mun non era una facile, ma lui era stato temerario. Freddie Weasley non demorde. E non l'ha fatto finché non è riuscito a definire Amunet Carrow la sua ragazza. Contro ogni costrizione sociale, contro ogni pregiudizio, contro gli sguardi di chi quella unione la vedevano come nefasta. Era entrata in un mondo a parte, lentamente. Ha conosciuto Albus e Betty, accompagnandoli nel solito bar a bere milkshake e a mangiare cibo scadente, finché un giorno, i due amici Freddie e Mun, non sono più stati amici. Quel momento è coinciso con la loro prima volta. La mia prima volta. Da lì, negare che stessero insieme, sarebbe stato impossibile; a quel punto, non volevano più farlo - fare finta che non stesse accadendo. E' partito tutto da un bacio; un bacio rubato da un ragazzino inesperto. Ed è a quel bacio che pensa Mun mentre ripercorre la strada che porta dalle cucine alla sua Sala Comune. Vuole rinchiudersi nella propria stanza e non sentire più niente e nessuno. Vuole stare da sola. Abbandonarsi alle sue dannate lacrime senza avere la paura che qualcuno possa prenderla in giro perché ha ancora lacrime da piangere per Freddie Weasley. « Mun! » No. Non questa volta. Si dice costringendosi ad aumentare la velocità. Cammina il più veloce possibile, lo sguardo puntato sui piedi, chiaramente intenta a non inciampare e fare una plateale figura di merda che non darà altro che occasione a Freddie Weasley di fare l'eroe. Ecco vedi? Io sono quello buono. Quello che nonostante si sia beccato tutto il tuo odio, ti aiuta comunque a rialzarti. Col cazzo, Freddie! Col cazzo! E così continua a camminare - badate bene, non a correre, sarebbe poco dignitoso, bensì a camminare. Quel passo agile e silenzioso che la contraddistingue. E poi eccole. Le dita calde. Per la terza volta nella stessa giornata. Freddie non è nessuno. Freddie non le interessa. Freddie potrebbe crepare e a lei non interesserebbe. Eppure quando Freddie la obbliga ad arrestarsi, lei si arresta. Come un balsamo per l'anima, la obbliga sempre a rallentare. A vedere tutto da una prospettiva diversa. E così si ferma, sospirando pesantemente mentre nell'impeto i loro corpi si scontrano. Ed è come una magia; è uno spettacolo pirotecnico la sensazione che si annida nel suo stomaco. « Che cosa vuoi ancora? » La domanda le esce esasperata. Quasi lo sta implorando di lasciarla andare. Lo fa col tono di voce, con gli occhi chiaramente confuso; uno sguardo appeso tra la dimensione del disprezzo e della melanconia. Uno sguardo che vorrebbe solo non vedere più. « Non volevo ferirti. » Alza gli occhi al cielo spazientita mentre annuisce chiaramente innervosita dal sentirselo dire così spesso. Due volte in pochi giorni. Non volevo ferirti, Non me ne sono accorto. Potevo essere un amico migliore. Potevo essere un ragazzo migliore. Sono un testa di minchia, ti prego perdonami. Ma allora vi fanno con lo stampino a voi Weasley e Potter. « Non voglio che tu sia il mio mostro. Non puoi contagiarmi, perchè sono già crudele. Lo sono stato e tu lo sai bene. » Troppo tardi. Eppure quella vicinanza ha qualcosa di così famigliare. Qualcosa di bello. Qualcosa di estremamente suo. Il profumo di Freddie è lo stesso; fresco, frizzante; Mun diceva sempre quel profumo fosse in grado di risvegliare e infliggere una botta di energia anche a un morto. Era buono, quasi pungente. « Lo so cosa ho fatto, e mi dispiace, per tutto. Per come mi sono comportato, per averti abbandonata quando forse avevi più bisogno di me. Ma anche se forse a te non frega più niente adesso..Ci credevo sul serio quando ti facevo quelle promesse. Ci tenevo, e ci tengo ancora. So che ormai non ha più importanza, ma non ti voglio fuori dalla mia vita. » Troppo tardi, troppo tardi, troppo tardi. Non azzardarti. Non osare dirlo! Non osare nemmeno pensarlo. « Resti importante per me, ed è per questo che le tue parole mi feriscono tanto. Ne ricevo tanti di insulti ogni giorno, mi conosci e lo sai quanto possa fregarmene. Ma quando sei tu ad odiarmi..Non riesco a sopportarlo e reagisco facendo il coglione. Non ti sto chiedendo di perdonarmi, ti sto chiedendo soltanto.. Una convivenza pacifica. E di esserci, esserci davvero, senza essere un'ombra. » Un'ombra. Ce ne erano davvero molte a Hogwarts, ma Mun era l'ombra di Freddie. Era la sua, di Betty e di Albus, ma era soprattutto di Freddie, e avrebbe continuato a esserlo finché non si sarebbero liberati da quella gabbia e ognuno sarebbe finito sulla propria strada. « Resta. Resta pure ad odiarmi se vuoi, a ritenermi un ipocrita ed un nemico durante la guerra che ci spetta. Ma resta. »
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    Chiude gli occhi mentre indietreggia appena di fronte a quella richiesta. Non posso. E non poteva seppur una parte di lei le urlasse di acconsentire. Non poteva perché Freddie non poteva vedere, non poteva capire, non doveva vedere il mostro. Si era tenuta lontana così tanto a lungo, era riuscita a evitarlo, a stargli alla larga. E forse proprio quella lontananza dai suoi tre più cari amici aveva reso quel suo animo ancora più arido di quanto non lo fosse stato se li avesse avuti nei paraggi. ..tu sei uguale a loro. Perchè sei piena d'odio, fino all'orlo. Come tutti loro. Quanta ragione aveva, il giovane Weasley, e quanto avrebbe voluto potergli dimostrare il contrario. Non come loro. Io sono molto peggio di loro. Sospira. E per la prima volta non ha il coraggio di guardarlo negli occhi. Perché sa che ciò che sta per dire è una menzogna. Tu menti, Mun. Sei sempre stata brava a mentire. Nel bene e nel male. « Non ti sto biasimando per quello che hai fatto. » Pausa. Il tipico discorso del rispetto ma non condivido. E infatti, il rispetto che Mun portava verso le scelte altrui, era stata l'unica cosa a tenerla dal fare qualunque forma di scenata. Freddie aveva scelto di voltarle le spalle. « Hai fatto ciò che dovevi per stare bene con te stesso. » Si morde il labbri inferiore mentre si passa la mano tra i lunghi capelli corvini. Ed è a quel punto che alza lo sguardo per un attimo nel suo. Ed è il colpo di grazia. Capisce che non ce la farà mai. Non esiste convivenza che regga. Mun prova ancora qualcosa per Freddie, qualcosa che non riesce a togliersi dalla testa. Deglutisce e indietreggia ulteriormente. « Non puoi chiedermi di fare diversamente adesso. » Perché questa è la mia scelta. Questo è ciò che mi farà stare bene con me stessa. O quanto meno, questa è la scelta che mi farà stare meno male. Le ultime parole le si spezzano in gola. Le rivolge un ultimo sguardo, uno sguardo che lo mette in guardia. Non seguirmi. Non ti azzardare.. perché.. Perché non ce la farà una terza volta. E Mun non può, non voglio, fare gli stessi errori del passato. Tornare sui proprio passi con Freddie, potrebbe essere bello all'inizio. Ma cosa succederà quando si accorgerà di cosa le accade dopo che uccide? Cosa succederà quando scoprirà il Death Note? Quando lo toccherà per sbaglio e lo shinigami si presenterà al suo cospetto, pronto a rigettargli in faccia tutto l'odio che prova nei suoi confronti? Deve proteggerlo e deve proteggere anche se stessa, tutelarsi. Se rimanesse lì a guardarlo ulteriormente, sa che alla fine cederebbe, scoppierebbe a piangere, lui cercherebbe di consolarla, la vicinanza spezzerebbe qualunque muro lei abbia posto tra loro, e bum, fine sogni di gloria. Quindi non si ferma oltre e per assicurarsi che lui non la segua, per tenersi il più lontano dalla possibilità che quella temerarietà tipica del ragazzo possa annullare qualunque suo tentativo di respingerlo, ci mette la carica finale. Il voltaggio massimo. « E troppo tardi. Avevi ragione: non sei abbastanza per me. » E c'è qualcosa che si spezza dentro di lei. Si spezza inesorabilmente ancora e ancora, con un'intensità maggiore di quella volta in cui lui le ha detto di non essere abbastanza. Si odia. Essere sprezzante; sono un essere spregevole. Serra la mascella e i pugni e portandosi i capelli su una spalla gli rivolge le spalle e continua il suo tragitto con una velocità superiore a quella di prima. Vuole solo scappare. E non appena gira l'angolo questa volta corre. Corre fino all'entrata in Sala Comune. Solo quando si sente al sicuro, certa che lui non possa più raggiungerla, scoppia a piangere. Piange mentre lancia per aria qualunque oggetto le capiti a tiro. Soffoca un urlo di rabbia in uno dei cuscini abbandonati sul grande divano verde argento, prima di abbandonarsi di fronte al caminetto. Prosciugatasi la rabbia, resta solo il dolore. E con questo dovrà convivere.




    Edited by Cursed Child - 6/9/2017, 23:31
     
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    Era stato Freddie a cominciare, così come era stato Freddie a finire. Quella notte di Novembre e quel pomeriggio di Aprile. Hogwarts contro Londra, passato contro futuro. Sì, era stato Freddie a cominciare. Si erano guardati per diversi minuti, quella sera, fin quando non erano scoppiati entrambi a ridere. Sino ad allora, l'aveva sempre vista da lontano. L'ultima dei Carrow gliel'avevano indicata. Pelle diafana contro la sua, decisamente più scura, capelli neri contro i suoi rossi, occhi azzurri contro i suoi castani. Nessuno avrebbe mai detto che la Carrow, così diversa dal Weasley, avrebbe un giorno attirato la sua attenzione. Ma l'aveva fatto, l'aveva fatto eccome. L'aveva notata già da tempo, durante le lezioni o in Sala Grande. Una volta, durante il loro secondo anno, erano pursino stati designati assieme per un progetto di pozioni, durante il quale Weasley, chiaramente, si era fatto riconoscere per ciò che era: un idiota. Ed era stato un idiota ad invitarla per quel gelato, Albus gliel'aveva detto. Andiamo l'hai vista? Sì, l'aveva vista. E probabilmente gli era piaciuta sin dal primo momento in cui i suoi occhi di fuoco avevano incontrato quelli di ghiaccio di lei. Così da quel giorno in cui avevano parlato per più di cinque minuti in Sala Grande, Freddie l'aveva pensata per tutto il tempo. Non sapeva perchè, ed a quel tempo era ancora troppo piccolo per interrogarsi sul significato delle cose, ma l'aveva pensata. Forse sì, era stato un idiota ad invitarla così presto. Forse lei non avrebbe mai accettato, ma lui, almeno, ci aveva provato. Secondo te mi ignorerà? Aveva domandato a Scott, il suo compagno di stanza di allora. Un Grifondoro dal naso pieno di lentiggini e la mente semplice. Beh, tranne che con le ragazze. Scott con le ragazze ci sapeva fare, aveva qualche anno in più di lui ed una marea di giovani donzelle che gli correvano dietro. Non lo so amico, quelle come lei ti fanno penare, non metterti nulla nel cuore. Aveva risposto il ragazzo, stringendosi nelle spalle. Fred si era morso il labbro inferiore, sedendosi sul proprio letto, e quando i primi cenni del sonno di Scott si erano fatti sentire (e cioè il suo russare capace di risvegliare persino i fantasmi) era balzato in piedi, sedendosi al suo scrittoio per trascrivere un bigliettino. Un orario ed un posto, semplice e coinciso. Forse era vero, una come lei l'avrebbe fatto penare, ma almeno ci aveva provato. Ed era andato fino in fondo quando a quell'appuntamento lui si era presentato sul serio. Capelli sistemati alla meno peggio, cravatta della divisa allacciata male e sguardo spaesato: un perfetto esemplare di Freddie Weasley. Ed aveva aspettato, aveva aspettato con le braccia poggiate su quel tavolo e lo sguardo fisso sulla porta della locanda, sobbalzando ogni qualvolta qualcuno si materializzasse attraverso, sperando di vederla. Fin quando, poi, non l'aveva vista sul serio. Ed il suo sguardo si era illuminato, l'intero suo viso s'era illuminato, e Freddie le aveva sorriso, uno dei primi sorrisi di una lunga serie. Da quel giorno, attraverso quella porta, l'avrebbe vista spuntare tante altre volte. A volte pregandola, a volte no, spesso dubitando del suo arrivo. Ma lei, in un modo o nell'altro, arrivava sempre e Fred, in un modo o nell'altro, non poteva fare a meno di sorridere. L'aveva baciata alla fine del loro primo vero appuntamento. Non sapeva perchè l'avesse fatto, forse perchè semplicemente gli andava di farlo. E gli era piaciuto, non era stato il suo primo bacio ma gli era piaciuto. Incerto, a tratti imbranato, ma perfetto. E se lo sarebbe ricordato per le ore a venire, per poi trasformarsi in giorni e settimane. Se ne sarebbe ricordato persino quando Scott avrebbe iniziato a prenderlo per il culo per quella sua espressione trasognante. Fin quando poi, quasi senza accorgersene, quel bacio era diventato il primo di una lunga serie. Una serie infinita che lo portava a desiderare che alla fine di uno ne iniziasse subito un altro. « Che cosa vuoi ancora? » Non lo sa, la verità è che Freddie non sa mai un cazzo quando si tratta di oltrepassare quello scudo di superficialità che l'ha sempre caratterizzato. Lei è vicina, tremendamente vicina come un tempo, eppure così lontana. Vorrebbe stringerla come un tempo, far proprio il suo calore ed inglobarla in quell'abbraccio dal quale tante, troppe volte le aveva promesso non l'avrebbe mai fatta più uscire. Ed invece eccoli lì, Mun e Freddie, gli sguardi fissi uno negli occhi dell'altra, ad attendere una guerra imminente. Perchè Fred lo sa, sa che non è finita. Non lo so amico, quelle come lei ti fanno penare. Ed era vero, con Mun non era stata semplice. Ma Fred non si era arreso, Fred aveva insistito fin quando ciò che era partito come una prova, quasi un gioco, non era diventato parte integrante della sua vita. Non passava giorno in cui il Grifondoro non pensasse a lei. Ed era da stupidi, era da checche come diceva quel coglione di Scott, ma non poteva farci nulla. L'aveva pensata anche molto tempo dopo la loro rottura. Le volte in cui era tornato in quel bar ad esempio, il loro bar. E l'aveva vista, aveva visto il suo fantasma seduto al di là dei tavoli, a sorridergli e sorseggiare quel milkshake al cacao che tanto le piaceva. Ed aveva pensato di tornare da lei, oh sì che l'aveva fatto. Tante, troppe volte. Ma l'aveva ferita, e lei lo amava, e se fosse tornato avrebbe continuato a ferirla, e lei avrebbe continuato ad amarlo. E le avrebbe fatto del male, come si era ripromesso che non avrebbe fatto mai. Come aveva promesso a sè stesso, guardando quei lividi che le ricoprivano il corpo, che non sarebbe mai arrivato a fare. Ma l'aveva fatto, Freds, le aveva riempito l'anima di lividi e ferite. E questo era peggio di qualsiasi altra cosa. « Non ti sto biasimando per quello che hai fatto. Hai fatto ciò che dovevi per stare bene con te stesso. » Ma Freddie non stava bene con sè stesso. Si sforzava di crederlo, ma stava una merda. Stava una merda quando la vedeva percorrere i corridoi senza degnarlo di uno sguardo. Stava una merda quando la vedeva a lezione, seduta in un angolo dell'aula, e sapeva di non poterle andare vicino. Stava una merda quelle rare volte in cui la scorgeva sorridere a qualcuno che non fosse lui. Ed era stato male quando non l'aveva vista spuntare da quelle dannate porte della stanza numero 21. Una camera asettica, dalle mura bianche ed il silenzio interrotto soltanto dal rumore intermittente delle macchine a cui era collegato. Quel ragazzo sempre così iperattivo stava lì, immobile, inglobato da quelle lenzuola, lo sguardo vitreo fisso in un punto non ben definito della camera. Sua madre gli accarezzava i capelli e gli raccontava delle novità in famiglia. Ed a Fred non fregava un cazzo, ma ascoltava comunque perchè non aveva la forza di fare altro. E lei non c'era. L'aveva percepita, non sapeva come nè perchè, ma c'era stato un attimo durante quei momenti di completo oblio, mentre si trovava in quel pericoloso limbo tra la vita e la morte, in cui l'aveva sentita. Non vista, ma sentita. E la sua presenza l'aveva risvegliato, l'aveva fatto tornare ad essere improvvisamente. Aveva riacceso un interruttore ormai spento, ridato vita a qualcosa di temporaneamente morto. E dopo un po' Freddie si era svegliato, e lei non c'era. Ed aveva fatto male, aveva fatto più male delle ossa rotte.

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    « Non puoi chiedermi di fare diversamente adesso. » Schiude le labbra come per parlare, ma lei lo inchioda con lo sguardo. Conosce quegli occhi. Sempre stati freddi ed impenetrabili, è vero, ma aveva imparato a leggerli, Freds, almeno in parte. E quegli occhi lo ammoniscono, quegli occhi gli intimano di non andare oltre. « E troppo tardi. Avevi ragione: non sei abbastanza per me. » Impatto. Quando Fred aveva avuto l'incidente, l'impatto era stato violento. Era precipitato da metri d'altezza, schiantandosi al suolo. Aveva ruzzolato per metri, per poi sbattere contro uno degli spalti e, finalmente, bloccarsi, inerme su quel prato ormai sporco di sangue. Era stata una collisione forte, tanto forte da spezzargli una buona dose di ossa, eppure nonostante tutto non aveva sentito nulla. Non aveva percepito le ossa frantumarsi come vetro, il sangue uscirgli dal naso, le costole comprimersi contro i suoi polmoni tanto da bloccargli il respiro. Non aveva sentito nulla di tutto ciò, ma adesso sente tutto. Sente il cuore perdere qualche battito, il cervello staccare per qualche istante e la vista annebbiarsi. Sente quella miscela letale di emozioni salire, insinuandosi attraverso ogni suo vaso sanguigno e cominciare a pulsare dentro di lui. Sente la rabbia, l'ira, l'angoscia, la nostalgia, la tristezza. E fa male. Indietreggia, come colpito da un milione di fendenti, lo sguardo fisso in un punto non ben definito, fin quando non la mette a fuoco, gli dà le spalle e sta scappando da lui. E lui vorrebbe dirle di aspettare, vorrebbe dirle di tornare, ma non ci riesce. Quant'è forte l'impatto di un cuore spezzato? Da quanti metri d'altezza deve precipitare prima di frantumarsi in mille pezzi? Non lo sa, o forse sì: la distanza tra lui ed Amunet. La distanza che li ha separati per tutti quegli anni e che, ad oggi, nonostante ci abbia provato, nonostante si sia aperto a lei, non sono riusciti a colmare. E l'hai voluto tu Fred, l'hai voluto tu si ripete, mentre sospira, quasi come se stesse tornando a respirare soltanto in quel momento. E se lo ripete anche mentre stringe i pugni e serra la mascella, intento a tornare verso la sua camera. E quella sera Fred sarebbe tornato nelle celle sotterranee, avrebbe incontrato i suoi amici ed i suoi cugini, avrebbe riso e fatto battute del cazzo come suo solito. Avrebbe tormentato Hugo, scherzato con Albus e punzecchiato Malia fino a farsi prendere a botte. I try to laugh about it cover it all up with lies, I try and laugh about it hiding the tears in my eyes. Fin quando poi la notte non sarebbe giunta, lasciandolo solo. Solo con la sua solitudine. E lì, solo lì, si sarebbe lasciato andare. Quella notte Fred si lascia andare davvero, estraendo quella lettera dalla tasca e bruciandola. Lo sguardo fisso sulle fiamme mentre consumano ogni sua parola, ogni sua debolezza. Lascia che le ceneri ricadano sul pavimento in pietra, prima di accorgersi di volere di più. E allora si avvicina al grosso baule color cuoio sotto il suo letto, tirandolo via con forza ed aprendolo, sino a rigettare tutto il contenuto per terra. Ed allora la trova, quella foto, quella dannata foto. L'ultima che si sono scattati, durante quel fottuto pomeriggio a Londra. Prima che tutto finisse. Se lo ricorda bene quel momento. Ricorda che avevano riso per una battuta delle sue solite, e che Mun l'aveva minacciato di lasciarlo, se ci avesse provato un'altra volta. No ti prego non lasciarmi aveva scherzato lui, ed infine...L'aveva lasciata. L'aveva lasciata qualche ora dopo quello scatto. I soggetti di quella foto magica si muovono sotto i suoi occhi, il ragazzo dai capelli rossi stringe un braccio attorno al collo della ragazza e la bacia sulla guancia, nonostante lei tenti di allontanarlo, ridendo. La sente ancora riecheggiare quella risata. E allora prende l'accendino, e decide di dargli fine. La fiamma divampa e divora dapprima la sua proiezione cartacea, facendo cessare d'esistere qualsiasi traccia di Fred Weasley in quello scatto. Poi le scintille divampano, pronte a cibarsi di lei. E Fred osserva, osserva mentre quella Mun un tempo sua viene trangugiata dalle fiamme. E non resiste. Butta la foto sul pavimento, picchiettandola con le mani, ed il fuoco lo morde, minacciato da quel repentino cambio d'idea. Ma Fred continua in quel disperato tentativo di salvarla, gemendo di dolore ma non curandosi delle ustioni sul palmo delle mani. Fin quando le fiamme finalmente si arrestano, e lui non alza ciò che ne rimane di quella foto, con la mano destra ancora tremante per le lacerazioni. E Mun è lì, a sorridergli. E sorride anche lui di rimando, rassegnato al fatto che, per quanto lei possa averlo ferito, per quanto l'indomani non le parlerà, per quanto potrà far finta di ignorarla ed odiarla, lui non sarà mai capace di lasciarla andare. Ed infine andò a dormire quella notte, Fred Weasley, le mani fasciate. E sognò di lei, mentre una lacrima solitaria percorse la sua guancia sinistra sino a dissolversi nel nulla.
     
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